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A cura di Aldo Scarnera
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della vita
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QUADERNI
degli Annali
dell’Istruzione
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Allegato 8
ISTRUZIONE E FORMAZIONE
TECNICA SUPERIORE (IFTS)
1998-2003
Il dizionario delle professioni tecniche:
uno studio di fattibilità
LE MONNIER
www.lemonnier.it
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TUTTI I DIRITTI RISERVATI
OTTOBRE 2004
LA TIPOGRAFICA VARESE S.P.A. – STABILIMENTO DI FIRENZE
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INDICE
Sommario, di Aldo Scarnera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il Dizionario delle Professioni Tecniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Mercato del lavoro, informazione e professioni . . . . . . . . . . . . . . . .
Sistema formativo e informazione sulle professioni . . . . . . . . . . . . .
Professioni e dizionari delle professioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Lo studio di fattibilità del Dizionario delle Professioni Tecniche . . . .
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Cap. 1. La formazione tecnica superiore, di Vincenzo Persichella . . . . . . . . . .
1. I lavoratori della conoscenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2. I fabbisogni di formazione IFTS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.1. Un primo identikit del lavoratore tecnico . . . . . . . . . . . . . .
3. Fabbisogni formativi e competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.1. La descrizione delle competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4. La progettazione di percorsi formativi IFTS . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.1. Dagli standard minimi delle competenze alle Unità formative
capitalizzabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5. Competenze e concreta attività lavorativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6. Per un dizionario delle professioni tecniche . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Opere citate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Cap. 2. Tre modelli di dizionario, di Aldo Scarnera . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La professione: aspetti problematici di un concetto . . . . . . . . . . . . . . . .
1. Il Dictionary of Occupational Titles (DOT) . . . . . . . . . . . . . . . . .
2. Il Répertoire Opérationnel des Métiers et des Emplois (ROME) . . . .
3. L’Occupational Information Network (O*NET™) . . . . . . . . . . . .
3.1. L’Occupational Information Network (O*NET™) e il suo
Content Model . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2. Dalla tassonomia all’informazione finale. Modalità, strumenti
di rilevazione, nomenclatura e dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Cap. 3. Come rilevare il lavoro che cambia, di Francesco Paolo Cerase . . . . . .
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1. Come cambia il lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.1. Cambiamenti attesi come effetto del cambiamento di fattori
esterni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2. Cambiamenti attesi come effetto del cambiamento delle
strategie di impresa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3. Gli effetti sui contenuti del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2. L’analisi delle (e per) competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.1. Sul concetto di competenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2. Gli approcci all’analisi delle competenze . . . . . . . . . . . . . . .
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3. I sistemi di analisi del lavoro e delle professioni . . . . . . . . . . . . . . . .
3.1. Tipi di sistemi di analisi del lavoro: definizioni e criteri
generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2. L’esperienza francese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3. L’esperienza americana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4. Il modello dell’Occupational Information Network (O*NET)
3.5. Per concludere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Opere citate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Cap. 4. La fattibilità del Dizionario delle Professioni Tecniche . . . . . . . . . . .
1. L’adozione del modello O*NET™ per il Dizionario delle Professioni
Tecniche. Approcci e condizioni di fattibilità, di Aldo Scarnera . . . .
1.1. La partecipazione all’indagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2. L’organizzazione dell’indagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3. Il questionario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4. La nomenclatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2. Considerazioni metodologiche relative alla fattibilità dell’indagine
campionaria, di Marco Fortini e Claudia De Vitiis . . . . . . . . . . . .
2.1. Definizione del parametro d’interesse . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2. Indagine campionaria e stima del parametro . . . . . . . . . . . .
2.3. Procedura di selezione e contatto delle unità statistiche . . . .
2.4. Valutazione della strategia campionaria basata su simulazione . .
2.5. Considerazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Opere citate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Sommario 1
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Il Dizionario delle Professioni Tecniche
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ell’ambito della convenzione tra il MIUR e l’ISTAT per il
biennio 1999/2001 e a seguito delle indicazioni del Comitato nazionale per l’IFTS che ha condiviso la necessità di avviare studi e ricerche finalizzate alla predisposizione di un dizionario delle professioni
tecniche, nel novembre 2001 è stato affidato all’ISTAT l’incarico di redigere uno studio di fattibilità con l’obiettivo di individuare fra le alternative progettuali possibili, quella più adeguata in termini di tempi e di costi di realizzazione, di funzionalità rispetto
agli obiettivi, di modalità di manutenzione, di rilascio e di aggiornamento delle informazioni rilevate, di congruità del modello analitico di riferimento.
Scopo di queste righe è quello di sintetizzare i risultati dello studio, ma prima di farlo conviene accennare rapidamente all’utilità di uno strumento del genere che si estende ben oltre il supporto informativo al sistema dell’IFTS.
■
Mercato del lavoro, informazione e professioni
Il mercato del lavoro è il luogo in cui si incontrano o dovrebbero incontrarsi, da un lato, soggetti interessati ad acquisire forza lavoro e, dall’altro, soggetti
interessati a offrire lavoro.
Il condizionale sarebbe forse d’obbligo, in ragione delle caratteristiche che distinguono il mercato del lavoro dal mercato dei beni.
1 Dr. Aldo Scarnera, Primo Ricercatore, Istat.
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In quest’ultimo, infatti, l’oggetto della transazione, bene o servizio che sia, e le informazioni sul suo valore d’uso (per chi lo acquisisce) e di scambio (per chi lo cede) sono relativamente note ad entrambi gli attori e le regole e le condizioni entro cui lo scambio avviene sono altrettanto relativamente certe. Certi sono anche i rapporti di forza: è il singolo produttore che definisce il valore di scambio e la merce da immettere sul mercato in
relazione ai comportamenti degli altri produttori. I consumatori, in questo quadro, hanno un potere limitato, anche se il complesso dei loro comportamenti (parte integrante
del mercato) può, in teoria, determinare anche il fallimento di un singolo produttore.
Nel mercato del lavoro, al contrario, i rapporti di forza fra gli attori risultano rovesciati. Diversamente dal mercato dei beni e dei servizi, chi offre forza lavoro, vale a dire
chi cerca un lavoro, pur trovandosi nella posizione del produttore, ha un potere generalmente limitato e del tutto subordinato sia al comportamento del singolo consumatore, che in questo caso è l’azienda che domanda lavoro, sia al complesso di tali comportamenti.
In questo quadro, perfino le informazioni sulla merce da scambiare, appunto la forza lavoro, e sullo stato del mercato non sono sempre chiare e immediatamente disponibili sia per chi tale forza lavoro vuole acquistare sia per chi intende cederla.
E, tuttavia, quest’ultimo aspetto delle transazioni sul mercato del lavoro è diventato
cruciale nella sua attuale configurazione.
Le ricadute sugli attori e sul sistema sono molteplici e molto diverse. Luciano Gallino 2 le sintetizza nel modo seguente (testo in corsivo):
a) Per un individuo e per la sua famiglia, raccogliere informazioni sulle aziende che domandano forza lavoro d’un determinato tipo, e al tempo stesso diffondere informazioni
sulla propria disponibilità ad offrirla, comporta costi personali ed economici molto elevati. Quando uno cerca attivamente lavoro deve (poter) spendere per muoversi, viaggiare, scrivere, telefonare, faxare. Così facendo scarica su altri l’onere della riproduzione della vita quotidiana. Una ricerca di impiego che si prolunga per mesi o anni genera frustrazione soggettiva e marginalità oggettiva. Con l’esito di far crescere anche il numero dei lavoratori scoraggiati, vale a dire quella parte nascosta e non conteggiata di disoccupazione che ha sempre contribuito e ancor oggi contribuisce fortemente a far
crescere il disagio sociale provocato dalla mancanza di lavoro.
b) In genere le aziende decidono in tempi stretti. L’espansione delle attività di una azienda è legata alla possibilità di reperire, nei tempi più utili per renderla produttiva, tutta la forza lavoro necessaria. Se, per qualche motivo, questo non avviene l’azienda rinuncerà ai suoi progetti con ricadute sul sistema occupazionale.
c) La probabilità di mismatch fra domanda e offerta di lavoro non è rara. L’azienda non
attua il suo potenziale di crescita a causa di un deficit di forza lavoro che non è reale bensì contingente; le forze produttive disponibili non realizzano il loro valore, né creano valore aggiunto, perché i mezzi di produzione che lo permetterebbero e pure sono disponibili giacciono inutilizzati nell’oscurità generata dalla mancanza di informazioni.
2 L. Gallino, Se tre milioni vi sembran pochi, Einaudi, Torino, 1998, pp. 224-226.
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L’informazione su cosa e su quanto è disponibile sul mercato del lavoro è dunque
cruciale per farlo funzionare in modo adeguato. Lo stesso Gallino, non risparmiando
critiche serrate sul modo in cui il mercato del lavoro nazionale è stato tradizionalmente organizzato, individua nella riduzione dei problemi di informazione uno dei cardini
delle future politiche dell’occupazione, indicando come centrale una questione già da
diversi anni, in qualche modo, implicitamente tematizzata e metabolizzata dal dibattito sul mercato del lavoro e sull’esigenza di dotarlo di un Sistema Informativo del Lavoro (SIL) 3.
Ma ritorniamo all’informazione necessaria al mercato del lavoro, o meglio a una delle sue componenti più rilevanti.
Sul mercato del lavoro la merce in circolazione, la forza lavoro, è indissolubile dagli
individui che la offrono, ma non sono gli individui, in quanto tali, ad essere richiesti.
Ciò che le aziende ricercano sono abilità, capacità di svolgere determinati compiti o di
utilizzare determinate attrezzature, conoscenze, saperi e competenze più o meno strutturate, stili di lavoro e così via; cose, insomma, che gli individui sanno e sanno fare: l’oggetto delle transazioni che avvengono sul mercato del lavoro è, in altri termini, la professione che un individuo sa svolgere e che l’impresa richiede.
Parrebbe un’affermazione del tutto ovvia e scontata che, tuttavia, appare in tutta la
sua problematicità non appena si considera che tali transazioni avvengono su una base
conoscitiva pressoché nulla.
Infatti, sebbene imprese e lavoratori in qualche maniera identifichino con un nome la professione che sanno svolgere o che richiedono, quella professione e quel nome
non risultano sistematicamente repertoriati e connotati in termini di contenuti di lavoro, di requisiti, di competenze, di modi organizzativi, di rapporti con persone o macchinari, di istruzione formale, di formazione, di abilità cognitive, di abilità pratiche,
di prestazioni, di autonomia, di responsabilità; di quanto, insomma, è necessario a definire e ad individuare l’oggetto e lo standard sui cui avviene l’incontro fra domanda
ed offerta di lavoro.
La mancanza di questo tipo di informazione di fatto non impedisce l’incontro fra
domanda e offerta di lavoro, ma di certo pone serie condizioni per il verificarsi dei problemi citati da Gallino.
Le poneva in passato, nemmeno tanto remoto, quando definire una professione ed
individuarne i suoi contenuti poteva essere una operazione relativamente semplice (si
pensi all’operaio addetto alla catena di montaggio per il quale competenze, conoscenze, abilità richieste dalla professione erano individuate dal punto in cui era collocato
lungo la catena); le pone maggiormente oggi, che quanto è richiesto ad una qualsivoglia professione tende ad inquadrarsi sempre più nella dimensione del lavoro high per-
3 Non solo in Italia, nello stesso periodo, infatti, il governo statunitense ha avviato con forti investimenti
la realizzazione dell’American Labour Market Information System (ALMIS), poi individuato fra le best
practice per il mercato del lavoro dall’International Labour Office. Cfr. http://almis.dws.state.ut.us/;
http://www.almisdb.org/; http://www.ilo.org/public/english/dialogue/ifpdial/la/gp/usa1.htmP.
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formance (la professione di quello stesso operaio non è più così facilmente definibile ora
che la catena di montaggio è diventata un’isola di produzione).
Che si tratti di un problema concreto del mercato del lavoro nazionale emerge anche dalla forte richiesta di informazioni e di analisi sul tema delle professioni e su quelli correlati della formazione, dell’istruzione e dell’incontro fra domanda e offerta di lavoro e dalla consistente produzione di ricerche sui fabbisogni professionali e formativi
sollecitata e sostenuta dallo Stato.
Non si tratta tanto di una moda, come è avvenuto in passato, ma di un’esigenza reale legata alle accelerate trasformazioni che il sistema economico sta attraversando.
Nascono, infatti, nuovi campi di attività e con essi nuovi lavori e nuove professionalità e al contempo cambiano i contenuti e le abilità necessarie per svolgere lavori tradizionali. Molti lavori mettono meno tempo a cambiare di quanto ne sia necessario per
impararli: nel corso di un ciclo formativo possono addirittura scomparire o cambiare in
tal guisa da rendere del tutto insufficienti o inutili le nozioni apprese.
Le conseguenze sono diverse.
Intanto non funziona più la staffetta generazionale: in famiglia gli adulti hanno più
difficoltà nell’orientare i giovani alla professione e a scegliere i percorsi migliori per garantire loro un futuro professionale certo. Essi stessi, peraltro, sono investiti da quei cambiamenti e fanno ancor più fatica ad adattarvisi.
Le imprese, a loro volta, si trovano in difficoltà poiché alcune abilità della propria
forza lavoro, ritenute in passato cruciali e sulle quali magari si era investito, diventano
obsolete, altre abilità diventano invece centrali, a volte sono nuove, a volte magari risultano già esistenti ma in passato erano state semplicemente ignorate. Per loro risulta
sempre più difficile e complicato capire come investire sulla propria forza lavoro per far
fronte alle sfide poste dalla tecnologia e dai mercati e, ancor di più, quali caratteristiche
professionali ricercare nella forza lavoro disponibile o con quali altre possono sostituire
la forza lavoro che non riescono a reperire sul mercato.
Disporre di informazioni sulle professioni e sui loro caratteri costitutivi diventa, così, un elemento strategico e centrale per un corretto funzionamento del mercato del lavoro.
Lo è per le famiglie che potrebbero accedere alle informazioni necessarie per decidere quali investimenti fare per il futuro dei figli e per orientarli al lavoro.
Lo è per chi lavora (o per chi cerca lavoro) che disporrebbe di dati rilevanti per capire come potenziare le proprie prestazioni lavorative o su quali nuove conoscenze o competenze puntare per essere più competitivo sul mercato del lavoro.
Lo è per gli imprenditori che avrebbero maggiori informazioni sulle caratteristiche
della propria forza lavoro e su come intervenire per adattarla ai cambiamenti imposti
dalla tecnologia e dalla competizione economica.
Lo è per gli stessi decisori politici che disporrebbero di informazioni sul capitale umano circolante sul mercato del lavoro estremamente utili per adottare strategie e misure
adeguate ad una sua crescita al passo con i tempi.
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Sistema formativo e informazione
sulle professioni
La mancanza di queste informazioni pone ulteriori problemi anche al
sistema formativo, da sempre accusato, spesso inseguendo banali o interessati luoghi comuni, di essere in ritardo con i tempi.
Fino a non molto tempo fa un individuo poteva investire in un percorso di istruzione più o meno lungo e acquisire lì un corpo di conoscenze che gli sarebbe stato utile per
tutta la vita.
Lo avrebbe utilizzato soprattutto nel suo lavoro che si sarebbe svolto in un contesto
sociale e produttivo soggetto a cambiamenti relativamente lenti e sequenziali, comunque in grado di garantire tempi e strumenti adeguati per i necessari aggiornamenti.
Con quel corpo di conoscenze, inoltre, avrebbe potuto continuare a svolgere sempre
lo stesso mestiere seguendo percorsi di carriera ben strutturati e definiti su tempi relativamente lunghi. Avrebbe potuto certamente muoversi fra organizzazioni o postazioni
di lavoro diverse, ma con la sostanziale aspettativa di cambiare professione solo di rado
e in conseguenza di avvenimenti particolari.
Negli ultimi vent’anni il sistema produttivo è stato caratterizzato dalla rapidità con
cui i risultati della ricerca scientifica sono diventati sempre più estesamente disponibili
per le imprese sotto forma di tecnologia di immediato ed economico utilizzo. Ciò ha
posto, lo si è già accennato, non pochi problemi di adattamento della forza lavoro e di
obsolescenza relativa delle capacità professionali da questa espressi, modificando, nei
fatti, le logiche dell’attività lavorativa, della crescita professionale e la stessa relazione fra
la professione e il corpo di conoscenze su cui era fondata.
In questa situazione, il lavoratore si trova ad erogare la sua attività in ambienti sempre più flessibili, soggetti al cambiamento e tecnologicamente orientati che mettono in
crisi le preesistenti logiche lavorative, sostituendole con altre più accelerate e strutturalmente diverse.
Si tratta di condizioni che spingono gli individui nel corso della loro vita a svolgere
più attività lavorative e perfino professioni molto diverse fra loro, dando luogo ad una
elevata mobilità professionale che è certamente la caratteristica prevalente del lavoro atipico su cui si va concentrando da anni la crescita occupazionale del nostro paese, ma
pure uno dei caratteri più significativi che contraddistinguono le nuove forme di flessibilità richieste al lavoro stabile e garantito.
La progressiva instabilità e volatilità delle conoscenze legate all’esercizio di una professione e la forte e generalizzata emergenza della mobilità fra professioni diverse induce inevitabilmente i sistemi dell’istruzione e della formazione professionale a porsi
il problema di come dotare i propri utenti di strumenti cognitivi che li pongano in grado di adattarsi rapidamente ai cambiamenti e di acquisire le capacità e le conoscenze
necessarie ad affrontare nuovi e sempre diversi compiti ed attività lavorative (learning
to learn).
Sicché il baricentro della querelle sulla separazione fra sistemi formativi in generale
e mondo del lavoro da qualche lustro si è spostato, e non di poco, ponendo, più sensa-
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tamente, problemi quali la formazione continua, l’integrazione fra apprendimento formale e non formale, l’alternanza scuola-lavoro e riposizionando il tema dell’efficienza/efficacia di quei sistemi e dell’adeguatezza e della spendibilità sul mercato del lavoro
delle conoscenze e delle competenze trasmesse in termini ben più complessi.
In quest’ottica disporre di informazioni sui contenuti delle professioni e di strumenti che ne anticipino i cambiamenti e ne prevedano la domanda diventa cruciale
per la programmazione degli output del sistema e per la stessa progettazione dei curricula formativi.
Lo diventa a maggior ragione per i percorsi IFTS che incorporano, già a partire dal
quadro normativo con cui sono stati attivati, la necessità di rispondere ai fabbisogni professionali dei mercati del lavoro locali.
Sia perché l’informazione sui contenuti delle professioni circolanti fornisce quei dati empirici sugli standard di prestazione esistenti dai quali procedere per una progettazione curricolare mirata e per una definizione fortemente ancorata degli standard minimi di conoscenze, competenze, ecc. che l’IFTS è tenuta a mantenere.
Sia perché raccogliere informazioni sulle professioni comporta definire modelli e griglie analitiche fondate su concetti generalizzabili e quantificabili, non ambigui rispetto
al dato empirico che intendono cogliere e, soprattutto, non declinati in modo autoreferenziale o tautologico.
Modelli e griglie analitiche che costituirebbero un forte contributo metodologico e
cognitivo soprattutto nella definizione dei costrutti utilizzati nell’IFTS, a partire da quello di competenza che, pur riferendosi ai processi sottostanti all’agire professionale, in
mancanza di riferimenti empirici e di griglie analitiche che li rilevano, viene necessariamente e opportunamente declinato rispetto ai prodotti attesi di tale agire (il soggetto sa
fare …, è in grado di …) 4.
■
Professioni e dizionari delle professioni
Informazioni sistematiche sulle professioni non sono mai state rilevate nel nostro paese; né quelle apparentemente disponibili – rilevabili, ad esempio, dalla Classificazione delle professioni edita dall’Istat o dagli elenchi delle qualifiche professionali utilizzati in passato dal collocamento pubblico o, ancora, dalle recenti ricerche
in materia di fabbisogni formativi o professionali – risultano, in qualche misura, utilizzabili nella direzione desiderata 5.
4 Nella stessa aporia incorre il ROME, repertorio delle professioni realizzato dal governo francese, dal quale sembrerebbe ripreso il concetto di competenza e il modo di connotarlo cui attualmente fa riferimento l’IFTS. Cfr. Agence Nationale pour l’emploi, ROME, Répertoire Opérationnel des Métiers et des Emplois, La documentation Française, 1999, 4 voll., p. 7.
5 La stessa pregevole ricerca condotta dall’Isfol sia per l’individuazione delle fasce di professionalità e di
qualificazione negli anni Settanta e Ottanta, che per la realizzazione dei due repertori delle professioni
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La ricerca sistematica sugli strumenti di individuazione e di classificazione delle professioni, infatti, è stata da sempre istituzionalmente condotta dall’Istat ma nell’ambito,
che gli è proprio, delle attività di standardizzazione dei linguaggi che afferiscono alla
produzione del dato statistico.
Né poteva essere altrimenti, sia per il ruolo dell’Istituto Nazionale di Statistica, sia
per la particolarità dell’informazione di cui si va discutendo.
Da un lato, infatti, l’offerta di informazione sulle professioni è stata sempre di tipo
enumerativo (quanta forza lavoro è occupata in quali classi di professioni) e per produrla con sufficiente dettaglio la classificazione pubblicata dall’Istituto ha trovato piena e compiuta espressione, dall’altro, le strutture governative interessate a diversificare
tale tipo di informazione non hanno mai attivato risorse stabili per acquisire dai sistematici sulle professioni, sui loro contenuti e sui loro cambiamenti
Gli isolati tentativi in questa direzione si sono fermati agli inizi degli anni Sessanta
con l’Elenco delle Qualifiche Professionali redatto dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale in collaborazione con l’Istat, per le finalità amministrative del collocamento pubblico, ma per quanto esteso, dettagliato e dotato di una solida sistematica (la
classificazione SEDOC), si trattava, appunto, di un elenco di qualifiche (del lavoro alle dipendenze) che, già per definizione, non poteva fornire il dato di cui qui si discute.
Ma se l’offerta di informazione sulle professioni è sempre stata strutturalmente debole, non va dimenticato che la stessa domanda aggregata non l’ha mai sollecitata nel
modo più appropriato.
In Italia l’approccio all’analisi del mercato del lavoro e alle politiche per l’impiego
è sempre stato di tipo «macro»; i ragionamenti sui problemi e sull’individuazione delle soluzioni sono sempre stati centrati sulle grandi categorie di analisi (disoccupazione, occupazione…) e sulla inevitabile semplificazione del rapporto tra domanda e offerta di lavoro.
Un’informazione più analitica sulle professioni, che in altri paesi costituisce uno dei
dati di base con cui costruire le politiche per il mercato del lavoro, ha così trovato il suo
senso solo nelle fasi della contrattazione collettiva e alla correlata necessità di definire un
linguaggio comune su cui costruire le norme per regolare le prestazioni del lavoratore e
gli obblighi del datore di lavoro.
Tuttavia, per quanto minima e sostanzialmente riferita ai compiti e ai doveri del lavoratore con una determinata qualifica professionale, tale informazione, seguendo la naturale evoluzione della contrattazione collettiva, è quasi sempre scomparsa disperdendo un patrimonio di informazioni che poteva tornare di qualche utilità per la ricerca.
Fin qui si è discusso di informazione sulle professioni in un contesto che la associa
al concetto di dizionario.
pubblicati finora non approda a risultati adeguati alle necessità del momento, sia per la numerosità delle professioni indagate e schedate sia per la griglia analitica adottata. Cfr. ISFOL, Fasce di Professionalità, vari voll.; ISFOL, Fasce di Qualificazione, Quaderni di formazione, vari voll.; ISFOL, Repertorio delle Professioni, IPZS, 1987; ISFOL, Repertorio delle Professioni, ISFOL, 11 voll., 1999.
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Di fatto, però, il termine dizionario e i relativi sinonimi (repertorio e così via) nella
loro accezione comune non rendono bene il senso e i contenuti dell’informazione che
dovrebbe rendere disponibile.
Non si tratta, infatti, di associare semplicemente una spiegazione ad un termine o di
descriverlo in modo enciclopedico. Le professioni sono oggetti complessi che non possono semplicemente essere identificati con le attività lavorative che comportano o con
le finalità che le sono proprie. In esse entrano in gioco le capacità cognitive e fisiche degli individui che le svolgono, le relazioni sociali e organizzative e i contesti e le condizioni materiali in cui vengono esercitate, i modi in cui generano lavoro trasformando
risorse in prodotti, le attività e le conoscenze necessarie a farlo, e così via.
Più che un dizionario, insomma, si tratta di definire un modello analitico in grado
di cogliere le dimensioni più significative e rilevanti per l’uso che se ne intende fare e
con tale modello descrivere e spiegare i singoli termini di quello che impropriamente
continuiamo a chiamare dizionario delle professioni.
La sua realizzazione pone, comunque, una serie di delicati problemi teorici e pratici.
Da un punto di vista strettamente metodologico costruire un siffatto dizionario, sia
pure solo delle professioni tecniche, significa realizzare un lavoro di classificazione estremamente particolare.
Non si tratta di costruire un sistema enumerativo di categorie basato su pochi criteri, tipico delle classificazioni statistiche delle professioni. Sistemi del genere risultano
utili per censire efficacemente, e con una strumentazione relativamente semplice da utilizzare, il numero di occupati nelle categorie professionali definite dal sistema, ma non
per descrivere quello che gli individui fanno e come lo fanno.
Si tratta piuttosto di costruire un sistema analitico-descrittivo che procede individuando e descrivendo le professioni rispetto ad un insieme determinato di caratteristiche definito dal modello di rappresentazione che si è scelto di utilizzare.
La logica della sua costruzione è strettamente legata non solo alla definizione del modello di rappresentazione ma specialmente alla individuazione e alla descrizione degli
elementi (meglio delle variabili) che intervengono a costituire la griglia analitica con cui
si guarda a quell’oggetto.
Un secondo problema è strettamente legato al tipo di informazione che, nel quadro
di un modello analitico, entra a costruire un dizionario.
Si tratta, infatti, di acquisire dati sulle professioni, di ricostruire, in altri termini, il
quadro empirico entro cui una professione si svolge e si differenzia dalle altre che appaiono simili, rilevando in modo altrettanto empirico il capitale umano che vi è investito. Ciò significa che le professioni vanno osservate direttamente nel loro svolgersi e
che i risultati di tale osservazione devono restituire dati qualitativi e quantitativi che
rappresentano in modo statisticamente significativo i caratteri di ciascuna professione
considerata.
Tale aspetto pone problemi complessi rispetto alle modalità e alle tecniche di rilevazione del dato. Queste, infatti, devono considerare non solo come raggiungere gli
oggetti e rilevare le informazioni ritenute necessarie ma anche, e soprattutto, come ela-
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borare, restituire in tempi rapidi le informazioni raccolte e, considerando la particolare dinamica del fenomeno da osservare, come garantire aggiornamenti tempestivi dell’intero sistema.
Non meno importanti, poi, sono le questioni che ruotano intorno alla denominazione.
Un dizionario, infatti, definisce anche il linguaggio standard con cui un sistema sociale si rivolge alle professioni. È un tema particolarmente delicato perché in Italia le
pratiche di costruzione di uno standard linguistico per le professioni, come già accennato, si sono fermate a quarant’anni fa. Il vuoto linguistico che ne è derivato, tuttavia,
non è stato colmato da un linguaggio creato dal mercato. I nomi con cui ci si riferisce,
oggi in Italia, alle professioni spesso mancano di referenti concreti, derivano da attività
formative, sono il risultato di suggestive deduzioni sugli effetti delle trasformazioni tecnologiche ed economiche, emergono sempre più impressionisticamente da attività giornalistiche che da riferimenti a professioni reali.
In questo quadro la costruzione dello standard linguistico pone problemi complessi di ricerca, di confronto con le parti sociali e con gli assetti normativi del mercato del
lavoro che vanno opportunamente trattati e ricondotti ad unità.
■
Lo studio di fattibilità del Dizionario
delle Professioni Tecniche
Lo studio parte da una ricerca condotta sulle schede progettuali dei
corsi IFTS 6 che mette in luce alcuni degli aspetti problematici che il nuovo percorso
formativo si trova ad affrontare, rilevando eccessi di variabilità nella definizione della figura professionale del tecnico superiore e ambiguità nell’uso di termini come conoscenza
o competenza e mostrando come la realizzazione di un dizionario costituirebbe un contributo operativo alla soluzione dei problemi individuati.
Prosegue con una disamina minuta dei tre più significativi dizionari delle professioni
finora realizzati – lo statunitense Dictionary of Occupational Titles, il francese ROME e
ancora dagli USA il nuovo Occupational Information Network (O*NET™) 7 – ricostruendo
le principali teorie e i modi di rappresentare le professioni su cui sono fondati.
Approfondisce, poi, i problemi che investono le professioni in un’economia tecnologicamente orientata e globalizzata, soffermandosi sul concetto di competenza e sugli
approcci teorici da cui è derivato e, soprattutto, ponendosi il problema di come analizzare e monitorare i cambiamenti in atto sul mercato del lavoro riguardo ai contenuti
delle professioni.
6 Particolarmente utile a riguardo sono risultate le informazioni rilasciate dalla banca dati implementata
dall’INDIRE. Cfr. http://www.indire/ifts/.
7 Cfr. U.S. Department of Labor, Employment and Training Administration; Dictionary of Occupational
Titles, U.S. Department of Labor, IV ed. Rev. 1991; ANPE, ROM…, cit.; e http://www.onetcenter.org.
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In questo quadro individua nel modello analitico adottato dall’Occupational Information Network (O*NET™) quello più adatto per sistematicità, innovazione, operatività ed economicità a costruire un Dizionario delle Professioni Tecniche al passo con il
nuovo millennio.
Questi i punti di forza individuati (dal capitolo III di questo rapporto):
– O*NET si presenta come un sistema in grado di integrare a livello nazionale i diversi
sistemi di classificazione delle professioni, siano essi «enumerativi» o «descrittivoanalitici» e quindi di superare precedenti forme di frammentazione;
– O*NET si basa su un «Content model» teoricamente fondato e validato attraverso un
approfondito esame di descrittori e variabili che riguardano la persona, il lavoro, il
contesto. Sono questi i «mattoni» in base ai quali si costruisce il contenuto di un determinato lavoro e se ne apprendono le modalità di svolgimento;
– O*NET consente l’accesso e l’uso attraverso diverse modalità e «finestre» multiple.
Vi si può accedere, infatti, a partire dai nomi delle professioni, quale che sia il livello di specificazione, o a partire da uno qualsiasi dei descrittori dei singoli domini in
cui è strutturato. In un mondo in cui la natura del lavoro è in rapido cambiamento,
quest’ultima modalità o finestra di accesso è particolarmente importante. Essa consente a chi la usa di pervenire induttivamente al livello di un determinato lavoro o
professione, piuttosto che procedere, come nel caso di altri sistemi, deduttivamente
a partire da una determinata categoria professionale definita in base ad una situazione passata e che fornisce delle informazioni sulle caratteristiche del lavoro richiesto che possono essere non più attuali;
– O*NET consente facilmente di operare analisi e confronti tra sistemi di classificazione diversi e con ciò di ovviare a precedenti forme di non comparabilità;
– il programma di rilevazione dei dati di O*NET è relativamente meno costoso di altri ed agilmente governabile.
Le conclusioni dello studio di fattibilità ne raccomandano, dunque, l’adozione suggerendo di sottoporre a ulteriore validazione le sue dimensioni analitiche, individuando percorsi per definire la nomenclatura più adeguata al mercato del lavoro italiano e
proponendo di implementare il tutto con un diverso disegno di rilevazione delle informazioni che tende a risolvere i problemi riscontrati negli Stati Uniti, a rafforzare la significatività del dato da produrre e a colmare i gap informativi di partenza dell’Italia.
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La formazione tecnica superiore 1
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1. I lavoratori della conoscenza
C’
è un’area di professioni che si è venuta espandendo negli ultimi decenni e che continua ad espandersi all’interno degli
scenari del lavoro dei paesi sviluppati. È l’area costituita da
una gamma assai articolata di attività lavorative sui cui contenuti – nota Federico Butera – «pesano più di un tempo le componenti ‘brain-powered’ e ‘knowledge-based’» (Butera et al., 2001, 379).
Quali tipi di lavoratori, denominati pertinentemente ‘lavoratori della conoscenza’
(knowledge workers), possono essere inclusi in tale vasta e variegata area?
Butera osserva che essi sono cresciuti e tendono a crescere progressivamente con «la
rottura del paradigma organizzativo taylorista-fordista e il superamento della divisione
verticale del lavoro […] mentre diminuiscono le tradizionali figure gerarchiche intermedie e le figure operaie dequalificate» (Butera, 1998, 6).
Un riferimento empirico, a titolo di esempio particolarmente significativo perché riguarda i flussi piuttosto che gli stock, può essere quello dei lavori ‘atipici’. In un’indagine condotta dall’Isfol e dall’Unioncamere su 3500 imprese operanti a livello nazionale
in cinque settori di attività (commercio, trasporti e comunicazioni, servizi avanzati alle
imprese, servizi operativi alle imprese, sanità privata) dove si è affrontato anche l’aspetto «delle professionalità ricorrenti fra gli occupati in posizioni contrattuali non standard», è emerso che «accanto a profili professionali a qualificazione bassa e medio-bassa (che appaiono nel complesso prevalenti nello spaccato considerato), assumono però
rilievo anche tutta una serie di lavori caratterizzati da più alti livelli di competenze tecniche e di specializzazione, in particolare professioni intermedie quali i tecnici ed ope1 Vincenzo Persichella, Università di Bari.
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ratori informatici, gli operatori di call center ed intervistatori, i tecnici di marketing, pubblicità e pubbliche relazioni, i progettisti e tecnici di Cad/Cam e computer grafica, tecnici e responsabili della distribuzione commerciale, della logistica, del magazzino e dei
trasporti…» (Isfol, 2002a, 105).
Ma perché lavoratori ‘della conoscenza’? Di quali conoscenze si tratta?
Sono conoscenze «capaci di generare valore per le imprese e le amministrazioni». Conoscenze il cui sviluppo «sta divenendo uno dei più potenti fattori dello sviluppo delle economie occidentali […] Le brainpower industries come Thurow le chiama [i settori a più alta crescita negli anni Novanta – microelettronica, biotecnologie, telecomunicazioni, robot e computer] e le imprese che rinnovano se stesse richiedono il contributo non solo di
scienziati e tecnologi ma anche di ‘esperti’ o ‘sapienti’ in tutta l’area dell’innovazione e del
cambiamento: esperti di marketing, comunicazione, diritto, economia, organizzazione,
risorse umane, ecc., non solo manager. […] Conoscenze chiave, sono non solo la conoscenza esperta tecnica nelle varie discipline, ma anche la conoscenza esperta socio-organizzativa (‘il saper fare avvenire le cose’), la conoscenza ‘contestuale’ (il ‘saper nuotare come un pesce nell’acqua della propria organizzazione…), la conoscenza ‘tacita’ (il ‘saper fare pratico’ che si vede solo quando si impiega) e molte altre» (Butera, 1998, 7-8).
Lavoratori della conoscenza – continuiamo a seguire Butera – «sono coloro che nel
lavoro dipendente o autonomo […] hanno responsabilità di innovazione e gestione di
processi complessi; operano su informazioni, segni, simboli, che non eseguono procedure prescritte ma lavorano su ruoli o ‘copioni’ più o meno ampi. Essi nei processi produttivi inseriscono prevalentemente l’input delle loro conoscenze e competenze e producono output immateriali come servizi, integrazione, coordinamento, innovazione.
Hanno gradi di autonomia elevati […], si differenziano in base alla combinazione delle conoscenze piuttosto che in base alla segmentazione e separazione delle conoscenze
(quelle teoriche e astratte versus quelle pratiche e applicative, quelle di concezione versus [quelle] di replicazione, [quelle] di coordinamento e controllo versus [quelle] di esecuzione» (ibidem, 6 e 9).
■
2. I fabbisogni di formazione IFTS
I fabbisogni formativi di un territorio, da considerarsi di volta in volta a dimensioni variabili, attengono alle esigenze di qualificazione e valorizzazione delle risorse umane. Sono esigenze del sistema sociale complessivo, riguardano cioè non
soltanto la domanda proveniente dalle imprese ma anche quella dei singoli soggetti. Una
domanda, quest’ultima, molto spesso implicita, non dichiarata, non ancora chiara e consapevole, scarsamente orientata, che rinvia in ogni caso al diritto-dovere di ciascun cittadino di poter acquisire e sviluppare le competenze e capacità di prestazione adeguate
almeno alla sua piena sopravvivenza psicofisica nella società in cui vive, al livello di civiltà che questa società ha raggiunto e potrà raggiungere.
Si configura così un intreccio tra economia, tecnologia e politiche della formazione delle risorse e del loro impiego, più complicato di quello cui parrebbero riferirsi
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modelli troppo appiattiti sulla variabile indipendente della ‘tecnologia’. In tale prospettiva la risposta ai fabbisogni formativi di un dato territorio è da intendersi, dal lato dei singoli individui, come un percorso permanente di sviluppo di competenze comunicative e di capacità di prestazione, nonché di acquisizione e sviluppo di determinati orientamenti di valore, strettamente legato alle trasformazione della società in
cui essi vivono.
La possibilità di rispondere ai fabbisogni formativi di un territorio richiama l’esigenza di disporre di un forte quanto flessibile sistema formativo. Certo, tenendo ovviamente presente che la formazione non è in grado di sprigionare la sua efficacia se non
interagendo ‘strategicamente’ con gli altri fattori, endogeni ed esogeni, non solo di natura economica, che bene o male influenzano cumulativamente nel medio e lungo termine le scelte produttive e occupazionali e, dunque, le opportunità di vita e di lavoro
delle popolazioni che abitano quel dato territorio.
Il sistema al quale dobbiamo pensare è una rete di strutture, modi e luoghi intenzionalmente formativi, capace di assicurare l’acquisizione e lo sviluppo di modi di pensare, saperi, conoscenze, nonché di abilità professionali. Si tratta di un sistema integrato, dunque, che si muove cioè su due gambe interconnesse costituite rispettivamente
dal sottosistema dell’istruzione (che va dalla scuola per l’infanzia fino all’Università), e
dal sottosistema che raccoglie l’insieme di occasioni e di attività formative più direttamente collegate al lavoro, cioè all’acquisizione, allo sviluppo ed al mantenimento di capacità professionali.
È in questo sistema integrato che si colloca il nuovo filone dell’Istruzione e formazione tecnica superiore con la sua peculiare funzione di fornire adeguate risposte formative ai fabbisogni di figure professionali tecniche facenti parte della vasta area dei lavoratori della conoscenza.
Specialmente in tema di formazione non pare un’operazione produttiva quella di
considerare acriticamente come dato l’introduzione di un nuovo strumento formativo
e, solo ex-post, cercare di delinearne funzioni ed obiettivi, e confermarne legittimità e
carattere di insostituibilità. Il nostro tuttavia è un caso particolare, poiché lo strumento formativo cui facciamo riferimento – l’IFTS – ha già alle spalle diversi anni di sperimentazione generalizzata e tanto lavoro di elaborazione, valutazione, organizzazione ecc.
Per avere una qualche idea dell’impegno profuso pregevolmente sull’IFTS da tanti
soggetti e organismi pubblici e privati in questi ultimi anni ci basti qui richiamare quanto si può leggere in un Rapporto Isfol:
«Nello scorso mese di agosto [2002] la Conferenza unificata ha approvato le Linee
guida per la programmazione dei percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore
e delle misure di sistema per l’integrazione dei sistemi formativi relative all’anno 20022003.
Nel Documento […] si precisano alcuni punti nodali riguardo alle regole da seguire
nel programmare ed istituire i corsi, tra cui l’individuazione delle figure professionali, le
norme per l’accesso, gli standard minimi delle competenze e le misure di sistema. […]
Una novità in particolare caratterizza le nuove Linee guida; essa riguarda la scelta delle figure professionali che le Regioni possono inserire nel proprio bando. Tale scelta è da
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effettuarsi all’interno di un elenco di figure professionali di riferimento presentate in allegato al Documento tecnico. Si prospetta di fatto un range di figure professionali di riferimento nei settori dell’agricoltura, industria e artigianato, commercio e turismo, trasporti, servizi pubblici e privati d’interesse sociale, individuate tra quelle prescelte dalle
Regioni nella precedente programmazione della fase sperimentale ed in relazione alle
indagini sui fabbisogni degli Organismi bilaterali…» (Isfol, 2002b, 401-404).
Vi sono buone ragioni, dunque, per dare per acquisito qui, preliminarmente, che
uno strumento di formazione adeguato a fornire risposte ai fabbisogni di formazione
tecnica, sia proprio quello dell’Istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS). Questo ‘nuovo’ filone formativo sembra avviato a trovare una decisa e insostituibile peculiarità, sia rispetto alla tradizionale formazione professionale di secondo livello (postmedia superiore), sia, soprattutto, rispetto all’università.
2.1. Un primo identikit del lavoratore tecnico
Proviamo, per cominciare, a delineare in qualche modo una sorta di ideal-tipo, o meglio: di weberiano ‘concetto di genere tipico-ideale’, di questa figura professionale del
tecnico.
Attenendoci alle descrizioni di Federico Butera che collegano sinteticamente competenze e tipi di formazione (Butera, 1998, 21-22), potremmo senza dubbio escludere
i livelli più elevati e complessi di figure professionali sicuramente appartenenti alla estesa area dei lavoratori della conoscenza e cioè:
1) Ricercatori, docenti e scienziati e 2) Professionals (o esperti dotti). «Figure – queste
ultime – dotate di conoscenze teoriche e tecnologiche strutturate e spesso certificate, oltre che di significative esperienze e competenze applicative: contribuiscono allo sviluppo o all’integrazione di conoscenze rilevanti per i processi dell’ente in cui operano. Essi sono generati dalla formazione universitaria (lauree, master, diplomi di perfezionamento e di specializzazione, diplomi di dottorato ad orientamento professionale)».
In questo secondo gruppo però troviamo anche le nuove professioni nelle organizzazioni «(computer scientists, esperti di marketing, figure tecnico-commerciali ad alta qualificazione…, esperti di finanza e controllo, …, ecc.)» che potremmo cominciare a prendere in considerazione. Li conosciamo poco, osserva Butera, come conosciamo ben poco, al confronto col molto che sappiamo circa il rapporto tra Università e professioni liberali, «sul tipo e sulla qualità dell’offerta formativa che l’università o le scuole superiori dovrebbero proporre, che include conoscenze teoriche e capacità cliniche, decisionali, integrative, ecc.». Questi professionisti, continua Butera, «potrebbero essere in alcuni casi i destinatari di una formazione post-secondaria di qualità non terminale, quella
cioè che è una prima fase per proseguire nei successivi stadi della formazione (laurea,
master, specializzazione, ecc.)».
Andrebbero sicuramente prese in considerazione quelle figure di quadri e di management intermedio tendenti a diventare, anch’esse, lavoratori della conoscenza e che «ormai non svolgono più tanto ruoli di comando e di coordinamento ma piuttosto di im-
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missione di conoscenze ed esperienze nelle strutture operative e di garanzia di raggiungimento di risultati nei processi complessi. Necessitano oltre che della formazione scolastica e universitaria di base nel dominio principale di applicazione (economia, ingegneria, diritto, ecc.) e della formazione di tipo manageriale tradizionale (che aveva per
oggetto abilità solutorie, decisionali, integratrici e si avvaleva di metodi attivi), anche
dell’utilizzazione delle conoscenze nelle grandi reti di Internet e Intranet e di nuove forme di apprendimento sul lavoro. Per le piccole imprese – chiosa Butera – non è escluso
che i migliori corsi potranno formare figure manageriali intermedie».
Particolarmente pertinenti invece appaiono gli altri due tipi di figure professionali:
i Tecnici o ‘esperti pratici’ e gli Operativi qualificati o ‘operatori di processo’.
I tecnici o ‘esperti pratici’, «figure con formazione meno teorica ma con elevata formazione ed esperienza pratica, svolgono attività di risoluzione di problemi o di realizzazione di processi incerti anche attraverso l’uso di specifica strumentazione. Essi hanno sia conoscenze tecniche e metodologiche che conoscenze del contesto applicativo
aziendale. […] Essi sono generati dalla formazione tecnica superiore […], dalla Formazione universitaria (diplomi universitari ma anche, in alcuni casi, lauree), dalla formazione entro l’azienda e l’amministrazione (scuole aziendali). La qualità delle competenze che vanno sviluppate si estendono da quelle solutorie, sensorio-motorie […], a
quelle diagnostiche e interpretative che richiedono una conoscenza generale e un paradigma indiziario […], a quelle tacite e contestuali di cui parla Barley analizzando manutentori, tecnici di progettazione e operatori dei servizi tecnici. La qualità dell’esperienza di lavoro, [sempre importantissima] in questo caso è assolutamente fondamentale e in alcuni casi equipollente alla formazione scolastica. Questa è la categoria centrale che si vuole supportare e sviluppare con il [sistema di] Fis».
Anche gli operativi qualificati o ‘operatori di processo’ «potranno essere considerati sempre più lavoratori della conoscenza». Si tratta di «figure di operativi con conoscenze, esperienze idonee e sufficienti a controllare e regolare processi di produzione di beni e servizi, risolvendo problemi e minimizzando varianze, che operano in cooperazione con i
gruppi di lavoro in cui sono inseriti e impiegano frequentemente tecnologie informatiche: il processo ‘sta nelle loro teste’. Sono figure che evolvono da un livello di formazione medio-bassa, riqualificate da appositi programmi formativi aziendali, a figure con formazione di diploma di scuola secondaria superiore e con formazione professionale postsecondaria. Fra questi troviamo conduttori di impianti, operatori di processo, operatori
di front-line, case managers, ecc. […]. Essi saranno sempre più frequentemente diplomati di scuola media superiore e potranno essere destinatari di corsi post-diploma…».
Ovviamente, le precedenti sintetiche rappresentazioni, pur suggerendo delle interessanti linee di esplorazione, non possono essere associate a ‘concetti di genere tipici’,
e cioè a forme di generalizzazione descrittive (non sono astrazioni di connessioni causali), ottenute «mediante l’osservazione di regolarità empiriche» e attraverso un «procedimento di astrazione e di accentuazione di determinate caratteristiche comuni a più
casi» (Weber, 1974, 110-128) e capaci di indicare determinati elementi caratterizzanti. Appaiono piuttosto descrizioni verosimili ma non ‘veritiere’, così come soltanto plausibili, verosimili appunto, sono nel loro carattere essenzialmente allusivo e nominali-
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stico molte delle figure professionali inserite opportunamente nell’ultima classificazione Istat delle professioni. Specialmente le numerose voci professionali raccolte nel
gruppo delle ‘Professioni tecniche’ e distribuite tra i quattro sottogruppi, delle scienze
fisiche, naturali e dell’ingegneria; delle scienze della salute e della vita; dell’amministrazione e delle attività finanziarie e commerciali; dei servizi pubblici e alle persone
(Scarnera, 2001).
Per fare qualche passo in avanti nell’esplorazione che si sta operando, non potendo
disporre al momento di una documentazione adeguata relativa alle professioni tecniche
(un repertorio ‘veritiero’ delle professioni) il materiale sul quale si può (e pare opportuno) lavorare è quello costituito dall’insieme delle proposte di corsi IFTS, così come documentate dall’INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione e la
Ricerca Educativa) e da qui ‘prelevate’.
Vi si trovano numerosi casi nei quali sembra molto probabile che la proposta di un
percorso formativo riguardante un dato profilo professionale sia scaturita da una qualche esplorazione empirica dei fabbisogni riconducibili a quella professione; in altri casi, viceversa, l’offerta di formazione sembrerebbe più probabilmente desunta in maniera autoreferenziale (a partire cioè dalle stesse possibilità – risorse a disposizione – di offerta formativa). Nel primo tipo di casi, allora, il grado di attendibilità empirica dell’insieme di competenze ritenute necessarie per svolgere quella data professione e descritte nel progetto si può considerare più elevato, così come vanno considerati attendibili, quando la proposta li descrive in qualche modo, anche gli effettivi compiti lavorativi dai quali presumibilmente quelle competenze sarebbero state desunte.
Casi del genere se ne trovano già nella prima documentazione a nostra disposizione
che raccoglie le proposte di corsi IFTS degli anni 2000-2001. Questi casi sono identificabili mediante la presenza nella descrizione del progetto di riferimenti espliciti ai ‘raccordi’, al ‘dialogo’, o a ‘tavoli congiunti’, ecc., tra i soggetti proponenti (partners, gruppi di aziende ‘interessate’, consorzi, associazioni professionali e così via), che alludono
più o meno apertamente anche a operazioni di indagine, di esplorazione, o comunque
ad attenzioni particolari prestate alle esigenze o potenzialità dei rispettivi mercati del lavoro dal lato della domanda.
Vediamone alcuni esempi:
– Esperto di ricerca, valutazione, salvaguardia, riproduzione e promozione di specie erbacee autoctone:
[…] Le associazioni dei consumatori, operatori del settore e ambientalisti hanno sottoscritto un protocollo d’intesa che prevede interventi coordinati con le istituzioni
pubbliche al fine di assicurare un rigido controllo sulla qualità delle produzioni agricole e certificare se sono esenti o presentano mutazioni genetiche. In uno scenario
così complesso e di così intensa evoluzione, emerge indiscutibile la necessità della
creazione di una figura professionale che sia in grado di svolgere sull’intero territorio attività di analisi per la individuazione dei prodotti tipici locali per distinguerli
da quelli esotici e da quelli modificati geneticamente e verificare che tutte le attività
suesposte vengano esercitate nel rispetto delle normative vigenti.
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– Assistente tecnico edile:
[…] Per la definizione del nuovo profilo professionale, così come va delineandosi a
seguito delle intervenute novità normative, i soggetti proponenti, rappresentanti il
mondo economico, scientifico, scolastico, formativo e sociale, sono stati attivati su
iniziativa del Collegio delle Imprese Edili di Como, in una serie di incontri di studio e allargati alle parti sociali, alla CCIAA e ad alcune imprese rappresentative del
settore. Il frutto di questa attività è confluito nella definizione di questo progetto,
fortemente sostenuto da tutte le parti proponenti. […] La figura professionale dell’Assistente tecnico edile secondo la declaratoria del CCNL «è colui che distribuisce
il lavoro agli operai, cura l’esecuzione dei lavori in base a disegni e progetti, procede
alla misurazione e liquidazione dei lavori affidati a cottimo o subappalto; ha eventualmente podestà di trattare con i fornitori, provvedendo all’approvvigionamento
dei materiali. Inoltre ha facoltà disciplinare sulle maestranze ed assume e licenzia gli
operai, nell’ambito delle direttive impartite dall’impresa». Il contesto lavorativo entro cui si inserisce questa figura professionale è un contesto organizzato d’impresa.
L’assistente tecnico è, infatti, diretta emanazione dei vertici aziendali e opera per la
buona conduzione delle attività produttive e amministrative, sapendosi inserire e
rapportare in un quadro organizzativo che vede impegnati diversi attori […]. L’evoluzione della figura professionale nel breve e medio periodo vede una nuova e più caratterizzata capacità operativa nei campi della sicurezza, dell’ambiente e dell’informatica applicata alla gestione delle attività.
– Ispettore di cantiere, specializzazione per interventi sul patrimonio edilizio esistente:
[…] [Questa specializzazione] è volta alla formazione di un ispettore di cantiere che
operi sul patrimonio edilizio esistente, in interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione, restauro, ristrutturazione. Questo tecnico di cantiere dovrà acquisire
consapevolezza dell’importanza culturale ed economica di un corretto recupero e valorizzazione dell’edilizia esistente, sia di pregio che di base; sarà sensibile alla conservazione delle caratteristiche tipologiche e materiche dei manufatti; sarà disponibile
a riscoprire ed applicare le antiche tecniche costruttive e di finitura. Inoltre, l’ispettore di cantiere sarà informato sulle moderne tecniche diagnostiche, sul consolidamento strutturale e sul restauro materico, effettuati con metodi tradizionali o moderni, così da poter fattivamente collaborare con i tecnici ed operatori specializzati
in interventi sia su edifici monumentali sia sull’edilizia di base. In questo contesto,
l’introduzione alle problematiche e alle tecniche costruttive della bioarchitettura,
[…] sottolinea la stretta connessione tra i principi e i materiali bioedili e il buon costruire della tradizione toscana. Dalle predette connotazioni deriva la innovatività di
questa figura, particolarmente richiesta in un’area ove le imprese sono principalmente
impegnate in interventi sull’edilizia esistente.
– Operatore qualificato per i beni architettonici:
[…] Il corso si articolerà in due anni di formazione teorico-pratica ed uno aggiuntivo di stage realizzato all’esterno dell’attuale progetto, a carico della Scuola Profes-
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sionale edile, presso le imprese accreditate del settore. Nel secondo anno il corsista
sceglierà un indirizzo tra le specializzazioni di restauro della pietra, del legno, degli
intonaci e stucchi, delle pitture murali. Tali indirizzi rispondono ad esigenze di personale qualificato richiesto dalle ditte del settore edile. Professionista che interviene
nella conservazione e reintegrazione di manufatti architettonici di materiale lapideo,
ligneo, stucco e di decorazioni pittoriche. Tale professionista sarà in grado di operare con le più aggiornate tecnologie di diagnostica e informatica nelle imprese tradizionali del restauro. L’operatore interviene con consapevolezza storica e tecnica nel
rispetto delle tecniche esecutive originarie e dei valori intriseci dell’opera. Esercita
attraverso l’acquisizione delle conoscenze e competenze tecnico-professionali acquisite la funzione di coordinamento e di integrazione tra le diverse fasi di intervento e
tra i diversi operatori tecnici operanti sul cantiere, nonché tra il settore tecnico e quello amministrativo dell’impresa.
– Progettista di applicazioni avanzate Internet:
Questa figura è molto richiesta dal mercato per la necessità di tutte le aziende di avere una propria vetrina orientata sempre più a modelli di business B2B o B2C su Internet. È responsabile di definire le tecnologie e l’infrastruttura dell’organizzazione
nella pianificazione e nella evoluzione dei sistemi server di sviluppo e di produzione
orientati alla tecnologia Internet per la pubblicazione di informazioni e per l’esecuzione di applicazioni di tipo Internet/Intranet. È un profondo conoscitore delle architetture software, dei linguaggi e delle applicazioni dovendo essere sempre aggiornato sulle più recenti tecnologie in modo da integrarle quando opportuno nella tecnologia in uso nella organizzazione. La figura deve possedere una forte capacità di
lavorare in team in quanto si deve confrontare con le altre realtà aziendali in modo
da far crescere i servizi di rete e in particolare la sicurezza in linea…
– Esperto nella filiera vitivinicola:
Cura l’impianto e la coltivazione del vigneto; controlla e valuta i risultati delle operazioni tecniche di cantina; applica le normative igienico-sanitarie e di sicurezza nei
luoghi di lavoro; si occupa del marketing e della commercializzazione dei prodotti
anche per via telematica; tiene i registri di cantina dei prodotti enologici; recepisce e
gestisce innovazioni tecnologiche nel settore viticolo-enologico, finalizzate ai miglioramenti dell’efficienza dell’impresa; individua e verifica le opportunità di finanziamento nell’ambito dei canali legislativi comunitari e nazionali.
– Tecnico di impresa nell’edilizia:
Valuta gli elementi tecnico-economici per la predisposizione dell’offerta al cliente; elabora l’offerta per l’acquisizione della commessa; cura le pratiche burocratico-amministrative relative all’avanzamento della commessa; cura l’applicazione della normativa sulla sicurezza nei cantieri e sulla qualità ambientale; gestisce la commessa dal
punto di vista tecnico-economico (budget, organizzazione delle risorse umane e materiali) con la supervisione dell’imprenditore; predispone la contabilità di fine lavori.
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– Webmaster:
Idea, progetta e cura lo sviluppo di un sito Internet adottando le soluzioni che garantiscono il necessario equilibrio tra esigenze tecniche e obiettivi commerciali; è
dunque responsabile di applicazioni aziendali ‘mission-critical’, anche di tipo e-commerce, basate sulle infrastrutture web; crea prototipi, simulazioni e ambienti virtuali per rappresentare la soluzione proposta; ingloba nelle soluzioni grafici, animazioni audio e video.
– Tecnico per l’integrazione sistemica delle funzioni gestionali, logistiche, amministrative:
Integra e coordina le funzioni operative e strumentali delle attività aziendali di back
office (gestione, amministrazione, controllo, logistica) con quelle relative al front end
commerciale e relazionale. Unifica attraverso un’impostazione operativa e tecnologica, le varie tipologie procedurali a seconda dei requisiti amministrativi, documentali, evidenziali; coordina l’attività di gestione di tecnici di sistema in ambienti di rete locale, definisce le procedure di manutenzione dei server e di sicurezza degli accessi, progetta architetture software per il funzionamento delle reti di telecomunicazione; aiuta il responsabile commerciale nella promozione commerciale e nella vendita attraverso lo sviluppo di un sito web, aiuta a presentare le informazioni e i servizi in modi sempre più creativi, innovativi e dinamici; aiuta gli utenti a comprendere come vi si può accedere e successivamente implementa le soluzioni a supporto;
è responsabile dell’analisi, della progettazione e dello sviluppo di applicazioni aziendali fondamentali per la missione dell’azienda, anche di tipo e-commerce, basta sull’infrastruttura web; può creare prototipi, simulazioni e ambienti virtuali per rappresentare la soluzione proposta; ingloba nelle soluzioni, grafici, animazioni, audio
e video; opera all’interno di un team ma al contempo può svolgere questo ruolo anche mediante telelavoro o collegamento remoto.
– Tecnico di automazione industriale del settore metalmeccanico:
Controlla e coordina le risorse impegnate nel reparto produzione; pianifica la produzione; controlla il rispetto dei tempi di consegna; verifica la fluidità del lavoro nell’intero settore e interviene apportando correttivi nel rispetto delle indicazioni e delle strategie elaborate dai vertici aziendali; disegna e/o progetta prodotti industriali
con l’ausilio delle tecnologie informatiche (in particolare, il sistema CAD, Computer Aied Design, utilizzato per progettare, modificare e visualizzare il prodotto, mentre il sistema CAM, Computer Aied Manifacturing, è utilizzato per programmare,
controllare e guidare le operazioni delle macchine robotizzate che realizzano il prodotto); controlla/esegue la programmazione di macchine utensili a controllo numerico computerizzato per la lavorazione, costruzione, assemblaggio e/o revisione di
una parte meccanica sulla base di disegni predisposti o utilizzando come modello un
pezzo campione; programma l’assemblaggio, il controllo e la messa in opera di macchine o impianti; effettua i controlli periodici; programma interventi di manutenzione ordinaria e/o straordinaria; diagnostica i principali difetti e anomalie e coordina e controlla le riparazioni necessarie; coordina le attività di controllo sul proces-
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so produttivo e sui prodotti in modo da garantire la qualità complessiva del servizioprodotto offerto al cliente, conformemente da quanto stabilito dalle procedure aziendali; contribuisce, in base alle indicazioni e direttive fornite dalla direzione, al mantenimento o all’ottenimento del sistema di qualità in conformità alla normativa internazionale sugli standard tecnici di qualità e pianifica e attiva azioni per il miglioramento continuo.
– Tecnico di gestione finanziaria d’impresa turistico commerciale:
Provvede a prevenire le insolvenze mediante le clausole contrattuali, le condizioni di
garanzia, l’analisi dei rischi clienti, l’impiego di strumenti di credit scoring, avvalendosi dei sistemi informativi informatici e telematici; valuta la convenienza di assicurare i crediti, analizza le condizioni e le caratteristiche dell’offerta assicurativa, individua la tipologia più adeguata; assicura i crediti, analizza le condizioni e le caratteristiche dell’offerta assicurativa, individua la tipologia più adeguata; gestisce il credito aziendale mediante l’attività di monitoraggio e controllo dei crediti in scadenza, la contabilità clienti, l’analisi dei principali indici di valutazione (esposizione,
DSO, giorni/clienti, l’aging dei crediti scaduti), il report periodico; provvede al recupero in via stragiudiziale dei crediti scaduti, mediante l’esazione interna, l’affidamento in outsourcing (definendo i criteri di scelta dell’agenzia, prescrivendo le procedure e le modalità di esazione e di reporting, effettuando l’azione di controllo e valutazione dell’efficacia ed efficienza dell’agenzia); provvede al recupero dei crediti in
via giudiziale, mediante le azioni legali che si possono effettuare senza l’assistenza di
un legale, l’affidamento ai legali fornendo assistenza al contenzioso; valuta i crediti
di non conveniente azione giudiziaria e predispone la procedura per l’iscrizione a perdita in bilancio dei crediti irrecuperabili o per la cessione prosolvendo/prosoluto; ricerca e analizza le diverse forme di accesso al credito e individua le più convenienti
ed adeguate alle specifiche esigenze di finanziamento dell’impresa; raggiunge gli obiettivi lavorando in team, rapportandosi e contemperando le esigenze dell’area amministrativa-finanziaria con quelle commerciale/marketing e qualità/customer satisfaction, per l’ottimizzazione dei risultati aziendali.
Come era prevedibile, vi compaiono in buona parte attività, operazioni o ‘compiti’,
prevalentemente orientati ad una fare tecnico. Compiti che tuttavia non paiono configurarsi o definirsi esclusivamente come esecuzioni meccaniche e puntuali di operazioni rigidamente prestabilite o anche di istruzioni operative funzionalmente prescritte. Vi
si intravedono spazi variamente ampi di discrezionalità operativa per il lavoratore (ma
non per la creatività tecnologica e ancor meno scientifica). Vi si colgono cioè possibilità diffuse per l’autonomia operativa, sia per quanto riguarda i modi di realizzare e di organizzare il proprio lavoro, nonché, spesso, anche quello di altri, sia anche per quanto
riguarda la pianificazione o la verifica di percorsi lavorativi o parti di processo.
Si può dunque affermare, intanto, che si viene configurando, seppure all’interno di una
estesa gamma di variazioni, una figura di tecnico-specialista, impegnato prevalentemente
in compiti che richiedono una più che buona padronanza di diversi codici linguistici.
