Dossier didattico Perché questa commemorazione? É sufficiente il verso di Giuseppe Ungaretti che figura come titolo dell’evento per comunicare il senso della commemorazione che tra il 31 gennaio e il 14 febbraio 2010 ricorderà a Trento - per la prima volta insieme - tutti i soldati trentini morti nella Prima guerra mondiale. Fino a poco tempo fa non se ne conosceva nemmeno il numero: oggi sappiamo che dei circa 60.000 trentini arruolati, più di 11.000 trovarono la morte, poco meno di uno ogni cinque. Direttamente o indirettamente tutte le famiglie furono colpite. In queste due settimane un grande Memoriale — un anello sospeso di 45 metri per un metro e mezzo — installato nel Palazzo della Regione, ne riporterà i nomi. Tutti potremo leggerli, cercare e ritrovare qualche nostro lontano famigliare caduto, riconnettere la memoria privata con il ricordo pubblico. Perché solo ora? Nel 1914 i trentini erano cittadini dell’Impero austro-ungarico e sotto quella bandiera combatterono sui fronti della Galizia, della Volinia, dei Carpazi, della Romania e dell’Italia, tranne la piccola ma significativa minoranza chi si arruolò volontaria nell’Esercito italiano per affermare l’italianità del Trentino. Alla fine della guerra, con la scomparsa dell’Impero austro-ungarico e la vittoria militare dell’Italia, quanti erano morti combattendo nelle file dell’esercito nemico vennero esclusi dal lutto pubblico. Solo chi era caduto in divisa italiana venne ricordato e celebrato con monumenti e titolazione di scuole, vie e piazze. In tempi recenti si è fatta pressante la richiesta di colmare quella lacuna e, grazie alla collaborazione di tanti cittadini, è stato possibile calcolare il numero di tutti i caduti trentini, ricostruirne l’identità e ricordarli senza distinzione di bandiere e di uniformi. Il tributo umano imposto dal conflitto 1914-1918 non può naturalmente essere circoscritto alle perdite militari. Furono migliaia i civili – donne, vecchi, bambini – che persero la vita per causa della guerra; questa commemorazione aprirà indubbiamente la strada ad altri momenti di ricordo. Il Memoriale permetterà di riflettere sulle dimensioni di quella grande carneficina, sul monito che da quella vicenda si leva contro i nazionalismi e ogni denigrazione di chi è “diverso” per lingua, nazionalità, religione, costumi. Questo dossier didattico mette a disposizione degli insegnanti alcune schede per introdurre l’argomento toccato dall’evento “Nel cuore nessuna croce manca”. Chi ha già affrontato con i propri alunni il capitolo della Grande Guerra può fornire loro, qualora lo ritenga utile, ulteriori informazioni relative ai soldati trentini morti nel conflitto, proprio coloro il cui nome compare sul ”Memoriale”, molti dei quali furono sepolti nei cimiteri galiziani (oggi polacchi) documentati nella mostra fotografica. Per approfondire gli aspetti generali della storia del Trentino nella Grande Guerra e programmare visite a luoghi storici del primo conflitto mondiale, il sito www.trentinograndeguerra.it illustra le proposte didattiche messe a punto dai Musei trentini. Cosa si può vedere e fare * Il “Memoriale degli undicimilaquattrocento caduti trentini della Prima guerra mondiale” è installato nella Sala di rappresentanza del Palazzo della Regione, in piazza Dante a Trento. * Le scuole potranno visitarlo nei giorni feriali (1-6 febbraio e 8-13 febbraio) con orario 9-13, 14-18. Per la visita è sufficiente un’ora. Gli insegnanti sono pregati di prenotare il giorno e l’ora telefonando al 366 2712503. * Sarà possibile sostare al centro del “Memoriale”, cercare i nomi dei caduti del proprio comune verificando se ci sia qualche proprio famigliare, leggere un testo - una riflessione, una poesia - preparato in classe: gesto che potrà dare un significato nuovo all’idea di “memoria”, importante sul piano civile. Il testo o l’elaborato (che preghiamo di firmare) preparato dalla classe o da qualche studente potrà essere lasciato, a fianco del “Memoriale”, come segno della propria partecipazione, in uno spazio dedicato (“Album dei pensieri”). I materiali verranno raccolti e conservati. * A lato del Memoriale è allestita la mostra “I giardini degli eroi”. Cimiteri militari austro-ungarici in Galizia, che propone un itinerario storico e contemporaneo tra i cimiteri di guerra austroungarici progettati e costruiti durante il primo conflitto mondiale, nei quali furono sepolti anche molti trentini. La mostra, prodotta dal Centro Internazionale di Cultura di Cracovia, è curata da Pawel Pencakowsky e Marek Sajduk, autore delle foto. * Quattro computer permettono di accedere al database con i dati dei caduti trentini (www.trentinocultura.net). Ciascuno potrà consultarlo e forse troverà lo stimolo per cercare altre informazioni su qualche caduto presso la propria famiglia e a segnalarle nelle modalità che lì sono indicate. * In una saletta laterale (con 20 posti) verranno proiettati i film Prigionieri della guerra di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi e La colpa ignota di Diego Leoni e Lorenzo Pevarello. * Nelle date sopra indicate e su prenotazione, tra le 11 e le 12, nella Sala del Palazzo della Regione, Mauro Neri leggerà uno dei suoi racconti tratti da L’armonica d’argento, che vede come protagonista un ragazzo trentino durante la Grande Guerra. Per informazioni Tel. 366 2712503 Tel 0464 438100 - Museo Storico Italiano della Guerra [email protected] www.trentinograndeguerra.it www.trentinocultura.net Programmare una visita L’insegnante che intende visitare il “Memoriale” e la mostra fotografica presso il Palazzo della Regione può cogliere, nel prepararla, alcune opportunità didattiche. Predisporsi a cercare il nome di qualche parente nel “Memoriale dei caduti trentini”, implica una preliminare indagine presso i propri famigliari per raccogliere qualche informazione in proposito e magari qualche documento. La ricerca del nome di un proprio famigliare nell’elenco dei caduti può stimolare gli alunni a comprendere la relazione tra la storia della propria famiglia e quella della comunità e dello Stato, collegando la memoria individuale e la memoria collettiva. Si potrebbe ad esempio impostare una piccola ricerca: “Probabilmente anche nella tua famiglia (trentina o no) - ci sono stati combattenti nella Prima guerra mondiale arruolati nell’esercito au-stroungarico o in quello italiano; - forse ci sono stati caduti (controlla sul sito www.trentinocultura.net) - forse in casa sono rimasti documenti (foto, lettere, documenti militari) della Pri-ma guerra mondiale - forse ci sono racconti di episodi relativi