SOMMARIO
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Le acque destinate al consumo umano nell’edificio condominiale
(Carlo Giordano e Federico Proietti) ..................................................................................................................................
III
La potabilità dell’acqua e i doveri dell’amministratore di condominio
(Ermenegildo Mario Appiano) ...........................................................................................................................................
V
Acque potabili nel condominio. Amministratore e sistema dei controlli
(Acap) ................................................................................................................................................................................
VIII
Acqua: i parametri di salubrità e gli elementi nocivi per la salute
(Legambiente e Cittadinanzattiva) ....................................................................................................................................
IX
Delibere e corretta ripartizione delle spese per l’acqua condominiale
(Cass. civ., sez. II, sent. 01/08/2014, n. 17557) ................................................................................................................
XI
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XIV
DossIer sIcurezza
1999, n. 2833; Sez. 2, 25 marzo 2004, n. 5975; Sez. 2, 17 febbraio 2005, n. 3264) , per le spese di gestione del servizio
ascensore è applicabile, per analogia, in mancanza di deroga con patto negoziale intervenuto tra i condòmini, la regola
posta dall’art. 1124 cod. civ. (nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dalla L. 11 dicembre 2012, n.
220), relativa alla ripartizione delle spese di manutenzione e ricostruzione delle scale, secondo cui il riparto avviene, per
metà, in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo. È invalida, pertanto, la delibera assembleare, adottata a maggioranza, con la quale si stabilisca,
come nella specie, a parità di caratura millesimale e di livello di piano, un onere di contribuzione alle spese di gestione
dell’impianto di ascensore più elevato a carico dei condòmini con famiglia più numerosa, sul presupposto della loro più
intensa utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, e un esonero parziale per i proprietari di unità che l’amministratore abbia accertato essere disabitate.
4. - L’esame degli altri motivi resta assorbito.
5. - La sentenza impugnata è cassata. La causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Milano. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della
Corte d’appello di Milano. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte
suprema di Cassazione, il 20 giugno 2014. Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2014.
LE ACQUE DESTINATE AL CONSUMO UMANO
NELL’EDIFICIO CONDOMINIALE
A cura di: Ing. Carlo Giordano e Arch. Federico Proietti
(www.condominisicuri.it)
U
n cattivo stato di manutenzione dell’impianto idrico, non solo può compromettere l’integrità dell’edificio, ma può avere
effetti negativi sulla salubrità delle acque che vengono destinate al consumo umano. Quindi l’amministratore non deve
tener conto solo che tali impianti (idrosanitari, quelli di trasporto, trattamento, uso, accumulo e consumo d’acqua all’interno
degli edifici condominiali) sono soggetti, a valle del contatore, al D.Lgs 37/08 (ex legge 46/90) in tema di sicurezza degli impianti,
ma anche che egli è responsabile che le acque destinate al consumo umano siano salubri.
Vediamo di capire esattamente quali sono le responsabilità dell’amministratore di condominio, quali sono le sanzioni, le conseguenze penali, cosa si può fare per non incorrere in quest’ultime e per tutelare la salute dei condòmini.
RESPONSABILITÀ DELL’AMMINISTRATORE
Il D.Lgs. 31/2001 (“Attuazione della Direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano” G.U.
n. 52 , 3 marzo 2001), modificato ed integrato dal D.Lgs. 27/2002, “disciplina la qualità delle acque destinate al consumo umano
al fine di proteggere la salute umana dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque, garantendone la salubrità
e la pulizia”.
Il decreto stabilisce che i requisiti di qualità (cioè di potabilità) delle acque destinate al consumo umano devono sussistere al
punto d’uso, cioè dove l’acqua è resa disponibile per il consumo. La norma inoltre precisa che, mentre il gestore dell’acquedotto ha la responsabilità di garantire i requisiti di potabilità fino al punto di consegna (di regola il contatore), l’amministratore
del condominio ha la responsabilità di garantire che i requisiti di potabilità siano mantenuti fino ai rubinetti (o, per meglio dire,
siano mantenuti lungo tutta la rete idrica condominiale).
Nota: la responsabilità di cui sopra è conseguenza del fatto che l’amministratore è il custode dei beni condominiali, della cui conservazione e degli effetti che gli stessi possono produrre, è responsabile (si ricorda che l’articolo 2051 del codice civile afferma che ciascuno è
responsabile del danno cagionato dalle cose in custodia, salvo che provi il caso fortuito).
QUALI RISCHI PER LA SALUTE
Al fine di scongiurare atteggiamenti errati da parte di amministratori e condòmini è opportuno fare la seguente precisazione: il D.Lgs. 31/2001 impone solo ai gestori e tutti i soggetti che forniscono acqua destinata al consumo umano di effettuare
controlli periodici sulla medesima; se è vero però che tale obbligo sistematico non è quindi imposto agli amministratori, essi,
se non intendono far correre dei rischi ai condòmini di cui sono responsabili, non possono esimersi dall’attuare verifiche sulla
salubrità delle acque destinate al consumo umano, specie in presenza di possibili quanto ipotizzabili sorgenti inquinanti, conseguenza di impianti vetusti e/o di tipologie di materiali utilizzati nella realizzazione delle linee di adduzione, di eventuali cassoni
condominiali (es. piombo e leghe di piombo).
Oltre a tali possibili inquinanti, si tenga conto anche che, seppur non frequentemente, l’acqua può anche essere portatrice
di batteri patogeni che provocano infezioni. Uno di questi è la legionella, che può manifestarsi con diverse espressioni cliniche:
forme lievi asintomatiche, sindromi pseudo influenzali e forme di polmonite grave con tasso di mortalità molto significativo.
Nota: per invitare il lettore a riflettere sull’importanza di quanto sinora scritto, si cita un caso che presenta delle analogie a quello della
“salubrità delle acque” ma che risulta più immediato: l’amministratore che ometta di eseguire i lavori occorrenti per eliminare il pericolo
di crollo di parti dell’edificio incorre in sanzioni amministrative e, nel caso ne derivassero danni, ne è responsabile e, se tali danni avvengono
a persone, la responsabilità è penale. Si noti che, nonostante la serietà del tema, per prevenire pericoli di rovina dell’edificio egli non è tenuto
a effettuare controlli sistematici (esattamente come nel caso dell’“acqua”, che stiamo esaminando). Ma al lettore attento non sarà sfuggita una differenza cruciale: mentre le condizioni di un intonaco o di un cornicione sono sotto gli occhi di tutti, la potabilità dell’acqua (a
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DossIer sIcurezza
parte i casi “visibili”) non lo è. Di qui deriva che l’utilità e l’importanza di un monitoraggio periodico dell’impianto idrico e dell’acqua destinata al consumo umano, sussistono a prescindere dall’obbligo di legge.
GLI STRUMENTI DI CONTROLLO
L’amministratore, nel valutare l’urgenza e la necessità di un’analisi delle acque, deve considerare quanto gli sia chiara la situazione dello stato dell’impianto di distribuzione domestico condominiale, e quindi quanto possa assicurare che i valori di parametro forniti dall’acquedotto al contatore siano conservati senza alterazioni sino al rubinetto dell’utente.
Nel caso egli non abbia certezze, una verifica analitico-strumentale diventa non solo opportuna bensì necessaria, al fine di
verificare il non superamento dei limiti imposti dal Decreto in oggetto. Esso, all’allegato I, identifica in modo completo i requisiti minimi che devono essere soddisfatti per le acque destinate al consumo umano, ovvero i valori limite per quanto riguarda
la concentrazione di tutte le sostanze chimiche e microbiologiche da tenere sotto controllo. Nel caso i valori risultino nella
norma, l’amministratore è, in tal modo, totalmente “al riparo” da responsabilità civili e penali. Nel caso invece che i valori
riscontrati siano al di fuori della norma, il decreto specifica che l’amministratore è tenuto ad adottare i provvedimenti necessari a ristabilire i requisiti di potabilità, su indicazione dell’Azienda Sanitaria Locale e in collaborazione con il gestore della rete
idrica.
LE SANZIONI E LE PENE
Nei confronti dell’amministratore di condominio sono irrogabili in astratto le seguenti sanzioni amministrative pecuniarie
corrispondenti al pagamento della somma da euro 10.329 a euro 61.974 (art. 19, comma primo) qualora fornisca acqua destinata al consumo umano che contenga microrganismi o parassiti o altre sostanze in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana, ovvero non soddisfi i requisiti minimi previsti dalle parti A e B dell’allegato
I, oppure non siano conformi ai provvedimenti adottati dall’autorità d’ambito sentita l’Azienda Sanitaria Locale; inoltre nei
confronti dell’amministratore del condominio il sindaco del Comune territorialmente competente, a seguito della richiesta
dell’Azienda Sanitaria Locale o dell’autorità d’ambito, può emettere un’ordinanza, giustificata da motivi di igiene, la quale gli
prescriva l’adozione, entro un termine congruo, delle misure tecniche necessarie per tutelare la correttezza sanitaria, secondo quanto contemplato dal d.lgs. n. 31/2001, della somministrazione delle acque dal punto di arrivo dell’acqua distribuita dal
servizio pubblico al rubinetto.
L’inosservanza dell’adempimento delle prescrizioni dell’ordinanza, ritualmente notificata all’amministratore, integra una fattispecie di reato ed è sanzionata dall’articolo 650 del codice penale con l’arresto fino a tre mesi.
CONCUSIONI E SUGGERIMENTI
Per concludere: per quanto riguarda la frequenza dei controlli dopo il primo, si suggerisce all’amministratore di tener conto
della presenza di tubature o componenti della condotta idrica contenenti piombo o leghe di piombo (in maniera banale si può
usare come parametro l’età dello stabile). Inoltre egli dovrà tener conto di situazioni “sospette” che possano compromettere
la qualità delle acque (quali, ad esempio, presenza di perdite nell’impianto idrico) e procedere a controlli anche ogni qual volta
i condòmini lamentino problemi legati alla qualità delle acque (esempio presenze di solidi sospesi, colore, odore o aspetto
sgradevoli, casi ripetuti di tossinfezioni etc).
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DossIer sIcurezza
ciente all’ottenimento delle agevolazioni applicate sulla base del raggiungimento di una certa quantità. È da rilevare, del
resto, che l’installazione di contatori per il consumo dell’acqua in ogni singola unità abitativa (nonché di contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano) costituisce misura alla quale il
legislatore guarda con particolare favore, in quanto volta a razionalizzare i consumi e ad eliminare gli sprechi e quindi a
conseguire, in una prospettiva di tutela ambientale, il risparmio della risorsa idrica (L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 5e, ora,
D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 146).
2.2. - Diverso è il caso in cui le unità immobiliari non siano dotate di contatori di sottrazione. In tale evenienza - ed è
quella che viene in considerazione nella specie - il sistema dell’art. 1123 cod. civ. non ammette che, salvo diversa convenzione tra le parti, il costo relativo all’erogazione dell’acqua, con una delibera assunta a maggioranza, sia suddiviso in
base al numero di persone che abitano stabilmente nel condominio e che resti di conseguenza esente dalla partecipazione alla spesa il singolo condomino il cui appartamento sia rimasto disabitato nel corso dell’anno.
