FAQ ALS
1) Che cosa è il “gasping”?
Il “gasping” è un respiro agonico caratterizzato da atti respiratori occasionali, superficiali e
non efficaci dal punto di vista ventilatorio, con assenza di movimenti della gabbia toracica;
pertanto un paziente che presenta gasping si deve considerare in assenza di attività
respiratoria.
2) Se il paziente non è cosciente, non respira e sono indeciso sulla presenza o meno
del polso carotideo o dei segni di circolo (MO.TO.RE.), come devo procedere?
È consigliato in tale situazione procedere senza indugio alle manovre rianimatorie iniziando
con 30 compressioni e 2 insufflazioni; i danni che potrebbero essere arrecati al paziente
praticando le compressioni toraciche in caso di cuore battente sono trascurabili rispetto ai
danni conseguenti al mancato inizio delle manovre rianimatorie in un paziente in arresto
cardio-circolatorio.
3) In caso non abbia un pallone AMBU, se trovo un paziente in arresto cardiocircolatorio posso effettuare solo le compressioni toraciche esterne?
Se il soccorritore non possiede presidi atti a effettuare le ventilazioni senza contatto diretto,
come si verifica in caso di ventilazione bocca a bocca, è consigliato procedere alle sole
compressioni toraciche. Esistono evidenze scientifiche che dimostrano che la RCP
effettuata anche solo con le compressioni toraciche esterne garantisce una sopravvivenza
maggiore rispetto a un atteggiamento attendistico.
4) Nella paziente gravida (stato di gravidanza avanzato) la posizione delle mani per il
massaggio cardiaco è la stessa?
Nella paziente in fase di gravidanza avanzata (dopo la 20a settimana) l’utero gravido può
comprimere la vena cava inferiore e l’aorta, ostacolando sia il ritorno venoso, sia la gittata
cardiaca, per tale motivo è indicato lo spostamento manuale dell’utero gravido a sinistra e il
posizionamento della paziente in lieve decubito laterale sinistro (angolo di 15-30° - utile
posizionamento su tavola spinale). La posizione delle mani per le compressioni toraciche
esterne deve essere sempre sulla linea mediana dello sterno, ma tra il terzo superiore e il
terzo medio.
5) Se il paziente va in arresto cardio-circolatorio davanti a me (arresto cardiocircolatorio testimoniato) e inizio le manovre rianimatorie per quanto tempo devo
andare avanti?
Una volta confermato l’arresto cardiaco, quindi di fronte ad un paziente che non è
cosciente, non respira e non ha polso, è necessario iniziare immediatamente le manovre
rianimatorie con le compressioni toraciche esterne e le ventilazioni; tali manovre devono
proseguire sino a quando non avremo a disposizione un monitor defibrillatore che ci
consentirà di controllare il ritmo effettuando un “quick look” e provvedendo, in caso indicato,
alla defibrillazione. Le linee guida 2010, al contrario delle precedenti, non consigliano mai di
effettuare due minuti di rianimazione cardiopolmonare prima dell’analisi del ritmo, ma
enfatizzano al contrario l’efficacia della defibrillazione precoce dei ritmi defibrillabili.
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6) Quanto tempo posso impiegare per valutare il ritmo al monitor dopo i due minuti di
RCP?
Il tempo che si deve impiegare per la valutazione del ritmo dopo ogni ciclo di rianimazione
cardiopolmonare è il minore possibile, ma comunque non superiore ai 5 secondi, tempo
sufficiente per stabilire se si tratta di un ritmo defibrillabile o meno; evidenze scientifiche
dimostrano infatti l’utilità di ridurre al minimo il periodo di assenza di compressioni toraciche
esterne.
7) Se al monitor vedo una traccia e sono indeciso tra una FV a basso voltaggio e
un’asistolia, come mi devo comportare?
Capita talvolta che una FV a basso voltaggio possa essere confusa con un’asistolia, in
quanto l’asistolia non si presenta con una linea perfettamente piatta. In tali situazioni la
diagnosi di ritmo potrebbe essere più complicata, ma comunque il tempo utilizzato per
effettuare una diagnosi non deve essere superiore ai 5 secondi: pertanto in caso di dubbio
si deve procedere con le compressioni toraciche esterne e le ventilazioni. Infatti, la FV
molto fine difficilmente può essere convertita dalla defibrillazione in un ritmo
emodinamicamente valido. Una RCP ininterrotta e di buona qualità può invece aumentare
l’ampiezza della FV migliorando la probabilità di convertirla con la defibrillazione in un ritmo
emodinamicamente valido.
8) Durante la carica del defibrillatore bisogna continuare le compressioni toraciche
esterne?
Le linee guida 2010 enfatizzano l’importanza delle compressioni toraciche esterne
immediate e ininterrotte. Le compressioni toraciche vanno, infatti, interrotte solo per
controllare il ritmo al monitor e durante l’erogazione dello shock. Quando sono presenti due
soccorritori, quello che usa il defibrillatore applica le piastre mentre è in corso la RCP. Con
la defibrillazione manuale, è consigliabile effettuare la RCP durante la carica del
defibrillatore riducendo così la pausa pre-shock a meno di 5 secondi. Per motivi di
sicurezza, durante la carica del defibrillatore, gli altri componenti del team si devono
allontanare dal paziente, contribuendo alla sicurezza dell’operazione, mentre chi effettua le
compressioni toraciche esterne si allontanerà quando la carica del defibrillatore sarà
completa.
9) Se non si conosce il defibrillatore che si ha a disposizione, quale energia devo usare
per defibrillare?
È buona norma conoscere sempre gli strumenti con i quali si lavora; se, per vari motivi, non
si conosce il defibrillatore da utilizzare, poiché lo scopo è quello di interrompere il ritmo
defibrillabile nel più breve tempo possibile, è consigliato utilizzare l’energia massima che il
defibrillatore può erogare anche già a partire dal primo shock.
10) In caso di FV/TV refrattaria dopo aver somministrato 300 mg di amiodarone, se non
si interrompe il ritmo defibrillabile, posso usare altri farmaci?
Si parla di FV e TV refrattarie, quando, dopo aver erogato tre shock non si è riusciti ad
interrompere questa aritmia; le linee guida consigliano, dopo il terzo shock, la
somministrazione di 1 mg di adrenalina e di 300 mg di amiodarone durante i due minuti di
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RCP; se dopo questo ciclo di rianimazione persiste ancora il ritmo defibrillabile, subito dopo
aver erogato il quarto shock si può somministrare un altro bolo di 150 mg di amiodarone.
La lidocaina è indicata solo se non si possiede l’amiodarone e comunque non deve essere
praticata se si è già somministrato l’amiodarone; la dose di lidocaina consigliata è di 1-1.5
mg/Kg di peso corporeo, si può somministrare un bolo aggiuntivo di 50 mg, se necessario,
tenendo però presente che la dose totale non può superare i 3 mg/Kg nella prima ora.
11) In caso di asistolia si può somministrare atropina?
Le linee guida del 2010 non consigliano l’uso routinario di atropina in caso di asistolia e/o di
PEA: durante l’arresto cardiaco, infatti, l’asistolia è in genere causata da una patologia
primaria del miocardio piuttosto che da un ipertono vagale.
12) Se il paziente ha inizialmente un ritmo non defibrillabile e poi cambia in ritmo
defibrillabile, quando si somministrano l’adrenalina e l’amiodarone?