alla Prima guerra mondiale, relativi ai combattenti, ai profughi, al lavoro, ecc.” Le informazioni raccolte, oltre che dare l’occasione di parlarne in classe e di generalizzare alcune conoscenze, possono essere inoltrate al Museo della Guerra di Rovereto così come indicato in www.trentinocultura.net, che le utilizzerà per aggiornare il Censimento dei caduti . A questa prima indagine presso9 le famiglie, si può abbinare una ricognizione sul monumento ai caduti, per riscontrare elenchi di nomi, dati anagrafici, le scritte che li accompagnano. “C’è un monumento ai caduti? Nel cimitero ci sono lapidi con foto di caduti nella Grande Guerra?” Anche in questo caso, Le informazioni raccolte possono essere inoltrate per completare delle schede lacunose. Più in generale, il tema della Commemorazione •può far scoprire che, per effetto degli spostamenti della popolazione, oggi vivono fianco a fianco i nipoti di quanti hanno combattuto su fronti opposti; •può far capire cosa abbia comportato la condizione di terra di confine che caratterizza il Trentino; •può aiutare a comprendere come nella propria famiglia e nella propria comunità sopravviva la memoria della divisione tra stati che ha portato alla guerra, mentre l’Europa oggi lentamente prende forma. Il Trentino nell’Impero austro-ungarico Nel 1914 il Trentino faceva parte della Contea del Tirolo e, in questo modo, dell’Impero austro-ungarico. I trentini avevano propri rappresentanti al Parlamento di Vienna e alla Dieta di Innsbruck. Il Tirolo italiano (Trentino) era suddiviso in nove Capitanati distrettuali che avevano funzioni politico-amministrative, ma in caso di conflitto assolvevano anche a compiti militari secondari, come la messa a disposizione di acquartieramenti per le truppe, requisizioni di animali da traino, automezzi, derrate alimentari, protezione della popolazione, ecc… Trattandosi di un impero multietnico, in un’epoca di forte risveglio del nazionalismo, l’Impero austroungarico fu frequentemente travagliato da questioni nazionali. In Trentino fu soprattutto la piccola e media borghesia cittadina a farsi portavoce del sentimento irredentista, che veniva manifestato anche attraverso le attività di associazioni politico-culturali e sportive (la Lega Nazionale, la Società Dante Alighieri, la Società Alpinisti Tridentini, le Società di ginnastica e il Tiro a segno). Cartina tratta da G. Fait (a cura di), Sui campi di Galizia 1914-1917, Museo Storico Italiano della Guerra, 1997 Il popolo scomparso. Il Trentino, i trentini nella prima guerra mondiale 1914-1920, a cura di Laboratorio di storia di Rovereto, Q. Antonelli e D. Leoni, Nicolodi Editore, Rovereto 2004 M. Garbari e A. Leonardi (a cura di), Storia del Trentino. L’età contemporanea 1803-1918, Il Mulino, Bologna 2003 Il fronte orientale Il 5 agosto del 1914 l’impero austro-ungarico dichiara guerra alla Russia; in agosto gli austriaci sono costretti ad abbandonare la Bucovina e la Galizia ai russi, mentre tra agosto e settembre i tedeschi, comandati dai generali Hindenburg e Ludendorff, sconfiggono i Russi a Tannenberg e sui Laghi Masuri conquistando tutta la Prussia orientale e facendo retrocedere l’esercito russo. Tra il marzo e l’ottobre 1915 si alternano offensive russe e controffensive austro-ungariche, finché in ottobre un’offensiva tedesca e austroungarica spinge alla ritirata l’esercito russo. Sul finire del 1915 l’impero austro-ungarico sconfigge la Serbia e il Montenegro e ne invade i territori; a questa operazione segue un periodo di stasi. Nell’estate del 1916 anche la Romania entra in guerra contro le potenze centrali, sostenuta dall’esercito russo; alla fine del 1916, sconfitta e invasa dagli austriaci, la Romania stipula un armistizio separato con le potenze centrali. Nel 1917 anche la Russia, sconfitta a Gorlice, stipula con l’impero austro-ungarico e la Germania un armistizio. Con l’accordo di pace firmato a Brest Litowsk, le forze austro-germaniche sono così vincitrici su tutto il fronte orientale e larga parte delle loro truppe vengono quindi trasferite su altri fronti. A presidio delle terre d’occupazione, insieme ad altre formazioni, resta quasi tutto il contingente di lingua italiana costituito in forte maggioranza da trentini e in minoranza da giuliani. Cartina tratta da D. Ongari, La guerra in Galizia e sui Carpazi 1914/1918. La partecipazione del Trentino, Manfrini 1983 Cronologia dei principali avvenimenti sul fronte orientale 1914 28 giugno uccisione dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo 28 luglio l’Austria dichiara guerra alla Serbia 5 agosto l’Austria dichiara guerra alla Russia 27-30 agosto i tedeschi, comandati dai generali Hindenburg e Ludendorff, sconfiggono i Russi a Tannenberg settembre gli austriaci abbandonano la Bucovina e la Galizia [battaglia di Limanova]] 7-15 settembre battaglia dei Laghi Masuri: i tedeschi conquistano tutta la Prussia orienta le, facendo retrocedere i Russi 1915 22 marzo-24 aprile offensiva russa sui Carpazi 2 maggio - fine giugno controffensiva austro-ungarica luglio-ottobre offensiva tedesca e austro-ungarica, ritirata russa; l’esercito russo è costretto alla ritirata e anche il fronte arretra 1916 18-28 marzo offensiva russa contro l’esercito tedesco 4 giugno-15 agosto offensiva russa in Bucovina 1-15 ottobre ripresa dell’offensiva russa 1917 12 marzo in Russia scoppia la rivoluzione e viene proclamata la repubblica 6 aprile i tedeschi vincono i russi a Stokod 1 luglio-27 agosto offensiva russa in Galizia; controffensiva tedesca che fa perdere tutti i vantaggi conseguiti 1-5 settembre i tedeschi prendono Riga 7 novembre rivoluzione d’ottobre 26 novembre la Russia apre trattative di armistizio con la Germania 1918 3 marzo La Russia firma il trattato di pace di Brest-Litovsk, abbandonando ai vincitori l’immenso territorio occidentale dalla Finlandia all’Ucraina Ai miei popoli! Era il Mio più fervido desiderio di consacrare a opere di pace gli anni che mi sono ancora concessi dalla grazia Divina, e di preservare i Miei popoli dai gravi sacrifici ed oneri della guerra. Nei decreti della provvidenza era stabilito diversamente. Le macchinazioni di un avversario invaso dall’odio Mi costringono dopo lunghi anni di pace a brandire la spada per tutelare l’onore della Mia Monarchia, per salvaguardare il suo decoro e la sua potenza politica, e per assicurarne l’integrità. Il regno di Serbia, ingrato e presto dimentico che ai primi principi della sua indipendenza politica fino ai tempi più recenti era stato appoggiato e favorito dai Miei antenati e da Me, si è messo già da anni sulla via di aperta