Il comma 1 della citata disposizione, infatti, detta un criterio per le spese di tutti i beni e servizi di cui i condòmini godono indistintamente, basato su una corrispondenza proporzionale tra l’onere contributivo ed il valore della proprietà di
cui ciascuno condomino è titolare. Lo stesso art. 1123, comma 2, a sua volta, stabilisce che, se si tratta di cose destinate
a servire i condòmini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione all’uso che ciascuno può farne. Ora è
esatto - ed è stato già sottolineato da questa Corte in una non recente pronuncia (Sez. 2, 10 dicembre 1974, n. 4166) che questo secondo criterio dal punto di vista pratico richiede ancora un puntuale adattamento al caso singolo per una
sua più compiuta specificazione, varie potendo essere le concrete modalità di attuazione del principio che rapporta la
spesa all’uso; e che quando detto rapporto può essere tradotto in pratica con più sistemi che attuano, in modo più o
meno soddisfacente riguardo alle circostanze del caso, il precetto di legge, la preferenza accordata, in concreto, ad uno
di essi non è viziata da illegittimità e sfugge, pertanto, al controllo del giudice. Ma l’art. 1123 cod. civ., comma 2 non legittima la delibera di suddivisione della spesa nella specie adottata, giacché il sistema di riparto da essa previsto appare inidoneo, per la sua irrazionalità, a fissare un congruo rapporto tra la spesa e l’uso individuale. La norma in questione ha
infatti riguardo al godimento potenziale che il condomino può ricavare dalla cosa o dal servizio comune, atteso che
quella del condomino è una obbligazione propter rem che trova fondamento nel diritto di comproprietà sulla cosa
comune, sicché il fatto che egli non ne faccia uso non lo esonera dall’obbligo di pagamento della spesa. Sotto questo
profilo, va considerato che anche in un appartamento rimasto non abitato possono tuttavia esservi altri usi dell’acqua,
ad es. per le pulizie dell’appartamento o per l’annaffiamento delle piante, o perdite d’acqua. Inoltre, esentare gli appartamenti non abitati dal concorso nella spesa significa sottrarli non solo al costo del consumo idrico imputabile al lavaggio delle parti comuni o all’annaffiamento del giardino condominiale, ma anche a quella parte della tariffa per la fornitura
dell’acqua potabile che è rappresentata dal minimo garantito quale quota fissa per la disponibilità del servizio da parte
del gestore, la quale, parametrata sul numero delle unità immobiliari domestiche facenti parte del condominio, è indipendente dal consumo effettivo.
D’altra parte, stabilire il costo dell’erogazione dell’acqua in base al numero delle persone che risiedono in ogni unità
abitativa, significa introdurre, al posto del criterio potenziale su base reale (per il quale ciò che rileva non è il contegno
personale dell’uno o dell’altro condomino, ma l’entità del servizio obiettivamente prestato o destinato a prestarsi), un
criterio forfettario presuntivo su base personale. Criterio, quest’ultimo, che soltanto apparentemente risponde a esigenze pratiche e di semplificazione, perché in realtà è fonte di controversie nel momento dell’accertamento, finendo
con il rimettere all’amministratore un compito di vigilanza e di controllo - la verifica, al di là dei dati anagrafici, di una stabilità di dimora o di convivenza che si realizza in ogni unità immobiliare - che evidentemente fuoriesce dalle sue attribuzioni, perché tocca le relazioni personali e di vita di ciascun condomino. Di qui l’errore della sentenza impugnata, la quale si è discostata dal principio - che deve essere qui enunciato - secondo cui, in tema di condominio, fatta salva la diversa
disciplina convenzionale, la ripartizione delle spese della bolletta dell’acqua, in mancanza di contatori di sottrazione
installati in ogni singola unità immobiliare, va effettuata, ai sensi dell’art. 1123 c.c., comma 1, in base ai valori millesimali
delle singole proprietà, sicché è viziata, per intrinseca irragionevolezza, la delibera assembleare, assunta a maggioranza,
che - adottato il diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell’unità
immobiliare - esenti al contempo dalla contribuzione i condòmini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell’anno.
3. - È fondato anche il quarto mezzo, pur esso esaminabile nel merito per le ragioni già espresse retro, al punto 2, con
riguardo all’analoga eccezione di inammissibilità. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2, 25 marzo
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DossIer sIcurezza
risultanze processuali) si pone il seguente quesito: “Vero che in merito all’ammissione delle prove dedotte il giudice
deve pronunciarsi sulla loro ammissione sia durante il giudizio sia eventualmente specificando la motivazione della non
ammissione in sentenza con la conseguente violazione del diritto di accertamento. Preso altresì atto che le deduzioni
istruttorie ed i capitoli di prova sono stati contestati dalla controparte ritenere violato il principio del corretto accertamento dei fatti di causa quali risultanti dagli atti e della sostanziale non correttezza delle affermazioni contenute nella
sentenza d’appello in merito alle risultanze processuali mai verificatesi con conseguente lesione del diritto alla verità
processuale”.
Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione di legge ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
su un punto decisivo della controversia in relazione alla suddivisione delle spese ex art. 1123 c.c., comma 1) si sostiene
che l’art. 1123 cod. civ., comma 1 richiamato dalla Corte d’appello a sostegno della decisione, obblighi il condominio alla
suddivisione delle spese per l’acqua potabile in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, non essendo
consentito il riparto in base al numero dei consumatori appartenenti al nucleo familiare.
Il terzo motivo (violazione e falsa applicazione di legge ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un
punto decisivo della controversia in relazione alla suddivisione delle spese ex art. 1123 c.c., comma 2) pone il seguente
quesito: “nella eventualità in cui la Corte di cassazione decidesse che le spese condominiali oggetto di impugnazione
dovessero essere suddivise in base al disposto dell’art. 1123 c.c., comma 2, deve essere dichiarato che tutti i condòmini
debbono partecipare alle spese in quanto non è stata raggiunta la prova del non utilizzo del servizio sia dell’unanimità
sulla modificazione del criterio di suddivisione delle spese con conseguente lesione del diritto dei signori T. e F. ad una
equa e corretta, in base alle disposizioni di legge, ripartizione delle spese”.
Il quarto motivo (violazione e falsa applicazione di legge ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un
punto decisivo della controversia in relazione alla suddivisione delle spese ex art. 1123 c.c., comma 1, e art. 1124 cod.
civ.) è relativo al riparto delle spese per l’ascensore. Sostengono i ricorrenti che, poichè l’art. 1124 cod. civ., applicato
per analogia, prevede solamente due specifici criteri di suddivisione delle spese relative all’ascensore senza la possibilità
di applicazione di ulteriori e modificativi criteri se non con la volontà unanime dell’assemblea, vi sarebbe stata nella specie la lesione del diritto dei condòmini ad una corretta ripartizione delle spese, stante l’applicazione di un criterio non
accettato, e precisamente quello della suddivisione anche in base al numero delle persone.
Con il quinto motivo (violazione e falsa applicazione di legge ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
su un punto decisivo della controversia in relazione alla suddivisione delle spese ex art. 1123 cod. civ. ed all’ammissione
delle prove ex art. 183 cod. proc. civ. ed alla falsità delle affermazioni contenute nella sentenza d’appello rispetto alle
risultanze processuali) si censura la parte della sentenza in cui si afferma che, riguardo alle unità disabitate, che non fruiscono del servizio di ascensore, per l’esonero della metà in discussione vale quanto deciso per le spese dell’acqua potabile. I ricorrenti sostengono: “preso atto della lesione del diritto e del dovere di accertare e verificare la correttezza
delle circostanze ed i fatti di causa, in merito sia alla mancata ammissione delle prove dedotte e conseguentemente
lesione del diritto di una parte del giudizio a poter far accertare la realtà dei fatti che sono stati posti a base delle deduzioni in diritto fatte proprie dalla sentenza dichiarare ed accertare che il diritto all’accertamento è stato leso dalla sentenza impugnata con conseguente danno dei ricorrenti”.
2. - Il secondo motivo è scrutinabile nel merito, dovendo essere disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dal
condominio controricorrente, posto che la censura con esso articolata si conclude con un idoneo quesito di diritto, né
essendo di ostacolo allo scrutinio della prospettata violazione di legge la circostanza che la rubrica del motivo contenga,
ad abundantiam, il riferimento, altresì, al vizio di motivazione. La complessiva doglianza è fondata.
2.1. - Nel condominio, le spese relative al consumo dell’acqua devono essere ripartite in base all’effettivo consumo se
questo è rilevabile oggettivamente con strumentazioni tecniche. Infatti, l’installazione in ogni singola unità immobiliare
di un apposito contatore consente, da un lato, di utilizzare la lettura di esso come base certa per l’addebito dei costi,
salvo il ricorso ai millesimi di proprietà per il consumo dell’acqua che serve per le parti comuni dell’edificio.
A questa situazione ha riguardo il precedente di questa Corte rappresentato da Sez. II, 13 marzo 2003, n. 3712, che,
in fattispecie particolare, ha statuito che, in tema di ripartizione di spese condominiali relative all’erogazione di acqua,
l’amministratore il quale abbia stipulato con l’ente erogatore un contratto avente ad oggetto il consumo complessivo
del fabbricato onde beneficiare dell’applicazione di una tariffa agevolata, può poi, del tutto legittimamente, calcolare la
ripartizione interna delle spese pro quota, in considerazione dei singoli ed effettivi consumi di ciascuno dei condòmini,
con beneficio di tutti, anche di coloro i quali, singolarmente considerati, non abbiano dato luogo ad un consumo suffi-
LA POTABILITÀ DELL’ACQUA E I DOVERI
DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO
A cura di: Avv. Ermenegildo Mario Appiano
L
a questione si pone per effetto del comma n. 2 dell’art. 5 del decreto legislativo 31/2001, che così dispone: “Per gli edifici e
le strutture in cui l’acqua è fornita al pubblico, il titolare ed il responsabile della gestione dell’edificio o della struttura devono
assicurare che i valori di parametro fissati nell’Allegato 1, rispettati nel punto di consegna, siano mantenuti nel punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto”.
Tale previsione individua dunque i seguenti concetti:
◆ “edifici e strutture in cui l’acqua è fornita al pubblico”: tra esse, pare corretto individuare i condomini con la loro rete distributiva idrica;
◆ “il titolare ed il responsabile della gestione dell’edificio o della struttura”: tra essi, allora, vi è l’amministratore di condominio;
◆ il “punto di consegna”: verosimilmente, dopo il contatore generale dell’acquedotto, salvi casi specifici diversi da valutare
caso per caso;
◆ il “punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto”: principalmente i rubinetti all’interno delle singole proprietà esclusive all’interno del condominio.
Notiamo subito come il “punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto” si trova al termine della rete idrica distributiva delle
singole unità immobiliari, che esula da quella condominiale ai sensi dell’art. 1117, comma 3, del codice civile.
Ciò posto, passiamo all’esame della disciplina.
ESAME DELLA DISCIPLINA
Il decreto legislativo non è affatto chiaro sui compiti effettivi che competono all’amministratore. Infatti, l’amministratore
viene indicato come uno dei garanti della qualità delle acque, senza tuttavia indicare esplicitamente se sia tenuto o no a fare
controlli analitici e, in caso affermativo, come procedere.
Esistono attualmente due fonti cui ispirarsi al riguardo.
La prima è il parere del Ministero Sanità, reso il 10/06/2004, che così testualmente si pronuncia sul punto: “Per quanto concerne gli edifici ad uso esclusivamente abitativo, l’amministratore del condominio ovvero, in assenza di questo, i proprietari
non hanno l’obbligo di effettuare le attività e i controlli previsti dagli artt. 7 e 8 del Decreto in oggetto (i cosiddetti controlli
“interni” ed “esterni”, le cui caratteristiche sono dettagliate nell’Allegato II al Decreto stesso), bensì quello derivante dall’attività di controllo dello stato di adeguatezza e di manutenzione dell’impianto”. Tuttavia, secondo il Ministero “nel caso in cui
coesistono civili abitazioni e strutture aperte al pubblico, il titolare della struttura in cui l’acqua viene fornita al pubblico e il
responsabile della gestione dell’edificio devono garantire che i valori di parametro fissati nell’Allegato I, rispettati nel punto di
consegna, siano mantenuti nel punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto”.
La seconda fonte (che, evidentemente, cede il passo rispetto alla prima) è la circolare della ASL di Milano del 16 dicembre
2003, n. 10774, secondo cui i controlli di qualità competono soltanto al gestore dell’acquedotto, e non al condominio.
Pure per la ASL milanese gli amministratori di condominio non sono tenuti ad effettuare i cosiddetti controlli interni di qualità, giacché essi spettano esclusivamente a coloro che forniscono l’acqua destinata al consumo umano, vale a dire per i gestori
degli acquedotti.
Vediamo ora di trarre qualche principio, fermo restando che le predette indicazioni sono sì significative, ma non vincolanti
per l’Autorità Giudiziaria.
La responsabilità di garantire i requisiti di potabilità spetta, dunque, al gestore dell’acquedotto fino al punto di consegna (di
regola il contatore). L’amministratore di condominio ha invece la responsabilità di assicurare che i requisiti di potabilità non
vengano alterati per cause imputabili alla rete idrica condominiale.
