Disturbo di comprensione del testo (DCT)
Consuelo Marazziti
Docente e psicoterapeuta
Saper leggere e comprendere è un compito complesso a livello cognitivo perché la lettura
necessita sia di meccanismi di decodifica che di comprensione.
Ma se uno studente non comprende un testo ha un disturbo di comprensione (DCT)
o una semplice difficoltà di comprensione? Quali sono le principali caratteristiche
del Disturbo?
Per “disturbo di comprensione del testo” si intende quella difficoltà di lettura che non
riguarda la capacità di decifrare un testo, ma l’abilità di coglierne efficacemente il
significato. Gli studenti che hanno questo problema, pur avendo un’intelligenza nella norma
(> 85), presentano particolari difficoltà nell’estrarre le informazioni più importanti dal testo e
di conseguenza a comprenderlo, con conseguenti prestazioni inferiori alla norma in prove
standardizzate che valutano appunto la comprensione del testo.
“La letteratura internazionale ha evidenziato la possibilità di individuare gruppi di studenti
che hanno problemi specifici nella comprensione del testo a fronte di abilità di decodifica
nella norma (vedi Bishop e Snowling, 2004). In lingua inglese vengono denominati poor comprehenders (vedi Cain e Oakhill, 2007 o Cornoldi e Oakhill, 1996), in Italia cattivi lettori (vedi
Carretti, Cornoldi e De Beni, 2007)” (Documento a cura di Barbara Carretti, AIRIPA, 2010).
Secondo gli esperti, il profilo linguistico di questi lettori è diverso da quelli con dislessia,
per il fatto di avere buone abilità fonologiche. I bambini con problemi nella comprensione si
caratterizzerebbero per buone abilità di tipo fonologico e basse competenze linguistiche sul
versante sintattico e semantico, caratteristiche che possono, però, avere forti ripercussioni
sull’apprendimento scolastico.
Recentemente Nation et al. (2010), studiando un gruppo di cattivi lettori e di lettori normali
dai cinque agli otto anni, hanno confermato che il DCT non si caratterizza per problemi
nella decodifica e nei processi in essa implicati. In tutte le misurazioni i cattivi lettori,
infatti, mostravano uguale prestazione in prove di ripetizione di non-parole, di mutazione di
fonemi, di appaiamento di suoni, … Differenze, invece, si ritrovavano in prove di conoscenza
e consapevolezza sintattica, comprensione orale e vocabolario espressivo. Il problema nella
comprensione non è, quindi, associato a basse competenze nella decodifica, ma a
competenze linguistiche non fonologiche (vedi Bishop e Snowling, 2004).
Come si possono identificare i bambini con questo disturbo?
I disturbi nella comprensione del testo sono spesso confusi con la dislessia, probabilmente
perché entrambi hanno in comune la difficoltà correlata ai brani scritti. I due disturbi, però, si
differenziano in quanto:
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– il bambino dislessico ha una lettura lenta e stentata, ma, se dispone di sufficiente tempo,
riesce a leggere ed a comprendere il senso di un brano;
– il bambino con difficoltà di comprensione del testo, pur essendo dotato di buone capacità
di decodifica, non riesce a capire correttamente il significato di ciò che legge.
L’individuazione di un disturbo di comprensione del testo dovrebbe essere effettuata a partire da due prove di comprensione. Alcuni soggetti, però, non hanno difficoltà di comprensione se il testo viene loro letto o se lo ascoltano da file audio: perciò si consiglia di fornire a
questi studenti gli audiolibri come strumento compensativo, per favorirli nei loro percorsi di
apprendimento.
Serve un trattamento clinico del DCT?
Programmi riabilitativi ben guidati apportano notevoli miglioramenti. Buoni risultati si ottengono con gli alunni che non sono ancora stati stimolati nelle componenti di base sottostanti
la comprensione. Recenti studi hanno messo in evidenza che è possibile migliorare il livello
di prestazione di studenti con DCT con trattamenti in cui vengono proposte attività che insegnano strategie di comprensione, migliorano componenti specifiche della comprensione;
favoriscono un approccio metacognitivo al compito, incrementano le competenze legate al
linguaggio orale; si basano sull’apprendimento reciproco.