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Disponiamo anche di una estesa e articolata casistica di progetti di corsi IFTS con
avvio previsto per il 2002 o 2003 (www.indire.it/ifts). Vi si trovano molte informazioni tra le quali, per quel che ci riguarda qui maggiormente, quelle riguardanti le
«competenze in esito al percorso», la durata in semestri e numero di ore, le aziende
«interessate alla figura professionale in esito al percorso», i soggetti proponenti, l’ambito territoriale.
Nelle schede seguenti si riportano soltanto le «competenze in esito di percorso» (così come sono state ‘scaricate’, anche con i refusi sorprendentemente numerosi di scrittura o di punteggiatura), le quali invero in qualche caso risultano descritte piuttosto come vere e proprie attività:
– Progettista di soluzioni informatiche in ambito domestico:
Diritto nella net-economy. Inglese – livello Upper Intermediate. Buona conoscenza
delle principali architetture e tecnologie di rete sia fissa che mobile. Informatica utente livello medio-alto. Problem solving. Capacità di lavorare in team. Organizzazione aziendale. Programmazione Java. Sviluppo di Database. System Administrator
Unix Linux. Push Technology per video ondemand. Sistemi di videoconferenza. Internet appliance. Configurazione avanzata di router CISCO. Buona conoscenza delle architetture di reti mobili GSM, GPRS e UMTS. Applicazione delle norme fondamentali di sicurezza informatica. Conoscenza del protocollo Bluetoothe Wi-Fi.
Capacità di programmazione in C. Capacità di integrazione e gestione di applicazioni di domotica. Progettazione di soluzioni di domotica. Gestione di centri servizi di teleassistenza. Elementi di diritto e di economia.
– Tecnico esperto nella progettazione del verde e dell’analisi territoriale:
Saper ricostruire la gerarchia dei percorsi urbani e territoriali. Saper dare ragione della ricostruzione dell’impianto antico. Saper identificare il parcellario. Saper inserire
i tipi edilizi di base nel contesto analizzato. Saper riconoscere e ricostruire il sistema
di suddivisione del suolo agricolo. Saper impostare una operazione di rilievo dei fronti stradali. Saper supportare con immagini fotografiche il rilievo della citta’ e del territorio. Saper realizzare una ricostruzione grafica della suddivisione del suolo agricolo. Saper utilizzare lo strumento del rendering e del disegno a computer. Saper restituire graficamente un sistema di misura antico. Inglese First Certificate. Informatica ECDL. saper elaborare un progetto di analisi nel settore di riferimento. Saper riconoscere un contesto urbano ed il suo territorio di pertinenza.
– Tecnico della salvaguardia del territorio specializzato in Gis e telerilevamento:
Buona conosceza dell’inglese tecnico. Buona conoscenza dei progammi di automazione di ufficio e di specifici software applicativi. Elevato grado di conscenza del territorio regionale. Conoscenza della normativa a tutela dell’ambiente. Capacità di interpretazione delle piante carografiche. Saper organizzare e gestire gruppi di lavoro.
Capacità di valutare con immediatezza i rischi provocati dai differenti fenomeni e
l’efficacia delle azioni da intraprendere rispetto agli incidenti verificatisi. Ottime ca-
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pacità relazionali. Capacità motivazionali dirette a stimolare lo spirito di gruppo e
partecipazione. Capacità di elaborazione e gestione di data-base territoriali. Conoscenza dei metodi e delle tematiche relative al telerilevamento aerospaziale. Conoscenza dei sistemi informativi geografici (GIS).
– Tecnico superiore specialista di controllo produzione e processo nel settore delle materie
plastiche:
Conoscenza degli elementi di base di economia ed organizzazione aziendale. Saper
diagnosticare ed affrontare i problemi. Conoscenza degli elementi tecnico-scientifici propedeutici di base. Conoscenza dei materiali polimerici. Conoscenza ed utilizzo dei sistemi informatici di base (livello ECDL) ed applicata. Conoscenza della lingua inglese (livello PET). Saper comunicare e relazionarsi. Possedere gli elementi di
base per progettare con le materie plastiche. Conoscere ed applicare le tecnologie di
trasformazione e gli impianti. Conoscere ed applicare i principi di elettronica e di
automazione industriale. Conoscere ed applicare i principi di gestione aziendale in
materia di logistica, qualità, gestione risorse e contabilità industriale.
– Responsabile di cantiere:
1) Competenze alfabetico-funzionali (rif. livello 4 di IALS-SIALS) – comprensione
di un testo in prosa come effetto di una positiva capacità di lettura ed utilizzo delle
informazioni raccolte in una comunicazione efficace; – capacità di comprensione e
di utilizzo di informazioni raccolta e restituita attraverso grafici, schemi di tabelle,
formulari, ecc.; 2) Competenze in lingua inglese: 1. competenze comunicativo-relazionali (diagnosticare, relazionarsi, affrontare, di problem-solving, con particolare
riferimento allo sviluppo di capacità di auto apprendimento); 2. competenze organizzative (osservare, analizzare e situarsi in un contesto organizzativo, pianificare le
risorse e gli obiettivi, lavorare in gruppo, negoziare). 1. competenze in ordine alla
contabilità dei lavori e alla organizzazione e gestione del cantiere, pianificazione risorse, controllo processi nel rispetto dei progetti, dei costi e dei tempi (con credito
universitario); 2. competenze di topografia con particolare riguardo all’uso di strumenti e delle nuove tecnologie informatiche e di lettura e gestione delle cartografie;
3. competenze di disegno CAD con particolare riguardo alla capacità di lettura ed
applicazione operativa (con credito universitario); 4. competenze in materia di gestione della sicurezza con riferimento alle normative in materia e predisposizione dei
piani operativi della sicurezza (POS) (con credito universitario); 5. competenze di
tecnologia e tecnica delle costruzioni, in merito alla capacità di selezionare, utilizzare correttamente i materiali idonei alle relaizzaioni previste; 6. capacità di individuare
difetti di lavorazione e/o posa. Livello PET (con credito universitario previa acquisizione e certificazione); 3) Competenze informatiche in preparazione per la certificazione europea ECDL; 4) CAD (con credito universitario); 5) Competenze giuridiche: 1. Disciplina del rapporto di lavoro e contrattualistica, prevenzione e tutela
della salute e dell’ambiente, sicurezza sul lavoro); 6) Competenze aritmetico-matematiche (rif. livello ISCED); 3) 1. capacità di lettura, di comprensione e di calcolo
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in relazione a testi a contenuto quantitativo; 2. il sapere e le abilità per rispondere alla necessità di utilizzare la matematica in diversi contesti.
– Tecnico superiore per lo sviluppo di architetture software:
Utilizzo di strumenti informatici e reti telematiche (uso del personal computer, del
sistema operativo Windows. di banche dati, di reti). – Utilizzo di Windows NT e
Windows NT Utente. – Analisi di un’organizzazione a livello macro. – Utilizzo delle tecniche di ricerca attiva del lavoro… – Essere in grado di intrattenere relazioni
efficaci sia con il cliente che con i propri colleghi e collaboratori (cliente interno),
cooperando ed integrandosi attivamente con la struttura. – Organizzare e gestire le
informazioni per il compito affidatogli. – Saper condividere la cultura e la mission
d’impresa in cui si trova ad operare. – Agire in un’ottica di qualità tendendo al miglioramento continuo sia del proprio operato sia delle procedure aziendali che lo riguardano. – Essere in grado di operare per obiettivi. – Utilizzare la metodologia euristiche e di problem solving per la risoluzione dei problemi gestionali ed operativi.
– comprendere e utilizzare la Lingua Inglese Tecnica. Comprende l’architettura di
un personal computer e dei software per l’automazione d’ufficio. Comprende e usa
le metodologie appropriate per la progettazione di un’applicazione. Comprende l’architettura di un software applicativo. Utilizza strumenti di sviluppo di tipo visuale,
grafico e interattivo. Possiede le competenze per realizzare l’interfaccia utente. Utilizza il linguaggio SQL per l’interrogazione di una base di dati. Possiede le competenze per condurre le operazioni di «debug» di una applicazione. Collabora alla progettazione ed alla realizzazione di una base dati, nonché delle applicazioni per la sua
gestione. Collabora alla progettazione e alla realizzazione di applicazioni con strumenti di sviluppo orientati agli oggetti. – Utilizza tecniche di imaging. – Utilizza tecniche di programmazione con il linguaggio C++. – Utilizza tecniche di programmazione con HTML e DHTML. – Utilizza tecniche di programmazione con XML.
– Utilizza il linguaggio Java. – Utilizza tecniche di progettazione di Applet Java. –
Utilizza Java Script e Servlets Java/JSP. – Utilizza Java Beans.
– Tecnico superiore per la selezione, gestione e amministrazione del personale:
Buon uso della lingua inglese parlata e scritta. Saper interagire in contesti aziendali
interni ed esterni. Saper gestire/pianificare progetti e processi. Conoscenza delle leggi, norme del lavoro e dei principali contratti collettivi nazionali di lavoro (metalmeccanico, chimico, terziario…). Gestione del reclutamento e della selezione. Stesura ed analisi di piani di motivazione, formazione, valorizzazione, sviluppo, ottimizzazione dei sistemi retributivi. Utilizzo di strumenti/tecniche appropriate al contesto. Buon uso di Windows e gestionali.
– Tecnico Superiore del Sistema di Qualità (Processo e Prodotto):
Conosce ed utilizza propriamente la lingua inglese. Conosce elementi di matematica funzionali ai moduli di apprendimento. Conosce i modelli organizzativi aziendali ed il loro funzionamento: processi, specificità e criticità. Saper analizzare, valutare
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e monitorare situazioni anche in evoluzione. Saper fronteggiare situazioni, utilizzando anche appropriati codici comunicativi e comportamentali. Saper operare in
team. Conoscenza delle problematiche relative alla progettazione e implementazione di sistemi di gestione per la qualità. Conoscenza delle relative metodologie riguardanti anche la gestione e il miglioramento continuo di prodotto e di processo.
– Tecnico superiore esperto nel controllo di gestione:
Utilizzo dei programmi informatici più comuni. Utilizzo della lingua inglese con l’utilizzo anche di terminologia tecnica per la redazione e la comprensione di brevi testi. Gestione autonoma delle operazioni di amministrazione. Comunicazione scritta e orale in maniera chiara e corretta. Capacità di organizzazione e coordinamento
delle attività di lavoro in team. Acquisizione delle principali metodologia del problem solving. Saper migliorare la gestione delle proprie risorse fisiche e psichiche analizzando il proprio uso del tempo. Applicare correttamente i regolamenti relativi alla sicurezza e qualità. – Comprensione delle caratteristiche del mercato di riferimento.
– Individuazione delle caratteristiche di attrattività del prodotto. – Saper gestire autonomamente l’amministrazione aziendale attraverso il software dedicato. – Essere
in grado di sostenere una conversazione in Lingua Inglese. – Descrivere i meccanismi di determinazione della quantità domandata, della quantità offerta e del prezzo.
– Saper gestire il budget aziendale. – Analizzare i report finanziari. – Saper cogliere
le conseguenze di una corretta metodologia di misurazione dei costi. – Saper individuare gli opportuni indici finanziari. – Saper interpretare le varie situazioni finanziarie aziendali in modo proiettivo. – Saper gestire l’organizzazione del lavoro in azienda di medie dimensioni. – Saper distinguere caratteri e funzionamento delle diverse
forme societarie. – Essere in grado di leggere ed utilizzare gli opportuni indici statistici per la pianificazione.
– Tecnico superiore per l’amministrazione economico-finanziaria ed il controllo di gestione:
Lingua inglese; informatiche di base; giuridiche: diritto del lavoro, tecniche di ricerca del lavoro, prevenzione e tutele della salute, sicurezza sul lavoro; economicoaziendali. Comunicativo-relazionali (diagnosticare, relazionarsi, negoziare, lavorare
in gruppo). Organizzative (osservare, analizzare, affrontare situazioni e problemi, situarsi in un contesto organizzativo, pianificare risorse e obiettivi, autoaggiornarsi),
amministrative, di controllo di gestione, finanziarie.
– Tecnici superiori assicurativo-finanziari esperti nella pianificazione e gestione del risparmio e della previdenza per la famiglia:
INFORMATICA. DIAGNOSTICARE. Saper definire un progetto professionale
realistico, valutando i propri punti di forza e debolezza. Saper definire e valutare le
proprie conoscenze, capacità e risorse in relazione al ruolo professionale e valutarne
l’adeguatezza. Saper diagnosticare situazioni e problemi di lavoro di diversa natura:
tecnico-operativi, relazionali, organizzativi. RELAZIONARSI. Saper definire comportamenti utilizzabili nelle situazioni faccia a faccia. Saper produrre testi informa-
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tico-elettronico. Saper costruire e utilizzare fogli elettronici. Saper costruire ed utilizzare archivi elettronici di dati. Saper utilizzare i principali sistemi di collegamento fra calcolatori. ORGANIZZAZIONE AZIENDALE. Saper analizzare un’azienda dal punto di vista della organizzazione. Saper individuare le dinamiche di poteri
all’interno della azienda. Individuare la strategia della azienda. Comprendere la cultura aziendale. Essere in grado di sviluppare una adeguata competenza sociale. Saper
decodificare messaggi verbali e non verbali. Saper ascoltare e sapersi decentrare nella comunicazione. Saper diagnosticare un contesto comunicativo e saper pianificare
una strategia comunicativa. Saper concertare soluzioni e decidere collettivamente.
Saper diagnosticare situazioni di conflitto interpersonale e di gruppo. Saper valutare vincoli e risorse della situazione negoziale e definire obiettivi realistici. Saper mediare. AFFRONTARE. ECONOMIA DI BASE. Definire i concetti base della macro e micro economia, individuando i nessi tra le grandezze rilevanti; il ruolo dell’operatore pubblico in economia. MARKETING DI BASE. Definizione e concetto
di MKT. Conoscenza delle componenti del MKT mix. Interpretare le esigenze ed i
bisogni dei consumatori. Analizzare la concorrenza. Saper leggere il mercato e le sue
dinamiche. Saper costruire e implementare strategie d’azione, finalizzate al raggiungimento degli scopi personali del soggetto e di quelli previsti dal compito. Saper definire e valutare le risorse che il soggetto può mettere in campo. Saper percepire e valutare il proprio inserimento nell’ambiente in cui si opera.
– Tecnici superiori esperti nella gestione della logistica e delle piattaforme distributive:
Cogliere il ruolo di un’azienda nel contesto socio-economico. – Distinguere le diverse tipologie di azienda. – Cogliere il ruolo di un’azienda nel contesto socio-economico. – Distinguere le diverse tipologie di azienda. – Utilizzare schemi professionali di comunicazione per sostenere relazioni interne ai luoghi di lavoro e relazioni con strutture esterne imprenditoriali e istituzionali. – Collaborare alla diffusione dell’informazione all’interno dell’azienda. – Parlare e scrivere in inglese utilizzando termini tecnici relativi ai contesti organizzativi e produttivi logistico-distributivi. – Utilizzare tecniche e software per la gestione logistico-distributiva di
imprese industriali e piattaforme distributive. – Conoscere i modelli organizzativi aziendali coerenti con il settore in cui l’azienda logistico-distributiva opera e adeguati ai rapporti che l’azienda instaura con l’ambiente esterno. – Analizzare ed interpretare il mercato di riferimento. – Utilizzare dei pacchetti informatici di base
per videoscrittura, foglio elettronico e gestione di database, utilizzo dell’accesso al
web. – Collaborare allo sviluppo del sistema logistico interno in relazione alle funzioni di tipo tecnico produttivo interne e esterne all’azienda. – Collaborare allo
sviluppo del sistema logistico interno in relazione alle funzioni di tipo tecnico distributive interne ed esterne all’azienda. – Programmare viaggi e carichi in una logica di ottimizzazione di costi, ricavi, percorsi e tragitti da percorrere. – Conoscere e organizzare le dinamiche distributive e le relazioni logistiche tra sistemi produttivi aziendali e ambienti esterni. – Analizzare le attività di servizio logistico-distributivo alle imprese, definire i criteri di definizione di un servizio logistico, va-
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lutarne l’efficacia e l’efficienza. – Utilizzare le procedure relative alla movimentazione, distribuzione e stoccaggio dei prodotti utilizzando mezzi informatici. – Conoscere e interpretare le fonti normative relative ai rapporti di lavoro. – Conoscere e interpretare le fonti normative relative alla sicurezza in ambienti di lavoro. –
Conoscere le tematiche di tutela ambientale collegate alle attività logistiche. – Conoscere tecniche assicurative di settore.
– Tecnico esperto nella gestione dei sistemi di magazzino della commercializzazione dei
prodotti chimici e del loro trasporto in sicurezza, nonché del loro smaltimento e/o recupero nel rispetto totale dell’ambiente:
Valutare la pericolosità e le implicazioni ambientali delle varie classi di prodotti chimici. Conoscere la reattività chimica e la tossicità dei prodotti in relazione alla loro
movimentazione e al loro stoccaggio. Valutare le implicazioni ambientali dei materiali usati per l’imballaggio e la loro possibilità di utilizzo. Valutare le tecnologie di
riutilizzo/smaltimento dei prodotti commerciali al fine di seguirne l’intero ciclo di
vita in coerenza con le normative vigenti. Supportare le attività aziendali relative alla disciplina volontaria. Integrarsi nelle politiche volontarie di qualità aziendale implementandole per quanto riguarda la movimentazione e il riutilizzo. Presiedere le
procedure relative alla movimentazione, distribuzione e stoccaggio dei prodotti utilizzando mezzi informatici. Collaborare alla pianificazione della gestione del prodotto apportando conoscenze di salvaguardia ambientale. Conoscere ed interpretare le fonti normative relative alla sicurezza nell’ambiente di lavoro in modo da fornire indicazioni per le funzioni aziendali. Conoscere ed interpretare le fonti normative relative alla etichettatura dei prodotti in modo da fornire indicazioni per le funzioni aziendali. Utilizzare strutture della lingua inglese per relazioni interpersonali
verbali e scritte (raggiungimento qualifica PET). Utilizzare programmi applicativi di
videoscrittura, foglio elettronico, data base, reti come supporto alla propria attività
(Raggiungimento ECDL). Conoscere la catena cliente/fornitore riferita ai processi
di erogazione dei servizi con la capacità di individuare il contesto di relazioni professionali relativo al proprio ruolo. Saper utilizzare schemi professionali di comunicazione per sostenere relazioni interne ai luoghi di lavoro e relazioni con strutture
istituzionali. Relazionare con eventuali strutture professionali anche esterne all’azienda capaci di risolvere problemi in campo ambientale. Collaborare con le strutture pubbliche e private preposte alla tutela ambientale e alla sicurezza negli ambienti
di lavoro. Collaborare alla diffusione dell’informazione all’interno dell’azienda. Collaborare allo sviluppo del servizio in relazione alle variabili di tipo tecnico amministrativo. Collaborare allo sviluppo del servizio in relazione alle variabili di tipo tecnico commerciale. Valutare la convenienza degli interventi proposti sulla gestione
del prodotto mediante un’analisi costi/benefici.
– Operatore tecnico di protezione civile:
Elementi per l’analisi qualitativa e quantitativa dell’ambiente e del territorio. Conoscenza della normativa di Protezione Civile. Uso degli strumenti informatici per l’ar-
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chiviazione dei dati. Metodologie di individuazione dei rischi. Capacità di comunicazione in situazioni di crisi. Conoscenza delle competenze, dei diritti e dei doveri
degli Enti territoriali nella pianificazione di emergenza. Divulgazione delle attività
della Protezione Civile e del volontariato. Conoscenza dei metodi di ricerca e pianificazione dell’attività lavorativa. Analisi della pericolosità, della vulnerabilità e del rischio. Introduzione all’uso del GIS. Individuazione degli interventi di previsione e
prevenzione dei rischi. Elaborazione Piani di emergenza. Coordinamento dei soccorsi in fase di emergenza.
Non pare esservi dubbio: i livelli di competenza nonché di esperienza e di qualificazione descritti sembrano tendere verso fasce medio-alte e alte, comunque ricche di sapere scientifico e soprattutto di saper fare tecnico.
È proprio nel rapporto tra questi due tipi saperi che sembra consistere l’elemento caratterizzante, tipico, della nostra figura professionale.
Qui diversamente che nella laurea universitaria, la cultura scientifica di base (il sapere o i saperi teorici disciplinari) appare delimitata da elementi consistenti di specializzazione ‘precoce’. I fondamentali teorici di base, in altri termini, sono pensati in una
logica strumentale, strettamente collegati all’operare tecnologico, più immediatamente che nella formazione universitaria dove si insiste (o si dovrebbe insistere) sull’acquisizione di conoscenze teoriche, capaci di garantire successivamente lo sviluppo di competenze (conoscenze e abilità tecniche comprese), sia quelle necessarie per svolgere una
professione, sia quelle necessarie per fare ricerca.
Formazione teorica di più ampio respiro, quella della laurea universitaria; acquisizione più libera e disinteressata di sapere e di strumenti utili alla comprensione del mondo della vita, della storia, della cultura, dell’arte, della comunicazione, ecc.
Formazione, quella IFTS, maggiormente – e giustamente – mirata, invece, all’acquisizione di conoscenze teoriche più direttamente legate alle abilità del fare, alla applicazione di protocolli scientifici piuttosto che alla loro creazione.
Un esempio paradigmatico ci viene dalla professione del Personale di laboratorio biologico ripresa da un esempio riportato a sua volta nella illustrazione dei modelli di classificazione tedeschi (Butera et al., 2001, 296):
«Progetta esperimenti insieme agli scienziati; impiega misure di management della qualità;
elabora insieme agli scienziati modelli sperimentali per l’esame delle sostanze; esamina particolari sostanze degli organismi; conduce esperimenti biologico-nucleari, biochimici, genetici; applica processi biotecnologici; realizza preparati complicati; osserva e protocolla il
processo sperimentale; utilizza in fase di esperimento strumenti elettronici di misurazione;
cataloga e rielabora i dati con supporto informatico; interpreta i dati di misurazione e di esperimento, in particolare con l’ausilio di tecniche elettroniche di elaborazione dati, li documenta e valuta».
Qui troviamo, a conferma, una variegata gamma di operazioni concettuali di una
certa complessità (progettazione ed elaborazione, seppure in concorso con figure professionali ‘alte’ come gli scienziati; osservazione, rielaborazione di dati e interpreta-
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zione) che si intrecciano con operazioni più propriamente tecnico-pratiche (catalogazione e protocollazione, misurazione, applicazione di procedure, realizzazione di
preparati).
Il rapporto intercorrente tra sapere teorico e sapere applicativo è dunque un rapporto che, così come sembra profilarsi in termini di ‘composizione organica delle competenze’ richieste dalle attività di cui stiamo parlando, sconsiglia la riproposizione di una
radicale gerarchia valoriale secondo la quale (anche dal punto di vista cronologico) i saperi teorici verrebbero prima dei saperi pratici, mentre suggerisce piuttosto l’esistenza
di processi di circolarità causale e motivazionale tra i due tipi di sapere.
Ma ulteriori considerazioni su questo aspetto saranno fatte in seguito, poiché ora, al
fine di arricchire l’approssimativa tipizzazione del ‘lavoratore tecnico’ che si sta tentando di tratteggiare, si cercherà di riconsiderare le cose sotto l’aspetto dei processi decisionali.
Ponendoci nella prospettiva di Luciano Gallino quando si è occupato della costruzione di un metodo di valutazione della qualità del lavoro, possiamo «concettualizzare
intrinsecamente» il lavoro, «qualsiasi tipo di lavoro», come «una sequenza di decisioni: a
diversi livelli, in differenti spazi, in momenti contigui o discontinui» (Gallino, 1983, 21).
È un processo «ricorsivo», questo, in quanto «ogni decisione è incassata in un’altra decisione. Decidere significa scegliere tra alternative d’azione; ma le alternative tra cui scegliere sono pur esse oggetto di una decisione». La qualità del lavoro svolto da una persona, dipende, allora, «dai particolari punti dello spazio di questo processo ricorsivo in cui
essa si colloca, o per i quali si trova a transitare. Un lavoro può essere qualitativamente
valido sotto il profilo ergonomico, perché comporta microdecisioni motorie che permettono di rispettare la fisiologia dei movimenti e della percezione, i bioritmi, le esigenze di efficace manipolazione dell’oggetto di lavoro, l’acquisizione immediata delle informazioni di ritorno. Al tempo stesso può risultare povero sotto il profilo della complessità, poiché quest’ultimo spazio è occupato da decisioni prese da altri. Oppure può essere
complesso, ma poco autonomo, e magari ergonomicamente scadente» (ibidem, 21-22).
Si evince chiaramente dal passaggio precedente come la qualità del lavoro venga associata a dimensioni quali l’ergonomia, la complessità, l’autonomia decisionale.
Spostando l’attenzione dalla questione della qualità del lavoro e dunque dai bisogni
del lavoratore, ai contenuti e modalità del lavoro in generale, diremmo con Gallino che
qualsiasi lavoro può essere considerato almeno secondo quattro dimensioni: ergonomica, della complessità, dell’autonomia e del controllo. Tralasciamo, al momento, per ovvie ragioni, la dimensione ergonomica (attinente agli aspetti psico-fisici del lavoro), mentre ci occupiamo delle rimanenti tre cercando di individuare, seppure impressionisticamente, il livello o grado che la nostra ‘generica’ figura professionale sembrerebbe occupare mediamente in ciascuno degli spazi decisionali, corrispondenti a ciascuna di esse.
La dimensione della complessità, seguiamo Gallino, può riguardare:
– la presenza o assenza di «un certo numero di alternative tra cui il soggetto deve scegliere in modo da esercitare la sua responsabile attività di giudizio al fine di conse-
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guire uno o più obiettivi chiaramente definiti, in termini di risultati da realizzare in
modo concreto e misurabile»;
– il numero e la varietà delle «variabili naturali provenienti dall’ambiente», di quegli
elementi di disturbo, cioè, rappresentati da «stati di natura o situazioni sociali non
modificabili, o contromosse di possibili avversari, non necessariamente costituiti da
individui (può trattarsi ad esempio del mercato) o una qualsiasi combinazione di essi». È evidente qui che quanto più numerose e varie si presentano le variabili naturali che sono di effettivo ostacolo (e vanno dunque neutralizzate) relativamente al
contesto operativo nel quale è inserito il soggetto, tanto più la decisione che egli deve prendere richiede un’attenta riflessione, e tanto più di conseguenza entrano in gioco le sue conoscenze scientifiche, le conoscenze tecniche o anche l’esperienza perché
possa scegliere il corso di azione ritenuto più adeguato calcolandone le probabilità
di riuscita;
– la possibilità di sviluppare competenze più elevate, se cioè «la soluzione di un dato
problema decisionale, l’analisi preliminare che essa richiede, la varietà delle scelte da
compiere» fungano da spinta e da supporto (e da prerequisito) per lo sviluppo di competenze indispensabili per affrontare problemi più complessi, vale a dire problemi «con
un maggior numero di alternative, di obiettivi, di variabili e di altri elementi di una
decisione (probabilità dei risultati, utilità, grandezza delle conseguenze, ecc.)»;
– il fatto che lo svolgimento del lavoro porti il soggetto «a stabilire rapporti di comunicazione e di cooperazione con altri lavoratori per ragioni oggettive intrinseche alla logica e alla tecnologia del processo produttivo a lui affidato» (ibidem, 120).
La dimensione dell’autonomia (o dell’autodeterminazione) attiene, invece, agli obiettivi e alla definizione del set di alternative della scelta e può consistere concretamente:
– nell’esistenza di eventuali spazi per la formulazione o per la partecipazione alla formulazione «degli obiettivi del proprio lavoro, pur dentro i limiti di obiettivi e funzioni più generali»;
– nell’eventuale possibilità di pervenire a delle decisioni scegliendo tra «alternativa individuate autonomamente» e non soltanto tra quelle fissate da altri.
La dimensione del controllo, infine, riguarda le decisioni relative al quadro delle condizioni generali del lavoro, soprattutto in riferimento agli «obiettivi della produzione,
in termini di quantità, qualità specifiche di prodotto, costi; le alternative tecnologiche
ed economiche intorno al modo di realizzare tali obiettivi; le variabili da considerare allorché si opera una scelta qualsiasi tra due o più alternative» (ibidem, 122).
Per quanto ci riguarda, allora, potremmo dire che dal punto di vista dei processi decisionali:
a) l’attività lavorativa del nostro ‘tecnico’ pare collocarsi generalmente ad un livello medio-alto di complessità. Questa è la dimensione che sembra avere maggior peso nel
determinare le caratteristiche della professionalità che stiamo considerando.
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Qui appare centrale la dimensione del problem solving da intendersi come scelta o sequenza di scelte che però si producono e riproducono ricorsivamente all’interno di
un quadro decisionale che, per quanto complesso, è stato e viene pur sempre stabilito altrove;
b) la nostra figura professionale relativamente alla dimensione dell’autonomia o dell’autodeterminazione, sembra invece collocarsi, in generale, ad un grado più basso
del precedente. In modo molto variegato, trattandosi – come osserva Gallino – della dimensione decisionale del problem setting «in cui è il soggetto e non altri a formulare in parte o per intero il quadro decisionale entro il quale dovrà svolgere il suo
lavoro materiale» (ibidem, 121);
c) le descrizioni delle attività, recanti, peraltro in non pochi casi, l’esplicita indicazione
di vincoli e limiti posti all’agire professionale (del tipo: «è diretta emanazione dei vertici aziendali»; «interviene… nel rispetto delle indicazioni e delle strategie elaborate
dai vertici aziendali»; «contribuisce in base alle indicazioni e direttive fornite dalla
direzione», ecc.), inducono a ritenere, infine, che il grado di controllo sul processo
produttivo o su rilevanti parti di esso da parte del nostro tecnico, in termini di decisioni «sovraordinate», tenderebbe ad essere ancora più basso (o meno elevato). Qui,
ovviamente, bisogna considerare che le cose dal punto di vista della struttura delle
decisioni concernenti i diversi elementi ed aspetti della produzione si presentano notevolmente diverse a seconda delle dimensioni dell’azienda, del tipo di organizzazione produttiva, del tipo di bene o servizio che viene prodotto, del livello tecnologico della stessa azienda.
In conclusione, sulla scorta di quanto appena esposto, ci pare emerga con maggior
chiarezza, benché ancora alquanto approssimativamente, una figura di tecnico-specialista i cui compiti consistono essenzialmente in attività tecnico-operative di esecuzione
o applicazione o anche di controllo di metodologie, procedure e protocolli concepiti e
resi operazionabili altrove e da altri soggetti e concernenti di volta in volta i diversi campi del sapere, di normative, leggi, regolamenti, contratti, ecc.
Lo svolgimento di queste attività richiede, oltre ad un ricco bagaglio di conoscenze
e abilità tecnico-operative, un medio livello di conoscenze tecnologiche e anche scientifico-disciplinari (scienze umane, storiche e sociali, fisiche e naturali, informatica, matematica, teorie dei linguaggi e della comunicazione, teorie dell’organizzazione, ecc.),
nonché buone capacità di interpretazione e valutazione di eventi, situazioni e fenomeni (fatti e processi concreti, forme simboliche, ecc.), di natura tecnica, sociale o organizzativa, e conseguente disposizione mentale all’assunzione di responsabilità.
Appare più chiara, ora, la questione dell’intreccio tra sapere teorico, sapere pratico e
potenzialità di crescita professionale.
Nel nostro caso è l’agire pratico come esplicazione di saperi pratici che molto probabilmente può costituire il terreno sul quale nascono e maturano, in particolari momenti ‘problematici’, spinte cognitive e motivazionali verso la dimensione del sapere teorico.
Nondimeno, la possibilità stessa di crescita qualitativa di competenze e di abilità tecnico-pratiche in direzione di forme innovative più complesse è resa possibile e più age-
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vole dalla presenza ‘sottostante’ di un bagaglio di conoscenze teoriche, l’unico che può
fornire linee di orientamento ‘creativo’, di affrancamento dal probabilissimo rischio della cristallizzazione e della rigidità operative, insito in ogni agire pratico che non si nutra
anche di teoria. Di un sapere teorico capace di rappresentare un decisivo apporto in termini di efficacia ed efficienza alla intelligenza riflessiva, pure capace eccezionalmente di
conseguire qualche buon risultato procedendo pragmaticamente per prove ed errori.
È insomma l’intreccio di competenze di cui si dispone (conoscenze teoriche, capacità operative, disposizioni mentali), che entra in gioco riguardo alla possibilità effettiva di dare vita a soluzioni aperte al cambiamento.
Non c’è dubbio che il valore aggiunto in termini di tensione volta al superamento
dell’esistente venga soprattutto, specialmente nel caso del lavoratore tecnico, dal terreno operativo e dalla probabilità di incontrare su questo terreno (che non è fatto soltanto di tecnologia-strumentale) problemi che esigono una soluzione in qualche modo originale, eccentrica, non collaudata e predefinita. Tuttavia, è quanto si possiede, soprattutto in termini di sapere teorico e di competenza comunicativa, di padroneggiamento
cioè dei diversi codici linguistici (scientifico, tecnologico, storico-sociale-economico,
ecc.), che finisce per essere decisivo.
Non può che essere fortemente dipendente da tutto questo, infatti, la possibilità effettiva di trovare di volta in volta le opportune soluzioni e di avanzare più in generale in
quella che, mutuando l’espressione da Vygotskij, potremmo dire «area di sviluppo potenziale» (1975, 158) o anche «zona di sviluppo prossimale» (1966) per alludere agli
spazi offerti – certo anche ad una persona adulta – nell’interazione con gli altri, sul lavoro e fuori del lavoro, per lo sviluppo della creatività e dei contenuti mentali e operativi della propria professionalità.
È questo un punto assai importante proprio in riferimento specifico alle strategie formative perché quando si parla di innovazioni di sistema, di cambiamenti di assetti operativi, organizzativi, di processo, ecc. occorre tener presente che queste trasformazioni
non sarebbero possibili in assenza di quello che potremmo dire un capitale umano diffuso provvisto di forti tensioni e disposizioni al cambiamento.
«La creatività – vale la pena citare ancora l’autore precedente – sussiste di fatto non
solo dove realizza insigni, storiche creazioni, ma dovunque c’è un uomo che immagina,
combina, modifica e realizza qualcosa di nuovo, anche se questo qualcosa di nuovo possa apparire un granello minuscolo in confronto alla creazione dei geni. Se poi si consideri la presenza della creatività collettiva, che riunisce insieme tutti questi minuscoli e
spesso, di per sé, insignificanti granelli della creatività individuale, diverrà chiaro quale
e quanta parte di tutto ciò che l’umanità ha creato spetti per l’appunto all’anonimo, collettivo lavoro degli inventori sconosciuti» (Vygotskij, 1973, 23).
Tutto ciò, certo, pure in presenza di una significativa variabilità di livelli e gradi, sia
rispetto ai contenuti dell’attività che ai processi di decisione.
Si intuisce, ad esempio, una notevole differenza, stando alle descrizioni precedenti,
tra il Tecnico per l’integrazione sistemica delle funzioni gestionali, logistiche, amministrative o il Tecnico di automazione industriale del settore metalmeccanico e poniamo, scendendo via via, l’Esperto nella filiera vitivinicola o il Tecnico di impresa nell’edilizia. O, infine,
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tra i tipi precedenti di tecnico e l’Operatore di call-center che sembra piuttosto collocarsi sul confine delle professioni impiegatizie, considerato che, pur in una dimensione organizzativa e relazionale e con una strumentazione diversa da quella fornita dall’immagine canonica di quelle tipologie professionali, le sue ‘Attività professionali fondamentali’ risultano sostanzialmente così descritte:
«Raccoglie per via telefonica dal cliente e/o dal danneggiato tutte le informazioni richieste
relative al sinistro. Interagisce con il sistema informativo, il quale indica via via le possibili
alternative e le soluzioni operative inerenti tutte le fasi del sinistro che, partendo dalla denuncia, arriva fino alla liquidazione del sinistro. Si rapporta al Coordinatore del Call Center per le situazioni che necessitano di una maggiore competenza o che presentano problematiche nella soluzione. Effettua tutte le operazioni e le registrazioni richieste dall’impresa,
relativamente alla valutazione dei parametri di efficienza ed efficacia del servizio».
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3. Fabbisogni formativi e competenze
È da condividere l’osservazione secondo cui «l’acquisizione del sapere si realizza in ogni situazione sociale in cui si fanno proprie conoscenze, competenze,
abilità, più o meno formalizzate mediante un percorso preordinato di apprendimento»
e che di conseguenza, il sapere va «visto come il risultato di percorsi eterogenei, per comprendere i quali i contesti di vita e di lavoro devono essere assunti come sedi di esperienza e di conoscenze non strutturali, variamente recepite ed elaborate» e non va quindi «studiato come esito di un processo cumulativo e meccanico, in cui dei contenuti,
volutamente trasmessi, sono accolti da un soggetto che ha deciso di imparare cose nuove» (EBNA, 2000, 41).
Pare più che opportuno quindi tener sempre presente, nel generale quadro di riferimento, anche il concetto di socializzazione e la complessa, vischiosa realtà dei processi,
pure contraddittori, di acquisizione e sviluppo di competenze e capacità di prestazione
cui quel concetto rinvia (Persichella, 1996).
Altrettanto opportuno, in immediata successione, è il riferimento costante al concetto specifico di socializzazione lavorativa, intendendola con Sarchielli (1978, 4748) come «un processo [diremmo meglio: insieme di processi] assai ampio, che coinvolge in toto l’esperienza del soggetto ed è anche in grado di mettere in discussione
l’assetto delle strutture psicologiche attinenti la sua identità personale. Si tratta, cioè,
di qualcosa di più di un semplice processo di apprendimento, anche se, evidentemente,
la trasmissione delle conoscenze specialistiche e delle abilità (skills) rappresenta una
parte di rilievo».
Potremmo pensare quindi ad un insieme di processi per entro i quali si viene formando «una identità psicosociale con tutti i suoi valori, conoscenze, atteggiamenti fusi in un quadro di riferimento o meglio, in un «set di disposizioni», più o meno chiare
e consistenti, che appare in grado di governare il comportamento in un grande numero di esperienze professionali ed extra-professionali».
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Da questo punto di vista, gli esiti compositi di questi processi finiscono per costituire nell’insieme quello che potremmo chiamare ‘capitale umano’, circolante in un dato territorio, pure assai esteso, o anche presente in una data realtà di unità produttive,
in una singola azienda o semplicemente in un singolo individuo. In ogni caso si tratta
di un tipo speciale di capitale, costantemente aperto al cambiamento sia dal punto di
vista quantitativo che qualitativo (suscettibile di arricchimenti o impoverimenti).
Tuttavia, poiché qui si sta riflettendo sul rapporto tra l’accertamento dei fabbisogni
formativi (di un territorio, più o meno vasto, di un gruppo di individui o di un solo individuo) e la costruzione di adeguate risposte di formazione, formale e intenzionale,
conviene partire dalla considerazione del tutto convincente che «l’analisi dei fabbisogni
può essere uno strumento importante di sviluppo del sistema formativo se assume la
forma di un’indagine finalizzata all’identificazione di contenuti di competenza» sulla cui
base fondare la progettazione di percorsi formativi, nonché «il riconoscimento anche
formale di acquisizioni realizzate nella formazione o nel lavoro» (EBNA, 2000, 36).
Per individuare i fabbisogni formativi connessi con l’attività lavorativa, è insomma
indispensabile potere lavorare su un adeguato quadro conoscitivo di competenze.
È questa risorsa che rende possibile, da un lato, la costruzione di una mappa di fabbisogni formativi e, dunque, la predisposizione di adeguate risposte di formazione, e,
dall’altro lato, l’individuazione delle professioni riconducibili nell’insieme alla componente dei lavoratori ‘tecnici’.
3.1. La descrizione delle competenze
Come individuare e descrivere sostantivamente le competenze? Quelle competenze –
per essere precisi – richieste, al grado minimo, necessario e sufficiente, per cominciare
a svolgere una certa attività e potervi crescere professionalmente?
Ci soffermiamo su tre punti problematici:
1) Va richiamato con forza, preliminarmente, l’avvertimento di evitare ogni sorta di confusione tra (descrizioni di) attività o compiti, e (descrizioni di) competenze, appunto.
Molto spesso è dato incontrare questo tipo di confusione, che si presenta talvolta sotto forma di tautologia (consistente nella descrizione di uno o più compiti, fatta precedere da locuzioni quali: «è in grado di», «sa fare», «possiede le conoscenze per; un sapere atto a», «possiede la capacità di», e così via).
Eccone alcuni esempi tratti anche qui dalle descrizioni di ‘Attività lavorativa’ e di
‘Competenze in esito al percorso’, ricavate dall’ Indire:
– Tecnico di produzione industria tessile:
La figura professionale è stata elaborata da un tavolo congiunto di docenti, imprenditori, esperti del settore. Il tecnico di produzione, con riferimento all’industria tessile è caratterizzato da: la conoscenza dei cicli di lavorazione per la realizza-
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zione dei prodotti tessili; la conoscenza della gestione e il controllo dei processi produttivi tessili con riferimento alla scelta delle materie prime, ai piani di lavoro, ai
costi e al controllo qualità; la conoscenza delle problematiche connesse alla competitività produttiva e di mercato; la capacità di documentare e trasmettere gli aspeti tecnici, organizzativi ed economici del proprio lavoro; la conoscenza degli aspetti di sicurezza, antinfortunistica del lavoro nel settore tessile. Completa il profilo
professionale la capacità di sapersi relazionare e di comunicare col gruppo di lavoro in modo efficace.
– Tecnico commerciale/marketing:
Sarà in grado di affrontare all’interno di un’azienda (commerciale, industriale, di credito, di servizi) il passaggio al commercio elettronico, utilizzando le competenze acquisite nelle aree tecnologica, normativo-istituzionale, organizzativo-commerciale.
Saprà correlare e coordinare la propria attività con quella del WebMaster e con i responsabili delle funzioni marketing, sistema informativo, … Si tratta di una figura
professionale con elevata preparazione tecnica, in grado di costruire e utilizzare le
tecnologie hardware e software necessarie alla realizzazione della attività di e-commerce, in possesso di competenze per affrontare i nuovi problemi di gestione, pianificazione, marketing e comunicazione…
– Tecnico in automazione industriale:
Saper produrre un documento in formato elettronico con un utilizzo consapevole delle proprietà tipografiche di base. Saper costruire dei fogli elettronici, organizzandone
la struttura tabellare impostandone i criteri di calcolo. Saper costruire ed utilizzare archivi elettronici di dati. Utilizzo dei principali sistemi di collegamento fra i calcolatori. Diagnosticare le proprie competenze e risorse personali, la qualità dei propri stili
comportamenti e dei propri processi di pensiero. Comunicare con altri nel contesto
di lavoro, in situazioni di interazione diretta o mediata da strumenti di diversa natura (cartacei, informatici, telematici). Lavorare in gruppo per affrontare problemi, progettare soluzioni, produrre risultati collettivi. Pianificare strategie di azione per fronteggiare situazioni e risolvere problemi di diversa natura: tecnico-operativi, relazionali, organizzativi. In funzione di un proprio progetto professionale, attivarsi nella ricerca e nella organizzazione di informazioni sulle opportunità lavorative, definire una
strategia per la ricerca attiva del lavoro e per il controllo dei suoi esiti, utilizzando in
modo appropriato una pluralità di occasioni e strumenti. Predisporre e formalizzare
disegni tecnici sulla base di progetti predefiniti ed in funzione delle esigenze di lavorazione. Scegliere tra i diversi procedimenti di saldatura. Scegliere tra le diverse lavorazioni plastiche a caldo e a freddo. Scegliere tra le diverse lavorazioni alle macchine
utensili. Utilizzare metodi di calcolo dei tempi di lavoro. Effettuare calcoli di convenienza economica. Utilizzare programmi informatici per la realizzazione dei calcoli.
Fornire suggerimenti per l’aggiornamento tecnologico. Leggere, interpretare e utilizzare la modulistica tecnica (cicli di lavoro, scheda operazioni, scheda controllo qualità). Leggere ed interpretare cicli di lavorazione e cicli di montaggio. Utilizzare meto-
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di di codifica. Utilizzare sistemi informatici di pianificazione dei fabbisogni di materiali. Acquisire, leggere ed interpretare le schede macchine da attrezzare. Acquisire,
leggere ed interpretare cicli di lavoro e cicli di montaggio. Acquisire, interpretare e valutare: ordini clienti, livello di saturazione delle unità produzione, giacenze magazzini. Leggere ed interpretare cicli di lavoro, i cicli di montaggio e le distinte base. Acquisire, interpretare e valutare la situazione ordini clienti. Utilizzare programmi MRP
e MRPII. Leggere un budget. Acquisire ed interpretare il disegno del pezzo, i cicli di
lavorazione, la scheda operazioni, il disegno dell’attrezzo. Costruire part program per
macchine a 2 o 3 assi. Leggere ed interpretare il disegno pezzo, i cicli di lavorazione e
le schede inerenti il file di programma e le schede istruzioni macchina. Interpretare il
programma di produzione e i relativi documenti. Leggere il disegno della attrezzatura da installare. Effettuare eventuali richieste di acquisto utilizzando specifici cataloghi di utensileria. Leggere cataloghi di utensileria ed individuare i costi del singolo
utensile. Leggere e disporre della scheda utensili. Rilevare i dati di produzione sulle
quantità prodotte e sul carico-scarico. Sollecitare la disponibilità di grezzi e il prelievo dei lavorati. Acquisire ed interpretare: cicli di montaggio, disegni di complessivi,
distintabase, schemi di impianti e schede controllo qualità. Operare nel rispetto delle norme antinfortunistiche. Eseguire modifiche parziali di rappresentazioni grafiche
di un ciclo produttivo. Interpretare diagrammi di flusso. Applicare correttamente le
procedure per interventi di montaggio per garantire l’efficienza del sistema automatizzato. Leggere ed interpretare le specifiche tecniche dei materiali da controllare. Leggere ed interpretare le analisi chimiche. Leggere le specifiche tecniche dei finiti da controllare. Verificare eventuali certificazioni qualità sui fornitori. Applicare le prescrizioni per la destinazione degli scarti e dei prodotti conformi. Redigere report tecnici.
Raccogliere ed elaborare dati per redigere rapporti e statistiche. Applicare modelli statistici. Applicare al sistema produttivo le norme UNI 9000:2000. Costruire e gestire
procedure-istruzioni nel rispetto delle norme UNI. Partecipare criticamente ed in modo propositivo all’organizzazione.
– Tecnico esperto della gestione dei processi di smaltimento dei rifiuti solidi…:
Utilizzo di strutture della lingua inglese per relazioni interpersonali verbali e scritte
(raggiungimento certificazione PET). Utilizzo di programmi applicativi di videoscrittura, foglio elettronico, database, reti, come supporto alla propria attività (conseguimento certificazione ECDL). Analisi di processi di lavoro e capacità di proporre ottimizzazioni. Capacità di stabilire relazioni professionali con strutture esterne
all’azienda e con gli Enti locali. Partecipazione a lavori di equipe con atteggiamento
costruttivo e dinamico. Sviluppo di una mentalità flessibile in grado di affrontare
problemi di diverso genere. Comprendere e valutare le problematiche dei processi di
smltimento all’interno dell’azienda. Classificare la tipologia del prodotto di rifiuto e
conoscere il suo ciclo di vita. Curare la logistica del sistema di smaltimento per ottimizzare il flusso di lavoro e il recupero dei materiali. Valutare le possibilità del recupero energetico e proporre interventi in merito. Conoscere ed interpretare le normative relative alla tutele dell’ambiente in modo da fornire indicazioni, direttive e
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formazione alle funzioni aziendali addette. Correlare le problematiche di prevenzione e sicurezza con i dati ambientali.
– Tecnico della gestione della sicurezza, ambiente e qualità per il trattamento e recupero
dei rifiuti:
Definire ed interpretare i dati e le analisi chimiche e biologiche effettuate sugli elementi
inquinanti. usare razionalmente e pianificare le risorse ambientali. Individuare, risolvere e prevedere le più diffuse alterazioni ambientali. Prevedere i rischi ambientali connessi alla realizzazione e sistemazione finale delle discariche. Conoscere gli aspetti geotecnici connessi alla realizzazione e sistemazione finale delle discariche. Analizzare in
modo interdisciplinare le perturbazioni indotte delle attività antropiche individuandone gli aspetti salienti dal punto di vista degli impatti ambientali, con particolare riferiemnto alle discariche. Conoscere ed interpretare il diritto ambientale. Applicare correttamente le normative comunitarie italiane e regionali attinenti le tematiche ambientali. Applicare e mantenere un sistema di certificazione qualità, ponendosi come
referente del processo di certificazione per le ISO 9000. Verificare ed individuare potenziali debolezze nelle procedure trovando soluzioni. Applicare le misure antinfortunistiche sul luogo di lavoro adottate dall’azienda per la sicurezza aziendale. effettuare
gli audit interni in base alla ISO 14010. Istituire, applicare e mantenere un sistema di
certificazione ambientale secondo le Norme ISO 14001. Interagire e confrontarsi con
l’Ente di Certificazione esterno definendo e redigendo il manuale della qualità nel rispetto degli standard EMAS. Elaborare un documento condiviso ed efficace per la finalizzazione delle diverse procedure, lavorando in team con le diverse figure aziendali
(responsabile produzione, di stabilimento, fornitori e medici del lavoro. Classificare,
pianificare e gestire i rifiuti. Implementare tecniche di trattamento e smaltimento dei
rifiuti. È in grado di relazionarsi in lingua inglese nella comprensione e comunicazione a livello elementare e in semplici transazioni commerciali. Utilizzare i programmi
Word, Excel, Access ed effettuare ricerche su Internet. Riconoscere le normative sulla
sicurezza e prevenzione degli infortuni sul lavoro. Riconoscere il sistema azienda, l’organizzazione, le tipologie d’imprese pubbliche e private e i diversi approcci alla gestione. Conoscere le normative UNI EN ISO 9000:2000, le ISO 14000 e gli standard
EMAS. Individuare, interpretare ed implementare le carte di controllo. L’allievo è in
grado di: Garantire flessibilità di rapporto in relazione alla variabilità degli eventi. Effettuare analisi e applicare soluzioni logicamente sequenziali. Negoziare e assumere responsabilità nella decisione. Gestire e coinvolgere il personale, lavorare in gruppo e coinvolgere il gruppo. Pianificare, sviluppare e gestire le attività del Sistema Qualità, Sicurezza, Ambiente. Effettuare piani di campionamento. Individuare i composti chimici e biologici ad elevato impatto ambientale. Effettuare campionamenti. Gestire impianti di trattamento e trasporto rifiuti.
Oltre a questi, vi si trovano inoltre taluni casi nei quali, pur trattandosi dell’attività
corsuale 2000-2001, già appare la distinzione tra competenze di base, trasversali e professionali:
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– Esperto di sistemi integrati nella cooperazione e nel non profit:
[…] COMPETENZE DI BASE: conoscenza quadro economico-giuridico; conoscenza strumenti informatici e telematici; conoscenza elementi di economia del mercato di riferimento. COMPETENZE PROFESSIONALI: conoscenza degli strumenti di agevolazione finanziaria; conoscenza degli strumenti di pianificazione strategica; strumenti di organizzazione delle attività; strumenti di pianificazione di marketing. COMPETENZE TRASVERSALI: strumenti di Problem Solving; gestione
delle Risorse Umane; gestione della Comunicazione interna; gestione degli strumenti
di Marketing interno; strumenti di coordinamento delle attività […].
– Tecnico per l’automazione industriale:
Opera nell’ambito della progettazione e della gestione dei sistemi automatici industriali inerenti la produzione, la trasformazione, la movimentazione e il confezionamento di un prodotto. Deve pertanto possedere le seguenti competenze: COMPETENZE DI BASE: conoscenza degli aspetti normativi […] ed organizzativi di una
azienda e della disciplina del rapporto di lavoro; conoscenza dei principi di prevenzione, tutela della salute e antinfortunistica nei luoghi di lavoro; conoscenza della
lingua inglese equivalente al livello PET […]; conoscenze ed abilità informatiche
equivalenti alla certificazione europea ECDL. COMPETENZE TRASVERSALI:
capacità di gestire processi comunicativi e relazionali sia all’interno dell’azienda che
in un contesto più ampio; capacità organizzative in relazione alla pianificazione delle risorse e al raggiungimento degli obiettivi; capacità di uso delle tecniche di ricerca attiva del lavoro. COMPETENZE PROFESSIONALI: conoscenza dei principali
aspetti normativi e delle direttive europee in ambito tecnico e le relative modalità di
certificazione; capacità di individuare le fasi necessarie in un processo automatico
(manipolazioni, lavorazioni, controlli); saper scegliere gli opportuni attuatori e dispositivi di controllo, nonché interfacciarli con un sistema di gestione…
Il che, tuttavia, non porta ad evitare completamente che le competenze vadano confuse con l’attività lavorativa e che talvolta vengano descritte, appunto, in termini di attività. Sicché, ci piacerebbe conoscere, ad esempio, qualcosa di più pertinente, nel primo dei casi precedenti, circa le ‘Competenze trasversali’ invece che vederle descritte come attività (gestione delle risorse umane; gestione della comunicazione interna; ecc.) e,
nel secondo caso, circa le ‘Competenze professionali’ dove, relativamente al compito di
‘individuare le fasi necessarie in un processo automatico’ la descrizione della corrispondente competenza ripropone il compito stesso facendolo precedere dalla consueta e sbrigativa espressione ‘capacità di’.
Nel repertorio delle professioni adottato in Francia (ROME), le competenze vengono distinte in competenze di base (indispensabili per l’esercizio di una professione); competenze associate (non proprio indispensabili per svolgere l’attività richiesta dalla professione, riguardano il sapere e saper fare complementari, acquisibili in corsi di formazione
o mediante esperienze precedenti e possono risultare utili negli avanzamenti di carriera);
competenze specifiche (collegate alla singola professione, attengono soprattutto al saper
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essere e sono capacità cognitive, sociali o anche fisiche, fondamentali per lo svolgimento
di una particolare attività lavorativa e per progredirvi) (Farinella, 2002, 43).
Anche qui, però, si ripropone il problema di non confondere le competenze con le
attività e di non descriverle quindi come si trattasse di attività. Relativamente alla figura di Accompagnatore turistico riportata come esempio nella illustrazione che del ROME
fanno Butera e collaboratori, le Competenze tecniche di base vengono descritte, appunto, mediante operazioni, quali: «monitorare l’esecuzione di tutte le prestazioni previste (circuiti, visite); dare le informazioni sui siti attraversati o visitati; animare i gruppi dei turisti» (Butera et al., 2001, 270).
2) Tornando ora alle descrizioni esemplificative presentate precedentemente, c’è da osservare che, nonostante la ricorrente confusione di competenze e compiti di cui si è
detto, ci si trova comunque al cospetto di tante descrizioni che, talvolta in maniera
più precisa, tal altra in maniera ancora troppo ellittica (allusiva), declinano le competenze in termini di conoscenze, di capacità, di abilità. Mostrando peraltro chiaramente come le competenze attinenti ad una professione tecnica (riconducibile alla
vasta area dei knowledge workers) si presentino assai ramificate e richiedano di puntuali denotazioni ‘empiriche’.
Sicché viene da chiedersi come molte di quelle descrizioni siano state ricavate.
3) In terzo luogo, si pone una questione di chiarezza ‘tassonomica’.
Sorgono forti perplessità, infatti, quando in tanti casi sia le competenze che le conoscenze vengono pensate e trattate come diverse sotto-dimensioni di pari rango ‘tassonomico’, cioè come componenti giustapponibili di una entità più estesa che comprenderebbe entrambe, laddove sembrerebbe più logico considerare le conoscenze come ‘grandezze di rango inferiore, come uno dei sottoinsiemi, in altri termini, di una
grandezza di ordine superiore, di un tutto generale cioè che potremmo chiamare, appunto, ‘competenza complessiva’.
In questo modo mostrano chiaramente di muoversi, oltre al sistema francese ROME
(che come si vedrà meglio in seguito definisce appunto la competenza come «insieme di sapere, saper fare e saper essere»), coloro che intendono la competenza come «un complesso
indivisibile di saperi, capacità, idee e modalità di azione che consentono l’esercizio di una
professione» (EBNA, 2000, 74) o che ritengono che le competenze siano «definite dall’insieme di conoscenze (il sapere necessario allo svolgimento delle attività), di capacità o abilità professionali (il saper fare necessario allo svolgimento delle attività lavorative) e di qualità o attitudini personali (le attitudini e gli atteggiamenti di cui la persona è portatrice e che
possono determinare le sue prestazioni professionali)» (Butera et al., 2001, 400).
Tutte queste, tuttavia, al pari di ogni altra definizione, sono pur sempre definizioni
del concetto di competenza che – potremmo dire con le parole di Gianni Statera (1994,
126) – dipendono «da una serie di stipulazioni […] che sono da un lato, funzionali agli
obiettivi della ricerca, dall’altro influenzate da una teoria, o, quantomeno, da un abbozzo di teoria riferita al contesto in cui si determina il concetto».
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Si tratta di definizioni che, in altri termini, dovrebbero risultare utili come schema
analitico-descrittivo, per orientare il lavoro di analisi e di classificazione delle competenze, ma anche risultare utili euristicamente, vale a dire capaci di guidare gli stessi percorsi di ricerca nella loro individuazione, e cioè, per dirla ancora con Statera, passibili
di traduzione «in concetti-termini che possano, direttamente o indirettamente, dar luogo a variabili» (ibidem, 127).
In questo senso, dal nostro punto di vista, ci pare che nell’individuare e descrivere
attitudini o atteggiamenti, modi di essere e caratteristiche individuali (anche fisiche),
disposizioni mentali e criteri di orientamento (need for achievement, tendenza a rischiare o alla ponderatezza, ecc.) che in qualche misura risultano necessari per svolgere una
data professione, si debba porre molta attenzione per evitare di cadere nella sterile ridondanza dell’ovvietà (ergonomica, sociografica, psicologistica, ecc.).
■
4. La progettazione di percorsi formativi IFTS
Una volta acquisito un quadro di riferimento generale riguardante una
gamma di aggregati di competenze (conoscenze, abilità, ecc.), si potrà passare alla traduzione di queste ultime in fabbisogni formativi ed alla progettazione di risposte formative specifiche.
La progettazione dei veri e propri percorsi formativi, ovviamente, sarà compito del
progettista della formazione, il quale dovrà conoscere con precisione cosa e quanta parte di quelle competenze, possa e debba essere ‘insegnata’ (appresa) e tradotta quindi in
obiettivi formativi da perseguire in percorsi formativi appositamente concepiti e organizzati.
Rispondere a quest’ultimo interrogativo comporta la necessità di rispondere ad altri
due interrogativi complementari:
a) Quali competenze (cosa e quanta parte di esse) siano già diventate (o stiano diventando) patrimonio diffuso, in ragione degli articolati, policentrici, processi di socializzazione, anche informali e non intenzionali. Di quei processi cioè che caratterizzano una società complessa come la nostra e per entro i quali un numero crescente
di individui, siano essi studenti, lavoratori, inoccupati, attivi o non attivi, sviluppa e
viene sviluppando, con esiti certamente differenti, competenze comunicative, conoscenze, capacità di prestazione, abilità, a complesso contenuto tecnico e tecnologico, ecc. in modo da costituire una sorta di a-specifico e pervasivo capitale umano
e sociale, rispetto al quale sarebbe del tutto inutile e dispendioso allestire pezzi di percorsi più o meno lunghi e sistematici di formazione.
b) Quali specifiche competenze professionali, inoltre (cosa e quanto di esse, specialmente in termini di abilità, di competenza relazionale-comunicativa, di specifico sapere organizzativo, di specifiche capacità di prestazione), vadano affrontate nella fase formativa soltanto a livello di elementi ‘fondamentali’ di questo o quel gruppo di
saperi disciplinari e lasciate necessariamente in subordine nella loro specificità, po-
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tendosi esse praticare, sviluppare, precisare e perfezionare, soltanto nell’esercizio effettivo e continuato di una data attività in una data azienda e cioè come esiti di learning by doing e di training on the job.
Dare risposte a quesiti di questo tipo significa in sostanza affrontare la questione degli standard minimi delle competenze, affrontare, cioè, il problema di definire appunto
la base minima di competenze che andrebbe acquisita tramite un percorso formativo, sia
a livello generalizzato (standard minimi nazionali) che a livello di specifico corso.
4.1. Dagli standard minimi delle competenze alle Unità formative
capitalizzabili
La problematica degli standard minimi di competenza, è diventato un tema «molto dibattuto all’interno del Comitato nazionale […]; infatti superata una prima fase di sperimentazione, il Comitato nazionale ha elaborato una metodologia per la definizione degli standard minimi di competenze di base e tecnico-professionali, presentato nell’allegato C del Documento tecnico; i contenuti degli standard minimi saranno definiti con
un successivo accordo in sede di Conferenza unificata entro il 30 settembre 2002. […].
La definizione degli standard minimi delle competenze tecnico-professionali è affidata ai Comitati di settore (si tratta dei settori prima citati [agricoltura, industria e artigianato, commercio e turismo, trasporti, servizi pubblici e privati d’interesse sociale]
con l’aggiunta del settore servizi assicurativi e finanziari) composti da esperti di settore
e dai rappresentanti istituzionali e sociali» (Isfol, 2002b, 401-404).
Questo lavoro di elaborazione e di messe a punto, anche operative, è andato e continua ad andare avanti, naturalmente, grazie al notevole impegno che hanno continuato a profondervi i tanti soggetti e organismi pubblici e privati. Dalla definizione delle
competenze in termini di standard minimi si è pervenuti opportunamente alla nozione
di Unità capitalizzabile, vale a dire all’idea di una sorta di ‘scatola’ o ‘pacco’ di competenze, o in altri termini, di una unità coesa di capitale umano spendibile, appunto, sul
mercato del lavoro, all’interno di una data attività o anche altrove (nell’Università, per
esempio). Il passaggio, infine, dalle Unità capitalizzabili alla definizione delle Unità formative capitalizzabili (di base, trasversali e tecnico-professionali) – veri e propri percorsi formativi aventi l’obiettivo di coprire in parte o completamente una unità capitalizzabile – era più che obbligato e coerente con tutta l’impostazione.