Precisiamo questo aspetto fondamentale: se i requisiti di potabilità vengono perduti per effetto della rete distributiva idrica
VI
DossIer sIcurezza
appartenente alle singole unità immobiliari, non dovrebbe affatto sussistere alcuna responsabilità in capo all’amministratore.
Posta tale importante distinzione, si tratta di capire meglio cosa l’amministratore è tenuto a fare per sorvegliare la parte di
impianto di cui è responsabile, e cioè la rete di distribuzione idrica condominiale.
I DOVERI DELL’AMMINISTRATORE
Cosa compete dunque all’amministratore di condominio, al fine di garantire la potabilità dell’acqua?
Nella citata circolare ASL di Milano del 16 dicembre 2003, n. 10774 (la cui sostanza è poi stata avallata dal parere del Ministero della Sanità reso il 10/06/2004) viene sancito: “qualora vi sia motivo di ritenere che nella fase di trasporto dal contatore
all’utenza le caratteristiche dell’acqua possano essere alterate, l’amministratore non solo è tenuto a fare le verifiche del caso,
ma soprattutto è tenuto ad adottare i provvedimenti necessari a ristabilire i requisiti di potabilità”.
Merita portare l’attenzione sull’inciso “qualora vi sia motivo di ritenere”, il quale permette di meglio individuare i casi in cui
l’amministratore - essendogli nota una situazione sospetta - deve attivarsi.
Ciò vale comunque a prescindere dalla circolare stessa (che, sul piano delle fonti normative ha limitato valore), quale espressione del principio generale di diligenza cui è tenuto l’amministratore (art.1710 c.c.) nonché della responsabilità per le cose in
custodia (art.2051 c.c.).
Senza alcuna pretesa di completezza, sembra corretto pensare che all’amministratore sia richiesto agire nei seguenti casi:
presenza di tubature o componenti della condotta idrica in piombo o leghe di piombo; esistenza di un cassone condominiale
per l’accumulo dell’acqua (ricordarsi: va pulito regolarmente); rotture nell’impianto che portano a contatto l’acqua potabile
con quella di scarico; ogni qual volta i condòmini lamentino problemi, quali la costante presenza di solidi sospesi nell’acqua, il
colore o l’odore o l’aspetto sgradevole o nel caso di tossinfezioni.
In tali circostanze, una condotta omissiva rende l’amministratore condominiale passibile delle sanzioni previste dal Decreto
legislativo 31/2001.
Come procedere? Sicuramente, in presenza di criticità note sulla potabilità dell’acqua, la questione va portata all’esame dell’assemblea, proponendo di far verificare se l’acqua mantiene al rubinetto i requisiti qualitativi presenti nel punto di consegna
dell’acquedotto (e cioè i parametri fissati nell’Allegato I al Decreto legislativo 31/2011). Ma se l’assemblea fosse contraria? In
tale ipotesi, sembra difficile pensare che l’amministratore possa considerare chiusa la questione. Sussistendo nella sua mente
un ragionevole sospetto al riguardo e trovandosi difronte un’assemblea riluttante ad autorizzare qualunque intervento, per
l’amministratore la condotta migliore da seguire sembra in definitiva essere quella di segnalare il caso all’Azienda sanitaria competente.
In effetti, lo stesso Ministero della Sanità dice: “qualora si verificassero situazioni critiche agli impianti o inconvenienti igienici
nella distribuzione dell’acqua, i predetti (i gestori degli edifici) potranno rivolversi all’ASL per effettuare un controllo analitico
ed eventualmente, in funzione di particolari problematiche sollevate, attuare quanto indicato dal comma 3 dell’art.5 del decreto legislativo in oggetto” (su cui infra).
Per contro, in assenza di motivi per ritenere che la potabilità dell’acqua possa deteriorarsi nelle tubazioni condominiali, cosa
grava sull’amministratore?
Premettiamo che nulla vieta all’assemblea di far volontariamente eseguire una tantum un controllo sulla qualità delle acque.
In base poi a quanto indicato dal Ministero della Sanità nel citato parere, se l’edificio è adibito ad uso esclusivamente abitativo,
l’amministratore resta obbligato a svolgere l’attività di controllo sullo stato di adeguatezza e di manutenzione dell’impianto.
Tale compito non sembra però comportare la necessità di far svolgere analisi per verificare che i valori di parametro (quelli
fissati nell’Allegato I), rispettati dall’acquedotto nel punto di consegna, siano mantenuti nel punto in cui l’acqua fuoriesce dal
rubinetto.
In effetti, ciò viene espressamente preteso solamente nel caso degli edifici in cui coesistono civili abitazioni e strutture aperte
al pubblico, ove l’acqua viene fornita a quest’ultimo. In siffatte circostanze, secondo il Ministero il rispetto di tale requisito (il
mantenimento dei parametri fissati nell’Allegato I) va invece garantito dal titolare della struttura insieme al responsabile della
gestione dell’edificio, cosa forse difficile da realizzare se non si procede prima ad un’analisi. Sul piano patrimoniale, parrebbe
però logico che in definitiva sia il titolare della struttura a farsi carico dei costi relativi alle analisi, in quanto conseguenza dell’attività da lui svolta.
Ciò fermo, ad essere sinceri, sfugge un po’ la ratio di tale distinzione, in quanto non si comprende come in via di principio si
possano accettare livelli differenziati di tutela dalla salute pubblica, consentendo che essi siano affievoliti per chi (peraltro soggetto alla logica delle maggioranze) abita un edificio ed accentuati per chi lo frequenta come pubblico.
DELIBERE E CORRETTA RIPARTIZIONE
DELLE SPESE PER L’ACQUA CONDOMINIALE
Cass. civ., sez. II, sent. 01/08/2014, n. 17557
RITENUTO IN FATTO
1. - T.F. ed F.E., comproprietari di un appartamento nel condominio (omissis) di via (omissis), con ricorso in data 3 agosto
2003 hanno impugnato dinanzi al Tribunale di Milano la delibera dell’assemblea condominiale in data 14 luglio 2003,
recante l’approvazione, a maggioranza, del preventivo dell’esercizio 2003/2004 relativamente alle spese per l’acqua e
per la gestione dell’ascensore, deducendo l’illegittimità del sistema di riparto adottato, fondato non su criteri di legge o
in base a norme regolamentari, ma su “un asserito buon senso dei condòmini, protrattosi negli anni”. Il condominio ha
resistito all’impugnazione. Il Tribunale, con sentenza in data 27 maggio 2005, ha respinto l’impugnazione. Premesso che
nel condominio (omissis), privo di regolamento, le spese per l’acqua potabile erano suddivise in proporzione al numero
degli occupanti delle unità immobiliari, con esonero di quelle risultanti, a seguito di indagini dell’amministratore, disabitate, mentre le spese per l’ascensore erano ripartite per tutte le unità al 50% in base ai millesimi di proprietà nonché,
con esclusione dei proprietari di unità vuote, per il 25% in base all’ubicazione di piano e per il 25% in base al numero
degli abitanti delle singole unità, il Tribunale ha ritenuto detti criteri conformi al dettato dell’art. 1123 cod. civ..
2. - Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 30 ottobre 2007, la Corte d’appello di Milano ha
respinto l’appello della T. e del F..
2.1. - La Corte d’appello ha rilevato che la dimostrazione dell’effettiva non abitazione, per l’intero periodo della gestione in questione, degli appartamenti esonerati totalmente dalla partecipazione alle spese per acqua potabile e per metà
dalla partecipazione alle spese di gestione dell’ascensore, risulta da ciò che tali circostanze sono state proprio dagli
appellanti dedotte e fatte oggetto di richiesta di prova testimoniale in primo grado sicché, in mancanza di contestazioni
della controparte, giustamente sono state ritenute pacifiche dal primo giudice, il quale, per tale ragione, non ha dato
ingresso all’istruttoria sul punto.
Quanto alle spese per l’acqua potabile, la Corte territoriale ha ritenuto corretta l’applicazione dell’art. 1123 cod. civ.,
comma 1: il criterio della proporzionalità al numero degli occupanti delle unità abitative è idoneo (non meno di altri) a
commisurare, in via presuntiva, l’entità dei rispettivi usi del condòmini e l’esonero per i non utenti è imposto dal dettato
normativo. In ordine alle spese per l’ascensore, la Corte d’appello, affermata l’applicabilità in via analogica dell’art. 1124
cod. civ., ha rilevato che per metà delle spese la suddivisione è avvenuta in base ai millesimi di proprietà e che, per l’altra
metà, la proporzione tanto all’altezza del piano quanto al numero degli occupanti delle unità è un criterio idoneo a tradurre l’uso differenziato del servizio di ascensore.
3. - Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la T. ed il F. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 21
gennaio 2008, sulla base di cinque motivi. L’intimato condominio ha resistito con controricorso. Entrambe le parti
hanno depositate memorie illustrative in prossimità dell’udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
COSA COMPETE ALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Quanto ai controlli, il decreto legislativo in questione (comma 3 dell’art.5) pone in prima linea le autorità amministrative,
così sancendo: “qualora sussista il rischio che le acque …, pur essendo nel punto di consegna rispondenti ai valori di parame-
1. - Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione di legge ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
su un punto decisivo della controversia in relazione alla suddivisione delle spese ex art. 1123 cod. civ. ed all’ammissione
delle prove ex art. 183 cod. proc. civ. ed alla falsità delle affermazioni contenute nella sentenza d’appello rispetto alle
DossIer sIcurezza
X
VII
I principali parametri di qualità dell'acqua, loro caratteristiche
e i limiti di legge previsti (Allegato I del Dlgs 31/2001)
Parametro
Simbolo
Descrizione
Limite
legge
Valore Massimo
Ammissibile
Min
Max
Arsenico
As
È un semimetallo di origine geologica (che proviene da rocce
vulcaniche) o antropica, come componente di erbicidi. È utilizzato, inoltre, nell’industria del vetro, dei coloranti, della carta, del
legno e delle munizioni.
Boro
B
Il boro spesso finisce nel terreno e nell’acqua attraverso le discariche domestiche, quando non sono adeguatamente isolate.
1 mg/l
3 mg/l
4 mg/l
Cloriti
CIO2
Sono sottoprodotti che si formano quando si utilizza biossido di
cloro per la disinfestazione delle acque.
0,2 mg/l
1,8 mg/l
1,8 mg/l
Cloruri
Sono tra i requisiti indispensabili di potabilità e sono presenti nelle
acque in qualità variabili in funzione della natura del suolo e del sottosuolo. Variazioni più o meno accentuate sono un indice di contaminazione. Valori elevati danno un sapore salato all’acqua.
250 mg/l
664 mg/l
664 mg/l
Fluoro
F
Può essere trovato in qualunque tipo di alimento in qualità relativamente piccola. Se il fluoro è assorbito troppo frequentemente,
può causare le carie dentarie, osteoporosi e danni a reni, ossa,
nervi e muscoli.
1,5 mg/l
2,5 mg/l
3 mg/l
Magnesio
Mg
È un elemento presente in molti minerali che costituiscono la crosta terrestre. Non ha controindicazioni sanitarie ma concentrazioni particolarmente elevate possono conferire un sapore
amaro all’acqua.
-
-
-
Nichel
Ni
È un metallo causa di allergie e classificato come possibile cancerogeno.
0,01 mg/l
0,05 mg/l
0,05 mg/l
Nitrati
La presenza di nitrati nell’acqua potabile è solo in minima parte
naturale. Nella maggior parte dei casi dipende da attività umane:
allevamenti, fertilizzanti, rifiuti industriali, scarichi urbani e liquami.
50 mg/l
90 mg/l
90 mg/l
Selenio
Se
Il selenio è un elemento chimico non metallico il cui assorbimento
attraverso gli alimenti può essere in molti casi superiore al normale. In passato molti fertilizzanti ricchi di selenio venivano applicati
sul terreno coltivabile. Inoltre nelle zone poste in prossimità di
deposizione di rifiuti pericolosi il selenio finisce nell’acqua superficiale o nell’acqua freatica attraverso l’irrigazione. Questo fenomeno fa entrare il selenio nell’acqua potabile locale.