Se il paziente in arresto cardiocircolatorio presenta un ritmo non defibrillabile è indicata la
somministrazione di 1 mg di adrenalina il prima possibile, vale a dire appena reperito un
adeguato accesso venoso o intraosseo; la successiva dose di adrenalina verrà
somministrata dopo 3-5 minuti dalla prima, indipendentemente dal ritmo presente al
monitor, se il paziente continuerà ad essere in arresto cardiocircolatorio; i 300 mg di
amiodarone dovranno essere somministrati solo in caso di FV/TV refrattarie, cioè dopo il
terzo shock. Per fare un esempio pratico, se il paziente in arresto cardiocircolatorio
presenta inizialmente una PEA si provvederà subito alla somministrazione di 1 mg di
adrenalina seguito da due minuti di RCP; si valuterà il ritmo al monitor e se si dovesse
osservare un ritmo defibrillabile si provvederà a defibrillare in sicurezza; si faranno altri due
minuti di RCP poi si controllerà il monitor e se ad esempio fosse ancora presente un ritmo
defibrillabile si erogherà il secondo shock seguito da 1 mg di adrenalina, dal momento che
sono trascorsi circa 4-5 minuti dalla prima somministrazione di adrenalina.
13) Se durante la rianimazione cardiopolmonare posiziono una maschera laringea (LMA)
posso ventilare in modo asincrono rispetto al massaggio cardiaco?
Mentre la ventilazione asincrona con il massaggio è sempre possibile in caso intubazione
tracheale, una volta posizionato un presidio sovraglottico, come la LMA, si può tentare di
effettuare le compressioni toraciche continue senza interrompersi per le ventilazioni. Se
durante le ventilazioni la perdita di gas è tale da rendere inadeguata la ventilazione è
opportuno tornare ad effettuare la rianimazione cardiopolmonare effettuando le 2
ventilazioni alternate alle 30 compressioni toraciche.
14) Cosa succede se iperventilo il paziente?
Il numero di ventilazioni ottimali in un paziente che ha ripreso un circolo spontaneo dopo un
arresto cardiaco si aggira intorno ai 10-12 atti al minuto; ciò comporta una ventilazione ogni
5-6 secondi. Se si dispone di un ventilatore e il paziente è intubato si può connettere il tubo
al ventilatore che verrà programmato per questo numero di atti respiratori al minuto. Nel
caso in cui la ventilazione debba essere assicurata manualmente dall’operatore, è
importante evitare di effettuare un numero di ventilazioni rispetto alle 10-12 consigliate. La
PaCO2 (pressione parziale di CO2 nel sangue arterioso) è normalmente di 35-45 mmHg. Se
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la produzione metabolica di anidride carbonica rimane costante, l’unico fattore che influisce
sulla quantità nel sangue è la velocità alla quale viene rimossa dalla ventilazione alveolare.
Una diminuzione della ventilazione alveolare riduce l’eliminazione di CO2 causando un
aumento della PaCO2; al contrario se la ventilazione aumenta, al punto che la CO2 viene
rimossa più velocemente, si ottiene una riduzione della PaCO2.
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Quello che è fondamentale tenere presente è che il livello di CO2 nel sangue regola anche
il flusso ematico cerebrale; in caso di riduzione del livello di CO2 nel sangue arterioso si ha
una vasocostrizione cerebrale con conseguente riduzione dell’apporto di ossigeno al
tessuto cerebrale, verosimilmente già ipossico a causa dell’arresto cardiaco precedente al
ROSC e che è particolarmente dannoso soprattutto nella fase post arresto cardiaco
15) Se posiziono un accesso intraosseo posso somministrare qualsiasi farmaco e/o
soluzione o ci sono delle controindicazioni?
L’accesso intraosseo è un’alternativa utile nel caso in cui non sia possibile reperire un
accesso venoso periferico dopo due o tre tentativi; è fondamentale conoscere bene la
procedura ed attenersi scrupolosamente ad essa; attraverso la via intraossea si possono
somministrare tutti i farmaci e fluidi che si somministrano per via endovenosa, fatta
eccezione per i chemioterapici e, secondo alcuni studi, anche le soluzioni ipertoniche; le
dosi dei farmaci sono le stesse della via venosa periferica. E’ possibile somministrare
anche emoderivati.
16) Si possono somministrare i farmaci per via endotracheale?
L’utilizzo della via endotracheale non è più consigliato; in alternativa al mancato
reperimento della via venosa periferica si preferisce utilizzare l’accesso intraosseo che offre
maggiori garanzie sia in termini di sicurezza di assorbimento di farmaci, sia come
possibilità di poter infondere anche grandi volumi di liquidi. Se l’accesso venoso periferico o
l’accesso intraosseo non sono disponibili, farmaci liposolubili quali adrenalina,
vasopressina, lidocaina e naloxone possono essere somministrati per via endotracheale
durante arresto cardiaco (evidenza classe IIb); per via endotracheale bisogna
somministrare dosi 2-2,5 volte superiori rispetto alla via venosa periferica e bisogna diluire i
farmaci in 5 -10 ml di soluzione fisiologica; sarebbe opportuna la somministrazione
attraverso un catetere che superi il tubo endotracheale in modo da favorire l’assorbimento
attraverso la mucosa bronchiale.
17) Se si sospetta un’embolia polmonare si può fare la terapia trombolitica durante la
rianimazione cardio-polmonare?
Se si ritiene che la causa reversibile più probabile di arresto cardiocircolatorio del paziente
possa essere una tromboembolia polmonare, bisogna considerare la possibilità di
somministrare immediatamente un agente trombolitico quale alteplase alla dose di 50 mg a
bolo. Il trombolitico deve essere somministrato senza interrompere le manovre rianimatorie.
Dopo fibrinolisi bisogna continuare la RCP per almeno 60-90 minuti prima di interrompere i
tentativi di rianimazione, in quanto è questo il tempo medio che impiega il farmaco per
poter agire. Sono stati riportati casi di sopravvivenza con buon esito neurologico anche
dopo 60 m
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18) Durante le manovre rianimatorie in caso di arresto cardio-circolatorio si può fare
anche l’ecografia?
L’ecografia è ormai diventata sempre più un presidio diagnostico utile e indispensabile
anche durante la gestione di un arresto cardiocircolatorio. In mani esperte può essere utile
per l’individuazione di cause potenzialmente reversibili di arresto cardiaco, come il
tamponamento cardiaco, l’embolia polmonare, la trombosi coronarica, l’ipovolemia o il
pneumotorace iperteso. È raccomandata una posizione sottoxifoidea della sonda
ecografica; è utile, per non interrompere le manovre rianimatorie, posizionare la sonda
poco prima della pausa delle compressioni toraciche per la valutazione programmata del
ritmo; in tale momento di assenza di manovre rianimatorie si possono ottenere immagini
entro 10 secondi.
19) L’arresto cardio-circolatorio è sempre prevedibile?
La maggior parte degli arresti cardiocircolatori che si verificano in ospedale non sono eventi
improvvisi o imprevedibili; in circa l’80% dei casi si osserva un deterioramento clinico nelle
ore immediatamente precedenti l’arresto. Questi pazienti spesso mostrano una lenta e
progressiva alterazione dei parametri vitali, per lo più per problemi delle vie aeree (A), del
respiro (B) o del circolo (C), che sfuggono all’attenzione del personale sanitario o non
vengono adeguatamente trattati. Il riconoscimento precoce ed un trattamento adeguato dei
pazienti critici possono consentire di prevenire un certo numero di arresti cardiaci, di
decessi e di ricoveri imprevisti in terapia intensiva.