Un’idea di cosa tutto ciò abbia comportato sul piano della vera e propria progettazione di corsi di formazione in numerose regioni del paese (di gran lunga più numerosi, invero, i progetti realizzati o presentati dalle regioni settentrionali, Lombardia e Piemonte specialmente) è fornita dal materiale riportato nelle Appendici I e II allegate al
rapporto. Detto materiale, riguardante un campione ristrettissimo tratto dai poco meno di 750 progetti ricavabili dall’Indire (la gran parte dei quali, in realtà è inutilizzabile perché con documentazione incompleta), si compone di due gruppi di schede da noi
costruite ponendo insieme per ciascun corso (individuato con il ‘Titolo/Figura profes-
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sionale’), la descrizione delle ‘Competenze in esito’ con la descrizione delle Unità formative capitalizzabili, ‘di base e trasversali’ nel primo gruppo e ‘tecnico-professionali’,
nel secondo.
Il materiale ci sembra meriti molta più attenzione di quanta venga qui posta e particolari approfondimenti analitici su numerosi aspetti.
Ci si limiterà qui ad alcune notazioni riguardanti più direttamente le competenze in
esito ed il raccordo tra queste e le Unità formative capitalizzabili.
Le Competenze in esito, alcune volte risultano semplicemente abbozzate, altre sin
troppo analitiche, e mai appaiono articolate in competenze di base, trasversali e tecnico-professionali (tranne che in un caso, nel quale vengono indicate riprendendo semplicemente i titoli delle UFC).
Si registra talvolta una qualche confusione tra UFC trasversali e di base; numerose
unità formative appaiono, inoltre, molto ‘dense’ di contenuti formativi rispetto alle ore
stabilite per l’espletamento.
Le parti di programma relative a talune UFC di base (inglese e informatica, soprattutto, ma anche organizzazione aziendale, statistica, ecc.) si rivelano spesso assai impegnative dal punto di vista dell’effettiva possibilità di apprendimento, tanto da far pensare all’insorgenza di probabili difficoltà per l’arricchimento del corso a livello territoriale tramite l’introduzione di ulteriori argomenti di studio in un programma già troppo denso.
In molti casi, infine, riesce difficile capire se ci sia un adeguato raccordo tra le UFC
e le competenze in esito.
Tutto questo, possiamo concludere provvisoriamente così, lascerebbe pensare, in particolare, che nella progettazione dei corsi, specialmente in alcuni casi, si sia partiti dagli
obiettivi formativi per definire le competenze, piuttosto che seguire la sequenza inversa. Mentre, più in generale, contribuisce a delineare, con qualche elemento in più di
chiarezza, i termini entro i quali si pone il problema del rapporto tra la definizione delle competenze e l’effettivo svolgimento di una attività lavorativa. Rapporto imprescindibile, questo, e di cruciale importanza quando si tratta di attivare progetti di formazione che siano il più possibile protetti dal rischio di dar vita, come potrebbe essere accaduto in qualcuno dei casi precedenti, a meccanismi tipici della auto-referenzialità o
della ‘petizione di principio’.
■
5. Competenze e concreta attività lavorativa
Il problema che si pone in generale, è proprio quello di chiarire bene
come le competenze si debbano-possano individuare. Questo è un punto di cruciale importanza.
Consideriamo, per esempio, la definizione di competenza del sistema francese (ROME): «un ensemble de savoir, savoir-faire et savoir être, qui sont manifestés dans l’exercice
d’un emploi-metier dans une situation donnée» (Farinella, 2002b, 43), e chiediamoci qua-
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le possa essere il significato da dare all’espressione «sono (vengono) manifestate» usato
in questa definizione.
In generale, i saperi e le capacità, soprattutto, collegati ad una data attività sono pur
sempre entità latenti e quindi più che manifestarsi, o essere manifestate, diciamo, direttamente o, comunque, nella loro fenomenica immediatezza, esse vanno rese manifeste, vanno cioè ricavate, esplicitate e descritte mediante opportune operazioni di analisi delle attività e di loro traduzione in competenze. Insomma, tendiamo a sentirci in accordo con coloro che finirebbero per fare della competenza «un oggetto da spiegare, che
viene a costruirsi attraverso l’osservazione e l’esplorazione dei saperi [da parte] di un
esperto» (Farinella, 2002a, 36).
Viene alla mente, a tal proposito – per pura e semplice analogia formale, beninteso
– la struttura paretiana del rapporto tra Derivazioni (ciò che si manifesta all’osservatore) e Residui (ciò che di meno contingente sta ‘dietro’ o ‘sotto’, ed alla cui individuazione, però, è possibile pervenire soltanto attraverso l’analisi delle derivazioni).
A maggior ragione, poi, tali operazioni di carattere ‘poietico’ non già di mero disvelamento naturalistico, risultano necessarie se si pensa che non esiste una corrispondenza lineare (univoca) tra competenze e operazioni lavorative. Il carattere di trasversalità
cui rimanda il concetto di competenza intenzionalmente vago che stiamo utilizzando,
infatti, non riguarda soltanto i settori e comparti delle attività economiche, o anche
gruppi di figure professionali all’interno dello stesso settore o comparto, ma riguarda
anche le operazioni (le pratiche lavorative) all’interno della stessa figura professionale.
Quello appena esposto è naturalmente soltanto uno dei criteri di orientamento concernenti le modalità di individuazione e di descrizione delle competenze.
Si è già più volte osservato in precedenza come in tanti esempi di descrizioni di attività lavorative o di competenze emergesse il duplice ‘difetto’ (secondo la nostra impostazione) consistente nel descrivere le attività con ‘pezzi’ di competenze e viceversa. Porre in rilievo come problema questa confusione tra attività e competenze, conseguiva dall’esigenza di fare chiarezza ‘stipulativa’ circa le definizioni adottate.
All’interno di altra impostazione, compiuta in ogni caso questa operazione di chiarificazione definitoria in modo da evitare la possibilità di fraintendimenti, è sempre possibile formulare le competenze in termini di attività. Questo tipo di opzione viene ribadito e ulteriormente precisato in un documento messo in circolazione, nel quale in
tema di «Suggerimenti per la compilazione delle sezioni del formato di rappresentazione delle U.C.» si legge che le competenze di riferimento della U.C. vanno dichiarate facendo precedere dalla «locuzione ‘Il soggetto è in grado di…’ la formalizzazione dell’attività» (Isfol-Miur, 2003, 12).
Si considerino le competenze come entità individuabili e formalizzabili mediante vere e proprie attività fatte precedere da locuzioni del tipo ‘essere in grado di…’ o si considerino, al contrario, come entità da ‘costruire’ sulla base delle effettive attività risulterebbe, comunque, assai improbabile riuscire a disporre di quadri veritieri di competenze senza avere indagato e descritto efficacemente l’estesa e complessa realtà delle effettive attività di lavoro esistenti o emergenti all’interno degli scenari lavorativi. I contenuti di competenza da identificare debbono essere appunto contenuti ‘empirici’ e dunque
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debbono discendere da altri contenuti ‘empirici’: quelli che nell’insieme descrivono compiutamente i contenuti di una professione.
Si dovrebbe dunque partire dalla descrizione delle figure professionali pensandole
come «meno legate [della qualifica professionale] alle specificità di comparto o di contratto» ovvero dalla «descrizione della prestazione lavorativa» complessiva, quale esito di
un’indagine niente affatto semplice, poiché implica essa stessa «un’azione di interpretazione e di sintesi da parte del ricercatore» (EBNA, 2000, 33).
Soltanto affrontando secondo tale sequenza operativa la questione dei fabbisogni di
competenze professionali è possibile parlare di «competenze osservabili e misurabili»
(ibidem, 41), siano esse acquisibili per via formativa (attraverso appositi percorsi intenzionali di apprendimento) o per via pratica (le concrete esperienze di lavoro).
Proviamo a fare qualche passo in avanti su questo aspetto.
Va innanzitutto sottolineato come le descrizioni delle attività lavorative e di quanto esse comportano non possano più attenersi al modello da tempo inadeguato dei tradizionali e semplicistici mansionari incentrati sulla descrizione di operazioni isolate e
parcellizzate, ma debbono necessariamente essere ‘complesse’, articolarsi cioè in modo
esauriente, precisando al proprio interno le interconnessioni e gli aspetti più rilevanti,
necessari a rendere visibili e identificabili empiricamente i ruoli professionali cui si riferiscono.
Il ricorso qui al termine ‘ruolo’ è voluto e ci pare più che appropriato, perché permette di cogliere appunto della complessa attività caratterizzante l’esercizio di una professione anche la dimensione relazionale e quella della specificità delle strutture di interazione e, dunque, degli spazi di autonomia lungo la linea ‘conformità-innovazione’.
Ovviamente, il concetto di ruolo al quale ci si riferisce è quello – elaborato dalla tradizione sociologica – secondo il quale l’elemento della cogenza (prescrizioni e aspettative) si combina con quello della varianza di ruolo (margini di interpretazione), articolandosi lungo la scala decrescente che va dai gradi più elevati di coercizione caratterizzanti le più rigide tra le strutture di interazione funzionali a quelli più bassi caratterizzanti le più aperte di esse (Boudon, 1980, 57-78).
Le attività lavorative descritte negli esempi proposti in precedenza si compongono
di gruppi (costellazioni) di operazioni ‘centrali’ e specifiche, che sembrerebbero caratterizzare in maniera e misura rilevanti il ruolo professionale in questione e di operazioni, diciamo generali, che sembrano collocarsi ‘alla base e al contorno’, pur essendo comunque parte insostituibile del complessivo agire professionale. È da notare, inoltre,
come, assai opportunamente, alcune delle descrizioni non comprendano soltanto i veri e propri compiti di lavoro (o operazioni), ma talora allusivamente, tal altra in maniera più circostanziata, richiamino anche le relazioni, orizzontali e verticali, che si stabiliscono, i processi entro cui le operazioni si collocano, le tecnologie e gli strumenti cui si
fa ricorso, nonché gli obiettivi e i risultati da raggiungere.
Tuttavia, a dispetto di quanto di positivo presentano descrizioni siffatte, si ha comunque la chiara impressione che un modello di descrizione debba includere altri elementi ed articolarsi in maniera puntuale e completa in relazione a ciò che si deve (saper) fare, a tutto ciò, insomma, che richiede lo svolgimento di una professione tecnica.
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6. Per un dizionario delle professioni tecniche
Nei precedenti paragrafi si è cercato in sostanza di riflettere sulla complessità del concetto di competenza professionale e di argomentare come si presenti indispensabile disporre di un sistema di rilevazione e di descrizione delle professioni tecniche da mettere a regime al fine di rendere possibile la progettazione di adeguate risposte formative.
Fissiamo qualche punto fermo.
Il concetto di competenza, al pari di tanti altri concetti, si apre ad una gamma variegata di possibili definizioni che non sfuggono al loro carattere stipulativo (convenzionale). Nella definizione volutamente generica che qui abbiamo adottato, la competenza professionale viene intesa come un tutto, come un insieme, cioè, composto di conoscenze, di abilità e di disposizioni personali. E viene pensata come un fatto ‘dinamico’, come il risultato di un percorso di apprendimento basato sull’elaborazione dell’esperienza effettiva in un dato contesto lavorativo. Una competenza professionale, quindi, può dirsi ‘compiuta’ pensando a dei livelli minimi necessari e sufficienti per lo svolgimento di una data attività professionale, ma una competenza rimane pur sempre aperta ad ulteriori sviluppi, arricchimenti, trasformazioni.
L’agire professionale è ormai coinvolto in dinamiche che attengono anche alla tensione tra stabilità e cambiamento (innovazione) nella quale ha un grande peso la capacità, culturale, cognitiva, tecnica e psicologica, di affrontare l’incertezza, assumendosi
la responsabilità di operare delle scelte, di prendere delle decisioni.
In altri termini, si deve comunque pensare a processi di costruzione di identità professionali aperte al cambiamento, sicché anche le competenze professionali nelle società caratterizzate da articolati scenari di policentrismo socializzativo vanno considerate
come l’esito mai concluso di processi per entro i quali gli individui acquisiscono e sviluppano conoscenze, capacità di prestazione, atteggiamenti, idee e rappresentazioni della realtà, modi di comportamento, ecc. entrando in relazione con numerosi altri individui, all’interno di un numero variabile ma comunque elevato di strutture e ambiti di
relazione, sia formali che informali (famiglia, scuola, formazione professionale, lavoro,
gruppo di amici, associazioni di vario genere, mass media, ecc.).
Occorre partire dalle attività effettive e potenziali relative all’esercizio di una professione per ricavarne, tramite complesse operazioni di studio, descrizioni esaurienti (operazionali), delle competenze necessarie allo svolgimento della stessa professione. Per determinare i compiti principali e secondari comunque necessari a svolgere una professione, bisogna però stare attenti a non liquidare erroneamente la logica stessa che orientava i vecchi modelli «skills-task oriented». Certo, i compiti (task) non possono essere più
pensati come componenti parcellizzate di una lista ristretta ricavabile dall’analisi della
‘postazione di lavoro’. Ciò risulta vero perfino in riferimento alla vecchia figura dell’operaio di catena di montaggio, poiché i compiti costituiscono ormai un insieme composito e integrato che si riferisce alle nuove tecnologie, alle nuove forme di organizzazione del lavoro, ai più ampi margini di autonomia e di innovazione che si offrono al
singolo lavoratore nell’interpretare del proprio ruolo professionale. Sono gli stessi con-
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tenuti di una attività professionale ad essere soggetti a dinamiche di trasformazione che
richiedono ulteriori apprendimenti rendendo perfino obsolescenti ‘pezzi’ di corrispondenti competenze professionali. Il rischio di descrizioni esemplificate e parcellizzate riguarda insomma la stessa nozione di compito lavorativo e dunque i modelli con questi
stessi vengono descritti. Sono questi due elementi (nozione di compito e modelli di descrizione-classificazione) che vanno rivisti profondamente e non già l’esigenza stessa,
pur sempre attuale benché divenuta molto più difficile da assecondare, di definire le
competenze in maniera task-oriented.
La questione della definizione delle competenze, insomma, soprattutto di quelle minime e necessarie per svolgere una professione, va affrontata indagando empiricamente i contenuti dell’attività lavorativa, rilevando con attenzione ciò che vi si fa (o si deve
fare) di importante, ciò che viene messo in giuoco per farlo e quanto serve per far fronte a ciò che tende a mutare.
L’idea di fondo che ispira tutta l’operazione dell’IFTS è che per poter individuare i
fabbisogni formativi cui rispondere con adeguati percorsi di formazione si rende necessario partire da una attenta ricognizione delle attività lavorative effettivamente svolte o
prevedibili nel medio termine.
Di fronte all’applicazione di questa idea all’Università, paiono sostanzialmente condivisibili le perplessità ed i dinieghi espressi da più studiosi, perché – leggiamo, per esempio – quando diventa centrale e assorbente l’obiettivo di garantire «la formazione di figure professionali in funzione del mercato del lavoro», anziché «la ricerca, pura e applicata», l’università finisce per smarrire «la sua ragion d’essere [proprio perché] la ricerca
pura e la ricerca applicata cessano di scorrere al suo interno, vera e propria linfa vitale,
dal basso in alto e viceversa (nel senso che un insegnamento di primo livello che non
fosse a sua volta il frutto di un lavoro di ricerca, risulterebbe inefficace, ripetitivo» (Givone, 2003, 165).
Tale idea, invece, appare del tutto legittima ed adeguata se viene rapportata alla formazione tecnica su cui stiamo riflettendo. Sicché, nella progettazione dei percorsi formativi, va innanzitutto assecondata l’esigenza di mantenere come bussola principale l’obiettivo dell’occupabilità. L’immediata spendibilità delle competenze acquisite (e opportunamente certificate e dimostrabili) sul mercato del lavoro, deve costituire, insomma, il criterio principale di orientamento, evitando così di tendere a trasformare surrettiziamente il nuovo strumento formativo dell’IFTS in una sorta di scorciatoia per
l’inserimento agevolato in questo o quel corso universitario triennale (la versione dell’università sotto casa!). Ferma restando, ovviamente, la possibilità che un qualsiasi excorsista, volendolo, faccia valere opportunamente anche presso un corso di laurea universitario, i crediti formativi acquisiti in un corso IFTS.
Il punto di approdo più rilevante della riflessione sin qui condotta (e sintetizzata
problematicamente nei tre punti precedenti), è che per evitare il rischio di realizzare
corsi di formazione, pure perfetti per impianto ed articolazione ma con obiettivi formativi concepiti in riferimento a professioni tecniche più o meno immaginarie o ad
attività lavorative presunte, più che desunte empiricamente, appare indispensabile la
costruzione di un repertorio delle professioni tecniche, un vero e proprio dizionario,
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dinamico (aperto, aggiornabile), che definisca e descriva i contenuti delle professioni prese in esame.
Soltanto se si dispone di questo strumento ‘operazionale’ è possibile costruire e progettare un sistema capace di assicurare adeguate risposte formative.
Cosa dovrebbe contenere detto strumento?
Certamente deve contenere per ogni singola professione la descrizione delle attività
professionali ‘specifiche’ e dei compiti lavorativi ‘generali’ e quindi una puntuale e dettagliata descrizione delle competenze corrispondenti (conoscenze, capacità professionali, qualità personali). E ciò nel rispetto dell’opportuno criterio di parsimonia che suggerisce di mettere in luce ed esplicitare tutto ciò che serve a costruire adeguate strategie
formative: né più, né meno.
Certo, la costruzione di un siffatto sistema di descrizioni di professioni tecniche e la
sua implementazione non porta ad escludere che, oltre a quella della formazione, anche
altre collaterali possibilità di uso (da parte di singoli potenziali utenti, occupati o in cerca di lavoro, di enti, organismi e soggetti istituzionali e non, coinvolti a varo titolo nel
governo del mercato del lavoro, e così via). In tal caso la descrizione di una professione
dovrebbe arricchirsi di ulteriori informazioni concernenti altre caratteristiche: del lavoro, del lavoratore e del mercato del lavoro, ecc.
Il dizionario, comunque, non può che raccogliere e descrivere tipi di professioni che
abbiano significato a livello generale (nazionale, europeo), tenendo conto che i contenuti delle attività lavorative, le situazioni di lavoro, ecc. riconducibili ad una figura professionale possono essere notevolmente diverse anche tra aziende dello stesso settore e
dello stesso territorio.
Non per caso quindi, si è lavorato e riflettuto molto anche sugli ‘standard minimi
nazionali delle competenze’ intesi «come base minima comune di competenze da acquisire in esito ad un percorso formativo» (Isfol, 2002b, 404).
Ciò comporta che parti consistenti dei contenuti delle professioni, concorrenti tuttavia ad una loro completa descrizione empirica, soprattutto per quanto attiene alle peculiarità tecnico-professionali, agli specifici contesti di lavoro (processi produttivi, tecnologie usate, organizzazione del lavoro, dimensioni aziendali, ecc.) e alle abilità individuali, vadano accantonate e demandate ai livelli locali per il completamento del quadro di competenze e quindi dei fabbisogni formativi, al fine di arricchire compiutamente
i percorsi formativi da offrire sui mercati locali della formazione.
Si è già detto in precedenza che realizzare obiettivi di tale natura non è affatto semplice, non fosse che per l’esigenza di dover cogliere, a partire dall’esistente (le professioni effettivamente esercitate) anche le tendenze di cambiamento in atto nei diversi mercati del lavoro.
«Interpretare preventivamente le evoluzioni dei fabbisogni di professionalità legate
allo sviluppo territoriale […] ed evitare ingessature della programmazione» è un’esigenza
manifestata dalle regioni in sede di Conferenza unificata; esigenza mirante appunto, «a
proporre una programmazione meno vincolata e orientata anche alla individuazione di
figure professionali innovative (progetti pilota) o relative e a specifiche dinamiche dei
mercati del lavoro locali» (ivi).
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La mole di difficoltà che inevitabilmente si incontrerebbe nelle complesse e diverse
fasi della ideazione, costruzione, messa alla prova e messa a punto (mai definitiva) di un
modello di dizionario delle professioni tecniche, non attengono solamente alla duplice
esigenza, pure importante, di salvaguardarsi dagli inesorabili processi di obsolescenza
dei contenuti professionali di una attività e di anticipare e, quindi, favorire in qualche
misura, l’emergenza del nuovo.
Si tratta, più in generale, di dare corpo e vitalità operazionale ad un modello di rappresentazione delle professioni (dei loro contenuti empirici) tenendo conto:
– di quanto del capitale umano incorporato in questo o quel gruppo di professioni venga di fatto utilizzato dal sistema economico (o suoi sottosistemi) in un dato momento
storico e di come ciò avvenga;
– di quanto la comunità scientifica ha già prodotto;
– del fatto che l’efficacia di un modello siffatto dovrà misurarsi con la capacità di descrivere e rappresentare quei contenuti empirici e di cogliere anche le tendenze, certamente, ma anche con la capacità di prevedere e rendere possibile l’attivazione di
meccanismi di feedback su se stesso;
– del carattere aperto del dizionario, infine, e cioè della possibilità che le informazioni raccolte e codificate siano accessibili nel modo il più possibile generalizzato e siano utilizzabili a scopi diversi.
Il capitolo successivo passa in rassegna tre dei modelli più significativi di dizionario
che in varia misura e con approcci diversi affrontano il problema della descrizione dei
contenti di una professione incorporando teorie e approdi rilevanti cui è pervenuta la
ricerca scientifica in materia.
Opere citate:
Boudon, R., La logica del sociale. Milano, Mondadori, 1980 (ed. or. 1979).
Butera, F. (a cura di), Formare i lavoratori della conoscenza, in «Cisem/Informazioni», 1998, 13-14.
Butera, F., et al., I tecnici superiori per il Made in Italy. Studi e Documenti degli Annali della Pubblica Istruzione, 94-95. Roma, Le Monnier, 2001.
Ente Bilaterale Nazionale Artigianato (EBNA). Indagine nazionale sui fabbisogni formativi nell’artigianato. Il disegno della ricerca 1. Roma, EBNA, 2000.
Farinella, D., Il dibattito sulle competenze: contenuti, rappresentazioni, approcci. In F.P. Cerase,
L’analisi delle competenze nel lavoro amministrativo. Milano, F. Angeli, 2002a.
Farinella, D., L’analisi delle competenze attraverso i sistemi di informazione sulle professioni. In F.P.
Cerase, L’analisi delle competenze nel lavoro amministrativo. Milano, F. Angeli, 2002b.
Gallino, L., Informatica e qualità del lavoro. Torino, Enaudi, 1983.
Gallino, L., Dizionario di sociologia: Socializzazione. Milano, TEA-Utet, 1993.
Givone, S., Un programma per l’Università, in «Micromega» 1, 2003, pp. 162-171.
Isfol, Il tanto e il poco del lavoro flessibile. Milano, F. Angeli, 2002a.
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Isfol, Rapporto 2002. Milano, F. Angeli, 2002b.
Isfol-MIUR, Manuale per l’approfondimento e la sistemazione degli standard minimi di competenze tecnico-professionali. Bozza. Roma, Isfol-Miur, 2003.
Persichella, V., Questioni di socializzazione. Bari, Giuseppe Laterza Editore, 1996.
Sarchielli, G., La socializzazione al lavoro. Bologna, il Mulino, 1978.
Scarnera, C. (a cura di), Classificazione delle professioni. Roma, Istat, 2001.
Statera, G., Logica dell’indagine scientifico-sociale. Milano, F. Angeli, 1994.
Vygotskij, L.S., Pensiero e linguaggio. Firenze, Giunti-Barbera, 1966 (ed. or. 1934).
Vygotskij, L.S., Immaginazione e creatività nell’età infantile. Roma, Editori Riuniti, 1973 (ed.
or. 1956).
Vygotskij, L.S., Lo sviluppo psichico del bambino. Roma, Editori Riuniti, 1975 (ed. or. 1930).
Weber, M., Il metodo delle scienze storico-sociali. Torino, Enaudi, 1974 (ed. or. 1922).
Siti consultati:
www.indire.it/ifts
www.isfol.it
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2
Tre modelli di dizionario *
■
La professione: aspetti problematici
di un concetto
D
a un punto di vista strettamente analitico l’individuazione di
uno strumento di analisi dipende in prima battuta dalla definizione dell’oggetto che deve analizzare, nel nostro caso, dalla definizione del concetto di professione.
Secondo una definizione messa a punto nei primi anni Novanta una professione va
definita come la «… modalità responsabile e socialmente riconosciuta con cui una persona esercita un ruolo (o una serie di ruoli omologhi) in vista della gestione e dell’innovazione di processi definiti di servizio (professione come struttura produttiva), modalità che richiede definite abilità e competenze e regole deontologiche fondate su corpi di teorie e tecniche conseguite attraverso una storia di curriculum di studi e di esperienze legittimati da corpi sociali e/o dallo stato, che in un modo o in altro certificano
o autorizzano la persona ad esercitare la professione (professione come istituzione sociale) …» 1.
Già da questa definizione emerge nettamente la complessità del concetto, la molteplicità delle dimensioni che intervengono a definirlo e l’intrico delle relazioni che le tengono insieme. Svolgere una professione significa, così, esercitare uno o più ruoli funzionali ad un processo produttivo, ruoli che a loro volta richiedono abilità e competenze e che procedono all’interno di regole deontologiche fondate su teorie e tecniche che
*
Dr. Aldo Scarnera, Primo Ricercatore, Istat. La Dr.ssa Giovanna Linfante – Ricercatrice, Isfol – e la Dr.ssa
Domenica Farinella – Dottoranda, Università degli Studi di Napoli «Federico II» – hanno collaborato
nella raccolta dei dati di base.
1 Butera, F., Failla, A., Professionisti in azienda, Milano, EtasLibri, 1992.
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costituiscono il patrimonio cognitivo acquisito tipico della professione e che legittimano un soggetto all’esercizio della stessa.
Altre dimensioni si individuano nella breve definizione data dalla Classificazione delle professioni edita dall’Istat, che individua la professione come «… un complesso di attività lavorative concrete, unitarie rispetto all’individuo che le svolge che richiama, a vari livelli, statuti, conoscenze, competenze, identità e sistemi di relazione propri» 2 sostenendo, qualche pagina prima, che identificare una professione dal punto di vista della
classificazione significa, in accordo con la ISCO ’88 3, collocarla rispetto al criterio «…
della competenza (skill) definito come la capacità di svolgere i compiti di una data professione e visto nella sua duplice dimensione del livello (skill level) e del campo delle
competenze (skill specialization)» 4.
Alla già ricca definizione data da Butera e Failla si aggiungono altre dimensioni quali le attività lavorative concrete, l’aspetto costitutivo dell’identità del soggetto, i sistemi
di relazione connaturati all’esercizio della professione ma anche criteri di misura dei contenuti del lavoro e di individuazione degli ambiti in cui tali misure si esprimono.
Altri ancora costruiscono la definizione procedendo dall’identificazione puntuale di
singole componenti. Per definire una professione, dunque, sarà prima opportuno definire il concetto di lavoro come «… human activity that is goal directed, purposive, or
instrumental and creates value to society. The processes by which humans transform resources into outputs…» poi quello di «… position, a single individual performing a particular set of work activities in a particular location…» e ancora quello di «… job, a collection of individual positions having common work activities in a specific employment
relationship…» per poi definire una professione come «… a collection of individual jobs
having similar work activities…» 5.
In quest’ultima logica il concetto di professione viene chiaramente espresso per composizione di oggetti che a loro volta risultano composti, anch’essi da definire, e pare
estendersi oltre il mercato del lavoro superando il confine imposto dal criterio della retribuzione, non sempre espresso e pur tuttavia implicito nelle altre definizioni citate.
Qualunque sia il punto di vista con cui la si guardi, dunque, la professione si presenta sempre come un oggetto multidimensionale, che può essere definito richiamando o alludendo a questa o a quella componente che va scomposta e definita a sua volta.
La sua definizione richiama sia le attività concrete di lavoro che vi sono connesse sia le
caratteristiche soggettive di chi la svolge, rimandando continuamente le une alle altre.
Il punto è se definizioni così complesse possano andare oltre il loro carattere stipulativo e dar luogo a modelli operativi che descrivano, raccolgano e misurino le compo-
2 Scarnera, C. (a cura di), Classificazione delle Professioni, Istat, Metodi e Norme – n. 12, 2001, p. 16.
3 International Labour Office, ISCO-88. International Standard Classification of Occupation, I.L.O. Geneva, 1990.
4 Scarnera, C. (a cura di), Classificazione delle Professioni, cit. a p. 8.
5 Kochan, Thomas, A., Barley, Stephen, R., Mavor Anne, S., The Changing Nature of Work. Implications
for Occupational Analisys. National Research Council, National Academy Press, Washington, D.C., 1999.
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nenti individuate in uno strumento di analisi completo in grado di fornire le risposte
cercate.
La più che cinquantenaria letteratura in materia di job analysis di fatto non ha mai
affrontato il problema da un punto di vista così generale e complessivo.
Le numerosissime e pregevoli ricerche disponibili, infatti, pur nella varietà dei loro
obiettivi, si sono occupate e si occupano dell’analisi di aspetti particolari, di segmenti
del concetto di professione cui fanno riferimento, producendo di certo risultati significativi e di grande importanza per la ricerca scientifica, ma senza porsi il problema di implementare un modello completo di rappresentazione della professione: porre mano a
questo problema, d’altronde, non ha mai costituito e non costituisce l’obiettivo centrale di questo tipo di ricerche.
Il che non significa che un modello di rappresentazione completo non sia mai stato
prodotto, né, tantomeno, che non sia possibile produrlo.
Rappresentazioni del genere, infatti, sono individuabili nei tre più importanti e significativi dizionari delle professioni finora realizzati: si tratterà di esaminarli e di verificare quale delle tre risulti più adeguata in un sistema in grado di fornire informazioni
utili alla progettazione formativa.
■
1. Il Dictionary of Occupational Titles (DOT)
Programmato fra gli interventi individuati dal Wagner-Peyser Act (1933)
per far fronte alla grande crisi del 1929, il DOT viene pubblicato per la prima volta nel
1939, a curad del Department of Labor degli Stati Uniti, dopo un intenso e sistematico
programma di raccolta di informazioni sulle professioni. Le finalità del DOT nell’intento del legislatore erano quelle di costruire un linguaggio comune per identificare le
professioni circolanti sul mercato del lavoro federale e di fornire uno strumento a supporto delle attività di job-placement dei Public Employment Services.
A partire dalla sua prima edizione, l’uso dello strumento si è esteso ben oltre gli uffici pubblici di collocamento legittimando il Department of Labor ad investire nella ricerca sui modelli di rappresentazione della professione. Sicché le edizioni successive,
pubblicate con cadenza più che decennale, con revisioni intermedie, oltre a modificare
il linguaggio eliminando nomi di professioni non più esistenti o aggiungendone di nuovi, hanno adeguato progressivamente il modello di rappresentazione delle professioni
alle trasformazioni intervenute nei modi di produzione e alle diverse modalità di erogazione della forza lavoro che questi richiedevano 6.
Nella quarta ed ultima edizione, pubblicata nel 1977 e rivista nel 1991, gli autori individuano l’oggetto del DOT – l’occupation – come un’insieme di attività lavorative (job)
con caratteri simili. Sotto quest’aspetto, ogni definizione di professione è, da un lato, il
6 U.S. Department of Labor, Employment and Training Administration, Dictionary of Occupational Titles, U.S. Department of Labor, IV ed. rev. 1991, vol. I, pp. XV-XVI.
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risultato di studi su come le simili ma molteplici attività lavorative che la costituiscono
vengono svolte nelle imprese e, dall’altro, una raccolta composita di informazioni provenienti da fonti diverse: il concetto di occupation, in altri termini, «…refers to this collective description of a number of individual jobs performed, with minor variation, in many
establishments» 7.
Data questa definizione, ciascuna delle circa 12.000 professioni repertoriate è descritta secondo il modello riportato in Figura 1.
■ Figura 1 ■ DOT. Modalità di rappresentazione e di descrizione della professione
Fonte: DOT 1191, p.
XVII,
ns. elaborazione
La struttura della descrizione è sistematicamente definita in sette parti.
La prima parte (Occupational code number) classifica la professione con un codice a
nove digit suddiviso in tre diverse terne.
Le prime tre cifre individuano la professione in una classificazione, in qualche misura raccordabile alla Standard Occupational Classification, che si snoda in nove Categorie a loro volta distinte in Divisioni e queste in Gruppi di professioni, così come riportate nella Tabella 1.
7 Ivi, p. XVII.
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La logica di tale classificazione appare costruita sulla distinzione classica fra lavoro
non manuale (classificato nelle prime tre categorie) e lavoro manuale (dalla quarta alla
nona). In questa distinzione, tuttavia, sembrerebbe che l’attenzione dei ricercatori sia
stata polarizzata più dalle attività che comportano lavoro manuale, per le quali risultano individuati più criteri distintivi per costituire categorie, divisioni e gruppi, e meno
dalle attività che comportano lavoro non manuale e, fra queste, ancor meno quelle che
comportano una qualificazione medio-alta, rappresentate, queste ultime, tutte in un’unica categoria (Professional, Technical and Managerial Occupations).
Già questa prima parte della descrizione, insomma, sembra anticipare uno dei punti deboli del modello di rappresentazione della professione utilizzato dal DOT: al centro del modello sono i caratteri che riescono a distinguere il lavoro manuale; l’altro lavoro, quello non manuale e, fra questo, quello che richiede qualificazione e/o livelli di
istruzione medio-alta per essere svolto, è ricondotto a quei caratteri che, evidentemente, non sono sufficienti a costruire distinzioni altrettanto fini.
■ Tabella 1 ■ DOT. Categorie per numero di divisioni e di gruppi professionali
Categories
Divisions
Groups
16
105
2 - Clerical and Sales Occupations
9
60
3 - Service Occupations
9
62
0/1 - Professional, Technical and Managerial
Occupations
4 - Agricultural, Fishery, Forestry and Related
Occupations
6
30
10
70
9
75
10
72
8 - Structural Work Occupations
7
46
9 - Miscellaneous Occupations
7
43
83
563
5 - Processing Occupations
6 - Machine Trades Occupations
7 - Benchwork Occupations
Total
Fonte: DOT, cit., pp. XXIX-XXXVII, ns. elaborazione
La seconda terna (worker functions code) classifica la professione rispetto alle relazioni che stabilisce con dati, persone e cose (Data, People, Things – D.P.T.) in accordo con
i descrittori riportati nella Tabella 2.
Derivata dall’analisi funzionale del lavoro, la terna di codici descrive come la professione nel suo esercizio elabora i simboli (Data), stabilisce relazioni con le persone
(People) e manipola oggetti tangibili (Things). Si tratta di funzioni connaturate alla professione e alle attività concrete che essa comporta rilevate a partire dall’analisi dei compiti svolti dal lavoratore.
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■ Tabella 2 ■ DOT. Codici e descrizioni delle Worker functions
DATA (4th Digit)
PEOPLE (5th Digit)
THINGS (6th Digit)
0 Synthesizing
0 Mentoring
0 Setting Up
1 Coordinating
1 Negotiating
1 Precision Working
2 Analyzing
2 Instructing
2 Operating-Controlling
3 Compiling
3 Supervising
3 Driving-Operating
4 Computing
4 Diverting
4 Manipulating
5 Copying
5 Persuading
5 Tending
6 Comparing
6 Speaking/Signalling
6 Feeding-Offbearing
7 Serving
7 Handling
8 Taking Instructions-Helping
Fonte: DOT, cit., p. XIX
In questa logica ogni professione è classificata, in modo indipendente, lungo le tre
dimensioni. Ciascun codice su ciascuna dimensione rappresenta anche un punteggio
che misura gerarchia e livello di complessità (la scala dei punteggi è rovesciata pur proseguendo dal complesso al semplice) dell’operazione descritta. Ciascuna professione, in
altri termini, con questa codifica viene sostanzialmente valutata rispetto alla maggiore
o minore semplicità delle operazioni simboliche, relazionali o manipolative necessarie
a svolgere i compiti che le sono attribuiti.
L’ultima terna di codici distingue la professione descritta fra tutte le altre professioni codificate allo stesso modo nelle due terne iniziali, attribuendole un codice progressivo univoco.
La seconda parte della descrizione (Occupational title) apre la sezione denotativa del
dizionario indicando il nome della professione scelto fra quelli più utilizzati nelle imprese in cui quella professione è stata rilevata ed osservata 8.
La possibilità di designare con lo stesso nome professioni diverse viene considerata
dalla terza parte della definizione (Industry designation) che associa, eventualmente, il
nome individuato al settore di attività economica delle imprese in cui quella professione con quel nome è stata ritrovata, mentre la quarta parte rileva nomi ulteriori con cui
la stessa professione può essere denotata (Alternate title).
Con la quinta parte della descrizione riprende l’operazione di connotazione iniziando la descrizione sistematica (Body of definition) dei compiti previsti dalla professione.
8 Il DOT fornisce, in una sezione separata del volume, anche una serie di nomi (Master Titles) che riferiscono di modalità particolari di prestazione dell’attività lavorativa che possono essere generalizzate (Apprentice, Cleaner, Design Engineer, Drafter, Helper, Research Engineer, Supervisor…) e anche un’altra (Terms
Titles) che indicano con uno stesso nome generico più professioni che hanno in comune ben poche caratteristiche (Agriculturist, Author, Brimmer, Brusher…); ivi, pp. XX, 1-11.
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Qui sono prima sintetizzate le attività e le finalità della professione (Lead statement)
fornendo informazioni sulle azioni eseguite, sugli obiettivi, sulle macchine, sugli utensili, sulle attrezzature, sui materiali usati, sui prodotti realizzati o sui servizi forniti ed
anche sulle istruzioni eseguite o sui giudizi elaborati.
Vengono poi descritti analiticamente i compiti connessi con tali attività (Tasks element
statement), rilevati ulteriori compiti (May items) che possono essere eseguiti anche in collaborazione con un’altra professione con cui si entra in relazione nel processo produttivo
(Unbracketed reference title) o condivisi con eventuali altre professioni (Bracketed title).
La sesta parte (Undefinited related title) individua, qualora fosse necessario, sotto quali condizioni quella stessa professione può assumere un altro nome.
La settima ed ultima parte, infine (Definition Trailer), prosegue nella connotazione
descrivendo la professione secondo cinque ulteriori dimensioni.
La prima (Guide for Occupational Exploration, GOE) codifica la professione secondo gli interessi, le attitudini, i tratti della personalità e le capacità che in genere caratterizzano il lavoratore che la svolge.
Si tratta di una classificazione che può essere raccordata alle Holland’s Occupational
Categories 9 e che di queste riprende l’idea di base secondo cui la stabilità del lavoro (ma
anche dei percorsi di istruzione), il successo e la soddisfazione sono legati alla congruenza
fra le personalità individuali e l’ambiente di lavoro (o educativo) in cui esse si trovano
ad operare.
Già comparsa nei suoi primi rudimenti a partire dall’edizione del 1944 (la Entry Occupational Classification che codificava gruppi di professioni in termini di tratti della
personalità richiesti al lavoratore) e perfezionata nelle edizioni successive, ha sin dagli
inizi costituito, per i Public Employment Services e per i consulenti in genere, un potente strumento di orientamento per i giovani alla ricerca del primo lavoro, ovvero per coloro che non disponevano di informazioni sufficienti sul tipo di professione che erano
in grado di svolgere 10.
Nel GOE ciascuna professione è classificata su tre coppie di codici (Tabella 3).
La prima individua in quale delle dodici aree predefinite è possibile collocare gli interessi e gli altri caratteri dei lavoratori che la svolgono.
La seconda disaggrega tali aree in gruppi di interessi più specifici (work groups) ricorrendo ai criteri di capacità (livello di istruzione, attitudini fisiche, conoscenza specifica delle attività lavorative) e di adattabilità (tolleranza delle situazioni/condizioni lavorative) necessarie per svolgere la professione.
L’ultima, infine, disaggrega ulteriormente ciascun gruppo in sottogruppi più dettagliati e più omogenei al loro interno, individuando set ristretti di professioni coerenti
con interessi, attitudini, caratteri particolari della personalità di chi sta cercando un lavoro e verso cui quest’ultimo potrebbe essere orientato.
9 Holland, J.L., Making Vocational Choices: A Theory of Careers. Englewood Cliffs, N.J., Prentice-Hall,
1973.
10 U.S. Department of Labor, Employment and Training Administration, Guide for Occupational Exploration, U.S. Department of Labor, 1979, p. 323.
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In una: l’obiettivo dichiarato del GOE è stato quello di fornire all’Employment Service System uno strumento «to help people see themselves realistically in regard to their ability to meet job requirements» 11.
■ Tabella 3 ■ GOE. Aree di interesse secondo le categorie professionali di Holland e numero di gruppi
e sottogruppi
Holland
Occupational
Categories
Artistic
Investigative
Realistic
Conventional
Enterprising
Social
Occupational Interest Areas
Groups
Subgroups
01 Artistic: Interest in creative expression
of feelings or ideas
8
22
02 Scientific: Interest in discovering, collecting
and analyzing information about the
natural word and in applying scientific
research findings in medicine, life sciences,
an natural sciences
4
12
4
15
2
6
12
93
03 Plants and Animals: Interest in activities
involving plants and animals, usually in an
outdoor setting
04 Protective: Interest in the use of authority
to protect people and property
05 Mechanical: Interest in applying mechanical
principles to practical situations, using
machines, handtools or tecniques
06 Industrial: Interest in repetitive, concrete,
organized activities in a factory setting
4
79
07 Business Detail: Interest in organized clear
defined activities requiring accuracy an
attention to detail, primarily in an office
setting
7
28
08 Selling: Interest in bringing others to a point
of view through personal persuasion, using
sales and promotion techniques
3
13
5
19
3
8
12
48
2
4
66
347
09 Accomodation: Interest in catering to the
wishes of others, usually on one-to-one basis
10 Humanitarian: Interest in helping others
with their mental, spiritual, social, physical,
or vocational needs
11 Leading-Influencing: Interest in leading and
influencing others through activities involving
high-level verbal or numerical abilities
12 Physical Performing: Interest in physical
activities performed before an audience
Total
Fonte: U.S. Department of Labor, Employment and Training Administration, Guide for Occupational Exploration, 1979,
pp.8-12, 324-325, ns. elaborazione
11 Ivi, p. 1, nostra traduzione.
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Segue, poi, l’indicazione del livello di forza fisica (Physical demands strenght rating,
Strength) necessario all’esecuzione dei compiti previsti dalla professione 12 e il grado di
istruzione, acquisito attraverso percorsi formali o informali, necessario allo svolgimento della professione (General Educational Development, GED) rilevato, quest’ultimo, secondo le tre aree cognitive e i livelli descritti dalla Tabella 2.
Livelli e componenti della conoscenza matematica e linguistica risultano derivati dai
curricula erogati dai diversi ordini di scuola sul territorio statunitense: entrambe le conoscenze, a loro volta, intervengono ad individuare il livello di complessità del ragionamento.
12 Così definiti:
DOT. Physical Demands - Strength Rating (Strength)
Code
Type
Description
S
Sedentary Work
Exerting up to 10 pounds of force occasionally (Occasionally: activity
or condition exists up to 1/3 of the time) and/or a negligible amount
of force frequently (Frequently: activity or condition exists from 1/3 to
2/3 of the time) to lift, carry, push, pull, or otherwise move objects,
including the human body. Sedentary work involves sitting most of the
time, but may involve walking or standing for brief periods of time.
Jobs are sedentary if walking and standing are required only occasionally and all other sedentary criteria are met.
L
Light Work
Exerting up to 20 pounds of force occasionally, and/or up to 10 pounds
of force frequently, and/or a negligible amount of force constantly
(Constantly: activity or condition exists 2/3 or more of the time) to
move objects. Physical demand requirements are in excess of those for
Sedentary Work. Even though the weight lifted may be only a negligible amount, a job should be rated Light Work: (1) when it requires
walking or standing to a significant degree; or (2) when it requires sitting most of the time but entails pushing and/or pulling of arm or leg
controls; and/or (3) when the job requires working at a production
rate pace entailing the constant pushing and/or pulling of materials
even though the weight of those materials is negligible. NOTE: The
constant stress and strain of maintaining a production rate pace, especially in an industrial setting, can be and is physically demanding of a
worker even though the amount of force exerted is negligible.
M
Medium Work
Exerting 20 to 50 pounds of force occasionally, and/or 10 to 25 pounds
of force frequently, and/or greater than negligible up to 10 pounds of
force constantly to move objects. Physical Demand requirements are in
excess of those for Light Work.
H
Heavy Work
Exerting 50 to 100 pounds of force occasionally, and/or 25 to 50
pounds of force frequently, and/or 10 to 20 pounds of force constantly
to move objects. Physical Demand requirements are in excess of those
for Medium Work.
V
Very Heavy Work
Exerting in excess of 100 pounds of force occasionally, and/or in excess
of 50 pounds of force frequently, and/or in excess of 20 pounds of
force constantly to move objects. Physical Demand requirements are in
excess of those for Heavy Work.
Fonte: DOT, cit, vol. II, pp. 1012-1013, ns. elaborazione.
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Fonte: DOT … cit., vol. II, pp. 1010-1011, ns. ela-
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Algebra: Deal with system of real numbers; linear, quadratic, rational, expo-nential, logarithmic, angle arid circular functions, and inverse
functions; related algebraic solution of equations and inequalities: limits and continuity, and
pro-bability and statistical inference; Geometry:
Deductive axiomatic geometry, plane arid solid;
and rectangular coordinates; Shop Math: Practical application of fractions, percentages, ratio
and proportion, mesuration, logarithms, slide
rule, practical algebra, geometric construction,
arid essentials of trigonometry.
Reading: Read novels, poems, newspapers,
periodicals, journals, manuals, dictionaries,
thesauruses, and encyclopedias; Writing: Prepare business letters, expositions, summaries,
and reports, using prescribed format arid conforming to all rules of punctuation, grammar,
diction, and style; Speaking: Participate in
panel discussions, dramatizations, and debates.
Speak extemporaneously on a variety of subjects.
Same as Level 6.
Reading: Read literature, hook, and play
reviews, Scientific and technical journals,
abstracts, financial reports, and legal documents; Writing: Write novels, plays, editorials,
journals, speeches, manuals, critiques, poetry,
and songs; Speaking: Conversant in the theory, principles, and methods of effective arid
persuasive speaking, voice arid diction, phonetics, arid discussion and debate.
Advanced calculus: Work with limits, continuity’, real number systems, mean value theorems, and implicit functions theorems; Modern
Algebra: Apply fundamental concepts of theories of groups, rings, and fields. Work with differential equations, linear algebra, infinite
series, advanced operations methods, and
functions of real and complex variables; Statistics: Work with mathematical statistics, mathematical probability and applications, experimental design, statistical inference, and econometrics.
Algebra: Work with exponents and logarithms,
linear equations, quadratic equations, mathematical induction and binomial theorem, and
permutations; Calculus: Apply concepts of analytic geometry, differentiations and integration
of algebric functions with applications; Statistics: Apply mathematical operations to frequency distributions, reliability and validity of
tests, normal curve, analysis of variance, correlation techniques, chi-square application and
sampling theory, and factor analysis.
Language
Development (L)
Mathematical
Development (M)
12:32
Apply principles of rational systems to
solve practical problems and deal with
a variety of concrete variables in situations where only limited standardization exists. Interpret a variety of instructions furnished in written, oral diagrammatic, or schedule form.
Apply principles of logical or scientific
thinking to define problems, collect
data, establish facts, and draw valid
conclusions. Interpret an extensive variety of technical instructions in mathematical or diagrammatic form. Deal
with several abstract and concrete variables.
Apply principles of logical or scientific
thinking to a wide range of intellectual
and practical problems. Deal with nonverbal symbolism (formulas, scientific
equa-tions, graphs, musical notes, etc.)
in its most difficult phases. Deal with a
variety of abstract and concrete variables. Apprehend the most abstruse
classes of concepts.
Reasoning
Development (R)
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■ Tabella 4 ■ DOT. GENERAL EDUCATIONAL DEVELOPMENT (GED)
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Add and subtract two digit numbers. Multiply
and divide 10’s and 100’s by 2, 3, 4, 5. Perform
the four basic arithmetic operations with coins
as part of a dollar. Perform operations with
units such as cup, pint, and quart; inch, foot,
and yard; and ounce and pound.
Add, subtract, multiply, and divide all units of
measure. Perform the four operations with
like common and decimal fractions. Compute
ratio, rate, and percent. Draw and interpret
bar graphs. Perform arithmetic operations
involving all American monetary units.
Compute discount, interest, profit and loss;
commission, markup, and selling price; ratio
and proportion, and percentage. Calculate
surfaces, volumes, weights, and measures;
Algebra: Calculate variables and formulas,
monomials and polynomials; ratio and proportion variables; and square roots and radicals; Geometry: Calculate plane and solid figures, circumference, area, and volume. Understand kinds of angles, and properties of pairs
of angles.
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Reading: Recognize meaning of 2,500 (two –
or three – syllable) words. Read at rate of 95120 words per minute. Compare similarities
and differences between words and between
series of numbers. Writing: Print simple sentences containing subject, verb, and object,
and series of numbers, names, and addresses;
Speaking: Speak simple sentences, using normal word order. and present and past tenses.
Reading: Passive vocabulary of 5,000-6,000
words. Read at rate of 190-215 words per
minute. Read adventure stories and comic
books, looking up unfamiliar words in dictionary for meaning, spelling, and pronunciation. Read instructions for assembling model
cars and airplanes; Writing: Write compound
and complex sentences, using cursive style,
proper end punctuation, and employing
adjectives and adverbs; Speaking: Speak
clearly and distinctly with appropriate pauses
and emphasis, correct pronunciation, variations in word order, using present, perfect,
and future tenses.
Reading: Read a variety of novels, magazines,
atlases, and encyclopedias. Read safety rules,
instructions in the use and maintenance of
shop tools and equipment, and methods and
procedures in mechanical drawing and layout
work; Writing: Write reports and essays with
proper format, punctuation, spelling, and
grammar, using all parts of speech; Speaking:
Speak before an audience with poise, voice
control, and confidence, using correct English
and well-modulated voice.
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Apply commonsense understanding to
carry out simple one-or two-step
instructions. Deal with standardized situations with occasional or no variables
in or from these situations encountered on the job.
Apply commonsense understanding to
carry out detailed but uninvolved written or oral instructions. Deal with problems involving a few concrete variables
in or from standardized situations.
2
1
Apply commonsense understanding to
carry out instructions furnished in written, oral, or diagrammatic form. Deal
with problems involving several concrete variables in or front standardized
situations.
3
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L’informazione successiva riguarda la formazione professionale specifica richiesta (Specific Vocational Preparation, SVP) espressa come l’ammontare di tempo impiegato da un
lavoratore tipo per apprendere le tecniche, acquisire le informazioni e sviluppare le capacità necessarie per una performance media in una specifica situazione di lavoro 13. Si
tratta, in sostanza, dell’addestramento alla professione che può essere acquisito a scuola,
sul lavoro, in ambienti istituzionali o professionali. Esclude, tuttavia, il tempo necessario ad un lavoratore già qualificato per orientarsi e per prepararsi a differenti condizioni
di svolgimento dello stesso o di un altro lavoro. L’addestramento così considerato può essere conseguito attraverso percorsi di formazione professionale, l’apprendistato, la formazione per affiancamento o corsi di formazione organizzati in impresa dal datore di lavoro ovvero attraverso l’esperienza acquisita in altre professioni svolte in precedenza.
L’ultimo dato fornito riguarda l’anno a cui risale l’ultimo aggiornamento delle informazioni sulla professione (Date of Last Update, DLU).
A partire dalla sua ultima edizione le riflessioni critiche sul modello di rappresentazione della professione incorporata dal DOT, che in precedenza non erano mancate e avevano contribuito al suo miglioramento ed adattamento ai cambiamenti intervenuti nel sistema produttivo, si sono fatte più radicali mettendo in discussione sia le modalità e i tempi
di raccolta dei dati sia il concetto stesso di professione su cui quel modello era costruito 14.
Rispetto alle modalità e ai tempi di raccolta dei dati si è fatto notare che far osservare le professioni nel loro svolgimento dai ricercatori dei centri specializzati del Public
Employment Service dislocati sul territorio federale comportava costi troppo onerosi e
tempi di raccolta e di elaborazione dei dati troppo lunghi e finiva per produrre un’informazione che quando veniva rilasciata risultava già obsoleta e di molto superata dalle rapidità delle trasformazioni intervenute nel sistema socioeconomico.
A questo si aggiungeva che le stesse tecniche adottate per la selezione e il campionamento delle imprese (e delle stesse professioni) presso cui le professioni venivano osservate non erano in grado di garantire un’informazione significativa.
Dal punto di vista dei contenuti, poi, si segnalava che rappresentare la professione attraverso i compiti che le erano attribuiti e la sequenza di operazioni connesse risultava
troppo appiattita su una concezione tayloristica del lavoro, ormai superata da tempo, che
non riusciva più a cogliere l’impatto della rivoluzione tecnologica sul modo di produzione e sulle stesse modalità di svolgimento delle professioni e di erogazione del lavoro.
13 Così individuato: 1 «Short demonstration only»; 2 «Anything beyond short demonstration up to and
including 1 month»; 3 «Over 1 month up to and including 3 months»; 4 »Over 3 months up to and including 6 months»; 5 «Over 6 months up to and including 1 year»; 6 «Over 1 year up to and including
2 years»; 7 «Over 2 years up to and including 4 years»; 8 «Over 4 years up to and including 10 years»;
9 «Over 10 years», DOT, cit., vol. II, p. 1009.
14 Si vedano per tutti Miller, A.R., Treiman, D.J., Caine, P.S., Roos, P.A. (eds.), Work, Jobs and Occupations.
A Critical review of the Dictionary of Occupational Titles, Committee on Occupational Classification and
Analisys, National Research Council, National Academy Press, Washington, D.C., 1980; Advisory Panel
for the Dictionary of Occupational Titles (APDOT), The New DOT: A Database of Occupational Titles
for the Twenty-First Century, U.S. Department of Labor, Employment and Training Administration, Washington, D.C., 1993; National Research Council, The Changing Nature of Work, cit.
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Quella rappresentazione, poi, non era pù in grado di incorporare i risultati cui era
perventa la ricerca in materia che da tempo dava per acquisita, nell’analisi della professione, la centralità del concetto di competenza e del suo intreccio con le caratteristiche
individuali del lavoratore.
Gli stessi utenti finali del DOT, che si erano estesi ben oltre i Public Employment Services, mostravano esigenze diverse e più centrate su un’informazione che segmentasse e
misurasse i contenuti della professione centrandoli non solo sui compiti ma anche sulle capacità che chi la svolgeva doveva avere per eseguirli bene.
Dati del genere sarebbero stati utili non solo per orientare e fornire servizi di sostegno all’incontro di domanda e offerta di lavoro, la principale finalità per cui il DOT
era stato realizzato, ma anche strumenti adeguati per sostenere la pubblica amministrazione nella definizione di specifici programmi di formazione e di servizio all’impiego, consentire ai lavoratori di orientarsi meglio nella ricerca mettendo a frutto interessi e capacità individuali e di colmare, con una formazione mirata, eventuali skill
gap che riducevano le possibilità di collocamento, di fornire alle imprese, ai consulenti, ai formatori strumenti di misurazione delle performance standard delle professioni, di rilevazione dei deficit di formazione, di definizione dei criteri di selezione del
personale.
■
2. Il Répertoire Opérationnel des Métiers et des
Emplois (ROME)
Realizzato a cura dell’Agence Nationale pour l’Emploi (A.N.P.E.) a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, a seguito del dibattito sulle modalità di rappresentazione delle professioni e sulle sue ricadute sul sistema della formazione professionale 15, ha visto più edizioni, abbastanza distanti nel tempo, che pur avendo progressivamente affinato e aggiornato i linguaggi e le strutture classificatorie utilizzate hanno
mantenuto sostanzialmente inalterate le modalità di rappresentazione e di descrizione
della professione e i concetti analitici da cui erano state derivate.
Per gli autori del ROME identificare il concetto di professione con la sola qualifica
professionale e utilizzare questa per facilitare l’incontro fra domanda e offerta di lavoro
significava disporre di uno strumento che confondeva il nominalismo della descrizione
con i contenuti della professione.
I modelli di analisi fondati su quest’approccio avevano definito solo elenchi di qualifiche professionali rigidi e settoriali che già dagli anni Settanta si erano mostrati del
tutto inadeguati a cogliere e incorporare i cambiamenti dei processi produttivi e l’impatto della diffusione dell’innovazione tecnologica.
15 Alimentato dalla ricerca del Centre d’études e de recherches sur les qualifications (C.E.RE.Q.). Per averne
un’idea si veda l’anticipatorio C.E.RE.Q., L’analyse des qualifications et les classifications d’emplois, Bibliotéque du Centre d’études et de recherches sur les qualifications, Formation Qualification Emploi,
volume n. 5, septembre 1973, La Documentation Française, 1974.
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Questi fenomeni rendevano rapidamente obsolete le qualifiche professionali e le professioni concrete a cui davano luogo nel sistema produttivo, ponendo su basi nuove il
problema dei loro contenuti.
Il progetto del ROME diventa così quello di tentare una ridefinizione del concetto
di professione in grado di cogliere le competenze dei lavoratori (anche e soprattutto quelle acquisite fuori dei percorsi formali di istruzione e di formazione), di identificare i bisogni formativi in relazione alla domanda proveniente dal sistema economico e alle potenzialità espresse dall’offerta, di identificare percorsi di mobilità interprofessionali, di
sostenere l’incontro fra domanda e offerta di lavoro, di individuare percorsi di sviluppo
delle carriere e/o di riconversione professionale.
In questa logica il ROME sposta l’asse analitico sulla professionalità del lavoratore,
sulla sua capacità di saper fare (savoir faire) e di saper stare in situazione (savoir être), rendendo centrale la questione della formazione, del riconoscimento e della legittimazione dei saperi e delle competenze acquisite, della loro trasferibilità, degli spazi professionali in cui quelle competenze e quei saperi possono essere spesi.
La stessa definizione dell’oggetto dell’analisi, che solo per comodità qui continuiamo a chiamare professione, risente di questo spostamento: una professione non può essere individuata da un insieme di attività lavorative simili ma dai saperi e dalle competenze necessarie al loro svolgimento.
Il campo della definizione, così, si estende ad un aggregato più ampio poiché uno stesso sapere, una stessa competenza può alimentare più insiemi di attività lavorative diversi tra
loro ed è questa estensione e le aggregazioni a cui dà luogo a rendere possibile «… faciliter
les mobilités professionnelles et repérer les proximités entre les emplois les plus proches» 16.
In altri termini, la definizione di professione del ROME, che d’ora in avanti chiameremo più propriamente Emplois/Métier (E/M), contiene più professioni definite rispetto alle attività lavorative. Queste ultime, tuttavia, non scompaiono dall’orizzonte
cui il ROME fa riferimento ma diventano l’informazione di dettaglio dell’Emplois/Métier, i nomi delle professioni (appellations) concretamente svolte sul mercato del lavoro
che quell’E/M contiene e descrive.
Nella sua ultima edizione il ROME è pubblicato in quattro diversi volumi due dei
quali costituiscono il dizionario degli E/M – uno raccoglie gli E/M tecnici e industriali 17,
l’altro quelli terziari 18 –, un’altro volume individua nello spazio professionale le aree, le
distanze e le condizioni di mobilità fra E/M diversi 19, l’ultimo, infine, contiene l’indice
alfabetico dei nomi di professioni (appellations) contenuti in ciascun E/M repertoriato 20.
16 Agence Nationale pour l’emploi, ROME, Répertoire Opérationnel des Métiers et des Emplois. Dictionnaire des Emplois/Mètiers Techiniques et Industriels, La documentation Française, 1999, p. 4.
17 Ivi.
18 Agence Nationale pour l’emploi, ROME, Répertoire Opérationnel des Métiers et des Emplois. Dictionnaire des Emplois/Mètiers Tertiaires, La documentation Française, 1999.
19 Agence Nationale pour l’emploi, ROME, Répertoire Opérationnel des Métiers et des Emplois. Les Aires de
Mobilité Professionnelle, La documentation Française, 1999.
20 Agence Nationale pour l’emploi, ROME, Répertoire Opérationnel des Métiers et des Emplois. Index Alphabétique des Appellations, La documentation Française, 1999.
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I due volumi del dizionario descrivono ciascuno dei 466 Emplois/Métiers secondo
una scheda (Fiche emplois/métier) strutturata in quindici aree di informazione che nel
complesso forniscono i dati costitutivi e definitori dell’E/M considerato.
La Figura 2 riporta un esempio di come nel dizionario una qualsiasi delle fiche rappresenta ciascuno degli E/M considerati.
■ Figura 2 ■ ROME. Modalità di rappresentazione di un E/M
Fonte: ROME. Dictionnaire des Emplois/Mètiers Techiniques et Industriels, p. 164
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La scheda si apre con un codice a cinque cifre (1) che identifica l’E/M nella classificazione a tre livelli adottata dal ROME (Tabella 5).
■ Tabella 5 ■ ROME. Categorie professionali per numero di domini e di emplois/métiers
Catégories professionnelles
Domaines
professionnelles
Emplois/
Métiers
Personnel des services aux personnes et
à la collectivité
3
18
Personnel des services administratifs
et commerciaux
2
26
13
Personnel de l’industrie hôtelière
3
21
14
Personnel de la distribution et de la vente
3
27
21
Professionnels des arts et du spectacle
2
24
22
Professionnels de la formation initiale
et de la formation continue
2
14
Professionnels de l’intervention sociale,
du dévelopement local et de l’emploi
2
10
Professionnels de la santé
(professions paramédicales)
3
19
31
Professionnels de la santé (professions médicales)
2
8
32
Cadres administratifs et professionelles
de l’information et de la communication
3
31
Codice Tertiaires
11
12
23
24
33
Cadres commerciaux
3
27
Totale
28
225
Techniques et industrielles
41
Personnel de l’agriculture et de la pêche
2
18
42
Personnel du bâtiment, des travaux publics
et de l’extraction
2
17
43
Personnel du transport et de la logistique
4
24
44
Personnel de la mécanique, électricité et
de l’électronique
3
32
45
Personnel des industries de process
4
20
46
Personnel autres industries (matériaux souples,
industries graphiques, ameublement et bois)
3
29
47
Personnel de type artisanal
4
33
51
Maîtrise industrielle
2
8
52
Techniciens industriels
3
29
53
Cadres techniques de l’industrie
3
10
61
Agents de maîtrise, techniciens et cadres
techniques hors industrie
3
21
Totale
33
241
Totale
61
466
Fonte: ns. elaborazioni su dati ROME, cit.