0,01 mg/l
0,02 mg/l
0,02 mg/l
Solfato
So4
L’origine della maggior parte dei composti di solfato è l’ossidazione dei minerali di solfito, la presenza di argille friabili, o gli scarti
industriali. Il solfato è uno dei principali componenti dissolti della
pioggia. Alte concentrazioni nell’acqua che beviamo possono
avere un effetto lassativo quando unite a calcio e magnesio.
250 mg/l
400 mg/l
400 mg/l
Trialometani
Thm
Sono dei contaminanti organici la cui presenza nelle acque potabili è collegabile a processi di potabilizzazione delle stesse, per
reazione chimica del cloro, impiegato come disinfettante.
0,03 mg/l
0,05 mg/l
0,08 mg/l
Tricloroetilene
Contaminante organico molto utilizzato nelle lavanderie e nelle
industrie metalmeccaniche. Se finisce nelle falde acquifere le
inquina per tempi lunghissimi.
0,01 mg/l
0,02 mg/l
0,02 mg/l
Vanadio
Èun metallo resistente alla corrosione e per la sua durezza è molto
utilizzato nella produzione di macchine e attrezzature. In acqua
può esistere sia in forma solubile sia come precipitato e i livelli variano in base alla piovosità e alla presenza di effluenti industriali.
0,05 mg/l
0,16 mg/l
0,16 mg/l
V
0,01 mg/l
0,05 mg/l
0,05 mg/l
DossIer sIcurezza
tro fissati nell’Allegato I, non siano conformi a tali valori al rubinetto, l’Azienda sanitaria locale dispone che il gestore adotti
misure appropriate per eliminare il rischio che le acque non rispettino i valori di parametro dopo la fornitura. L’autorità sanitaria competente ed il gestore, ciascuno per quanto di competenza, provvedono affinché i consumatori interessati siano debitamente informati e consigliati sugli eventuali provvedimenti e sui comportamenti da adottare”.
Ecco dunque la norma richiamata dal Ministero della salute, su cui si è prima detto.
Dal canto suo, sino ad oggi la giurisprudenza non ha ancora avuto modo di esaminare la materia per quanto concerne il
tema che a noi qui specificamente interessa. Possiamo comunque ricordare che le Sezioni Penali della Cassazione (sentenza
del 12/02/2009, n. 12147) hanno comunque chiarito quale sia la condotta cui sono tenute le pubbliche amministrazioni competenti, così sancendo che, nel caso di superamento dei parametri relativi alla salubrità e pulizia delle acque potabili, è previsto
che l’Azienda unità sanitaria locale interessata proponga all’autorità d’ambito, e quindi al Sindaco, l’adozione degli eventuali
provvedimenti cautelativi a tutela della salute pubblica. Pertanto, integra il reato di rifiuto di atti d’ufficio (di cui all’art. 328,
comma primo, c.p.), e non un illecito amministrativo (quello previsto dall’art. 19, comma quarto, del d. lgs. 31/2001), la condotta inerte del Sindaco di un comune che ometta di adottare, nonostante le ripetute segnalazioni pervenutegli dalle competenti autorità sanitarie, i necessari provvedimenti contingibili ed urgenti volti ad eliminare il rischio del superamento dei parametri stabiliti dalla legislazione speciale in materia.
Va infine ricordato che, nelle recenti “Linee-guida sui dispositivi di trattamento delle acque destinate al consumo umano” (ai
sensi del D.M. 7 febbraio 2012, n. 25), il Ministero della Salute scrive: “in termini generali, sulla base di una ingente quantità di
informazioni rese sistematicamente disponibili in ambito locale e regionale, e convogliate a livello nazionale ed europeo, si può
affermare che in Italia la fornitura di acqua qualitativamente idonea è perseguita con prassi rigorose e consolidate di gestione
del sistema idrico e controllata mediante un collaudato sistema di sorveglianza, regolato sul piano legislativo, in merito a frequenza, tipologia e modalità dei controlli. Fatte salve alcune circostanze, in genere limitate in termini temporali e territoriali,
per le quali possono verificarsi non conformità per presenza di parametri chimici o microbiologici fuori norma - in seguito alle
quali possono anche essere disposte limitazioni d’uso delle acque con adeguate azioni informative sulle popolazioni interessate - le acque distribuite sono idonee al consumo umano e possono essere consumate in condizioni di sicurezza nell’intero
arco della vita; pertanto, sotto il profilo sanitario, non si rileva alcuna necessità di loro trattamenti a valle del punto di consegna”.
Dette Linee-guida sono volte a disciplinare le caratteristiche tecniche degli impianti di trattamento (ad esempio, quelli installati nelle cucine poco prima del rubinetto oppure i moderni erogatori d’acqua comunali, questi ultimi cosa ben diversa dalle
tradizionali fontane pubbliche, dove sgorga semplicemente l’acqua dall’acquedotto), i quali perseguono lo scopo di modificare
le caratteristiche organolettiche dell’acqua consegnata dagli acquedotti come potabile. Tali impianti servono cioè a modificarne la sua accettabilità e la gradevolezza al gusto, mediante “trattamenti di affinamento” basati su diversi processi fisici e chimici
e/o variare la temperatura di erogazione e/o conferire all’acqua caratteristiche di effervescenza. Le Linee-guida perseguono
due obiettivi: eliminare gli ostacoli alla circolazione di tale merce all’interno dell’Unione Europea, da un canto; evitare che simili
impianti peggiorino la potabilità stessa dell’acqua, dall’altro.
In conclusione: non demonizziamo gli impianti condominiali. Semplicemente si presti loro l’attenzione che richiedono, senza
eccedere con accanimenti burocratici.
ACQUE POTABILI NEL CONDOMINIO
AMMINISTRATORE E SISTEMA DEI CONTROLLI
A cura di: Acap
ACQUA: I PARAMETRI DI SALUBRITÀ
E GLI ELEMENTI NOCIVI PER LA SALUTE
A cura di: Legambiente e Cittadinanzattiva
Tratto da: “Acque in deroga - Le deroghe per le acque potabili: l’evoluzione del problema,
i territori coinvolti, la mancata informazione ai cittadini e gli interventi necessari” (luglio 2012)
L’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO
PREMESSA
Il d.lgs n.31/2001, modificato dal d.lgs n. 27/2002, estende all’amministratore del condominio la responsabilità dell’igiene
dell’acqua somministrata nel condominio dal punto di consegna da parte del pubblico distributore fino al rubinetto. Nei confronti dell’amministratore del condominio sono irrogabili le seguenti sanzioni pecuniarie corrispondenti al pagamento:
◆ della somma da euro 10329 a euro 61974 (art. 19 comma 1) qualora fornisca acqua che contenga microrganismi o parassiti
o altre sostanze in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana;
◆ della somma da euro 5164 a euro 30987 (art. 19 comma 2) quando i valori di parametri fissati nell’allegato 1, rispettati nel
punto di consegna, non siano mantenuti nel punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto;
◆ della somma da euro 5165 a euro 30987 (art. 19, comma 4-bis) se non conserva per cinque anni i risultati del controllo delle
acque.
Inoltre, nei confronti dell’amministratore del condominio il Sindaco del comune territorialmente competente, a seguito
della richiesta della azienda unità sanitaria locale, può emettere un ‘ ordinanza, giustificata da motivi d’igiene, la quale prescrive
l’adozione delle misure tecniche necessarie per tutelare la correttezza sanitaria della somministrazione delle acque dal punto
di arrivo dell’acqua distribuita dal servizio pubblico al rubinetto. L’inosservanza dell’adempimento delle prescrizioni dell’ordinanza, integra una fattispecie di reato ed è sanzionata dall’articolo 650 c. p. con l’arresto fino a tre mesi e con un’ammenda fino
a 206,00 euro. La responsabilità dell’amministratore si evince dalle attribuzioni dell’amministratore, disciplinate dall’articolo
1130 c. c., per le quali deve: riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti
comuni dell’esercizio e per l’esercizio dei servizi comuni.
Nel 2012 (anno in cui è stata pubblicata l’indagine di Legambiente e Cittadinanzattiva di cui riportiamo un brevissimo estratto) erano poco meno di 1 milione gli italiani che non potevano avere acqua di rubinetto conforme ai limiti
di legge. A tanti ammontavano, infatti, gli abitanti dei 112 Comuni che ancora per quell’anno fruivano delle deroghe su
alcune sostanze, boro, fluoruri e soprattutto arsenico, presenti in concentrazioni superiori a quelle stabilite dalla
legge.
IL VADEMECUM DI ACAP
◆ Il D. Lgs. 31/2001 comporta degli obblighi per l’amministratore di condominio, cui compete il compito di provvedere che
l’acqua che fuoriesce dai rubinetti utilizzata per il consumo umano, sia salubre e potabile.
◆ Viene descritto che le acque destinate al consumo umano non devono contenere né microrganismi, né altre sostanze in
quantità tali da rappresentare un possibile pericolo per la salute umana.
◆ Viene definito per gli edifici e le strutture il gestore ed il titolare della struttura, l’amministratore di condominio, il quale deve
assicurare che i valori di parametro, fissati nell’allegato 1 della legge, siano mantenuti fino al punto in cui l’acqua fuoriesce dal
rubinetto.
◆ È richiesto dal Decreto almeno un controllo delle acque all’anno ed i risultati delle analisi devono essere conservati obbligatoriamente per 5 anni.
◆ È necessario un prelievo al piano terra e uno al piano più alto in ogni scala del condominio.
◆ Il prelievo sarà eseguito, nei modi previsti dalla legge, da tecnici convenzionati con l’A.C.A.P.,
◆ L’analisi delle acque sarà eseguita presso laboratorio autorizzato, con certificazione e riconosciuto dal Ministero della Sanità
per la verifica dei parametri prescritti dal Decreto.
◆ Elaborazione ed aggiornamento del “quaderno delle Acque” relativo al condominio in cui si annotano i punti di prelievo, la
data nonché tutti gli altri dati necessari per l’identificazione.
I PARAMETRI E LE DEROGHE
L’acqua che esce dai rubinetti delle nostre case è una risorsa controllata, sicura, economica, o perlomeno così dovrebbe essere per tutti i cittadini. Regole e definizioni sull’argomento sono state fissate da alcuni decenni dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha stabilito delle linee guida sui parametri di qualità poi recepite dall’Unione
Europea.
Attualmente, la legislazione vigente in Italia (D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31) definisce le acque potabili come “acque
trattate o non trattate, destinate ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici, utilizzate in un’impresa alimentare per la fabbricazione, il trattamento, la conservazione o l’immissione sul mercato di prodotti o di sostanze destinate al consumo umano, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite una rete di
distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori”. L’acqua, per essere potabile, non solo non deve “contenere microrganismi e parassiti, né altre sostanze in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana”, ma non deve superare neanche determinati valori massimi di sostanze non propriamente
nocive per la salute.
Le norme di riferimento per la qualità delle acque destinate al consumo umano in Italia sono i Decreti legislativi n.
31/2001 e n. 27/2002, attuativi della direttiva 98/83/CE. Questi decreti prevedono che su tali acque vengano eseguiti
due tipi di controllo analitico chimico-fisico e microbiologico (controlli interni, di responsabilità del Gestore del Servizio idrico integrato, effettuati in laboratori interni; controlli esterni effettuati dalle Aziende Asl insieme alle Arpa territorialmente competenti).
Il giudizio di idoneità dell’acqua destinata al consumo umano spetta all’Azienda Sanitaria Locale territorialmente competente. L’idoneità viene stabilita sulla base di 62 parametri di qualità chimica, fisica e batteriologica che l’acqua deve
rispettare per essere considerata potabile. I parametri di qualità sono stabiliti dalle parti A (parametri microbiologici) e
B (parametri chimici) dell’allegato I di Decreto legislativo 31/2001, dove sono elencati i valori limite superati i quali
occorre provvedere con adeguati interventi.
I principali parametri analizzati sono:
◆ chimici (solfati, cloruri, calcio, sodio, potassio, magnesio, nitrati, ecc.);
◆ solventi clorurati;
◆ metalli (ferro, manganese, cromo, etc.);
◆ microinquinanti (diserbanti, pesticidi, prodotti intermedi delle aziende chimicofarmaceutiche, etc.);
◆ microbiologici (coliformi totali e fecali, enterococchi, etc.).