20) Che differenza esiste tra NSTEMI e Angina Instabile?
Le SCA si presentano dal punto di vista clinico in modo analogo; il paziente riferisce spesso
comparsa di dolore toracico di tipo oppressivo o costrittivo e talvolta dolore in sede
epigastrica; tale sintomatologia dolorosa, di solito della durata di almeno 20-30 minuti, si
irradia spesso alla gola, ad uno o ad entrambi gli arti superiori, al dorso o all’epigastrio.
L’ECG occasionalmente può essere normale o presentare alterazioni aspecifiche sia per
NSTEMI che per Angina Instabile (UA), quali un sottoslivellamento del tratto ST o
l’inversione delle onde T. Nello NSTEMI è presente una positività della troponina con o
senza innalzamento degli altri markers di necrosi miocardica, che indica che è avvenuto un
danno miocardico; la troponina risulta invece normale nell’Angina Instabile. La quantità di
troponina liberata riflette l’entità del danno miocardico.
21) In caso di SCA la somministrazione dei nitrati è sempre indicata?
I nitrati causano rilasciamento della muscolatura liscia vascolare con conseguente
dilatazione delle arterie coronariche e riduzione dello spasmo coronarico nel muscolo liscio.
Per tale azione i nitrati trovano indicazione in tutte le sindromi coronariche acute purché la
pressione arteriosa sistolica (PAS) sia superiore ai 90 mmHg; particolare cautela va posta
nei pazienti con STEMI inferiore (ST sopraslivellato in DII D III AVF); in questo caso è
indispensabile escludere la compromissione del ventricolo destro, che è irrorato in un terzo
dei casi dalla coronaria destra, come lo è la parete inferiore del ventricolo sinistro. Il
ventricolo destro viene studiato con le derivazioni destre V3R-V4R spostando cioè le
derivazioni V3 e V4 da sinistra a destra negli spazi intercostali corrispondenti e valutando, in
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queste derivazioni, l’eventuale presenza di ST sopraslivellato. L’evidenza di ST
sopraslivellato in V3R-V4R è indice di infarto del ventricolo destro che, quando presente,
controindica la somministrazione di nitrati, in quanto questi, determinando venodilatazione,
riducono il precarico con rischio di grave ipotensione.
22) In caso di allergia all’aspirina quale farmaco può essere somministrato come
alternativa?
L’ASA agisce inibendo la sintesi delle prostaglandine. A basse dosi (40-325 mg/die)
l’azione dell’ASA risulta selettiva a livello piastrinico, dove inibisce in modo irreversibile la
sintesi di trombossano A2, potente vasocostrittore e aggregante piastrinico (effetto
antitrombotico). In caso di IMA, l’ASA è risultato efficace sia nella prevenzione primaria, in
caso di paziente con sospetto infarto acuto, sia nella prevenzione secondaria. L’importanza
dell’impiego dell’ASA in pazienti con sospetto infarto è stato evidenziato nello studio ISIS-2.
In questo studio la somministrazione di ASA è risultata efficace nel ridurre la mortalità, sia
in monoterapia che in associazione con eparina senza incrementare il rischio di emorragie
gastro-intestinali. Il problema sorge qualora il paziente riferisca una sicura o probabile
allergia all’aspirina; in tali situazioni la somministrazione di ASA è da bandire e si preferisce
utilizzare solo il secondo antiaggregante piastrinico (il più indicato a seconda delle
caratteristiche del paziente tra Prasugrel, Clopidogrel o Ticagrelor) alla dose di carico.
23) Se il paziente ha una SCA, la somministrazione di ossigeno è sempre indicata?
Nelle SCA la somministrazione di O2 è indicata e volta a mantenere una SpO2 di 94-98%
nel soggetto normale e di 88-92% nel soggetto ipercapnico, ad esempio affetto da BPCO.
Diversi studi su animali indicano che l’iperossiemia causa stress ossidativo che danneggia i
neuroni nella fase post-ischemica. Uno studio clinico ha mostrato che l’iperossiemia postrianimazione è associata a prognosi peggiore rispetto alla normossiemia. In caso non si
disponga di un saturimetro è consigliata la somministrazione di ossigeno sino a che non si
sia in grado di valutare la saturazione ed eventualmente sospenderne la somministrazione.
24) Come si somministra la morfina?
La morfina è un potente antidolorifico e trova indicazione nel trattamento del dolore da
moderato a grave.
Gli effetti della morfina a livello cardiovascolare sono determinati dall’induzione di
liberazione di istamina con conseguente vasodilatazione arteriolare e venosa.
È pratica comune la somministrazione di morfina in caso di insufficienza ventricolare
sinistra acuta al fine di ottenere una riduzione del precarico ventricolare. La
somministrazione di morfina in caso di infarto acuto del miocardio con interessamento del
ventricolo destro è controindicata, in quanto in tale situazione una marcata riduzione del
ritorno venoso può determinare effetti emodinamici sfavorevoli.
Per la somministrazione, si consiglia di prendere una fiala di morfina da 10 mg/ml e diluirla
con 9 ml di soluzione fisiologica in siringa da 10 ml; si ottiene così una concentrazione di 1
mg/ml; si somministrano per via e.v. lenta 2-4 ml della soluzione ogni 5-20 minuti sino
all’ottenimento dell’effetto desiderato o alla comparsa di effetti indesiderati, anche se si
consiglia di non superare la dose massima di 20 mg. Bisogna fare attenzione soprattutto ai
pazienti con BPCO, grave cifoscoliosi, obesità grave e comunque a tutti quei pazienti che
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presentano una ridotta riserva respiratoria, per la possibile depressione dei centri
respiratori. È utile, quando si somministra la morfina, avere a disposizione l’antidoto
specifico (Naloxone).
25) Perché un BBsx di nuova insorgenza deve essere considerato alla stregua di uno
STEMI?
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Per “blocco di branca” intendiamo il rallentamento o l’interruzione della propagazione
dell’impulso a livello di branca destra o sinistra del fascio di His. La cardiopatia ischemica,
acuta e cronica, le miocardiopatie e altre patologie possono essere alla base di un blocco di
branca. Non sempre il blocco di branca è segno di cardiopatia. Anche nel cuore normale
può verificarsi un ritardo di attivazione senza che questo comprometta la salute del
paziente; questa affermazione, è valida soprattutto per il BBD e lo è meno per il BBS che,
molto frequentemente, è segno di cardiopatia anche importante o incipiente. Dal punto di
vista ECG il tratto ST nel BBS non è valutabile, per cui un BBSx di nuova insorgenza viene
considerato equivalente a uno STEMI.
26) La terapia trombolitica in caso di STEMI può essere iniziata sul territorio?
È ormai appurato che il paziente che presenta uno STEMI, debba arrivare nel laboratorio di
emodinamica nel più breve tempo possibile, per essere sottoposto ad angioplastica
primaria, qualora questa sia prevista. Per tale motivo in gran parte del territorio nazionale si
è sviluppata la “rete cardiologica dello STEMI” che prevede il trasporto del paziente con
STEMI direttamente dal territorio al laboratorio di emodinamica senza passare per il Pronto
Soccorso dell’Ospedale. Il trattamento preospedaliero dello STEMI dovrebbe prevedere la
somministrazione, così come da linee guida internazionali, nel “più breve tempo possibile”
di aspirina come primo antiaggregante piastrinico, di nitrati, se indicati, e di ossigeno, se
indicato; è inoltre auspicabile la somministrazione, già sul territorio, del secondo
antiaggregante piastrinico (Clopidogrel, Prasugrel Ticagrelor); si dovrebbe prevedere anche
la somministrazione di eparina sodica o eparina a basso peso molecolare.