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Le prime due cifre del codice costituiscono il primo dei tre livelli classificatori (Catégorie professionnelle), definito in modo da rendere possibili raccordi con la classificazione delle professioni (PCS) 21 adottata dall’Insee, l’istituto statistico francese.
Nel complesso gli E/M risultano classificati in ventidue categorie professionali equamente distribuite nei due gruppi delle categorie terziarie e tecnico-industriali. Tale distinzione va oltre il senso comunemente attribuito ai due termini e intende cogliere e
distinguere gli E/M che producono servizi, anche all’interno di imprese industriali o
agricole (nel settore organizzativo, informatico, amministrativo) da quelli più propriamente attivi nella produzione di beni materiali.
La terza cifra indica il dominio professionale (Domaine professionnel) in cui possono
essere collocati E/M che risultano omogenei rispetto a funzioni produttive o alla prevalenza di particolari tipologie organizzative del lavoro o di tecnologie utilizzate o, anche,
rispetto al settore di attività produttiva.
Le ultime due cifre, infine, distinguono prima una sorta di aree omogenee all’interno del dominio (quarta cifra) 22 per poi codificare l’E/M definito ed individuato nella
scheda (quinta cifra).
Al codice segue l’indicazione del nome dell’E/M (Intitulé de l’Emplois/Metier, 2), i nomi
delle professioni comprese in quell’E/M 23 (Appellations principales, 3), delle relative specializzazioni (Appellations spécifiques, 4), degli E/M più prossimi in termini di competenze e di
attività volte (VOIR AUSSI, 5) e di quelli con cui non vanno confusi (Ne pas confondre, 6).
La scheda prosegue con una sintesi della missione, dei compiti e delle principali attività lavorative legati all’E/M (Définition, 7), con l’indicazione delle condizioni ambientali,
dei contesti di lavoro e delle dimensioni organizzative in cui generalmente si svolge (Conditions génerales d’exercice, 8) e con l’indicazione del livello di istruzione o di formazione 24,
dell’esperienza, delle specializzazioni richiesti per accedervi (Formation et expérience, 9).
21 INSEE, Nomenclature des professions et catégories socioprofessionnelles, Nomenclatures et Codes, Insee, II
ed., 1994.
22 In realtà i curatori del ROME semplicemente alludono ad eventuali criteri di costruzione delle categorie e dei domini che rimangono definiti nominalisticamente. La suddivisione interna al dominio, poi, la
si può certamente rilevare nella sequenza classificatoria ma non ne viene dichiarata l’esistenza né si allude ad una sua eventuale logica di definizione. Cfr. i due «Dictionnaire», cit., pp. 2-5.
23 Si tratta complessivamente di circa diecimila nomi classificati negli E/M e riportati nel volume «Index
Alphabétique des Appellation», cit.
24 Così individuati:
Livelli di istruzione e di formazione
Niveau
I
II
III
IV
V
Formation de niveau supérieur à celui de la maîtrise
Formation d’un niveau comparable à celui de la licence ou de la maîtrise
Formation de niveau du Brevet de Technicien Supérieur (BTS) ou de diplôme des Instituts Universitaires de
Technologie et de fin de premier cycle de l’Enseignement Supérieur
Qualification d’un niveau équivalent à celui du baccalauréat technique ou de technicien et du brevet de technicien
Formation équivalent à celui du brevet d’études professionnelles (BEP) ou du certificat d’aptitude professionnelle
(CAP) et par assimilation du certificat de formation professionnelle des adultes (CFPA) 1er degré
Fonte: ns.elaborazioni su dati www.esat.terre.defense.gouv.fr/
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La descrizione dell’E/M si chiude con due ulteriori tipologie di informazioni.
La prima riguarda le competenze comuni alle diverse professioni comprese nell’E/M,
di quell’insieme, cioè, di «… savoirs, savoirs-faire et savoir être qui sont manifestés dans
l’exercice d’un emploi/metiér, dans un situation d’activités donnée» 25.
Tali competenze sono distinte ed individuate nelle Compétence tecniques de base (10),
che di fatto non vengono descritte in termini di saperi ma declinate come qualcosa di
necessario per svolgere le attività lavorative di base comuni all’E/M, uniche ad essere riportate; nelle Competénce associées (11) non indispensabili all’esercizio dell’E/M ma opportune e vantaggiose se si vuol svolgere bene il lavoro e procedere rapidamente nella
carriera; e, infine, nelle Capacités liées à l’emplois (12) che rilevano sia le capacità relazionali richieste dall’E/M, sia particolari competenze cognitive, sociali o, anche, capacità fisiche connesse al suo esercizio.
La seconda tipologia chiude la scheda fornendo informazioni sulla variabilità specifica dell’E/M sul mercato del lavoro, in termini di attività lavorative, di savoir-faire specifici, di specializzazioni, di tecnologie utilizzate, di materiali lavorati, di responsabilità
assunte (Activités spécifiques, 13) che si concretizzano nei diversi nomi di professioni concrete aggregate nell’E/M, ma anche in termini di luoghi e di strutture in cui l’E/M viene esercitato, di differenze legate alla localizzazione, alle dimensioni e al settore di attività dell’impresa in cui viene esercitato (Lieu d’exercice de l’activité, 14) e, infine, in termini di modi, tempi e condizioni del suo esercizio (Condition de travail, 15).
In questo formato l’informazione sugli E/M fornita dal ROME appare piuttosto scarna e poco efficace rispetto agli obiettivi e alle premesse.
Di fatto, però, questa è solo una parte dell’informazione disponibile, forse perfino la
più accessoria, poiché quella più consistente, quella su cui risultano maggiori investimenti analitici è presentata nel volume che rileva gli spazi della mobilità professionale
di ciascuno dei 466 E/M analizzati dal ROME.
Il problema affrontato dal volume è ben posto sin dall’inizio: «… comment dire qu’un
emploi/métier est proche d’un autre emploi/métier alors qu’ils ne se ressemblent apparemment pas: ils ne sont pas dans le même secteur, les activités semblent différentes, ils
ne s’appuient pas sur les mêmes diplômes, ils ne sont parfois pas du même niveau hiérarchique…» 26.
La Figura 3 mostra come la soluzione individuata sia rappresentata in modo semplice ed intuitivo. Al centro delle aree concentriche è posto l’E/M di riferimento (E/M
source) e, via via, ai margini quelli prossimi in termini di competenze cognitive richieste (E/M cible): la lunghezza della freccia indica la relazione di distanza, sempre in termini di competenze cognitive, fra i due E/M.
25 ROME, Dictionnaire …, cit., p. 7.
26 ROME, Les Aires de Mobilité Professionnelle, cit., p. 7.
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■ Figura 3 ■ ROME.. La mobilità professionale fra E/M
Fonte: ROME. Les Aires de Mobilité Professionnelle, p. 390
Risulta immediatamente evidente quanto lo strumento sia rilevante per l’individuazione di percorsi di mobilità professionale che in qualche modo mantengano, conservino e valorizzino le competenze e le capacità dell’E/M di partenza riducendo i costi individuali e di impresa della mobilità.
In altri termini, le contiguità fra un’E/M e l’altro sono rilevate in modo da massimizzare le possibilità di successo del lavoratore in nuove collocazioni. In uno degli E/M
individuati come prossimo (E/M cible) il lavoratore si troverà a fare cose che già in varia misura sapeva fare: sicché nel diagramma la lunghezza della freccia indica di certo la
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distanza fra le competenze dei due E/M individuati come simili fra loro ma anche gli
eventuali adattamenti – e, dunque, i costi sia del lavoratore che dell’organizzazione –
per passare dall’uno all’altro.
In ogni caso il lavoratore non si troverà a cambiare brutalmente logica lavorativa e
l’organizzazione potrà individuare percorsi di mobilità identificando «… chez des candidats une ‘configuraton de competence’ déjà mobilisées dans une situation précedante et donc transférables», ovvero potrà individuare quali interventi formativi effettuare,
su quale degli elementi che consentono la mobilità sia opportuno intervenire per garantirla nel modo più efficace 27.
Ma è il modello concettuale su cui si fonda la definizione di tali aree a risultare di
particolare interesse e a dare senso e corpo alle apparentemente scarne informazioni riportate nei due Dictionnaire.
Il problema da risolvere è come individuare quelle competenze spese in un determinato E/M che siano utilizzabili in un’altro, che risultino cioè trasversali ai due e che garantiscano un rapido ed efficace adattamento del lavoratore alle condizioni ed ai requisiti del nuovo lavoro.
A questo fine, i ricercatori dell’ANPE hanno ritenuto poco efficaci quei metodi di
analisi del lavoro centrati sull’individuazione puntuale delle attività lavorative e dei modi di operare di ciascuna professione e sull’identificazione delle conoscenze operative e
relazionali lì mobilitate.
Queste sono sempre specifiche di ciascun dominio professionale e non consentono
di rilevare quelle competenze trasversali e trasferibili che potrebbero essere presenti perfino in E/M appartenenti a domini professionali differenti 28.
Trasferibilità e trasversalità, secondo i ricercatori ANPE, sono caratteristiche attribuibili a particolari competenze, quelle cognitive, che sono identificabili nelle pratiche
mentali, nelle strategie di risoluzione dei problemi, nel modo in cui viene trattata l’informazione generata sul lavoro, sono ciò che «… guident de maniére consciente ou non
consciente l’action ‘dans la tête des personnes’ au moment où elles l’exercent» 29.
Si tratta, insomma, di quelle capacità che guidano l’agire lavorativo, per loro natura
non sono associabili a tipi particolari di conoscenze, identificabili univocamente e generalizzabili a più E/M e la loro trasversalità può essere rilevata solo cogliendo il modo
in cui ciascun E/M tratta i problemi connessi con il lavoro, il modo in cui si organizza
nel suo esercizio.
Sono, dunque, i criteri di costruzione e di definizione del concetto di competenza
cognitiva ad essere generalizzabili e sono le modalità ed i valori che ciascun E/M assume su quei criteri – e sulle loro combinazioni – ad individuare quella particolare competenza cognitiva come comune, trasferibile e trasversale. Sicché cogliere la contiguità
fra E/M è il risultato di un processo di misurazione che rileva la distanza entro una so-
27 Ibid., p. 10, 19-20.
28 Ibid., p. 7.
29 Ibid.
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glia ritenuta accettabile fra i valori e le modalità che un E/M source assume su quei criteri (o su loro particolari combinazioni) e quelli assunti da tutti i rimanenti E/M cible
repertoriati.
Sono sette i criteri di costruzione delle competenze cognitive utilizzati dai ricercatori dell’ANPE. Essi classificano le competenze tecniche di base di ciascun E/M rilevandone quei caratteri dominanti che consentono di cogliere le competenze cognitive soggiacenti anche ad E/M apparentemente molto distanti fra di loro 30.
Il primo criterio rileva le pratiche intellettuali (Démarche Intellectuelles, DI) tipiche
di ciascun E/M, ovvero quelle concatenazioni di operazioni mentali che consentono ad
un individuo di risolvere un problema o di prendere decisioni, siano queste di tipo relazionale o operativo. Sono distinti nelle tre tipologie delle pratiche applicative (DI de
type «Application»), delle pratiche traspositive (DI de type «Transposition») e delle pratiche del concepire (DI de type «Conception») 31.
Le pratiche applicative (DI de type «Application») colgono i processi mentali che intervengono quando la procedura di soluzione di un problema è chiara, univoca e perfettamente definita dal modello in cui l’azione è situata. Si tratta solo di richiamare costantemente le soluzioni prestabilite integrando eventuali nuove informazioni con quelle già presenti nel modello di riferimento. Sono, cioè, quelle pratiche intellettuali che
vengono richiamate sia quando si ripara un’automobile sia quando si diagnostica una
malattia. Sono distinte nelle quattro ulteriori modalità di tipo:
a) Produttivo (Application-Production): l’attività svolta è caratterizzata dall’esecuzione
automatica di gesti e di abilità fisiche ed è definita secondo la precisione del gesto
(production-habilité), l’uso della forza fisica (production-force), secondo entrambe (production-force et habilité) o, anche, da un’esecuzione che non comporta precisione o
forza particolari (production normale);
b) Procedurale (Application-Procédure): l’attività svolta è caratterizzata dall’applicazione rigida di una procedura, si tratta solo di eseguirla nel modo più preciso possibile;
c) Diagnostico (Application-Diagnostic): l’attività svolta richiede processi mentali che
consentono di rilevare problemi e cause di malfunzionamento, si tratta semplicemente di ricercare le cause di un problema facendo riferimento al modello, alla norma e alla procedura in cui l’evento è inserito senza elaborare soluzioni nuove o intervenire sul funzionamento del sistema nel suo complesso;
d) Regolativo (Application-Régulation): l’attività svolta richiede processi mentali in grado di regolare sistemi complessi intervenendo sui sottosistemi che li compongono
riferendosi a modelli ottimali di performance. Si tratta, in sostanza, delle pratiche
mentali richiamate specialmente da quelle professioni dirigenziali che si trovano a
trattare moltissime informazioni di tipo tecnico, umano, relazionale interdipenden30 In quest’ottica, le informazioni sugli E/M riportate nei due Dictionnaire mostrano tutta la loro portata
esplicativa poiché raccolgono e sintetizzano gli elementi informativi di base a partire dai quali vengono
poi costruite le aree della mobilità professionale.
31 ROME, Les Aires de Mobilité Professionnelle, cit., pp. 11-13.
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ti che vanno gestite in ogni caso per far funzionare in qualche modo il sistema nel
suo complesso.
Le pratiche traspositive (DI de type «Transposition») colgono quei processi mentali che
vengono richiamati quando, pur all’interno di un quadro chiaro e definito, le soluzioni si
presentano molteplici perché dipendenti dalle condizioni, dalle circostanze e dai contesti
in cui il problema è stato individuato. Si tratta, dunque, di scegliere la soluzione migliore
fra quelle date, quella più adatta alla complessità delle situazioni in cui il problema si è determinato. Anche queste pratiche sono distinte in quattro ulteriori modalità, di tipo:
a) Sistematico (Transposition-Conception): l’attività svolta richiede una rappresentazione astratta del processo di individuazione e delle stesse possibili soluzioni al problema. Prevale l’attività di analisi e di modellizzazione che si profila padroneggiando più
teorie e schemi disponibili: si tratta, sostanzialmente, di risolvere i problemi incontrati nell’azione e di prendere decisioni generando costruzioni intellettuali ed elaborando idee;
b) Analitico (Transposition-Analyse): l’attività svolta richiede di analizzare i dati e le informazioni disponibili, di interpretarli, di compararli e di selezionarli in modo significativo per prendere decisioni o individuare soluzioni;
c) Regolativo (Transposition-Régulation): l’attività svolta richiede di gestire in senso evolutivo sistemi complessi entro i quali si producono continuamente problemi con diverso grado di priorità e importanza. Questo tipo di pratica garantisce l’evoluzione
del sistema incorporando e integrando soluzioni innovative senza diminuire le prestazioni complessive dello stesso; considera i modi con cui i vari sottosistemi interagiscono adattando e regolando le soluzioni individuate al procedere degli eventi e all’evolversi dei contesti di riferimento;
d) Formale (Transposition-Formalisation): l’attività svolta richiede di individuare i modi
e le condizioni di rappresentazione verso soggetti terzi, con cui si è in interazione diretta o indiretta, delle soluzioni, delle decisioni adottate o delle informazioni prodotte. Questa pratica intellettuale insiste più sull’individuazione del modo di presentare
decisioni e soluzioni che sull’individuazione dei loro contenuti, è richiesta dall’E/M
per comunicare in forme varie idee o informazioni già generate e non per produrle.
Le pratiche del concepire (DI de type «Conception»), infine, colgono quei processi
mentali che comportano l’affrontare i problemi senza avere un quadro dei processo di
individuazione e delle possibili soluzioni. Non richiamano caratteri psicologici dell’individuo ma particolari competenze cognitive che vengono agite nell’attività svolta e che
consentono di inventare e scoprire soluzioni innovative, originali che di fatto non fanno riferimento a modelli, a norme o a regole già date. Si tratta di una pratica che per definizione non può essere né organizzata né controllata, né i suoi esiti previsti: in tal senso caratterizza poche attività lavorative e può essere ritrovata in particolari settori di attività (ricerca, pubblicità, grafica, architettura…) o caratterizzare per definizione la produzione artistica.
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Il secondo criterio rileva il campo di esercizio delle pratiche intellettuali (DI) lungo
lo svolgimento delle attività lavorative in relazione allo spazio e al tempo (Relation au
Temp et à l’Espace, RTE), nell’intento di cogliere una delle forme di complessità che caratterizzano l’E/M.
La relazione rispetto al tempo individua la prospettiva temporale in cui si situa l’azione rispetto alla soluzione del problema o all’assunzione della decisione. Due le modalità individuate, generalizzabili a tutte le pratiche intellettuali (DI): a breve/medio termine (l’azione si proietta in un arco di tempo che va da 0 a 6 mesi) e a medio/lungo termine (l’azione di proietta in arco di tempo superiore ai 6 mesi).
Tuttavia, nel caso delle pratiche applicative (DI-Application) la relazione rispetto al
tempo assume caratteri e modalità di rilevazione più fini. Le azioni che implicano questo tipo di pratiche, infatti, richiedono decisioni e valutazioni immediate o quasi della
propria attività prima di passare all’esecuzione della fase successiva del lavoro, implicano ritmo e concatenazione nella soluzione dei problemi e controllo delle soluzioni e delle decisioni di volta in volta adottate.
In altri termini, nelle azioni che richiedono queste pratiche la relazione con il tempo va rilevata considerando il tempo di reazione necessario ad eseguire due o più compiti in sequenza o il tempo di attesa fra due decisioni da assumere in concatenazione. In
tal senso le dimensioni temporali in cui si situa l’azione e la pratica intellettuale che comporta possono essere dell’ordine del minuto, dell’ora, della giornata o di più giorni: in
questo particolare caso queste dimensioni di rilevazione si aggiungono a quelle definite più generalmente.
Un altro particolare aspetto delle azioni che richiamano le pratiche applicative riguarda le modalità organizzative di esecuzione del lavoro e il modo con cui queste si presentano lungo il tempo di lavoro. Sono state individuate in termini di varietà – il lavoro richiede di eseguire più attività di diversa natura – e di imprevisto, il tipo di lavoro
svolto non consente di prevedere quali saranno le attività svolte nel corso della giornata né in quale ordine esse si presenteranno. Le modalità di misura relative sono rilevabili dalla loro possibilità e dalle combinazioni relative 32.
La relazione rispetto allo spazio analizza, al contrario, lo spazio fisico e organizzativo in cui si situano le pratiche decisionali o di soluzione dei problemi connessi all’attività lavorativa rispetto all’unità produttiva (l’ambiente immediato, l’ufficio, la postazione di laboratorio, il luogo circoscritto in cui si sta esercitando l’azione lavorativa) ovvero rispetto all’ambiente produttivo, l’impresa, l’organizzazione e le loro estensioni all’ambiente circostante 33.
Altri due criteri rilevano la capacità di reagire in situazioni di emergenza o di pericolo (Réactivité à l’Urgence ou à une Situation Dangereuse) quando questa caratteristica risulta determinante per svolgere le attività prevalenti di un E/M e il tipo di interazioni e
32 Il lavoro: 1) può variare senza imprevisti; 2) può variare con imprevisti; 3) varia senza imprevisti; 4) varia con imprevisti. Ivi, pp. 14-15.
33 Ivi, p. 14.
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di relazioni necessarie per affrontare e risolvere i problemi o per prendere le decisioni connesse allo svolgimento delle attività che caratterizzano l’E/M (Interaction Relationnelle).
Quest’ultimo criterio considera solo quelle relazioni ed interazioni personali che intervengono direttamente e necessariamente nello svolgimento dell’attività, nella risoluzione dei problemi e nell’assunzione delle decisioni definendole rispetto alla loro rarità
(nel corso dell’azione, il lavoro richiede poche relazioni anche se viene svolto in modo non
isolato, richiamando pratiche intellettuali che non comportano l’interazione con altri) o
alla loro frequenza (nel corso dell’azione il lavoro richiede di stabilire molte relazioni anche se viene svolto isolatamente), ma anche rispetto alla loro natura in termini di:
a) Interazione «à côté»: l’attività lavorativa richiede di interagire per scambiare informazioni in un processo che, pur essendo relativamente libero e dipendente da chi svolge
il lavoro, necessità di integrare regolarmente le informazioni disponibili con quelle
provenienti da altri. Si tratta di informazioni necessarie all’organizzazione e al procedere dell’attività che però non modificano le pratiche intellettuali messe in atto.
b) Interazione faccia a faccia (en face de): l’attività lavorativa non può procedere se non
in funzione delle informazioni prodotte progressivamente nell’interazione con altri
coinvolti nel processo. Si tratta dell’interazione che caratterizza prevalentemente le
attività di negoziazione, di accoglimento, di vendita…;
c) Interazione stretta (avec): l’attività lavorativa necessita di un lavoro in équipe che comporta una collaborazione stretta fra i componenti per far procedere l’attività stessa.
Questo tipo di interazione richiede di integrare diversi modi di pensare per risolvere i problemi e prendere decisioni e può introdurre cambiamenti nell’organizzazione e nel processo lavorativo.
Il quinto criterio può essere considerato una variante particolare del criterio dell’interazione: di una attività lavorativa, infatti, rileva la necessità di delegare ad altri i compiti e le azioni necessarie a risolvere problemi o ad assumere decisioni (Délégation) 34.
Gli ultimi due criteri colgono i saperi di riferimento (Savoirs Références) e i campi di
applicazione (Champs d’Application) degli E/M repertoriati.
I saperi di riferimento sono l’insieme delle conoscenze teoriche, dei fatti o dei principi necessari alla soluzione dei problemi che si presentano nello svolgimento dell’E/M,
essi costituiscono il quadro di riferimento, più o meno astratto o più o meno fattuale,
entro cui le informazioni generate sul lavoro vengono interpretate e a mezzo del quale
vengono individuate le soluzioni ai problemi e supportate le decisioni.
A differenza delle pratiche intellettuali (DI) che rappresentano la dinamica con cui
vengono individuate le soluzioni o prese le decisioni necessarie, i saperi di riferimento
costituiscono lo sfondo su cui tali pratiche si attivano, l’architettura entro cui tali dinamiche si generano.
34 Ivi, pp. 15-16.
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Sono ventotto i saperi di riferimento utilizzati per identificare le conoscenze attivate dai 466 E/M repertoriati 35 e, poiché il livello di conoscenza applicata nello svolgimento dell’uno o dell’altro E/M varia in maniera significativa, ciascuno dei saperi è colto su quattro dimensioni che approssimano la quantità/qualità del sapere di riferimento utilizzato dall’E/M 36.
I campi di applicazione (Champs d’Application), settimo ed ultimo ma non per questo il meno importante dei criteri individuati, rilevano i settori di attività entro i quali si applicano i saperi di riferimento utilizzati dagli E/M, approssimano i domini professionali definiti dalla classificazione, sono, però, meno numerosi e individuano gli
E/M rispetto a logiche omogenee di ambiente, di appartenenza e di identità professionale 37.
35 Così individuati: 1) Art (la conoscenza della storia dell’arte e dell’arte in generale ma non la capacità di
produrla); 2) Bois; 3) Bureautique (la conoscenza dei software per computer e del loro funzionamento
ma non la conoscenza dell’informatica); 4) Chimie; 5) Dessin (la conoscenza delle regole del disegno e il
saper disegnare); 6) Dessin plan (la conoscenza delle regole della rappresentazione sul piano o nello spazio di un oggetto reale e delle regole di lettura degli oggetti così rappresentati); 7) Droit; 8) Electricité;
9) Fiscalité; 10) Gestion/Finance/Comptabilité; 11) Hygiène alimentaire; 12) Hygiène médicale; 13) Hygiène surface (conoscenza delle attività di pulizia, dell’igiene generale e della pulizia degli ambienti); 14) Informatique; 15) Langues; 16) Logistique; 17) Matériaux souples; 18) Mathématiques; 19) Organisation;
20) Pédagogie; 21) Psycologie; 22) Sciences animales; 23) Science de la nature; 24) Sciences et Techniques
(conocenza del modo di funzionare di utensili ed attrezzature tecniche, di machine…); 25) Sciences médicales; 26) Sciences sociales; 27) Sécuritè (conoscenza delle regole per garantire la sicurezza fisica e organizzativa in ambienti lavorativi); 28) Vente/Marketing. Ivi, pp. 17-18.
36 Così individuati: Sensibilisation (livello 4), la conoscenza dell’ambiente di lavoro, delle convenzioni, dei
codici e delle regole connesse ad un E/M, comprensione del linguaggio e del vocabolario usato nello svolgimento dell’EM: si tratta di una conoscenza acquisita sul campo, attraverso l’esperienza; Mise en pratique d’un «savoir faire» (livello 3), la capacità di applicare regole, convenzioni e regolamenti propri di un
dominio professionale o a contesti applicativi: si tratta di padroneggiare un dominio professionale e di
avere una conoscenza approfondita della sua produzione, della sua gestione e della sua organizzazione.
Molte di queste conoscenze sono apprese sul campo; Compréhension et maîtrise (livello 2), la padronanza e la comprensione delle teorie su cui si fondano gran parte dei saperi di riferimento, la capacità di comprendere la logica soggiacente alle azioni e alle informazioni che si generano sul lavoro: questo livello di
conoscenza consente di trasmettere il sapere di riferimento; Expertise (livello 1), la padronanza e la conoscenza esperta delle logiche e dei principi propri di un settore scientifico o tecnico e delle relazioni che
si stabiliscono con altri settori. È il livello che rileva la conoscenza più astratta e concettuale, quella che
consente di far evolvere il sapere, di innovare e di insegnare ad alti livelli.
La conoscenza rilevata da questi ultimi due livelli è acquisita in genere fuori dal contesto professionale
nei relativi percorsi di istruzione/formazione, i soggetti che ne sono portatori, a loro volta, hanno coscienza delle loro conoscenze, conoscono i confini e i limiti del proprio sapere, sono in grado di attivare
processi di autoperfezionamento e di trasmettere le loro conoscenze. Ivi, pp. 14-16.
37 Se ne contano 19 contro i 61 domaines professionnelles: 1) Administratif; 2) Agriculture; 3) Art et Métiers
d’Art; 4) B.T.P. (Bâtiment et Travaux Publics); 5) Commerce; 6) Communication; 7) Education; 8) Hôtellerie/Restauration; 9) Industrie/Chimie/Agro-alimentaire/Energie; 10) Industrie/Electricité/Electronique/Maintenance; 11) Industrie/Matériaux souples et associés; 12) Industrie/Mécanique/Métallurgie; 13) Industries
(autres); 14) Informatique; 15) Loisirs et Spectacles; 16) Médical; 17) Sciences; 18) Services; 19) Transport.
Ivi, p. 18.
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Le informazioni sulle fonti, sulla tecnica di rilevazione, sui dati di base rilevati e sulle
modalità di elaborazione delle descrizioni rilasciate dal ROME sono scarne e non diffuse.
Riguardo alle fonti non è chiaro se i dati sulle professioni siano rilevati con osservazioni empiriche dirette ovvero raccogliendo informazioni secondarie da testimoni privilegiati o da altre fonti indirette: di certo questa fase di acquisizione dei dati si avvale
della struttura territoriale decentrata dell’ANPE
Quanto al successivo processo di produzione dell’informazione finale sembrerebbe
basarsi, da un lato, su procedure di validazione di tipo concertativo fra le parti sociali
presenti nel consiglio di amministazione dell’ANPE. (sette confederazioni di rappresentanza degli imprenditori e dei lavoratori) e, dall’altro, sul contributo analitico di gruppi di esperti, organismi di formazione, università e ricercatori ANPE.
■
3. L’Occupational Information Network
(O*NET™) 38
Nel 1990 il Department of Labor statunitense affida all’Advisory Panel
on the DOT (APDOT) il mandato di analizzare le critiche mosse da più parti al DOT e
di individuare i requisiti e i contenuti di un dizionario delle professioni più adeguato alle trasformazioni in atto nel sistema sociale ed economico.
Il rapporto finale del panel di esperti 39 rileva i limiti del DOT ne ridefinisce le fondazioni teoriche e progetta la struttura portante del futuro dizionario che, conservando l’acronimo ma cambiandone del tutto il significato, chiama Database of Occupational Titles.
In estrema sintesi.
Il DOT concepiva il lavoro in modo meccanicistico e gerarchico, era finalizzato sostanzialmente all’incontro fra domanda e offerta di lavoro e all’uso da parte degli Employment Services, e, pur ponendosi l’obiettivo di raccogliere informazioni su tutte le professioni circolanti sul mercato del lavoro, mostrava problemi di copertura dell’universo
e di risorse necessarie alla rilevazione e alla elaborazione delle informazioni.
Nel suo repertorio predominavano le professioni operaie e il modello di analisi adoperato risentiva di questo limite. L’uso del sistema di classificazione a nove digit, pensato specificamente per le sue finalità (Occupational Group Arrangement, OGA), comportava complesse e non immediate operazioni di raccordo con gli altri sistemi di classificazione delle professioni in uso negli Stati Uniti.
La complessità delle diverse professioni era analizzata solo attraverso la logica DataPeople-Things (DPT), le competenze richieste risultavano annidate nelle codifiche, le ulteriori informazioni correlate ridondanti e spesso mancanti, quelle sui requisiti di istruzione e di formazione, sulle macchine e sulle attrezzature utilizzate trattate sullo stesso
piano dei prodotti realizzati, mentre quelle sulla trasferibilità delle competenze risulta38 O*NETTM è un marchio di proprietà dell’U.S. Department of Labor, Employment and Training Administration.
39 APDOT, The New DOT: A Database of Occupational Titles for the Twenty-First Century, cit.
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vano del tutto assenti e quelle rilevanti per l’individuazione dei percorsi di carriera e di
mobilità interprofessionale troppo limitate.
Quanto al sistema di rilevazione e di diffusione dei dati, questo mostrava una intensità di lavoro troppo elevata perché richiedeva l’osservazione sul campo dell’esercizio
della professione e la raccolta manuale dei dati relativi, risultava problematico rispetto
alla tempestività del rilascio delle informazioni e alla loro validità temporale a causa del
lungo e intenso lavoro di raccolta e di elaborazione dei dati, debole rispetto ai metodi e
alle procedure di campionamento e per il suo sviluppo decentrato a mezzo dello United States Employment Service (USES), mentre la sua diffusione su volumi a stampa (o
negli ultimi tempi, a mezzo database a formato fisso) non consentiva ai possibili utenti
elaborazioni ulteriori dei dati raccolti.
Di contro il nuovo Database of Occupational Titles (DOT), nel progetto disegnato
dall’APDOT, garantiva una rappresentazione efficace di come le professioni si erano
evolute e di come queste venivano svolte da soggetti portatori di competenze molteplici e diffuse, ampliava le sue finalità e la stessa utenza, producendo informazioni utili non
solo all’incontro fra domanda e offerta di lavoro ma, anche, di supporto all’istruzione,
alla formazione, alle attività di consulenza per l’orientamento e l’occupazione, costruendo,
nel contempo, un linguaggio comune, un parametro di riferimento per le diverse tipologie di utilizzatori.
Era in grado di analizzare tutte le professioni e di riflettere la struttura e la composizione professionale del mercato del lavoro; l’adozione della logica della classificazione
statistica delle professioni come logica primaria di aggregazione delle professioni da analizzare, poi, consentiva di raccordare e connettere le informazioni del nuovo DOT con
quelle raccolte per altre finalità.
La rilevazione della complessità del fenomeno era affidata a descrittori derivati dal
nuovo modello di analisi del contenuto che rendeva possibile la rappresentazione nel continuo di abilità, attitudini, competenze, conoscenze richiamate dalla professione: un modello in grado di stabilire un linguaggio comune di identificazione delle informazioni,
forti fondamenti teorici per la definizione di standard di competenza, di strumenti di valutazione delle stesse; di fornire dati empirici sulla loro trasferibilità; di individuare percorsi di carriera e di mobilità interprofessionale definendo job families di riferimento.
Lo stesso modello ridefiniva gli obsoleti descrittori del Dictionary e coglieva informazioni aggiuntive sulla sempre più crescente richiesta di contenuti di conoscenza delle attività lavorative, sui nuovi modi di pensare, di lavorare e di gestire, maggiormente
centrati sulle caratteristiche del lavoratore, sui contesti del lavoro, sui suoi contenuti e
sui suoi risultati oltre che sui contesti di mercato in cui la professione era collocata.
Dal punto di vista dell’organizzazione, della diffusione dei dati e dei metodi di rilevazione il progetto prevedeva l’acquisizione delle informazioni attraverso un’indagine
fondata su metodi statistici di campionamento, eseguita con tecniche che garantivano
rappresentatività, accuratezza e consistenza dei dati raccolti, tempestività di elaborazione e di rilascio dei dati. I risultati sarebbero stati diffusi con un database flessibile e utilizzabile nei modi e per le elaborazioni più disparate richieste da possibili diverse tipologie di utenza, mentre lo sviluppo del nuovo DOT avrebbe dovuto comportare un for-
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te coordinamento fra gli uffici preposti del Department of Labor e la stessa utenza esterna per moltiplicare efficacemente le competenze in materia, le stesse iniziative di valutazione e per diffonderne l’uso come supporto alle attività di istruzione, di formazione,
di consulenza e di orientamento al lavoro cui lo strumento era diretto.
La figura seguente schematizza il Content Model, centro innovativo dell’intero progetto, su cui l’APDOT fondava la struttura analitica del nuovo modello di rappresentazione delle professioni.
■ Figura 4 ■ APDOT, Content Model del nuovo DOT
Worker Attributes:
– Aptitudes and Abilities
– Workplace Basic Skills
– Cross-functional Skills
– Occupation-Specific Skills
– Occupation-Specific
Knowledge
– Personal Qualities
– Interests
– Licensure / Certification
– Work Experience
– Formal Education
– Formal Training
Work Context
– OrganizationalContext
• Industry
• Organizational Structure
• Organizational Culture
• Terms and Conditions
of Employment
– Work/Job Context:
• Work System/Job Design
Characteristics
• Physical Working Conditions
• Physical, Sensory/Perceptual
and Cognitive Job Demands
or Requirements
• Machines, Tools and
Equipment Used
• Performance Standards
DOT: Multimedia
Flexible Format
Automated Database
Labor Market Context:
– Occupational Outlook
– Labor Market Trends
– Economic Trends
– Nature of Job Changes
– Localizations of Jobs
Work Content and Outcomes
– Generalized Work Activities
– Duties / Task Performed
– Services Rendered
– ProductsProduced
Fonte: APDOT, The New DOT, cit., p. 32.
Secondo il Content Model individuato dall’APDOT una professione andava definita
da almeno quattro aree di informazioni 40:
a) l’area dei Worker Attributes, con informazioni correlate alle caratteristiche personali
e alle qualificazioni apportate dal lavoratore;
b) l’area del Work Context, con informazioni correlate al contesto organizzativo tipico
delle attività lavorativa della professione e al contesto organizzativo entro cui questa
viene svolta (impresa, organizzazione);
40 Ivi, pp. 33-37.
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c) l’area dei Work Content and Outcomes, con informazioni correlate al contenuto del
lavoro svolto e ai suoi risultati;
d) l’area del Labor Market Context, con informazioni correlate alla struttura del sistema
e del mercato del lavoro entro cui la professione si svolge.
Si trattava di aree e di categorie di informazione che potevano essere implementate
in indicatori e che lo stesso APDOT raccomandava di sviluppare e mettere a punto con
ulteriori ricerche e approfondimenti.
3.1. L’Occupational Information Network (O*NET™) e il suo Content Model
Una raccomandazione colta dal gruppo di ricerca immediatamente costituito dal Department of Labor – il quale gruppo mantenendo la distinzione fra Worker-Oriented Descriptors e Job-Oriented Descriptors entro cui l’APDOT aveva individuato le quattro aree
di informazione – reinterpreta le indicazioni del panel di esperti, ridefinisce il Content
Model (figura 5), ripensa il nuovo DOT come un sistema informativo complesso e lo
chiama più propriamente Occupational Information Network (O*NET™) 41.
■ Figura 5 ■ O*Net™. Content Model
Worker Requirements
Basic Skills
Cross-Functional Skills
General Knowledge
Education
Worker Characteristics
Abilities
Interests & Work Values
Work Styles
Experience Requirements
Training
Experience
Licensing
Occupation Requirements
Generalized Work Activities
Work Context
Organizational Context
O*NET™
Occupation Specific
Occupational Knowledge
Occupational Skills
Tasks
Machines, Tools, Equipment
Occupation Characteristics
Labor Market Information
Occupational Outlook
Wages
Fonte: ns elaborazione su dati Peterson N.G., …, Development of…, cit., pp. 2-4.
41 Peterson, N.G., Mumford, M.D., Borman, W.C., Jeanneret, P.R., Fleishman E.A., Development of Prototype Occupational Information Network (O*NET) Content Model, Utah Department of Employment
Security, Salt Lake City, 1995, 2 voll.; Peterson, N.G., Mumford, M.D., Borman, W.C., Jeanneret, P.R.,
Fleishman E.A., Lewin K.Y., O*NET Final Technical Report, Utah Department of Employment Security, Salt Lake City, 1997, 3 voll.
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La ridefinizione del Content Model procede attraverso ulteriori distinzioni di base entro cui le informazioni vengono strutturate.
Alla citata distinzione fra Worker-Oriented Descriptors e Job-Oriented Descriptors già
definita dall’APDOT, il gruppo di esperti ne aggiunge un’altra nell’intento di individuare con maggiore precisione le informazioni generate dal e per il sistema.
Così, le informazioni generalizzabili a tutte le possibili professioni, i Cross-Occupation Descriptors, vengono distinte da quelle applicabili e tipiche di ciascuna o di gruppi
particolarmente omogenei di esse, gli Occupation Specific Descriptors.
L’introduzione di questa nuova dicotomia risulta cruciale per l’impianto del Content
Model e per l’identificazione e l’organizzazione delle informazione da rilevare.
I Cross-Occupation Descriptors, infatti, individuano quei caratteri generali con cui può
essere definita la struttura standard dell’informazione da raccogliere, quella destinata a
descrivere tutte le professioni attraverso dimensioni e descrittori comuni, rispetto ai quali, però, ciascuna di esse può essere distinta dall’altra a seconda delle diverse modalità
con cui quei caratteri generali si manifestano nell’una o nell’altra delle professioni analizzate.
Ma anche associata ad un’altra professione o a diverse altre che, sebbene diverse fra
di loro per altri aspetti, costituiscono job families per le quali tali caratteri risultano comuni e trasferibili individuando, così, percorsi possibili di carriera e di mobilità interprofessionale.
Si tratta di dimensioni che riguardano, da un lato, le caratteristiche generali attribuibili ai soggetti che svolgono le professioni (capacità, conoscenze, istruzione, formazione, attitudini, interessi, stili di lavoro, esperienza…) e, dall’altro, le professioni stesse e quanto di comune hanno fra loro (mercato del lavoro e previsioni occupazionali,
attività generalizzate di lavoro, contesti organizzativi di impresa e di lavoro…).
Sull’altro versante, gli Occupation Specific Descriptors colgono l’aspetto non standardizzabile e non generalizzabile dell’informazione.
Questi rilevano quei caratteri particolari che chi svolge una determinata professione
deve avere (in termini di capacità e di conoscenze, di formazione, di esperienza, di possesso di abilitazioni specifiche…) e quei caratteri che rendono quella professione diversa da quell’altra e che sono tipici di ciascuna (compiti svolti e attività specifiche di lavoro, macchine e attrezzature utilizzate, mercati del lavoro, previsioni occupazionali, salari specifici…).
Gruppi di elementi informativi individuati dal nuovo Content Model possono essere classificati incrociando le due dicotomie (Tabella 6): l’operazione è particolarmente utile dal punto di vista analitico perché consente di rilevare il ruolo e l’apporto conoscitivo di ciascuno di essi nella definizione e nell’economia dell’informazione
complessiva.
L’introduzione di un’altra distinzione raffina maggiormente il modello precisando
meglio e nel dettaglio come le sei aree del Content Model risultino costruite.
L’informazione da raccogliere, infatti, è ulteriormente individuata in termini di requisiti (Requirements) e di caratteristiche (Characteristics) di chi esercita la professione,
della sua esperienza e della stessa professione.
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■ Tabella 6 ■ O*Net™. Gruppi di informazioni sulle professioni per tipologie di descrittori
Job-Oriented Descriptors
Worker-Oriented Descriptors
Cross Occupation
Descriptors
Generalized Work Activities;
Work Context;
Organizational context;
Labor Market Information;
Occupational Outlook; Wages
Skill; Knowledge; Education;
Abilities; Interests; Work Styles;
Training; Experience; Licensing
Occupation Specific
Descriptors
Tasks, Machines, Tools,
and Equipment; Occupational
Outlook; Wages
Occupational Skill;
Occupational Knowledge;
Training; Experience; Licensing
Fonte: www.onetcenter.org/content.html
Requirements rilevano attributi della professione o di chi la svolge su cui è possibile
intervenire facilmente per modificarli: sono attributi sempre e comunque acquisibili o
modificabili attraverso la formazione o l’esperienza lavorativa, di fatto quelli più flessibili e più duttili su cui le politiche, la stessa organizzazione in cui la professione viene
esercitata e lo stesso soggetto che la svolge possono intervenire per modificarli (attività
generalizzate e contesto di lavoro, competenze di base, istruzione…).
Characteristics, per contro, colgono gli attributi più stabili, più duraturi, meno modificabili di una professione, quelli legati alla logica con cui è strutturato il mercato del
lavoro, alle sue tendenze, ai contesti economici che regolano le retribuzioni, ma anche
caratteristiche ascritte e acquisite del soggetto che la esercita, quelle concernenti le sue
attitudini, le sue prestazioni fisiche, i suoi interessi, valori e stili di lavoro.
Le iniziali quattro aree di informazione del Content Model definito dall’APDOT vengono rilette e ridisegnate nell’impianto già attraverso questa triplice dicotomia e a partire da questa ridefinizione il gruppo di esperti precisa i contenuti di informazione delle nuove sei aree, che qui conviene analizzare separatamente 42.
Non prima, però, di aver anticipato, nella sintesi della figura seguente, la complessa
articolazione delle relazioni ipotizzate dal modello.
42 Per ragioni di sintesi e di semplificazione narrativa la descrizione delle singole parti del Content Model
farà riferimento alle conclusioni cui la ricerca è pervenuta al momento in cui si scrive lasciando sullo
sfondo il processo, ancora in atto, con cui il gruppo di ricerca è pervenuto a tali conclusioni. La definizione dell’ultima struttura informativa della versione è riportata in Boese, R., Lewis, P., Frugoli, P., Litwin, K., Summary of O*NET 4.0 Content Model and Database, National Center for O*NET Development, Employment Security Commission, Raleigh, North Carolina, 2001.
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■ Figura 6 ■ O*NET™. Ipotesi di relazioni tra le aree informative del Content Model
Worker-oriented Descriptors
Worker Requirements
Basic Skills
Cross-Functional Skills
General Knowledge
Education
Occupation Characteristics
Labor Market Information
Occupational
Outlook Wages
Occupation Requirements
Generalized Work Activities
Work Context
Organizational Context
Experience Requirements
Training
Experience
Licensing
Cross-Occupation Descriptors
Worker Characteristics
Abilities
Interests & Work Values
Work Styles
Job-oriented Descriptors
Tasks
Occupational
Skills
Duties
Machines, Tools,
Equipment
Occupation-Specific
Descriptors
Occupational
Knowledges
Fonte: ns. elaborazione su dati Peterson N.G., …, Development of…, cit., pp. 2-6.
3.1.1 Worker Characteristics
L’area delle Worker Characteristics rileva le «enduring qualities» dei lavoratori, quelle qualità spesso ascritte, talvolta legate a particolari tratti della personalità, perfino a caratteri culturali, che, in varia misura, influenzano sia la qualità e il livello della prestazione
lavorativa che le performance personali di apprendimento, di acquisizione delle conoscenze e delle competenze necessarie per svolgere un lavoro, per adattarvisi.
Sono caratteri connaturati in varia misura al soggetto, stabili nel tempo, che soggiacciono al modo in cui un individuo affronta i problemi lavorativi, attributi scarsamente modificabili che risultano fattualmente determinanti per esercitare una professione, poiché, come recita un celebre motto circolante fra gli addetti alla selezione del
personale «è sempre possibile selezionare un tacchino ed insegnargli ad arrampicarsi sugli alberi, ma è più semplice assumere uno scoiattolo».
L’area ne individua tre tipologie: Abilities, Interests and Work values e Work styles.
Abilities
Definibili come quelle capacità costitutive dell’individuo, quelle sue caratteristiche
cognitive, psicomotorie, fisiche, sensoriali e percettive che possono essere di aiuto nello svolgimento della professione, nelle modalità di esecuzione delle attività lavorative
connesse e nell’efficacia e nell’efficienza con cui la professione viene esercitata, le abili-
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ties costituiscono la ‘forma’, l’inprinting connaturato con cui un soggetto affronta e risolve i problemi legati all’attività lavorativa.
Si tratta di attributi talvolta ascritti all’individuo, talvolta acquisiti nel lungo percorso
di costruzione della sua formazione intellettuale e psicofisica, in ogni caso durevoli, stabili nel tempo e scarsamente modificabili o acquisibili attraverso i percorsi di istruzione o di formazione al lavoro, al cui successo, peraltro, soggiacciono.
Sono generalizzabili a tutte le professioni e sono stati colti, in vario modo e sotto diverse denominazioni, da numerose ricerche empiriche come fattori sottostanti alla buona esecuzione dei compiti (tasks) legati alla professione 43.
Costituiscono uno dei criteri di discrimine delle professioni e delle attività lavorative connesse e rendono possibile l’identificazione di gruppi omogenei sia di alcuni dei
caratteri costitutivi di una professione sia di gruppi omogenei di queste.
Poiché chiamano in causa capacità individuali diversamente collegate alle performance lavorative, in letteratura risultano spesso assimilati alle competenze (skills) insieme ad altri attributi che di fatto riferiscono di ambiti concettuali diversi (conoscenze,
attitudini, interessi, motivazioni, valori, credenze…).
Sul problema il gruppo di esperti è intervenuto definendo rigorosamente gli ambiti
di referenza della terminologia utilizzata nel Content Model risolvendo gli equivoci generati dalla sovrapposizione dei campi semantici di termini come skill, competence, capability, o competency (quest’ultimo più diffuso nella letteratura britannica).
In questo senso la differenza fra abilities e skills 44 nel Content Model è marcata dal fatto che l’insieme delle caratteristiche riconducibili a quest’ultimo costrutto dipendono
in larga misura dall’apprendimento e rappresentano il risultato della formazione/addestramento a compiti specifici: a differenza delle caratteristiche rilevate dalle abilities, sono modificabili, perfezionabili e maggiormente situate nel contesto lavorativo.
Studi approfonditi della letteratura hanno consentito al gruppo di lavoro di incorporare nel Content Model le abilities ritenute più significative, maggiormente generalizzabili e discriminanti fra quelle costantemente accertate dai risultati empirici delle numerose ricerche in materia di job analysis e di organizzarle in una tassonomia, in una
struttura classificatoria che le rappresenta nell’ordine di importanza in cui sono state accertate, le individua, le definisce e le specifica rendendo così possibile la loro rilevazione empirica e la loro misurazione 45.
43 Cfr. a proposito l’amplissima bibliografia citata in Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 1027—10-39.
44 Sull’accezione data a quest’ultimo termine e agli altri utilizzati nel Content Model si riferirà di volta in
volta.
45 Struttura, contenuti e definizioni di tale tassonomia sono stati sostanzialmente ottenuti elaborando e
modificando la Ability Requirements Taxonomy messa a punto negli anni dagli studi e dalle ricerche empiriche di E.A. Fleishman. A proposisto si veda Fleishman, E.A., Manual for the Ability Requirement Scales (MARS), Management Research Institute, Bethesda, MD, 1975; Fleishman, E.A., Toward a taxonomy
of human performances, «American Psychologist», 30, 1975, pp. 1127-1149; Fleishman, E.A., Fleishman-Job Analisys Survey (F-JAS), Consulting Psychologists Press, Palo Alto (CA), 1992; Fleishman, E.
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Nel complesso sono cinquantadue le singole abilities identificate e utilizzate dal Content Model; nella classificazione risultano organizzate in quattro grandi aree, a loro volta complessivamente suddivise in quindici sub-aree (Box 1).
Una prima area raccoglie le Cognitive Abilities (ventuno abilities organizzate in sette
sub-aree), esse colgono la struttura mentale (la capacità di capire, di esprimersi, di ragionare e di produrre idee, la capacità di attenzione, di memorizzazione, …), in genere acquisita attraverso il processo complessivo di formazione intellettuale, con cui il singolo individuo affronta i compiti e i problemi connessi alle specifiche attività lavorative svolte.
L’area delle Psicomotor Abilites (dieci abilities in tre sub-aree) rileva, al contrario, le
capacità di controllo, di coordinamento e di reazione del corpo e la destrezza con cui tali capacità vengono messe in atto e richieste nello svolgimento del lavoro.
■ Box 1 ■ O*NET™. Tassonomia delle Abilities
Cognitive Abilities
Verbal Abilities
Oral Comprehension
Written Comprehension
Oral Expression
Written Expression
Idea Generation and
Reasoning Abilities
Fluency of Ideas
Originality
Problem Sensitivity
Deductive Reasoning
Inductive Reasoning
Information Ordering
Category Flexibility
Quantitative Abilities
Mathematical Reasoning
Number Facility
Memory
Memorization
Perceptual Abilities
Speed of Closure
Flexibility of Closure
Perceptual Speed
Spatial Abilities
Spatial Orientation
Visualization
Attentiveness
Selective Attention
Time Sharing
Psychomotor Abilities
Fine Manipulative Abilities
Arm-Hand Steadiness
Manual Dexterity
Finger Dexterity
Control Movement
Abilities
Control Precision
Multilimb Coordination
Response Orientation
Rate Control
Reaction Time and Speed
Abilities
Reaction Time
Wrist-Finger Speed
Speed of Limb Movement
Physical Abilities
Physical Strength Abilities
Static Strength
Explosive Strength
Dynamic Strength
Trunk Strength
Endurance
Stamina
Flexibility, Balance and
Coordination
Extent Flexibility
Dynamic Flexibility
Gross Body Coordination
Gross Body Equilibrium
Sensory Abilities
Visual Abilities
Near Vision
Far Vision
Visual Color
Discrimination
Night Vision
Peripheral Vision
Depth Perception
Glare Sensitivity
Auditory and Speech
Abilities
Hearing Sensitivity
Auditory Attention
Sound Localization
Speech Recognition
Speech Clarity
Fonte: ns. elaborazione su dati Boese, R., …, Summary…, cit., pp. 8-12.
A., Reilly, M.E., Administrator’s guide for the Fleishman-Job Analysis Survey (F-JAS), Consulting Psychologists Press, Palo Alto (CA), 1992; Fleishman, E.A., Reilly, M.E., Handbook of human abilities: Definitions, measurements, and job task requirements, Consulting Psychologists Press, Palo Alto (CA), 1992.
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L’area delle Physical Abilities (nove abilities in tre sub-aree) coglie, sul versante della
sola fisicità, la forza, la resistenza, la dinamicità e l’agilità muscolo-scheletrica necessarie per svolgere le attività richieste dalla professione.
Infine, l’area delle Sensory Abilities (dodici abilities in due sub-aree) individua, sempre dal lato della fisicità, le capacità senso-percettive, visive, uditive, di distinzione vocale e di fonazione che vengono richieste dal lavoro e dalle attività connesse.
Interests and Work values
Definibili come fattori soggiacenti alla motivazione e alla soddisfazione per il lavoro svolto, Interests and Work values colgono da un lato, gli orientamenti espressivi della personalità individuale che una professione è in grado di soddisfare e, dall’altro, aspettative e valori
che l’individuo attribuisce al lavoro, in qualche modo garantiti da quella stessa professione.
Si tratta di elementi costitutivi della personalità dell’individuo, formatisi nel tempo,
stabili e, dunque, difficilmente modificabili; cruciali per il buon svolgimento della professione e delle attività lavorative connesse, generalizzabili e capaci di distinguere professioni o gruppi omogenei di esse.
Pur essendo costrutti che nella ricerca empirica risultano definiti a partire dall’individuo, nel Content Model sono, tuttavia, utilizzati dal lato della descrizione della professione in termini di caratteristiche che la professione richiede per essere ben esercitata.
Nelle decisioni prese dal gruppo di ricerca questa logica di costruzione dell’informazione è risultata di particolare rilevanza ai fini della individuazione delle tassonomie descrittive di entrambi i costrutti. Tali decisioni non hanno mancato, tuttavia, di tenere in forte
considerazione sia il successo e la diffusione nella comunità degli esperti (ricercatori e job
analists) e degli utilizzatori (consulenti, esperti di selezione del personale, …), sia la tenuta,
l’affidabilità e la validità scientifica delle teorie da cui tali tassonomie erano derivate 46.
In generale, gli Interests possono essere considerati come tendenze della personalità
correlate, in varia misura ed espressivamente, all’attenzione e all’esperienza messa in atto nell’attività lavorativa ed alla stessa soddisfazione per il lavoro svolto.
Si tratta, in sostanza, di inclinazioni e di orientamenti della personalità che determinano se e quanto una professione possa risultare piacevole per chi la svolge e, dunque, la probabilità che questa venga esercitata bene e con successo.
Il Content Model assume nella definizione di questo costrutto la teoria sulle personalità e sugli ambienti lavorativi, messa a punto nel corso degli anni da J.L. Holland 47,
e ne adotta la relativa tassonomia.
46 Cfr. a proposito Peterson N.G., …, Development of…, cit., pp. 11-1—11-16 e Peterson, N.G., …,
O*NET Final…, cit., pp. 10-1—10-33;
47 Holland, J.L., A theory of vocational choice, «Journal of Counseling Psychology», 6, 35-45, 1959; Holland, J.L., The psychology of vocational choice, Waltheim, MA, Blaisdell, 1966; Holland, J.L., Making vocational …, cit.; Holland, J.L., Making vocational choices: A theory of vocational personalities and work environments (2nd ed.), Englewood Cliffs, NJ, Prentice-Hall, 1985; Holland, J.L. (1985b), Manual for the
Vocational Preference Inventory, Odessa, FL, Psychological Assessment Resources, 1985; Holland, J.L.,
Making vocational choices: A theory of vocational personalities and work environments (3rd ed.), Odessa, FL,
Psychological Assessment Resources, 1997.
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In breve, le ricerche empiriche condotte da quest’autore hanno dimostrato che le persone tendono a cercare ambienti lavorativi che consentono loro di esercitare le proprie
competenze e abilità e di esprimere al meglio le proprie attitudini e i propri valori.
Di conseguenza, tali persone risulteranno tanto più soddisfatte del proprio lavoro,
orientate allo scopo, persistenti nel suo conseguimento, quanto più l’ambiente di lavoro si adatta alla propria personalità.
La Tabella 7 descrive sinteticamente i sei diversi tipi di personalità, corrispondenti
ad altrettanti tipi di ambiente lavorativo 48, individuati dall’autore.
Il modello, chiamato comunemente RIASEC dalle iniziali dei tipi di personalità che
individua, è rappresentato in una forma esagonale (Figura 7) che mostra, da un lato, le
personalità lavorative e la loro compatibilità con gli ambienti di lavoro a loro più confacenti (nell’esagono i tipi adiacenti sugli angoli a destra e a sinistra per personalità presa a
■ Tabella 7 ■ Personalità lavorative secondo J.L. Holland
Tipi
di personalità
Autopercezione
Principali tratti della personalità
Realistic
Ha abilità atletiche e nella
meccanica, è carente nelle relazioni
umane. Valori: denaro, potere,
status sociale
Stabile, materialista, persistente,
pratico, semplice, di scarse vedute,
adattabile
Investigative
Ha abilità matematiche e
scientifiche, è carente nella
leadership. Valori: scienza
Analitico, critico, curioso, prudente,
intellettuale, razionale, introverso,
preciso, pessimista
Artistic
Ha abilità artistiche e musicali,
è carente nello svolgere attività
di routine e di ufficio,
Valori: estetica
Emotivo, idealista, impulsivo,
fantasioso, introspettivo, intuitivo,
non adattabile
Social
È abile nell’insegnare, ha scarse
abilità scientifiche e nella
meccanica. Valori: conseguire
obiettivi politici ed economici
Cooperativo, amichevole, socievole,
comprensivo, dotato di tatto,
generoso, persuasivo
Enterprising
Ha abilità comunicative
e di leadership, è carente
nella scienza. Valori: conseguire
obiettivi politici ed economici
Avventuroso, ambizioso, energico,
ottimista, sicuro di sé, loquace,
alla ricerca del piacere
Conventional
È abile nel far di conto e nelle
attività di routine e di ufficio.
Valori: affari e conseguire obiettivi
economici
Conscienzioso, obbediente,
ordinato, controllato, efficiente,
persistente, di scarsa fantasia
Fonte: Holland, J.L., The self-directed search. Professional manual, Odessa, FL, PAR., 1985; ns. elaborazione
48 La direzione causale del modello non è univoca, esso rappresenta infatti il modo in cui le personalità si
adattano agli ambienti lavorativi e viceversa. In tal senso è sempre possibile individuare gli ambienti lavorativi secondo le sei tipologie e da questi definire i tipi di personalità più appropriati.
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riferimento) e, dall’altro, le incompatibilità (i tipi posizionati sugli angoli opposti), ovvero i tipi di ambiente lavorativo poco o per niente adattabili alla personalità esaminata.
In altri termini, una personalità lavorativa di tipo Realistic sarà fortemente compatibile con un ambiente di lavoro dello stesso tipo, dove potrà esercitare attività lavorative
che comportano manualità, praticità, indipendenza e in genere attività fisiche, e sufficientemente compatibile con ambienti di lavoro di tipo Investigative e Conventional, che
in modo diverso incontrano, in parte e su versanti opposti, alcune delle caratteristiche
tipiche di questa personalità.
Sarà comunque del tutto incompatibile con un’ambiente di tipo Social, che implica
forti interazioni con gli altri, e per una sorta di effetto alone, incompatibile anche con
ambienti di tipo Artistic ed Enterprising, i quali comportano contesti e attività di lavoro non coerenti col tipo di personalità in questione.
Holland segnala, in ogni caso, che solo pochissimi individui, con caratteri della personalità fortemente marcati e differenziati, collimano esattamente con uno solo dei tipi individuati.
Succede, al contrario, che la quasi totalità delle persone può essere posizionata su due
o più tipi di personalità, in una combinazione ordinabile rispetto ai caratteri individuali
che tali tipi maggiormente rappresentano.
Di conseguenza il modello perde staticità e rigidità nella classificazione degli individui, riuscendo a cogliere e descrivere bene le singole personalità e i relativi caratteri dominanti.
■ Figura 7 ■ Compatibilità e incompatibilità fra i sei tipi di personalità e i relativi ambienti lavorativi
Investigative
Artistic
Conventional
Realistic
Social
Enterprising
Fonte: Holland, J.L., Making vocational choices, …, 1985, cit., ns. elaborazione
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In questa logica, il Content Model descrive la professione con sei tipi di Interests, espressi in termini di attività implicate dalla professione stessa, derivati e del tutto corrispondenti alle personalità e ai relativi ambienti lavorativi individuati da Holland, dei quali
riprendono la denominazione (Tabella 8). I sei Interests sono rilevati secondo l’importanza con cui caratterizzano la professione 49.
Diversamente dagli Interests che rilevano se e a quale tipo di personalità una professione possa piacere, i Work Values colgono l’importanza che un individuo attribuisce ad
uno o più aspetti del lavoro 50. Colgono, in altri termini, quelle caratteristiche della pro-
■ Tabella 8 ■ O*NET™. Interests e relative descrizioni nel Content Model
Realistic
Realistic occupations frequently involve work activities that include practical, hands-on problems and solutions. They often deal with plants, animals, and real-world materials like wood, tools, and machinery. Many of
the occupations require working outside, and do not involve a lot of
paperwork or working closely with others.
Investigative
Investigative occupations frequently involve working with ideas, and
require an extensive amount of thinking. These occupations can involve
searching for facts and figuring out problems mentally.
Artistic
Artistic occupations frequently involve working with forms, designs and
patterns. They often require self-expression and the work can be done
without following a clear set of rules.
Social
Social occupations frequently involve working with, communicating with,
and teaching people. These occupations often involve helping or providing
service to others.
Enterprising
Enterprising occupations frequently involve starting up and carrying out
projects. These occupations can involve leading people and making many
decisions. Sometimes they require risk taking and often deal with business.
Conventional
Conventional occupations frequently involve following set procedures and
routines. These occupations can include working with data and details
more than with ideas. Usually there is a clear line of authority to follow.
Fonte: ns. elaborazione su dati http://online.onetcenter.org/
49 Rounds, J., Smith, T., Hubert, L., Lewis, P., Rivkin, D., Development of Occupational Interest Profiles for
O*Net, National Center for O*NET Development, Employment Security Commission, Raleigh, North
Carolina, 1999.