L’intervento clinico ha, quindi, senso perché:
– il problema esiste, è rilevante e ha severe conseguenze sul futuro del ragazzo;
– le normali prassi educative si rivelano spesso insufficienti;
– l’intervento si è rivelato efficace in tutti i casi trattati.
Come si può presentare il DCT?
Quando i bambini entrano nella scuola dell’obbligo uno degli obiettivi iniziali è quello di imparare a leggere. L’acquisizione di questa abilità si incentra in un primo momento sulla capacità di “leggere per leggere”. Quindi , generalmente, all’inizio, non si punta alla comprensione
di ciò che viene letto, ma alla capacità del bambino di convertire un simbolo grafico nel suo
corrispondente suono. Solo successivamente si dà importanza al fatto di capire il significato
di ciò che viene letto: quando l’obiettivo si sposta sul processo che potremo definire “leggere
per comprendere”. Tuttavia non sempre questo passaggio avviene con facilità. In realtà una
buona decodifica è necessaria, ma non è sufficiente per cogliere il significato di un brano: è
dimostrato che, nonostante una lettura stentata, ci sono persone che riescono a cogliere a
pieno il contenuto del brano letto. Inoltre, capire un testo non significa solo riuscire a cogliere il significato di un frase per aggiungerlo a quello della frase successiva, ripetendo questa
operazione fino a terminare il brano; ma richiede, oltre alla capacità di decodifica, la combinazione di una serie di variabili che riguardano il lettore, il tipo di compito richiesto, il tipo di
testo proposto, ecc.
È chiaro come questo disturbo, che può essere definito come “un deficit nel cogliere il significato di ciò che leggiamo”, sia trasversale ai vari aspetti dell’apprendimento scolastico, che
si basa in buona parte sulla comprensione e lo studio di un testo. Purtroppo si stima che la
percentuale di studenti che presentano una qualche difficoltà nell’accedere ai contenuti di ciò
che viene letto possa raggiungere valori intorno al 5-10% della popolazione scolastica.
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È importante chiarire che non esiste un profilo tipico di DCT: la ricerca ha infatti messo in evidenza un’estrema variabilità all’interno del gruppo di studenti con questo disturbo.
La Consensus Conference accoglie l’invito a considerare il disturbo di comprensione come un
possibile disturbo specifico di apprendimento, ma sottolinea la necessità di studiarne meglio
le caratteristiche, avviando progetti di ricerca in questa direzione, in particolare rispetto al
ruolo della comprensione da ascolto.
In ogni caso occorre lavorare molto sul testo, fornendo ai nostri ragazzi , da un lato, gli strumenti per comprendere i vari significati, dall’altro per individuare nei testi le parole che riconducono allo stesso significato, in modo da far capire che una lettura superficiale può indurre
in errore. La possibilità di tornare indietro su un testo per verificare la correttezza della comprensione attraverso l’analisi delle parole che lo compongono, può essere un buon metodo di
controllo e di autovalutazione del lavoro svolto.
A volte i ragazzi continuano ad avere difficoltà nel comprendere perché non hanno il pieno controllo delle regole morfologiche che sono alla base della formazione delle parole. Attività dedicate all’individuazione di prefissi e suffissi possono essere utili per far interiorizzare agli alunni
il significato delle parole e quindi a contestualizzarle per riuscire a realizzare efficacemente la
comprensione del testo letto. Giocare con le parole attraverso la conoscenza delle parti che le
compongono significa utilizzare il metodo induttivo studiato e proposto da Dewey (1933).
Per poter approcciare correttamente ad un testo scritto occorre possedere una competenza
narrativa orale adeguata: infatti la caratteristica della sequenzialità è comune sia nel linguaggio parlato che in quello scritto. Nel parlare si mette una parola dopo l’altra, nello scrivere
una frase dopo l’altra e poi, a seguire, un periodo dopo l’altro fino a scrivere un testo, cioè una
serie organizzata di sequenze di frasi organizzate tra loro.