27) La terapia trombolitica in caso di STEMI quando trova indicazione?
La fibrinolisi è una valida opzione terapeutica in caso di STEMI se i tempi di trasporto
all’ospedale munito di emodinamica sono molto lunghi. Se il tempo per effettuare
un’angioplastica primaria è superiore a due ore dal primo contatto medico, è indicata la
terapia trombolitica. È indispensabile, però, che il trattamento non sia controindicato, vale a
dire che il paziente non appartenga a quella categoria a rischio emorragico elevato, come
in caso di pregresso ictus emorragico o altre situazioni. Per i pazienti che si presentano da
meno di due ore dall’insorgenza del dolore, il tempo dal primo contatto medico alla PCI
dovrebbe essere inferiore a 90 minuti. Se ciò non è realizzabile è indicata la terapia
trombolitica. Dopo aver somministrato il trombolitico in circa 60-90 minuti la sintomatologia
dolorosa deve ridursi sino quasi a scomparire e il sopraslivellamento del tratto ST deve
ridursi di almeno la metà, altrimenti significa che la terapia trombolitica è stata inefficace e
diventa necessario effettuare nelle 24 ore successive una angioplastica di salvataggio (PCI
Rescue). Il trombolitico più comunemente utilizzato è il Tenecteplase, che viene
somministrato in base al peso corporeo; è facile da usare in quanto nella siringa è indicato
il peso del paziente a cui corrispondono i mg di farmaco da somministrare. Si va da un
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minimo di 30 mg per peso inferiore ai 60 Kg ad un massimo di 50 mg per pazienti che
pesano 90 Kg o più.
28) A proposito di ipotermia terapeutica dopo ROSC.
Sulla base delle evidenze scientifiche attualmente disponibili, l’ipotermia terapeutica è
consigliata per tutti i pazienti che, dopo essere stati rianimati da un arresto cardiaco,
rimangano in coma, indipendentemente dal ritmo ECG di presentazione.
Il Comitato Scientifico di IRC, in accordo con il Consiglio Direttivo, ha pubblicato sul sito
IRC nel dicembre 2013 alcuni aggiornamenti e indicazioni sulla gestione della temperatura
in ambito pre e intraospedaliero, dopo revisione della letteratura sull’argomento:
1. La gestione della temperatura rimane un obiettivo importante nell’ambito di un
protocollo standardizzato del trattamento post-rianimazione.
2. L’infusione di cristalloidi freddi (2 l a 4°C in sacca a pressione) come metodo di
induzione dell’ipotermia preospedaliera post-ROSC non venga effettuata, in quanto di
utilità non dimostrata e potenzialmente gravata da effetti collaterali.
3. I singoli centri sono liberi di scegliere se mantenere i pazienti a 33° C o 36°C per 24 ore
dal raggiungimento della temperatura target; protocolli di trattamento post-rianimazione
già in uso possono essere mantenuti inalterati in attesa della pubblicazione di nuove
Linee Guida o di interim statements dell’ILCOR.
4. La gestione della temperatura in pazienti che rimangano privi di coscienza dopo il
graduale riscaldamento deve proseguire avendo come obiettivo la normotermia (37°C
di temperatura centrale) almeno per 72 ore dopo il ROSC ed evitando rigorosamente
l’ipertermia.
29) In caso di bradicardia sintomatica se non si raggiungono gli effetti desiderati dopo la
somministrazione di 3 mg di atropina si può continuare la somministrazione di altri
boli da 0,5 mg?
L’atropina antagonizza l’azione dell’acetilcolina a livello dei recettori muscarinici. Blocca,
pertanto, l’effetto del nervo vago sia a livello del nodo seno-atriale (SA) sia del nodo atrioventricolare (AV), aumentando l’automaticità del nodo del seno e facilitando la conduzione
AV. Dal momento che la dose di 3 mg serve per bloccare tutti i recettori muscarinici, non
trova indicazione l’ulteriore somministrazione di atropina dopo aver raggiunto la dose
massima. Si possono prendere in considerazione farmaci cosiddetti alternativi.
30) In caso di bradicardia sintomatica in attesa di posizionamento del pacing è indicata
la somministrazione di atropina?
In presenza di bradicardia sintomatica il pacing transvenoso rappresenta l’opzione
terapeutica principale; in attesa del posizionamento del pacing stesso le opzioni
terapeutiche prevedono la somministrazione di atropina di 0.5 mg (ripetibile fino ad un
massimo di 3 mg), l’uso di farmaci alternativi quali isoprenalina o adrenalina ed il
posizionamento temporaneo di pacing transtoracico.
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31) Se il paziente che presenta una bradicardia è stato sottoposto a trapianto cardiaco è
indicata la somministrazione di atropina?
Il cuore trapiantato non presenta innervazione vagale e non risponde pertanto all’atropina,
che peraltro può determinare in questi casi BAV di grado elevato, come anche arresto
sinusale; i farmaci che trovano indicazione nei pazienti con bradicardia sintomatica dopo un
trapianto cardiaco sono i così detti farmaci alternativi quali l’adrenalina, l’isoprenalina, la
dopamina, la teofillina ed il glucagone.
32) Se dopo somministrazione di atropina non si ha una risposta soddisfacente si
possono utilizzare farmaci alternativi?
In alcune situazioni cliniche può essere appropriato l’uso di farmaci di seconda linea;
considerare ad esempio il glucagone per via endovenosa in caso di intossicazione da betabloccanti o calcio-antagonisti; considerare l’utilizzo di frammenti anticorpali specifici per la
digossina in caso di intossicazione da digitale. Considerare anche l’uso di teofillina, se la
bradicardia insorge come complicanza di un IMA inferiore, di un trauma midollare o di un
trapianto cardiaco. Altri farmaci di seconda linea sono l’isoprenalina, l’adrenalina e la
dopamina. La dose di glucagone da somministrare è di 50-150 μg/Kg per via endovenosa
in media dai 3 ai 10 mg (3-10 fl), l’isoprenalina si somministra al dosaggio iniziale di 5
μg/min, la teofillina 100-200 mg in infusione lenta, l’adrenalina alla dose di 2-10 μg/min e la
dopamina alla dose di 2.5-10 μg/Kg/min.
33) Se dopo aver posizionato il pacing il paziente lamenta dolore per la contrazione
muscolare, quali farmaci si possono utilizzare per la sedazione?
I pazienti coscienti solitamente avvertono un notevole fastidio durante la stimolazione
transcutanea soprattutto se questa dura molto tempo e viene impiegata ad un’energia
elevata. In tali condizioni sarebbe opportuna la somministrazione di analgesici e sedativi,
quali il midazolam, che è più indicato rispetto al propofol, in quanto presenta una ridotta
azione sull’apparato cardiocircolatorio. La somministrazione di midazolam viene fatta alla
dose di 0.1-0.3 mg/Kg effettuata con boli piccoli, sino al raggiungimento dell’effetto
desiderato.