50 Il gruppo di ricerca ha osservato che il confine fra Interests e Work Values non è ben marcato in letteratura. La preferenza per un lavoro o per un altro, in altre parole, può essere definita anche in termini di importanza attribuita ad alcuni dei suoi aspetti e, viceversa, l’importanza di tali aspetti può definire la preferenza per quel lavoro. Preferire, d’altronde, è anche scegliere fra diverse opzioni con un diverso grado
di importanza (Cfr. Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 11-12). Evidenze empiriche, tuttavia, hanno mostrato che i due costrutti singolarmente presi presentano punti di debolezza o di forza a
seconda delle variabili che intendono predire. In tal senso i Work Values, ad esempio, risultano essere molto discriminanti nel definire le preferenze fra diverse professioni, mentre gli Interests tendono ad indivi-
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fessione, e dell’ambiente lavorativo in cui viene esercitata, in grado di soddisfare i suoi
bisogni strumentali ed espressivi.
Ancora, questo tipo di informazione individua quegli aspetti legati all’esercizio della professione che garantiscono, a individui diversi con bisogni diversi, le condizioni ottimali per svolgere al meglio il lavoro.
La ricerca su questi temi ha avuto inizio nel 1957 col Work Adjustment Project dell’University of Minnesota, diretto da R. Davis e L. Lofquist, che si proponeva l’obiettivo di esplorare il modo con cui gli individui si adattano al lavoro e di mettere a punto
strumenti di misurazione e di valutazione di tale adattamento.
I risultati delle ricerche empiriche condotte nell’ambito di tale progetto hanno consentito di mettere a punto la Theory of Work Adjustment (TWA) 51 a cui fa riferimento
l’informazione raccolta dal Content Model.
In sintesi la TWA concettualizza il lavoro come un’interazione fra un ambiente (lavorativo) che richiede di eseguire determinati compiti e un individuo che vi contribuisce con le sue competenze, chiedendo in cambio compensazioni e condizioni preferenziali in cui porle in essere: per far sussistere al meglio questa interazione, individuo e ambiente devono continuamente far incontrare le loro richieste, tentando entrambi di raggiungere livelli accettabili di corrispondenza.
L’adattamento al lavoro è, secondo la TWA, il processo con cui si raggiungono e si
mantengono questi livelli di corrispondenza: la misura di tale adattamento è indicata
dalla tenuta sia della soddisfazione dell’individuo per l’ambiente lavorativo (individual
satisfaction), sia delle condizioni che rendono soddisfacente l’individuo per l’ambiente
(individual satisfactoriness).
In questo processo assumono particolare rilevanza, dal lato dell’individuo, le capacità e le competenze professionali che è in grado di esercitare ma anche, e specialmente, il personale sistema valoriale in cui sono incardinati i suoi bisogni espressivi e
strumentali. Dal lato dell’ambiente lavorativo, invece, risultano rilevanti sia i requisiti di competenza e di capacità necessari al corretto svolgimento delle attività, sia il
sistema di rinforzi (ovvero il sistema di gratificazione di quei bisogni individuali) che
li compensa.
La ricerca empirica ha scandagliato in profondità e con strumentazioni diverse entrambi gli aspetti del problema, giungendo a risultati particolarmente significativi.
Da questi, il gruppo di ricerca sul Content Model ha tratto la tassonomia che misura
e rileva il sistema di rinforzi costitutivo della professione (Occupational Reinforcer Pat-
duare meglio la professione soggettivamente più adatta fra quelle preferibili. I due costrutti, di conseguenza, sono stati ritenuti teoreticamente ed empiricamente differenti e mantenuti entrambi nel Content Model (Cfr. Peterson, N.G., …, O*NET Final…, cit., pp. 10-2—10-3).
51 Weiss, D.J., Dawis, R.V., England, G.W., Lofquist, L.H., The measurement of vocational needs, «Minnesota Studies in Vocational Rehabilitation», 16, 1964; Dawis, R.V., Lofquist, L.H., Weiss, D.J., A theory
of work adjustment (a revision), «Minnesota Studies in Vocational Rehabilitation», 23, 1968; Dawis, R.V.,
Lofquist, L.H., A psycological theory of work adjustment: An individual-differences model and its applications, Minneapolis, MN, University of Minnesota Press, 1984.
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terns, ORP) utilizzando quei costrutti di valore che le evidenze empiriche hanno mostrato essere importanti nella soddisfazione per il lavoro 52.
Sono complessivamente ventuno, riducibili a sei grandi dimensioni, i Work Values
utilizzati dal Content Model (Box 2).
La dimensione dell’Achievement, definita da due Work Values, rileva quelle professioni nettamente orientate al risultato e quelle che consentono di applicare massimamente le competenze e le abilità di chi le svolge: rileva, in altri termini, quelle professioni che soddisfano coloro che attribuiscono valore alla finalizzazione e all’uso delle
proprie capacità sul lavoro.
■ Box 2 ■ O*NET™. Tassonomia dei Work Values
Achievement
Ability Utilization
Achievement
Working Conditions
Activity
Independence
Variety
Compensation
Security
Working Conditions
Recognition
Advancement
Recognition
Authority
Social Status
Relationships
Co-workers
Social Service
Moral Values
Support
Company Policies and Practices
Supervision, Human Relations
Supervision, Technical
Independence
Creativity
Responsibility
Autonomy
Fonte: ns elaborazione su dati Boese, R., …, Summary…, cit., pp. 14-16.
52 La tassonomia è stata direttamente derivata, modificandone ed adattandone le descrizioni, dai costrutti
utilizzati dal Minnesota Job Description Questionnaire (MJDQ) e dai fattori a cui tali costrutti sono stati
ridotti. La scelta, ovviamente, non è stata casuale poiché i fattori cui tali costrutti davano luogo e che nel
MJDQ rilevavano i Work Values dal lato della professione sono stati rilevati anche dall’analisi di costrutti diversi utilizzati nel Minnesota Importance Questionnaire (MIQ) per cogliere le dimensioni di rinforzo
dei bisogni dal lato dell’individuo. Si veda a proposito: Borgen, F.H., Weiss, D.J., Tinsley, H.E.A., Dawis, R.V., Lofquist, L.H., The measurement of Occupational Reinforcer Patterns, «Minnesota Studies in
Vocational Rehabilitation», 25, 1968; Gay, E.G., Weiss, D.J., Hendel, D.D., Dawis, R.V., Lofquist,
L.H., Manual for the Minnesota Importance Questionnaire, «Minnesota Studies in Vocational Rehabilitation», 28, 1971. Per gli ulteriori approfondimenti del gruppo di ricerca: McCloy, R., Waugh, G., Medsker, G., Wall, J., Rivkin D., Lewis, P., Determing the Occupational Reinforcer Patterns for O*NET Occupational Units, National Center for O*NET Development, Employment Security Commission, Raleigh, North Carolina, 1999, e sempre dagli stessi autori: Development of the Paper-and-Pencil Work Importance Locator e Development of the Computerizd Work Importance Profiler, del 1999, sempre per il National Center for O*NET Development, Employment Security Commission, Raleigh, North Carolina.
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Le Working Conditions (sei Work Values) rilevano quelle professioni che offrono condizioni di lavoro importanti per coloro che apprezzano lo svolgere un lavoro molto vario, ben pagato sicuro, che tiene impegnati tutto il tempo, che consente di lavorare da
soli, che, infine, si svolge in situazioni ambientali ottimali.
La Recognition (quattro Work Values) coglie, invece, professioni che garantiscono riconoscimenti ed autorità, importanti per coloro che attribuiscono valore alle opportunità di carriera, al fornire direttive ad altre persone, ad avere riconoscimenti per il lavoro svolto, allo status sociale che la professione offre.
La dimensione delle Relationships (tre Work Values), a sua volta, individua quelle professioni in cui prevalgono gli aspetti sociali del lavoro, importanti per chi apprezza il lavorare in collaborazione in ambienti non competitivi, il non essere costretti a fare cose
che vanno contro i propri principi, il fare cose per altre persone.
Quella del Support (cinque Work Values), poi, rileva le professioni esercitate in ambienti in cui è forte il ruolo di supporto dell’organizzazione, importante per chi attribuisce valore all’essere trattato bene dall’impresa, all’essere sostenuto, protetto e ben addestrato dai propri supervisori.
La dimensione dell’Independence (tre Work Values), infine, coglie professioni che consentono libertà di azione nello svolgimento del lavoro, apprezzate da chi valuta importante sul lavoro dar corso alle proprie idee, prendere decisioni e pianificare le proprie attività senza o con pochi controlli.
Work Styles
Nell’articolazione delle Worker Characteristics i Work Styles colgono le varianti stilistiche con cui vengono svolte le attività lavorative legate alla professione. Diversamente dalle abilities, le informazioni raccolte qui dal Content Model colgono particolari attributi formatisi lungo il percorso di costruzione della personalità individuale: come le abilities, non sono facilmente modificabili e non possono del tutto
essere acquisiti attraverso percorsi di formazione, di istruzione o di addestramento
al lavoro.
Utilizzati nel lavoro tali attributi hanno certamente ricadute sul suo buon svolgimento poiché mettono in gioco modi di essere e di fare che informano il comportamento e le relazioni sociali, il senso di responsabilità e del dovere nei confronti dei propri compiti, l’iniziativa, la tenuta e l’intelligenza degli obiettivi fissati, la capacità di adattarsi ai cambiamenti e di far fronte agli imprevisti.
La loro presenza e il modo in cui vengono utilizzati sul lavoro discrimina e definisce
criteri di identificazione di professioni e di gruppi omogenei di professioni.
Anche per i Work Styles il metodo seguito dal gruppo di lavoro è stato quello di considerare i costrutti più frequenti, costanti, generalizzabili e discriminanti, rilevati come
fattori soggiacenti al buon svolgimento del lavoro da numerose ricerche empiriche sull’influenza della personalità nell’esercizio dell’attività lavorativa.
Tali costrutti, variamente denominati e collocati concettualmente dalle ricerche, sono stati identificati come riconducibili al concetto di Work Styles, definiti, talvolta rinominati con maggior coerenza semantica, infine ordinati, secondo l’importanza con
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cui sono stati accertati, in una tassonomia (Box 3) che ne rende possibile la rilevazione
e la misurazione 53.
Sono complessivamente sedici i Work Styles utilizzati dal Content Model, organizzati
in sette aree.
L’area dell’Achievement Orientation rileva quali modalità di tenuta e di impegno personale nel conseguimento degli obiettivi fissati vengono richiesti dall’attività lavorativa,
il tipo di persistenza necessaria per fronteggiare gli ostacoli che presenta e di disponibilità ad assumersi le responsabilità e le sfide che l’attività lavorativa comporta.
L’area della Social Influence rileva quale tipo di influenza sugli altri all’interno dell’organizzazione richiede il lavoro, quale attitudine ad essere autorevole, quale disponibilità a guidare, a farsi carico dei problemi e a fornire opinioni e consigli ad altre
persone.
L’area dell’Interpersonal Orientation coglie, sempre dal lato delle tipologie di relazioni sociali richieste dall’attività lavorativa, l’attitudine a risultare affabile, gradevole agli
altri, e che invoglia questi ultimi a lavorare insieme, a cooperare; la sensibilità ai loro bisogni, l’attitudine ad essere comprensivo e servizievole; a preferire il lavoro in gruppo e
i rapporti personali sul lavoro.
L’area dell’Adjustment coglie, sul versante della reattività soggettiva, le modalità di
adattamento emotivo richieste dal lavoro in termini di controllo delle proprie emozioni in situazioni di difficoltà, di controllo delle reazioni istintive e dei comportamenti aggressivi, di disponibilità ad accettare opinioni critiche al proprio operato, di capacità di
fronteggiare con calma fattiva situazioni di stress elevato, di adattarsi a situazioni di forte cambiamento e di elevata variabilità del posto di lavoro.
■ Box 3 ■ O*NET™. Tassonomia dei Work Styles
Achievement Orientation
Achievement /Effort
Persistence
Initiative
Social Influence
Leadership Orientation
Interpersonal Orientation
Cooperative
Caring
Social
Adjustment
Self-control
Stress Tolerance
Adaptability/Flexibility
Conscientiousness
Dependability
Attention to Detail
Integrity
Independence
Pratical Intelligence
Innovate
Analytical
Fonte: ns elaborazione su dati Boese, R., …, Summary…, cit., pp. 16-18.
53 Si veda a proposito l’ampia bibliografia riportata in Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 1220—12-26, e in particolare le Appendix 12-A, 12-B e 12-C.
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L’area della Conscientiousness rileva l’affidabilità, l’impegno, la cura e l’attenzione al
dettaglio nell’esecuzione dei compiti lavorativi, l’integrità, l’onestà e la torsione individuale a mantenere e privilegiare comportamenti moralmente corretti sul lavoro.
L’area dell’Independence coglie la capacità, richiesta dal lavoro, di fare quanto è previsto seguendo strategie individuali, di organizzarsi senza o con una limitata supervisione
di altri e di dipendere soprattutto da se stesso nello svolgimento dell’attività lavorativa.
Infine, l’area della Practical Intelligence rileva quale creatività, capacità di produrre
idee alternative o nuove è richiesta dal lavoro o nella soluzione dei problemi che sul lavoro si presentano, quale capacità di analisi delle informazioni o di approccio logico ai
problemi è necessaria per svolgere il lavoro.
3.1.2 Worker Requirements
Diversamente dalle Worker Characteristics l’area dei Worker Requirements rileva developed attributes dei lavoratori, vale a dire quelle qualità generalmente acquisite in percorsi di istruzione, consolidate e affinate dall’esperienza, che risultano determinanti nel definire il tipo di approccio richiesto da una professione, il modo con cui le attività lavorative vanno svolte e affrontate 54.
Dal punto di vista della professione sono attributi che riferiscono delle conoscenze
generalizzate necessarie al suo svolgimento, dei percorsi di istruzione in cui queste si acquisiscono e di quelle capacità che ne garantiscono trasferibilità, manutenzione e aggiornamento.
Si tratta, in altri termini, di attributi che definiscono qualità e livello della prestazione lavorativa come funzione dell’esperienza e della formazione.
L’area del Content Model li coglie nelle tipologie delle Basic Skills e delle Cross-Functional Skills, della General Knowledge e dell’Education.
(Basic & Cross-Functional) Skills
Fino a non molto tempo fa un individuo poteva investire in un percorso di istruzione più o meno lungo e acquisire lì un corpo di conoscenze che gli sarebbe stato utile per
tutta la vita.
Lo avrebbe utilizzato specialmente nel suo lavoro che si sarebbe svolto in un contesto
sociale e produttivo soggetto a cambiamenti relativamente lenti e sequenziali, comunque
in grado di garantire tempi e strumenti adeguati per i necessari aggiornamenti.
Con quel corpo di conoscenze, inoltre, avrebbe potuto continuare a svolgere sempre
lo stesso mestiere seguendo percorsi di carriera ben strutturati e definiti su tempi relativamente lunghi. Avrebbe potuto certamente muoversi fra organizzazioni o postazioni
di lavoro diverse, ma con la sostanziale aspettativa di cambiare professione solo di rado
e in conseguenza di avvenimenti particolari.
Negli ultimi decenni i processi di innovazione e di cambiamento derivati dall’introduzione di nuova tecnologia nel sistema sociale e produttivo sono diventati estrema54 Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 2-9—2-10, I-i—I-ii.
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mente rapidi ed accelerati diffondendosi con altrettanta rapidità ed accelerazione su scala mondiale.
Questo dato ha comportato nuove sfide per le organizzazioni e le imprese che si sono trovate a competere in un sistema produttivo globale che ha inevitabilmente premiato chi disponeva di forza lavoro in grado di padroneggiare rapidamente le tecnologie emergenti e gli effetti della loro introduzione nel ciclo produttivo.
Di conseguenza si è modificata, nei fatti, la logica della prestazione e della carriera
professionale e la stessa relazione fra la professione e il corpo di conoscenze su cui era
fondata.
Da un lato, infatti, il lavoratore si è trovato ad erogare le sue prestazioni in ambienti sempre più dinamici, soggetti al cambiamento e tecnologicamente orientati che hanno messo in crisi le preesistenti logiche di carriera, sostituendole con dinamiche più accelerate e strutturalmente diverse. In queste nuove condizioni gli individui nel corso della loro vita sono spinti a svolgere più attività lavorative e più professioni molto diverse
fra loro, muovendosi fra molte e altrettanto diverse organizzazioni.
Dall’altro, la progressiva instabilità e volatilità delle conoscenze legate all’esercizio di
una professione e la forte e generalizzata emergenza della mobilità fra professioni diverse
ha indotto i sistemi dell’istruzione e della formazione professionale a porsi il problema
di come dotare i propri utenti di strumenti cognitivi che li ponessero in grado di adattarsi rapidamente ai cambiamenti e di acquisire con questi strumenti le conoscenze necessarie ad affrontare nuovi e sempre diversi compiti ed attività lavorative 55.
È nell’ambito delle ricerche condotte soprattutto su questo tipo di problemi che è
stato tematizzato il concetto di skill, ripreso nel Content Model 56.
Tuttavia, per quanto corposa, la letteratura sull’argomento ha affrontato la questione generalmente dal punto di vista delle capacità richieste per eseguire bene una determinata performance, dando luogo ad una serie di diverse definizioni e segmentazioni
del concetto. Definizioni che spesso riferiscono di altri e diversi costrutti e che quasi
sempre risultano declinate e costruite a partire dalla performance presa in esame.
Ciononostante, gli studi e gli approfondimenti del gruppo di ricerca hanno consentito di mettere a punto una definizione del concetto ed una tassonomia (Box 4) che ne
coglie le dimensioni analitiche.
Una Skill, in questa definizione, è un insieme di procedure, di processi cognitivi generali che sottostanno alla efficace applicazione e acquisizione della conoscenza. Si tratta di processi appresi con l’istruzione e l’esperienza, modificabili da queste, che risultano rilevanti per lavorare con o per applicare conoscenze in una performance lavorativa
e che, con diverse estensioni e misure, sono comuni a tutte le professioni 57.
La tassonomia ne individua trentacinque distinguendole in due grandi aree analitiche che le raggruppano in ulteriori dimensioni.
55 Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 3-1—3-2.
56 Cfr. la corposa bibliogafia riportata in Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 3-60—3-75.
57 Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 3-3—3-6; Peterson, N.G., …, O*NET Final…, cit.,
pp. 3-2.
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■ Box 4 ■ O*NET™. Tassonomia delle Skills
Technical Skills
Operations Analysis
Technology Design
Equipment Selection
Installation
Programming
Operation Monitoring
Operation and Control
Equipment Maintenance
Troubleshooting
Repairing
Quality Control Analysis
Systems Skills
Judgment and Decision Making
Systems Analysis
Systems Evaluation
Resource Management Skills
Time Management
Management of Financial Resources
Management of Material Resources
Management of Personnel Resources
Basic Skills
Content
Reading Comprehension
Active Listening
Writing
Speaking
Mathematics
Science
Process
Critical Thinking
Active Learning
Learning Strategies
Monitoring
Cross-Functional Skills
Social Skills
Social Perceptiveness
Coordination
Persuasion
Negotiation
Instructing
Service Orientation
Complex Problem Solving Skills
Complex Problem Solving
Fonte: ns. elaborazione su dati Boese, R., …, Summary…, cit., pp. 18-21.
Le Basic Skills (dieci skills organizzate in due subaree) colgono sul versante dell’acquisizione e della veicolazione dell’informazione i processi di base che consentono di
padroneggiare i linguaggi (naturali o scientifici) e la comunicazione (Content Skills).
Sul versante dell’apprendimento, al contrario, rilevano quei modi di riflettere, di acquisire e di controllare le informazioni che le ricerche empiriche hanno dimostrato essere fondamentali per imparare ad apprendere (learning-to-learn) e a far fronte ai cambiamenti e alle innovazioni (Process Skills) 58.
Se padroneggiare i linguaggi e imparare ad apprendere costituiscono i fondamentali, le strutture di base dei processi cognitivi comuni a tutte le professioni, le Cross-Functional Skills (venticinque skills in cinque subaree) rilevano processi diversi, anche questi
in varia misura generalizzabili a tutte le professioni, che sottostanno alla effettiva applicazione della conoscenza nelle attività di lavoro e con i quali le Basic Skills di fatto interagiscono.
Così le Social Skills si attivano nelle interazioni che sul lavoro si stabiliscono con gli
altri, siano essi colleghi o destinatari dell’attività lavorativa. Qui sono rilevate, rispetto
a quanto richiesto dalla professione, la percezione delle reazioni degli altri e delle con58 Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 3-8—3-17.
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dizioni che le producono, l’adattamento e la coordinazione delle risposte a tali reazioni, gli stessi processi di generazione di tali risposte in termini di persuasione, di negoziazione, di trasferimento di informazioni, di individuazione dei modi per soddisfare le
esigenze degli altri 59.
Le Complex Probem Solving Skills, al contrario, colgono altri processi che consentono di affrontare e risolvere i problemi che si presentano sul lavoro attraverso procedure
che comportano la loro identificazione, la ricognizione dell’informazione necessaria a
precisare i termini in cui si pongono e l’individuazione e la valutazione di congruità delle soluzioni possibili 60.
Le Technical Skills, a loro volta, rilevano i processi attivati quando si lavora con le
macchine e in generale con la tecnologia; quelli attivati per disegnare prodotti analizzando i bisogni che dovranno soddisfare e i requisiti relativi; per realizzare o adattare attrezzature e tecnologie alle esigenze degli utenti; per individuare e installare strumenti
ed attrezzature necessari ad eseguire un lavoro; per programmare software; per monitorare macchine e strumentazioni; per controllare le attività di attrezzature e di sistemi;
per manutenerli e ripararli; per risolvere problemi imprevisti; per controllare la qualità
dei prodotti, dei servizi e dei processi realizzati e le stesse performance degli apparati che
li producono 61.
Le System Skills, poi, individuano i processi cognitivi utilizzati per capire, controllare e migliorare i sistemi socio-tecnici in termini di valutazione dei costi e dei benefici di
possibili azioni; di individuazione dell’azione più appropriata agli obiettivi perseguiti;
di determinazione dei modi con cui un sistema dovrebbe funzionare e di come eventuali cambiamenti provenienti dall’esterno o prodottisi al suo interno potrebbero modificare i risultati delle sue attività; di definizione di misure e di indicatori per valutare
le sue performance, per correggerle e migliorarle rispetto alle sue finalità 62.
Le Resources Management Skills, infine, colgono quei processi attivati per gestire efficacemente le risorse disponibili in termini di allocazione e gestione del tempo (proprio e degli altri); di determinazione e di contabilizzazione delle risorse finanziarie necessarie ad eseguire un lavoro; di individuazione e acquisizione delle attrezzature e dei
materiali più appropriati per svolgerlo; di selezione, motivazione e direzione del personale necessario 63.
General Knowledge
Definita come l’insieme strutturato dei fatti, delle informazioni, dei principi, delle
pratiche e delle teorie necessari al corretto svolgimento del lavoro, la General Knowledge costituisce il patrimonio cognitivo che la professione richiede a chi la esercita. Si tratta di attributi acquisiti attraverso l’istruzione formale, la formazione e l’addestramento
59
60
61
62
63
Ivi, pp. 3-25—3-31.
Ivi, pp. 3-17—3-24.
Ivi, pp. 3-31—3-42.
Ivi, pp. 3-42—3-49.
Ivi, pp. 3-49—3-56.
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professionale o la stessa esperienza, modificabili da quegli stessi percorsi, generalizzabili e consistenti nel distinguere professioni o gruppi omogenei di queste 64.
In genere si è portati a pensare alle conoscenze necessarie ad una professione come
elementi specifici di questa e la stessa definizione data non sembra, a prima vista, distante da questo modo di affrontare la questione. Alcune conoscenze possono certamente essere più generali ed estensibili a più professioni, ma la gran parte di quelle applicate e, in particolare quelle che costituiscono insiemi stutturati di informazioni, fatti, principi, pratiche, teorie, in genere si assume come specifica della professione esercitata. E d’altronde, la stessa letteratura in materia ha analizzato il problema sostanzialmente da quest’ultimo punto di vista.
Tuttavia, l’informazione rilevata in quest’area fa riferimento ai Cross-Occupational
Descriptors del Content Model, è, cioè, finalizzata a cogliere descrittori, nel caso specifico orientati al lavoratore, generalizzabili e in varia misura applicabili a tutte le professioni.
In questo senso la General Knowledge costituisce l’orizzonte cognitivo, la struttura
portante su cui si innestano e si sviluppano le conoscenze specialistiche della professione.
Anche qui, in altri termini, sono i componenti di questa struttura ad essere, in varia
misura, comuni e generalizzabili ed è il loro complesso dosaggio a costruire la struttura
cognitiva di sfondo richiesta dalla professione.
Il problema è, dunque, individuarli e definirli in una tassonomia.
Sotto quest’aspetto la ricerca del gruppo di lavoro si è rilevata particolarmente
complessa.
Da un lato, infatti, si è trovato ad affrontare la questione lavorando su una letteratura frammentata e dispersa, che, quando poneva il problema nei termini richiesti, produceva risultati, certamente significativi, ma troppo limitati per la costruzione di una tassonomia in grado di cogliere compiutamente l’informazione necessaria
al modello.
Su un altro versante, poi, le ricerche condotte in ambito educativo risultavano orientate alla definizione dei curricula formativi e dunque non erano in grado di riflettere i
requisiti generali di conoscenza richiesti dalle professioni.
In questo quadro già abbastanza complesso, la Classification of Institutional Programs
(CIP) 65 – che raccoglie ed ordina l’offerta formativa istituzionale del sistema di istruzione statunitense – risultava già utilizzata in combinazione con le statistiche del lavoro in un altro sistema di classificazione, definito dal National Occupational Information
Coordinating Committee (NOICC) e finalizzato al raccordo fra la domanda di professioni proveniente dal mercato e i dati sull’offerta generata dal sistema di istruzione, raccolti dallo State Occupational Information Coordinating Committee (SOICC).
64 Ivi, pp. 4-1.
65 U.S. Department of Education, Classification of Instructional Programs, U.S. Department of Education,
1993.
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Bisognava, dunque, non solo costruire ex novo una tassonomia ma anche ricondurla a quest’ultimo sistema di classificazione per rendere disponibile un’informazione più
fine ed accurata sulle professioni.
Entrambi gli aspetti sono stati affrontati con decisioni pratiche.
Così, oltre alla ricognizione della letteratura sono state analizzate le informazioni sui
compiti (tasks) repertoriati dal Dictionary of Occupational Titles (DOT) per ciascuna professione e tradotte in termini di conoscenze sottostanti.
L’esteso e dettagliato elenco di conoscenze ottenuto in tal modo è stato più volte elaborato, allo scopo di ridurlo in gruppi di conoscenze via via sempre più omogenei e generalizzabili a set sempre più estesi di professioni. Tali gruppi, poi, sono stati definiti in
modo da essere raccordabili alla classificazione NOICC 66.
La tassonomia finale, rivista e validata (Box 5), comprende trentatre conoscenze organizzate in dieci grandi aree 67.
L’area del Business and Management (sei Knowledges) rileva la conoscenza, richiesta
dalla professione, dei principi e dei fatti correlati alla gestione, all’organizzazione burocratica e alla contabilità di impresa; alla vendita e alla commercializzazione dei prodot-
■ Box 5 ■ O*NET™. Tassonomia della General Knowledge
Psychology
Sociology and Anthropology
Geography
Health Services
Medicine and Dentistry
Therapy and Counseling
Education and Training
Education and Training
Arts and Humanities
English Language
Foreign Language
Fine Arts
History and Archeology
Philosophy and Theology
Law and Public Safety
Public Safety and Security
Law and Government
Communications
Telecommunications
Communications and Media
Transportation
Business and Management
Administration and Management
Clerical
Economics and Accounting
Sales and Marketing
Customer and Personal Service
Personnel and Human Resources
Manufacturing and Production
Production and Processing
Food Production
Engineering and Technology
Computers and Electronics
Engineering and Technology
Design
Building and Construction
Mechanical
Mathematics and Science
Mathematics
Physics
Chemistry
Biology
Fonte: ns. elaborazione su dati Boese, R., …, Summary…, cit., pp. 21-25.
66 Ivi, pp. 4-2—4-14.
67 Ivi, pp. 4-14—4-21; Peterson, N.G., …, O*NET Final…, cit., pp. 4-1—4-26.
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ti; alla cura e alla fornitura di servizi a clienti o a persone e alla valutazione della loro
qualità; alla gestione delle risorse umane e materiali nelle organizzazioni.
L’area del Manifacturing and Production (due Knowledges) coglie la conoscenza di
principi e fatti connessi alla produzione, alla trasformazione, allo stoccaggio e alla distribuzione dei prodotti agricoli e manifatturieri.
L’area dell’Engineering and Technology (cinque Knowledges) individua la conoscenza
dei principi e dei fatti relativi all’uso, alla progettazione, al disegno ed all’applicazione
della tecnologia per scopi specifici.
L’area delle Mathematics and Science (sette Knowledges) rileva la conoscenza della storia, dei metodi delle teorie e delle applicazioni delle scienze matematiche, fisiche, chimiche, biologiche, sociali, psicologiche e geografiche.
L’area degli Health Services (due Knowledges) coglie la conoscenza dei principi e dei
fatti inerenti la diagnosi, la cura e la prevenzione delle malattie e il mantenimento e il
miglioramento della salute fisica e mentale.
L’area dell’Education and Training (una Knowledge) rileva le conoscenze in materia
di metodi per la definizione dei curricula e dei percorsi formativi, per l’insegnamento e
per la misurazione degli esiti formativi.
L’area delle Arts and Humanities (cinque Knowledges) coglie la conoscenza dei principi e dei fatti nel campo storico, linguistico, della produzione artistica e del pensiero.
L’area della Law and Public Safety (due Knowledges) rileva la conoscenza dei regolamenti e dei metodi per mantenere e salvaguardare la convivenza sociale e per tutelare i
beni e la proprietà, delle regole di comportamento sociale stabilite dalla legislazione e
dei processi politici che li generano.
L’area delle Communications (tre Knowledges), infine, coglie la conoscenza dei principi, dei fatti e delle tecniche concernenti la diffusione dell’informazione e lo spostamento di gente e di oggetti.
Education
Questa tipologia di informazione rileva l’istruzione richiesta dalla professione.
A differenza della General Knowledge che individua il corpo delle conoscenze necessario per svolgere la professione, l’Education coglie l’istruzione acquisita attraverso percorsi formali di studio, entro cui quel corpo di conoscenze si produce.
La letteratura in materia, d’altra parte, ha continuamente dimostrato come sia l’istruzione formale ad influenzare in modo determinante l’acquisizione delle Knowledges
e delle Skills richieste dalla professione e a definire la struttura e la strumentazione cognitiva con cui quei saperi e quelle capacità si sviluppano e si perfezionano nel tempo,
metabolizzando il cambiamento e l’innovazione 68.
Non solo e non tanto nel senso, ovvio e scontato, che per svolgere compiutamente
la professione di medico è necessario aver frequentato l’università e conseguito una laurea in medicina, quanto, piuttosto, nel senso che la citata complessità dei cambiamen68 Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 5-1—5-3.
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ti in atto pone sfide severe ai sistemi dell’istruzione, richiedendo, per essere governata,
lavoratori più e meglio istruiti.
Si tratta, dunque, di un’informazione cruciale per connotare e distinguere le professioni.
Sono due i modi con cui viene rilevata dal Content Model.
Il primo coglie il livello di istruzione richiesto dalla professione (Box 6), prendendo
a riferimento i diplomi e i certificati rilasciati dal sistema di istruzione statunitense a
completamento di un percorso di studi. Approssima, cioè, al conseguimento di quello
che in Italia chiameremmo un «titolo di studio», la quantità di istruzione formale richiesta dalla professione.
Il secondo modo rileverebbe 69, accertato il livello, il tipo eventuale di istruzione richiesta.
L’analisi delle relative tassonomie trattate dalla letteratura ha portato il gruppo di lavoro a scegliere di derivare quella più opportuna per il Content Model dalla citata Classification of Instructional Program 70 mettendo a frutto i suoi raccordi con le famiglie di
professioni oggetto di indagine nelle Occupational Employment Statistics e con le informazioni riportate nel Dictionary of Occupational Titles.
■ Box 6 ■ O*NET™. Livello di istruzione richiesto dalla professione
Less than a High School Diploma
High School Diploma (or GED, or High School Equivalence Certificate)
Post-Secondary Certificate (awarded for training completed after high school)
Some College Courses
Associate’s Degree (or other 2-year degree)
Bachelor’s Degree
Post-Baccalaureate Certificate (awarded for completion of an organized program of study; designed for people who have completed a Baccalaureate degree but do not meet the requirements of academic degrees carrying the title of Master)
Master’s Degree
Post-Master’s Certificate (awarded for completion of an organized program of study; designed for people who have completed a Master’s degree but do not meet the requirements
of academic degrees at the doctoral level)
First Professional Degree (awarded for completion of a program that requires at least 2 years
of college work before entrance into the program, includes a total of at least 6 academic
years of work to complete, and provides all remaining academic requirements to begin practice in a profession)
Doctoral Degree
Post-Doctoral Training
Fonte: http://onet.rti.org/pdf/Knowledge.pdf; question 34. Ns. elaborazione
69 Il condizionale è d’obbligo perché questa informazione, pur essendo prevista dal Content Model, non è
ancora rilevata e resa disponibile dal sistema; cfr. Boese, R., …, Summary…, cit., pp. 26-27.
70 U.S. Department of Education, Classification of…, cit.
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La tassonomia così derivata, e validata non senza problemi, individua quindici diverse aree disciplinari a cui è possibile ricondurre le circa 1800 diverse specializzazioni
offerte dal sistema di istruzione statunitense (Box 7) 71.
3.1.3 Experience Requirements
Come l’istruzione e gli altri elementi che definiscono l’apparato cognitivo richiesto ad
un individuo, anche gli Experience Requirements nel Content Model sono considerati attributi del lavoratore.
■ Box 7 ■ O*NET™. Specializzazioni dei percorsi di istruzione
Technical Vocational (Courses focus on non-business technical skills, such as Agriculture, Industrial Arts, Automobile and Shop, and Electronics)
Business Vocational (Courses focus on basic business skills, such as Word Processing, Filing,
Book-keeping/Basic Accounting)
English/Language Arts (Courses focus on reading, interpretation, and writing, such as Literature, Composition, Journalism, and Creative Writing)
Oral Communication (Courses focus on oral communication and speech, such as Oral Communication, Speech, and Interpersonal Communication)
Languages (Courses focus on reading, writing, and/or speaking languages other than English,
such as French, Chinese, German, Japanese, Latin, Russian, and Spanish)
Basic Math (Courses focus on basic and applied math, such as General Math and Business Math)
Advanced Math (Courses focus on advanced topics in math, such as Algebra, Geometry, Calculus, and Statistics)
Physical Science (Courses focus on the study of matter and/or energy, such as Physics, Chemistry,
and Astronomy)
Computer Science (Courses focus on computers and their uses, such as Programming, Information Systems Management, and Software Applications)
Biological Science (Courses focus on the study of life and living beings, such as life science, biology, anatomy and physiology)
Applied Science (Courses focus on the application of science, such as Engineering, Health, and
Medicine)
Social Science (Courses focus on the behavioral sciences, such as Social Studies, Economics, History, Psychology, and Sociology)
Arts (Courses focus on visual and performing arts, such as Arts and Crafts, Music, Painting,
Sculpture, Theater, and Voice)
Humanities (Courses focus on cultural and philosophical aspects of humans, such as Minority
Studies, Philosophy, and Religion)
Physical Education (Courses focus on physical fitness and sports, such as Aerobics, Jogging,
Weight Lifting, and Specific Sports)
Fonte: ns. elaborazione su dati Boese, R., …, Summary…, cit., pp. 26-27.
71 Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 5-3—5-12; Peterson, N.G., …, O*NET Final…, cit.,
pp. 5-20—5-21.
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Tuttavia, a differenza dei primi, che colgono la struttura cognitiva generale necessaria per esercitare la professione, questi si producono esercitando una specifica professione, eseguendo compiti ed attività legate a quella prestazione lavorativa, o, più in generale, acquisendo titoli e certificazioni che costituiscono requisiti di accesso alla professione stessa.
Per questa particolare natura costituiscono un dominio informativo a sé stante che
descrive la professione con informazioni specifiche, ma che, nel contempo, risultano generalizzabili; che rileva, certamente, attributi del lavoratore, i quali, però, non possono
non essere descritti se non come tipici di una particolare professione 72.
Experience, Training e Licensing costituiscono i tre domini dell’informazione qui rilevata.
Experience, Training & Licensing
I tre dominii rilevano, da diversi punti di vista, requisiti e prerequisiti di accesso alla professione.
Si tratta, in sostanza, di tipi di esperienze attraverso i quali gli individui acquisiscono le conoscenze e le competenze che ci si aspetta abbiano per poter svolgere la professione o seguire i suoi percorsi di carriera 73.
In particolare, Experience e Training colgono l’esperienza lavorativa dai due punti di
vista dell’effettiva esperienza maturata svolgendo per più tempo lo stesso lavoro o lavori simili, e di quella maturata con l’addestramento; sia questo acquisito attraverso percorsi organizzati di formazione professionale (In plant training), o sul lavoro, affiancati
da un lavoratore esperto (On the job training); o, ancora, attraverso un periodo di internato o di apprendistato in cui la formazione si alterna al lavoro (Apprenticeship).
Entrambe le tipologie di esperienza possono essere rilevate in termini di ammontare di tempo impiegato per acquisirle e nel Content Model tale ammontare è definito dalle modalità riportate nel Box 8.
Tuttavia, il tempo trascorso ad acquisire in vario modo esperienza lavorativa non è
l’unica dimensione possibile, né, tantomeno, la più esaustiva.
Aver maturato esperienza in una professione comporta, infatti, l’aver acquisito le capacità necessarie a svolgere bene le attività lavorative e i compiti connessi.
Un altro approccio per definire questo tipo informazione, in altri termini, guarda all’esperienza considerandola in relazione alle Skills che il lavoratore ha avuto modo di acquisire nel tempo in cui l’ha maturata.
In questa logica, il Content Model prevederebbe una sua più puntuale definizione utilizzando la tassonomia già adottata per le (Basic &Cross-Functional) Skills, rilevandola,
tuttavia, in termini di requisiti di base per accedere alla professione (entry level) 74.
72 Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 2-10—2-11.
73 Ivi, p. 9-1.
74 Ivi, pp. 9-1—9-10. Anche qui il condizionale è d’obbligo perché questa informazione pur essendo prevista non è ancora rilevata e resa disponibile dal sistema; cfr. Boese, R., …, Summary…, cit., pp. 27-30.
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■ Box 8 ■ O*NET™. Requisiti di esperienza e di formazione. Durata
Experience
None
Up to and including 1 month
Over 1 month, up to and including 3 months
Over 3 months, up to and including 6 months
Over 6 months, up to and including 1 year
Over 1 year, up to and including 2 years
Over 2 years, up to and including 4 years
Over 4 years, up to and including 6 years
Over 6 years, up to and including 8 years
Over 8 years, up to and including 10 years
Over 10 years
On the job training
None or short demonstration
Anything beyond short demonstration, up to
and including 1 month
Over 1 month, up to and including 3 months
Over 3 months, up to and including 6 months
Over 6 months, up to and including 1 year
Over 1 year, up to and including 2 years
Over 2 years, up to and including 4 years
Over 4 years, up to and including 10 years
Over 10 years
In plant training
None
Up to and including 1 month
Over 1 month, up to and including 3 months
Over 3 months, up to and including 6 months
Over 6 months, up to and including 1 year
Over 1 year, up to and including 2 years
Over 2 years, up to and including 4 years
Over 4 years, up to and including 10 years
Over 10 years
Apprenticeship
None
Up to and including 1 year
Over 1 year, up to and including 2 years
Over 2 years, up to and including 3 years
Over 3 years, up to and including 4 years
Over 4 years, up to and including 5 years
Over 5 years, up to and including 6 years
Fonte: http://onet.rti.org/pdf/Knowledge.pdf, questions 35-38. Ns. elaborazione
Il Licensing, infine, individua le certificazioni, gli attestati professionali, le iscrizioni ad
albi o ad associazioni professionali conseguiti per dimostrare il possesso delle conoscenze e
delle capacità richieste da una specifica professione, siano queste previste obbligatoriamente dalla legge per esercitarla, o richieste, in vario modo e misura, dal mercato del lavoro 75.
3.1.4 Occupation Requirements
I Worker-Oriented Descriptors sin qui presi in esame individuano quegli attributi del lavoratore su cui sostanzialmente si fondano i comportamenti attesi dalla professione. Individuano, cioè, quelle caratteristiche e quei requisiti che, in vario modo e misura, determinano il corretto svolgimento dei compiti e delle attività lavorative legate all’esercizio della professione.
Tuttavia, gli individui lavorano concretamente e lo fanno in contesti organizzativi e
ambientali soggetti a cambiamenti ed è il lavoro concretamente svolto in quei contesti
e in quegli ambienti ad interagire con quelle caratteristiche e quei requisiti.
In questa sezione, il Content Model affronta questi temi raccogliendo quelle informazioni sulla struttura delle attività lavorative e sui contesti in cui la professione si svolge, che afferiscono al dominio dei Job Oriented Descriptors.
75 Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 9-11—9-12.
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Si tratta di Requirements della professione, di attributi, cioè, non stabili nel tempo e
in qualche modo modificabili, che risultano generalizzabili e rilevanti nel distinguere le
professioni o gruppi omogenei di queste.
Tre le aree di informazione: Generalized Work Activities, Work Context e Organizational Context.
Generalized Work Activities (GWA)
Definibili come attività che descrivono nei termini più astratti il lavoro umano, le
Generalized Work Activities colgono processi, pratiche, interazioni e comportamenti che
soggiacciono ai compiti specifici svolti con le singole professioni.
Rappresentano, in altre parole, la riduzione della molteplicità e della complessità degli specifici contenuti lavorativi a tipologie comuni e generalizzabili che disegnano la
struttura concettuale entro cui può essere compreso il lavoro: il loro complesso dosaggio e il modo in cui questo rappresenta la struttura dei contenuti lavorativi di ciascuna
professione consente di rilevare quanto di simile e quanto di diverso le professioni hanno l’una dall’altra 76, risultando di particolare utilità ai fini del Content Model.
In letteratura, il problema del come rappresentare il lavoro concreto è stato sistematicamente affrontato sin dagli inizi degli anni Sessanta con una notevole produzione di
ricerche empiriche 77, che, pur partendo da differenti approcci e obiettivi, hanno dato
luogo a risultati consistenti nella individuazione delle dimensioni su cui fondare tale
rappresentazione e nella loro giustificazione sul piano della teoria.
Fra tutte, per il gruppo di lavoro sono risultate di particolare interesse le ricerche basate sui paradigmi della psicologia cognitiva, rielaborati nel contesto della teoria dell’informazione.
Quei paradigmi assumono che ogni comportamento – non solo umano – può essere ricondotto e spiegato da un modello a tre fasi dove uno stimolo S viene recepito da
un organismo O che lo rielabora producendo un risposta R.
Visto nell’ottica della teoria dell’informazione e applicato al lavoro, il modello S-OR individuerebbe le componenti primarie di ogni comportamento lavorativo in una informazione che si produce in un contesto ed è ricevuta dal lavoratore (S), nel processo
di mediazione e di rielaborazione a cui questi la sottopone (O) e nell’output di lavoro a
cui i due processi danno luogo(R).
Secondo quegli approcci, in altri termini, ogni attività particolare di lavoro si genera all’interno di un modello in cui entrano informazioni (Information Input) che vengono elaborate dai processi mentali degli individui (Mental Processes) i quali, in questo
quadro, producono l’attività lavorativa attesa (Work Output) stabilendo interazioni con
altri individui (Interacting With Others), all’interno di un contesto fisico, sociale e organizzativo di lavoro (Work & Organizational Context) 78.
76 Ivi, pp. 6-2—6-3.
77 Anche se non mancano studi precedenti. Si veda l’estesa bibliografia riportata riportata ivi, pp. 6-83—
6-99.
78 Ivi, pp. 6-2—6-36.
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Le ricerche empiriche condotte con questa logica hanno analizzato il lavoro individuando quelle attività e quei comportamenti lavorativi generalizzabili che, collocati all’interno del modello, in definitiva, descrivono il lavoro umano nelle sue componenti
principali.
La disamina dei relativi risultati ha reso possibile la messa a punto della tassonomia
adottata per il Content Model (Box 9).
■ Box 9 ■ O*NET™. Tassonomia delle Generalized Work Activities
Information Input
Looking for/Receiving Job-Related
Information
Getting Information
Monitor Processes, Materials,
or Surroundings
Identify/Evaluating Job-Relevant
Information
Identifying Objects, Actions, and Events
Inspecting Equipment, Structures, or
Material
Estimating the Quantifiable
Characteristics of Products, Events, or
Information
Mental Processes
Information/Data Processing
Judging the Qualities of Things,
Services, or People
Processing Information
Evaluating Information to Determine
Compliance with Standards
Analyzing Data or Information
Reasoning/Decision Making
Making Decisions and Solving Problems
Thinking Creatively
Updating and Using Relevant
Knowledge
Developing Objectives and Strategies
Scheduling Work and Activities
Organizing, Planning, and Prioritizing
Work
Work Output
Performing Physical and Manual Work
Activities
Performing General Physical Activities
Handling and Moving Objects
Controlling Machines and Processes
Operating Vehicles, Mechanized
Devices, or Equipment
Performing Complex/Technical Activities
Interacting With Computers
Drafting, Layingout, and Specifying
Technical Devices, Parts, and Equipment
Repairing and Maintaining Mechanical
Equipment
Repairing and Maintaining Electronic
Equipment
Documenting/Recording Information
Interacting With Others
Communicating/Interacting
Interpreting the Meaning of Information
for Others
Communicating with Supervisors, Peers,
or Subordinates
Communicating with Persons Outside
Organization
Establishing and Maintaining
Interpersonal Relationships
Assisting and Caring for Others
Selling or Influencing Others
Resolving Conflicts and Negotiating with
Others
Performing for or Working Directly with
the Public
Coordinating/Developing/Managing/
Advising
Coordinating the Work and Activities
of Others
Developing and Building Teams
Training and Teaching Others
Guiding, Directing, and Motivating
Subordinates
Coaching and Developing Others
Provide Consultation and Advice to
Others
Administering
Performing Administrative Activities
Staffing Organizational Units
Monitoring and Controlling Resources
Fonte: ns. elaborazione su dati Boese, R., …, Summary…, cit., pp. 32-36.
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Sono quarantuno, organizzate su quattro dimensioni a loro volta distinte in ulteriori nove costrutti, le GWA individuate dalla tassonomia 79.
La dimensione dell’Information Input (cinque GWA in due costrutti) è colta da tipi
di attività lavorativa che generano l’informazione necessaria allo svolgimento del lavoro e che consentono di individuarla sia rispetto alle procedure con cui viene acquisita
sia rispetto ai modi con cui viene indentificata e selezionata.
Dieci GWA, organizzate in due costrutti, colgono, poi, la dimensione dei Mental
Processes attivati nel trattamento di tale informazione, considerando il tipo di elaborazione a cui l’informazione viene sottoposta e le modalità di pensiero che tale trattamento
richiede.
La dimensione del Work Output, ancora, è rilevata da GWA (nove in due costrutti)
che individuano gli esiti del processo di acquisizione e di trattamento dell’informazione nei termini della manualità e della complessità che caratterizzano l’attività lavorativa prodotta.
Diciassette GWA, organizzate in tre costrutti, rilevano, infine, la dimensione dell’Interacting With Others, cogliendola rispetto alle attività di comunicazione e di interazione con altre persone; di quelle inerenti al loro coordinamento, alla loro gestione e alla loro organizzazione, implicate dallo svolgimento del lavoro.
Work Context
Ciascuna attività lavorativa si svolge in situazioni relazionali e in condizioni fisiche
che costituiscono l’ambiente circostante, il contesto più prossimo che interagisce con
l’individuo e condiziona il comportamento lavorativo atteso.
Gli elementi che costituiscono questo contesto risultano determinanti nell’analisi
dell’attività lavorativa concreta e nella definizione dei suoi modelli di rappresentazione:
da tali elementi non si può prescindere per comprenderla compiutamente 80.
In letteratura, d’altronde, sono particolarmente rare le ricerche che non colgono, anche solo in parte, questo particolare aspetto della professione nel suo svolgersi.
Nondimeno, i risultati cui nel complesso è pervenuta la ricerca non sono approdati
ad una definizione strutturata e comprensiva dell’insieme dei costrutti in grado di rappresentare analiticamente l’ambiente in cui il lavoro si svolge.
Così, le ricerche mediche hanno individuato alcuni aspetti contestuali del lavoro come fattori sottostanti all’eziologia e al decorso di malattie, stress e lesioni connesse con
l’esercizio di determinate professioni; le ricerche psicologiche hanno approfondito le dinamiche di gruppo e le interazioni che si stabiliscono sul lavoro individuando i loro impatti sulle performance dei lavoratori; quelle di ingegneria industriale hanno analizzato i fattori sottostanti all’ergonomia del posto di lavoro e quelle dirette a disegnarlo hanno tentato di determinare sistemazioni fisiche ottimali tecnicamente efficienti e socialmente facilitanti per il lavoro.
79 Ivi, pp. 6-36—6-82.
80 Ivi, pp. 7-1—7-3.
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In altri termini, come per altri aspetti, anche l’analisi del Work Context risulta estesa
e diffusa in un gamma ampia di ricerche afferenti a più ambiti disciplinari, che in genere hanno approfondito e studiato, di volta in volta, quelle dimensioni ritenute rilevanti per i propri obiettivi 81.
Anche qui, insomma, il lavoro dei ricercatori del Department of Labor è consistito
nell’individuare definizioni e costrutti costanti e generalizzabili e di ridefinirli in una
struttura concettuale in grado di analizzare e rilevare questo aspetto particolare del lavoro concreto e di caratterizzare e distinguere le professioni 82.
In questa struttura il Work Context è definito come una sorta di spazio lavorativo individuato dalle tre dimensioni delle Interpersonal Relationship, delle Structural Job Characteristics e delle Phisical Work Conditions 83.
All’interno di questo spazio i rapporti con le persone, le condizioni fisiche in cui il
lavoro si svolge e gli stessi caratteri strutturali del lavoro rappresentano elementi che di
volta in volta possono costituire fattori di stress, problemi ovvero situazioni stimolanti
e incentivanti che influenzano in maniera determinante i processi in cui si genera l’attività lavorativa, i suoi esiti e le stesse performance del lavoratore.
Si tratta, insomma, di dimensioni che individuano le situazioni dove insistono e si
generano, secondo il modello descritto nel paragrafo precedente, le informazioni necessarie all’attività lavorativa e in cui il lavoratore fornisce le risposte richieste.
Le tre dimensioni individuate risultano analiticamente distinte nelle ulteriori dimensioni e costrutti con cui è stata messa a punto la tassonomia utilizzata nel Content
Model (Box 10) 84.
Sono cinquantasei i contesti e le condizioni di lavoro che la tassonomia organizza
nelle tre grandi dimensioni.
Sicché le Interpersonal Relationships (quattordici contesti in due dimensioni distinte
in ulteriori quattro) colgono i contesti comunicativi in cui avviene il lavoro rilevando i
metodi di comunicazione prevalenti, le relazioni di ruolo che si stabiliscono sul lavoro
in termini di interazione con altri colleghi; di responsabilità della salute e della sicurezza del personale; degli stessi risultati del lavoro; della frequenza con cui si verificano situazioni di conflitto o di tensione fra persone.
Le Physical Work Conditions (trenta contesti in cinque dimensioni e cinque sottodimensioni) rilevano gli ambienti e le condizioni fisiche in cui il lavoro si svolge; i rischi
a cui espone il lavoro, la frequenza con cui richiede particolari posture o attività fisiche
e di indossare equipaggiamenti di sicurezza.
Infine, le Structural Job Characteristics (tredici contesti in cinque dimensioni) individuano le criticità del lavoro rispetto alla possibilità di commettere seri errori; le possibilità di prendere decisioni; il loro grado di libertà e le conseguenze che esse hanno sugli altri lavoratori e sui risultati di impresa; il livello di automazione e di strutturazione
81
82
83
84
Ivi, pp. 7-3—7-8.
Cfr. ivi Appendix 7-A e la consistente bibliografia a pp. 7-39—7-53.
Ivi, pp. 7-8—7-10.
Ivi pp. 7-10—7-36.
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■ Box 10 ■ O*NET™. Tassonomia del Work Context
Interpersonal Relationships
Communication
Communication Methods
Public Speaking
Telephone
Electronic Mail
Letters and Memos
Face-to-Face Discussions
Contact With Others
Role Relationships
Job Interactions
Work With Work Group or Team
Deal With External Customers
Coordinate or Lead Others
Responsibility for Others
Responsible for Others’ Health
and Safety
Responsibility for Outcomes and Results
Conflictual Contact
Frequency of Conflict Situations
Deal With Unpleasant/Angry People
Deal With Physically Aggressive People
Physical Work Conditions
Work Setting
Frequency Required to Work
Indoors, Environmentally Controlled
Indoors, Not Environmentally Controlled
Outdoors, Exposed to Weather
Outdoors, Under Cover
In an Open Vehicle or Equipment
In an Enclosed Vehicle or Equipment
Physical Proximity
Environmental Conditions
Frequency in Environmental Conditions
Unconfortable Sounds/Noise Levels
Very Hot or Cold Temperatures
Extremely Bright or Inadequate
Lighting
Exposed to Contaminates
Cramped Work Space, Awkward
Positions
Exposed to Whole Body Vibration
Job Hazards
Frequency of Exposure to Job Hazards
Exposed to Radiation
Exposed to Disease/Infections
Exposed to High Places
Exposed to Hazardous Conditions
Exposed to Hazardous Equipment
Exposed to Minor Burns, Cuts, Bites
or Stings
Job Demands
Time Spent in Body Positions
Sitting
Standing
Climbing Ladders, Scaffolds, Poles
Walking and Running
Kneeling, Crouching, Stooping or
Crawling
Keeping or Regaining
Using Hands to Handle, Control, or Feel
Objects, Tools, or Controls
Bending or Twisting the Body
Making Repetitive Motions
Frequency of Wearing Work Attire
Wear Common Protective or Safety
Equipment
Wear Specialized Protective
or Safety Equipment
Structural Job Characteristics
Criticality of Position
Consequence of Error
Impact of Decisions
Impact of Decisions on Co-workers
or Company Results
Frequency of Decision Making
Freedom to Make Decisions
Routine versus Challenging Work
Degree of Automation
Importance of Being Exact
or Accurate
Importance of Repeating Same Tasks
Structured versus Unstructured Work
Competition
Level of Competition
Pace and Scheduling
Time Pressure
Pace Determined by Speed of Equipment
Work Schedules
Duration of Typical Work Week
Fonte: ns. elaborazione su dati Boese, R., …, Summary…, cit., pp. 44-51.
delle attività lavorative; il livello di competizione sul lavoro, i tempi, le scansioni e le
modalità di programmazione e di esecuzione del lavoro stesso.
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Organizational Context
Se il Work Context individua le condizioni fisiche e relazionali date entro cui si svolge il lavoro, l’Organizational Context coglie il contesto strutturale e relazionale generato dall’impresa (o dall’ente, dall’organizzazione) che interviene fattualmente sulla natura del lavoro svolto mediando fra la prestazione lavorativa individuale e i contesti in
cui viene esercitata e definendo le condizioni ottimali della sua erogazione.
La ricerca sulle strutture e sugli assetti con cui le imprese organizzano il lavoro e la
produzione è molto ricca, estesa e particolarmente centrata. Sono certamente diversi gli
approcci, che di volta in volta possono approfondire la struttura organizzativa, la tipologia dell’organizzazione, i sistemi e le pratiche di gestione delle risorse umane, gli assetti sociotecnici e relazionali e dar luogo a costrutti e teorie diverse, ma il fuoco della
ricerca resta comunque l’organizzazione, l’impresa e il modo con cui si adatta al suo ambiente e influenza il comportamento delle persone che organizza 85.
Tuttavia, se da un lato questa caratteristica della ricerca semplifica i problemi di sistematizzazione dei risultati e delle teorie cui da luogo; dall’altro, trattandosi di studi
centrati sulle organizzazioni ne pone altri di diversa natura quando si tratta di individuare concetti e costrutti validi anche per caratterizzare e distinguere le professioni.
L’approccio individuato dal gruppo di lavoro sul Content Model risolve la questione della diversità dei due campi di analisi cogliendo, fra i risultati delle ricerche, quei
costrutti in grado di rilevare quelle condizioni organizzative che, considerate dal lato
delle professioni, risultano utili per caratterizzarle e distinguerle. Seguendo questa logica, i ricercatori del Department of Labor hanno ritenuto che fra i fattori che le ricerche empiriche hanno rilevato come distintivi nella definizione degli assetti organizzativi delle imprese, fossero più pertinenti quelli in grado di predire il lavoro high-performance 86.
Nell’economia del Content Model, in altri termini, l’informazione sull’Organizational Context non coglie tanto la collocazione della professione nell’organizzazione del
processo produttivo 87, quanto, piuttosto, quelle condizioni, quelle pratiche, quegli assetti organizzativi attivati dalle imprese per assicurare elevate prestazioni ed elevata produttività al lavoro e che intervengono a definire l’ambiente complessivo in cui la professione si svolge.
85 Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 8-46—8-57 e ivi l’Appendix 8-A.
86 Ivi, pp. 8-1—8-7.
87 Questo tipo di informazione era colta già dal DOT e le raccomandazioni dell’APDOT consigliavano di
mantenerla. In tal senso il gruppo di lavoro sul Content Model ha ritenuto di dover indicare nella SIC
(Standard Industry Classification, ora NAICS, North America Industry Classification Standard) la classificazione più appropriata per cogliere questo aspetto, usando come proxy dell’organizzazione del lavoro,
il settore di attività economica dell’impresa in cui la professione risulta svolgersi prevalentemente. Tuttavia nell’attuale implementazione dell’Occupational Information Network le professioni non risultano
ancora classificate secondo quel sistema né questa possibilità è mai stata prevista dalle varie release del
relativo data set. Cfr. ivi, p. 8-24 e Boese, R., …, Summary…, cit.
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La tassonomia così messa a punto rileverebbe sessantacinque Organizational Context sistemati in due grandi dimensioni, a loro volta distinte in ulteriori trentadue sottodimensioni, organizzate su più livelli (Box 11) 88.
La prima delle due grandi dimensioni, quella delle Structural Characteristics (trentaquattro contesti in ventidue sottodimensioni), rileva, da un lato, la struttura organizzativa in cui la professione risulta collocata cogliendone: 1) i processi decisionali rispetto
al loro decentramento e al trasferimento di autorità, controllo e potere decisionale ai dipendenti e le modalità organizzative prevalenti viste in relazione alla possibilità di lavorare individualmente o in gruppi stabili; 2) i modi in cui organizza l’erogazione del lavoro rispetto alla sua varietà e a quella dei compiti da svolgere, alla complessità e al livello delle competenze richieste, alla significatività e all’importanza attribuita, al controllo sul processo, alla autonomia nello svolgimento, alla possibilità di iniziativa e di
giudizio, alla possibilità e all’estensione dei processi di feedback e alla possibilità di conoscere la valutazione delle prestazioni dei singoli; 3) rispetto alle pratiche di mobilità
interna sia in termini di avvicendamento degli apparati dirigenziali, che di coinvolgimento in più gruppi di lavoro, di ristrutturazione degli stessi e di cambiamenti nella natura stessa del lavoro svolto.
■ Box 11 ■ O*NET™. Tassonomia dell’Organizational Context
Training and Development
Training Methods
Training Topics/Content
Extent/Support of Training Activities
Reward System
Basis of Compensation
Benefits
Social Processes
Goals
Individual Goal Characteristics
Goal Feedback
Roles
Role Conflict
Role Negotiability
Role Overload
Culture
Organizational Values
Supervisor Role
Structural Characteristics
Organizational Structure
Decision Making System
Decentralization and Employee
Empowerment
Individual versus Team Structure
Job Characteristics
Skill Variety
Task Significance
Task Identity
Autonomy
Feedback
Job Stability and Rotation
Human Resources Systems
and Practices
Recruitment and Selection
Recruitment Operations
Selection Assessment Methods Used
Fonte: ns. elaborazione su dati Boese, R., …, Summary…, cit., pp. 36-43.
88 Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 8-7—8-45. Per ragioni di spazio il Box 11 riporta solo
come le trentadue sottodimensioni risultano organizzate su vari livelli nelle due più grandi, senza indicare i sessantacinque Organizational Context che costituiscono il dettaglio della tassonomia. Si usa il
condizionale perché questa informazione pur essendo prevista dal Content Model non è ancora rilevata
e resa disponibile dal sistema; cfr. Boese, R., …, Summary…, cit., pp. 36-43.
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Dall’altro lato, coglie i sistemi e le pratiche di gestione delle risorse umane adottate
dall’impresa in cui la professione viene esercitata in relazione: 1) alla fonte da cui si seleziona il personale per quella professione e ai metodi e alle tecniche di valutazione adottati nella selezione; 2) ai metodi, ai contenuti e all’estensione delle attività formative organizzate dall’azienda; 3) ai sistemi di premio adottati in termini di componenti salariali e di benefici accessori.
La dimensione dei Social Processes (trentuno contesti in dieci sottodimensioni), a sua
volta, coglie: 1) i modi in cui l’organizzazione definisce e condivide (meglio, fa condividere) i propri obiettivi sia rispetto all’importanza che questi assumono per gli individui che svolgono il lavoro (realisticità e definizione quantitativa degli obiettivi da raggiungere) sia rispetto ai meccanismi di feedback attivati in termini di specificità e concretezza degli obiettivi attribuiti, di frequenza dell’informazione sul loro raggiungimento,
di estensione delle verifiche informali e di valutazione faccia a faccia delle prestazioni;
2) l’agire nei ruoli attivato nell’organizzazione in relazione alla possibilità di dover gestire richieste in conflitto fra loro, di lavorare in gruppi con diverse finalità, di essere in
accordo con la dirigenza sul contenuto del lavoro, alla possibilità di soddisfare richieste
da parte della dirigenza in conflitto tra loro, di poter negoziare cambiamenti sulla natura del ruolo svolto, di avere indicazioni sul modo di svolgere il proprio lavoro, di poter svolgere quanto affidato con risorse umane, materiali e di tempo adeguate; 3) la cultura d’impresa e i principi e i valori che guidano la sua organizzazione in termini di importanza attribuita alla capacità di far fronte alle sfide, alla chiarezza e alla giustizia delle decisioni, alla precisione e all’attenzione al dettaglio, alla calma e all’equilibrio; alla
capacità di fare e di decidere, all’attenzione e alla cura per i dipendenti, alla capacità di
innovare, alla determinazione, alla valorizzazione del cliente, al raggiungimento di standard di eccellenza, all’apertura, all’onestà e alla corretta e adeguata informazione dei dipendenti, alla capacità di adattarsi al cambiamento; 3) il ruolo dei dirigenti rispetto alla considerazione che hanno dei loro subalterni e alla loro capacità di supportarli amichevolmente, all’estensione con cui definiscono i loro obiettivi, pianificano il loro lavoro e definiscono i loro compiti, individuano con chiarezza gli obiettivi da raggiungere e responsabilizzano i subalterni, alla capacità di risolvere rapidamente e concretamente
i problemi che si incontrano sul lavoro.
