SESSUALITÀ E DISABILITÀ Luigi Croce Grazie al contributo di Davide Dèttore Università degli Studi di Firenze Istituto Miller, Genova Il modello dell’ICF (OMS, 2001) Condizione di salute (Disturbo/malattia) Funzioni e strutture corporee Attività Fattori contestuali Ambientali Personali Partecipazione Aree della sessualità secondo la classificazione dell’ICF (OMS, 2001) • • • • • • • • • • • • • • • • • • • Funzioni e Strutture del Corpo Funzioni genitali e riproduttive (codici da b640 a b679). Attività (più o meno limitate) e Partecipazione (più o meno ristretta) d5302 Cura relativa alle mestruazioni. d570 Prendersi cura della propria salute. d710-d729 Interazioni interpersonali semplici e complesse. d760 Relazioni familiari: d7600 Relazioni genitore-figlio; d7601 Relazioni figlio-genitore; d7602 Relazioni tra fratelli; d7603 Relazioni nella famiglia allargata; d7608 Relazioni familiari, altro specificato; d7609 Relazioni familiari, non specificato. d770 Relazioni intime: d77100 Relazioni romantiche; d7701 Relazioni coniugali; d7702 Relazioni sessuali; d7708 Relazioni intime, altro specificato; d7709 Relazioni intime, non specificato. • L’ICF (WHO, 2001) fornisce una nuova visione multidimensionale e multicomponenziale del funzionamento di una persona a livello corporeo (“Funzioni e Strutture Corporee”), a livello personale (“Attività”) e a livello sociale (“Partecipazione”), secondo il modello sopra esposto graficamente. • Ciascuna componente contribuisce in termini positivi (al Funzionamento) in caso di Funzioni e Strutture Corporee integre, in presenza di Attività e Partecipazione e di Fattori Contestuali facilitatori; in termini negativi (alla Disabilità) in caso di “Menomazione” delle Funzioni e Strutture Corporee, in presenza di “Limitazioni” delle Attività e di “Restrizione” della Partecipazione, e di “Barriere/Ostacoli” nei Fattori Contestuali. • La presenza di una condizione fisica che sta all’origine della menomazione, delle limitazioni delle attività e delle restrizioni della partecipazione, che interagiscono tra loro, unitamente ai fattori contestuali, produce, per quanto riguarda l’espressione della sessualità nelle persone con disabilità, varie problematiche di notevole peso. La sessualità nel disabile mentale (I) • Già altrove (Dèttore, Friedman, LoPiccolo e Veglia, 1990; Veglia e Dèttore, 1991; Dèttore, 1994; 1997) abbiamo rilevato come la sessualità sia ben lungi dall'essere un aspetto "naturale" e "spontaneo" dell'esistenza umana, quanto invece il risultato di una complessa interazione di aspetti biologici (piuttosto limitati) e di una varietà di abilità, cognitive e comportamentali, apprese durante il corso dell'esperienza individuale. • Il quadro fondamentalmente non cambia nel caso delle Disabilità mentali, che possono essere catalogate fra le Menomazioni dell’ICF fra cui i principali sono i seguenti: – quanto più elevato è il ritardo mentale, tanto maggiore è il ritardo nello sviluppo dei caratteri sessuali secondari (Flory, 1936; Mosier, Grossman e Dingman, 1962); questo avviene soprattutto in caso di eziologia di tipo genetico o da embrio- o fetopatia, e meno in caso di lesione perinatale o di fattori più tardivi; – le persone con disabilità mentale hanno un tasso di fertilità meno elevato (Hall, 1975). • Pure, oltre a questo, gli aspetti relativi alla sessualità fisica del disabile non si differenziano da quelli che caratterizzano la sessualità normale. • Purtroppo, vi sono atteggiamenti culturali pregiudiziali rispetto alla sessualità delle persone con disabilità mentali, e questi rappresentano, nella terminologia dell’ICF, dei fattori contestuali ambientali che ne limitano l’espressione delle abilità e ne restringono la partecipazione sociale. • L'atteggiamento di fondo della nostra società si può riassumere, infatti, in un posizione curiosamente contraddittoria: da un lato i soggetti con disabilità (soprattutto di tipo fisico) sarebbero ipo- o addirittura asessuati, dall'altro i disabili mentali, ma senza menomazioni o difetti fisici evidenti, sarebbe invece ipersessuati, privi di ogni inibizione, irresponsabili e talvolta naturalmente perversi. La sessualità nel disabile mentale (II) • D'altra parte talvolta si assiste, soprattutto in epoca recente, a un terzo tipo di atteggiamento, presente in persone