ACQUE POTABILI NEL CONDOMINIO
AMMINISTRATORE E SISTEMA DEI CONTROLLI
A cura di: Acap
ACQUA: I PARAMETRI DI SALUBRITÀ
E GLI ELEMENTI NOCIVI PER LA SALUTE
A cura di: Legambiente e Cittadinanzattiva
Tratto da: “Acque in deroga - Le deroghe per le acque potabili: l’evoluzione del problema,
i territori coinvolti, la mancata informazione ai cittadini e gli interventi necessari” (luglio 2012)
L’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO
PREMESSA
Il d.lgs n.31/2001, modificato dal d.lgs n. 27/2002, estende all’amministratore del condominio la responsabilità dell’igiene
dell’acqua somministrata nel condominio dal punto di consegna da parte del pubblico distributore fino al rubinetto. Nei confronti dell’amministratore del condominio sono irrogabili le seguenti sanzioni pecuniarie corrispondenti al pagamento:
◆ della somma da euro 10329 a euro 61974 (art. 19 comma 1) qualora fornisca acqua che contenga microrganismi o parassiti
o altre sostanze in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana;
◆ della somma da euro 5164 a euro 30987 (art. 19 comma 2) quando i valori di parametri fissati nell’allegato 1, rispettati nel
punto di consegna, non siano mantenuti nel punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto;
◆ della somma da euro 5165 a euro 30987 (art. 19, comma 4-bis) se non conserva per cinque anni i risultati del controllo delle
acque.
Inoltre, nei confronti dell’amministratore del condominio il Sindaco del comune territorialmente competente, a seguito
della richiesta della azienda unità sanitaria locale, può emettere un ‘ ordinanza, giustificata da motivi d’igiene, la quale prescrive
l’adozione delle misure tecniche necessarie per tutelare la correttezza sanitaria della somministrazione delle acque dal punto
di arrivo dell’acqua distribuita dal servizio pubblico al rubinetto. L’inosservanza dell’adempimento delle prescrizioni dell’ordinanza, integra una fattispecie di reato ed è sanzionata dall’articolo 650 c. p. con l’arresto fino a tre mesi e con un’ammenda fino
a 206,00 euro. La responsabilità dell’amministratore si evince dalle attribuzioni dell’amministratore, disciplinate dall’articolo
1130 c. c., per le quali deve: riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti
comuni dell’esercizio e per l’esercizio dei servizi comuni.
Nel 2012 (anno in cui è stata pubblicata l’indagine di Legambiente e Cittadinanzattiva di cui riportiamo un brevissimo estratto) erano poco meno di 1 milione gli italiani che non potevano avere acqua di rubinetto conforme ai limiti
di legge. A tanti ammontavano, infatti, gli abitanti dei 112 Comuni che ancora per quell’anno fruivano delle deroghe su
alcune sostanze, boro, fluoruri e soprattutto arsenico, presenti in concentrazioni superiori a quelle stabilite dalla
legge.
IL VADEMECUM DI ACAP
◆ Il D. Lgs. 31/2001 comporta degli obblighi per l’amministratore di condominio, cui compete il compito di provvedere che
l’acqua che fuoriesce dai rubinetti utilizzata per il consumo umano, sia salubre e potabile.
◆ Viene descritto che le acque destinate al consumo umano non devono contenere né microrganismi, né altre sostanze in
quantità tali da rappresentare un possibile pericolo per la salute umana.
◆ Viene definito per gli edifici e le strutture il gestore ed il titolare della struttura, l’amministratore di condominio, il quale deve
assicurare che i valori di parametro, fissati nell’allegato 1 della legge, siano mantenuti fino al punto in cui l’acqua fuoriesce dal
rubinetto.
◆ È richiesto dal Decreto almeno un controllo delle acque all’anno ed i risultati delle analisi devono essere conservati obbligatoriamente per 5 anni.
◆ È necessario un prelievo al piano terra e uno al piano più alto in ogni scala del condominio.
◆ Il prelievo sarà eseguito, nei modi previsti dalla legge, da tecnici convenzionati con l’A.C.A.P.,
◆ L’analisi delle acque sarà eseguita presso laboratorio autorizzato, con certificazione e riconosciuto dal Ministero della Sanità
per la verifica dei parametri prescritti dal Decreto.
◆ Elaborazione ed aggiornamento del “quaderno delle Acque” relativo al condominio in cui si annotano i punti di prelievo, la
data nonché tutti gli altri dati necessari per l’identificazione.
I PARAMETRI E LE DEROGHE
L’acqua che esce dai rubinetti delle nostre case è una risorsa controllata, sicura, economica, o perlomeno così dovrebbe essere per tutti i cittadini. Regole e definizioni sull’argomento sono state fissate da alcuni decenni dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha stabilito delle linee guida sui parametri di qualità poi recepite dall’Unione
Europea.
Attualmente, la legislazione vigente in Italia (D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31) definisce le acque potabili come “acque
trattate o non trattate, destinate ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici, utilizzate in un’impresa alimentare per la fabbricazione, il trattamento, la conservazione o l’immissione sul mercato di prodotti o di sostanze destinate al consumo umano, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite una rete di
distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori”. L’acqua, per essere potabile, non solo non deve “contenere microrganismi e parassiti, né altre sostanze in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana”, ma non deve superare neanche determinati valori massimi di sostanze non propriamente
nocive per la salute.
Le norme di riferimento per la qualità delle acque destinate al consumo umano in Italia sono i Decreti legislativi n.
31/2001 e n. 27/2002, attuativi della direttiva 98/83/CE. Questi decreti prevedono che su tali acque vengano eseguiti
due tipi di controllo analitico chimico-fisico e microbiologico (controlli interni, di responsabilità del Gestore del Servizio idrico integrato, effettuati in laboratori interni; controlli esterni effettuati dalle Aziende Asl insieme alle Arpa territorialmente competenti).
Il giudizio di idoneità dell’acqua destinata al consumo umano spetta all’Azienda Sanitaria Locale territorialmente competente. L’idoneità viene stabilita sulla base di 62 parametri di qualità chimica, fisica e batteriologica che l’acqua deve
rispettare per essere considerata potabile. I parametri di qualità sono stabiliti dalle parti A (parametri microbiologici) e
B (parametri chimici) dell’allegato I di Decreto legislativo 31/2001, dove sono elencati i valori limite superati i quali
occorre provvedere con adeguati interventi.
I principali parametri analizzati sono:
◆ chimici (solfati, cloruri, calcio, sodio, potassio, magnesio, nitrati, ecc.);
◆ solventi clorurati;
◆ metalli (ferro, manganese, cromo, etc.);
◆ microinquinanti (diserbanti, pesticidi, prodotti intermedi delle aziende chimicofarmaceutiche, etc.);
◆ microbiologici (coliformi totali e fecali, enterococchi, etc.).
DossIer sIcurezza
X
VII
I principali parametri di qualità dell'acqua, loro caratteristiche
e i limiti di legge previsti (Allegato I del Dlgs 31/2001)
Parametro
Simbolo
Descrizione
Limite
legge
Valore Massimo
Ammissibile
Min
Max
Arsenico
As
È un semimetallo di origine geologica (che proviene da rocce
vulcaniche) o antropica, come componente di erbicidi. È utilizzato, inoltre, nell’industria del vetro, dei coloranti, della carta, del
legno e delle munizioni.
Boro
B
Il boro spesso finisce nel terreno e nell’acqua attraverso le discariche domestiche, quando non sono adeguatamente isolate.
1 mg/l
3 mg/l
4 mg/l
Cloriti
CIO2
Sono sottoprodotti che si formano quando si utilizza biossido di
cloro per la disinfestazione delle acque.
0,2 mg/l
1,8 mg/l
1,8 mg/l
Cloruri
Sono tra i requisiti indispensabili di potabilità e sono presenti nelle
acque in qualità variabili in funzione della natura del suolo e del sottosuolo. Variazioni più o meno accentuate sono un indice di contaminazione. Valori elevati danno un sapore salato all’acqua.
250 mg/l
664 mg/l
664 mg/l
Fluoro
F
Può essere trovato in qualunque tipo di alimento in qualità relativamente piccola. Se il fluoro è assorbito troppo frequentemente,
può causare le carie dentarie, osteoporosi e danni a reni, ossa,
nervi e muscoli.
1,5 mg/l
2,5 mg/l
3 mg/l
Magnesio
Mg
È un elemento presente in molti minerali che costituiscono la crosta terrestre. Non ha controindicazioni sanitarie ma concentrazioni particolarmente elevate possono conferire un sapore
amaro all’acqua.
-
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-
Nichel
Ni
È un metallo causa di allergie e classificato come possibile cancerogeno.
0,01 mg/l
0,05 mg/l
0,05 mg/l
Nitrati
La presenza di nitrati nell’acqua potabile è solo in minima parte
naturale. Nella maggior parte dei casi dipende da attività umane:
allevamenti, fertilizzanti, rifiuti industriali, scarichi urbani e liquami.
50 mg/l
90 mg/l
90 mg/l
Selenio
Se
Il selenio è un elemento chimico non metallico il cui assorbimento
attraverso gli alimenti può essere in molti casi superiore al normale. In passato molti fertilizzanti ricchi di selenio venivano applicati
sul terreno coltivabile. Inoltre nelle zone poste in prossimità di
deposizione di rifiuti pericolosi il selenio finisce nell’acqua superficiale o nell’acqua freatica attraverso l’irrigazione. Questo fenomeno fa entrare il selenio nell’acqua potabile locale.
0,01 mg/l
0,02 mg/l
0,02 mg/l
Solfato
So4
L’origine della maggior parte dei composti di solfato è l’ossidazione dei minerali di solfito, la presenza di argille friabili, o gli scarti
industriali. Il solfato è uno dei principali componenti dissolti della
pioggia. Alte concentrazioni nell’acqua che beviamo possono
avere un effetto lassativo quando unite a calcio e magnesio.
250 mg/l
400 mg/l
400 mg/l
Trialometani
Thm
Sono dei contaminanti organici la cui presenza nelle acque potabili è collegabile a processi di potabilizzazione delle stesse, per
reazione chimica del cloro, impiegato come disinfettante.
0,03 mg/l
0,05 mg/l
0,08 mg/l
Tricloroetilene
Contaminante organico molto utilizzato nelle lavanderie e nelle
industrie metalmeccaniche. Se finisce nelle falde acquifere le
inquina per tempi lunghissimi.
0,01 mg/l
0,02 mg/l
0,02 mg/l
Vanadio
Èun metallo resistente alla corrosione e per la sua durezza è molto
utilizzato nella produzione di macchine e attrezzature. In acqua
può esistere sia in forma solubile sia come precipitato e i livelli variano in base alla piovosità e alla presenza di effluenti industriali.
0,05 mg/l
0,16 mg/l
0,16 mg/l
V
0,01 mg/l
0,05 mg/l
0,05 mg/l
DossIer sIcurezza
tro fissati nell’Allegato I, non siano conformi a tali valori al rubinetto, l’Azienda sanitaria locale dispone che il gestore adotti
misure appropriate per eliminare il rischio che le acque non rispettino i valori di parametro dopo la fornitura. L’autorità sanitaria competente ed il gestore, ciascuno per quanto di competenza, provvedono affinché i consumatori interessati siano debitamente informati e consigliati sugli eventuali provvedimenti e sui comportamenti da adottare”.
Ecco dunque la norma richiamata dal Ministero della salute, su cui si è prima detto.
Dal canto suo, sino ad oggi la giurisprudenza non ha ancora avuto modo di esaminare la materia per quanto concerne il
tema che a noi qui specificamente interessa. Possiamo comunque ricordare che le Sezioni Penali della Cassazione (sentenza
del 12/02/2009, n. 12147) hanno comunque chiarito quale sia la condotta cui sono tenute le pubbliche amministrazioni competenti, così sancendo che, nel caso di superamento dei parametri relativi alla salubrità e pulizia delle acque potabili, è previsto
che l’Azienda unità sanitaria locale interessata proponga all’autorità d’ambito, e quindi al Sindaco, l’adozione degli eventuali
provvedimenti cautelativi a tutela della salute pubblica. Pertanto, integra il reato di rifiuto di atti d’ufficio (di cui all’art. 328,
comma primo, c.p.), e non un illecito amministrativo (quello previsto dall’art. 19, comma quarto, del d. lgs. 31/2001), la condotta inerte del Sindaco di un comune che ometta di adottare, nonostante le ripetute segnalazioni pervenutegli dalle competenti autorità sanitarie, i necessari provvedimenti contingibili ed urgenti volti ad eliminare il rischio del superamento dei parametri stabiliti dalla legislazione speciale in materia.