3.1.5 Occupation Specific Requirements
Nell’economia del Content Model quest’area di informazione rileva descrittori che sono
specifici della professione svolta e che non possono essere individuati alla stessa stregua
dei Cross-occupational Descriptors.
Non si tratta, cioè, di descrittori generalizzabili, applicabili a tutte le professioni, organizzabili in tassonomie, variamente derivate da quadri teorici che spiegano determinati
aspetti del lavoro, che le identificano rispetto al peso che assumono nel caratterizzarle. Si
tratta, piuttosto, di descrittori che, fra le varie informazioni raccolte con gli Occupation
Specific Descriptors, individuano la professione, o gruppi omogenei di professioni, rispetto ad aspetti messi in gioco esclusivamente nello svolgimento di quel lavoro e che per questa caratteristica possono solo essere elencati, descritti e colti in relazione al ruolo svolto.
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Di conseguenza, non si tratta più di identificare fattori sottostanti al lavoro e di organizzarli in modo sensato, quanto di individuare e definire tali aspetti specifici e mettere a punto procedure certe per la loro rilevazione e validazione.
La ricerca dei consulenti del Department of Labor è andata appunto in questa direzione 89.
Sono sei gli Occupational Specific Requirements individuati.
Tasks. Definiti in termini di azione applicata ad alcuni oggetti sotto determinate condizioni, costituiscono, appunto, i compiti particolari costitutivi delle attività lavorative
che la professione è chiamata a svolgere 90. In genere, le procedure rilevabili in letteratura per identificarli vanno dall’osservazione diretta del lavoro da parte di job analists,
all’individuazione attraverso panel di soggetti esperti che svolgono la professione esaminata, dei loro supervisori diretti e di ricercatori. Si tratta, comunque, di procedure ad
elevato consumo di risorse che non rispondono ai criteri di parsimonia richiesti dal Content Model. In tal senso gli esperti hanno raccomandato procedure di individuazione
che, utilizzassero, dopo opportuna validazione, elenchi di Tasks già disponibili o li derivassero, utilizzando la tecnica del panel, dalla struttura delle Generalized Work Activities, lasciando, comunque, aperta la possibilità di validare di integrare le informazioni
così ottenute nelle fasi della rilevazione empirica 91.
Duties. Insiemi di Tasks eseguiti per raggiungere determinati fini o per realizzare un
prodotto o un servizio, che definiscono l’aspetto funzionale di una professione. Detto
con un esempio e più semplicemente, uno dei Duties «di un poliziotto è quello di arrestare i sospettati di un crimine. Per far questo egli deve determinare se un crimine è stato commesso; individuare il probabile colpevole; arrestarlo e rendergli noti i suoi diritti»: si tratta di Tasks che, viste come Generalized Work Activities, comportano acquisire
informazioni, prendere decisioni e comunicare informazioni 92.
Tools, Machines, Equipments, definiti non solo come le attrezzature fisiche, materiali utilizzate per eseguire determinati Tasks, ma nell’accezione più estesa e varia della strumentazione necessaria alla loro esecuzione 93. Insieme ai Duties possono essere colti con
le procedure di individuazion dei Tasks.
Le Occupational Specific Skills individuate, a loro volta, come i processi generali che
soggiacciono alla corretta esecuzione di insiemi simili di Tasks 94.
Infine, le Occupational Specific Knowledges, che rilevano gli insiemi organizzati di fatti e principi collegati all’esecuzione di Tasks, ovvero, l’insieme dei principi necessari ad
89 Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. VI-i; 14-1—14—24.
90 Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 14-2—14-3.
91 Van Iddekinge, C., Tsacoumis, S., Donsbach, J., A Preliminary Analysis of Occupational Task Statements
from the O*Net Data Collection Program, Uman Resources Research Organization, Alexandria, 2002,
rev. 2003.
92 Ivi, p. 14-12, ns. traduzione.
93 Peterson, N.G., …, O*NET Final…, cit., pp. 16-31—16-33.
94 Peterson, N.G., …, Development of…, cit., p. 14-15.
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applicare o a lavorare con una determinata Occupational Specific Skill 95. Entrambe possono essere derivati utilizzando la tassonomia delle (Basic & Cross-Functional) Skills e
delle General Knowledges applicata a gruppi omogenei di Tasks.
Si tratta in ogni caso di Requirements, di caratteri della professione che possono essere modificati o modificarsi nel tempo.
Per finire, solo i Tasks risultano rilevati nell’implementazione dell’Occupational Information Network 96.
3.1.6 Occupation Characteristics
Già nel modello disegnato dal panel di esperti, il mercato del lavoro, e più in generale
il contesto socioeconomico, definisce il sistema dei vincoli esterni che influenza, in maniera determinante, le modalità di svolgimento delle professioni, le condizioni del loro
esercizio, gli stessi contenuti lavorativi e la natura dei cambiamenti che le investono 97.
In questo senso, nel suo rapporto finale l’APDOT aveva raccomandato di adottare un
sistema di classificazione delle professioni descritte dal nuovo sistema informativo del
tutto compatibile con la Standard Occupational Classification 98 in modo da poter garantire un raccordo puntuale con informazioni sul mercato del lavoro, provenienti da
fonti statistiche e amministrative ufficiali, coerenti con le finalità del sistema.
Tali informazioni nella logica del Content Model costituiscono il dominio delle Occupation Characteristics, di quei caratteri della professione, cioè, che non sono facilmente
modificabili e che definiscono le condizioni di sfondo e i vincoli sociali ed economici in
cui la professione viene esercitata, fornendo elementi rilevanti alla sua descrizione.
Si tratta di informazioni già rilevate dalla statistica ufficiale e dalla stessa amministrazione pubblica e già disponibili che, tuttavia, bisogna individuare rispetto alle fonti, ricostruire in una logica coerente con il sistema e rilasciare in modo pertinente e significativo.
È appunto in questa direzione che si è svolto il lavoro del gruppo di ricerca sul Content Model.
Avvertendo che non tutti i descrittori selezionati 99 possono fornire informazioni per
ciascuna delle professioni descritte dal sistema e suggerendo l’opportunità di connettersi, senza produrre duplicazioni di alcun genere, ai dati rilasciati dai Labor Market Information System dei singoli stati e al costituendo American Labor Market Information
System (ALMIS, oggi già in fase di avanzata realizzazione); i ricercatori del Department
of Labor hanno ricondotto tali descrittori a tre tipologie, dirette a fornire informazioni
su professioni e mercato del lavoro da punti di vista diversi (Prospetto 1).
95
96
97
98
Ivi.
Cfr. Boese, R., … Summary …, cit.
Peterson, N.G., …, Development of…, cit., p. 13-1.
Bureau of Labor Statistics, Standard Occupational Classification, U.S. Department of Labor, Washington D.C., 2000.
99 Si tratta di indicatori di cui è stata raccomandata priorità, la lista di quelli rilevati e disponibili, infatti, è
di molto più estesa; Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 13-6—13-27.
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■ Prospetto 1 ■ O*NET™. Indicatori del mercato del lavoro per tipologia e fonte
Indicatore
Fonte
Labor Demand Descriptors
Current occupational employment
Current Population Survey (CPS, Bureau of
the Census)
Current occupational employment by industry Current Population Survey (CPS, Bureau of
the Census), Occupational Employment Statistics Survey (OES, Bureau of Labor Statistics)
Projected occupational employment
Employment Projections (Bureau of Labor
Statistics)
Labor Supply Descriptors
Completions in professionals/technical
occupational education programs
Integrated Postsecondary Education Data
System (IPEDS, National Center of Education
Statistics)
Enrollment/completions in occupational
education programs below the
professional/technical level
Integrated Postsecondary Education Data
System (IPEDS, National Center of Education
Statistics)
Other Labor Market Descriptors
Occupational compensation/earnings
Current Population Survey (CPS, Bureau of
the Census), Occupational Compensation
Survey Program (OCS, Bureau of Labor
Statistics)
Fonte: ns. elaborazione su dati Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 13-33—13-34.
La tipologia dei Labor Demand Descriptors fornisce informazioni sulla struttura dell’occupazione per professione e per professione e settore di attività economica, mostrandone l’ammontare in un determinato momento e l’andamento negli anni. Fornisce anche informazioni previsive su quello che si stima sarà il loro andamento nel breve/medio periodo.
I Labor Supply Descriptors, al contrario, forniscono indicazioni sulla potenziale pressione esercitata su alcune professioni descrivendola con dati su quanti hanno completato percorsi di istruzione per svolgere professioni tecniche o ad elevata specializzazione,
ovvero su quanti si sono iscritti a o hanno completato percorsi per professioni meno qualificate (entrambi i percorsi attivati in istituzioni per l’istruzione post-secondaria).
Gli Other Labor Market Descriptors, infine, rendono disponibili informazioni sui salari, sui compensi accessori e sui benefits correnti erogati per professione.
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3.2. Dalla tassonomia all’informazione finale. Modalità, strumenti
di rilevazione, nomenclatura e dati
Sono due le modalità di rilevazione delle informazioni utilizzate dall’Occupational Information Network.
La modalità prevalente è quella, già raccomandata dall’APDOT, dell’indagine campionaria. Si tratta di uno dei maggiori punti di forza dell’intero sistema poiché comporta la rielaborazione in forma di questionari e di item da rilevare e misurare delle tassonomie messe a punto per le varie aree informative del Content Model.
In questa operazione quelli che erano stati individuati come costrutti teorici in grado di rappresentare aspetti importanti della professione, diventano elementi empirici
della professione, dati quantitativi e qualitativi e misure che concorrono nel loro insieme a definirla. Si tratta di un’operazione non priva di processi attivi di feedback poiché
sottopone a verifica empirica sia i costrutti da cui quei dati e quelle misure sono state
derivate sia il modo con cui gli stessi costrutti sono stati trasformati e rappresentati in
elementi empirici oggetto di rilevazione 100.
Tre le indagini condotte. La principale, che raccoglie la maggior parte delle informazioni, è condotta presso i soggetti che svolgono la professione, una seconda vede
partecipare panel di esperti (Subject Matter Experts, SMEs), l’ultima è condotta presso
le associazioni professionali. Queste ultime due sono state progettate per integrare alcune informazioni da rilevare e per raggiungere professioni non rintracciabili presso le
imprese.
La seconda modalità completa con ricerche speciali le informazioni previste dal Content Model, ma non raccolte dalla modalità precedente. Tutte le indagini, infine, sono
organizzate per aggiornare ed esaurire la raccolta di informazioni sull’universo delle professioni lungo un quinquennio.
Undici i questionari tematici così messi a punto dai ricercatori dell’U.S. Department
of Labor: Abilities, Background information, Education and Training, Generalized Work
Activities, Knowledge, Skills, Tasks, Work context, Work styles, Work Values, Organizational Context 101.
Tranne il questionario sulle Abilities che è somministrato a panel di esperti (SMEs),
quello sui Work Values che è oggetto di ricerche speciali e quello sull’Organizational Context che non risulta ancora utilizzato in alcuna delle modalità di rilevazione, i restanti
100 Hubbard, M., McCloy, R., Campbell, J., Nottingham, J., Lewis, P., Rivkin, D., Levine, J., Revision of
O*NET Data Collection Instruments, National O*NET Consortium, National Center for O*NET Development, Employment Security Commission, 2000.
101 http://www.onetcenter.org/questionnaires.html e Peterson, N.G., …, Development of…, cit., Volume
II: Appendices. Tutti i questionari citati sono riportati nell’Appendice III di questo rapporto. È il caso
di notare che con la stessa logica e disponendo già di dati sulle professioni i ricercatori coinvolti nella
realizzazione dell’Occupational Information Network hanno realizzato anche complessi strumenti per
l’orientamento professionale. Si veda a proposito http://www.onetcenter.org/tools.html.
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otto sono somministrati secondo lo schema predisposto dal disegno dell’indagine condotta presso chi svolge la professione 102.
Quest’ultimo prevede il coinvolgimento di un campione di enti, imprese o organizzazioni solo nella fase di individuazione della professione da indagare e della definizione della lista di lavoratori che la svolgono i quali, dopo la selezione casuale, sono contattati direttamente per la compilazione del questionario (somministrato a mezzo posta
o compilato direttamente accedendo ad un apposito sito web).
Poiché il lavoratore campionato è invitato a fornire le informazioni richieste fuori
dell’orario di lavoro, il successo dell’indagine dipende fortemente dall’importanza che
egli vi attribuisce a fronte del tempo che consuma per la compilazione del questionario,
inevitabilmente sottratto al proprio tempo libero.
La forte probabilità di dover far fronte a consistenti cadute delle interviste a causa di
questionari che complessivamente risultavano troppo lunghi da compilare per una sola
persona è stata affrontata ricomponendoli in quattro diversi questionari tematici – Skills,
Work Context, Work Activities, Knowledges (che include anche il questionario sui Work
Styles) – ciascuno dei quali, oltre ai questionari tematici, da cui prendono il nome comprende le sezioni relative a Background information, Education and Training e Tasks 103.
Sicché, per analizzare ciascuna professione è stato ritenuto necessario condurre quattro indagini diverse e separate, moltiplicando per quattro il numero di interviste necessarie per acquisire un’informazione statisticamente significativa. Le quindici interviste
per professione ritenute statisticamente sufficienti ad ottenere i dati voluti sono state
così aumentate a sessanta.
Ciononostante e, sebbene sia stato introdotto un incentivo economico per il lavoratore che completava il questionario che era stato chiamato a compilare, il problema delle cadute continua ad essere ancora uno dei punti deboli dell’intero programma di indagine 104.
È opportuno spendere ancora qualche riga sui questionari.
Le domande di quattro degli undici questionari messi a punto (Abilities, Knowledges, Skills, Generalized Work Activities) sono articolate in modo particolare (Figura 8).
L’item su cui viene richiesta l’informazione viene prima enunciato e definito nel significato che vi attribuisce il ricercatore: di tale item, poi, l’intervistato è chiamato a valutare l’importanza nell’esercizio della sua professione e, qualora ne abbia, ad individuare a quale livello è richiesto.
102 U.S. Department of Labor, Employment and Training Administration, O*NET Data Collection Program, Office of Management and Budget, Clearance Package Supporting and Data Collection Instruments, 2000, 2002; Research Triangle Institute, O*Net Report, Results of statistical analysis pretest, Research Triangle Institute, Statistics Research Division, October 2000. Una descrizione più puntuale del
disegno campionario è riportata nell’Appendice IV di questo rapporto.
103 http://onet.rti.org/pdf/index.cfm.
104 U.S. Department of Labor…, O*NET Data Collection Program, cit. Il premio attualmente ammonta
a dieci USD per questionario (postale o su web) compilato.
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■ Figura 8 ■ Articolazione delle domande nei questionari relativi ad Abilities, Knowledges, Skills e Generalized
Work Activities
Fonte: O*NET Generalized Work Activities Questionnaire
Per facilitare la risposta, e garantire interpretazioni identiche dei valori e della metrica proposta, tre dei sette punti della scala di livello sono ancorati a definizioni che richiamano, nei punti più bassi, attività esperite quotidianamente facilmente comprensibili dall’intervistato, e in quelli più alti attività complesse descritte con un linguaggio
chiaro.
Nella logica del Content Model la scala di importanza rifletterebbe l’impatto della
variabile sulla performance lavorativa, mentre la scala di livello ne coglierebbe la complessità 105.
Una sintesi finale delle informazioni previste dal Content Model e del se e come vengono rilevate nell’attuale processo di implementazione e di realizzazione dell’Occupational Information Network è proposta in Tabella 9.
Quanto alla nomenclatura utilizzata nelle indagini e nel sistema, vanno nuovamente ricordate le raccomandazioni dell’APDOT sulla necessità di raccordare la classificazione adottata per le professioni descritte dal sistema alla Standard Occupational Classification per garantire raccordi con le informazioni istituzionali di tipo statistico o am105 Peterson, N.G., …, Development of…, cit., pp. 2-22.
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■ Tabella 9 ■ Informazioni previste dal Content Model per strumento, modalità di rilevazione, tipo di misurazione
e numero di item misurati
Strumento
di
rilevazione
Worker Characteristics
Abilites
Occupational Interests
Occupational Values*
Work Styles
Worker Requirements
Basic skills
Modalità
di
rilevazione
Questionario
Esperti
Analisi
Analisi
Questionario
Speciale
Speciale
Indagine
Doppia scala
Importanza/Livello
–
–
Scala singola,
Importanza
Questionario
Indagine
Cross-Functional Skills
Questionario
Indagine
Knowledge
Questionario
Indagine
Education
Questionario
Indagine
Education**
–
Non Rilevata
Experience Requirements
Experience
Training
Apprenticeship
Basic Skills - Entry
Requirements
Cross-Functional Skills Entry Requirements
Licensing
Occupational Requirements
Generalized Work Activities
Work Context
Organizational Context***
Occupation-Specific
Information
Tasks
Duties
Tools, Machines, Equipments
Occupational Specific Skills
Occupational Specific
Knowledges
Occupation Characteristics
Labor Market Information,
Wages
Tipo di Misurazione
Questionario
Questionario
Questionario
–
Indagine
Indagine
Indagine
Non Rilevata
–
Non Rilevata
Informazioni
disponibili
Link
Questionario
Indagine
Questionario
–
Indagine
Non Rilevata
Questionario
Indagine
–
–
–
–
Non
Non
Non
Non
Informazioni
disponibili
Link ad
ALMIS
Doppia scala
Importanza/Livello
Doppia scala
Importanza/Livello
Doppia scala
Importanza/Livello
Livello di Istruzione
richiesto
Tipo di Istruzione
richiesto
Tempo richiesto
Tempo richiesto
Tempo richiesto
Doppia scala
Importanza/Livello
Doppia scala
Importanza/Livello
Tipo di certificazione
richiesta
Doppia scala
Importanza/Livello
Varie scale singole
Varie scale singole
Doppia scala
Importanza/Frequenza
–
–
–
–
Rilevata
Rilevata
Rilevata
Rilevata
Dati statistici
* È comunque disponibile un questionario con scala singola di accordo
** È comunque disponibile la tassonomia
*** È comunque disponibile un questionario con varie scale singole che misurano 65 item
° Si assume la tassonomia finale adottata per le Skill
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Item
misurati
21
6
21
16
10
25
33
1
1
1
2
1
10°
25°
1
41
57
65
Liste
–
–
–
–
–
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ministrativo pertinenti così raccolte e codificate. A questo va, in ogni caso, aggiunto che
i circa 12.000 nomi di professioni descritti dal Dictionary of Occupational Titles spesso
riferivano di professioni che in realtà variavano l’una dall’altra solo per pochi dettagli e
che in realtà potevano essere ricondotte e rappresentate da unità professionali ben più
compatte, altrettanto omogenee, e adeguatamente rappresentative delle professioni che
avrebbero potuto incorporare.
Disporre di un elenco così esteso se risultava più che opportuno per come il DOT
rappresentava le professioni e lo stesso sistema produttivo in cui risultavano inserite,
non lo è più tanto per la nuova e diversa logica di O*NET e per la stessa necessità di produrre un’informazione con i metodi, le tecniche e la tempestività dell’indagine campionaria.
I ricercatori dell’U.S. Department of Labor sono così giunti alla risoluzione di adottare un sistema di classificazione SOC-based, meglio di adottare un sistema di classificazione completamente fondato sulla SOC rispetto all’intera struttura classificatoria, ma
più analitico della stessa rispetto all’individuazione delle unità professionali di dettaglio.
La nomenclatura così ottenuta raccoglie 1166 nomi di professioni, di questi 956 sono professioni effettivamente sottoposte ad indagine (Titles plus Data), mentre 210 risultano presenti in O*NET, come nomi o descrizioni senza ulteriori informazioni di
sorta (Titles Only): solo diciotto di questi ultimi rappresentano professioni, ma si tratta
di Military Specific Occupation non raggiungibili da un’indagine e comunque descritte
da altri sistemi informativi; settantadue sono descrizioni di classi residuali della SOC
(All Others) non scorporabili in unità omogenee di professioni e centoventi sono descrizioni di classi professionali della SOC che sono state scorporate in più unità professionali che, a loro volta, sono oggetto dell’indagine: questi nomi e queste descrizioni sono rimasti presenti nella nomenclatura per mantenere la struttura originaria della Standard Occupational Classification 106.
Le 956 professioni oggetto di indagine, dunque, sono state individuate a partire dalle 821 Detailed Occupation della SOC. Centoventi di queste ultime sono state scorporate in 343 unità professionali, diciotto rappresentano professioni non raggiungibili e
settantadue rappresentano classi residuali non identificabili con professioni: al tutto sono stati aggiunti due casi particolari di professioni (Human Resource Managers, General
e Biologists, General). La Tabella 10 mostra con un dettaglio maggiore come la nomenclatura sia stata ottenuta.
Oltre alla struttura, della SOC è stato mantenuto anche il sistema di codifica basato
su sei digit 107 a cui sono stati aggiunti altri due digit che indicano a seconda del loro valore Detailed Occupations rimaste invariate nella nomenclatura finale, ovvero, unità professionali ottenute scorporandole 108.
106 Lewis, P., Russos, H., Frugoli, P., O*NET™ Occupational Listings, National O*NET Consortium, National Center for O*NET Development, Employment Security Commission, 2001.
107 Che rappresentano a coppie o singolarmente i Major Groups, i Minor Groups, le Broad Occupations, e
le Detailed Occupations.
108 «00» nel primo caso e valori progressivi all’interno di ciascuna Detailed Occupation nel secondo.
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■ Tabella 10 ■ SOC Major Groups per numero di sottogruppi e relative modifiche nell’O*NET-SOC System
O*NET-SOC System
Standard Occupational Classification
Major Group
Titles Only
A
B
C
D
F
G
F
H
11-0000 Management Occupations
4
27
34
4
3
27
9
1
13-0000 Business and Financial Operations
Occupations
2
20
30
5
3
22
14
15-0000 Computer and Mathematical Occupations
2
14
16
1
2
13
1
17-0000 Architecture and Engineering
Occupations
3
21
35
6
3
26
14
19-0000 Life, Physical, and Social Science
Occupations
4
23
44 10
6
28
20
21-0000 Community and Social Services
Occupations
2
6
17
23-0000 Legal Occupations
2
4
9
25-0000 Education, Training, and Library
Occupations
5
26
61
27-0000 Arts, Design, Entertainment, Sports,
and Media Occupations
41
7
1
4
16
29-0000 Healthcare Practitioners and Technical
Occupations
3
23
53
31-0000 Healthcare Support Occupations
3
5
15
33-0000 Protective Service Occupations
4
14
21
35-0000 Food Preparation and Serving Related
Occupations
4
11
18
37-0000 Building and Grounds Cleaning
and Maintenance Occupations
3
4
10
39-0000 Personal Care and Service Occupations
7
20
34
41-0000 Sales and Related Occupations
5
15
22
Occupations
7
45-0000 Farming, Fishing, and Forestry
Occupations
E
Titles + Data
1
4
13
1
7
4
57
5
29
22
2
2
6
46
1
14
2
14
2
16
2
2
6
3
31
2
2
18
8
48
55 12
3
40
27
4
9
16
3
2
11
9
47-0000 Construction and Extraction Occupations
5
37
59
7
4
48
18
49-0000 Installation, Maintenance, and Repair
Occupations
4
17
51
9
2
40
30
51-0000 Production Occupations
6
67 127
4
38
5
1
14
4
Fonte: Ns. elaborazioni su dati: Bureau of … Standard Occupational Classification … cit. e Lewis, P., … O*NET™ Occupational Listings
… cit.and Administrative Support
43-0000
Office
9
51 110 37
53-0000 Transportation and Material Moving
Occupations
7
35
50
55-0000 Military Specific Occupations
3
3
20
Total
96 449 821 120 18
8
18
22
2
72 611 343
2
Legenda: A: Minor Group; B: Broad Occupations; C: Detailed Occupations; D: SOC with breakouts; E:
Military Specific Occupations; F: SOC Detailed Residual «all other»; G: Unmodificated SOC detailed
occupations; F: Detailed O*Net breakout occupations; G: Exceptional Cases
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Infine, il rilascio dei dati è affidato ad un sofisticato sistema informativo su web 109.
Descriverne in modo sintetico le possibilità di navigazione e di accesso alle informazioni non è una operazione fattibile per lo spazio qui a disposizione, si rimanda, quindi, all’esempio riportato nell’Appendice V allegata al rapporto.
Le informazioni rilevate dalle indagini sono rilasciate anche come dataset acquisibile liberamente dal sito sul quale gli esperti possono effettuare nuove elaborazioni e ricerche 110. Sempre in tema di ricerca e di dibattito fra gli utilizzatori del sistema sono
stati attivati quattro forum tematici liberi sui quali discutere e porre problemi e diversi
siti su cui formarsi, e condividere esperienze 111.
109 http://online.onetcenter.org/.
110 http://www.onetcenter.org/database.html.
111 http://www.onetknowledgesite.com/pages/eforums_welcome.html; http://www.onetacademy.com/.
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3
Come rilevare il lavoro
che cambia 1
■
Introduzione
N
el corso degli ultimi decenni le risorse umane impiegate nei
processi di produzione hanno subito nelle società altamente
industrializzate una profonda trasformazione. Essa ha riguardato non solo e non tanto la loro quantità e composizione, quanto anche e specificamente le modalità del loro impiego. E se è importante il fatto che sempre minori sono state le risorse impiegate per la produzione di beni (o manufatti) e sempre maggiori
quelle impegnate per la produzione o prestazione di servizi, conta ancor più quello che
è cambiato il modo in cui sono stati prodotti – o forniti – sia gli uni che gli altri. Ma nella produzione di un bene o nella prestazione di un servizio si sostanzia o si esprime sempre un qualche lavoro umano. Anzi, questo resta comunque l’elemento centrale nel processo di riproduzione della vita materiale. Quali che siano, pertanto, le ragioni che sospingono incessantemente la trasformazione cui si è fatto cenno, è poco più di un luogo comune affermare che essa si è tradotta in un cambiamento altrettanto profondo della natura stessa del lavoro.
Di qui due insiemi di interrogativi che sottendono la riflessione che si andrà svolgendo. Il primo riguarda l’individuazione delle spinte, e quindi dei nessi, attraverso le
quali tale trasformazione si traduce in un cambiamento del lavoro e del modo in cui esso viene concepito e vissuto. Il secondo concerne, invece, il come venire a capo del metodo e degli strumenti più idonei per rilevare e rappresentare i cambiamenti che via via
hanno luogo.
Numerosi sono i problemi di analisi in cui è possibile articolare la ricerca di una risposta agli interrogativi appena posti. Qui di seguito verranno ricordati quattro ordini
1 Francesco Paolo Cerase, Università degli Studi di Napoli «Federico II».
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di problemi, ciascuno incentrato su un diverso fuoco: 1) come interpretare la trasformazione; 2) come è cambiata al contempo l’organizzazione dell’attività di impresa; 3) come concettualizzare conseguentemente il cambiamento del lavoro; 4) come rilevarlo e
misurarlo.
Questi diversi ordini di problemi si richiameranno l’un l’altro in vario modo nel corso della discussione. Ma mentre i primi due, dopo essere stati sinteticamente tratteggiati, tenderanno a restare più sullo sfondo, ai secondi due verrà dedicata gran parte dell’attenzione successiva, in quanto essi rappresentano l’oggetto di specifico interesse di
queste pagine.
1. Un primo ordine di problemi riguarda, dunque, l’individuazione di criteri – o anche elementi – in relazione ai quali leggere e comprendere la trasformazione dell’impiego delle risorse umane che ha avuto luogo nelle società altamente industrializzate.
L’interpretazione corrente è che tale trasformazione è insita al superamento del cosiddetto paradigma fordista-taylorista. Ma per quanto appaia generalizzato e diffuso il consenso su quali sono le caratteristiche della produzione fordista e relativa standardizzazione di massa che sarebbero state superate, altrettanto non si può dire in
merito a quali sono esattamente le caratteristiche paradigmatiche del post-fordismo.
Su due elementi, tuttavia, sembra esservi un consenso diffuso: la globalizzazione dei
mercati e la specializzazione flessibile. Per un verso, essi avrebbero mutato l’incidenza comparativa dei diversi fattori di produzione, per l’altro, avrebbero modificato
profondamente il contesto e le condizioni stesse in cui ha luogo la competizione tra
le attività di impresa. Ed è proprio il cambiamento del contesto competitivo indotto da questi elementi che spinge l’attività d’impresa – oggi più che nel passato – ad
innovare incessantemente processi produttivi e prodotti.
L’elemento che tiene in moto tale innovazione è il sapere tecnologico. È il livello di
tecnologia impiegata nei processi produttivi che misura il grado di avanzamento di
una determinata attività di impresa. In buona sostanza, quanto più si è in grado di
innovare tecnologie, processi, metodi di lavorazione, tanto più si è in grado di competere e di vincere la competizione.
Affrontare questo primo ordine di problemi significa, pertanto, riflettere sulle conseguenze che il cambiamento del contesto competitivo e di quello tecnologico possono avere per la natura ed i contenuti del lavoro.
2. L’adeguamento da parte dell’impresa alle nuove caratteristiche del contesto competitivo e l’incorporazione di nuovo sapere tecnologico comportano una costante messa in
discussione delle strategie e delle modalità di organizzazione della propria attività. Comportano cioè ad un tempo ridefinizione degli obiettivi e individuazione di un diverso
modo di utilizzare e combinare le risorse materiali ed umane di cui essa dispone.
Tutto ciò contribuisce a sua volta a mettere radicalmente in discussione determinate modalità di controllo e attribuzione di responsabilità nella suddivisione, articolazione ed esecuzione dei compiti lavorativi, e quindi anche le forme stesse di relazione e partecipazione dei singoli lavoratori all’attività d’impresa.
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Un secondo ordine di problemi riguarda, quindi, l’approfondimento dei nessi che è
dato stabilire tra cambiamento del contesto competitivo, modalità di organizzazione dell’attività di impresa e condizioni dell’impiego delle risorse umane, da un lato,
e contenuti del lavoro, dall’altro.
Affrontare questo insieme di problemi significa anche riflettere sul modo in cui le
nuove forme di turbolenza ed incertezza del contesto competitivo si traducono non
solo in nuove tensioni sulle modalità organizzative dell’attività di impresa, ma anche
in nuove forme di instabilità delle condizioni di lavoro ed in un cambiamento sempre più rapido dei contenuti del lavoro. Esse esaltano, infatti, l’esigenza di una flessibilità del tutto nuova sia rispetto alle condizioni che alle modalità di impiego della risorsa lavoro e che trova espressione, da un lato, in nuove forme di mobilità del
lavoro, e dall’altro in altrettanto nuove forme di regolazione/deregolazione dei rapporti di lavoro.
3. Un terzo ordine di problemi riguarda il modo in cui concettualizzare il cambiamento dei contenuti del lavoro e di analizzare il lavoro/i lavori svolti dai singoli nell’ambito di un determinato processo produttivo e organizzativo.
Nella produzione fordista-tayloristica contenuti del lavoro e differenziazioni tra lavori trovano una concettualizzazione adeguata nella definizione delle mansioni e delle qualifiche. Quanto più, tuttavia, un lavoro risulta soggetto ad un processo di innovazione tecnologica, tanto più elevato è il suo tasso di obsolescenza, ovvero tanto
più i suoi contenuti tendono ad essere costantemente ridefiniti, se non superati. Ciò,
unitamente al fatto di dover far fronte alle tensioni sulle modalità organizzative dell’attività di impresa ed alla pressione esercitata dalla esigenza di flessibilità nell’impiego della risorsa lavoro indotte dalle turbolenze del contesto competitivo, tende a
mettere in discussione il richiamo a criteri di riferimento stabili anche per l’articolazione e la suddivisione dei lavori. In questo quadro la mansione e la stessa qualifica
appaiono sempre meno idonei a concettualizzare in che cosa e come si differenzia il
lavoro.
Emerge, così, e si impone una nuova concettualizzazione incentrata sulla competenza e competenze. L’emergenza di questi concetti è un processo, tuttavia, ancora in corso e sul loro uso il dibattito è quanto mai aperto. Ciò non di meno tale processo riveste un’importanza decisiva ai fini della presente riflessione. In particolare l’attenzione verrà incentrata su due approcci in cui è possibile differenziare l’analisi delle
competenze: quello razionalistico e quello interpretativo.
4. Un quarto ordine di problemi riguarda, infine, il modo in cui rilevare e misurare i
cambiamenti in atto nel lavoro umano. O, più specificamente, attiene anzitutto all’individuazione di strumenti idonei alla rilevazione e misurazione degli aspetti cruciali del cambiamento del lavoro cui si è già fatto cenno negli ordini di problemi precedentemente ricordati, e successivamente al modo in cui, in base ad essi, elaborare
un metodo di analisi e di classificazione dei lavori; o meglio, delle professioni e del suo
costante aggiornamento.
Naturalmente, l’obiettivo qui non è quello di elaborare un nuovo sistema di informazione sul lavoro o un nuovo sistema di analisi delle professioni. Porre l’attenzio-
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ne su questo ordine di problemi significa, però, fare i conti con i sistemi di rilevazione e analisi oggi in uso, mettere a confronto i concetti base e i metodi di analisi
che li contraddistinguono, i «dizionari» cui essi danno luogo, al fine di stabilire quali di essi consente di affrontare meglio i problemi di rilevazione e di misurazione del
cambiamento. In estrema sintesi, è questo l’obiettivo cui è rivolta la presente riflessione e ad esso pertanto verrà di volta in volta ricondotta la discussione che si andrà
svolgendo. La tesi che si sosterrà è che il sistema di informazione sulle professioni da
privilegiare è quello che, facendo perno sul concetto di competenza, riesca meglio a
dirimere la sua complessità e a definirne modi e metodi di rilevazione.
Ancora tre osservazioni prima di entrare più sistematicamente nel merito delle questioni in discussione. La prima è che i problemi appena tratteggiati possono presentarsi
diversamente ed avere una rilevanza alquanto diversa a seconda dei diversi punti di vista.
Ciò significa che a seconda di quello prescelto può cambiare anche il modo in cui i problemi possono essere affrontati e le conseguenze o gli esiti che da ciò possono derivare.
Tre punti di vista, in particolare, è bene tenere distinti: il punto di vista sistemico, quello dell’impresa e quello dei singoli soggetti – siano questi ultimi nelle condizioni di lavoratori/lavoratrici o di persone in cerca di lavoro. Su questi diversi punti di vista sarà necessario soffermare l’attenzione soprattutto allorquando da essi possono derivare visioni
ed indicazioni piuttosto contrastanti sui problemi di analisi che si pongono.
La seconda osservazione è che nel corso della discussione si farà prevalentemente riferimento al cambiamento del lavoro nei processi produttivi dell’attività di impresa.
Questo non vuol dire perdere di vista il lavoro che si svolge nelle pubbliche amministrazioni o ritenere che esso non rivesta qui alcun interesse. Per quanto anche il lavoro
pubblico abbia subito nel corso di questi ultimi decenni un’altrettanta profonda trasformazione che si intreccia con quella dell’attività di impresa, si ritiene, infatti, che esso sia tuttora sorretto – almeno in linea di principio – da una diversa logica.
La terza osservazione attiene al fatto che il mancato accenno ad altri ordini di problemi non significa che non ve ne siano o che la loro importanza sia di poco conto. Valga per tutti l’esempio di non aver fatto cenno alcuno al modo in cui la trasformazione
ed i cambiamenti di cui si è detto investono i processi di apprendimento e di formazione per e sul lavoro, o al modo in cui mettono in discussione i meccanismi di regolazione del mercato del lavoro. È immediatamente evidente che, soprattutto dal punto di vista dei singoli soggetti, si tratta di problemi di assoluta importanza. Se ad essi nella discussione che segue si faranno solo brevissimi e sporadici accenni, è perché si è stabilito
a priori di non prenderli specificamente in esame in quanto trattati nella prima parte di
questo rapporto.
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1. Come cambia il lavoro
In un recente rapporto su «come cambia la natura del lavoro», viene
ricordato che quando si parla di natura del lavoro si fa riferimento a quattro aspetti:
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1) a «ciò che gli individui fanno per vivere», e quindi ai lavori o professioni che caratterizzano una società in un determinato momento; 2) ai contenuti del lavoro, ovvero al
«come gli individui fanno ciò che fanno»; 3) ai contesti organizzativi, istituzionali e sociali in cui il lavoro ha luogo; 4) al modo in cui il lavoro influisce ed è connesso ad altri
aspetti della vita quotidiana (Kochan et al., 1999, pp.14-15) 2. In buona sostanza, fissare l’attenzione sulla natura del lavoro svolto in una determinata società equivale a svelare il modo in cui essa si riproduce in quel determinato momento.
Una prima considerazione che è dato fare, dunque, ai fini dell’obiettivo specifico di
questa riflessione, è che l’adozione di un sistema di informazione sul lavoro o un sistema di analisi dei lavori o delle professioni serve nella misura in cui consente di conoscere qual è la natura del lavoro svolto nella società che lo adotta.
Subito dopo, gli autori appena citati offrono una definizione molto stringata di lavoro: «lavoro denota l’attività umana diretta ad uno scopo o ad un obiettivo o strumentale e che crea valore per la società. Esso denota i processi attraverso i quali gli esseri umani trasformano delle risorse in prodotti» (ibid., p. 22). Anche se più compatta, si tratta
di una definizione sostanzialmente analoga a quella largamente consolidata, secondo la
quale il lavoro è concepito come «un’attività intenzionalmente diretta, mediante un certo dispendio di tempo e di energia, a modificare in un determinato modo le proprietà
di una qualsiasi risorsa materiale… o simbolica… onde accrescerne l’utilità per sé o per
gli altri, col fine ultimo di trarre da ciò, in via mediata o immediata, dei mezzi di sussistenza» (Gallino 1988, p. 396).
A voler partire da tali nozioni, dunque, dire che il lavoro cambia, significa sostanzialmente affermare che cambia uno degli elementi che contribuiscono a definire l’intenzionalità e/o le modalità in cui si esplica l’attività lavorativa. Ragionare su come cambia il lavoro significa individuare e riflettere sui fattori che, in quanto in relazione con uno qualsiasi di tali elementi, possono provocarne in qualche modo il cambiamento. In questa
parte del testo la discussione si limiterà dapprima ad un richiamo estremamente sintetico ai fattori ritenuti di maggiore importanza. Successivamente si soffermerà l’attenzione
su un primo approccio all’analisi del cambiamento dei contenuti del lavoro.
Prendendo spunto dal rapporto appena citato, si possono preliminarmente suddividere i fattori ritenuti di maggiore importanza differenziando quelli che appartengono
al contesto «interno» – ovvero, nel senso appena detto, il contesto dell’azione organizzata nel quale l’attività lavorativa risulta incapsulata – da quelli che appartengono al contesto «esterno». Tra i fattori del contesto «esterno», l’attenzione verrà in particolare incentrata su: la globalizzazione dei mercati, lo sviluppo tecnologico, il cambiamento nella composizione della popolazione. Quanto, invece, ai fattori del contesto interno, meritano particolare attenzione le scelte strategiche che attengono alla struttura e alle mo2 A tale rapporto ci si è ampiamente ispirati per la stesura di questa parte del testo, anche perché il rapporto conduce alla individuazione di O*NET (ved. § IV.4 seguente) come il sistema di informazione sul
lavoro più idoneo a rilevare i cambiamenti in atto, ed a questa stessa conclusione si perverrà nel corso di
questa riflessione. Naturalmente la letteratura sui cambiamenti della natura del lavoro nei paesi industrializzati è particolarmente vasta. Per una sintesi, si veda, per esempio, Butera e Donati, 1997, cap. 1.
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dalità organizzative dell’attività di impresa (o di amministrazione, nel caso di pubbliche
amministrazioni).
1.1. Cambiamenti attesi come effetto del cambiamento di fattori esterni
L’individuazione dei fattori del contesto «esterno» maggiormente rilevanti per gli effetti che direttamente o indirettamente possono avere sulla natura e sulle caratteristiche
del lavoro e dei lavoratori, muove dalla riflessione su due «passaggi»: il passaggio dal
paradigma «fordista» al – per quanto tuttora non meglio definito – paradigma «postfordista» e concomitante crisi dei meccanismi di regolazione sociale su cui il primo si
era appoggiato, ed il passaggio dalla vecchia alla nuova divisione internazionale del lavoro. Ovviamente non si tratta qui di proporre una rivisitazione delle ragioni e vicende
che hanno segnato questi passaggi 3. Si tratta soltanto di evidenziare in quali fattori è
possibile individuare punti di maggiore discontinuità, giacché è ad essi che si connettono le ragioni del cambiamento del lavoro che si intende analizzare.
Al di là delle «varianti» rintracciabili nelle esperienze dei diversi paesi, il fordismo
presenta non poche caratteristiche comuni di cui alcune rivestono nell’ambito di questa riflessione particolare rilevanza. Innanzitutto il fatto che l’attività di impresa è orientata alla produzione di beni di consumo di massa, altamente standardizzati e quindi tale da consentire una notevole economia di scala. Ciò alimenta una logica produttiva che
da un lato spinge l’impresa ad internalizzare l’intero ciclo della produzione – dall’approvvigionamento delle materie prime, alle diverse fasi della produzione, fino alla stessa distribuzione – e dall’altro trova una sua specifica concretizzazione in una struttura
dell’organizzazione e conduzione dell’attività di impresa caratterizzate da una forte verticalizzazione e centralizzazione. Avvalendosi delle potenzialità offerte dalla specializzazione delle macchine, tale logica produttiva trova, sul piano del lavoro umano, supporto ed al contempo espressione più emblematica nell’organizzazione tayloristica. Alla rigida separazione dei compiti di ideazione-progettazione da quelli di esecuzione, si accompagna una forte esaltazione della linea di comando che consente al vertice del management, attraverso figure diverse di capi e quadri intermedi, di controllare ogni fase
e momento della produzione. Alla massa dei lavoratori risultano così affidati compiti
altamente parcellizzati, ripetitivi e di bassa qualificazione con i quali ad essi è sostanzialmente richiesto di assecondare via via i «movimenti» della macchina. Infine, l’esigenza di sostenere una domanda di massa trova una efficace risposta nelle politiche redistributive e concertative di tipo keynesiano adottate da pressoché tutti gli stati nazionali, soprattutto nel mondo maggiormente industrializzato.
Senza entrare nel merito dei numerosi fattori – contingenti e non – che provocano a
partire dagli anni Settanta la crisi della produzione fordista e della regolazione keynesiana,
3 Si rimanda a riguardo all’ampia e puntuale letteratura. Basti ricordare Piore e Sabel (1984), Regini e Sabel (1989), Jessop (1992), Tickell e Peck (1995).
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basti qui ricordare la concomitante azione esercitata da alcuni di essi, quali la saturazione dei mercati nazionali di prodotti di consumo di massa, le nuove condizioni della
competizione internazionale scaturite dalla «nuova divisione internazionale del lavoro»
– come inizialmente venne concettualizzata l’ingresso nei mercati mondiali dei paesi di
nuova industrializzazione, soprattutto asiatici – la cosiddetta crisi fiscale degli stati nazionali. Diversificazione della produzione, da un lato, e messa in discussione dei meccanismi concertativi e delle politiche retributive, previdenziali e sociali in genere cui essi avevano dato luogo, dall’altro, rappresentano le principali direzioni in cui si cerca una
risposta alla crisi.
La diversificazione della produzione è indotta e facilitata dalle nuove opportunità
offerte dalla specializzazione flessibile. L’incorporazione nel sistema delle macchine di
tecnologia elettronica apre uno scenario del tutto nuovo quanto a varietà, qualità e
vastità di prodotti e manufatti possibili. Poiché la specializzazione flessibile consente
di diversificare ed ampliare in tempi rapidi la gamma di prodotti, essa allarga l’orizzonte dell’offerta e facilita al contempo l’accesso a sempre nuovi mercati. Venuta meno la relativa certezza della produzione fordista di poter contare su mercati nazionali
stabili e duraturi, diventa prioritario saper individuare e rispondere tempestivamente ed efficacemente a singoli segmenti di domanda ovunque essi siano presenti e quindi di «conquistare» nuovi spazi di mercato potenziale in una dimensione che è sempre meno nazionale e sempre più globale. Si tratta di imparare ad intercettare ed al
contempo a fare i conti con una domanda di beni che può rivelarsi quanto mai «volatile», in quanto attratta contemporaneamente da competitori molto agguerriti e variamente localizzati. Ovvero, si tratta di imparare ad operare in un contesto competitivo globale ad alta concorrenzialità in cui gli aspetti di incertezza e imprevedibilità
tendono di gran lunga a prevalere sulle certezze derivanti da più o meno consolidate
posizioni «di rendita».
Emerge così e si impone una nuova esigenza di flessibilità che investe tutti i fattori
di produzione. Per un verso, di fronte a tale esigenza, le rigidità della produzione fordista diventano altrettanti impacci da superare. Per l’altro – come si accennerà nella parte successiva di questo paragrafo – le imprese sono indotte a rivedere drasticamente le
strategie di internalizzazione fino ad allora seguite. Da un lato, il cambiamento del contesto competitivo indotto dalla globalizzazione dei mercati accentua ad un tempo l’innovazione dei prodotti e l’aggiustamento dei prezzi; dall’altro, mette costantemente in
discussione qualsiasi forma di assetto regolativo stabile. Diventa prioritario imparare a
far fronte a sempre nuove condizioni di incertezza e ciò che è richiesta è una capacità
reattiva, una flessibilità che si può scarsamente conciliare con una qualsiasi forma di assetto stabile.
È in questo contesto che il fattore tecnologico si rivela quello strategico. È da esso
che dipende la possibilità di sopravanzare gli altri nell’innovazione e nella qualità dei
prodotti. Se su di esso è possibile far leva per consentire e indurre flessibilità nell’impiego di tutti gli altri fattori di produzione, al contempo una posizione di supremazia
tecnologica assicura un vantaggio relativo in grado di compensare anche lo svantaggio
competitivo derivato da più elevati costi di altri fattori, come il lavoro. Ma ciò che più
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conta, ai fini di questa riflessione, è che in questo processo forme e contenuti del lavoro umano vengono radicalmente ridefiniti. E ad essere messi in discussione non sono
solo i processi lavorativi ed i lavori in cui essi si strutturano, ma la stessa regolazione delle condizioni e dei rapporti di lavoro.
In estrema sintesi, dopo un’analisi sistematica degli effetti di tutti e tre i fattori richiamati sopra, così concludono Kochan et al.: «1. L’aumentata competizione sia nei
mercati dei prodotti che in quelli finanziari [dovuta alla globalizzazione] si traduce in
una crescente pressione a contenere i costi di retribuzione, accentua l’incertezza circa la
stabilità dei posti di lavoro, pone una crescente enfasi sulla qualità, l’innovazione e la
flessibilità nei processi lavorativi e nei risultati. 2. L’incessante cambiamento tecnologico modifica sempre più le capacità tecniche, elimina e crea lavori ad un ritmo accelerato. Inoltre, è probabile che, come effetto complessivo, i cambiamenti tecnologici portino ad un innalzamento del livello delle capacità richieste o ad un loro mutamento, ponendo maggiore enfasi su capacità cognitive, comunicative e interattive. 3. I cambiamenti demografici fanno aumentare sempre più la diversità individuale e di gruppo non
solo nel confronto tra professioni o organizzazioni, ma anche nell’ambito di ciascuna di
esse» (Kochan et al., 1999, pp. 71-72, ns. traduzione). A tale analisi vale la pena fare un
ulteriore rapidissimo accenno per quanto riguarda gli effetti del cambiamento tecnologico e di quello demografico.
Se è vero – ricordano Kochan et al. attingendo ad un’ampia e consolidata letteratura in materia cui qui si rimanda – che il lavoro denota i processi attraverso i quali gli esseri umani trasformano delle risorse in prodotti, la tecnologia è il mezzo attraverso il
quale essi compiono tale trasformazione. E dunque non solo è in base alla tecnologia
che prende forma ciò che gli individui sono in grado di fare, ma anche il come essi possono farlo. Gli effetti che l’innovazione tecnologica ha sul lavoro e sulla struttura dei lavori o delle professioni non sono, naturalmente, uniformi o dello stesso segno. Come
già anticipato, nello specifico essi possono essere di tre tipi: creare nuovi lavori o viceversa ridurre o eliminarne altri già esistenti; elevare le capacità richieste per lo svolgimento di un determinato lavoro o diminuirle nel caso di un altro; o anche produrre dei
cambiamenti nelle capacità richieste che vanno oltre la semplice dimensione dell’«incremento-decremento» 4. Ferme restando, nel senso appena detto, la concretezza e l’importanza degli effetti prodotti dal cambiamento tecnologico sulla composizione e sui
contenuti del lavoro, gli autori appena citati rilevano inoltre che essi possono variare
considerevolmente a seconda delle capacità, dei lavori e delle attività cui concretamente tale cambiamento si applica (ibid., pp. 36-40).
Importanti e pervasivi sono anche gli effetti dei cambiamenti demografici. Anzitutto perché essi si riflettono direttamente sulla composizione della forza lavoro (basti pensare alla composizione per età), ma anche perché – se pure indirettamente – essi possono incidere non poco sul modo in cui il lavoro è organizzato e viene svolto, e quindi an-
4 Come nel caso degli effetti prodotti dall’introduzione della tecnologia digitale, concretizzatisi in alcuni
casi con l’impoverimento ed in altri con l’arricchimento delle capacità richieste sul lavoro.
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che sul rendimento del lavoro. Sia l’uno che l’altro, infatti, sono comunque condizionati dalle caratteristiche demografiche del lavoratore (o della lavoratrice) 5. Non solo: il
modo in cui i singoli si coinvolgono nel lavoro che fanno, l’importanza che ad esso attribuiscono, le scelte che conseguentemente compiono, sono tutti aspetti in qualche
modo connessi alle loro caratteristiche demografiche. E a ciò vanno aggiunti, per concludere su questo punto, gli effetti che la diversa composizione della popolazione può
avere sui tipi di beni e servizi richiesti e consumati (ibid., pp. 40-56) 6.
Gli effetti dovuti alla globalizzazione dei mercati, quelli dovuti all’innovazione tecnologica e quelli che derivano dai cambiamenti demografici, dunque, concorrono insieme a modificare in maniera sostanziale la natura del lavoro. Ai fini della presente riflessione prendere atto di ciò conta in quanto implica che una proposta di concettualizzazione, rilevazione e misurazione delle professioni non può prescindere da una considerazione attenta di come incidono sulla natura del lavoro i cambiamenti di alcuni fattori del macro-sistema sociale ed economico.
1.2. Cambiamenti attesi come effetto del cambiamento delle strategie
di impresa
L’economia dei costi di transazione ha da molto tempo posto al centro dell’attenzione
domande che in un modo o in un altro attengono a scelte di internalizzazione-esternalizzazione di aspetti diversi dell’attività di impresa e si è interrogata sugli elementi che,
proprio in quanto influiscono sui costi di transazione, appaiono decisivi nella determinazione di tali scelte. Fino a che punto è più vantaggioso per un’impresa acquistare sul
mercato prodotti, conoscenze, tecnologie necessarie alla propria produzione e quando
invece non diventa più conveniente produrre in proprio ciò che serve? Fino a che punto
è più vantaggioso tenere sotto il proprio controllo questa o quella fase del processo di produzione e quando invece non diventa più conveniente affidarne il controllo ad altri? Fino a che punto è meglio restare in competizione con altre imprese e quando, invece, può
essere più conveniente tentare di incorporarle, di assorbirle al proprio interno 7? In buona sostanza il modo in cui un’impresa si orienta a rispondere a questo tipo di domande
si interseca incessantemente con quello in cui essa definisce le scelte che attengono al che
cosa, al come e per chi produrre. E sono queste le scelte strategiche che il cambiamento
del contesto competitivo cui si è appena fatto cenno mette costantemente alla prova.
5 Kochan et al. citano, per esempio, un’ampia letteratura di ricerca a riprova del fatto che le caratteristiche
dei lavoratori influiscono significativamente sui modelli di comportamento, coesione e conflitto sul lavoro e che da ciò ne può derivare un rendimento alquanto diverso (ibid., pp. 40-41).
6 Emblematico a riguardo è la domanda di alcuni servizi di cura alla persona generata da un crescente segmento di popolazione di età avanzata cui è possibile far fronte solo ricorrendo ai cosiddetti/e «badanti».
7 Si tratta di alcune delle domande che hanno in particolare ispirato, ormai da alcuni decenni, il lavoro di
Williamson (1975 e 1988). Per una sintesi del dibattito generatosi intorno a queste domande, si vedano i testi riportati in Nacamulli e Rugiadini (1985).
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Se da un lato il cambiamento del contesto di mercato esalta la ricerca da parte dell’impresa di un proprio elemento distintivo su cui fondare un vantaggio competitivo –
e che troverà espressione nella nozione di «core competencies» che specificamente possono assicurare all’impresa un vantaggio di mercato (Hamel 1994) –, dall’altro questa stessa ricerca impone un’esigenza di flessibilità che investe tutti i fattori di produzione. Anzi – si può aggiungere – la flessibilità acquista in sé stessa una valenza strategica. Ma per
quanto possa essere vero che essa investe tutti i fattori di produzione, è il fattore lavoro
ad esserne investito in modo specifico ed ambivalente. Per un verso, l’impresa «riscopre»
la centralità del lavoro umano, una centralità che ne esalta l’apporto cognitivo, comunicativo e relazionale che esso solo può dare 8. Per l’altro, essa avverte che il dispiegamento di tale centralità non può avere luogo entro le rigidità intrinseche alla produzione fordista-tayloristica e che queste vanno pertanto superate. Ma così facendo tende al
contempo a liberarsi dei vincoli e «garanzie» in cui si era via via tradotta la regolazione
sociale dell’impiego della risorsa umana.
È in questo contesto che si collocano scelte che attengono alla dimensione dell’attività di impresa e che possono tradursi in un suo ridimensionamento e snellimento – ivi
compresa la riduzione delle risorse da impiegare –, o in opzioni di outsourcing, o ancora in scelte sul modo più vantaggioso di ri-organizzare l’attività di impresa. Ognuna di
queste scelte comporta delle modifiche più o meno rilevanti per i processi lavorativi svolti nell’ambito dell’impresa e può conseguentemente incidere non poco sui contenuti
stessi del lavoro. È in questo senso che esse rivestono uno specifico interesse ai fini della presente riflessione.
Ma – ed è questo un ulteriore motivo di interesse – nel loro caso conseguenze ed implicazioni appaiono marcatamente in contrasto a seconda del punto di vista dei soggetti coinvolti. Scelte di ridimensionamento o di outsourcing possono influire in misura
considerevole sui tipi di lavori che continuano ad essere svolti o presenti nell’ambito di
una determinata impresa. Ma se dal punto di vista di quest’ultima la presenza continuativa o meno di un determinato lavoro può essere considerata un indicatore di persistenza o stabilità, dal punto di vista del lavoratore essa è invece un indicatore di sicurezza del posto di lavoro. La riduzione del personale impiegato, o l’esternalizzazione di
una qualche fase del processo di produzione, riduce oggettivamente la possibilità che
tutto il personale possa conservare il proprio posto di lavoro, e non è affatto detto che
il personale così reso superfluo possa trovarne un altro sul mercato. Né è affatto certo
che i lavori non più richiesti da una determinata impresa possano trovare compensazione in una identica collocazione nei processi di produzione di un’altra.
Non meno rilevanti sono le conseguenze sui contenuti del lavoro delle misure di riorganizzazione interna. Si è accennato che si tratta di misure tese a superare le rigidità
della produzione fordista-tayloristica, e dunque a superare sia una logica di rigida separatezza di funzioni, sia anche l’esasperata suddivisione di compiti e mansioni sostenuta
8 E per molti versi ciò vale in particolare per le imprese che offrono servizi e per le pubbliche amministrazioni.
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da un’altrettanta rigida linea gerarchica. Le nuove modalità organizzative puntano alla
flessibilizzazione dei criteri di assegnazione dei compiti ed allo snellimento delle linee
di comando. Per un verso, per far ciò esse fanno leva sull’introduzione delle nuove tecnologie informatiche che non solo consentono di riprogettare radicalmente la suddivsione dei compiti ed il loro svolgimento, ma offrono anche possibilità del tutto nuove
di controllare la loro esecuzione. Per l’altro, si imperniano per quanto possibile sulla sostituzione del lavoro dei singoli con il lavoro di gruppo suddiviso per progetti o obiettivi che «attraversano» l’organizzazione funzionale 9. Si tratta di innovazioni organizzative che tendono a scalzare l’organizzazione gerarchica-funzionale. Proprio perché nel
lavoro di gruppo suddiviso per progetti trova espressione quella flessibilità organizzativa richiesta dalla necessità di dover operare in un nuovo contesto competitivo, alla lunga esso si rivela sempre meno conciliabile con le rigidità imposte dalla suddivisione dei
compiti secondo mansioni e qualifiche e secondo una rigida linea gerarchica. Nel gruppo i confini tra i compiti dell’una e dell’altra unità che lo compongono tendono ad essere continuamente oltrepassati. Anzi, è proprio sulla disponibilità da parte di ciascuno
ad oltrepassare i limiti di ciò che è altrimenti stabilito secondo attribuzioni di mansioni e qualifiche, e quindi a farsi carico di compiti «non suoi», che si fonda quel nuovo
spirito di collaborazione senza il quale il lavoro di gruppo non potrebbe sussistere e che
porta ad una nuova integrazione del lavoro. La funzione di comando, per quanto ribadita rispetto al manager di progetto, non trova più espressione in una precisa linea gerarchica, ma finisce per essere diffusa e dispersa tra i componenti del gruppo.
È difficile stabilire fino a che punto si sia trattato di effetti attesi e voluti. Resta il fatto che l’introduzione delle nuove modalità organizzative ha inciso profondamente sui
contenuti del lavoro. Essa ha comportato una sostanziale ricomposizione dei compiti
ed un accorciamento o appiattimento delle linee di comando, cui hanno corrisposto da
una parte l’eliminazione di numerosi compiti esecutivi estremamente elementari e di
pressoché nessuna qualificazione e, dall’altra, la consistente riduzione delle figure di management intermedio.
Per concludere sugli effetti dei cambiamenti del contesto, esterno ed interno, dall’insieme delle considerazioni fin qui svolte emerge che quelli maggiormente rilevanti ai fini della riflessione che si va svolgendo possono essere preliminarmente riassunti come:
– cambiamento nella natura del lavoro richiesto – con sempre meno maggiore enfasi
su alcuni aspetti piuttosto che su altri;
– aumento della flessibilità e della mobilità del lavoro;
– diminuzione di certi tipi di lavoro ed emergenza di altri.
L’ulteriore annotazione che è possibile trarre in merito all’obiettivo di questa riflessione è che un modello di sistema di informazione sul lavoro e di classificazione delle
9 Su questo punto, nel quadro degli effetti del cambiamento del contesto organizzativo specificamente mirato alla situazione statunitense, insistono in particolare Kochan et al. (1999), pp. 73-84.
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professioni sarà tanto più da privilegiare, quanto più gli strumenti di analisi che lo contraddistinguono siano assimilabili a dei sensori attraverso i quali esso si mostri in grado
di rilevare, misurare, rappresentare i cambiamenti cui si è appena fatto cenno, ovvero
anche di percepirli, coglierli, se non «catturarli» nel loro stesso divenire.
1.3. Gli effetti sui contenuti del lavoro
Gli effetti che i cambiamenti fin qui tratteggiati hanno avuto sui contenuti del lavoro
sono stati fin qui spesso evocati, ma ancora poco direttamente analizzati. Qui di seguito, dopo un’enunciazione estremamente sintetica di cosa si può intendere per contenuti del lavoro, si procederà ad una loro analisi sulla base di alcune dimensioni largamente in uso. Esplicitati i contenuti cui tali dimensioni fanno riferimento, l’attenzione si
soffermerà sulla misura in cui esse sono più o meno adeguate a rilevare il cambiamento
del lavoro. Ai fini della riflessione che si va svolgendo l’utilità di tale analisi risiede nel
far emergere i limiti di queste stesse dimensioni e nell’anticipare, quindi, quelle ritenute più idonee.
In generale, per contenuti del lavoro si intende ciò che concretamente i lavoratori
fanno e come lo fanno e, per cominciare, per la loro analisi si può fare ricorso a dimensioni comunemente usate come complessità, autonomia, responsabilità, ampiezza dei
compiti, dimensione relazionale. Per «complessità» si può intendere l’insieme delle conoscenze di base e di quelle tecniche o specialistiche che lo svolgimento di un determinato lavoro presuppone e l’insieme delle capacità e attitudini richieste dalla concreta esecuzione di determinati compiti 10. Nel loro rapporto, Kochan et al. (1999, p. 106) pongono, invece, l’accento soprattutto sulla dimensione sostantiva (o cognitiva), ovvero anche sul grado di attività cognitiva e di analisi richiesto per svolgere un determinato lavoro. Quale che sia la definizione che si voglia adottare, esiste ormai una gran mole di
studi e ricerche a dimostrazione del fatto che i cambiamenti dei fattori ricordati sopra
hanno influito in misura considerevole ed in vario modo sulla complessità del lavoro
(cfr. l’ampia letteratura citata da Kochan et al.). Ma il punto qui in discussione non è
questo – o meglio non è tanto questo. Ciò che interessa specificamente sapere è come è
cambiata la complessità. Come sono cambiate, cioè, le conoscenze – o qual è specificamente il nuovo sapere – di cui essa si sostanzia, ed in che modo, a seconda dei lavori da
svolgere, esse si associano o si combinano con quali capacità e con quali attitudini. Così posta, la domanda sposta il piano dell’analisi da quello della complessità, a quello degli elementi di cui essa si compone ed impone di prestare specifica attenzione al modo
in cui differenziare ad un tempo conoscenze, capacità, attitudini. Emblematica appare a
riguardo la considerazione sul «mix» di capacità richieste dall’introduzione della tecnologia informatica. I lavori informatizzati, infatti «richiedono meno capacità sensorie (tat-
10 Leggermente modificata questa definizione è stata utilizzata, per esempio, in una ricerca sul lavoro dei
dipendenti pubblici (Cerase, 1994, p. 97).