34) Quali sono i segni che fanno capire che il pacing transcutaneo sta funzionando?
Dopo aver selezionato una frequenza di stimolazione adeguata, che di solito corrisponde a
60-90/battiti al minuto, bisogna selezionare il livello minimo di energia ed iniziare la
stimolazione; si prosegue poi incrementando progressivamente il livello di energia tenendo
sotto controllo il paziente e il tracciato ECG. Sul tracciato comparirà un artefatto di
stimolazione: lo “spike”. Bisogna aumentare ulteriormente l’energia fino a quando ogni
“spike” sarà seguito da un complesso QRS, espressione di cattura elettrica. I segni
elettrocardiografici che indicano l’efficacia del pacing sono: la presenza dello “spike”, del
complesso QRS e dell’onda T di ripolarizzazione. Dal punto di vista clinico il segno che
indica un buon funzionamento del pacing è rappresentato dalla presenza del polso
palpabile che conferma la presenza di “cattura meccanica”. Una buona “cattura elettrica”
senza “cattura meccanica” configura una condizione di PEA e la causa più probabile di ciò
è un grave danno del miocardio. Con un’adeguata cattura meccanica ci si aspetta un
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miglioramento della perfusione e delle condizioni cliniche del paziente che vanno rivalutate
secondo lo schema ABCDE.
35) In caso di rischio di asistolia è preferibile posizionare direttamente il pacing o tentare
prima con la somministrazione di atropina?
Il rischio di asistolia esiste in caso di asistolia recente, di BAV di II grado Mobitz 2, di BAV di
III grado, oppure in presenza di pause ventricolari maggiori di 3 secondi.
In queste circostanze è indicato il posizionamento del pacing transvenoso, che può essere
preceduto (soprattutto per questioni di tempi organizzativi) dalla somministrazione di un
bolo di 0.5 mg di atropina eventualmente ripetibile, sino ad una dose massima di 3 mg,
dall’uso di farmaci di seconda linea (isoprenalina, adrenalina, dopamina, teofillina e
glucagone), oppure dall’uso di pacing transtoracico.
36) Quando è indicata la cardioversione sincronizzata in caso di TV con polso?
La TV è un’aritmia particolarmente temibile e grave che, se non trattata prontamente, può
evolvere in ARRESTO CARDIO-CIRCOLATORIO. Le opzioni terapeutiche dipendono dalle
condizioni cliniche del paziente. Per frequenze cardiache elevate, in genere superiori a
150/min, si possono creare situazioni emodinamiche sfavorevoli dovute al ridotto
riempimento ventricolare diastolico che, a sua volta, comporta una riduzione della gittata
sistolica; in conseguenza di ciò compaiono i segni e i sintomi di instabilità emodinamica del
paziente. L’ipoperfusione cerebrale è all’origine dell’obnubilamento del sensorio e/o della
sincope; il paziente può presentare dispnea a causa dell’ipoperfusione sistemica, così
come dolore toracico secondario all’ipoperfusione coronarica; la riduzione della gittata
sistolica è alla base dell’ipotensione. Se sono presenti questi sintomi, anche solo in parte, il
paziente si può considerare instabile dal punto di vista emodinamico e, pertanto, il
trattamento più indicato della tachicardia ventricolare è rappresentato dalla cardioversione
elettrica sincronizzata che richiede meno tempo di quella farmacologica e garantisce una
maggiore efficacia con minori effetti collaterali. Bisogna ricordare che si tratta di pazienti
coscienti, pertanto è indispensabile prima di tutto provvedere ad un’efficace sedazione ed
eventuale analgesia; il farmaco più indicato per la sedazione è il midazolam alla dose di
0.1-0.3 mg/Kg in bolo. È sconsigliato l’uso del propofol in quanto determina una marcata
vasodilatazione periferica con conseguente riduzione della pressione arteriosa e
peggioramento della perfusione.
37) Esistono delle situazioni in cui si possono effettuare tre defibrillazioni consecutive
per una FV/TV senza polso senza fare i 2 minuti di RCP tra una scarica e l’altra?
Se il paziente ha un ARRESTO CARDIO-CIRCOLATORIO testimoniato e monitorizzato in
sala di emodinamica o subito dopo un intervento di cardiochirurgia, si deve confermare
l’arresto cardiaco e, se il ritmo è una FV o una TV senza polso, si possono erogare sino a
tre shock consecutivi. Dopo l’erogazione della tripletta di shock si deve procedere con le
compressioni toraciche esterne per due minuti. Nell’ambito dell’algoritmo ALS questi tre
shock sono conteggiati come primo shock. Si può prendere in considerazione questa
strategia a tre shock consecutivi anche per un ARRESTO CARDIO-CIRCOLATORIO in
FV/TV senza polso monitorizzato e testimoniato, se il paziente è già connesso ad un
defibrillatore. Questa circostanza però è rara. Non ci sono dati a sostegno di questa
strategia a tre shock in nessuna di queste circostanze, ma è improbabile che le
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compressioni toraciche esterne migliorino la possibilità già molto elevata di ROSC quando
la defibrillazione venga effettuata all’inizio della fase elettrica, subito dopo la comparsa
dell’FV.
38) In ambiente extraospedaliero quali sono le manovre vagali consigliate?
Le manovre vagali sono indicate nelle tachicardie a complessi stretti regolari, vale a dire in
caso di QRS la cui durata è inferiore ai 0,12 sec. (meno di tre quadratini piccoli all’ECG). Le
manovre vagali utili sono la manovra di Valsalva e il massaggio del seno carotideo.
Quest’ultima manovra è riservata soprattutto all’ambiente intraospedaliero, in quanto, dopo
tale manovra, sono stati osservati casi di ictus secondari alla mobilizzazione di placche
ateromasiche. Per tale motivo in ambiente extraospedaliero è indicata l’esecuzione della
manovra di Valsalva, che consiste nel far effettuare al paziente un’espirazione forzata a
glottide chiusa. Nella pratica clinica è utile far eseguire questa manovra invitando il
paziente a soffiare energicamente in una siringa da almeno 20 ml dal beccuccio, dal quale
è stato rimosso l’ago, nel tentativo di spostare lo stantuffo. Il paziente effettuerà così la
manovra di Valsalva.
39) Che grado di attendibilità può avere un paziente che riferisce che la FA è insorta al
momento se non possiede un ECG precedente?
La FA è senza dubbio una delle aritmie più frequenti. Capita talvolta che il paziente riferisca
di una recentissima insorgenza dell’aritmia stessa senza però alcuna documentazione
ECGgrafica che possa datarla con assoluta sicurezza. Questo può comportare delle
difficoltà nelle scelte terapeutiche in quanto, come accade spesso in soggetti anziani o
comunque poco attenti, il sintomo “fastidio” può comparire quando vi è un aumento della
frequenza ventricolare media, pur essendo la FA presente da tempo senza essere avvertita
dal paziente stesso. Bisognerebbe, pertanto, fare riferimento a ECG recenti per tentare di
collocare la FA in un periodo di tempo certo rispetto alle 48 ore precedenti.
40) La FA deve sempre essere trattata?
Il trattamento della FA dipende dalle condizioni cliniche del paziente. Se il paziente ha
segni di allarme ed è a rischio di deterioramento a causa della tachiaritmia, è indicato il
trattamento nel più breve tempo possibile indipendentemente dal tempo di insorgenza
dell’aritmia stessa; in tutti gli altri casi l’esperto valuterà il trattamento più indicato che potrà
essere rinviato nel tempo dopo un periodo adeguato di terapia anticoagulante.