ostilità verso l’Austria-Ungheria. […] Bisogna reprimere questi insopportabili raggiri, bisogna por fine alle incessanti provocazioni della Serbia, se si vuol mantenere intatto l’onore e il decoro della Mia Monarchia e preservare da continue scosse il suo sviluppo politico, economico e militare. Invano il Mio Governo ha fatto un ultimo tentativo di raggiungere questa meta con mezzi pacifici e di indurre con una seria ammonizione la Serbia al ravvedimento. La Serbia ha respinto le richieste moderate e giuste del Mio Governo […] Così dunque devo accingermi a procurare colla forza delle armi le imprescindibili garanzie, che assicurino ai Miei Stati la quiete nell’interno e la pace duratura con l’estero. […] Confido nei Miei popoli, i quali in tutte le procelle si sono schierati sempre uniti e fedeli intorno al Mio trono, e furono pronti ai più gravi sacrifici per l’onore, la grandezza e la potenza della patria. Confido nella valorosa armata austro-ungarica, piena d’entusiasmo e di devota abnegazione. E confido nell’Onnipotente, che concederà alle Mie armi la vittoria. Francesco Giuseppe I I Trentini nell’esercito austro-ungarico All’inizio della guerra furono chiamati alle armi nelle fila dell’esercito austro-ungarico i trentini di età compresa tra i 21 e i 42 anni. Tra il 1915 e il 1918 la mobilitazione si estese agli uomini di età compresa tra i 18 e i 49 anni. In totale i trentini richiamati furono circa 60.000. Le unità dell’esercito che inquadravano i soldati del Tirolo, tra cui anche il Trentino, erano i 4 reggimenti impierial-regi Kaisejäger (cacciatori imperiali) ed i 3 reggimenti da montagna dei Landesschützen, oltre i 2 reggimenti del Tiroler Landsturm (milizia territoriale). Nel 1915, per rallentare l’avanzata delle truppe italiane sul fronte trentino, furono impiegate anche alcune Compagnie di Standschützen composte da veterani e da giovani non ancora arruolati. Stazione ferroviaria di Trento [Archivio Fondazione Museo Storico del Trentino] L’eco che una grande guerra s’avvicinava, giunse fin su al mio paesello di Cazzano, dove qualche raro caso veniva a interrompere l’ordinaria quiete e tranquillità. Perciò la carta di richiamo sotto le armi mi giunse quasi inaspettata ancora il giorno 2 agosto. Non si può descrivere la dolorosa partenza. Addii e abbracci, benedizioni e raccomandazioni da tutti. Ma fu giuocoforza partire. Partii alla volta di Rovereto dove indossai la divisa degli Alpini [=truppe alpine, Landesschützen]. Il giorno 8 parto da Rovereto per Trento, dove il giorno 14 andai a giurare fedeltà alla Patria […] Il 17 agosto (data memoranda) accompagnati alla stazione da una folla commossa si parte col treno per il fronte Russo. Io coll’animo straziato penso se avrò la grazia di ritornare a vedere ancora le belle valli Trentine, se sarò tra quei fortunati che faranno ritorno dal campo, che comunemente veniva chiamato “Maccello”… Dalla memoria di Fioravante Gottardi, Scritture di guerra, n.3 G. Fait (a cura di), Sui campi di Galizia 1914-1917. Uomini popoli culture nella guerra europea, Museo della Guerra, Rovereto 1997 Q. Antonelli, I dimenticati della Grande Guerra. La memoria dei combattenti trentini (1914-1920), Il Margine, Trento 2008 Testimonianze di soldati trentini sul fronte orientale Dal diario di Emilio Fusari, Scritture di guerra, n. 3 Verso giorno a soli due chilometri da noi si vedeva le trincee nemiche. Sembrava un dilivio [diluvio] fuochi fumo, chiaso! urli, tuoni, maledizioni, preghiere, Restiamo li fino le 9 di quella mattina in quel inferno spregato [stregato]. Quale strazio, di cuore fu in quel momento dopo aver visto un si tremendo pericolo, dover alzarsi, e andar alla baionetta, cioe sotto tutti quei fuochi fra quei urli, e spasimi, e dover batersi a sangue freddo, si da vicino con gente ingonosciuta [sconosciuta] per difendere un capricio altrui dover batersi fra la vita e la morte e fra mezzo a spasimi e lamenti. Il grido Austriaco era sempre avanti fino al ultimo sangue. Ogni cosa di 5 passi costava la vita a più e più Austriaci. […] ci viciniamo aquei monti di rovene [rovine]. Ci troviamo a pochi pasi e di più sembrava di non poter avanzarsi perché stava forte riparazione cioe reticolati per tutti i modi avanti ai ripari nemici. […] ci vien ordine di getar le granate a mano, oltre i suoi nascondili. […] Troviamo lanciamine per ronpere i reticolati lasciate dai volontari dalla sera avanti Galizia. Interno di una trincea [MGR 100/11] che stavano sdraiati a terra coperti di fucilate. Et ecco che il nemico vedendosi rompere la sua reparazione lascia il fuoco e si arente con le mani in alto fa prigioniero. […] C’innoltramo avanti e faciamo Austriaca quella lunga trincea russa. Ci fermiamo li un poco oservai molti infelici spazzati per mezo, chi via le cambe altri la testa altri con le budele ai piedi tutti fragascati dalle granate. Dal diario di Giuseppe Masera, Scritture di guerra, n.1 La nostra trincea dista da quella Russa appena 30 passi. Immaginate come sia un continuo lanciarsi sia da una parte che dall’altra, mine, granate a mano, bombe, ecc. Sicché quei povereti che devono restar là sono sempre tempestati e non passa giorno, che uno, due, terminano di soffrire. [...] Ai 4 [di giugno] i Russi cominciarono una forte offensiva. Tutto il giorno fu un fuoco terribile ininterrotto di artiglieria. A sera la nostra trincea non esisteva più, era riempita di materiale e perfino i reticolati che stavano davanti, coi cannoni furono tutti rimbalzati all’indietro. I nostri fecero un’eroica resistenza, per quattro giorni fu un cannoneggiamento spaventoso, e un fuoco vivissimo di mitragliatrici. [...] Dal giorno si riposa, ma la notte purtroppo il lavoro è pericoloso. Bisogna portare dalla nostra linea davanti ai Russi, le cosiddette Spanische Reiter [i cavalli di frisia] cioè reticolati preparati. Non so in che modo si porta a casa la pelle, perché sparano maledettamente, i nostri come i Russi, che sono da noi distanti circa 80 passi. Una notte, e proprio in quel momento che mi trovavo fuori, incominciarono le fucilate, le mitragliatrici pure sparavano forte. Se ritornavo in trincea una palla o l’altra mi pigliava. Vi era un piccolo buco lì vicino, io e il mio compagno ci rotolammo dentro. Là dovemmo restare più di mezz’ora e sopra le nostre teste passavano le palle Russe frammischiate alle nostre. Quando si fu un po’ calmato ritornammo in trincea e per quella notte il lavoro fu sospeso. I prigionieri Non sappiamo con precisione quanti Trentini furono fatti prigionieri dei Russi o disertarono consegnandosi nelle loro mani, forse un terzo (20.000). La maggior parte di loro fu impiegata in lavori agricoli o nelle industrie al posto dei russi mobilitati. Circa 4.000 prigionieri trentini e delle province adriatiche, mossi da ideali irredentistici, accettarono il trasferimento in Italia, grazie ad un accordo di collaborazione militare tra Regno d’Italia e Impero russo. Concentrati nel campo di prigionia di Kirsanov, nel 1916 vennero trasferiti nel porto di Arcangelsk e lì imbarcati per la Gran Bretagna da cui poi, attraverso la Francia, giunsero a Torino. Alla fine del 1917 altri 2.500, bloccati dai ghiacci ad Arcangelsk, vennero trasferiti attraverso la ferrovia Transiberiana a Tien Tsin, in Cina, dove una parte accettò di arruolarsi nei Battaglioni Neri del Corpo di spedizione italiano in Estremo Oriente e di combattere contro i bolscevichi. Altri Trentini avevano invece accettato di arruolarsi nelle formazioni rivoluzionarie e di combattere con loro. Una parte dei Trentini, invece, fu imbarcata dai porti dell’Estremo Oriente per gli Stati Uniti, da dove proseguì alla volta dell’Europa. I trentini inquadrati nei Battaglioni Neri rientrarono in Italia nel 1919 via mare, attraversando il Mar cinese, l’oceano Indiano, il mar Rosso e il Mediterraneo. Il viaggio dei prigionieri trentini nel 1919 M. Rossi, I prigionieri dello Zar. Soldati italiani dell’esercito austro-ungarico nei lager della Russia (1914-1918), Mursia, Milano 1997 R. Francescotti, Talianski. Prigionieri trentini in Russia nella Grande Guerra, Nuovi Sentieri Editore, Bologna 1981 Testimonianze di prigionieri trentini Fioravante Gottardi, Scritture di guerra n. 3 Ritorniamo alle trincee [...] Io vado dove vedo andare gli altri e giunti alle trincee russe conquistate, vedo che il dramma è cambiato. I russi sbucano fuori da un bosco come le formiche e in un batter d’occhio ci sono addosso e si genera una confusione di babilonia: chi grida disperatamente, chi cade colpito. Fuor di me, scorgo un gruppo di uomini: mi avvicino, e invece di trovare compagni, mi vedo circondato da russi. Come risvegliandomi, forse a tempo, getto a terra il fucile e un russo mi salta addosso abbracciandomi come fossi suo fratello e ritirandomi mi domanda, in tedesco, di qual nazione fossi e rispondendogli che sono italiano, mi dice “noi siamo amici degli Italiani”... Così termino l’aspra vita di guerra, e comincio quella umiliante del prigioniero. Giovanni Pederzolli, Scritture di guerra n. 10 Ora sono qui, in questo lager assieme a 5.000 prigionieri di tutti i paesi. Tedeschi Germanici. Tedeschi Austriaci. Ungheresi. Slavi. Croati. Bulgari. Turchi. Boemi. Polacchi. Ruteni. Gallizziani ed Italiani. Tutti i linguaggi della terra. […] Di primo colpo guardai dov’ero e … non ce ne capivo uno zero. Avete mai visto un porto di mare? […] Venne notte. Improvvisamente, sento un urlo prolungato, come d’un mare in tempesta. Che c’è domando. Come non lo sai? È managgio. Difatti tutta quella turba, immaginatevi 5.000 persone di tutte le lingue, come un sol uomo si alza, ed ogni dieci persone, un capo va in cucina. Là riceve una gran scodella, colma di una sporca broda, e tutti e dieci attorno come gli indiani si mangia. In 5 minuti la scodella è netta, ed ora basta fino a mezzogiorno successivo. La notte non dormii nulla. Il freddo, e i pidocchi, non me ne lasciarono il tempo. Pensai: Prima i dolori, ed ora i pidocchi ed il freddo. Finalmente venne l’alba. Francesco Marchio (triestino), in Q. Antonelli, I dimenticati della Grande Guerra. In mezzo a tanta sventura, ebbi anche dei vantaggi e precisamente quelli di aver viagiato per mare e per terra e cioè: Austria, Stiria, Carpati, Ungheria, Transilvania, Croazia, Slavonia, Bosnia, Serbia, Ucraina, Russia, Siberia, Manciuria, Corea, Cina, India, Africa, e finalmente Italia. E quello di aver conosciuto tante rasse: Tedeschi, Ungheresi, Crovati, Slovachi, Cecoslovachi, Bosniaci, Serbi, Galiziani, Polachi, Rumeni, Dalmati, Bulgari, Ucraini, Russi, Giaponesi, Siberiani, Nanciuriani, Coreani, Cinesi, Francesi, Americani, Inglesi, Olandesi, Finlandesi, Indiani, Arabi. Soldato trentino a Tient Tsin I prigionieri di guerra austro-ungarici e tedeschi in Italia L’Esercito italiano radunò i prigionieri nemici dapprima in vecchie fortezze e in edifici civili adattati al bisogno. I primi campi di concentramento dimensionati per 10.000 persone furono costruiti nel 1916, prevalentemente nell’Italia centro-meridionale,. L’isola dell’Asinara in Sardegna ospitò il più grande: nel 1916 vi furono confinati circa 23.000 austro-ungarici catturati dall’esercito serbo e condotti in Italia quando l’esercito serbo si ritirò fino all’Adriatico dove fu messo in salvo su navi italiane; un’epidemia di colera e l’inadeguatezza delle strutture causarono la morte di oltre 7.000 persone. Nelle retrovie del fronte erano allestiti “campi contumaciali” di transito dove si interrogavano i prigionieri e si controllava il loro stato di salute. In Italia i luoghi di detenzione furono non meno di 269. Ai prigionieri era possibile inviare e ricevere posta, pacchi e vaglia ed acquistare cibi e generi di conforto in spacci interni ai campi. Dal 1916 i prigionieri furono utilizzati come forza lavoro. Gli ufficiali non vi erano tuttavia obbligati e spesso disponevano di un attendente. Fino all’ottobre 1918 i 168.898 soldati degli Imperi Centrali prigionieri in Italia conobbero condizioni relativamente accettabili. Dopo la battaglia di Vittorio Veneto il loro numero salì a 600.185. Complessivamente in prigionia 13.227 morirono per ferite, 27.740 per altre cause. I prigionieri austro-ungarici di lingua italiana condivisero la sorte degli altri prigionieri. Nel 1915 furono istituite commissioni per valutare la possibilità di concedere la semi libertà a chi era ritenuto affidabile. Dopo il 4 novembre circa 2.000 soldati trentini furono internati a Luserna S.Giovanni, a Pescara, a Servignano, all’Asinara e a Isernia, dove conobbero condizioni di detenzione assai dure. Il loro rientro a casa, passando per il campo di concentramento di Gardolo, avvenne nella primavera 1919. Campo di concentramento di prigionieri austro-ungarici a Certosa-Padula (Salerno) [MGR 6/14] Lodovico Tavernini, Prigionieri austro-ungarici nei campi di concentramento italiani 1915-1920, in Annali del Museo della Guerra n. 9-10-11, 2002-2003 G. Procacci, Soldati e prigionieri italiani nella Grande guerra. Con una raccolta di lettere inedite, Bollati Boringhieri, Torino 2000 A. Tortato, La prigionia di guerra in Italia: 1915-1919, Mursia, Milano 2004 1915. L’ingresso in guerra dell’Italia Nel 1914,in previsione di