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to, olfatto) e fisiche, e di più di ciò che Zuboff indica come ‘capacità intellettive’, quali
il ragionamento astratto, l’inferenza, l’analisi di causa-effetto, la fiducia nei simboli» (Kochan et al., 1999, p. 116; il richiamo è a Zuboff, 1989). Ma in questo senso la stessa enfasi posta sul fatto che i cambiamenti ricordati sopra si sarebbero in generale tradotti in
una maggiore conoscenza incorporata nelle attività compiute dagli operatori diretti può
apparire riduttiva, se non semplicistica. Ciò che conta è sapere di quale conoscenza esattamente si tratta.
Di ordine diverso sono le osservazioni che si possono muovere all’impiego delle altre dimensioni dei contenuti del lavoro che sono state proposte. Per «autonomia» si può
intendere la facoltà o discrezionalità che il singolo ritiene di avere nel decidere le modalità di esecuzione dei propri compiti, oppure – secondo la definizione riportata in Kochan et al. (1999, p. 106) – considerarla, insieme al «controllo», come «grado di discrezionalità o potere decisionale che i lavoratori hanno sul modo in cui svolgere il loro lavoro». In questo caso il problema di analisi può risiedere nel fatto che l’autonomia che
il singolo «ritiene» di avere può più o meno coincidere con quella che effettivamente ha.
Con «responsabilità» si è inteso far riferimento «all’ambito o ai contenuti del proprio lavoro rispetto ai quali il singolo ritiene di poter essere o si sente chiamato a rispondere» (Cerase, 1994, p. 98). Il richiamo a questa dimensione appare importante
alla luce dell’enfasi che le nuove modalità di organizzazione dell’attività di impresa pongono sul coinvolgimento di tutti coloro che vi partecipano. E dunque, quanto più si è
coinvolti, tanto più si può essere chiamati e disposti a rispondere dei risultati delle proprie azioni. Ma in questo caso non solo è difficile stabilire qual è il confine tra il sentirsi responsabili ed il vedersi comunque attribuire determinate responsabilità. Non di
rado ancor più difficile può rivelarsi, a ragione dell’interdipendenza dei compiti, stabilire dove finisce la responsabilità di uno ed inizia quella di un altro soggetto, e quindi quali sono esattamente i risultati imputabili all’uno o all’altro – ammesso che essi
siano comunque accertabili.
Relativamente minori problemi di analisi presenta l’uso della dimensione che si riferisce all’«ampiezza» del compito o mansione, giacché in questo caso essa implica principalmente la rilevazione e misurazione delle concrete attività richieste da un determinato compito. Alquanto più problematico appare, invece, l’uso della dimensione «relazionale o interattiva» (Kochan et al., p. 106). Quest’ultima allude alla qualità delle interazioni sociali – nei loro aspetti comunicativi e simbolici – ma include anche la loro
qualità emotiva. È importante tenerne conto in quanto essa può incidere in maniera decisiva sul rendimento del lavoro (job performance), come è in particolare per il lavoro nei
servizi alla persona. Ma in che modo rilevarla può rivelarsi – come nel caso delle emozioni – un’operazione alquanto sfuggente. Pensare le emozioni al lavoro – è stato di recente affermato – significa considerare non le «emozioni imposte dalle organizzazioni
per fini strumentali o dalla razionalità burocratica, bensì le emozioni emergenti dall’interazione tra gli individui nel loro ruolo comunicativo rispetto al sé e rispetto agli altri»
(Corigliano, 2001, p. 158, corsivo nell’orig.).
Adottare, dunque, queste dimensioni per analizzare gli effetti che hanno avuto sui
contenuti del lavoro i cambiamenti dei fattori di contesto richiamati sopra può far na-
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scere più domande e problemi di quanti non riesca a chiarirne. Invero, la stessa analisi in tal senso offerta da Kochan et al. (1999, pp. 108-158), per quanto in sé molto
istruttiva e ricca di spunti, non va al di là di indicazioni generali e a volte ambivalenti. Se per un verso, infatti, le indicazioni emerse contribuiscono ad individuare alcune tendenze di fondo, per l’altro rinviano a maggiori puntualizzazioni che necessitano di strumenti di analisi ben più raffinati. Indubbiamente, ciò è dovuto anche al fatto – come gli stessi autori rilevano – di aver utilizzato, per differenziare le attività e le
esperienze lavorative, le grandi categorie socio-professionali quali quelle degli operai,
dei lavoratori dei servizi, dei tecnici e professionisti, dei dirigenti. Ma ai fini della riflessione che si va svolgendo proprio in ciò sta l’ulteriore contributo dell’analisi fin
qui richiamata: essa contribuisce a mettere in evidenza l’inadeguatezza di tali categorie come criteri di classificazione dei lavori o delle professioni. Essa evidenzia, cioè,
come la differenza tra queste stesse categorie va diventando per molti aspetti sempre
più sfumata o meno netta ed esse vanno così perdendo gran parte delle loro potenzialità sia descrittive che analitiche.
Per fare solo alcuni esempi, vi è un’ampia evidenza che indica un sostanziale incremento nel lavoro operaio sia del grado di autonomia e di controllo che dell’ampiezza
dei compiti cui corrisponde non solo un crescente uso di conoscenze e capacità tecniche, ma anche quello di maggiori capacità relazionali. Ma ciò non avviene in maniera
generalizzata. E se, dove avviene, le differenze tra lavoro operaio e lavoro dei tecnici tendono ad attenuarsi, dove non avviene tendono invece ad emergere nuove differenze nell’ambito dello stesso lavoro operaio. E sono questi i cambiamenti che occorre poter rilevare in modo puntuale.
Ancor più eclatante è l’esempio che si può trarre da ciò che è avvenuto per i lavoratori dei servizi. Il fulcro del loro lavoro sta nell’interazione con il cliente-consumatore
(o comunque con il destinatario del servizio), e l’interazione – come ricordano Kochan
et al. (1999, pp. 123-124) – può esaltare l’aspetto «relazionale» o viceversa può essere
«razionalizzata» e prendere la forma di routines più o meno standardizzate ed impersonali. La trasformazione che ha avuto luogo nel settore dei servizi – si pensi solo agli
effetti prodotti dalla concomitante massificazione e segmentazione dei consumatori e
all’introduzione di procedure di relazione informatizzate – ha modificato radicalmente la caratterizzazione di molti lavori rispetto all’uno o all’altro aspetto. Le capacità o
le attitudini richieste sono cambiate, pertanto, in modo alquanto differenziato, e mentre in alcuni casi precedenti distinzioni tra determinate figure dei lavoratori dei servizi si sono attenuate, in altri esse si sono accentuate. Ma, anche in questo caso, sono
esattamente queste nuove distinzioni e caratterizzazioni che occorre oggi poter rilevare in modo puntuale.
Ma l’esempio più emblematico della relativa utilità di operare con le dimensioni dei
contenuti del lavoro richiamate sopra riferite alle grandi categorie socio-professionali
può essere tratto dalla riflessione su come è mutato il lavoro dei tecnici e dei professionisti. Si tratta, infatti, delle categorie di lavoratori il cui lavoro è stato specificamente rivoluzionato a ragione della crescente enfasi posta ad un tempo sullo sviluppo e sull’utilizzazione delle conoscenze scientifiche per le finalità proprie dell’attività di impresa. L’a-
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nalisi del lavoro di queste figure di lavoratori, e della loro nuova e crescente importanza, ha dato luogo ad una vastissima letteratura – ivi comprese le prime suggestioni di
Daniel Bell (1973). Essa riveste uno specifico interesse nell’ambito della riflessione che
si va svolgendo, giacché – come rilevano Butera e Donati – in questione «non è un semplice incremento di competenze richiesto ai tradizionali soggetti che operano nelle imprese e nelle amministrazioni pubbliche», quanto invece l’emergenza di un nuovo sistema di lavoro come «parte di un nuovo sistema di produzione che sta progressivamente soppiantando il modello taylor-fordista. Il nuovo sistema di produzione centrato sulla conoscenza sta portando sulla scena un nuovo soggetto – il lavoratore della conoscenza… – che, come nel caso dell’operaio-massa del ’900, introduce un radicale mutamento
nella struttura del lavoro e pone problemi di management delle imprese del tutto nuovi sia sul fronte dell’organizzazione e dello sviluppo delle risorse umane che sul fronte
delle relazioni industriali» (Butera e Donati, 1997, pp. 19-20, corsivo nell’orig.). Ma al
di là dell’esaltazione della loro novità ed importanza come «lavoratori della conoscenza», e comunque prima ancora di poter procedere ad una loro accurata individuazione
e descrizione 11, vale forse la pena riflettere maggiormente sulla caratteristica che specificamente contraddistingue il contenuto del loro lavoro. Ciò che appare peculiare alle
loro competenze (anticipando un concetto cui si tornerà ampiamente tra poco) tecniche,
professionali, amministrative, è che esse si alimentano di conoscenze e capacità la cui
obsolescenza è intrinseca all’innovazione stessa del processo produttivo. E dunque, tanto più rapido è il processo di innovazione, tanto più elevata è l’obsolescenza delle loro
competenze e tanto più ciò può generare nuove differenziazioni. Ancora una volta, ai
fini della riflessione che si sta svolgendo, è proprio questo che è opportuno riuscire a rilevare in modo puntuale.
Per concludere su questo punto si può ritenere – come gli esempi appena richiamati dimostrano – che le dimensioni con le quali finora si sono generalmente analizzati i
contenuti del lavoro, sono scarsamente adeguate a cogliere i cambiamenti specifici che
hanno luogo nei diversi tipi di lavori o professioni. Ed è altresì emerso che le stesse macro-categorie utilizzate per descrivere e classificare le professioni appaiono sempre meno in grado di cogliere le differenze specifiche che vanno emergendo tra una professione e l’altra.
Ma vale la pena riportare per esteso alcune considerazioni conclusive di Kochan et al.:
«Tentare di trarre delle conclusioni circa le tendenze generali in cui vanno mutando i contenuti del lavoro entro una classificazione delle professioni così vasta è un’operazione piuttosto rischiosa. … Idealmente per identificare con minore ambiguità questo tipo di tendenze, i ricercatori ed i policy makers dovrebbero poter fare ricorso ad un database aggiornato,
11 Peraltro, mentre, per esempio, Butera e Donati non sembrano avere difficoltà a tracciarne un profilo sulla base dei criteri che vanno dal livello di formazione, ai contenuti del lavoro, alla posizione occupazionale, all’inquadramento giuridico (Butera e Donati, 1997, p. 22), non manca chi solleva dubbi sostanziali sul fatto che si sia veramente in grado di definire chi sono i knowledge workers (Collins, 2000,
pp. 329-336).
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nazionale e longitudinale sia sulle capacità lavorative [job skills] che sulle strutture occupazionali» (Kochan et al., 1999, pp. 158-159).
E dunque solo in via provvisoria tali tendenze possono essere così sintetizzate:
Per quanto riguarda il lavoro operaio, «un numero crescente di lavori sembra (a) offrire ai lavoratori maggiore autonomia e controllo sui propri processi lavorativi, (b) estendersi ad una
gamma più vasta di mansioni, (c) richiedere capacità interpersonali, e (d) sono diventate possibilmente più analitiche se non più complesse da un punto di vista cognitivo» (ibid., p. 60).
Nei servizi, invece, «una percentuale rilevante di lavori di servizio stanno probabilmente diventando sempre più routinizzati… [e] le differenze tra lavori impiegatizi e lavori per la vendita diventano tendenzialmente sempre più sfumate… [mentre] le capacità interpersonali
ed emotive restano cruciali per il lavoro di servizio» (ibid., p. 161).
Per quanto riguarda il lavoro dei tecnici e dei professionisti, esso «continua a caratterizzarsi
per una considerevole autonomia e controllo sui processi di lavoro, ad avere notevole ampiezza, ad offrire sfide alquanto complesse dal punto di vista cognitivo, ed a richiedere capacità interpersonali di livello elevato» (ibid., p. 161).
Infine, «non si può dire che in generale il lavoro stia diventando più di routine o meno qualificato del passato, ma non è neanche possibile affermare il contrario. Quello che invece
sembra di poter dire è che va aumentando la divisione orizzontale del lavoro. Nella divisione orizzontale del lavoro il coordinamento avviene attraverso l’incessante collaborazione tra esperti piuttosto che attraverso un sistema di comando e controllo. … [Ed] in un
economia caratterizzata dalla divisione orizzontale del lavoro, il contenuto e la conoscenza
si presentano come forze per organizzare più importanti del comando e del controllo» (ibid.,
pp. 162-163).
Ma se è questa la natura dei cambiamenti in atto, per riuscire a coglierla ed analizzarla prima di ogni altra cosa occorre individuare uno strumento concettuale più idoneo di quelli fin qui utilizzati.
■
2. L’analisi delle (e per) competenze
In un’economia in cui – come si è appena finito di vedere – per organizzare l’attività di impresa conta sempre più il ricorso al sapere o alla conoscenza che
esalta la dimensione cosiddetta «immateriale» della produzione a scapito di quella materiale, tende anche a crescere la quantità di conoscenza incorporata nel lavoro. Sia il contenuto che il prodotto e lo stesso processo lavorativo sono costituiti sempre più spesso da
simboli e manipolazione di simboli e sempre meno da elementi materiali (Cevoli, 1992).
Al contempo i cambiamenti in atto rendono i contenuti del lavoro sempre meno definibili a priori. Via via che ciò è avvenuto, i rigidi concetti di mansioni e qualifiche utilizzati secondo la logica tayloristica per descrivere, analizzare, misurare, suddividere, classificare e incasellare il lavoro impiegato nei processi produttivi, si è rivelata sempre più inadeguata. Gli stessi «criteri di valutazione e giudizio del lavoro basati sui sistemi di qualifica organizzati intorno al ‘saper fare’, al tempo (ore, giornate, mesi) e alle quantità fisi-
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che, divengono sempre più inadeguati a rappresentare i nuovi contenuti del rapporto e
del processo di lavoro» (Consoli e Benadusi, 1999, p. 39). E dunque, quanto più è accaduto che la dimensione cognitiva e tecnologica è diventata cruciale per l’avanzamento e
lo sviluppo dell’attività di impresa, che l’organizzare per progetti è andato sostituendosi
alla rigida suddivisione funzionale, che una struttura deverticalizzata con la scomparsa di
molti livelli gerarchici intermedi ha preso il posto di rigide e dettagliate linee gerarchiche, tanto più si è anche indebolito il richiamo alla posizione occupata ed al sistema di
progressione e di carriera ad essa connesso su cui si è tradizionalmente basata la gestione
delle risorse umane. In sostanza, quanto più tutto ciò è avvenuto, tanto più si è andato
affermando il richiamo al concetto di competenza come il più idoneo a descrivere, analizzare, strutturare, rappresentare il lavoro nel nuovo scenario.
Come è stato rilevato, il concetto di competenza emerge e si afferma contemporaneamente in ambiti molto diversi «come possono essere la regolazione dei mercati interni alle imprese, il sistema scolastico, il sistema della formazione e le agenzie preposte
al funzionamento del mercato del lavoro» (Consoli e Benadusi, 1999, p. 31; si veda anche Ajello, 2002). E dunque – anticipando in parte quanto si andrà dicendo di qui a
poco – la competenza si candiderebbe «come sostituto funzionale della ‘qualifica’ del
mondo tecnico, organizzativo e sociale del modello ‘post-fordista’» (Consoli e Benadusi, p. 70). Ma proprio perché esso si pone come «testimone di un’epoca», secondo questi autori la sua emergenza non si sarebbe ancora compiuta, in quanto essa «richiede una
modifica istituzionale complessiva dei sistemi di regolazione dei rapporti di lavoro, dei
sistemi formativi ed educativi e del mercato del lavoro» (ibid., p. 35). Secondo altri, invece, il richiamo alla centralità di questo concetto nell’analisi e nella gestione delle risorse umane ha dato luogo all’affermazione di un vero e proprio movimento (Horton,
2000 e 2002) 12. In questo senso l’adozione del «metodo delle competenze» viene effettivamente presentato «come un cambiamento di paradigma e di prassi gestionale delle
risorse umane in linea con la nuova centralità acquisita nelle organizzazioni dagli attori e dalle loro logiche d’azione» (Consoli e Benadusi, 1999, p. 40). Un nuovo paradigma che dovrebbe sostituire la centralità di quello basato sulla qualifica posta a cardine
del sistema fordista di valutazione e rappresentazione del lavoro.
In estrema sintesi: «La differenza principale tra l’approccio basato sulla competenza
e gli approcci tradizionali di gestione delle risorse umane risiede nel fatto che il primo
pone l’enfasi sulle diverse conoscenze, capacità, attitudini e comportamenti che le persone hanno bisogno di avere per essere in grado di conseguire gli obiettivi strategici dell’organizzazione e gli scopi ed i livelli di performance secondari che da quegli obiettivi
derivano. L’approccio tradizionale, invece, ha avuto la tendenza a porre l’enfasi sui lavori e sui titoli formali ed esperienze possedute dalle persone come indicatori predittivi della loro possibile performance in quegli stessi lavori» (Horton, 2002, p. 3).
12 Naturalmente, come è stato opportunamente rilevato, l’emergenza del concetto di competenza va vista
contestualmente alla diffusione di altri concetti-chiave come l’apprendimento, l’organizzazione per progetto, la valutazione, ed altri ancora (Consoli e Benadusi, 1999, p. 35).
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Per esplicitare a questo punto il filo conduttore del prosieguo della discussione, la tesi che si intende sostenere è che il sistema di informazione sul lavoro e sulle professioni
da privilegiare è quello che, facendo perno su questo concetto, riesca meglio ad approssimarsi alla rilevazione ed alla misura delle competenze richieste sul lavoro.
Ma ciò detto, è bene aggiungere subito che sia all’affermazione del concetto di competenza, che a quella del movimento cui esso ha dato luogo, si accompagnano comunque non poche e certamente non irrilevanti differenze di concettualizzazione e di impostazione. Su di esse vale qui la pena soffermarsi brevemente, in particolare per quegli
aspetti che hanno specifica rilevanza ai fini di questa riflessione.
2.1. Sul concetto di competenza
L’introduzione del concetto di «competenza» viene solitamente attribuita a McClelland 13. Insoddisfatto dei test tradizionali con cui venivano accertate le capacità dei soggetti, egli sostituì il termine di competenza a quello di «capacità» (skill) in modo da potervi includere anche attitudini comportamentali ed abilità tecniche (McClelland, 1973,
riportato in Horton, 2002, p. 8). Una prima complicazione, tuttavia, nasce dal fatto che
– almeno nella lingua inglese – il termine «competency» si aggiunge a quello di «competence». E laddove il primo, sulla base anche del contributo di Boyatzis (1982) si riferisce alla competenza come «caratteristica intrinseca di un individuo che è causalmente
collegata ad una performance efficace o superiore», il secondo si riferisce, invece, seguendo Fletcher (1991), al fatto di riuscire a svolgere le attività previste nell’ambito di
un determinato lavoro «secondo standard prestabiliti» (citati in Horton, 2002, p. 4). Si
tratta di una distinzione importante, in quanto richiama all’attenzione una differenza
di «fuoco» che avrebbe ispirato quella differenza tra l’approccio «americano» e quello
«britannico» nello sviluppo del «movimento delle competenze» per la gestione delle risorse umane cui si è prima fatto cenno (Horton, 2000). Da un lato, viene precisato, il
fuoco è sugli inputs che consentono di riuscire bene in un determinato lavoro; nell’altro è, invece, sulla dimostrazione fattuale di competenza basata sui risultati ottenuti
(Horton, 2002, p. 4). Detto diversamente, si può anche sostenere che in un caso l’enfasi appare posta sulle competenze che è necessario avere per fare bene; nell’altro, appare invece piuttosto spostata sulla dimostrazione di averle. In un caso come nell’altro, tuttavia, resta comunque un problema di stabilire come e a chi spetti decidere quando una
performance sia da considerare «efficace o superiore» o come stabilire quali debbano essere gli standard accettabili. Il problema viene di fatto risolto fissando una «procedura»
o «convenzione» secondo la quale si stabilisce l’una o l’altra cosa. Quale che essa sia, tuttavia, il problema appare risolto solo in via provvisoria.
13 Tuttavia, non mancano di notare Geffroy e Tijou, «è confortante constatare che il termine ‘competenza’, nozione ultramoderna riciclata dall’America che detta legge in materia di management, aveva già un
significato ben preciso per l’honnête homme del XVII secolo: ‘abilità riconosciuta in determinate materie, che conferisce il diritto di decidere’» (2002, p. 19).
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Ma è al lavoro di Lyle e Signe Spencer (1995) che si deve una prima, ampia sistematizzazione dell’analisi delle competenze. Da esso derivano però al contempo non poche
ulteriori complicazioni sulle quali il dibattito è tuttora sostanzialmente aperto. Nel loro lavoro – fondato sulla stessa metodologia di ricerca di McClelland – Spencer e Spencer muovono da quella che è considerata la «madre» di tutte le definizioni (così in Levati e Saraò, 1998, p. 30) 14.
«Per competenza intendiamo: una caratteristica intrinseca individuale che è causalmente collegata ad una performance efficace e/o superiore in una mansione o in una situazione, e che
è misurata sulla base di un criterio prestabilito.
Caratteristica intrinseca significa che la competenza è parte integrante e duratura della personalità d’un individuo, del quale può predire il comportamento in un’ampia gamma di situazioni e di compiti di lavoro.
Causalmente collegata significa che la competenza causa o predice comportamenti e risultati ottenuti.
Misurata su un criterio prestabilito significa che la competenza predice chi esegue un lavoro bene o male, secondo criteri standard specifici» (Spencer e Spencer, 1995, p. 30).
Subito dopo questa definizione, Spencer e Spencer precisano, citando Guion (1991),
che le caratteristiche individuali intrinseche indicano «i modi di comportarsi o di pensare che si ripetono nelle loro grandi linee nelle diverse situazioni e perdurano per un
periodo di tempo ragionevolmente lungo». Individuano quindi cinque tipi di caratteristiche della competenza:
– motivazioni: «gli schemi mentali, i bisogni o le spinte interiori che normalmente inducono una persona ad agire»;
– tratti: «caratteristiche fisiche, e una generale disposizione a comportarsi o a reagire
in un determinato modo ad una situazione o informazione»;
– immagine di sé: «atteggiamenti, valori o concetto di sé»;
– conoscenza: di discipline o argomenti specifici;
– skill: «la capacità di eseguire un determinato compito intellettivo o fisico».
Inoltre, mentre le conoscenze e le skill sono ritenute «osservabili e relativamente superficiali» – così come lo è la parte emersa di un iceberg –, l’immagine di sé, i tratti e le
motivazioni sono «nascoste nell’intimo della personalità» e rappresentano la parte sommersa dell’iceberg (Spencer e Spencer, 1995, pp. 30-32).
Nella definizione appena riportata e nelle successive precisazioni sono sostanzialmente racchiuse tutte le potenzialità di analisi del concetto così come tutti i problemi
di interpretazione che esso ha aperto ed in parte tuttora lasciati irrisolti. Levati e Saraò
14 Ma ciò, ovviamente, non vuol dire che non vi siano altre definizioni – più o meno contemporanee a quella di Spencer e Spencer – o che di essa non se ne sia avvalsa per esempio, quella di Boyatzis (1982) sulla
quale si tornerà tra breve o di Hirsch e Strebler (1994, 4ª ed).
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hanno in particolare individuato – e tentato di venirne a capo – quattro questioni di
fondo che scaturiscono da alcune implicazioni contraddittorie della definizione di Spencer e Spencer (Levati e Saraò, 1998, pp. 17-25).
La prima questione attiene alla nozione di competenza come caratteristica intrinseca. Se così è – e così si assume che sia al fine di connettere alle competenze una performance ripetibile e qualitativamente uniforme pur nella varietà di specifici compiti e circostanze – il problema è come ciò possa essere compatibile con la possibilità che esse siano al contempo acquisite e sviluppate. In buona sostanza, la domanda è: chi in un determinato momento non dimostra di avere le competenze richieste, o non è competente, è possibile – e fino a che punto – che lo diventi in un momento successivo?
La seconda questione riguarda il modo in cui intendere il collegamento causale tra
comportamento, performance e competenza – ovvero qual è esattamente la natura del
rapporto che lega questi elementi tra di loro. Più che l’esigenza di chiarire che la performance attiene alla sfera comportamentale, mentre la competenza appartiene a quella psicologica, si ritiene qui che il problema della relazione tra l’una e l’altra attenga alla variabilità della relazione. Se una determinata performance dipende causalmente da
una determinata competenza, vuol dire questo che data quella competenza è possibile
solo quella performance?
La terza questione riguarda se e quanto il possesso di un determinata competenza
possa essere considerato indipendentemente dal contesto specifico – mansione e situazione – nel quale essa si esprime. Più esplicitamente si tratta di stabilire se «la competenza è dipendente dalla situazione e quindi addirittura legata alla prestazione nella mansione o è capace di superare non solo l’orizzonte della mansione, ma anche lo specifico
contesto aziendale di riferimento e aprirsi al futuro» (Levati e Saraò, 1998, p. 23) ed in
questo senso avere la caratteristica di essere «meta-situazionale». In sostanza la domanda è: in che misura un soggetto conserva la competenza che ha mostrato di avere in una
determinata situazione o per lo svolgimento di un determinato lavoro, allorquando quella situazione o quel lavoro cambiano?
La quarta questione, infine, attiene più propriamente all’individuazione dei fattori
costitutivi della competenza. Il problema è che ai fattori inclusi nella definizione di Spencer e Spencer (motivazioni, tratti, immagini di sé, conoscenze, skill) – peraltro ripresi,
come ricordano Levati e Saraò, da quella di Boyatzis (1982) – se ne possono aggiungere numerosi altri su cui in diversa misura hanno incentrato l’attenzione altri autori. Basti qui ricordare, seguendo ancora Levati e Saraò, la fiducia in sé, il self-control, la resistenza allo stress e alla fatica, la visione personale, gli atteggiamenti e valori (Hooghiemstra,
1992); il corpo di conoscenza che la persona usa (Klemp, 1980); la capacità di saper selezionare e organizzare le risorse disponibili (Montmollin, 1984); la creatività e abilità
cognitive (Sarchielli, 1996), per non dire di altri ancora enfatizzati nella vastissima letteratura sul cosiddetto «management competente» (per esempio, tra i più recenti, Geffroy e Tijou, 2002). Il problema a riguardo è come ricondurre, senza impropri riduzionismi, questo insieme di fattori ad una appropriata articolazione di dimensioni attraverso le quali riuscire a cogliere le specifiche componenti della competenza ed il modo
in cui queste interagiscono tra di loro.
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Ma c’è un’altra questione che, per così dire, attraversa le altre. Essa riguarda il se e
quanto il richiamo alla competenza debba alludere e comprendere anche quella che il
soggetto competente avverte o ritiene di possedere, o debba essere limitata a quella che
invece una qualche figura di esperto rileva oggettivamente sulla base di un determinato standard di performance.
Ciascuna delle questioni cui si è fatto cenno, in quanto attiene in una qualche misura alla concettualizzazione e/o alla rilevazione della competenza, riveste un interesse
specifico per la riflessione che si sta svolgendo. Se si ritiene che è proprio nel richiamo
alla competenza ed alla sua rilevazione che va individuato il criterio base per stabilire
quale sistema di informazione sul lavoro e sulle professioni sia da privilegiare, il modo
in cui ciascuna questione viene affrontata acquista un’importanza cruciale. Dalla risposta che ad esse si dà dipende, infatti, anche la possibilità e la capacità di approssimarsi
di più o di meno a cogliere la natura del lavoro svolto in un qualsiasi processo produttivo ed organizzativo ed il modo in cui essa va cambiando. La ricerca di una risposta a
queste domande appare riconducibile a due approcci secondo i quali si è sviluppata l’analisi delle competenze e su di essi è necessario a questo punto soffermarsi.
2.2. Gli approcci all’analisi delle competenze
In estrema sintesi, la distinzione fondamentale che è possibile tracciare tra i diversi approcci all’analisi delle competenze è quella tra gli approcci razionalistici, per i quali la
competenza è «costituita da un particolare insieme di attributi, come le conoscenze e le
abilità utilizzate nello svolgere un’attività specifica», e gli approcci interpretativi, per i
quali invece la competenza è «costituita dal significato che il lavoro assume nell’esperienza del lavoratore» (Sandberg, 2000, pp. 95 e 97). In buona sostanza, nel primo caso l’analisi muove da un costrutto di competenza razionalistico ed in quanto tale definibile a sé stante; nel secondo, invece, muove, da un costrutto «socialmente costruito»
ed in quanto tale «situato».
Sulla base di un’ampia letteratura Sandberg distingue ulteriormente gli approcci razionalistici in «worker-oriented», «work-oriented» e «multimethod-oriented». «In base agli
approcci worker oriented la competenza è costituita da attributi posseduti dai lavoratori, quali conoscenze, capacità, abilità (CCA) e da caratteristiche personali necessarie per
una performance efficace» (Veres et al., 1990, p. 87, cit. in Sandberg, 2000, p. 96). La
critica cui essi hanno prestato il fianco è quella di pervenire a descrizioni della competenza troppo generali ed astratte. Anche negli approcci work-oriented la competenza è
considerata un insieme specifico di attributi, ma – a differenza dei precedenti – essi muovono dal lavoro. «Più precisamente, prima identificano le attività fondamentali per svolgere un lavoro, e poi trasformano quelle attività in attributi personali» (Sandberg, 2000,
p. 96). Ma se per un verso, così facendo, «pervengono a descrizioni più concrete e dettagliate di ciò che costituisce la competenza e superano il problema di descrizioni troppo generiche… [per l’altro] non necessariamente una lista di attività lavorative indica
gli attributi richiesti per svolgerli efficientemente» (ibid., pp. 96-97). Gli approcci mul-
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timethod-oriented tendono a superare i limiti degli approcci precedenti utilizzandoli entrambi. Ciò che, tuttavia, in particolare conta ai fini di questa riflessione è che per tutti e tre questi approcci la competenza è «un fenomeno basato su attributi. … [essa] è costituita da un insieme di attributi che le persone utilizzano per svolgere un lavoro. …
[E] si suppone che gli attributi siano fondamentalmente indipendenti dal contesto. [Si
suppone, cioè, che un determinato attributo] abbia un significato in sé, univoco, e considerato indipendente dal contesto e, quindi, adottabile in attività lavorative differenti». Si rivela in ciò quell’«epistemologia oggettivistica» che «implica un lavoro oggettivo, conoscibile che è staccato dai lavoratori e produce descrizioni delle attività lavorative che sono indipendenti dai lavoratori» (ibid., p. 97, corsivo nell’orig.).
Agli approcci razionalistici si contrappongono quelli interpretativi per i quali la competenza non è affatto composta da entità separate. «[A]l contrario. Lavoratore e lavoro
formano un’unica entità attraverso l’esperienza vissuta nel lavoro», ed è per questo, come si è anticipato, che essa è «costituita dal significato che il lavoro assume nell’esperienza del lavoratore». In questo senso, «gli attributi non sono context free ma situazionali, o dipendenti dal contesto. Cioè, gli attributi utilizzati in un particolare lavoro acquisiscono la loro dipendenza dal contesto tramite l’esperienza che del lavoro fanno i
lavoratori. [Ciò implica che] i modi di fare esperienza sono più importanti degli attributi stessi» (ibid., pp. 97 e 98). Sul piano metodologico sta in ciò il rigetto di assunti di
tipo oggettivistico ed il richiamo, invece, ad elementi epistemologici di tipo costruttivistico-fenomenologico. In questi approcci diventa determinante il richiamo alla situazione, al contesto in cui si manifesta e al contempo si pratica e si costruisce la competenza, o meglio ancora il richiamo alla interpretazione e al manifestarsi della competenza nell’azione e attraverso l’azione in un contesto, ovvero nell’azione-situata. «In altri termini il «già-dato» delle competenze individuali e dei processi sono solo la premessa
dell’azione; è invece durante l’azione che questi requisiti vengono fusi e trasformati e ciò
che emerge a valle dell’azione sono i risultati e un insieme di interpretazioni che spiegano i risultati e che noi chiamiamo competenze» (così in Capaldo et al., 2002, p. 89).
In sostanza, la competenza individuale non può essere vista se non in relazione alla competenza collettiva propria del contesto in cui essa si manifesta. Una nuova expertise – è
stato argomentato – non è semplicemente il frutto dell’acquisizione di nuova conoscenza, ma è piuttosto costruita attraverso lo sviluppo e l’applicazione di tale conoscenza in un determinato contesto (Hatchuel e Veil, 1992).
In questo secondo tipo di approcci un’enfasi particolare viene quindi posta sulle componenti umana e relazionale della competenza. Come è stato osservato, l’espressione
«competenza umana sul lavoro» (Sandeberg, 2000, p. 96), riassume bene le diverse componenti-traiettorie della competenza: soggetto con tutta la sua umanità, contesto situazionale e interazione relazionale. E dunque, «La competenza non è uno stato, né una concezione posseduta, non può coincidere con le conoscenze possedute o con le caratteristiche personali, ma rappresenta una «mobilitazione» di risorse (Le Boterf, 1994), che avviene in situazione e da parte di un soggetto; … la competenza attiene proprio alle modalità di utilizzo da parte del soggetto delle proprie risorse, in relazione alle specifiche situazioni nelle quali si trova ad agire ed alle aspettative dei soggetti con i quali interagisce
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(Capaldo, Volpe e Zollo, 1996)» (così in Farinella, 2002, pp. 37-38). Infine, laddove le
competenze sono considerate come costrutti sociali, questi si presentano «come specifici e distintivi della realtà aziendale che li produce» (Capaldo et al., 2002, p. 90) 15.
Quanto appena detto rende sufficientemente evidente come l’adozione dell’uno o
dell’altro tra questi due tipi di approcci porti a rispondere diversamente alle questioni
poste sopra in merito alla concettualizzazione ed alla rilevazione delle competenze sul
lavoro, e quindi ad approssimarsi diversamente alla comprensione del modo in cui sta
cambiando la natura del lavoro 16. Ed è a questo punto che si impone qui una scelta tra
un tipo di approccio piuttosto che per l’altro. Essa non può che dipendere dal grado in
cui l’approssimazione cui pervengono le risposte che essi forniscono è ritenuta più o meno soddisfacente rispetto ai fini di questa riflessione. Ma ciò non significa in alcun modo negare la validità e le potenzialità di comprensione di quello non prescelto. Anzi, solo tenendole ben presenti si può conservare la consapevolezza dei limiti di quello prescelto. Può ben darsi che optando per il primo si rischi di «piegare» o di «disperdere» per
fini meramente descrittivi e classificatori la ricchezza stessa del concetto di competenza
cui si richiamano i propugnatori dell’approccio interpretativo. Ma può anche darsi che
alternativamente, optando per il secondo, il rischio possa essere quello di dover rinunciare del tutto all’utilizzazione stessa del concetto di competenza.
Innanzitutto, è possibile parlare di competenza/competenze necessarie per svolgere un determinato lavoro e stabilirne quindi natura, dimensioni e grado o livello? A
meno di poter rispondere positivamente a questa domanda, è ben difficile immaginare che il concetto stesso di competenza possa avere una qualche utilizzazione ai fini di
un’informazione di sistema sul lavoro e sul suo cambiamento. Da questo punto di vista l’approccio razionalistico è più soddisfacente proprio in quanto concettualizza la
competenza come un costrutto composto di diversi elementi o dimensioni di per sé rilevabili, misurabili e standardizzabili. Consente, cioè, di stabilire in che cosa consistono ed in quale misura sono necessarie determinate competenze per svolgere un determinato lavoro.
Ritenere che una determinata competenza sia rilevabile e misurabile non significa affatto implicare che essa possa darsi a prescindere da un soggetto che la mette in azione.
Al contrario, è proprio l’agire dei soggetti che la rivela e ne consente la rilevazione. Dunque, l’adozione di un approccio razionalistico non significa la chiusura di ogni atten-
15 Ma al contempo questi stessi autori non rinunciano a porre l’attenzione anche sul problema di come definire un insieme di strumenti e misure «standardizzabili» per l’analisi e la valutazione delle competenze
(Capaldo et al., 2002, p. 89).
16 Va peraltro aggiunto che oltre alla distinzione tra i due tipi di approcci richiamati, il dibattito sul concetto di competenza è segnato da un’altra questione, per alcuni non meno cruciale (come per es. in Consoli e Benadusi, 1999, pp. 51-57) e che in parte si sovrappone alle questioni appena discusse, e cioè se e
quanto la competenza sia da considerare una caratteristica dell’individuo e quanto una caratteristica dell’organizzazione. Ovvero, una volta detto che un individuo non può esprimere competenze se non in un
determinato contesto di lavoro, quanto può invece l’organizzazione possedere delle competenze sue proprie a prescindere dai soggetti che operano al suo interno?
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zione alla dimensione soggettiva. Inoltre, per quanto intrinsecamente legate ad un soggetto che la attiva, ciò non significa neanche che in linea di principio una determinata
competenza non possa essere appresa o comunque acquisita.
Affermare che per svolgere un determinato lavoro sono necessarie determinate competenze, equivale di per sé a dire che quel lavoro verrà svolto bene? Ed in questo senso
come – e a chi spetta – definire una buona performance? E ancora, data una determinata competenza, è possibile solo una performance? Sul problema del rapporto causale
tra competenza e performance la differenza di risposta tra l’approccio di tipo razionalistico e quello interpretativo è invero emblematica. Alla concezione degli approcci razionalistici, secondo cui «lo sviluppo della competenza è considerato un’acquisizione di
attributi», Sandberg oppone i risultati delle proprie ricerche che «indicano nel cambiamento delle concezioni [del lavoro] la forma fondamentale di sviluppo della competenza. Questo perché i risultati mostrano che i modi di concepire il lavoro determinano gli attributi sviluppati e il significato che questi attributi assumono durante la performance» (Sandberg, 2000, p. 97). Viene con ciò anche messa in discussione la visione tradizionale dello sviluppo della competenza come «processo step-by-step dallo status
di novizio a quello di esperto» (ibid.) 17. Ciò che è più importante, invece, per lo sviluppo della competenza è un cambiamento nelle concezioni di lavoro. Intendere in questo modo la competenza porta a dare una risposta alternativa al perché alcuni conseguono risultati migliori di altri. «La variazione nella performance non è in primo luogo
correlata ad un o specifico insieme di attributi posseduti da coloro che vengono giudicati come i più competenti. Piuttosto la ragione sta nella variazione dei modi di concepire quel lavoro» (ibid.).
A sua volta la risposta al problema del rapporto tra competenza e performance fornita nell’ambito di un approccio razionalistico lascia non pochi spazi di ambiguità. Di
fatto essa non fa che rinviare ad una qualche procedura o convenzione in base alla quale, stabilita qual è da considerare – nel senso già discusso – una performance «efficace o
superiore», si definiscono anche le competenze che possono determinarla e in quali condizioni di contesto ciò può avvenire. Ma anche così facendo resta pur sempre uno spazio di ambiguità tra la definizione delle competenze che servono per svolgere un determinato lavoro e quelle che servono per svolgerlo bene e in quali condizioni, da un lato,
e quelle che un determinato lavoratore effettivamente possiede ed è in grado di mettere
in azione, dall’altro. Ma su questo punto si avrà modo di tornare in seguito.
È ben vero che una determinata competenza non può che manifestarsi in un qualche contesto o situazione lavorativa e che questo ne può condizionare per caratteristi17 Invero, il richiamo di Sandberg al modello del processo di apprendimento umano lungo i cinque livelli
da quello di «novizio» a quello di «esperto» di Dreyfus e Deyfus (1986) appare qui piuttosto riduttivo.
Come è stato recentemente enfatizzato, il modello consente proprio di distinguere gradualmente tra un
livello – quello del novizio – che agisce sulla base di elementi e regole indipendentemente dal contesto,
al livello – quello dell’esperto – in cui al comportamento razionale basato sulle regole si sostituisce quello che, basandosi sull’intuizione, è in grado di tener conto del contesto. Ed è in questo senso che la competenza diventa «virtuosa» (Flyvbjerg, 2001, cap. 1).
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che sue proprie in diverso modo e misura la manifestazione. Né si può prescindere, come è stato detto, dal sottile rapporto che esiste «tra contenuti di conoscenza, loro utilizzazione, loro controllo, loro elaborazione e rielaborazione di fronte a situazioni nuove» (Meghnagi, 1992, p. 15), poiché è proprio attraverso questo gioco che è possibile al
singolo recuperare ed innestare le esperienze vissute, integrandole al sapere generale. Ma
al contempo – come si è già rilevato – la competenza resta comunque legata ad un soggetto. In questo senso si può ben assumere, come l’adozione di un approccio razionalistico consente di fare, che un soggetto conservi la competenza che ha mostrato di avere in una determinata situazione o per lo svolgimento di un determinato lavoro, anche
allorquando quella situazione o quel lavoro cambiano. E proprio in quanto si muove
con il soggetto, una determinata competenza può essere trasferita da un lavoro all’altro,
da una situazione all’altra e quindi reimpiegata. Indubbiamente, le competenze messe
in pratica da un determinato lavoratore (o lavoratrice) x che svolge il lavoro y nel contesto z non saranno mai esattamente le stesse di quelle messe in pratica per lo svolgimento del lavoro y1 nel contesto z1. Ma ciò non significa che ogni relazione x-y-z sia di
per sé unica ed incomparabile con le altre.
Ma forse il punto di maggior forza – o dal punto di vista opposto quello di maggior
debolezza – dell’approccio razionalistico risiede nel fatto che esso consente di stabilire
in modo puntuale quali sono da considerare i fattori costitutivi della competenza. Esso
consente, cioè, di pervenire, senza impropri riduzionismi ad un insieme di dimensioni
attraverso le quali poter cogliere in maniera esaustiva tutte le specifiche componenti della competenza ed il modo in cui esse interagiscono tra di loro. Il problema che resta da
affrontare da questo punto di vista è se mai – come si vedrà – quello di come conciliare il criterio della esaustività con quello della parsimonia, in modo da pervenire ad uno
strumento di analisi agile ed efficace sia per le esigenza di sistema, che per quelle del management di impresa e dei singoli lavoratori e lavoratrici. Se per un verso indulgere in
criteri che conducono a lunghe ed articolate suddivisioni per tipi e livelli di competenze è ciò che risponde meglio alle esigenze del management aziendale, può rappresentare, invece, uno strumento a dir poco alquanto macchinoso ai fini di un sistema di informazioni sul lavoro. Al contrario, cedere alla tentazione di strumenti più semplificati, può facilitare la raccolta delle informazioni, ma non essere in grado di scandagliare
adeguatamente la complessità dei fenomeni da rilevare.
È giunto il momento di venire al cuore dell’oggetto di questa riflessione. Si è visto a
grandi linee come è cambiata nel mondo più avanzato la natura del lavoro e con essa il
rapporto uomo/lavoro. Si è argomentato che questo cambiamento può essere meglio
concettualizzato e rappresentato con il concetto di competenza/competenze. Quanto al
modo in cui analizzarle, in linea di principio si è presa una posizione a favore di un’impostazione razionalistica che si estende, dunque, anche all’analisi dei cambiamenti della natura del lavoro. Tutto ciò implica ritenere che la competenza possa essere rilevata,
analizzata, scomposta e misurata in distinte dimensioni o componenti ed in quanto tale essere attribuita ad un soggetto che opera in un determinato contesto di lavoro come
determinante della sua performance. Il confronto con altre posizioni possibili ha mes-
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so in luce i limiti di questa scelta. Ciò nonostante, ai fini di questa riflessione essa è apparsa la più soddisfacente.
È giunto, dunque, il momento di verificare se così stanno effettivamente le cose.
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3. I sistemi di analisi del lavoro
e delle professioni
Quest’ultima parte della discussione è specificamente dedicata ad un
esame dei sistemi di analisi del lavoro. Vale la pena anzitutto soffermare l’attenzione su
alcune questioni di metodo. Con una sola frase si potrebbe dire che con un sistema di
analisi del lavoro e di classificazione delle professioni, ci si prefigge di avere una ‘rappresentazione’ del modo in cui gli individui che fanno parte di una determinata popolazione ‘sono al lavoro’. «La ‘rappresentazione del mondo empirico’ – si legge in un vecchio manuale di statistica – consiste nella concettualizzazione ed espressione dei fenomeni con i simboli del linguaggio, l’enumerazione e la classificazione dei casi, la misura delle caratteristiche quantitative e la determinazione di quelle proprietà di gruppo
che si ritengono espressive» (Castellano, 1962, p. 16). In questo senso, la concettualizzazione e l’espressione «con i simboli del linguaggio» del fenomeno osservato è tutt’uno con la sua classificazione. Il primo problema per chi come lavoro scientifico è chiamato ad osservare i fenomeni empirici, è quello – prosegue più avanti l’autore – «di organizzare e dominare il proprio materiale di osservazione» (ibid., p. 36). «La classificazione è il riconoscimento o la creazione di un ordine. Gli enti, concreti o astratti, che si
classificano, per quanto abbiano tutti una denominazione comune, si distinguono in
generale per le modalità di uno o più caratteri, che sono parimenti attributo comune»
(ibid., p. 48). Si tratta – con ogni evidenza – di nozioni di rappresentazione e classificazione del tutto coerenti con l’impostazione razionalistica che si è qui ritenuto di adottare per l’analisi di come cambia la natura del lavoro. Ad esse è possibile attingere per
trarne alcuni spunti importanti.
Se si muove da queste nozioni, un sistema di classificazione altro non è che l’espressione dei criteri utilizzati per dare ordine ad un determinato materiale, che nel caso in
esame è dato dalle professioni in cui si struttura il lavoro umano. Ma in quanto tale una
classificazione – l’ordine che attraverso di essa si riconosce – non è mai fine a sé stessa.
I criteri utilizzati non fanno altro che individuare quali sono i contenuti o gli aspetti dell’oggetto cui essa si riferisce che si ritengono peculiari e che proprio perciò meritano di
essere considerati. In questo senso essa serve in quanto tutti coloro che sono o entrano,
per così dire, in una qualche relazione con l’oggetto cui essa si riferisce vi ritrovano rispecchiati i contenuti o gli aspetti che dal loro punto di vista ritengono rilevanti. Saranno quelli, infatti, i contenuti o gli aspetti che, quale che sia la ragione, verranno «ricercati». Laddove, in altri termini, una classificazione è tale da non dar luogo ad elementi di ricerca rilevanti per i soggetti in qualche modo interessati, essa non serve.
Quali che siano, tuttavia, i criteri utilizzati, una classificazione non può che riflettere il modo in cui si è concettualizzato e rilevato il «materiale» da classificare. Nel ca-
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so in esame una classificazione delle professioni non può che riflettere il modo in cui
si è concettualizzato e rilevato il lavoro umano, ovvero quali informazioni su di esso sono state assunte e quale linguaggio è stato utilizzato. Questo può implicare che la ragione per cui una classificazione non serve risieda non tanto – o non solo – perché i
criteri utilizzati per costruirla non rispecchiano gli interessi di alcuno, ma prima ancora perché le informazioni assunte sono irrilevanti rispetto all’ordine che attraverso
di essa si cerca si stabilire.
La questione di metodo che si pone, dunque, è come riuscire a tenere insieme entrambe queste istanze. Da un lato, l’istanza dei soggetti che per ragioni diverse possono
avere interesse a sapere che cosa fanno o possono fare come lavoro o professione gli uomini e le donne di una determinata popolazione. Dall’altro, l’istanza di considerare unitariamente il processo di ‘rappresentazione’ del lavoro, ovvero di non separare l’informazione sul lavoro dalla classificazione dei lavori o professioni. Ma ciò che più conta, secondo quanto si è andato fin qui dicendo, è come riuscire a considerare entrambe queste istanze alla luce dei cambiamenti in atto nella natura del lavoro.
Nel caso qui in esame i soggetti che hanno primariamente interesse ad un sistema di
informazione sul lavoro e di classificazione dei lavori o professioni sono sostanzialmente tre: anzitutto lo stato – e per esso quelle entità pubbliche a vario titolo preposte per
un verso ad acquisire ed elaborare le informazioni sul mercato del lavoro nazionale, e
per l’altro a regolare (o specificamente a facilitare) l’incontro tra domanda e offerta di
forza lavoro; le imprese che, quali che siano le loro attività, impiegano forza lavoro; i
singoli lavoratori e lavoratrici che cercano lavoro (sia perché non ce l’hanno, sia anche
perché, pur avendolo già, hanno interesse a cambiarlo). Questo non vuol dire naturalmente che non vi sono altri soggetti interessati, basti pensare alle società di consulenza
per il lavoro. Ma si tratta di interessi, per così dire, secondari rispetto a quelli dei soggetti appena indicati. Il problema sta, dunque, nel far sì che un determinato sistema di
informazione sul lavoro e di classificazione delle professioni risponda alle esigenze dei
soggetti appena indicati.
L’accenno precedentemente fatto ai cambiamenti della natura del lavoro che ha avuto luogo in questi ultimi decenni, se per un verso ha lasciato intravedere quanto radicali siano stati questi cambiamenti, per l’altro ha anche evidenziato che è tutt’altro che
facile acquisire una conoscenza puntuale dei loro contenuti. Esso ha così anche anticipato che il cambiamento di scenario sull’impiego delle risorse umane ha reso in diverso modo e misura inadeguati i sistemi di informazione sul lavoro e sulle professioni adottati dai maggiori stati industrializzati negli ultimi decenni ed ha posto il problema della ricerca di un nuovo sistema in grado di rilevare e di stare costantemente al passo con
i cambiamenti in atto.
Nella discussione svolta si è quindi sostenuto che sia da privilegiare – e successivamente ne sono state argomentate le ragioni principali – un sistema di informazione sul
lavoro e sulle professioni che a vari livelli di approssimazione rilevi e misuri le competenze richieste sul lavoro. In sostanza, l’argomentazione sostenuta è che un sistema di
informazione sarà da ritenere tanto più adeguato, quanto più l’informazione farà perno
sulla competenza espressa sul lavoro e la classificazione saprà riflettere su vari livelli le
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competenze distintive dei diversi lavori e professioni. Secondo l’impostazione razionalistica che si è adottata, la competenza è vista come un costrutto che attiene ad un insieme di caratteristiche scomponibili, rilevabili e misurabili. Ma può questa rilevazione,
scomposizione e misurazione effettivamente essere fatta? E soprattutto, può ciò avvenire in modo da rispondere ad un tempo alle esigenze di informazione di un determinato sistema socio-economico, a quelle di impiego e di gestione delle risorse umane da parte dell’impresa, o ancora a quelle dei singoli lavoratori e lavoratrici in cerca di lavoro?
Più esplicitamente, se si conviene che per cogliere i cambiamenti in atto nella natura del lavoro appaiono più idonei i nuovi concetti di competenza che sono andati emergendo, occorre allora che altri siano i dati da rilevare sulle caratteristiche del lavoro che
gli individui svolgono e sul modo in cui essi vi si rapportano. Ma quali sono esattamente
questi dati? E come far sì che essi siano determinati in modo che le informazioni che
forniscono rispondano alle esigenze dei soggetti interessati? E quali sono più precisamente questi interessi?
Innanzitutto – per cominciare da ques’ultima domanda – basti qui rilevare che solo
un sistema di informazione sul lavoro e di classificazione delle professioni in grado di
rispondere alle esigenze di tutti gli attori coinvolti può fornire al contempo il linguaggio attraverso il quale essi possono interagire e comprendersi. Poter disporre di tale linguaggio è, dunque, nell’interesse di tutti.
Quanto ai singoli punti di vista, da un punto di vista «sistemico», l’interesse non è
solo quello di conoscere come – per fare che cosa, in quali professioni – viene impiegata la risorsa umana, ma importa precipuamente riuscire a disporre di informazioni in
grado di facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. È sulla base di tali informazioni che è possibile predisporre ogni eventuale intervento regolativo, sia esso di sostegno all’offerta o alla domanda, e coltivare la ragionevole attesa che esso abbia un qualche successo. Più esplicitamente, in mancanza di un adeguato sistema di informazione
sul lavoro viene meno il fondamento di interventi formativi tesi a far sì che la risorsa
umana sia professionalmente preparata a svolgere i lavori richiesti, e quindi la possibilità di stabilire, per un verso, i fabbisogni formativi di sistema, e per l’altro a ridurre
quanto più possibile l’inoccupazione (e la disoccupazione).
Dal punto di vista dell’impresa, l’interesse principale risiede certamente nel fatto che
l’accesso ad un adeguato sistema di informazione sul lavoro e di classificazione delle professioni può facilitarle in modo significativo l’acquisizione delle risorse umane necessarie per i propri processi produttivi. Inoltre, anche per l’impresa sapere se e quanto è possibile trovare sul mercato soddisfacimento alla propria domanda può aiutare non poco
a definire quali debbano essere gli interventi formativi in grado di colmare l’eventuale
«distanza» tra domanda e offerta. Ma – e si ripropone con ciò l’altro aspetto del problema – se è vero che è l’impresa che genera la domanda, è altrettanto vero che essa ha bisogno di esprimerla in modo che sia compresa da chi ad essa deve rispondere.
Dal punto di vista del singolo lavoratore un adeguato sistema di informazione sul lavoro e di classificazione delle professioni può risultare decisivo non solo – o meglio non
tanto – nella ricerca di un lavoro «qualsiasi», quanto piuttosto di un lavoro maggiormente rispondente a ciò che il singolo ritiene di essere effettivamente in grado di fare,
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e più esplicitamente meglio rispondente alle proprie conoscenze, capacità, attitudini.
Ma c’è di più. Esso può servire a conoscere in che cosa, per quali aspetti è necessario che
migliori la propria preparazione professionale sia per accrescere le possibilità di trovare
lavoro, sia per cambiarlo o avanzare nella carriera lavorativa.
Da un lato, nel resto di questa riflessione si tratta di sapere se e come questo insieme
di esigenze trovano una risposta nei sistemi di analisi del lavoro e delle professioni adottati di recente nei paesi più avanzati. Dall’altro – alla luce di quanto si è argomentato
nella parte precedente – interessa verificare se e come tali sistemi consentono di pervenire ad una misurazione e valutazione delle competenze e se e come conseguentemente l’informazione e la classificazione risultano integrate intorno a tale concetto. Ciò detto, è bene aggiungere subito che, al di là di alcuni sintetici accenni ai sistemi di altri paesi, l’attenzione si incentrerà soprattutto sull’esperienza statunitense.
3.1. Tipi di sistemi di analisi del lavoro: definizioni e criteri generali
«L’analisi del lavoro e delle professioni – affermano Kochan et al. – si riferisce all’insieme
degli strumenti e dei metodi utilizzati per descrivere e denominare il lavoro, le posizioni
lavorative, i lavori e le professioni. Uno dei prodotti di questa analisi è un sistema di categorie professionali. … La classificazione delle professioni può avere due significati: (a) l’atto di classificare posizioni lavorative, lavori e professioni entro un determinato sistema di
categorie professionali e (b) l’insieme di categorie professionali in un sistema di categorie professionali» (Kochan et al., 1999, p. 165). Si tratta di definizioni alquanto generali e comunque molto distanti dai richiami alle implicazioni cui si è appena fatto cenno.
Tuttavia, esse evidenziano due aspetti: il fatto che il «sistema di categorie professionali»
si pone come prodotto dell’analisi del lavoro, ed al contempo il fatto che il livello della
descrizione del lavoro può considerarsi distinto da quello della classificazione. Ancorché
connesse, le operazioni di descrizione e denominazione dei lavori e delle professioni sono analiticamente distinte. E questa distinzione – come si riassumerà di qui a poco – ha
trovato concretizzazione nei sistemi di classificazione delle professioni di pressoché tutti
i paesi. Al contempo, tuttavia, la connessione tra classificazione delle professioni e la descrizione-analisi del lavoro nel senso appena detto è apparsa piuttosto offuscata.
Gli autori appena citati (richiamandosi tra gli altri alla distinzione di Wootton, 1993)
distinguono i sistemi di analisi del lavoro e delle professioni in due grandi tipi:
– Il primo è dato dai sistemi che – procedendo con un metodo «top down» – pongono soprattutto l’accento sulla individuazione e successiva enumerazione delle categorie professionali. Essi vengono chiamati «sistemi enumerativi di categorie». Molto sinteticamente si può dire che essi rispondono principalmente alla finalità di censire la professione degli individui che compongono la popolazione di un paese. Essi
hanno perseguito, cioè, precipuamente delle finalità statistiche e di ricerca tese a rilevare in che cosa o per fare cosa, è impiegata la popolazione occupata in un determinato paese.
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– Il secondo è dato, invece, dai sistemi che – procedendo «bottom up» – hanno come
loro scopo primario quello di offrire una descrizione dettagliata dei lavori e delle professioni ed a tal fine mettono l’accento sui contenuti del lavoro in base ad un determinato insieme di caratteristiche ed attributi. Essi vengono chiamati «sistemi descrittivo-analitici» (Kochan et al., 1999, pp. 169-173).
Questi due tipi di sistemi hanno, dunque, risposto ad esigenze diverse e, a parte alcuni tentativi di raccordarli tra di loro, hanno finito per presentarsi sostanzialmente indipendenti l’uno dall’altro. Ciò ha contribuito non poco – come si avrà modo di vedere meglio più avanti – a far perdere di vista il fatto che una classificazione serve in quanto riflette effettivamente la diversa natura del lavoro ed il modo in cui essa cambia.
Il primo tipo di sistemi è tuttora di gran lunga quello di più diffuso. Le finalità che
essi perseguono sono, infatti, comuni a pressoché tutti i sistemi statistici nazionali. Sono sistemi enumerativi, per fare solo alcuni esempi, la Nomenclature des Catégories Socioprofessionelles (PCS), dell’Istituto nazionale di statistica francese, la Clasificación Nacional de Ocupaciones dell’Istituto nazionale di statistica spagnolo, la statunitense Standard Occupational Classification, l’italiana Classificazione delle Professioni, la stessa International Standard Classification of Occupation edita dall’International Labour Office e
tutte le classificazioni omologhe adottate dai vari istituti nazionali di statistica.
L’impostazione di queste classificazioni muove solitamente dall’individuazione di alcune macro-categorie in base ad uno o poco più criteri generali, codificate con una o
due cifre, cui via via si aggiunge la considerazione di altri criteri che suddividono e specificano a diversi livelli le macro-categorie di partenza, a loro volta codificate con altrettante cifre. La classificazione, pertanto, è contraddistinta dai criteri utilizzati per identificare le macro-categorie, e poi via via le categorie e sotto-categorie fino alla categoria
di maggior dettaglio che può o meno semplicemente elencare le professioni che raggruppa dando, eventualmente, luogo ad un elenco di voci o denominazioni di «professioni» ciascuna delle quali identificata dal codice della categoria che la comprende.
L’International Standard Classification of Occupations (ISCO-88) può ben rappresentare questi sistemi enumerativi di categorie. Essa – ricordano Kochan et al. (1999, p. 174)
– ha tre obiettivi: facilitare la comunicazione internazionale in materia di analisi delle
professioni; fornire a riguardo dati a livello internazionale utili alla ricerca; porsi come
un modello, sia per paesi che non dispongano ancora di un sistema di classificazione
delle professioni o che intendano modificarlo. La struttura classificatoria della ISCO88 si basa su due concetti chiave: lavoro e skill 18. Per lavoro intende l’insieme di mansioni e compiti che una persona esegue o è chiamata ad eseguire. Per skill la capacità di
portare a termine le mansioni ed i compiti previsti da un determinato lavoro, in termini di livello cognitivi (skill level) e di ambiti di applicazione (skill specialization). Utiliz-
18 Come si vedrà di qui a poco, «skill» verrà tradotto con «capacità». A volte, tuttavia, il suo significato di
«saper fare» viene anche inteso come «competenza». Al fine di non ingenerare confusione con quanto si
argomenterà tra breve, si preferisce qui utilizzare lo stesso termine «skill».
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zando questi due concetti definisce una struttura classificatoria che partendo da 10 «grandi gruppi» identifica successivamente 28 «sotto-gruppi», 116 «gruppi minori» e 390 unit
groups.
Ed è proprio alla logica della classificazione ISCO-88 che si rifà in Italia la «Classificazione delle professioni» edita dall’Istat, la quale non manca di alludere ad alcune delle questioni poste sopra.
Nelle pagine introduttive alla sua più recente edizione così si conclude:
«Come ogni altra classificazione, quella delle professioni è da considerarsi … il complesso
dei criteri utilizzati per raggruppare o distinguere, a diversi livelli di dettaglio e di astrazione, l’insieme degli oggetti che intende classificare: la sua completezza non dipende necessariamente dalla chiarezza denotativa, dall’estensione, dalla esaustività o dall’aggiornamento
dell’elenco di tali oggetti, ma dalla capacità dello strumento di organizzare e distinguere significativamente l’esistente e di cogliere quanto di nuovo va emergendo. È appena il caso di sottolineare che tali criteri sono sempre relativi, essi variano nel tempo e nello spazio e dipendono sostanzialmente dal punto di vista che una data comunità scientifica ha ritenuto maggiormente significativo per organizzare quel tipo di informazione» (Scarnera, 2001, p. 16,
corsivo aggiunto).