Va infine ricordato che, nelle recenti “Linee-guida sui dispositivi di trattamento delle acque destinate al consumo umano” (ai
sensi del D.M. 7 febbraio 2012, n. 25), il Ministero della Salute scrive: “in termini generali, sulla base di una ingente quantità di
informazioni rese sistematicamente disponibili in ambito locale e regionale, e convogliate a livello nazionale ed europeo, si può
affermare che in Italia la fornitura di acqua qualitativamente idonea è perseguita con prassi rigorose e consolidate di gestione
del sistema idrico e controllata mediante un collaudato sistema di sorveglianza, regolato sul piano legislativo, in merito a frequenza, tipologia e modalità dei controlli. Fatte salve alcune circostanze, in genere limitate in termini temporali e territoriali,
per le quali possono verificarsi non conformità per presenza di parametri chimici o microbiologici fuori norma - in seguito alle
quali possono anche essere disposte limitazioni d’uso delle acque con adeguate azioni informative sulle popolazioni interessate - le acque distribuite sono idonee al consumo umano e possono essere consumate in condizioni di sicurezza nell’intero
arco della vita; pertanto, sotto il profilo sanitario, non si rileva alcuna necessità di loro trattamenti a valle del punto di consegna”.
Dette Linee-guida sono volte a disciplinare le caratteristiche tecniche degli impianti di trattamento (ad esempio, quelli installati nelle cucine poco prima del rubinetto oppure i moderni erogatori d’acqua comunali, questi ultimi cosa ben diversa dalle
tradizionali fontane pubbliche, dove sgorga semplicemente l’acqua dall’acquedotto), i quali perseguono lo scopo di modificare
le caratteristiche organolettiche dell’acqua consegnata dagli acquedotti come potabile. Tali impianti servono cioè a modificarne la sua accettabilità e la gradevolezza al gusto, mediante “trattamenti di affinamento” basati su diversi processi fisici e chimici
e/o variare la temperatura di erogazione e/o conferire all’acqua caratteristiche di effervescenza. Le Linee-guida perseguono
due obiettivi: eliminare gli ostacoli alla circolazione di tale merce all’interno dell’Unione Europea, da un canto; evitare che simili
impianti peggiorino la potabilità stessa dell’acqua, dall’altro.
In conclusione: non demonizziamo gli impianti condominiali. Semplicemente si presti loro l’attenzione che richiedono, senza
eccedere con accanimenti burocratici.
VI
DossIer sIcurezza
appartenente alle singole unità immobiliari, non dovrebbe affatto sussistere alcuna responsabilità in capo all’amministratore.
Posta tale importante distinzione, si tratta di capire meglio cosa l’amministratore è tenuto a fare per sorvegliare la parte di
impianto di cui è responsabile, e cioè la rete di distribuzione idrica condominiale.
I DOVERI DELL’AMMINISTRATORE
Cosa compete dunque all’amministratore di condominio, al fine di garantire la potabilità dell’acqua?
Nella citata circolare ASL di Milano del 16 dicembre 2003, n. 10774 (la cui sostanza è poi stata avallata dal parere del Ministero della Sanità reso il 10/06/2004) viene sancito: “qualora vi sia motivo di ritenere che nella fase di trasporto dal contatore
all’utenza le caratteristiche dell’acqua possano essere alterate, l’amministratore non solo è tenuto a fare le verifiche del caso,
ma soprattutto è tenuto ad adottare i provvedimenti necessari a ristabilire i requisiti di potabilità”.
Merita portare l’attenzione sull’inciso “qualora vi sia motivo di ritenere”, il quale permette di meglio individuare i casi in cui
l’amministratore - essendogli nota una situazione sospetta - deve attivarsi.
Ciò vale comunque a prescindere dalla circolare stessa (che, sul piano delle fonti normative ha limitato valore), quale espressione del principio generale di diligenza cui è tenuto l’amministratore (art.1710 c.c.) nonché della responsabilità per le cose in
custodia (art.2051 c.c.).
Senza alcuna pretesa di completezza, sembra corretto pensare che all’amministratore sia richiesto agire nei seguenti casi:
presenza di tubature o componenti della condotta idrica in piombo o leghe di piombo; esistenza di un cassone condominiale
per l’accumulo dell’acqua (ricordarsi: va pulito regolarmente); rotture nell’impianto che portano a contatto l’acqua potabile
con quella di scarico; ogni qual volta i condòmini lamentino problemi, quali la costante presenza di solidi sospesi nell’acqua, il
colore o l’odore o l’aspetto sgradevole o nel caso di tossinfezioni.
In tali circostanze, una condotta omissiva rende l’amministratore condominiale passibile delle sanzioni previste dal Decreto
legislativo 31/2001.
Come procedere? Sicuramente, in presenza di criticità note sulla potabilità dell’acqua, la questione va portata all’esame dell’assemblea, proponendo di far verificare se l’acqua mantiene al rubinetto i requisiti qualitativi presenti nel punto di consegna
dell’acquedotto (e cioè i parametri fissati nell’Allegato I al Decreto legislativo 31/2011). Ma se l’assemblea fosse contraria? In
tale ipotesi, sembra difficile pensare che l’amministratore possa considerare chiusa la questione. Sussistendo nella sua mente
un ragionevole sospetto al riguardo e trovandosi difronte un’assemblea riluttante ad autorizzare qualunque intervento, per
l’amministratore la condotta migliore da seguire sembra in definitiva essere quella di segnalare il caso all’Azienda sanitaria competente.
In effetti, lo stesso Ministero della Sanità dice: “qualora si verificassero situazioni critiche agli impianti o inconvenienti igienici
nella distribuzione dell’acqua, i predetti (i gestori degli edifici) potranno rivolversi all’ASL per effettuare un controllo analitico
ed eventualmente, in funzione di particolari problematiche sollevate, attuare quanto indicato dal comma 3 dell’art.5 del decreto legislativo in oggetto” (su cui infra).
Per contro, in assenza di motivi per ritenere che la potabilità dell’acqua possa deteriorarsi nelle tubazioni condominiali, cosa
grava sull’amministratore?
Premettiamo che nulla vieta all’assemblea di far volontariamente eseguire una tantum un controllo sulla qualità delle acque.
In base poi a quanto indicato dal Ministero della Sanità nel citato parere, se l’edificio è adibito ad uso esclusivamente abitativo,
l’amministratore resta obbligato a svolgere l’attività di controllo sullo stato di adeguatezza e di manutenzione dell’impianto.
Tale compito non sembra però comportare la necessità di far svolgere analisi per verificare che i valori di parametro (quelli
fissati nell’Allegato I), rispettati dall’acquedotto nel punto di consegna, siano mantenuti nel punto in cui l’acqua fuoriesce dal
rubinetto.
In effetti, ciò viene espressamente preteso solamente nel caso degli edifici in cui coesistono civili abitazioni e strutture aperte
al pubblico, ove l’acqua viene fornita a quest’ultimo. In siffatte circostanze, secondo il Ministero il rispetto di tale requisito (il
mantenimento dei parametri fissati nell’Allegato I) va invece garantito dal titolare della struttura insieme al responsabile della
gestione dell’edificio, cosa forse difficile da realizzare se non si procede prima ad un’analisi. Sul piano patrimoniale, parrebbe
però logico che in definitiva sia il titolare della struttura a farsi carico dei costi relativi alle analisi, in quanto conseguenza dell’attività da lui svolta.
Ciò fermo, ad essere sinceri, sfugge un po’ la ratio di tale distinzione, in quanto non si comprende come in via di principio si
possano accettare livelli differenziati di tutela dalla salute pubblica, consentendo che essi siano affievoliti per chi (peraltro soggetto alla logica delle maggioranze) abita un edificio ed accentuati per chi lo frequenta come pubblico.
DELIBERE E CORRETTA RIPARTIZIONE
DELLE SPESE PER L’ACQUA CONDOMINIALE
Cass. civ., sez. II, sent. 01/08/2014, n. 17557
RITENUTO IN FATTO
1. - T.F. ed F.E., comproprietari di un appartamento nel condominio (omissis) di via (omissis), con ricorso in data 3 agosto
2003 hanno impugnato dinanzi al Tribunale di Milano la delibera dell’assemblea condominiale in data 14 luglio 2003,
recante l’approvazione, a maggioranza, del preventivo dell’esercizio 2003/2004 relativamente alle spese per l’acqua e
per la gestione dell’ascensore, deducendo l’illegittimità del sistema di riparto adottato, fondato non su criteri di legge o
in base a norme regolamentari, ma su “un asserito buon senso dei condòmini, protrattosi negli anni”. Il condominio ha
resistito all’impugnazione. Il Tribunale, con sentenza in data 27 maggio 2005, ha respinto l’impugnazione. Premesso che
nel condominio (omissis), privo di regolamento, le spese per l’acqua potabile erano suddivise in proporzione al numero
degli occupanti delle unità immobiliari, con esonero di quelle risultanti, a seguito di indagini dell’amministratore, disabitate, mentre le spese per l’ascensore erano ripartite per tutte le unità al 50% in base ai millesimi di proprietà nonché,
con esclusione dei proprietari di unità vuote, per il 25% in base all’ubicazione di piano e per il 25% in base al numero
degli abitanti delle singole unità, il Tribunale ha ritenuto detti criteri conformi al dettato dell’art. 1123 cod. civ..
2. - Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 30 ottobre 2007, la Corte d’appello di Milano ha
respinto l’appello della T. e del F..
2.1. - La Corte d’appello ha rilevato che la dimostrazione dell’effettiva non abitazione, per l’intero periodo della gestione in questione, degli appartamenti esonerati totalmente dalla partecipazione alle spese per acqua potabile e per metà
dalla partecipazione alle spese di gestione dell’ascensore, risulta da ciò che tali circostanze sono state proprio dagli
appellanti dedotte e fatte oggetto di richiesta di prova testimoniale in primo grado sicché, in mancanza di contestazioni
della controparte, giustamente sono state ritenute pacifiche dal primo giudice, il quale, per tale ragione, non ha dato
ingresso all’istruttoria sul punto.
Quanto alle spese per l’acqua potabile, la Corte territoriale ha ritenuto corretta l’applicazione dell’art. 1123 cod. civ.,
comma 1: il criterio della proporzionalità al numero degli occupanti delle unità abitative è idoneo (non meno di altri) a
commisurare, in via presuntiva, l’entità dei rispettivi usi del condòmini e l’esonero per i non utenti è imposto dal dettato
normativo. In ordine alle spese per l’ascensore, la Corte d’appello, affermata l’applicabilità in via analogica dell’art. 1124
cod. civ., ha rilevato che per metà delle spese la suddivisione è avvenuta in base ai millesimi di proprietà e che, per l’altra
metà, la proporzione tanto all’altezza del piano quanto al numero degli occupanti delle unità è un criterio idoneo a tradurre l’uso differenziato del servizio di ascensore.
3. - Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la T. ed il F. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 21
gennaio 2008, sulla base di cinque motivi. L’intimato condominio ha resistito con controricorso. Entrambe le parti
hanno depositate memorie illustrative in prossimità dell’udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
COSA COMPETE ALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Quanto ai controlli, il decreto legislativo in questione (comma 3 dell’art.5) pone in prima linea le autorità amministrative,
così sancendo: “qualora sussista il rischio che le acque …, pur essendo nel punto di consegna rispondenti ai valori di parame-
1. - Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione di legge ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
su un punto decisivo della controversia in relazione alla suddivisione delle spese ex art. 1123 cod. civ. ed all’ammissione
delle prove ex art. 183 cod. proc. civ. ed alla falsità delle affermazioni contenute nella sentenza d’appello rispetto alle
XII
DossIer sIcurezza
risultanze processuali) si pone il seguente quesito: “Vero che in merito all’ammissione delle prove dedotte il giudice
deve pronunciarsi sulla loro ammissione sia durante il giudizio sia eventualmente specificando la motivazione della non
ammissione in sentenza con la conseguente violazione del diritto di accertamento. Preso altresì atto che le deduzioni
istruttorie ed i capitoli di prova sono stati contestati dalla controparte ritenere violato il principio del corretto accertamento dei fatti di causa quali risultanti dagli atti e della sostanziale non correttezza delle affermazioni contenute nella
sentenza d’appello in merito alle risultanze processuali mai verificatesi con conseguente lesione del diritto alla verità
processuale”.
Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione di legge ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
su un punto decisivo della controversia in relazione alla suddivisione delle spese ex art. 1123 c.c., comma 1) si sostiene
che l’art. 1123 cod. civ., comma 1 richiamato dalla Corte d’appello a sostegno della decisione, obblighi il condominio alla
suddivisione delle spese per l’acqua potabile in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, non essendo
consentito il riparto in base al numero dei consumatori appartenenti al nucleo familiare.
Il terzo motivo (violazione e falsa applicazione di legge ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un
punto decisivo della controversia in relazione alla suddivisione delle spese ex art. 1123 c.c., comma 2) pone il seguente
quesito: “nella eventualità in cui la Corte di cassazione decidesse che le spese condominiali oggetto di impugnazione
dovessero essere suddivise in base al disposto dell’art. 1123 c.c., comma 2, deve essere dichiarato che tutti i condòmini
debbono partecipare alle spese in quanto non è stata raggiunta la prova del non utilizzo del servizio sia dell’unanimità
sulla modificazione del criterio di suddivisione delle spese con conseguente lesione del diritto dei signori T. e F. ad una
equa e corretta, in base alle disposizioni di legge, ripartizione delle spese”.
Il quarto motivo (violazione e falsa applicazione di legge ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un
punto decisivo della controversia in relazione alla suddivisione delle spese ex art. 1123 c.c., comma 1, e art. 1124 cod.
civ.) è relativo al riparto delle spese per l’ascensore. Sostengono i ricorrenti che, poichè l’art. 1124 cod. civ., applicato
per analogia, prevede solamente due specifici criteri di suddivisione delle spese relative all’ascensore senza la possibilità
di applicazione di ulteriori e modificativi criteri se non con la volontà unanime dell’assemblea, vi sarebbe stata nella specie la lesione del diritto dei condòmini ad una corretta ripartizione delle spese, stante l’applicazione di un criterio non
accettato, e precisamente quello della suddivisione anche in base al numero delle persone.
Con il quinto motivo (violazione e falsa applicazione di legge ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
su un punto decisivo della controversia in relazione alla suddivisione delle spese ex art. 1123 cod. civ. ed all’ammissione
delle prove ex art. 183 cod. proc. civ. ed alla falsità delle affermazioni contenute nella sentenza d’appello rispetto alle
risultanze processuali) si censura la parte della sentenza in cui si afferma che, riguardo alle unità disabitate, che non fruiscono del servizio di ascensore, per l’esonero della metà in discussione vale quanto deciso per le spese dell’acqua potabile. I ricorrenti sostengono: “preso atto della lesione del diritto e del dovere di accertare e verificare la correttezza
delle circostanze ed i fatti di causa, in merito sia alla mancata ammissione delle prove dedotte e conseguentemente
lesione del diritto di una parte del giudizio a poter far accertare la realtà dei fatti che sono stati posti a base delle deduzioni in diritto fatte proprie dalla sentenza dichiarare ed accertare che il diritto all’accertamento è stato leso dalla sentenza impugnata con conseguente danno dei ricorrenti”.
2. - Il secondo motivo è scrutinabile nel merito, dovendo essere disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dal
condominio controricorrente, posto che la censura con esso articolata si conclude con un idoneo quesito di diritto, né
essendo di ostacolo allo scrutinio della prospettata violazione di legge la circostanza che la rubrica del motivo contenga,
ad abundantiam, il riferimento, altresì, al vizio di motivazione. La complessiva doglianza è fondata.
2.1. - Nel condominio, le spese relative al consumo dell’acqua devono essere ripartite in base all’effettivo consumo se
questo è rilevabile oggettivamente con strumentazioni tecniche. Infatti, l’installazione in ogni singola unità immobiliare
di un apposito contatore consente, da un lato, di utilizzare la lettura di esso come base certa per l’addebito dei costi,
salvo il ricorso ai millesimi di proprietà per il consumo dell’acqua che serve per le parti comuni dell’edificio.
A questa situazione ha riguardo il precedente di questa Corte rappresentato da Sez. II, 13 marzo 2003, n. 3712, che,
in fattispecie particolare, ha statuito che, in tema di ripartizione di spese condominiali relative all’erogazione di acqua,
l’amministratore il quale abbia stipulato con l’ente erogatore un contratto avente ad oggetto il consumo complessivo
del fabbricato onde beneficiare dell’applicazione di una tariffa agevolata, può poi, del tutto legittimamente, calcolare la
ripartizione interna delle spese pro quota, in considerazione dei singoli ed effettivi consumi di ciascuno dei condòmini,
con beneficio di tutti, anche di coloro i quali, singolarmente considerati, non abbiano dato luogo ad un consumo suffi-
LA POTABILITÀ DELL’ACQUA E I DOVERI
DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO
A cura di: Avv. Ermenegildo Mario Appiano
L
a questione si pone per effetto del comma n. 2 dell’art. 5 del decreto legislativo 31/2001, che così dispone: “Per gli edifici e
le strutture in cui l’acqua è fornita al pubblico, il titolare ed il responsabile della gestione dell’edificio o della struttura devono
assicurare che i valori di parametro fissati nell’Allegato 1, rispettati nel punto di consegna, siano mantenuti nel punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto”.
Tale previsione individua dunque i seguenti concetti:
◆ “edifici e strutture in cui l’acqua è fornita al pubblico”: tra esse, pare corretto individuare i condomini con la loro rete distributiva idrica;
◆ “il titolare ed il responsabile della gestione dell’edificio o della struttura”: tra essi, allora, vi è l’amministratore di condominio;
◆ il “punto di consegna”: verosimilmente, dopo il contatore generale dell’acquedotto, salvi casi specifici diversi da valutare
caso per caso;
◆ il “punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto”: principalmente i rubinetti all’interno delle singole proprietà esclusive all’interno del condominio.
Notiamo subito come il “punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto” si trova al termine della rete idrica distributiva delle
singole unità immobiliari, che esula da quella condominiale ai sensi dell’art. 1117, comma 3, del codice civile.
Ciò posto, passiamo all’esame della disciplina.
ESAME DELLA DISCIPLINA
Il decreto legislativo non è affatto chiaro sui compiti effettivi che competono all’amministratore. Infatti, l’amministratore
viene indicato come uno dei garanti della qualità delle acque, senza tuttavia indicare esplicitamente se sia tenuto o no a fare
controlli analitici e, in caso affermativo, come procedere.
Esistono attualmente due fonti cui ispirarsi al riguardo.
La prima è il parere del Ministero Sanità, reso il 10/06/2004, che così testualmente si pronuncia sul punto: “Per quanto concerne gli edifici ad uso esclusivamente abitativo, l’amministratore del condominio ovvero, in assenza di questo, i proprietari
non hanno l’obbligo di effettuare le attività e i controlli previsti dagli artt. 7 e 8 del Decreto in oggetto (i cosiddetti controlli
“interni” ed “esterni”, le cui caratteristiche sono dettagliate nell’Allegato II al Decreto stesso), bensì quello derivante dall’attività di controllo dello stato di adeguatezza e di manutenzione dell’impianto”. Tuttavia, secondo il Ministero “nel caso in cui
coesistono civili abitazioni e strutture aperte al pubblico, il titolare della struttura in cui l’acqua viene fornita al pubblico e il
responsabile della gestione dell’edificio devono garantire che i valori di parametro fissati nell’Allegato I, rispettati nel punto di
consegna, siano mantenuti nel punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto”.
La seconda fonte (che, evidentemente, cede il passo rispetto alla prima) è la circolare della ASL di Milano del 16 dicembre
2003, n. 10774, secondo cui i controlli di qualità competono soltanto al gestore dell’acquedotto, e non al condominio.
Pure per la ASL milanese gli amministratori di condominio non sono tenuti ad effettuare i cosiddetti controlli interni di qualità, giacché essi spettano esclusivamente a coloro che forniscono l’acqua destinata al consumo umano, vale a dire per i gestori
degli acquedotti.
Vediamo ora di trarre qualche principio, fermo restando che le predette indicazioni sono sì significative, ma non vincolanti
per l’Autorità Giudiziaria.
La responsabilità di garantire i requisiti di potabilità spetta, dunque, al gestore dell’acquedotto fino al punto di consegna (di
regola il contatore). L’amministratore di condominio ha invece la responsabilità di assicurare che i requisiti di potabilità non
vengano alterati per cause imputabili alla rete idrica condominiale.
Precisiamo questo aspetto fondamentale: se i requisiti di potabilità vengono perduti per effetto della rete distributiva idrica
IV
DossIer sIcurezza
parte i casi “visibili”) non lo è. Di qui deriva che l’utilità e l’importanza di un monitoraggio periodico dell’impianto idrico e dell’acqua destinata al consumo umano, sussistono a prescindere dall’obbligo di legge.
GLI STRUMENTI DI CONTROLLO
L’amministratore, nel valutare l’urgenza e la necessità di un’analisi delle acque, deve considerare quanto gli sia chiara la situazione dello stato dell’impianto di distribuzione domestico condominiale, e quindi quanto possa assicurare che i valori di parametro forniti dall’acquedotto al contatore siano conservati senza alterazioni sino al rubinetto dell’utente.
Nel caso egli non abbia certezze, una verifica analitico-strumentale diventa non solo opportuna bensì necessaria, al fine di
verificare il non superamento dei limiti imposti dal Decreto in oggetto. Esso, all’allegato I, identifica in modo completo i requisiti minimi che devono essere soddisfatti per le acque destinate al consumo umano, ovvero i valori limite per quanto riguarda
la concentrazione di tutte le sostanze chimiche e microbiologiche da tenere sotto controllo. Nel caso i valori risultino nella
norma, l’amministratore è, in tal modo, totalmente “al riparo” da responsabilità civili e penali. Nel caso invece che i valori
riscontrati siano al di fuori della norma, il decreto specifica che l’amministratore è tenuto ad adottare i provvedimenti necessari a ristabilire i requisiti di potabilità, su indicazione dell’Azienda Sanitaria Locale e in collaborazione con il gestore della rete
idrica.
LE SANZIONI E LE PENE
Nei confronti dell’amministratore di condominio sono irrogabili in astratto le seguenti sanzioni amministrative pecuniarie
corrispondenti al pagamento della somma da euro 10.329 a euro 61.974 (art. 19, comma primo) qualora fornisca acqua destinata al consumo umano che contenga microrganismi o parassiti o altre sostanze in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana, ovvero non soddisfi i requisiti minimi previsti dalle parti A e B dell’allegato
I, oppure non siano conformi ai provvedimenti adottati dall’autorità d’ambito sentita l’Azienda Sanitaria Locale; inoltre nei
confronti dell’amministratore del condominio il sindaco del Comune territorialmente competente, a seguito della richiesta
dell’Azienda Sanitaria Locale o dell’autorità d’ambito, può emettere un’ordinanza, giustificata da motivi di igiene, la quale gli
prescriva l’adozione, entro un termine congruo, delle misure tecniche necessarie per tutelare la correttezza sanitaria, secondo quanto contemplato dal d.lgs. n. 31/2001, della somministrazione delle acque dal punto di arrivo dell’acqua distribuita dal
servizio pubblico al rubinetto.
L’inosservanza dell’adempimento delle prescrizioni dell’ordinanza, ritualmente notificata all’amministratore, integra una fattispecie di reato ed è sanzionata dall’articolo 650 del codice penale con l’arresto fino a tre mesi.