un attacco da parte dell’Italia, il Comando militare austro-ungarico fece arretrare le proprie linee difensive sul fronte trentino, accorciando il fronte da 450 a 350 km. Con l’impiego di migliaia di operai militarizzati fu realizzato un sistema di trincee, caverne e ripari fortificati (Tiroler Widerstandslinie). Nel maggio del 1915 le truppe austro-ungariche disponibili per la difesa del Tirolo erano esigue e l’Austria fu costretta a mobilitare anche Compagnie territoriali di veterani, oltre che a chiedere l’intervento di alcuni reparti germanici, nonostante la Germania non fosse in guerra con l’Italia. Per il fronte italiano, considerato secondario, fu mantenuto un dispiegamento difensivo. Sul fronte trentino, dopo una prima fase nella quale i reparti italiani avanzarono con molta cautela, anche le cime delle montagne vennero raggiunte e occupate. In alcune località – Tofane, Col di Lana, Pasubio, Adamello – i combattimenti si susseguirono sanguinosi e accaniti fin dal 1915. Il 16 maggio 1916 gli austro-ungarici lanciarono un’offensiva (Strafexpedition) a partire dagli altipiani di Lavarone, dalla Vallarsa e sul Pasubio, allo scopo di aggirare le linee italiane e raggiungere la pianura veneta. Dopo pochi giorni, gli italiani fermarono l’Esercito austriaco sullo Zugna, sul Pasubio, sull’altopiano di Asiago e in Valsugana. Nel novembre 1918 l’esercito italiano sfondò le linee austro-ungariche e il 4 novembre venne firmato l’armistizio. Cecilia Rizzi Pizzini, Memoria dolorosissima, Scritture di guerra n. 4 Gia dal gennaio [1915] fervono i lavori Governativi al nostro Fae ci si raconta dai lavoratori i quali sono tutti obbligati dai quatordici anni finno ai sesanta a lavorare militarizati e la sera quando tornano ci raconta che il Faee e inriconoscibbile, che vengono tagliate piante senza pietà perciò curiosa anchio di vedere quanti disastri anfato. Il giorno quatro aprile festa solene di Pasqua facendo festa anche i lavoratori. Mentre le altre domeniche non sele destingue dai giorni di lavoro si lavorano sempre. […] Come dissi sopra il giorno di Pasqua sicura di non trovare nissuno mi aviai assieme a mia zia Filomena e mia sorella Cesira verso il Faee. Lo trovai inriconoscibbile ogni trato dovevo fermarmi e chiedere ame stesa dove sono. Esclamando hoime!… Luogo delizioso memore di tantte dolcezze verginee?? Mi fermo immobile alla testa mifo apoggio colle mani e mi trovo nella più profonda mestizia pensando i bei giorni trascorsi che come il lampo fuggi e non tornano più. Mormorando qui riposano i fiori della mia gioventù. […] Addio caro Faee addio deliziosa selva. Addio piante coniffere sotto le quali siamo statti più dunna volta difesi dalle temperie ora non sei più nostro sei inpotere del Governo. I volontari nell’esercito italiano I volontari trentini nel Regio Esercito furono quindi in totale circa 700. Erano quasi tutti di estrazione borghese medio-alta e di formazione liberale o socialista, molti erano giovani studenti educati dalle famiglie a sentimenti di italianità, ma c’erano anche maturi professionisti, commercianti ed artigiani. La maggior parte era residente a Trento e Rovereto, ma non mancavano volontari che provenivano dalle valli. Nella primavera del 1917 sorse la “Legione Trentina”, un’associazione coordinata e diretta da combattenti o ex combattenti, che si proponeva di aiutare e sostenere i volontari. Nelle lettere scritte dai giovani trentini al fronte vengono spesso dichiarate le motivazioni che avevano sorretto l’arruolamento volontario. In primo luogo un idealismo patriottico esplicito, forte e sincero: la necessità di liberare le terre italiane e completare così l’unità del paese attraverso un coinvolgimento personale. Colpisce nelle lettere l’entusiasmo con il quale i volontari affrontarono la guerra, non solo nel maggio del 1915 ma per tutta la sua durata. Non manca certo la baldanza e magari un coraggio ostentato e forse ingenuo, tuttavia è sempre ben presente la ferma convinzione di “fare la cosa giusta”. Lettera di Emilio Parolari, 28/10/1916 Io sono felicissimo di essere tornato al mio posto, al posto d’onore, perché sono convinto che questo è il mio dovere e […] anche dovessi morire fra questi monti non ho nulla da rimpiangere se non l’abbandono della mia cara famiglia e vorrei che nessuno di loro piangesse la mia perdita, perché troppo convinto della giustizia di questa causa e non muore chi chiuse gli occhi combattendo un nemico odiato, ma s’addormenta in un sogno d’amore e di speranza. Damiano Chiesa (Rovereto 1894 - Trento 19/5/1916) Umberto Tomasi sull’Altissimo A. Quercioli (a cura di), La scelta della patria. Giovani volontari nella Grande Guerra, Museo della Guerra, Rovereto 2006 F. Rasera, C. Zadra (a cura di), Volontari italiani della Grande Guerra, Museo Storico Italiano della Grande Guerra, Rovereto 2009 La “guerra bianca” Nonostante inizialmente fosse ritenuto impossibile, la Prima guerra mondiale venne diffusamente combattuta anche in alta montagna. In Trentino la linea correva tra lo Stelvio e le Dolomiti, spesso a quote superiori ai 2.000 metri; trincee vennero realizzate anche sui ghiacciai (Ortles, Marmolada); pezzi di artiglieria vennero trasportati fino alle quote più alte (Adamello, Presena). Sia gli italiani che gli austriaci (questi ultimi si erano scontrati con i russi sui Carpazi) affrontarono l’inverno del 1915-1916 sostanzialmente impreparati: i soldati dovettero resistere senza indumenti adatti, talvolta in baracche leggere, non di rado in tenda, sopportando rigide temperature, penuria di rifornimenti alimentari, indumenti, collegamenti e assistenza. Molti soldati dovettero ricorrere all’aiuto delle famiglie per ottenere maglie, sciarpe e guanti. Per loro la montagna divenne il principale nemico da cui difendersi. Spesso le armi potevano funzionare male o incepparsi a causa delle temperature molto basse. Le abbondanti nevicate riducevano l’efficacia delle granate che spesso sprofondavano nella neve senza esplodere, mentre la nebbia esponeva al rischio di attacchi improvvisi o alla perdita di orientamento. Le sentinelle, nei turni di sorveglianza, dovevano spesso legarsi alla postazione per resistere alle bufere di vento che duravano ore ed ore. La minaccia principale era rappresentata dalle valanghe, che già nel tardo inverno 1916 investirono molti baraccamenti in alta montagna, e dal congelamento. Anche in alta montagna, infine, era in agguato la depressione, alimentata dalla esposizione prolungata a temperature polari, dalla scarsità di cibo, dal senso di abbandono e di solitudine in cui vivevano i soldati. Per quanto nel corso del 1917 e del 1918 le condizioni di vita in alta montagna siano parzialmente migliorate, la guerra tra neve e ghiacci ricreò condizioni di sopravvivenza paragonabili a quelle proprie delle epoche preindustriali, nelle quali la minaccia all’esistenza proveniva in larga parte proprio dagli elementi naturali. G. Langes, La guerra tra rocce e ghiacci. La guerra mondiale 1914-1918 in alta montagna, Athesia, Bolzano 1981 H. von Lichem, La guerra in montagna 1915-1918. Il fronte dolomitico vol. II, Athesia, Bolzano 1993 D. Leoni, Guerra di montagna/Gebirgskrieg, in La prima guerra mondiale, a cura di S. Audoin-Rouzeau e J.