che vogliono dar mostra di posizioni "moderne e aperte": il desiderio di volere a tutti i costi "sessualizzare" le persone con compromissioni, soprattutto intellettive, evidenziando presunti bisogni e pulsioni sessuali, che talora invece sono solo proiezioni di osservatori non obiettivi. • E' evidente come tali posizioni siano di carattere difensivo: nel primo caso si tratta di una difesa per negazione, il problema non esiste e lo si può ignorare; nel secondo caso, invece, la difesa avviene per esaltazione del potenziale pericolo, portando a misure preventive e repressive, che annullano ugualmente il problema all'origine; nel terzo caso, infine, si aspira a una apparente "normalizzazione", che si basa più su posizioni ideologiche precostituite che su un'effettiva consapevolezza professionale. • Questi miti e stereotipi non possono che influenzare l'atteggiamento dei genitori o degli operatori che si occupano di disabili, per cui l'opinione delle persone, i tabù culturali e le convenzioni sociali tendono tutte in direzione contraria a una espressione adeguata della sfera sessuale. • Il problema diviene tanto più evidente se si pensa che tali atteggiamenti e tabù sono già di ostacolo alla piena realizzazione della sessualità nelle persone normodotate. Nel caso di persone con compromissioni gli ostacoli non possono che essere moltiplicati, e non solo per aspetti puramente pratici e tecnici. • I fattori contestuali relativi agli atteggiamenti e alle convinzioni presenti nell’ambiente circostante, unitamente alle limitazioni delle abilità dovute alle condizioni fisiche all’origine del ritardo evolutivo, possono produrre restrizioni alla partecipazione sociale in vari aspetti, come per esempio relativamente al contatto fisico e all’autostimolazione. La sessualità nel disabile mentale (III) • Il contatto corporeo, sia come stimolazione sensoriale sia come manifestazione di affetto, è importante per il soggetto con disabilità quanto per il normodotato, ma i tempi di evoluzione del primo sono più lunghi. Così, può accadere che certi giochi corporei o manifestazioni di affetto vengano richiesti dal primo oltre l'età in cui essi sono ritenuti culturalmente accettabili, innescando talora negli adulti delle interpretazioni che gli attribuiscono componenti sessuali, che spesso sono in realtà fantasie infondate. I genitori, o gli operatori, quindi se ne astengono, pensando di correre il rischio di scatenare istinti non più controllabili, privando invece la persona di esperienze gratificanti, che ben poco hanno di strettamente sessuale. • Per quanto riguarda invece l’autostimolazione, essa nella persona con disabilità è altrettanto presente e spesso incontra le stesse reazioni adulte di intolleranza. Talora esse sono ancora più accese, in base ai pregiudizi precedentemente evidenziati. • D'altronde tale forma autostimolatoria in queste persone può essere più frequente, in quanto essa, accanto a quella caratteristica di costituire uno stimolo piacevole, può assumere altre funzioni: – attività di riempimento in momento di noia o di solitudine; – attività sostitutiva al posto di comportamenti auto- od eteroaggressivi, spesso dovuti a frustrazione; – eventualmente un modo per attrarre l'attenzione non altrimenti ottenibile. • Il soggetto con disabilità, avendo repertori comportamentali meno ricchi per far fronte alle situazioni di scarsa stimolazione o di stimolazione negativa, fa ricorso a tale forma di gioco sessuale in quanto facilmente disponibile, gratificante e attuata fin dalle primissime fasi evolutive. La sessualità nel disabile mentale (IV) • Reazioni d'intolleranza possono inoltre destare la tendenza in tali persone all'"esibizionismo", a esporre la propria nudità senza inibizioni. Anche in questo caso, molto spesso sono i nostri pregiudizi a far vedere in tale comportamento aspetti di pulsioni sessuali abnormi, quando invece si tratta più semplicemente di un atto provocatorio (rinforzato dalle divertenti reazioni dell'ambiente circostante), oppure della conseguenza di uno scarso apprendimento di norme sociali. • In tutti questi casi l’interazione di fattori interni ed esterni alla persona con disabilità produce una compromissione finale del funzionamento personale e sociale, che ne limita lo sviluppo e la serenità di vita. I prerequisiti (I) • Ogni intervento educativo nel campo della sessualità relativamente alle persone con disabilità è complicato dal fatto che esso è subordinato alla previa acquisizione di alcune abilità prerequisite, che non possono essere trascurate, pena l’insuccesso del programma d’intervento stesso. Esse sono qui sotto descritte. • Autocontrollo • L'intervento può essere fondamentalmente mirato all'acquisizione di capacità di autocontrollo cognitivo e comportamentale e di abilità di gestione dell'ansia (autoregolazione). Per quanto riguarda l'autocontrollo, si rivelano utili due classiche tecniche cognitivo-comportamentali: il training autoistruzionale (Meichenbaum e Goodman, 1971) e la stress inoculation (Meichenbaum, 1977; 1985). • Inizialmente queste due procedure possono essere utilizzate, e quindi apprese, per situazioni specifiche come: inibire la tendenza a rispondere impulsivamente, controllare la frustrazione e/o la collera, saper gestire l'ansia di fronte a un compito difficile, eccetera. Sono utilizzabili nell'apprendimento dell'autoregolazione, in particolar modo attraverso la tecnica di rilassamento muscolare. • Conoscenza e cura del proprio corpo • Il possedere corrette e sufficienti informazioni rispetto alla sessualità permette d'interpretare correttamente, e non in modo ansiogeno, diversi eventi che possono, altrimenti, produrre preoccupazione. Così, si individuano le seguenti mete: • 1) Muoversi e sapere usare il proprio corpo. • 2) Conoscere le varie parti del corpo. • 3) Conoscere le differenze fra maschi e femmine. • 4) Sapere mantenere l'igiene del proprio corpo. I prerequisiti (II) • Abilità di comunicazione e sociali • Diversi autori hanno proposto delle categorizzazioni delle abilità sociali in ambito più specifico rispetto alle persone con disabilità mentale. Così, McGinnis, Goldstein, Sprafkin e Gershaw (1984), nel proporre un programma di training di abilità sociali rivolto ad alunni con problemi di comportamento o ritardo mentale lieve, hanno categorizzato 60 classi comportamentali, definite con i rispettivi passi istruzionali: – Abilità prerequisite per la vita di classe: 13 abilità, come "ascoltare", "chiedere aiuto", "ringraziare", ecc. – Abilità per fare o mantenere amicizie: 12 abilità, come "presentarsi agli altri", "avviare una conversazione", ecc. – Abilità di gestione delle emozioni: 10 abilità, come "conoscere le proprie sensazioni", "affrontare la paura", ecc. – Abilità per controllare l'aggressività: 9 abilità, come "dar prova di autocontrollo", "tentare un accordo", ecc. – Abilità per gestire lo stress: 15 abilità, come "affrontare il rifiuto", "rilassarsi", "affrontare una rimostranza", ecc. • Il training di abilità sociali solitamente deve mirare al conseguimento della competenza sociale tramite tre procedure fondamentali: – 1) La simulazione delle interazioni sociali che si manifestano nella vita reale (role playing). – 2) Il modeling, o modellamento, per mezzo del quale si mostra al soggetto come una persona socialmente competente si comporterebbe nella stessa situazione. – 3) Il rinforzo sociale e il feed-back sulla prestazione del soggetto. Il trainer sottolinea i lati positivi della prestazione e dà dei suggerimenti per ulteriormente migliorarla (coaching ). I prerequisiti (III) • Problem-solving e decision-making • Una situazione sociale che produce ansia nell'individuo costituisce un problema che bisogna affrontare con le modalità più adatte a preservare il maggiormente possibile la propria percezione di controllo di sé e delle circostanze. Inoltre, spesso una risposta aggressiva o passiva viene emessa come reazione a una situazione problematica apparentemente senza uscita, per cui un addestramento mirato ad aumentare le capacità di elaborazione di alternative può essere un utile completamento dei trattamenti qui illustrati. Il soggetto, secondo la classica formulazione di D'Zurilla e Goldfried (1971) e di D'Zurilla (1986), deve essere aiutato ad affrontare il problema nel modo più adeguato, considerando con attenzione le varie fasi che costituiscono il processo di soluzione di esso: – Atteggiamento generale: il soggetto deve: a) riconoscere che incontrare situazioni problemiche (quali quelle sociali) è un normale aspetto dell'esistenza; b) rendersi conto che tali situazioni possono essere