Se la competenza del saper parlare è un prerequisito indispensabile alla lingua scritta, ecco
che sorge il primo quesito: “Quanto tempo si dedica allo sviluppo della narrazione orale in
classe? E in famiglia?” Frequentemente si riconduce la narrazione immediatamente a testi
scritti come se parlare e scrivere fossero un’unica esperienza cognitiva che si esprime in modi
diversi. In realtà la narrazione orale si serve anche del linguaggio non verbale che dà tutta una
serie di informazioni che nello scritto non si esplicitano. D’altro canto il narrare orale, come ci
ricorda Bruner, è il modo più naturale e precoce per organizzare l’esperienza e la conoscenza,
e la scuola è proprio lì che trova la sua più alta funzione educativa. Far raccontare ai bambini
le loro esperienze, far argomentare i ragazzi su argomenti conosciuti ed esperiti a scuola e
all’esterno di essa è il primo grande passo verso la comprensione di un testo scritto.
Non dimentichiamo che siamo in un’epoca in cui la comunicazione orale è altamente compromessa nei nostri ragazzi che, con i social network e con i cellulari, agiscono un linguaggio
minimale in cui spesso soggetto e complemento non esistono, ma sono presenti suoni onomatopeici o mini-parole che attribuiscono significati ad un’intera frase. Insegnare a lavorare
sul linguaggio, come veicolo di informazioni e di rappresentazioni di sé, diventa dunque fondamentale per poter comprendere i vari generi testuali e per far riappropriare i ragazzi di una
comunicazione “reale”.
Un bambino comprende un testo per dare significato alla propria esperienza soggettiva e
dobbiamo tenere in considerazione che la componente emotiva è fortemente coinvolta nel
processo della lettura e della comprensione.
La psicologia cognitivista (Borkowskij, Mathukrishna,1992; Cornoldi,1995) ha messo in evidenza come la percezione del risultato determina le successive azioni messe in campo durante
il processo di apprendimento. La percezione di un successo, infatti, favorisce l’impegno ed
incoraggia il soggetto ad affrontare nuove sfide. Questo significa che la scelta dei testi che noi
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proponiamo ai nostri bambini più piccoli fa la differenza rispetto alla motivazione alla lettura
e quindi alla comprensione.
Se nel testo si colgono elementi familiari o di interesse ciò suscita piacere e quindi motivazione a continuare a leggere, altrimenti inizia la demotivazione e non si legge più. Ciò avviene perché il lettore mette in atto dei processi inferenziali che gli permettono di utilizzare
i suoi schemi di conoscenze precedenti per comprendere quello che legge (De Beni e Pazzaglia,1995). La capacità di compiere inferenze è un’abilità di tipo cognitivo che permette di
ricavare, il significato del discorso che non è esplicitato nel testo, ed i contenuti lessicali sono
nel vocabolario mentale di chi legge e non nelle parole scritte. È quindi inevitabile avere propri schemi di conoscenza e capacità di costruire nessi che mancano o sono sottesi nel testo.
Tali contenuti lessicali devono però essere stati immessi nel proprio “bagaglio” cognitivo nel
tempo della conoscenza e quindi il lessico che è utilizzato a scuola dagli insegnanti deve essere il più vario possibile. Frequentemente gli insegnanti parlano un linguaggio piuttosto
semplice con i bambini perché pensano di essere compresi più facilmente. È certamente così
ma cosa succede se un insegnante non alza “l’asticella”? Se il linguaggio rimane sempre “infantile” come possono i nostri bambini/ragazzi arrivare ad avere un bagaglio lessicale ampio
ed articolato, in modo da poter leggere e riconoscere, come familiare il lessico scritto in un
testo complesso? Se di volta in volta gli insegnanti nei loro discorsi con gli alunni, immettono
parole “difficili” spiegandone il significato e riproponendole frequentemente, queste assumono un valore importantissimo nella comprensione dei testi e soprattutto nella capacità di fare
inferenze lessicali.