41) Quali sono le strategie terapeutiche in caso di FA?
Il trattamento della FA dipende principalmente dalle condizioni cliniche del paziente. Se il
paziente è emodinamicamente instabile a causa dell’aritmia, è indicata la cardioversione
elettrica sincronizzata, preceduta da sedazione; si prevede in questi casi anche la
somministrazione di un bolo di eparina sodica non frazionata di 5.000 U.I. o meglio di 60-70
U/Kg di peso corporeo oppure di eparina a basso peso molecolare. Se non ci sono segni di
allarme che obblighino alla cardioversione elettrica sincronizzata in urgenza, le opzioni
terapeutiche sono:
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•
Controllo della sola frequenza cardiaca
•
Controllo del ritmo mediante cardioversione farmacologica
•
Controllo del ritmo mediante cardioversione elettrica
Se la FA non è facilmente databile o se è presente da più di 48 ore, è indicato il solo
controllo della frequenza cardiaca con farmaci quali i beta-bloccanti (metoprololo), i calcioantagonisti (verapamil e diltiazem) o digossina. Il controllo del ritmo con la cardioversione
farmacologica e/o elettrica si farà solo dopo aver “scoagulato” il paziente, avendo cioè
praticato, per almeno tre settimane, una terapia anticoagulante efficace (documentazione di
INR in range terapeutico). L’uso dell’amiodarone è indicato solo se la FA è insorta da meno
di 48 ore in quanto, in una percentuale non trascurabile di casi, l’amiodarone cardioverte
farmacologicamente l’FA in RS; la digitale è indicata soprattutto nei pazienti con
insufficienza cardiaca.
Per quanto riguarda i beta-bloccanti, il farmaco più frequentemente utilizzato è il
metoprololo alla dose di 2-5 mg e.v., ripetibile ogni 5 minuti sino al raggiungimento della
dose massima di 15 mg.
Tra i calcio-antagonisti i farmaci consigliati sono il verapamil, alla dose di 2.5-5 mg in due
minuti con eventuali dosi ripetute di 5-10 mg ogni 15-30 minuti sino ad una dose massima
di 20 mg e il diltiazem, alla dose di 0,25 mg/kg, seguita da una seconda dose di 0,35
mg/kg.
La digossina si somministra alla dose di 0.5 mg per via endovenosa in 3-5 minuti; la
digitalizzazione rapida prevede una dose totale di 1-1.5 mg; metà dose (0.5 mg) vengono
somministrati al tempo zero, poi ¼ della dose totale dopo 4-6 ore e ¼ dopo altre 4-6 ore.
42) Un complesso ventricolare (QRS) >0,12 sec è sempre di origine ventricolare?
Il complesso QRS corrisponde alla depolarizzazione dei ventricoli. In condizioni di integrità
del sistema di conduzione dell’impulso elettrico, la durata del complesso ventricolare è al
massimo di 0,12 sec, che all’ECG corrisponde a tre quadratini piccoli. La presenza di un
complesso QRS di tale durata ci fa stabilire che l’origine dell’impulso è certamente
sopraventricolare.
Quando una delle due branche delle vie di conduzione (destra o sinistra) è mal
funzionante, la conduzione rapida al ventricolo si interrompe. L’impulso di depolarizzazione
viaggia velocemente verso il ventricolo non interessato dal blocco, mentre raggiunge l’altro
ventricolo più lentamente attraverso le fibre di Purkinjie ed il miocardio comune. Questa
situazione è chiamata blocco di branca e la depolarizzazione dei ventricoli richiede più
tempo del normale; ciò si evidenzia all’ECG con un complesso QRS largo della durata
superiore a 0,12 sec. In questo caso l’origine dell’impulso è sopraventricolare, ma con
un’aberranza di conduzione. Il complesso QRS largo, pertanto, non è sempre indicativo di
origine ventricolare.
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43) In caso di TV con polso cosa si deve fare se dopo i tre shock non avviene la
cardioversione?
Dopo aver valutato il paziente secondo il metodo ABCDE, se è presente una TV
emodinamicamente instabile, è indicata la cardioversione elettrica sincronizzata da
effettuare nel più breve tempo possibile non dimenticando la sedazione del paziente, ad
esempio con midazolam alla dose di 0.1-0.3 mg/Kg di peso corporeo. L’energia consigliata
per la cardioversione sincronizzata dipende fondamentalmente dal tipo di defibrillatore
utilizzato. In genere la prima scarica consigliata per una TV o una FA è di 120-150 J se si
tratta di un defibrillatore bifasico, mentre è di 200 J con un defibrillatore monofasico; se
dopo aver erogato il primo shock non si riesce ad interrompere la TV si effettua un secondo
shock utilizzando una energia di livello intermedio tra quella iniziale e, se inefficace, una
terza ed ultima scarica, che deve essere erogata alla massima energia permessa dal
defibrillatore. Dopo il terzo shock si somministrano 300 mg di amiodarone in 10-20 minuti
ed eventualmente, se ancora la TV non è stata interrotta, si può procedere con un altro
shock all’energia massima erogabile dal defibrillatore, seguito da infusione di 900 mg di
amiodarone nell’arco delle 24 ore. Va sottolineata l’importanza di controllare la presenza di
polso dopo ogni scarica per rilevare l’eventuale comparsa di arresto cardiaco
44) Se mi trovo di fronte ad una Tachicardia a complessi larghi irregolare come mi devo
comportare?
In presenza di tachicardia a complessi larghi irregolare, il trattamento consigliato dipende
sempre dalle condizioni cliniche del paziente; se è emodinamicamente instabile è indicata
la cardioversione elettrica sincronizzata; diversa è la situazione in cui il paziente sia
emodinamicamente stabile. La diagnosi più probabile è che si tratti di una FA con blocco di
branca e l’esecuzione di un ECG a 12 derivazioni potrebbe aiutarci nella diagnosi. Se la
diagnosi fosse confermata, il trattamento sarà quello previsto per la FA. Altra situazione
potrebbe essere una FA con pre-eccitazione ventricolare in paziente con WPW: in tal caso
è indicata la somministrazione di amiodarone. Infine potrebbe trattarsi, anche se
difficilmente in assenza di segni di allarme, di una TV polimorfa, come una torsione delle
punte in cui è indicata la somministrazione di 2 gr di solfato di magnesio in 10 minuti.
45) In caso di arresto cardio-circolatorio testimoniato l’algoritmo cambia rispetto alle
situazioni in cui l’arresto cardiocircolatorio non è testimoniato?
Se il paziente dovesse andare incontro a un arresto cardio-circolatorio testimoniato,
l’algoritmo di trattamento non cambia rispetto al caso di arresto cardio-circolatorio non
testimoniato; dopo aver confermato l’arresto cardio-circolatorio si inizieranno
immediatamente le compressioni toraciche esterne e le ventilazioni sino a quando non sarà
disponibile un defibrillatore per l’analisi del ritmo. In caso si abbia a disposizione un
defibrillatore manuale, lo si potrà utilizzare per effettuare un “Quick Look”, interrompendo le
manovre rianimatorie per un periodo massimo di 5 secondi; se invece si dispone di un DAE
si provvederà all’applicazione delle piastre adesive e solo dopo si interromperanno le
compressioni toraciche esterne per consentire al defibrillatore di analizzare il ritmo.