attivamente affrontate; c) essere in grado di riconoscere una situazione problematica al suo insorgere; d) riuscire a bloccare la tentazione di reagire impulsivamente. – Definizione del problema: questo deve essere definito in termini concreti e verificabili, fissando delle mete ragionevoli e chiare. Molto spesso la mancata soluzione di un problema dipende da una sua errata formulazione. – Produzione di alternative: il metodo migliore consiste nel sospendere il giudizio e nel produrne in maggior numero possibile, posponendo a più tardi la fase di critica e di scelta delle stesse (brainstorming). – La presa di decisione: le alternative vengono esaminate in base a criteri predefiniti chiaramente. – Verifica: una volta scelta e attuata un'alternativa, occorre appurare se ha funzionato. In caso negativo si avvierà senza drammi un nuovo processo di problem-solving. I prerequisiti (IV) • Non si può invece che sottolineare l'importanza di sforzi in questa direzione, soprattutto nei portatori di handicap mentale lieve e medio-lieve, per cui tali acquisizioni sono davvero importanti. • Come rilevano Belmont, Butterfield e Ferretti (1982) e Ferretti (1989), infatti, le ricerche dimostrano che si rivelano più efficaci le procedure educative che offrono ai disabili non solo le strategie operative per risolvere un dato compito, ma piuttosto le procedure generali alla base delle operazioni mentali implicate nella soluzione di ogni problema. Tali abilità di problem-solving costituiscono appunto delle "abilità superordinate" che permettono quella generalizzazione degli apprendimenti, che costituisce una delle mete più desiderate e più difficile nel campo della disabilità. • Le procedure di problem-solving possono essere insegnate a soggetti con ritardo mentale da lieve a medio-lieve; negli altri casi l'analisi del problema e la scelta della decisione da prendere, anche in campo sessuale, ricade sull'educatore e/o sulla famiglia. Spesso ciò comporta l'essere dolorosamente soli in tale difficile compito, di fronte ad alternative che provocano l'attivazione di risposte emotive dovute ai pregiudizi sopra evidenziati, a domande etico-morali talora senza risposta, e a difficoltà pratiche e obiettive. • Non si può non sottolineare, a questo proposito, l'utilità di una collaborazione fra famiglia, tecnici ed educatori, allo scopo, da una parte, di aumentare le capacità di generazione di soluzioni operative efficaci, dall'altra di permettere ai genitori di ottenere un sostegno psicologico, oltre che tecnico, in grado di alleviare lo stress connesso a determinate situazioni. Interventi specifici nel campo della sessualità (I) • Una volta raggiunto un soddisfacente livello di abilità prerequisite, è possibile prendere in considerazione un eventuale insegnamento di abilità relative alla sfera della sessualità, elaborate all’interno di un’analisi individualizzata relativa alle abilità e alle reali esigenze del singolo soggetto, tenendo in considerazione le possibilità, i limiti e i fattori culturali del contesto ambientale. • Sottolineiamo l’esigenza di analizzare adeguatamente le reali esigenze del soggetto affinché non si tenda oggi, per un cambiamento ideologico rischioso, ad attribuire a tale soggetto tout court bisogni e intenti sessuali anche laddove essi non sono rilevanti e sentiti. Inoltre, non va dimenticata la rilevanza dell’accordo e della compartecipazione dei familiari, laddove è possibile. • Una volta, dunque, considerato il profilo individuale del soggetto è possibile elaborare programmi mirati a vari aspetti della sessualità (cfr. Dixon, 1988; Veglia, 1991; 2000; Dèttore, 1994; 1997), come per esempio i seguenti: • Contatto fisico: • riconoscere i punti del corpo e i modi gradevoli o meno rispetto all’essere toccati; • imparare a discriminare fra modi di toccare “buoni” e “cattivi”. • Autostimolazione e nudità: • imparare la discriminazione dei tempi e dei luoghi in cui è possibile mostrarsi senza vestiti (discriminazione sociale); • acquisizione del concetto di “pubblico” e “privato”; • risolvere gli eventuali problemi a monte (noia e ipostimolazione; frustrazione dinanzi a compiti difficili; ricerca di attenzione e considerazione, ecc.), che possono essere all’origine di un’attività autostimolatoria eccessiva. Interventi specifici nel campo