È noto che il contesto ambientale in cui sono inseriti i nostri alunni può essere favorevole o
sfavorevole al loro successo formativo. La famiglia non si sceglie, ognuno di noi nasce inconsapevolmente in un ambiente e da questo ha il primo imprinting,” didattico” che influenzerà il
suo impatto con la realtà. In seguito entrerà a scuola, avrà delle insegnanti che si prenderanno
cura della sua crescita culturale. Il modo di farlo permetterà a quel bambino di potersi elevare
a livello culturale o rimanere stigmatizzato nel ruolo che gli è stato assegnato dal destino.
La costruzione di abilità cognitive che permettano ai ragazzi di poter comprendere un qualsiasi testo è facilitata anche dalla possibilità che viene data ai ragazzi, da insegnanti e genitori,
di poter ascoltare parole diverse, che restituiscano lo stesso significato alla realtà che loro
vivono, permettendo così ai nostri giovani di leggere e comunicare le esperienze, vissute e
lette, utilizzando parole che riconoscono come familiari. Più gli insegnanti utilizzano sempre
le medesime parole, più sarà difficile per i ragazzi comprendere e riconoscere che esistono
parole differenti che possono rimandare allo stesso significato di parole note.
Quali attività si possono effettuare con i ragazzi con DCT
affinché intervengano in prima persona sul testo, diventando così lettori attivi?
– Non dare spiegazioni semplici da eseguire: il primo passo da fare è comprendere
quali strategie cognitive mette in atto il bambino durante la lettura per arrivare a comprendere il testo.
– Chiedere al bambino di cosa parla il testo letto in modo da verificare se ha colto il nucleo
generale. Se questo punto non è chiaro, occorre suggerire strategie di orientamento sul
testo. “Come si intitola? Ci sono immagini che ci possono aiutare o dare informazioni?
Facciamo delle ipotesi insieme.” In questo modo cerchiamo di comprendere che tipo di
approccio utilizza il bambino nella comprensione del testo scritto. Se il bambino ci dà informazioni generali sul testo, occorre verificare se individua informazioni specifiche. Tale
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verifica si può fare oralmente, indagando attraverso domande dettagliate e incoraggiando
il bambino alla ricerca della risposta sul testo.
– Verificare che il lessico proposto sia accessibile al bambino in modo che abbia chiare
tutte le informazioni. Se c’è un errore nella risposta, è importante che l’insegnante solleciti
il bambino alla ricerca di quella giusta, evitando giudizi verbali, ma comunicando l’errore
attraverso l’espressione facciale o l’intonazione della voce. Così il bambino mette in atto un
comportamento metacognitivo di controllo ed autocorrezione.
– Incoraggiare, tranquillizzando il ragazzo, sul fatto che rileggendo parti del testo può individuare la risposta (leggendo i titoli; anticipando il testo; andando a leggere la prima
domanda al fondo del capitolo per trovarne la risposta all’interno del paragrafo/capitolo;
ecc.).
– Insegnare al bambino strategie di controllo dell’attenzione, utilizzando segni di diverso
colore che evidenzino luoghi, tempi e personaggi: è importante che sia lo studente a
effettuare il gesto, in modo tale da andare ad attivare la memoria procedurale.
– Identificare e cerchiare parole nel testo che rimandano allo stesso significato, in modo
da riuscire a fare inferenze lessicali, essenziali nella lettura di un testo complesso.
La comprensione di un testo è, in ogni caso, a prescindere dal disturbo, un’attività complessa,
che richiede insegnamenti puntuali e metodici, attraverso i quali i nostri ragazzi riusciranno
ad orientarsi tra le parole in modo sereno, aiutati dalla bussola della curiosità e della motivazione. La bravura dell’insegnante sarà quella di proporre ai bambini un compito che, come
direbbe Vygotskij, “si collochi nell’area di sviluppo prossimale del bambino, quel tanto più
avanti rispetto alle sue competenze, in modo da stimolarlo a risolverlo, ma non così tanto
da demotivarlo.”
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