CONCUSIONI E SUGGERIMENTI
Per concludere: per quanto riguarda la frequenza dei controlli dopo il primo, si suggerisce all’amministratore di tener conto
della presenza di tubature o componenti della condotta idrica contenenti piombo o leghe di piombo (in maniera banale si può
usare come parametro l’età dello stabile). Inoltre egli dovrà tener conto di situazioni “sospette” che possano compromettere
la qualità delle acque (quali, ad esempio, presenza di perdite nell’impianto idrico) e procedere a controlli anche ogni qual volta
i condòmini lamentino problemi legati alla qualità delle acque (esempio presenze di solidi sospesi, colore, odore o aspetto
sgradevoli, casi ripetuti di tossinfezioni etc).
XIII
DossIer sIcurezza
ciente all’ottenimento delle agevolazioni applicate sulla base del raggiungimento di una certa quantità. È da rilevare, del
resto, che l’installazione di contatori per il consumo dell’acqua in ogni singola unità abitativa (nonché di contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano) costituisce misura alla quale il
legislatore guarda con particolare favore, in quanto volta a razionalizzare i consumi e ad eliminare gli sprechi e quindi a
conseguire, in una prospettiva di tutela ambientale, il risparmio della risorsa idrica (L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 5e, ora,
D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 146).
2.2. - Diverso è il caso in cui le unità immobiliari non siano dotate di contatori di sottrazione. In tale evenienza - ed è
quella che viene in considerazione nella specie - il sistema dell’art. 1123 cod. civ. non ammette che, salvo diversa convenzione tra le parti, il costo relativo all’erogazione dell’acqua, con una delibera assunta a maggioranza, sia suddiviso in
base al numero di persone che abitano stabilmente nel condominio e che resti di conseguenza esente dalla partecipazione alla spesa il singolo condomino il cui appartamento sia rimasto disabitato nel corso dell’anno.
Il comma 1 della citata disposizione, infatti, detta un criterio per le spese di tutti i beni e servizi di cui i condòmini godono indistintamente, basato su una corrispondenza proporzionale tra l’onere contributivo ed il valore della proprietà di
cui ciascuno condomino è titolare. Lo stesso art. 1123, comma 2, a sua volta, stabilisce che, se si tratta di cose destinate
a servire i condòmini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione all’uso che ciascuno può farne. Ora è
esatto - ed è stato già sottolineato da questa Corte in una non recente pronuncia (Sez. 2, 10 dicembre 1974, n. 4166) che questo secondo criterio dal punto di vista pratico richiede ancora un puntuale adattamento al caso singolo per una
sua più compiuta specificazione, varie potendo essere le concrete modalità di attuazione del principio che rapporta la
spesa all’uso; e che quando detto rapporto può essere tradotto in pratica con più sistemi che attuano, in modo più o
meno soddisfacente riguardo alle circostanze del caso, il precetto di legge, la preferenza accordata, in concreto, ad uno
di essi non è viziata da illegittimità e sfugge, pertanto, al controllo del giudice. Ma l’art. 1123 cod. civ., comma 2 non legittima la delibera di suddivisione della spesa nella specie adottata, giacché il sistema di riparto da essa previsto appare inidoneo, per la sua irrazionalità, a fissare un congruo rapporto tra la spesa e l’uso individuale. La norma in questione ha
infatti riguardo al godimento potenziale che il condomino può ricavare dalla cosa o dal servizio comune, atteso che
quella del condomino è una obbligazione propter rem che trova fondamento nel diritto di comproprietà sulla cosa
comune, sicché il fatto che egli non ne faccia uso non lo esonera dall’obbligo di pagamento della spesa. Sotto questo
profilo, va considerato che anche in un appartamento rimasto non abitato possono tuttavia esservi altri usi dell’acqua,
ad es. per le pulizie dell’appartamento o per l’annaffiamento delle piante, o perdite d’acqua. Inoltre, esentare gli appartamenti non abitati dal concorso nella spesa significa sottrarli non solo al costo del consumo idrico imputabile al lavaggio delle parti comuni o all’annaffiamento del giardino condominiale, ma anche a quella parte della tariffa per la fornitura
dell’acqua potabile che è rappresentata dal minimo garantito quale quota fissa per la disponibilità del servizio da parte
del gestore, la quale, parametrata sul numero delle unità immobiliari domestiche facenti parte del condominio, è indipendente dal consumo effettivo.
D’altra parte, stabilire il costo dell’erogazione dell’acqua in base al numero delle persone che risiedono in ogni unità
abitativa, significa introdurre, al posto del criterio potenziale su base reale (per il quale ciò che rileva non è il contegno
personale dell’uno o dell’altro condomino, ma l’entità del servizio obiettivamente prestato o destinato a prestarsi), un
criterio forfettario presuntivo su base personale. Criterio, quest’ultimo, che soltanto apparentemente risponde a esigenze pratiche e di semplificazione, perché in realtà è fonte di controversie nel momento dell’accertamento, finendo
con il rimettere all’amministratore un compito di vigilanza e di controllo - la verifica, al di là dei dati anagrafici, di una stabilità di dimora o di convivenza che si realizza in ogni unità immobiliare - che evidentemente fuoriesce dalle sue attribuzioni, perché tocca le relazioni personali e di vita di ciascun condomino. Di qui l’errore della sentenza impugnata, la quale si è discostata dal principio - che deve essere qui enunciato - secondo cui, in tema di condominio, fatta salva la diversa
disciplina convenzionale, la ripartizione delle spese della bolletta dell’acqua, in mancanza di contatori di sottrazione
installati in ogni singola unità immobiliare, va effettuata, ai sensi dell’art. 1123 c.c., comma 1, in base ai valori millesimali
delle singole proprietà, sicché è viziata, per intrinseca irragionevolezza, la delibera assembleare, assunta a maggioranza,
che - adottato il diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell’unità
immobiliare - esenti al contempo dalla contribuzione i condòmini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell’anno.
3. - È fondato anche il quarto mezzo, pur esso esaminabile nel merito per le ragioni già espresse retro, al punto 2, con
riguardo all’analoga eccezione di inammissibilità. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2, 25 marzo
XIV
DossIer sIcurezza
1999, n. 2833; Sez. 2, 25 marzo 2004, n. 5975; Sez. 2, 17 febbraio 2005, n. 3264) , per le spese di gestione del servizio
ascensore è applicabile, per analogia, in mancanza di deroga con patto negoziale intervenuto tra i condòmini, la regola
posta dall’art. 1124 cod. civ. (nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dalla L. 11 dicembre 2012, n.
220), relativa alla ripartizione delle spese di manutenzione e ricostruzione delle scale, secondo cui il riparto avviene, per
metà, in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo. È invalida, pertanto, la delibera assembleare, adottata a maggioranza, con la quale si stabilisca,
come nella specie, a parità di caratura millesimale e di livello di piano, un onere di contribuzione alle spese di gestione
dell’impianto di ascensore più elevato a carico dei condòmini con famiglia più numerosa, sul presupposto della loro più
intensa utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, e un esonero parziale per i proprietari di unità che l’amministratore abbia accertato essere disabitate.
4. - L’esame degli altri motivi resta assorbito.
5. - La sentenza impugnata è cassata. La causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Milano. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della
Corte d’appello di Milano. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte
suprema di Cassazione, il 20 giugno 2014. Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2014.
LE ACQUE DESTINATE AL CONSUMO UMANO
NELL’EDIFICIO CONDOMINIALE
A cura di: Ing. Carlo Giordano e Arch. Federico Proietti
(www.condominisicuri.it)
U
n cattivo stato di manutenzione dell’impianto idrico, non solo può compromettere l’integrità dell’edificio, ma può avere
effetti negativi sulla salubrità delle acque che vengono destinate al consumo umano. Quindi l’amministratore non deve
tener conto solo che tali impianti (idrosanitari, quelli di trasporto, trattamento, uso, accumulo e consumo d’acqua all’interno
degli edifici condominiali) sono soggetti, a valle del contatore, al D.Lgs 37/08 (ex legge 46/90) in tema di sicurezza degli impianti,
ma anche che egli è responsabile che le acque destinate al consumo umano siano salubri.
Vediamo di capire esattamente quali sono le responsabilità dell’amministratore di condominio, quali sono le sanzioni, le conseguenze penali, cosa si può fare per non incorrere in quest’ultime e per tutelare la salute dei condòmini.
RESPONSABILITÀ DELL’AMMINISTRATORE
Il D.Lgs. 31/2001 (“Attuazione della Direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano” G.U.
n. 52 , 3 marzo 2001), modificato ed integrato dal D.Lgs. 27/2002, “disciplina la qualità delle acque destinate al consumo umano
al fine di proteggere la salute umana dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque, garantendone la salubrità
e la pulizia”.
Il decreto stabilisce che i requisiti di qualità (cioè di potabilità) delle acque destinate al consumo umano devono sussistere al
punto d’uso, cioè dove l’acqua è resa disponibile per il consumo. La norma inoltre precisa che, mentre il gestore dell’acquedotto ha la responsabilità di garantire i requisiti di potabilità fino al punto di consegna (di regola il contatore), l’amministratore
del condominio ha la responsabilità di garantire che i requisiti di potabilità siano mantenuti fino ai rubinetti (o, per meglio dire,
siano mantenuti lungo tutta la rete idrica condominiale).
Nota: la responsabilità di cui sopra è conseguenza del fatto che l’amministratore è il custode dei beni condominiali, della cui conservazione e degli effetti che gli stessi possono produrre, è responsabile (si ricorda che l’articolo 2051 del codice civile afferma che ciascuno è
responsabile del danno cagionato dalle cose in custodia, salvo che provi il caso fortuito).
QUALI RISCHI PER LA SALUTE
Al fine di scongiurare atteggiamenti errati da parte di amministratori e condòmini è opportuno fare la seguente precisazione: il D.Lgs. 31/2001 impone solo ai gestori e tutti i soggetti che forniscono acqua destinata al consumo umano di effettuare
controlli periodici sulla medesima; se è vero però che tale obbligo sistematico non è quindi imposto agli amministratori, essi,
se non intendono far correre dei rischi ai condòmini di cui sono responsabili, non possono esimersi dall’attuare verifiche sulla
salubrità delle acque destinate al consumo umano, specie in presenza di possibili quanto ipotizzabili sorgenti inquinanti, conseguenza di impianti vetusti e/o di tipologie di materiali utilizzati nella realizzazione delle linee di adduzione, di eventuali cassoni
condominiali (es. piombo e leghe di piombo).
Oltre a tali possibili inquinanti, si tenga conto anche che, seppur non frequentemente, l’acqua può anche essere portatrice
di batteri patogeni che provocano infezioni. Uno di questi è la legionella, che può manifestarsi con diverse espressioni cliniche:
forme lievi asintomatiche, sindromi pseudo influenzali e forme di polmonite grave con tasso di mortalità molto significativo.
Nota: per invitare il lettore a riflettere sull’importanza di quanto sinora scritto, si cita un caso che presenta delle analogie a quello della
“salubrità delle acque” ma che risulta più immediato: l’amministratore che ometta di eseguire i lavori occorrenti per eliminare il pericolo
di crollo di parti dell’edificio incorre in sanzioni amministrative e, nel caso ne derivassero danni, ne è responsabile e, se tali danni avvengono
a persone, la responsabilità è penale. Si noti che, nonostante la serietà del tema, per prevenire pericoli di rovina dell’edificio egli non è tenuto
a effettuare controlli sistematici (esattamente come nel caso dell’“acqua”, che stiamo esaminando). Ma al lettore attento non sarà sfuggita una differenza cruciale: mentre le condizioni di un intonaco o di un cornicione sono sotto gli occhi di tutti, la potabilità dell’acqua (a
SOMMARIO
pag.
Le acque destinate al consumo umano nell’edificio condominiale
(Carlo Giordano e Federico Proietti) ..................................................................................................................................
III
La potabilità dell’acqua e i doveri dell’amministratore di condominio
(Ermenegildo Mario Appiano) ...........................................................................................................................................
V
Acque potabili nel condominio. Amministratore e sistema dei controlli
(Acap) ................................................................................................................................................................................
VIII
Acqua: i parametri di salubrità e gli elementi nocivi per la salute
(Legambiente e Cittadinanzattiva) ....................................................................................................................................
IX
Delibere e corretta ripartizione delle spese per l’acqua condominiale
(Cass. civ., sez. II, sent. 01/08/2014, n. 17557) ................................................................................................................
XI
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parametri di salubrità e responsabilità dell