-J. Becker, Einaudi, Torino 2007 I profughi dal Trentino Su tutti i fronti della Prima guerra mondiale milioni di civili vennero evacuati. Nel maggio 1915, dopo l’entrata in guerra dell’Italia, gli abitanti della parte meridionale del Trentino dovettero abbandonare le loro case. Circa 70-75.000 persone vennero allontanati dall’esercito austro-ungarico: una parte degli sfollati trovò ospitalità nelle campagne della Boemia e della Moravia, altre decine di migliaia vennero concentrate in grandi lager (Mitterndorf e Braunau am Inn), vere e proprie “città di legno” che arrivano a contenere 20 mila profughi. Nelle baracche dei campi la miseria, l’indigenza, la mortalità raggiunsero proporzioni enormi, mentre si instaurò per la priProfughi trentini in Moravia [Archivio MGR] ma volta la militarizzazione della vita civile. Circa 30.000 trentini vennero evacuati anche dall’esercito italiano e trascorsero gli anni della guerra in diverse località della penisola. Nell’autunno del 1917, in seguito allo sfondamento delle linee italiane a Caporetto, più di mezzo milione di civili di Friuli e Veneto furono costretti ad abbandonare le case e le città e a scappare frammisti all’esercito italiano in rotta. Profughi trentini in Moravia Il campo di Mitterndorf [MGR 123/155] D. Leoni, C. Zadra (a cura di), La città di legno, Temi, Trento 1995 (1981) P. Malni, Profughi italiani in Austria. Una storia dei vinti, una storia del Novecento, in La violenza contro la popolazione civile nella Grande Guerra. Deportati, profughi, internati, a cura di B. Bianchi, Unicopli, Milano 2006 Testimonianze di profughe trentine Dal diario di Giuseppina Filippi Manfredi, Scritture di guerra n. 4 Raminghi, derubati di tutto... Sabato scorso siamo partiti da Sacco a ore 1 ½ di dopopranzo; viaggiamo tutto il dopopranzo, la notte, la domenica e lunedì restammo fermi a Braunau A/Inn. Impossibile mi riesce a descriverti tutti i dolori di questa partenza, di questo viaggio interminabile. [...] Di viveri poi non si trova niente e non si sa come campare. In certi momenti non sò più cosa penso, mi sembra d’esser pazza. Sola con quattro figli e cola tema di saperti morto un dì o l’altro, povero caro! Se tu sapessi quanto soffro! Siam qui tutti in una casa; una stanza è cucina, le altre con quattro bracciate di paglia sono pel riposo, sono le nostre stanze da letto! Non abbiamo nessuna diferenza di militare, solo il rancio, che lo facciamo noi. Dalla memoria di Melania Moiola, Scritture di guerra n. 5 Era da qualche giorno che i paesi si trovavano deserti di uomini quando nella notte del 27 maggio 1915 si sentì bussare fortemente alle porte ed era il segnale della partenza. Ancor quel giorno si doveva partire e portare con se anche le bestie. C’era ordine di prendersi da mangiare solo per cinque giorni e di non aver con se più di un pacchetto di cinque chili. Non è certo possibile descrivere la costernazione e la confusione di tutti a quell’improvvisa sciagura. La gente era quasi fuori di se e non sapeva quello che si faceva. Abbiamo trascinato in qualche modo la roba negli avvolti credendo che fosse sicura poi ci abbiamo preparato in qualche modo un po’ di mangiare e poi col nostro fagotto sulle spalle come tanti pellegrini abbiamo abbandonato a malincuore la nostra casa e il nostro caro paesello natio dove abbiamo passato tanti belli anni felici per avviarci alla stazione di Rovereto […] Alla fine fummo invagonati come le bestie e siamo stati sul viaggio alcuni giorni, poi ci hanno scarmigliati un pochi in mezzo a gente tedesca che non poteva intenderci neppure una parola. […] Finalmente dopo tre mesi ci riunirono tutti nel campo di Mittendorf ci avevano preparato le baracche ma queste essendo poche e le persone tante ci avevano messo in quattro cinque famiglie a dormire in una piccola camera. Dalla Memoria Del nostro fugimento di Luigia Senter Dalbosco, Scritture di guerra n. 4 Eco che il giorno 8 finalmente ricevo una cartolina e/mi/dice che/si/trova a Vels. dice che anno finalmente ricevuto una cartolina e che e contento sentendo che stiamo tutti bene anche lui dice che sta bene. e adesso sono un poco contenta erassegnata ma sempre penso chissa dove lo condurra opovero Antonio mio. Ricevo unaltra nella quale mi dice chenea ricevute diverse delle mie e che sono restatto cosi contento sentendo come stiamo e comenetroviamo. sono restatta contenta sentendo cosi ebenvero che io non milamento micontento in tutto basta che io sapia nuove dal mio povero marito e poi mi rassegno in tutto. certo che se sapesse tutto piangeria anche lui inssieme di me. […] Neviene da piangere anon sapere più niente di nisuno nemeno di chi tanto si ama[,] tutti parla maio non sono piu capace di parlare[,] il mio cuore sofre e piangio […] nono [non ho] proprio nisuno dadirli quanto io sofro[,] miei figli ma sono giovani [e] non comprend[ono] niente. Il campo di internamento di Katzenau Nel maggio 1915 i trentini politicamente sospetti, ritenuti cioè di sentimenti filoitaliani, vennero rinchiusi dal governo austriaco nel campo di Katzenau, a pochi chilometri da Linz, sulla riva destra del Danubio. Il campo era stato costruito per l’esercito, ma fu poi utilizzato come campo di internamento per prigionieri russi, per i trentini e i triestini sospetti, per i cittadini italiani sorpresi in Austria dallo scoppio della guerra e anche per alcune centinaia di Rumeni. Gli internati trentini furono 1.754. Nel campo erano rappresentati tutti i ceti sociali, ma la classe intellettuale fu quella maggiormente colpita; nel campo vissero intere famiglie, in quanto molte donne accettarono volontariamente l’internamento per rimanere vicine ai mariti. All’interno del campo vigeva una rigida limitazione delle libertà personali e le condizioni di vita erano estremamente difficili. Tuttavia, la numerosa presenza di professori, avvocati e artigiani tra gli internati permise l’organizzazione di scuole e corsi di vario tipo per bambini e