della sessualità (II) • Giochi sessuali: • imparare la discriminazione sociale; • porre sotto controllo eventuali eccessi tramite procedure basate soprattutto sull’estinzione e sul riorientamento dell’attenzione. • Masturbazione: • eventuale apprendimento di un’esperienza corretta della masturbazione, compatibile con fattori contestuali come le esigenze sociali e la cultura familiare; • imparare la discriminazione sociale. • Omosessualità e altri comportamenti problematici: • individuazione da parte degli educatori/familiari delle motivazioni all’origine dell’eventuale comportamento omosessuale (ricerca d’affetto male indirizzata, desiderio di controllo e di padronanza, reali pulsioni sessuale, ecc.); • valutazione da parte degli educatori/familiari dei costi e dei benefici che il comportamento omosessuale può produrre per il soggetto; • eventuale intervento atto a garantire adeguata protezione e privacy, nel caso di accordo fra educatori e familiari. • Rapporto sessuale: • apprendimento di “che cos’è un rapporto sessuale”; • acquisizione del concetto di “essere responsabile”, prima in senso generale e poi più specifico in campo sessuale; • riconoscere le situazioni di potenziale abuso, con le “4 R”: riconoscere, resistere, riferire, rassicurare. Interventi specifici nel campo della sessualità (III) • Abilità personali e interpersonali più specifiche: • acquisizione del concetto di mestruo, comprendendo anche l’eventualità dei dolori mestruali; • apprendimento delle procedure igieniche legate al mestruo; • apprendimento di eventuali metodi per gestire i dolori mestruali; • acquisizione del concetto di gravidanza; • eventuale apprendimento, collegato al concetto di “responsabilità”, di metodiche adeguate, rispetto al livello intellettivo e della situazione personale, relative alla contraccezione; • acquisizione di abilità interpersonali legate al corteggiamento. • Matrimonio, gravidanza e figli: • acquisizione di concetti basilari circa la natura del matrimonio, della gravidanza, del parto e delle responsabilità e difficoltà inerenti al matrimonio e al ruolo di genitori; • consapevolezza da parte degli educatori/familiari della necessità di rimanere il più possibile legati alla realtà, senza illudere la persona con possibilità non effettivamente (o molto difficilmente) realizzabili in futuro. • Malattie veneree e AIDS: • acquisizione, in modo adeguato a seconda del livello intellettivo, delle caratteristiche delle principali malattie a trasmissione sessuale (o comunque della possibilità di tale trasmissione per via sessuale); • apprendimento delle metodiche più utili di prevenzione. Le abilità che dovrebbero essere possedute dall’educatore alla sessualità nei casi di disabilità mentale (da Veglia, 1991; 2000; Dèttore, 1997) (I) • Concludiamo con alcune indicazioni relative alle competenze degli educatori che dovrebbero essere responsabili degli interventi nel campo della sessualità. • Ambito delle conoscenze • Questo si riferisce a tutte le conoscenze e le informazioni sulla biologia, anatomia, patologia, psicologia, cultura, antropologia, sociologia della sessualità, che possono essere considerate sufficientemente sicure e scientifiche. Si tratta forse dell'aspetto più semplice: basta trovare dei buoni libri. Non è, comunque, un aspetto che possa essere dato per scontato; chiunque lavori nel campo sessuologico bene conosce quale sia la disinformazione (e talora la mancanza di informazione) rispetto alla sfera sessuale anche in persone di buon livello culturale. • Ambito emozionale • Si tratta di un punto molto delicato, che riguarda la consapevolezza delle proprie emozioni a proposito della sessualità, delle sue componenti e delle pratiche relative; quindi coinvolge paure, tabù, inibizioni e problematiche emozionali varie. Le abilità che dovrebbero essere possedute dall’educatore alla sessualità nei casi di disabilità mentale (da Veglia, 1991; 2000; Dèttore, 1997) (II) • Dei formatori nel campo dell'educazione sessuale dovrebbero quindi sforzarsi di conseguire le seguenti mete: – Essere consapevoli dei propri vissuti sessuali, in particolare riuscendo a rendersi conto consciamente che vi possono essere taluni aspetti, aree o pratiche in campo sessuale che attivano nel soggetto delle particolari ansie; non tanto per dover necessariamente