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46) In caso di anafilassi qual è il trattamento farmacologico più indicato?
L’anafilassi è una reazione di ipersensibilità generalizzata o sistemica grave e
potenzialmente mortale. L’anafilassi è caratterizzata dallo sviluppo molto rapido di
ostruzione delle vie aeree e di problemi respiratori e circolatori solitamente associati ad
alterazione della cute e delle mucose. La maggior parte delle reazioni si sviluppa nel giro di
alcuni minuti. Raramente può verificarsi un esordio più lento. Poiché si tratta di un quadro
rapidamente evolutivo, è assolutamente indispensabile instaurare una terapia aggressiva
nel più breve tempo possibile. Il farmaco più importante per il trattamento della reazione
anafilattica è l’adrenalina, somministrata per via intramuscolare alla dose di 0.5 mg,
eventualmente ripetibile dopo 5 minuti in assenza di scomparsa dei sintomi; il sito migliore
per l’iniezione intramuscolare è la parte antero-laterale della coscia con un ago
sufficientemente lungo per garantire che l’adrenalina venga iniettata nel muscolo. La
somministrazione per via endovenosa è sconsigliata, in quanto può causare ipertensione
arteriosa pericolosa per la vita, tachicardia, aritmie ed ischemia miocardica e comunque
non deve essere mai usata alla concentrazione di 1:1000. Raramente e con particolare
cautela si possono usare piccoli boli di adrenalina diluita 1:10.000. Per ottenere ciò si
utilizza una fiala di adrenalina 1:1000 e si porta in siringa a 10 ml con soluzione fisiologica,
ottenendo così una concentrazione di 100 μg/ml; la dose da somministrare è di 50 μg, cioè
0.5 ml per volta. Oltre all’adrenalina, farmaco principale nel trattamento dello shock
anafilattico, altri farmaci che si devono somministrare sono: ossigeno ad alti flussi e un bolo
endovenoso rapido di 1000 ml di cristalloidi, da preferire ai colloidi, in quanto questi ultimi
possono essere allergizzanti. È indicata inoltre la somministrazione di 200 mg di
idrocortisone e.v. per ridurre o evitare la reazione prolungata, così come la
somministrazione di 10 mg di clorfenamina per via endovenosa lenta.
47) Quando si usa il glucagone nell’anafilassi?
In caso di anafilassi per i pazienti insensibili all’adrenalina, specialmente quelli trattati con
beta-bloccanti, è indicata la somministrazione di glucagone alla dose di 1-2 mg per via
endovenosa, che si può ripetere ogni 5 minuti, sino alla risoluzione dell’ipotensione.
48) In caso di arresto cardiocircolatorio per anafilassi si possono somministrare anche
cortisonici e antistaminici?
L’anafilassi può evolvere in arresto cardio-circolatorio soprattutto se il paziente non è stato
adeguatamente trattato; in caso di arresto cardio-circolatorio, oltre al protocollo standard
ALS, è indicata la somministrazione di 200 mg di idrocortisone e di 10 mg di clorfenamina,
in associazione a ampi volumi
di fluidi. Può essere necessaria una rianimazione
prolungata.
49) In caso di iperkaliemia certa o fortemente sospetta (pazienti dializzati) è consentita la
somministrazione di bicarbonato di sodio?
L’iperpotassiemia solitamente è causata da un’aumentata liberazione di K dalle cellule o da
una ridotta eliminazione del K da parte dei reni. Questa condizione viene definita da una
potassiemia superiore a 5.5 mmol/L. Man mano che la kaliemia aumenta, aumenta anche il
rischio di eventi avversi e quindi la necessità di trattamento urgente. L’iperpotassiemia
grave è stata definita come una potassiemia superiore a 6.5 mmol/L. La somministrazione
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di bicarbonato di sodio è indicata solo per condizioni di iperkaliemia grave, vale a dire
quando la kaliemia è superiore a 6.5 mmol/L. Questo parametro diventa difficile da valutare
in ambiente extraospedaliero quando non è disponibile il valore di kaliemia: la
somministrazione di bicarbonato è comunque consigliata in caso di situazioni fortemente
sospette (e.g, paziente con IRC).
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La dose di bicarbonato da somministrare è 50 mmol di bicarbonato di sodio, cioè 84 ml di
bicarbonato al 5% o 50 ml di bicarbonato all’8.4%.
50) Come si costituisce una soluzione contenente 50 g di glucosio?
50 g di glucosio sono contenuti in una soluzione di 500 ml di glucosata al 10% o in 250 ml
di soluzione glucosata al 20%.
51) In caso di arresto cardiocircolatorio per iperkaliemia quali sono i farmaci specifici
che si utilizzano oltre quelli previsti per l’arresto?
L’iperkaliemia grave e persistente, se non trattata, può portare ad arresto cardiocircolatorio; anche in questo caso, dopo aver confermato l’arresto cardio-circolatorio,
bisogna procedere con la rianimazione cardiopolmonare secondo l’algoritmo ALS. In
aggiunta a ciò bisogna prevedere una strategia terapeutica che consenta da una parte di
favorire l’eliminazione del potassio e lo spostamento del potassio stesso all’interno delle
cellule e dall’altra di proteggere il cuore dall’azione tossica e lesiva che il potassio stesso
può provocare. Per proteggere il cuore occorre somministrare calcio cloruro al 10%, 10 ml
in bolo endovenoso. Al fine di spostare il potassio all’interno delle cellule è utile infondere
per via endovenosa rapida una soluzione costituita da 10 UI di insulina e 50 gr di glucosio;
è altresì indicata la somministrazione di bicarbonato di sodio 50 mmol per via endovenosa
rapida. Inoltre, si può prendere in considerazione la somministrazione durante la
ventilazione di salbutamolo (6-8 puff) attraverso l’Ambu.
52) Cos’è il P/F, come si determina e quale utilità ha?
Il P/F è il valore ottenuto mettendo in rapporto la pressione parziale di O2 nel sangue
arterioso (al numeratore), con la frazione inspiratoria di O2 (al denominatore). Per la
corretta determinazione la PaO2 deve essere espressa in mm di Hg e la frazione inspiratoria
di O2 come numero puro (ad esempio 0,21 per l’aria ambiente). Tale parametro è
fondamentale per valutare la capacità di scambio di O2 del parenchima polmonare, in
quanto rapporta la PaO2 misurata alla quantità di O2 somministrato nel gas inspirato. Il
valore normale è >450 mmHg, anche se valori >300 vengono ritenuti accettabili. Valori
<200 rappresentano un’importante compromissione della diffusione di O2 attraverso la
membrana alveolo-capillare. Di fronte ad un valore assoluto di PaO2 normale, ad esempio
96 mmHg, ben diversa è la situazione se tale valore è ottenuto in aria ambiente (FiO2 0,21P/F 457 mmHg), con O2 al 50% (FiO2 0,5-P/F 192 mmHg) o al 70% (FiO2 0,7-P/F 137
mmHg); negli ultimi due casi il parenchima polmonare ha una capacità di scambio dell’O2
molto ridotta: situazione tipica, ad esempio, dell’ispessimento diffuso della membrana
alveolo-capillare, come si verifica nell’edema polmonare cardiogeno e non cardiogeno,
nelle interstiziopatie diffuse o nella polmonite grave. Il rapporto P/F rappresenta dunque un
utile complemento nella valutazione dell’ossigenazione al momento della lettura dell’EGA,
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in quanto consente di evidenziare un deficit di scambio del parenchima polmonare anche di
fronte a valori assoluti di PaO2 normali.