adulti, momenti ricreativi, musicali e sportivi. Il campo venne chiuso nell’aprile 1917 per decisione del governo austriaco. L’arrivo nel campo di Katzenau [MGR 26/42] C. Ambrosi, Vite internate. Katzenau, 1915-1917, Museo storico in Trento, Trento 2009 I caduti trentini della Grande Guerra La Grande Guerra ha segnato in profondità la comunità trentina provocando - come nel resto d’Europa lutti, sofferenze e distruzioni. Fino a qualche tempo fa una stima valutava a 10.500 il numero dei soldati trentini morti nel conflitto; oggi sappiamo che furono circa 11.400 e la ricerca sostenuta dalla Provincia di Trento e condotta in questi anni dal Museo Storico Italiano della Guerra proseguirà. Chi sono i “caduti” di cui si è cercato di ricostruire il numero e l’identità? Con questo termine si intende sia il soldato deceduto durante il conflitto, sia il reduce morto nel primo dopoguerra per cause riconducibili all’evento bellico. Sono stati registrati anche i lavoratori militarizzati e le crocerossine morti per motivi bellici (non invece i profughi e le vittime civili di guerra). Si sono considerati fra i trentini anche i figli di emigrati, nati fuori della provincia di Trento. Partendo dalla situazione amministrativa del 1918, sono stati contati anche i residenti nei comuni che ora non fanno più parte del Trentino per essere stati aggregati alla provincia di Bolzano, di Brescia o di Vicenza. Purtroppo di molti caduti si hanno poche informazioni, a volte solo il cognome e il nome. Mancando degli elenchi ufficiali delle perdite di guerra, la ricerca ha dovuto attingere a fonti molto diverse e parziali: monumenti ai caduti, giornali del tempo, “memorie”, ricerche locali, foto di gruppo, archivi familiari. La ricerca è stata molto complessa anche perché ha dovuto considerare 223 comuni e moltissime frazioni, indagare su persone decedute lontano dal proprio paese e dalla propria famiglia quasi un secolo fa. Ciò ha reso e rende difficile rintracciare documenti e testimonianze e richiede l’accesso ad archivi pubblici e privati. Rintracciare nuove informazioni, fare luce su molti casi di omonimia, ritrovare fotografie dei caduti, tutto questo richiede tempi lunghi, la collaborazione delle comunità e, perché no?, delle scuole. Sul database che ordina i dati fin qui raccolti (www.trentinocultura.net) la scheda segnala le informazioni utili: dati anagrafici, maternità e paternità, luogo di residenza, di nascita, di morte, di sepoltura; dati relativi alla vita militare; informazioni sulla morte. Registra inoltre le fonti consultate, l’esistenza di foto, il nome dei collaboratori, tra i quali auspichiamo di poter trovare sempre più numerose le scuole trentine. Cimitero di Janowice, 1915 Pia memoria di Beniamino Filippi Cimiteri di guerra in Galizia Fin dal 1915 le autorità dei paesi in conflitto si resero conto dell’importanza politica della celebrazione del culto dei caduti. Gli stati assunsero il ruolo che era stato, tradizionalmente, della famiglia nella preparazione della tomba per il caduto e delle comunità locali nella costruzione dei cimiteri e nella loro cura. Il 3 novembre 1915, a Vienna, presso il Ministero della Guerra, fu costituito il “IX Dipartimento per le sepolture di guerra” (IX Kriegsgräberabteilung), con sezioni locali distribuite in varie parti del territorio dello Stato, collegate con i Comandi di Corpo d’Armata. Compito del Dipartimento e delle sezioni locali era tenere un registro dei soldati morti, progettare, costruire e abbellire i cimiteri di guerra, seppellirvi i corpi dei caFoto Marek Saydukl duti dopo averli esumati dalle tombe provvisorie ricavate là dove aveva infuriato la battaglia: in Serbia, sulle Dolomiti italiane, nei Carpazi orientali, sull’Isonzo, in Volinia, in Galizia. Nonostante i limiti imposti dall’economia di guerra, nel corso di tre anni il Kriegsgräberabteilung della Galizia costruì circa 400 cimiteri, per seppellirvi i corpi di oltre 60.000 soldati. I cimiteri, concepiti come creazioni architettoniche originali, furono realizzati in prossimità dei luoghi dove i soldati erano caduti in battaglia. Tra gli addetti al Kriegsgräberabteilung regnava la convinzione del valore pedagogico e del carattere quasi religioso della loro impresa capace di esprimere un’elevata tensione morale. Le soluzioni architettoniche e le decorazioni erano scelte con grande cura. I progetti si connettevano alla natura, al paesaggio e, in alcuni casi, alle forme dell’edilizia tradizionale. Anche in Galizia si attinse al repertorio classico: il colonnato, l’obelisco, il pilastro, l’altare, il tumulo e la piramide, torri di ispirazione protoslava, piccole cappelle in legno e soprattutto croci monumentali che si rifacevano alle croci erette nei luoghi della guerra antinapoleonica. Nei cimiteri vennero collocate statue raffiguranti San Giorgio, cavalieri con la corazza, guerrieri nudi, crocifissioni, armature, elmi, teste di drago. Una serie di epigrafi poetiche dettate da Hans Hauptmann celebrava il sacrificio dei soldati; i versi richiamavano l’idea che la morte pone fine alla lotta e all’odio, il pensiero della resurrezione per tutti i caduti, a fronte della loro fedeltà e della grandezza del loro sacrificio. Dopo il 1918, nella Polonia rinata, i cimiteri militari austro-ungarici non godettero di buona considerazione; al contrario, erano visti come elementi estranei, che non corrispondevano alle caratteristiche del paesaggio e alle tradizioni artistiche del paese, essendo opere «di gusto e di stile tedesco». La Polonia risorta, al contrario, erigeva monumenti ai propri legionari, ai difensori di Leopoli nella guerra ucrainopolacca del novembre 1918, agli insorti polacchi dell’ex Slesia austriaca del gennaio 1919 e ai soldati della guerra polacco-bolscevica del 1920. Per le odierne generazioni, invece, i cimiteri militari galiziani della guerra 1914-1918 sono dei preziosi monumenti dell’arte europea e la traccia ancora visibile di un terribile conflitto. Da Pawel Pencakowsky, Gli «Eroi di nessuno». I cimiteri della Grande Guerra in Galizia, in I giardini degli eroi, catalogo della mostra, Rovereto 1997 Cimiteri di guerra e sacrari militari in Trentino Durante la guerra si era manifestata la necessità di provvedere rapidamente e a volte sommariamente alla sepoltura dei caduti; spesso però, già nel corso del conflitto le salme vennero raccolte in cimiteri di guerra sparsi sul territorio, a ridosso dei luoghi di combattimento. Tali cimiteri erano caratterizzati da insediamenti sparsi di croci, rispondevano ad una necessità pratica e rispecchiavano la pietà popolare. Nel