eliminare ogni imbarazzo o disagio in tale campo, ma piuttosto come conseguenza del fatto che è necessario che un educatore conosca i propri punti di debolezza e li tenga sempre presenti affinché questi non influenzino, senza che se ne accorga, le sue proposte didattiche. La meta non è essere totalmente tranquilli e rilassati verso ogni possibilità nell'area sessuale, ma impiegare le proprie reazioni emozionali (anche negative) in tale campo come modalità di segnalazione di aspetti problematici e anche come strumento di maggiore empatia e di condivisione con gli altri. – Tra gli elementi che costituiscono il sistema del Sé e i sottosistemi dell’identità di genere vi è lo schema corporeo. Da ciò deriva l’utilità di un buon rapporto col proprio corpo e modalità equilibrate di contatto fisico in ambito sociale che non scadano né nell'inibizione pudibonda né nel cameratismo invadente. – Giungere a realizzare l'opera di educazione sessuale privi, quale motivazione del proprio intervento, di un interesse morboso verso l'utente o le procedure dell'intervento stesso. Le abilità che dovrebbero essere possedute dall’educatore alla sessualità nei casi di disabilità mentale (da Veglia, 1991; 2000; Dèttore, 1997) (III) – Riuscire a tollerare l'incertezza derivante dall'accettazione di un confronto, ed eventualmente anche di una contrapposizione, di punti di vista; evento che, affrontando la sfera sessuale, è molto più probabile rispetto alla situazione in cui vengono trattate materie più classicamente curricolari. Ma essa può anche essere la conseguenza dell’impossibilità, di costringere la ricca variabilità di comportamenti sessuali entro rigorose categorie, spesso caratterizzate da bipolarità (maschio, femmina; eterosessuale, omosessuale; normale, patologico; innato, appreso; eccetera), che se da una parte sono senza dubbio tranquillizzanti nella loro apparente chiarezza ed esaustività, dall’altra peccano di semplicismo e spesso cadono in giudizi valutativi, con conseguenti pregiudizi e colpevolizzazioni. • Ambito degli atteggiamenti • Le reazioni emozionali sopra evidenziate dipendono in parte rilevante da ciò che una persona pensa, dai suoi schemi cognitivi, consapevoli o meno, che portano alla costruzione di insiemi di atteggiamenti che intervengono attivamente sia nella fase dell'interpretazione degli stimoli provenienti dall'esterno, sia in quella successiva di scelta ed emissione della risposta ad essi. • Tali schemi derivano in gran parte dalla cultura sociale, sebbene non siano irrilevanti peculiari esperienze di vita del singolo individuo. Le abilità che dovrebbero essere possedute dall’educatore alla sessualità nei casi di disabilità mentale (da Veglia, 1991; 2000; Dèttore, 1997) (IV) • Vi sono alcuni atteggiamenti che è necessario affrontare chiaramente e in modo esplicito parlando ai formatori, affinché vengano da essi consapevolizzati nel loro agire e nei loro effetti su vari ambiti nella sfera sessuale: – Gli stereotipi culturali legati al ruolo maschile e femminile (il classico doppio standard). Questi sono rilevanti nell'individuare ciò che è permesso o meno ai due sessi (per es. i maschi possono essere più disinibiti delle donne), ciò che un sesso si aspetta dall'altro (per es., gli uomini avrebbero un maggiore livello di desiderio sessuale e una minore, o nulla, capacità di controllo su di esso). – La propria "ideologia" riguardo alla sessualità; è possibile ritenere questa sfera come un ambito centrale o periferico nella propria esistenza, considerarne come elemento fondamentale la riproduzione, la comunicazione tra i partner o l'aspetto ludico, o tutte le cose insieme; tutto va bene purché si accetti la relatività di tale punto di vista. Ognuno ha il diritto di vedere le cose a modo suo, ma non di ritenere che quello sia l'unico modo giusto. Può essere, comunque, utile evidenziare con i formatori quali conseguenze "funzionali" ciascuna di queste ideologie possa avere sul vissuto e sul comportamento sessuale (per esempio, una prospettiva che vede il rapporto sessuale come "momento di sublime comunicazione interpersonale" può fare perdere di vista quelle componenti puramente sensoriali e sensuali che sono utili nel sostenere l'eccitamento sessuale stesso). Le abilità che dovrebbero essere possedute dall’educatore alla