53) Quando sospettare un disordine misto dell’equilibrio acido-base?
Un disordine misto dell’equilibrio acido-base si verifica quando sono simultaneamente
presenti due o più disturbi semplici. Dovrebbe essere sospettato quando:
•
pH normale in presenza di PaCO2 e/o HCO3- anormali (presenza di due disturbi che
vanno in senso opposto)
•
Disturbo apparentemente semplice in cui non sia rispettata la regola del compenso;
tale regola prevede che all’instaurarsi di un disturbo dell’equilibrio acido-base
l’organismo metta in atto dei meccanismi di compenso (respiratori nei disturbi
metabolici e renali nei disturbi respiratori), la cui entità è prevedibile e dovrebbe
rispettare i seguenti valori:
Disturbo primario
Compenso atteso
Acidosi respiratoria acuta
10 CO2
1 HCO3-
Acidosi respiratoria cronica
10 CO2
3,5 HCO3-
Alcalosi respiratoria acuta
10 CO2
2 HCO3-
Alcalosi respiratoria cronica
10 CO2
4 HCO3-
Acidosi metabolica
1 HCO3-
1,2 CO2
Alcalosi metabolica
1 HCO3-
0,5 CO2
• pH estremamente acido o alcalino, per mancanza di compenso o per presenza di
due disturbi dello stesso segno, ad esempio acidosi metabolica e respiratoria presenti
simultaneamente.
54) Cos’è il Gap Anionico, come si determina e quale utilizzo può avere?
L’organismo umano rispetta il principio dell’elettroneutralità dei liquidi corporei, secondo cui
il numero delle cariche elettriche positive deve essere uguale a quello delle cariche
negative. Tuttavia, non tutte le molecole cariche elettricamente possono essere dosate e
quantificate. Pertanto la differenza tra le cariche positive e negative non è nulla, ma risulta
positiva, per l’incapacità di misurare alcune molecole dotate di carica negativa. A tale
valore si dà il nome di “gap anionico”. Il gap anionico viene calcolato come segue: (Na+ +K+)-(Cl-+HCO3-). Di solito, per semplicità di calcolo, il potassio viene trascurato, quindi la
formula diventa: Na +-(Cl-+HCO3-). Il suo valore normale è di 10 +/- 2. L’utilità di tale
parametro risiede nel fatto che fornisce al clinico un orientamento diagnostico sull’eziologia
dell’acidosi metabolica. Infatti, le acidosi metaboliche vengono distinte in acidosi a gap
anionico aumentato e in acidosi a gap anionico normale. Le prime sono quelle in cui
vengono prodotti degli anioni non compresi nel calcolo del gap anionico; come risposta, per
mantenere l’elettroneutralità, la concentrazione di Cl- diminuisce in quanto l’eccesso di
cariche negative è rappresentato da anioni non misurati, come succede in caso di
chetoacidosi, acidosi lattica e acidosi associata ad insufficienza renale. Le acidosi
metaboliche a gap anionico normale sono invece ipercloremiche, in questi casi il calcolo del
gap anionico mostra valori non alterati, come nel caso di acidosi da diarrea profusa o nelle
acidosi tubulari renali.
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55) Quale farmaco vasoattivo è più utile nell’immediata fase post-ROSC?
L’immediata fase post-arresto si caratterizza in genere per una grande instabilità
emodinamica e non sono improbabili nuovi deterioramenti che, se non riconosciuti e trattati
in tempo, possono evolvere verso un nuovo episodio di arresto cardio-circolatorio. Per tale
ragione è fondamentale un’immediata rivalutazione dei parametri emodinamici e sin da
subito una loro ottimizzazione. Il carico di fluidi è spesso il primo strumento a disposizione
in questa fase, in cui non sono di solito disponibili strumenti di monitoraggio più
approfondito. Talvolta anche l’ottimizzazione del riempimento delle camere cardiache non è
sufficiente, o può non essere indicato; può essere quindi necessario il ricorso a farmaci
vasoattivi. L’approccio ottimale all’uso dei farmaci inotropi e/o vasoattivi prevede l’utilizzo di
strumenti di valutazione più o meno invasivi del riempimento delle camere cardiache, della
performance miocardica, nonché delle resistenze vascolari. Purtroppo, tali strumenti sono
solo raramente disponibili nell’immediato post-arresto, appartenendo a un impiego per lo
più intensivistico. Si deve pertanto agire spesso in loro assenza. Farmaci come la
noradrenalina, l’adrenalina, la dobutamina o altri inotropi andrebbero inoltre somministrati
preferibilmente attraverso un accesso venoso centrale, la cui disponibilità è molto
infrequente in un contesto di arresto cardiaco. Per tali ragioni, la dopamina rappresenta il
farmaco più versatile e facilmente utilizzabile nell’immediata fase post-arresto. Il suo utilizzo
è possibile attraverso accesso venoso periferico, benché anche con la dopamina siano
possibili danni ischemici tessutali in caso di stravaso. Il dosaggio può essere modulato in
modo da sfruttare l’effetto prevalente β1 (5-10 μg/Kg/min) o anche vasocostrittore α1 (>10
μg/Kg/min). Il dosaggio dovrà essere titolato in base all’effetto desiderato e a quello
ottenuto, oltre che in considerazione dell’insorgenza di eventuali effetti avversi; non bisogna
infatti dimenticare che la dopamina determina un aumento di consumo miocardico di O2 ed
è aritmogena. Ai fini pratici, per la somministrazione attraverso un accesso venoso
periferico è preferibile usare una soluzione contenente 200 mg di dopamina in 250 ml di
fisiologica o glucosata al 5%, più diluita di quella solitamente somministrata attraverso un
accesso venoso centrale.
56) Quali strumenti possono essere usati per indurre e mantenere l’ipotermia
terapeutica?
Esistono differenti modalità per indurre e mantenere l’ipotermia terapeutica. Esse
differiscono per efficacia e complessità. Schematicamente possono essere suddivise in
sistemi ad azione interna e sistemi ad azione esterna. Tra i primi si annoverano:
• Sistemi basati su prelievo, raffreddamento e risomministrazione del sangue del
paziente; il sangue viene fatto transitare attraverso scambiatori di calore; la forma più
complessa di questo sistema consente anche un supporto all’ossigenazione e/o alla
circolazione, rappresentando una vera e propria circolazione extracorporea. Grazie
allo stretto controllo della temperatura, rilevata solitamente a livello esofageo o
tracheale, tali metodiche rappresentano i sistemi più precisi e rapidi per indurre e
mantenere l’ipotermia terapeutica. Sono tuttavia costosi e richiedono spesso l’uso di
accessi vascolari dedicati di grosso calibro.
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Tra i sistemi ad azione esterna si ricordano:
•
•
Impacchi freddi nelle zone di superficializzazione dei principali vasi arteriosi, come il
collo, ascelle, pieghe inguinali che offrono sicuramente il vantaggio della economicità,
possono essere utili nella fase di induzione, ma sono difficilmente gestibili nella fase
di mantenimento.
Cuscini o corpetti ad acqua fredda, servocontrollati tramite termostato da una
macchina dedicata che regola il flusso dei liquidi e a cui viene connessa la sonda di
temperatura.
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2015-02-17 FAQ ALS corrette definitive