dopoguerra le salme furono ripetutamente esumate e raccolte in grandi cimiteri a loro modo monumentali (Colle S. Elia, Castel Dante…). Alla fine degli anni ’20 il Regime fascista diede il via alla creazione di grandi spazi sacri a carattere nazionale, gli ossari monumentali, nei quali la dimensione del funebre e dell’eroico rispecchiavano le ritualità del Regime e il suo progetto nazionale. I cimiteri di guerra vennero smantellati e sostituiti da edifici di grandi dimensioni nei quali vennero concentrate decine di migliaia di salme, note e ignote. Anche in questi casi l’architettura rispettava il concetto di uguaglianza nella morte per la Patria, disciplinata e - per definizione - eroica, che già il Milite Ignoto simboleggiava. Da un punto di vista architettonico i Sacrari, biancheggianti nel marmo e nella pietra (materiali costruttivi privilegiati), erano caratterizzati da elementi architettonici coerenti con la produzione degli anni ’30 (gradoni, torri e archi) e da una manifesta volontà di visibilità. Le direttive centrali e la ricorrenza dei nomi dei progettisti comportò una certa omogeneità di soluzioni e temi. Cimitero austro-ungarico di Bondo Cimitero austro-ungarico di Slaghenaufi Al termine della guerra i cimiteri militari austroungarici ed italiani sul territorio regionale erano più di 1.000, di cui 900 in territorio trentino. Stime dell’epoca indicano la presenza di 300.000 caduti austro-ungarici e 30.000 italiani. Sacrario militare di Rovereto La fine della guerra Il 3 novembre 1918 il compito di gestire il Trentino nella fase di passaggio dall’Impero austro-ungarico al Regno d’Italia venne affidato ai militari. Governatore militare per il Trentino, l’Ampezzano e l’Alto Adige, fu nominato il generale Guglielmo Pecori Giraldi, comandante della Iª armata, che durante la guerra aveva combattuto nel settore del Trentino meridionale. Il Genio militare si impegnò fin da subito nella difficile opera di ricostruzione, in particolar modo nella cosiddetta “zona nera”, il territorio della prima linea che alla fine della guerra risultava completamente devastato. Era infatti necessario predisporre quanto serviva per il rientro dei profughi, circa 100.000 persone alle quali bisognava garantire alloggi e servizi. La moneta austriaca (corona) fu convertita con la lira italiana e il cambio comportò una notevole perdita economica per la popolazione trentina. A fine luglio 1919 il Governatorato militare venne sostituito da un Governatorato civile che fu assunto il 4 agosto dall’on. Luigi Credaro. Molina di Mori [MGR] Dalla memoria di Melania Moiola, Scritture di guerra, n. 5 Era l’ultimo dicembre quando ci siamo messi in viaggio fummo invagonati peggio che le bestie, il viaggio durò parecchi giorni senza poter adagiarsi a prendere un po’ di riposo finalmente siamo arrivati alla stazione di Rovereto verso sera pioveva dirottamente e abbiamo dovuto passare la notte alla stazione. Alla mattina diversi autocarri ci condussero i bagali nella fabbrica di Sacco e nei vasti saloni senza vetri senza letti fummo condotti a centinaia come tante mandrie di pecore e ci lasciarono tre giorni senza mangiare. Benché il tempo era cativissimo gli uomini andarono a visitare le loro dimore colla speranza di trovare le case in buono stato per poter abitarvi ma invece trovarono un mucchio di rovine, le case che erano in buon stato avevano le muraglie e qualche pezzo di coperto, le soffitte e i travi sono stati asportati, le soglie delle finestre e delle porte demolite, le strade erano tutte coperte di proietili pericolosissime, ancora i primi giorni due ragazzetti prendendo da terra un nastrino rimasero sfracellati. Malgrado le molte dificoltà che s’incontrava ci decidemmo a partire alla volta del paese. Ci siamo rifugiati in una stalla seduti sopra le foglie di quercia che ci serviva di sgabello e anche di letto. La memoria della Grande Guerra in Trentino Negli anni ’20 e ’30 le nazioni, in nome delle quali milioni di soldati si erano scontrati per anni all’interno delle trincee, si trovarono nella necessità di giustificare gli elevati costi del conflitto da poco concluso. Attraverso monumenti e cerimonie si celebrò l’eroismo dei soldati e si cercò di rimuovere l’orrore della guerra. La morte del singolo soldato venne giustificata inserendola in una vicenda di sacrificio collettivo compiuto in nome della patria. Famiglie, comunità ed istituzioni vennero coinvolte in un progetto nazionale di commemorazione, che si manifestò attraverso la realizzazione di monumenti ai caduti, Sacrari, Parchi e viali delle Rimembranze, ma anche con libri di testo e manifestazioni pubbliche. In Italia si affermò un progetto nazionale di costruzione di una memoria collettiva della guerra che prevedeva una selezione dei ricordi e delle vicende da tramandare ed era legata a simboli e miti nazionali. L’appello ad un silenzio rispettoso della morte di milioni di soldati contribuì alla messa al bando delle discussioni e delle voci discordanti. In Trentino la storia dei soldati arruolati nell’esercito austro-ungarico e la vicenda dei profughi vennero rimosse, per lasciare spazio a simboli e miti legati alla nuova patria, l’Italia. Il Regno d’Italia non volle infatti mai riconoscere pubblicamente i soldati trentini in uniforme imperial-regia, se non uniformandoli nell’impropria condizione di soldati caduti per una causa nemica; le restrizioni imposte dal Governo fascista alla erezione di monumenti ai caduti trentini, aggravò ulteriormente la situazione. Sorsero invece numerosi monumenti in ricordo dei volontari morti nelle fila dell’esercito italiano, a loro vennero intitolate vie, piazze, aule scolastiche e nelle scuole le loro vicende vennero presentate come esemplari. Da alcuni anni il Museo della Guerra si è impegnato in una ricerca volta a realizzare un Censimento dei Caduti trentini della Grande Guerra che, ora finalmente e per la prima volta, permette di conoscerne il numero e l’identità (i risultati sono consultabili sul sito www.trentinocultura.net). Monumento a Cesare Battisti, Trento. Disegno di R. Iras Baldessari, anni ‘30 Monumento ai volontari nell’esercito italiano in p.za Podestà, Rovereto Banca dati dei Caduti trentini della Grande Guerra, www.trentinocultura.net G. Mosse, La Grande Guerra. Dalla tragedia della guerra al mito dei caduti, Laterza, Roma-Bari 1990 J. Winter, Il lutto e la memoria. La Grande Guerra nella storia culturale europea, Il Mulino, Bologna 1998 P. Marchesoni e M. Martignoni, Monumenti della grande guerra. Progetti e realizzazioni in Trentino 1916-1935, Museo storico in Trento, Trento 1999