sessualità nei casi di disabilità mentale (da Veglia, 1991; 2000; Dèttore, 1997) (V) – Corollari particolari e specifici che derivano sia dagli stereotipi sia dalle ideologie sessuali. Per esempio tutte quelle convinzioni che inseriscono nel rapporto sessuale elementi intrinsecamente estranei o comunque fonte di disfunzioni: per esempio considerare l'interrelazione sessuale come un'occasione per fornire una prestazione, per ottenere prova di sé e del proprio valore, per conseguire una manipolazione sul partner, per premiarlo o punirlo, per lottare contro di lui al fine della conquista di maggiore potere all'interno della coppia. – Le motivazioni, infine, che hanno indotto ad assumere determinate posizioni in ambito sessuale; per esempio una sessualità disinibita può essere fatta propria allo scopo di apparire moderni e alla moda oppure per impostazione ideologica, nell'ambito di scelte politiche in senso volutamente progressista; al contrario comportamenti sessuali ipercontrollati possono essere manifestati da persone con convinzioni religiose rigorose. Ognuno ha il diritto di avere proprie motivazioni, ma anche in questo caso può essere utile sottolineare sia come l'eccessiva rigidità di impostazioni troppo ideologizzate possa creare disfunzioni come conseguenza di definizioni eccessivamente schematiche e in termini di "dover essere" del rapporto sessuale, sia come l'ostentazione superficiale di comportamenti derivanti da principi non sufficientemente interiorizzati possa condurre a problematiche emozionali, in quanto ciò che si pensa non viene accompagnato da risposte emozionali che vanno nello stesso senso dei pensieri. Le abilità che dovrebbero essere possedute dall’educatore alla sessualità nei casi di disabilità mentale (da Veglia, 1991; 2000; Dèttore, 1997) (VI) • In conclusione possiamo riassumere alcuni punti fondamentali da tenere presenti: – Progettare l'intervento al fine di ampliare le possibilità esperienziali e di gratificazione dell'utente, aumentandone le possibilità di gestione di sé e del proprio ambiente, e non per seguire una moda, solo perché oggi si parla di più della sessualità dei disabili e quindi occuparsene significa essere operatori "aggiornati". – Non imporre al disabile esigenze non sue, che non vengano rilevate sulla base di suoi comportamenti oggettivi, ma solo perché, esistendo una "sfera sessuale", anche questo aspetto dovrebbe necessariamente essere preso in considerazione in un programma di riabilitazione, oppure, ancor peggio, come risultato del fatto che siamo "ideologicamente" spinti a farlo. Come nel caso di ogni altra persona, è bene cercare di aiutare i portatori di handicap mentale a essere più felici "a modo loro" e non come noi vorremmo. – Possedere una preparazione sessuologica di base. – Conoscere le principali tecniche pedagogiche e i principi fondamentali dei processi d'apprendimento. – Avere definito chiaramente il comportamento meta, tenendo presenti tutte le implicazioni etiche a esso legate. – Avere definito un motivo che giustifichi il proprio intervento coerente col personale sistema di valori e non in opposizione con quello del proprio gruppo. Le abilità che dovrebbero essere possedute dall’educatore alla sessualità nei casi di disabilità mentale (da Veglia, 1991; 2000; Dèttore, 1997) (VII) – Essere consapevole dei propri vissuti sessuali, sapendo gestire adeguatamente le proprie risposte emotive, in particolare quelle connesse all'area sessuale. – Presentare un buon rapporto col proprio corpo e non avere imbarazzi nei confronti della gestione di quello altrui. – Essere in grado di negare, come motivazione del proprio intervento, un interesse morboso verso l'utente o le procedure dell'intervento stesso. – Altresì potere negare ogni interesse sessuale o affettivo (nel senso d'innamoramento) nei confronti dell'utente. – Essere bene accettato dall'utente, ma non costituire la figura di riferimento principale per esso o sostitutiva delle figure parentali. – Padroneggiare le varie fasi del processo di problem-solving, al fine di sapere correggere con serenità gli eventuali errori in corso d'opera, senza essere intimorito al pensiero di poterli compiere. – Condurre sempre un intervento "individualizzato" al singolo caso, senza lasciarsi andare a ipergeneralizzazioni o tecnicismi.