Nel caso specifico, ovviamente, ciò che si vuole «organizzare e distinguere significativamente» sono le professioni. Nell’accezione di tale classificazione – si afferma – «una
professione è un complesso di attività lavorative e concrete, unitarie rispetto all’individuo che le svolge, che richiama, a vari livelli, statuti, conoscenze, competenze, identità
e sistemi di relazione propri» (ibid.).
Vi è dunque nell’impianto stesso di questa classificazione un esplicito richiamo a ulteriori elementi o criteri distintivi in grado di differenziare significativamente l’oggetto
rilevato. E questa significatività – si suppone – va intesa anche come rinvio alla rilevanza che essa riveste per i soggetti in qualche modo interessati alla classificazione delle professioni. In questo senso si può comprendere anche il richiamo alle diverse ragioni di
«relatività» di tali criteri. Inoltre, l’accezione di professione enunciata include un esplicito richiamo alle competenze.
Si tratta, tuttavia, di richiami che pongono questioni aperte a cui, si dichiara sostanzialmente, lo strumento non può e non deve fornire risposte (ibid).
Sul modo in cui questo sistema di classificazione – come tutti quelli ad esso analoghi – risponde alle esigenze dei soggetti individuati come interessati all’informazione
sulle professioni si tornerà tra breve. Quanto, invece, a concetto di competenza utilizzato nella costruzione della classificazione, basti qui dire che è ripreso dalla ISCO-88.
Esso si riferisce, dunque, ad un particolare modo di intendere le skill.
«La logica della classificazione ISCO 88 si fonda sul criterio della competenza (skill) definito come la capacità di svolgere i compiti di una data professione e visto nella sua duplice dimensione del livello (skill level) e del campo delle competenze (skill specialization). La distinzione è cruciale per l’intero impianto della classificazione» (ibid., 2001, p. 8).
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Così inteso il richiamo alle competenze trova applicazione nel modo semplificato tipico di questo tipo di classificazioni. Sicché, non disponendo di misure specifiche il livello delle competenze viene approssimato «…sostanzialmente all’istruzione formale necessaria allo svolgimento di una professione», mentre per quanto riguarda il campo delle competenze professionali esso è colto in relazione «alle conoscenze settoriali necessarie per svolgere [una determinata professione], alle macchine e alle attrezzature utilizzate, ai materiali lavorati, oltre che alla natura dei beni e dei servizi prodotti» (ibid., p. 9).
Ciò che, ovviamente, manca alla classificazione dell’Istat, e a tutti gli altri sistemi omologhi, per poter dare concretezza ai criteri sopra enunciati, è il supporto di un adeguato sistema di analisi del lavoro cui attingere.
In sostanza – e l’esempio della classificazione Istat lo lascia intravedere con chiarezza – se si vuole che l’impianto di una classificazione sia tale da consentire di identificare senza ambiguità le tendenze di cambiamento in atto nei lavori e nelle professioni, occorre – tornando ancora sulle conclusioni dell’analisi di Kochan et al. già citate – integrarlo con un database aggiornato, nazionale e longitudinale sia sulle capacità lavorative complessive (job skills) che sulle strutture professionali» (Kochan et al., 1999, pp. 158159). Si vedrà tra breve che per questi autori l’esperienza statunitense, con il passaggio
dai diversi sistemi – enumerativi e descrittivi – adottati nei decenni scorsi, al più recente programma di rilevazione e produzione di informazioni sulle professioni costituito
dall’Occupational Information Network (O*NET), offre la risposta migliore. Ed è proprio sul sistema di O*NET che si incentrerà di qui a poco il resto di questa riflessione.
Prima, tuttavia, vale la pena soffermare l’attenzione sulle inadeguatezze di alcuni dei sistemi di analisi delle professioni.
Anzitutto, va considerato il fatto che le diverse finalità perseguite dai sistemi enumerativi e descrittivi hanno finito per dar luogo ad un quadro alquanto composito e
frammentato di logiche e strumenti di analisi del lavoro. In tale quadro la connessione
tra classificazione delle professioni e la descrizione-analisi del lavoro risulta offuscata.
Ciò nuoce non poco alla capacità di questi sistemi di rispondere alle esigenze dei soggetti che abbiamo individuato come interessati ad avere un’informazione sul lavoro aggiornata, puntuale e coerente. A ciò è da aggiungere il fatto che solitamente i sistemi di
classificazione delle professioni continuano a basarsi su definizioni semplificate del lavoro, mentre – alla luce di quanto si è già argomentato – la natura del lavoro è andata
cambiando e complessificandosi. Ciò rende di fatto le classificazioni non utilizzabili per
gli scopi di cui andiamo discutendo. Rispetto a questi, infatti, le «professioni» in cui esse si articolano si rivelano sempre più degli involucri le cui etichette lungi dal riflettere
i contenuti che essi avvolgono e che li contraddistinguono, si riducono ad una semplice identificazione nominalistica.
Queste considerazioni riconducono l’attenzione al duplice ordine di problemi di metodo posti nel paragrafo precedente: da un lato, si pone il problema di come riuscire a
superare la frammentazione dei sistemi di analisi del lavoro e delle professioni al fine anche di riguadagnare una visione unitaria ed integrata delle esigenze dei soggetti interessati; dall’altro, si pone quello di come dotarsi di un sistema di analisi del lavoro in grado di stare effettivamente al passo con il suo cambiamento.
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L’esperienza francese e statunitense rappresentano due diversi esempi di come questi problemi sono stati affrontati insieme nell’ambito di un nuovo sistema di analisi del
lavoro. Dopo un sintetico richiamo alla prima, l’attenzione si soffermerà qui sulla seconda. Per procedere è necessario rivedere almeno a grandi linee i sistemi di classificazione adottai nei due paesi 19.
3.2. L’esperienza francese 20
In Francia un primo sistema di classificazione delle professioni è dato dalla nomenclatura delle categorie socio-professionali (PCS) dell’istituto nazionale di statistica francese (INSEE). La nomenclatura può essere considerata, secondo quanto si è detto nel paragrafo precedente, un sistema descrittivo di classificazione delle professioni.
Strutturata ad albero su tre livelli, la nomenclatura muove da un primo livello di 8
macro-categorie, di cui le prime sei si riferiscono all’attività professionale della popolazione occupata, la settima alle persone ritirate dal lavoro, e l’ottava alle persone disoccupate o comunque inoccupate. Le prime sei macro-categorie si riferiscono a:
1)
2)
3)
4)
5)
6)
agricoltori in proprio;
artigiani, commercianti ed imprenditori (e dirigenti di impresa);
quadri e professioni intellettuali superiori;
professioni intermedie;
impiegati;
operai.
Il secondo livello suddivide le precedenti aggregazioni in 24 categorie (di cui 18 si
riferiscono alla popolazione occupata), per cui, per esempio, l’aggregazione degli operai è suddivisa in: operai qualificati, operai non qualificati, operai agricoli. Al terzo livello, infine, le precedenti categorie vengono dettagliate in 42 sotto-categorie (di cui 32
si riferiscono alla popolazione occupata), per cui, proseguendo con l’esempio precedente, gli operai qualificati sono suddivisi tra quelli di tipo industriale, di tipo artigianale, autisti, addetti alla manutenzione, stoccaggio e trasporto.
In sostanza la nomenclatura serve per enumerare – e classificare – le attività professionali della popolazione attiva, occupata e non (disoccupati o comunque in cerca di lavoro, pensionati, altri) secondo una combinazione di criteri generali che attengono al
19 Per un’analisi più approfondita si rimanda, invece, alla parte precedente di questo volume. Nel prosieguo della discussione, al fine di evitare inutili ripetizioni, si rinvierà ad essa – senza ulteriori citazioni –
tutte le volte che apparirà opportuno.
20 Per le informazioni riportate in questo paragrafo, oltre quanto specificamente citato nel testo ed alla nota 18, si rimanda ai siti indicati in coda alle opere citate ed a Farinella (2002a), Butera et al. (2001, pp.
251-276). Inoltre, per quanto riguarda il ROME si rimanda alla edizione del 1999 ed in particolare alle sintesi da dove sono tratte le citazioni riportate nel testo (ANPE, 1999a, pp. I-II e 1-8 e 271-275;
1999b, pp. 5-21 e 491-496).
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livello professionale ed al settore di attività. Essa ha, dunque, principalmente una finalità statistica. In essa non vi è riferimento alcuno alla descrizione, e tanto meno all’analisi, del lavoro svolto.
È soltanto con il sistema delle fiches métiers dell’ONISEP (Office national d’information sur les einsegneiments et les professions), che si introduce un criterio di classificazione che attiene più specificamente al contenuto del lavoro. Ma non solo; si introduce
altresì un elemento di attenzione al punto di vista del soggetto che cerca lavoro.
Il sistema riflette le finalità cui l’ONISEP è istituzionalmente preposto e che si incentrano su quella di fornire informazioni sulle professioni al fine di orientare e facilitare la scelta professionale. Le fiches métiers dell’ONISEP descrivono più di 400 attività professionali ed in questo senso è omologabile ad un sistema di classificazione descrittivo-analitico, così come delineato nel paragrafo precedente. Ma le attività professionali, oltre che ad essere suddivise sulla base dell’area o dominio di appartenenza (ne
sono state identificate 56), sono anche suddivise a seconda del «centro di interesse» (ne
sono stati identificati 30), ovvero il genere di attività che una persona è interessata a svolgere. Più specificamente, per esempio, una persona può identificare il proprio centro di
interesse nell’«organizzare, gestire, dirigere» nell’area o dominio della «amministrazione pubblica», dello «sport»; oppure, avere interesse a «lavorare un materiale» nell’area
della «meccanica». Ciascuna attività professionale può essere quindi descritta ed analizzata in dettaglio sulla base dei criteri di: 1) descrizione dell’attività; 2) condizioni di lavoro; 3) qualità richieste; 4) carriera e promozioni; 5) sbocchi salariali; 6) informazioni
per documentarsi sull’attività; 7) formazione richiesta.
La logica del sistema ONISEP è chiara. Il potenziale soggetto utente del sistema se
ne può avvalere in maniera diversa e flessibile. Può avviare, infatti, la ricerca – e con ciò
acquisire informazioni utili al proprio orientamento o scelta professionale – a partire dal
genere di attività che intende svolgere; oppure può cominciare dal campo in cui preferirebbe svolgerla; o, ancora, può muovere dalle caratteristiche dell’attività. Ma ciò che
più conta ha la possibilità di mettere queste tre prospettive di ricerca l’una in relazione
all’altra. In particolare – ed è questo, come si è anticipato, l’elemento di novità che appare di maggiore rilevanza – può, per un verso, connettere alcune caratteristiche di una
determinata attività lavorativa alle proprie motivazioni, interessi, inclinazioni; per l’altro, può valutare se e quanto possiede la formazione professionale ritenuta necessaria
per il suo svolgimento. In sostanza, nelle fiches métiers alcune caratteristiche del lavoro
ed attributi del lavoratore entrano contestualmente il relazione le une con gli altri.
C’è da osservare, infine, che – pur con i limiti della non esaustività – proprio in quanto il sistema ONISEP consente di stabilire le condizioni necessarie per una determinata scelta professionale da parte dei singoli, si presenta come uno strumento utile all’incontro tra domanda delle imprese e caratteristiche dell’offerta e contribuisce ad individuare gli interventi formativi necessari a colmare l’eventuale scarto o distanza tra l’una
e le altre. In questo senso esso risponde alle esigenze di una pluralità di attori.
Specificamente mirato all’incontro tra domanda e offerta è il ROME (Répertoire opérationnel des métiers et des emplois). Ma il ROME si pone anche – ed quanto qui maggiormente interessa – come un modo per affrontare il duplice problema che si è evi-
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denziato sopra: come superare la frammentazione dei precedenti sistemi di analisi del
lavoro e delle professioni recuperando una visione unitaria ed integrata delle esigenze
dei soggetti interessati; come riuscire a stare al passo con il cambiamento delle attività
effettivamente svolte nei processi lavorativi.
Elaborato dall’ANPE (Agence National pour l’Emploi), il ROME si presenta come
un sistema di analisi del lavoro e di classificazione delle professioni con una forte carica innovativa da diversi punti di vista. Anzitutto perché appare chiaro l’intendimento
di andare oltre i limiti dei precedenti sistemi, ricomponendo, per così dire, le loro prospettive settoriali. Esso mira, però, a far ciò salvaguardando la possibilità di raccordo
con le informazioni fornite dagli altri sistemi ed al contempo mutuandone e sviluppandone gli elementi innovativi. Ciò vale, in particolare, per il richiamo alla nozione
di «centro di interesse» alla base del sistema ONISEP ed alla riconcettualizzazione delle fiches métiers.
Inoltre il ROME introduce un metodo di analisi del lavoro specificamente basato sul
concetto di competenza. È attraverso il richiamo alle competenze che il ROME mira ad
acquistare la dinamicità necessaria per stare al passo con la continua ridefinizione dei
contenuti del lavoro e delle professionalità ed al contempo per identificare i nuovi fabbisogni formativi. Ed è ancora attraverso il richiamo alle competenze che nel suoi sviluppi, fino alla versione aggiornata al 1999, esso si propone di innovare il modo in cui
pensare, analizzare e rendere possibile la mobilità professionale. Infine, per la sua stessa
impostazione, il ROME mira a rispondere contestualmente alle esigenze di tutti i soggetti interessati all’analisi del lavoro ed a fornire loro un linguaggio comune. Per questo
insieme di ragioni esso può essere considerato un sistema che non solo integra, ma va
oltre le impostazioni dei sistemi enumerativi di categorie e quelle dei sistemi descrittivo-analitici adottati in quel paese.
Un breve richiamo alla descrizione del ROME già fatta in questo volume basta ad
evidenziare quanto si è appena detto. Dei tre livelli in cui esso è strutturato – macro-categorie professionali, dominio professionale ed emploi/métier – è su quest’ultimo che qui
vale la pena soffermare ulteriormente l’attenzione. È con l’emploi/métier, infatti, che il
ROME introduce esplicitamente il richiamo alle competenze.
Mutuando di fatto l’analogo strumento di rilevazione del sistema ONISEP, l’emploi/métier 21 allude al modo in cui può essere «dispiegata» sulla base delle competenze
richieste una determinata professione in diverse situazioni lavorative. Il concetto si fonda sulla individuazione di contenuti di lavoro che sono simili tra di loro. L’emploi/métier rappresenta un’«aggregazione di impieghi», ovvero «un aggregato relativamente omogeneo di situazioni di lavoro» ed in questo senso costituisce l’unità di base della classificazione delle professioni del ROME ed al contempo rappresenta lo strumento attraverso il quale viene descritta una determinata professione.
L’individuazione degli emploi/métiers si presenta come la risultante di tre criteri di descrizione-analisi:
21 Qui, come nel seguito del testo, si preferisce usare il termine nella lingua originale.
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– la similitudine dei contenuti di attività professionali svolte in diversi impieghi;
– la presenza di competenze tecniche di base comuni a ciascun emploi/métier;
– la prossimità dei profili richiesti per esercitare determinate professioni.
Il criterio innovativo cruciale, tuttavia, è dato dal richiamo alle competenze richieste.
Per competenza si intende l’insieme del sapere, saper-fare e saper-essere (savoir, savoirfaire e savoir-être) che si manifesta nell’esercizio di un determinato emploi/métier in una
data situazione di attività lavorativa (ANPE, 1999a, p. 272).
I tre tipi di competenza rilevati nelle fiches emploi/métiers (Competenze tecniche di base, Competenze legate all’impiego e Competenze associate) se per un verso tentano di individuare il sapere concreto che si attiva in determinate situazioni lavorative, per l’altro,
per il fatto che con esse si cerca di enucleare un «modo di fare», un modo di affrontare
e risolvere i problemi, sembrano poter andare oltre, trascendere una specifica situazione e trovare applicazione in una pluralità di situazioni più o meno simili. È, tuttavia, il
successivo sviluppo del concetto di competenza che consente di cogliere compiutamente
il senso di questo riferimento all’adattabilità ed alla trasferibilità e di apprezzare l’intendimento del ROME di porsi come un sistema dinamico, in grado di stare al passo con
i cambiamenti della natura del lavoro.
Questi cambiamenti – si è visto nella prima parte di questa riflessione – tendono ad
esaltare le ragioni della flessibilità e della mobilità del lavoro. Orbene, l’una e l’altra sono possibili solo in quanto si alimentano ed al contempo trovano espressione nell’adattabilità e trasferibilità delle competenze via via acquisite dai lavoratori attraverso l’esperienza. E le competenze che nel modello del ROME posseggono specificamente queste
caratteristiche e potenzialità sono quelle cognitive.
Le competenze cognitive «sono quelle relative alle pratiche mentali, alle strategie
di risoluzione dei problemi e che guidano in maniera inconscia o conscia l’azione nella ‘testa’ della persona, nel momento in cui essa l’esercita» (ANPE, 1999b, p. 7). Per
un verso, dunque, tutte le attività possono essere intese come dei catalizzatori dei problemi, alla cui risoluzione è legata l’azione; per l’altro, è nella competenza cognitiva
che risiede la «capacità di risolvere i problemi in un dato contesto», mentre la «pratica intellettuale» rappresenta la strategia di risoluzione adottata e che nel momento
in cui viene messa in atto mobilita le competenze indispensabili al compimento dell’azione.
In questo senso – e in ciò può risiedere a seconda dei punti di vista l’elemento di
forza o di debolezza del sistema – la competenza non si presenta mai astratta da una
determinata attività e contesto. Ciò che appare più o meno «adattabile» e «trasferibile» e che consente quindi di stabilire il grado di «prossimità» e la mobilità tra emploi/métiers – e professioni – diversi, è un modo, una strategia di risoluzione di problemi che scaturisce dalle competenze cognitive. L’attenzione si incentra dunque su
queste ultime.
L’obiettivo di questo strumento di analisi è quello di facilitare, attraverso l’individuazione della prossimità che sussiste tra emploi/métiers diversi, la ricerca degli spazi professionali entro i quali sia i lavoratori che coloro che sono in cerca di lavoro possono
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muoversi con maggiore successo. La prossimità tra un determinato emploi/métier considerato come «source» (fonte) ed un altro considerato come «cible» (bersaglio) è misurata in base alla «distanza» delle competenze cognitive dell’uno e dell’altro secondo i criteri appena esposti. Con ciò l’enfasi è immediatamente posta sul modo in cui questi criteri trovano applicazione nelle «pratiche», nei modi di fare che caratterizzano gli emploi/métiers.
In sintesi, il conseguimento dell’obiettivo muove dalla identificazione delle competenze tecniche di base di un emploi/métier, vale a dire delle sue attività dominanti. Passa quindi all’analisi delle competenze cognitive mobilitate durante le attività che caratterizzano quel determinato emploi/métier; alla attribuzione di punteggi e pesi ai sette criteri che le definiscono, assumendo che quanto più due emploi/métiers sono prossimi rispetto ai criteri di competenza cognitiva tanto più sono vicini; infine, al calcolo, frutto
di una valutazione comparata di tali punteggi, della distanza da altri emploi/métiers. La
rappresentazione di queste distanze permette di costruire per ogni emploi/métier un’area di mobilità che ha al centro un determinato emploi/métier «source» e a distanza concentrica variabile una serie di emploi/métiers «cible» verso i quali il singolo può potenzialmente muoversi.
Naturalmente, non tutti questi passaggi sono sgombri da ambiguità. Per esempio, se
le competenze tecniche di base di un emploi/métier sono date dalle sue attività dominanti e le une sono usate in modo intercambiabile con le altre, si perde tra le prime e le
seconde ogni distinzione. D’altro canto, se ciò che conta è individuare le competenze
cognitive distintive di un determinato emploi/métier, il richiamo alle sue competenze
tecniche di base finisce per apparire ridondante, se non «superato». E ancora: per quanto l’analisi delle competenze cognitive rinvii ai criteri appena ricordati, non sono questi ultimi a costituire le unità di base da cui muove la rilevazione ed essi stessi possono
risultare rispetto a determinati lavori non sufficientemente analitici. Si consideri, per fare un solo esempio, i «saperi di riferimento» che aggregano in un solo «sapere» tutte le
«scienze sociali».
Ma al di là di queste o di altre analoghe considerazioni, anche da questo pur breve
richiamo appare sufficientemente chiaro in che modo il ROME risponde ai punti di domanda sui quali si è precedentemente incentrata l’attenzione. Da un lato, è il richiamo
alle competenze che conferisce all’emploi/métier lo statuto di unità base della classificazione delle professioni e sono le competenze cognitive che prefigurano ad un tempo il
passaggio da un emploi/métier all’altro e la sua stessa trasformazione. Ed è proprio poggiando sul concetto di competenza che il ROME mira a superare la frammentazione dei
sistemi di analisi del lavoro e delle professioni precedenti riguadagnando una visione
unitaria ed integrata delle esigenze dei soggetti interessati, ed a proporsi come un sistema di analisi del lavoro in grado di stare al passo con il suo cambiamento.
«L’originalità del Rome – si legge nella Presentazione all’edizione del 1999 – di poggiare sulle competenze ed i saper-fare che caratterizzano i contenuti dei lavori svolti, al di là delle denominazioni delle professioni – ne fa uno strumento pertinente e aggiornato attraverso il
quale le parti sociali ed i poteri pubblici perseguono le loro riflessioni sulle possibilità di for-
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mazione dei lavoratori salariati lungo la loro intera vita professionale e sulla validazione delle competenze acquisite attraverso l’esperienza» 22 (ANPE, 1999a, p. II).
In questo senso il ROME serve anche a fissare delle procedure, delle regole, degli standard che aiutano a regolamentare i rapporti tra le parti sociali ed in questo senso facilitano anche l’intervento di regolazione del mercato del lavoro da parte di attori pubblici 23.
3.3. L’esperienza americana
Probabilmente a ragione del fatto che laddove il sistema economico è più aperto e dinamico i cambiamenti che investono la natura del lavoro sono a loro volta più visibili e
pervasivi, è negli Stati Uniti più che altrove che l’esigenza di ripensare i sistemi di analisi e di classificazione del lavoro si è manifestata con maggiore determinazione. Più che
altrove è lì, in altri termini, che i sistemi precedenti sono stati più o meno abbandonati, corretti, rivisti, incorporati, integrati in un nuovo sistema che mira a coinvolgere in
modo capillare, a partire dalle massime istituzioni del governo federale, tutti i soggetti
comunque interessati ad un sistema di informazione sul lavoro.
A prima vista la situazione americana presenta un quadro alquanto diversicato e fragmentato. Ed è specificamente ad essa che si richiamano Kochan et al. (1999, p. 169)
quando operano la distinzione tra sistemi di classificazione delle professioni «enumerativi di categorie» e «sistemi descrittivo-analitici».
Sono, infatti, da considerare sistemi enumerativi la SOC e le varianti adottate dalle
diverse indagini del Bureau of Labor Statistics e dal Bureau of the Census. Sono considerati, invece, «descrittivo-analitici» il Position Analysis Questionnaire, il Fleishman Job
Analysis System, il General Work Iinventory, il Common Metric Questionnaire, il Multipurpose Occupational Systems Analysis Inventory-closed Ended, il Work Profiling System. Si
presenta, infine, come un tentativo di combinare gli uni e gli altri il Dictionary of Occupational Titles. Qui si soffermerà brevemente l’attenzione su ciascuno di questi sistemi allo scopo di evidenziarne successivamente il loro raccordo o integrazione nel sistema O*NET 24.
La Standard Occupational Classification (SOC), ha sin dalla sua prima edizione, perseguito l’obiettivo tipico di una classificazione statistica di consentire il confronto e l’ag-
22 Basti qui ricordare che il «bilancio delle competenze» è sancito dal codice del lavoro francese come lo
strumento per permettere ai lavoratori di analizzare le proprie competenze professionali allo scopo di definire un proprio progetto professionale e, se necessario, un proprio progetto di formazione (un esame
del «bilancio delle competenze» è in Pais, 2001; si veda anche, in un’ottica più aziendale, Rossi, 2000).
23 Tant’è che il «bilancio delle competenze» ha trovato un esplicito riconoscimento nel diritto del lavoro
francese.
24 Per le informazioni riportate in questo e nel paragrafo successivo, oltre quanto specificamente citato nel
testo, si rimanda ai siti web indicati in bibliografia ed a Kochan et al. (1999, cap. V e Appendix B), Cerase (2002), Farinella (2002a).
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gregazione dei dati sulle professioni provenienti dalle diverse fonti ufficiali. Ma è con
l’edizione del 2000 che essa si afferma come il sistema di classificazione delle professioni adottato – come si è già avuto modo di rilevare – da tutte le agenzie federali in qualche modo preposte alla rilevazione ed all’analisi di dati sull’occupazione. Altrettanto sono spinte a fare le analoghe agenzie che operano a livello statale e locale, con l’obiettivo
di far diventare la SOC l’unico standard di riferimento di tutte le amministrazioni americane. Infine, conta rilevare che l’articolazione della nuova classificazione SOC è stata
adottata completamente nel programma O*NET.
Altrettanto ricco e composito è il quadro dei «sistemi descrittivo-analitici». Nel loro
rapporto Kochan et al. attingono in particolare al contributo di Peterson e Jeanneret
(1997) per richiamare l’attenzione sul folto gruppo di sistemi di questo tipo. Il loro scopo principale – come si è detto – è quello di descrivere in dettaglio i lavori e le professioni in base ad un insieme di caratteristiche o attributi. Ancorché in parte datati e pressoché tutti chiaramente improntati a finalità «aziendali» di selezione e valutazione del
personale o della sua performance, ai fini di questa riflessione questi sistemi meritano
attenzione in quanto molti dei concetti, delle variabili o «descrittori» o anche delle tassonomie, in essi utilizzati hanno influito non poco sulla progettazione ed elaborazione
di aspetti importanti del programma O*NET 25.
Il Position analysis questionnaire (PAQ) (McCormick et al., 1969), mira soprattutto
alla selezione del personale ed alla valutazione della performance. Esso si incentra, pertanto, sulla rilevazione di alcune caratterisitiche del lavoratore e del suo rendimento in
relazione alle attività da svolgere e ad alcune variabili del contesto del lavoro. Sono proprio questi ultimi aspetti che verranno ripresi nel «Content Model» di O*NET tra i requisiti che attengono alla professione (Occupational Requirements).
Anche la Fleishman Job Analysis Survey (F-JAS) (Fleishman e Quaintance, 1984;
Fleishman, 1992), mira soprattutto alla selezione ed alla valutazione del personale. Tuttavia i descrittori utilizzati a tal fine introducono un’articolata distinzione tra le caratteristiche dei lavoratori. Non solo, è in questo approccio che appare meglio sviluppata la
descrizione delle professioni in base ad alcune attitudini richieste ai lavoratori per una
performance «di successo» (Fleishman e Mumford, 1988) e che verranno riprese nel
«Content Model» di O*NET nell’ambito delle Worker Characteristics.
Maggiore attenzione alla descrizione delle posizioni lavorative, oltre che alla selezione del personale o alla valutazione della performance, prestano invece il General Work
Inventory (GWI) (Cunnigham, 1988), ed il Common Metric Questionnaire (CMQ) (Harvey, 1991). E ad entrambi si richiamerà il Content Model di O*NET nell’ambito degli
Occupational Requirements.
Il Multipurpose Occupational Systems Analysis Inventory-Closed Ended (MOSAIC) (Gregory e Park, 1992) è un sistema sviluppato dall’Office of Personnel Management allo sco-
25 Invero, basta dare uno sguardo alla bibliografia del volume I del Content Model di O*NET per rendersi
conto di quanto estesa e pervasiva sia stata l’influenza delle analisi sviluppate nell’ambito di questi sistemi. In Peterson et al. (1995).
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po di raccogliere informazioni standardizzate su compiti e competenze – intese come
una combinazione di conoscenze, skills e attitudini – su determinati gruppi di professioni. Di particolare interesse appare l’uso della nozione di competenze in quanto anticipa il modo in cui queste – come si vedrà tra breve – possono essere rilevate con il modello O*NET.
Infina, il Work Profiling System (WPS) della Saville and Holdsworth Ltd. USA, Inc.
(1990), anch’esso mirato alla rilevazione di informazioni standardizzate sui compiti e
sulle caratteristiche del contesto del lavoro di determinati gruppi professionali.
Dal 1939, anno della sua prima edizione, all’inizio degli anni Novanta, tuttavia, lo
sforzo maggiore prodotto negli Stati Uniti per disporre di un sistema esaustivo di descrizione delle professioni è rappresentato dal Dictionary of Occupational Titles (DOT).
Ma oggi sulla prima pagina del suo sito, in alto, è scritto in grassetto: «The DOT has
been replaced by the O*NET» 26. Nulla forse più di questo annuncio serve a rivelare quanto incolmabile fosse diventato nel corso degli anni Novanta lo scarto tra le definizioni
delle professioni contenute nel DOT e la reale natura del lavoro – e ciò proprio all’indomani dell’enorme sforzo fatto nel 1991 per aggiornare la sua quarta edizione.
Eppure il DOT, oltre che un’origine gloriosa legata all’esigenza scaturita dalla grande crisi del ’29 di disporre di un valido strumento di analisi del lavoro, aveva rappresentato per lunghi anni un punto di forza nel quadro dei sistemi di classificazione delle
professioni in quanto con esso si era cercato di combinare le caratteristiche dei sistemi
enumerativi con quelle dei sistemi descrittivo-analitici appena descritti. Fin dalla sua
prima edizione, infatti, con il DOT lo U.S Employment Service aveva inteso fornire ad
un tempo un catalogo dei nomi delle professioni presenti nell’economia americana ed
una descrizione attendibile del tipo di lavoro svolto in ciascuna professione. Non solo,
il DOT aveva contribuito non poco a creare e diffondere un linguaggio e degli «standard» per la descrizione e l’analisi del lavoro comuni a tutti gli attori coinvolti – agenzie pubbliche, istituti di formazione, imprese, singoli individui. Ed è proprio tenendo
conto di ciò che vale la pena richiamare brevemente le caratteristiche principali del DOT,
al fine di rilevarne non solo le ragioni del suo sostanziale superamento, ma anche per individuare in che modo O*NET, distanziandosi da esse, raccoglie e rafforza per così dire le ragioni della sua precedente affermazione.
Si è già ampiamente visto in altra parte di questo volume che il DOT – fino all’edizione del 1991 – definisce le professioni sulla base di sette elementi: 1) un codice di nove cifre; 2) la denominazione base della professione (il titolo); 3) il settore di attività (che
segue immediatamente ed è tutt’uno con la denominazione base); 4) eventuali altre denominazioni; 5) il corpo della definizione, dato da una frase principale e da frasi che si
riferiscono ai compiti richiesti, ed a compiti «possibili»; 6) eventuali altre denominazioni connesse a quella base; 7) la definition trailer che integra la definizione di ogni professione. Buona parte di questi elementi sono sintetizzati nelle prime sei cifre del codice.
26 Esso resta però in uso come riferimento standard per l’Office of Administrative Law Judges in particolare
per casi che si riferiscono a lavoratori immigrati.
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Sulle sette modalità di descrizione del DOT si è già detto nella parte precedente
del rapporto e non serve aggiungere altro. Ciononostante, vale la pena di soffermare
ulteriormente l’attenzione sulle seconde tre cifre del codice e soprattutto sulla definition trailer.
È con le seconde tre cifre che il DOT entra nella descrizione ed analisi del lavoro
e lo fa con uno strumento – la worker function – inteso a graduare in che modo le «funzioni», considerate come le attività svolte dal lavoratore e rilevate in base ai compiti
eseguiti (tasks), si rapportano a tre dimensioni: «dati, persone e cose» («data, people
and things»). Si tratta di uno strumento di analisi ripreso dalla metodologia messa a
punto negli anni Cinquanta da S.A. Fine (Fine e Wiley, 1971; cit. in Kochan et al.,
1999, p. 182). Queste dimensioni rappresentano il cuore della cosiddetta analisi funzionale del lavoro. Essa muove dall’assunto che in ogni situazione lavorativa il modo
in cui il lavoratore (o la lavoratrice) si rapporta al proprio lavoro è dato dall’insieme
delle relazioni in cui si trova con i dati, le persone e le cose. In base all’intreccio tra tali relazioni si ritiene di poter stabilire qual è il grado di complessità richiesto per l’esecuzione di determinati compiti. A ciascuna dimensione si associa così un punteggio che cresce al diminuire della complessità o – come viene anche detto – della responsabilità richiesta al lavoratore. E dunque:
– La quarta cifra del codice si riferisce alle relazioni con i «dati». Questi attengono a
«informazioni, conoscenze e concezioni, riferite a dati persone o cose, ottenuti attraverso l’osservazione, l’investigazione, l’interpretazione, la visualizzazione e la creazione intellettuale. I dati sono intangibili ed includono numeri, parole, simboli, idee,
concetti e verbalizzazione orale» (sito del DOT, Appendix B, cui si rimanda per maggiori dettagli e specificazioni). I livelli di relazione ai «dati» vanno dal «synthesizing»
(livello 0), al «comparing» (livello 6), nel senso che operare una «sintesi» comporta
una responsabilità maggiore di un «confronto».
– La quinta cifra si riferisce alle relazioni con le «persone». Per «persone» si intende sia
gli esseri umani che gli animali considerati nella loro invidualità. I livelli di relazioni alle «persone» vanno dal «mentoring» (livello 0), al «taking instructions-helping» (livello 8), nel senso che una relazione di «guida» comporta una responsabilità maggiore di quella di «prendere istruzioni».
– La sesta cifra si riferisce alle relazioni alle «cose». Queste attengono a «oggetti inanimati ed in quanto tali distinti dagli esseri umani, sostanze o materiali; inoltre, macchine, strumenti, attrezzature ed attrezzi di lavoro, prodotti. Una cosa è tangibile ed
ha fattezze, forma ed altre caratteristiche fisiche» (ibid.). I livelli di relazione alle «cose» vanno dal «setting up» (livello 0), allo «handling» (livello 6), nel senso che «installare» (per esempio, delle componenti) comporta una responsabilità maggione del
«maneggiare» degli attrezzi.
Ciò significa anche che un determinato codice dei «dati, persone e cose» non dipende dalla identificazione del gruppo professionale operata con le prime tre cifre. Più esplicitamente, un determinato livello di «dati, persone e cose» può essere associato a pro-
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fessioni appartenenti a gruppi diversi. Ma esso risulta, al contempo, strettamente connesso a specifiche situazioni lavorative.
Quanto alla definition trailer, essa si riferisce ad un insieme di altre caratteristiche o
profili specifici che «seguono» o stanno a «rimorchio» della definizione della professione e che in quanto tali concorrono a descriverla. Molto schematicamente basti qui ricordare che il trailer contiene in particolare informazioni su quattro caratteristiche che
possono differenziare le professioni:
i. Un’indicazione degli interessi, attitudini o altre caratteristiche che si richiedono per
riuscire bene in una determinata professione e che sono codificate attraverso la «Guide for Occupational Exploration (GOE)». La GOE è articolata in aree di interesse e
gruppi di lavori. Con questa codifica si stabilisce, così, una connessione tra una determinata professione ed altre simili in termini di interessi, attitudini o altre caratteristiche richieste per riuscire bene.
ii. Il grado di preparazione richiesta rispetto ad alcune aree generali di conoscenza. In
particolare viene riportato il punteggio relativo alla scala di conoscenze richieste in tre
aree: sviluppo del ragionamento, sviluppo delle matematica, sviluppo delle conoscenze
linguistiche secondo la codifica del «General Educational Development (GED)».
iii. Il tempo considerato necessario per pervenire ad un determinato livello di preparazione professionale. La «Specific Vocational Preparation (SVP)» è definita come «l’ammontare di tempo impiegato da un lavoratore tipo per apprendere le tecniche, acquisisre le informazioni [conoscenze], e sviluppare la dimestichezza necessaria per
una performance media in relazione ad un lavoro in una specifica situazione» e misurata con un’apposita scala che va dal tempo necessario per una «breve dimostrazione» ad «oltre 10 anni» (ibid., Appendix C).
iv. Lo sforzo fisico richiesto nello svolgimento dei compiti. È misurato con una scala
che differenzia le professioni da un livello minimo di «sedentarietà» ad un livello massimo di «molto pesante», e che aggrega la valutazione di diversi aspetti del lavoro.
Il trailer riporta, infine, la data dell’ultimo aggiornamento, in modo da poter conoscere quanto tempo è trascorso da quando una determinata professione è stata analizzata.
La definizione trailer appare, dunque, specificamente rivolta a fornire delle informazioni sulle professioni che vanno oltre la stretta descrizione dei compiti richiesti,
estendosi ad elementi che abbracciano sia altre caratteristiche del lavoro che attitudini
ed attributi dei lavoratori. In questo senso essa mira a potenziare le definizioni del DOT
come strumenti di informazione utli sia a chi cerca lavoro, sia anche a chi svolge compiti di orientamento o comunque di supporto a tal fine.
Per quanto sinteticamente esposto, emerge chiaramente che nel suo insieme l’impianto del DOT è imponente ed alquanto complesso. Invero, per la rilevazione e l’analisi delle informazioni esso prevede il ricorso ad osservazioni dirette da parte di analisti
del lavoro ed è sulla base dei rapporti che gli analisti redigono che vengono enucleati i
diversi elementi che compongono la definizione delle professioni.
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Ma l’impianto del DOT è anche ambizioso. Esso intende offrire ben di più di uno
schema di classificazione in grado di enumerare tutte le professioni esistenti. Attraverso la definizione che fornisce per ciascuna di esse il DOT mira anche a fornire sia ai singoli che cercano lavoro, sia alle imprese che cercano lavoratori, un comune termine di
paragone per stabilire se e quanto ciò che gli uni sono in grado di offrire corrisponde a
ciò che gli altri domandano. Per riuscire in ciò, tuttavia, le definizioni hanno bisogno,
per un verso, di riflettere effettivamente natura e contenuti del lavoro richiesto e, per
l’altro, di esprimere l’una e gli altri in modo che siano ugualmente comprensibili agli attori coinvolti. Ma è proprio su questo punto che il DOT ha rivelato inadeguatezze e limiti che hanno spinto verso il suo superamento.
Nel 1993 il Ministro del lavoro (Secretary of Labor) dà espressamente incarico all’Advisory Panel for the Dictionary of Occupational Titles (APDOT) di individuare i limiti
del DOT e di avanzare proposte per pervenire ad un nuovo sistema di informazione sulle professioni. Sui limiti individuati nell’APDOT Report (APDOT, 1993) e sulle proposte avanzate per superarli è necessario qui soffermarsi ulteriormente anzitutto perché
essi, come è stato ampiamente riconosciuto, pongono le basi di O*NET (Mumford e
Peterson, in Peterson et al., 1995, Introduction). Ma anche perché si tratta di proposte
che prefigurano un «nuovo DOT» in grado di stare al passo con i cambiamenti della natura del lavoro cui si è fatto cenno nella prima parte di questa riflessione. Nel prosieguo
della discussione, dopo aver sinteticamente ricordato i limiti del DOT, l’attenzione si
incentrerà quindi su O*NET al duplice scopo:
1) di evidenziare in che modo nel suo modello ed articolazione trovano concretizzazione e sviluppo le proposte avanzate nell’APDOT Report;
2) di verificare se e come, nella sua concreta applicazione, esso si mostra effettivamente in grado di raccogliere le molte sfide che i cambiamenti della natura del lavoro rappresentano per un sistema di informazione e di analisi delle professioni.
3.4. Il modello dell’Occupational Information Network (O*NET)
Nel DOT – come si è visto – le attività professionali sono descritte e analizzate principalmente in base all’esecuzione dei compiti che ciascuna richiede. Si tratta di un’impostazione che ne riflette sostanzialmente il quadro di riferimento. Ma se tale quadro – rileva l’APDOT Report – poteva considerarsi appropriato a descrivere lavori e professioni
al tempo dell’economia della produzione di massa e all’organizzazione del lavoro che la
caratterizzava, può scarsamente valere, invece, per analizzare il modo in cui è impiegata la forza lavoro nel secolo ventunesimo. Per quanto possa essere tuttora importante, la
scomposizione ed analisi dei singoli compiti e la specificità di informazioni cui essa dà
luogo si presenta oggi per più versi fortemente limitativa. Di tali limiti vale qui la pena
ricordarne i più salienti.
Per un verso, quanto più la descrizione e l’analisi si incentra sui compiti considerati
a sé stanti e sulla loro esecuzione, tanto più in tale descrizione appare riflessa una visione dell’attività lavorativa che tende a prescindere dalle relazioni con il contesto in cui es-
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so ha luogo e soprattutto scollegata dal coinvolgimento del lavoratore che la esercita. Il
tentativo fatto con la «definition trailer» di allargare le caratteristiche e gli aspetti sui quali rilevare dei dati – dalle informazioni raccolte sul contesto, a quelle sulle skills, le attitudini, le conoscenze o altri attributi individuali che possono essere più o meno necessari per svolgere un determinato lavoro – non basta per recuperare la dimensione di interazione che sussiste tra il lavoro ed il lavoratore che lo svolge.
Le informazioni raccolte sugli aspetti fisici ed ergonomici del lavoro, come il rumore, la temperatura, l’orario di lavoro sono certamente importanti. Tuttavia, altre variabili di contesto possono avere un effetto di stress o comunque incidere sul lavoro in misura altrettanto, se non più, significativa. In particolare nessuna attenzione viene prestata a
variabili che attengono al contesto organizzativo, come, per esempio, al «clima» che caratterizza le interazioni tra i soggetti e che può incidere non poco sul loro rendimento.
L’acquisizione delle informazioni sugli interessi, le conoscenze, le attitudini richieste
per lo svolgimento di determinati lavori viene rilevata indirettamente e non in modo
puntuale. Essa resta pertanto sostanzialmente insufficiente. Ma proprio queste informazioni possono rivelarsi cruciali per meglio definire l’incontro tra le caratteristiche dei
singoli soggetti, la loro formazione ed esperienza, e quelle richieste dai lavori che sono
chiamati a svolgere, e quindi per stabilire le condizioni di una buona performance. Alla luce di queste prime considerazioni, il problema che si pone è come allargare ed al
contempo integrare le informazioni sui compiti con altre informazioni sulle condizioni di contesto e sugli attributi dei lavoratori.
Per l’altro verso, quanto più le attività lavorative sono descritte al livello di specificità richiesta in ogni singola professione, tanto più ciò dà luogo ad un quadro complessivo altamente rigido e parcellizzato in cui risulta difficile operare dei confronti trasversali tra professioni. In particolare, quanto più le caratteristiche del lavoro o gli attributi
del lavoratore risultano specifici a quelli di una singola professione, tanto più si perde la
possibilità di una comparazione a quelli di altre professioni e con essa quella di individuare se sussistono, e quali sono, caratteristiche ed attributi che possano essere trasferibili dall’una all’altra. E ciò rende, per esempio, impossibile stabilire se sussistono le condizioni per il passaggio ad un nuovo lavoro di una persona proveniente da un lavoro o
da una professione divenuta obsoleta. Il problema che da questo punto di vista si pone
è duplice: esso attiene sia all’individuazione delle informazioni sulle quali è possibile
fondare tale comparazione, sia anche al modo in cui rilevarle.
Ma ci sono almeno altri tre aspetti limitativi del DOT rilevati nell’APDOT Report e
sui quali è qui importante richiamare l’attenzione.
Primo. Il ricorso che il DOT prevede ad esperti analisti del lavoro per l’aggiornamento
delle informazioni non solo comporta un considerevole impegno di risorse finanziarie,
ma si risolve altresì – anche a ragione delle sue procedure manuali – in tempi tanto lunghi da rendere in ogni dato momento una buona parte delle informazioni contenute nel
DOT obsoleta e già superata dall’effettivo stato delle cose. Il problema da questo punto
di vista è quello di individuare un metodo di rilevazione delle informazioni che sia quanto più possibile agile e veloce, in grado di stare effettivamente «al passo» con i cambiamenti in atto ed al contempo che sia per quanto possibile meno costoso.
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Secondo. È ben vero che le informazioni contenute nel DOT sono disponibili a
chiunque voglia prenderne visione. Ma – come si è già avuto modo di sottolineare –
l’accesso alle informazioni utili per i soggetti ad esse interessati implica molto di più. Il
problema sta nel fare in modo che le informazioni cui è possibile accedere non solo rilevino rispetto alle esigenze di chi le cerca, ma che esse siano anche il più possibile ed
immediatamente comprensibili. Da questo punto di vista, in sostanza, il problema attiene all’elaborazione di un linguaggio comune a tutti gli attori coinvolti. Se l’obiettivo
è quello di far sì che chi cerca lavoro sappia quali capacità e conoscenze deve possedere
perché determinati lavori possano essere alla sua portata; che le imprese possano selezionare e addestrare dei lavoratori idonei ad inserirsi nei propri processi produttivi; che
gli attori pubblici in qualche modo istituzionalmente preposti a sostenere gli uni e le altre possano operare efficacemente; non basta che ciascuno trovi dal proprio punto di vista le informazioni che servono. È altresì necesario che attraverso quelle informazioni
ciascuno sia in grado di comunicare, dialogare, confrontarsi con gli altri.
Terzo. Le descrizioni qualitative delle professioni contenute nel DOT, anche a ragione dell’impostazione generale in cui sono inquadrate, non ne consentono il collegamento con altri database sulle professioni. È importante, invece, che le informazioni assunte attraverso un determinato sistema di analisi del lavoro siano confrontabili e per
quanto possibile cumulabili a quelle fornite da altre fonti.
Per superare nel loro insieme i limiti del DOT cui si è appena fatto cenno ed affrontare i problemi che essi pongono, l’APDOT Report propone e sollecita il Ministero del lavoro (Department of Labor) a mettere in cantiere la progettazione e realizzazione di un
nuovo sistema di analisi e raccolta di dati le cui caratteristiche vengono così riassunte:
Lo scopo:
– Si tratta di pervenire ad una ristrutturazione del DOT in grado di identificare, definire, classificare e descrivere le professioni nel sistema economico in modo accessibile e flessibile. [Il nuovo sistema] deve essere altresì in grado di servire come un
benchmark nazionale per le informazioni sulle professioni e fornire un linguaggio comune a tutti gli utenti di informazioni sulle professioni.
Il database: [si propone che]
– Sia esteso a tutte le professioni dell’economia nazionale.
– Il Ministero del lavoro usi un unico sistema standardizzato di classificazione delle
professioni sia per il [nuovo] DOT che per tutti gli altri programmi di raccolta di dati sul mercato del lavoro. Un unico sistema standardizzato di classificazione delle professioni consentirà che le informazioni assunte dalle diverse fonti siano tra di loro
tecnicamente e concettualmente compatibili.
– Il livello di dettaglio usato nel database sia suffcientemente flessibile da rispondere
ai criteri di standardizzazione della classificazione delle professioni proposti, ma al
contempo tale da consentire un’ulteriore differenziazione tra le professioni sulla base delle esigenze degli utenti e delle informazioni raccolte.
– Il Ministero del lavoro adotti l’APDOT «Content Model» come riferimento per identificare l’informazione da includere nel [nuovo] DOT. Lo sviluppo dei descrittori
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propri del Content Model sono da considerare parte integrante dell’implementazione del nuovo DOT.
– La revisione di ogni singola professione descritta nel [nuovo] DOT abbia luogo da
parte del Ministero del lavoro ogni cinque anni, in modo da assicurarne l’aggiornamento. Per alcune professioni ciò dovrebbe aver luogo più frequentemente.
– […] [L’]APDOT ritiene che le informazioni sulle professioni incluse nel [nuovo]
DOT debbano altresì rispondere a gran parte delle domande che interessano i soggetti che le utilizzano in quanto preposti all’istruzione, formazione, orientamento e
impiego della forza lavoro.
La raccolta dei dati: [si suggerisce che]
– Siano usate delle tecniche di campionamento tali da assicurare la rappresentatività
delle professioni e l’accuratezza e coerenza delle informazioni. […]
– Come strategia per la raccolta dei dati il Ministero del lavoro si basi sull’uso di questionari strutturati sull’analisi del lavoro. Il ricorso ad altri metodi può essere richiesto per integrare i dati così raccolti.
– La raccolta delle informazioni sulle professioni avvenga attraverso l’uso di tecnologie informatiche al fine di facilitarne il controllo della qualità, l’accuratezza e l’aggiornamento in un modo da rispondere a criteri di efficienza economica.
La disseminazione: [si suggerisce che]
– Essa avvenga ad opera del Ministero del lavoro tramite un database del [nuovo] DOT
che sia dinamico e flessibile e reso accessibile attraverso una pluralità di formati elettronici rispondenti alle diverse esigenze dei soggetti interessati allo sviluppo della forza lavoro. […]
La implementazione: [si auspica che]
– Entro il 1996 il Ministero del lavoro sviluppi un nuovo e completo database nazionale che rilevi, produca, conservi e dissemini informazioni sulle professioni che siano accurate, attendibili e valide al fine di sostenere gli sforzi di investimento del paese [per lo sviluppo] della forza lavoro. […] (APDOT, 1993, pp. 6-7).
Nel 1995 viene reso noto il Content Model del prototipo di O*NET (Peterson et al.,
1995). Di O*NET in altra parte di questo volume si è già fatta un’ampia descrizione.
Qui pone conto fermare l’attenzione sul modo in cui esso raccoglie e sviluppa proposte
e suggerimenti dell’APDOT. In particolare, è agevole rilevare che mentre quanto ai soggetti cui esso si rivolge, le finalità che persegue, gli assunti su cui si basa, O*NET non fa
altro che raccogliere le proposte avanzate nell’APDOP Report, quanto, invece, alla sua
struttura se ne discosta per alcuni aspetti in modo rilevante.
In estrema sintesi 27:
27 Qui di seguito – diversamente da quanto già fatto nella parte precedente – si farà soprattutto riferimento alla prima versione del Content Model che ne descrive la logica e la struttura (Peterson et al., 1995).
Per una descrizione del suo successivo sviluppo si rinvia a Peterson et al. (1999). Per una sintesi degli ulteriori sviluppi di O*NET, compreso il nuovo sistema di classificazione O*NET-Soc, si rinvia a Boese et
al. (2001), accessibile dal sito di O*NET.
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– Per quanto riguarda i soggetti: il sistema è concettualizzato, impostato e presentato in
modo da poter rispondere con un unico linguaggio alle esigenze di una pluralità di
soggetti. Anzitutto alle sigenze di coloro che, quale che sia la ragione, cercano lavoro e di quei numerosi soggetti impegnati a sostenerne la ricerca attraverso interventi formativi, di orientamento, di riqualificazione. Alle esigenze delle imprese, pubbliche o private e quale che sia il loro settore di attività, che cercano forza lavoro idonea all’inserimento nei propri processi produttivi. Alle esigenze conoscitive di tutte
quelle istituzioni pubbliche a vario titolo preposte all’analisi del mercato del lavoro
e delle condizioni professionali dei lavoratori.
– Per quanto riguarda le finalità: il sistema persegue molteplici finalità convergenti nell’obiettivo di facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Esso mira a stabilire quali sono i requisiti richiesti in termini di conoscenze, skills, attitudini, o più
sinteticamente – come si avrà modo di precisare di qui a poco – le competenze necessarie per svolgere un determinato lavoro, ed al contempo ad accertare in che misura una determinata persona possiede le competenze richieste per quel lavoro; mira, quindi, a stabilire e ad aggiornare per ciascun lavoro gli standard della formazione e dell’addestramento e quelli delle competenze richiesti. Esso intende con ciò rendere possibile a chi, avendo perso il lavoro, ne cerca uno nuovo, di confrontare le
competenze richieste nel lavoro precedente e quelle richieste dal nuovo. Esso intende, infine, fornire ogni possibile informazione sulla natura della domanda di lavoro.
– Per quanto riguarda gli assunti: l’assunto generale – implicito in quanto si è appena
detto – è che i lavori e le professioni possano essere tra di loro comparabili in base alle competenze richieste. Esso si articola a sua volta in tre assunti più specifici: 1) Si
assume che la comparazione possa aver luogo sulla base di una descrizione quantitativa fatta ricorrendo a delle variabili o descrittori (cross-occupational descriptors) ad alta generalità che attraversano tranversalmente tutti i lavori. 2) Si assume che il mondo del lavoro possa essere osservato «aprendo» più «finestre», dove ogni «finestra» (o
dominio) ripropone un insieme di descrittori che rispondono ad uno specifico interesse, punto di vista o modo di utilizzare il sistema da parte di un determinato soggetto. Per esempio, chi ha interesse a sapere di più sui bisogni di formazione, guarderà «dalla finestra» delle capacità e delle conoscenze, mentre chi lavora nella selezione del personale guarderà più probabilmente da quella delle attitudini e dei titoli di istruzione acquisiti.
L’esplicitazione di questi assunti anticipa che la struttura del Content Model è articolata per dominii ed imperniata sui descrittori in cui ciascuno di questi si organizza. Ed
è su come si perviene agli uni ed agli altri che è necessario a questo punto fermare l’attenzione anche per evidenziare in che modo – e proprio rispetto alla struttura – il Content Model di O*NET va oltre le proposte dell’APDOT Report.
«Per essere vitale – avvertono Mumford e Peterson – un qualsiasi sistema di informazione sulle professioni deve muovere dall’identificazione di descrittori che le attraversano» (in Peterson et al., 1995, cap. 2, p. 2-1). In sostanza, sono i descrittori gli elementi costitutivi del sistema.
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A sostegno di questa affermazione è possibile annotare tre buone ragioni. La prima
è che sono i descrittori che forniscono agli utenti del sistema le basi per quel linguaggio
comune che serve loro per comunicare, confrontarsi, scambiare e negoziare. La seconda è che è attraverso il linguaggio di quei descrittori che è possibile fare paragoni, e quindi stabilire quali similarità o differenze sussistono tra determinate professioni. La terza
è che è attraverso diverse e nuove aggregazioni di quei descrittori che è possibile prefigurare l’emergenza di nuove professioni. Ed in un mondo del lavoro che cambia rapidamente, un sistema di informazione sulle professioni non può essere limitato all’analisi delle professioni esistenti e conosciute. Deve essere altresì in grado di individuare
quelle via via emergenti. È in ciò che si misura più propriamente la sua vitalità.
L’identificazione di tali descrittori – premettono Mumford e Peterson citando Fleishman e Mumford (1991) e Owens e Schoenfeldt (1979) – si pone nell’ambito di tassonomie che si sviluppano secondo tre momenti: primo, definizione del campo o dominio degli oggetti che devono essere descritti; secondo, individuazione di un insieme di
descrittori attraverso i quali accertare somiglianze e differenze tra gli oggetti che si trovano in tale dominio; terzo, individuazione di un insieme di regole che consente di raggruppare gli oggetti sulla base delle descrizioni così fatte (Mumford e Peterson, in Peterson et al., 1995, cap. 1, p. 1-8). È il modo in cui questi tre momenti si sostanziano
nel Content Model di O*NET cha dà luogo ad una struttura che va oltre e si distanzia
da quella dell’APDOT.
Sono molti i tipi di variabili che si possono usare per descrivere le professioni o le attività svolte da un individuo nell’esercizio di una determinata professione. E la molteplicità dei tipi di informazione da rilevare dipende molto dagli interessi cui un sistema
di informazione è chiamato a rispondere. Il modello proposto dall’APDOT muove sostanzialmente dalla distinzione tra le variabili che attengono alle caratteristiche del lavoro (work-oriented descriptors) e quelle che riguardano invece gli attributi di cui il lavoratore deve essere in possesso per poterlo svolgere (worker-oriented descriptors). Il Content Model di O*NET integrano questa distinzione, ancorché ritenuta fondamentale,
con due ulteriori distinzioni:
– La prima è la distinzione (già rilevata da Campbell, 1993) fra descrittori che sono
trasversali alle professioni (cross occupation descriptors) e descrittori di professioni
specifiche (occupation specific descriptors). I primi – come si è già accennato – si pongono come trasversali a tutti i lavori e quindi ad un elevato livello di generalità. In
quanto tali consentono il confronto tra lavori diversi. I secondi sono invece descrittori specifici a singole professioni, ed in quanto tali non consentono di operare confronti.
– L’altra è la distinzione basata sul livello di «manipolabilità» delle variabili. Alcune di
queste, come, per esempio, quelle che attengono alle attitudini o agli stili di lavoro,
si presentano più stabili e durature. In quanto tali sono scarsamente «malleabili», non
possono essere cambiate facilmente né attraverso l’azione individuale né quella organizzativa. Esse vengono denominate caratteristiche. Altre variabili, invece, come
quelle che attengono alle conoscenze, alle capacità, alle attività lavorative, si presen-
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tano più «malleabili», ed è più facile cambiarle con interventi mirati. Esse vengono
denominate requisiti 28.
La considerazione congiunta di queste tre distinzioni dà luogo alla struttura in sei
domini del modello di O*NET in sei dominii.
Con la nuova definizione del Content Model, O*NET raccoglie ed amplia le proposte dell’APDOT in merito alla natura e struttura dei dati da rilevare in modo da rendere il sistema di informazione sul lavoro e sulle professioni ad un tempo completo, flessibile ed aggiornato. Inoltre, nelle sue diverse parti esso si sofferma in dettaglio sul metodo e sulla letteratura pertinente per la individuazione e «gerarchizzazione» dei descrittori 29.
Quanto, invece, al metodo ed agli strumenti da adottare per la raccolta dei dati, il
Data Collection Program di O*NET raccoglie sostanzialmente le proposte dell’APDOT.
Qui basti ricordare che la raccolta dei dati avviene principalmente tramite dei questionari strutturati somministrati a campioni statisticamente rappresentativi di lavoratori
in diverse professioni facendo abbondante ricorso alla tecnologia informatica 30. Per alcuni dominii le informazioni possono essere integrate con dati assunti da altre fonti.
Particolare attenzione merita qui il modo in cui viene rilevata e misurata la rilevanza di ciascun descrittore. Tutte le variabili vengono rilevate e graduate attraverso scale di
valutazione che consentono di pensarle in modo lineare. Ma i questionari sulle conoscenze, capacità, attitudini e attività generalizzate di lavoro utilizzano due tipi di scala:
una sul grado di importanza e l’altra sul livello di necessità. Ai fini della comparazione tra
lavori diversi si tratta di una distinzione cruciale. Seguendo la definizione del Content
model, infatti, con la prima si intende misurare l’«impatto» di ciascuna variabile sulla
performance, mentre con la seconda la «complessità» richiesta relativamente alla stessa
variabile (Mumford e Peterson, in Peterson, Mumford et al., 1995, cap. 2, p. 2-22) 31.
In altri termini:
28 Questa distinzione evoca quella operata da Spencer e Spencer (1993) tra componenti «osservabili» e quelle «nascoste» della competenza richiamata nella precedente discussione sul concetto di competenza. Ma
è singolare che – stando almeno alle opere citate ed ai pochi richiami fatti, come per esempio nell’esame
della definizione di «abilities» ed al lavoro del Secretary’s Commission on Achieving Necessary Skills (SCANS)
(in Peterson et al., 1995, cap. 10, p. 2) – il dibattito sulla competenza cui si è fatto cenno nella parte precedente del testo si intereseca poco con quello sui sistemi di informazione sul lavoro e sulle professioni.
29 Anche se, vale la pena annotare, i riferimenti restano sostanzialmente entro l’orizzonte statunitense.
30 Per un’indicazione puntuale sullo sviluppo delle procedure di raccolta dei dati si rimanda al sito di O*NET
ed ai numerosi documenti e rapporti cui esso consente di avere accesso. Un primo riferimento è comunque fornito da U.S. Department of Labor (1999), e successivamente da U.S. Department of Labor
(2000 e 2001). Una sintesi degli aggiornamenti è in Boese et al. (2001). Per un tentativo di applicazione fatto in Italia – limitamente ad alcuni profili lavorativi – ed ai problemi di aggiustamento che ciò ha
comportato, si rimanda a Cerase (2002). In questa applicazione, tra l’altro, anche il questionario sulle
attitudini è stato somministrato ai lavoratori e non compilato da analisti del lavoro, così come previsto
nel programma O*NET.
31 Come si vede, dunque, il termine ha qui un significato molto più puntuale e specifico di quello ricordato nel paragrafo 1.3.
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– la prima scala rileva quanto ciascun descrittore è importante nello svolgimento di un
determinato lavoro e quindi l’importanza che esso riveste per una determinata professione;
– la seconda rileva quale livello di padronanza è necessario avere di quello stesso descrittore per poter svolgere quel lavoro.
In quanto tali – è importante ribadirlo – queste due misure non sono tra di loro in
relazione, nel senso che, per esempio, una determinata capacità può essere molto importante per lo svolgimento di un lavoro, ma essa può essere necessaria con un livello di
padronanza molto modesto.
3.5. Per concludere
Due tipi di domande e considerazioni si possono a questo punto avanzare per concludere la riflessione che si è andata svolgendo: il primo riguarda più strettamente O*NET.
Gli interrogativi che pone sono: che cosa intende essere O*NET? Quanto ci riesce? Il
secondo muove dagli stessi interrogativi, ma per porre l’enfasi sul modo in cui O*NET
risponde alle domande via via emerse nel corso della discussione ed in particolare: se e
quanto è soddisfacente il modo in cui O*NET riesce a rilevare i cambiamenti della natura del lavoro? Quanto riesce a farlo in base alla rilevazione delle competenze?
Quanto al primo tipo di domande possono valere le conclusioni cui pervengono Kochan et al. (1999, pp. 195-213, passim). Rispetto ad altri sistemi di informazione sul lavoro e sulle professioni – essi rilevano – O*NET segna un notevole passo in avanti da
diversi punti di vista che vanno dalle variabili utilizzate per la descrizione del lavoro, agli
strumenti di rilevazione dei dati, alle possibilità di utilizzazione che esso offre ai diversi
soggetti interessati. Una volta a regime, e quindi adeguatamente sostenuto, O*NET sarà in grado di offrire uno strumento utile alla rilevazione dei cambiamenti del lavoro,
alla progettazione di nuovi lavori, e di supporto alle diverse decisioni che attengono all’impiego delle risorse umane. Più esplicitamente:
– O*NET si presenta come un sistema in grado di integrare a livello nazionale i diversi
sistemi di classificazione delle professioni, siano essi «enumerativi» o «descrittivoanalitici» e quindi di superare precedenti forme di frammentazione.
– O*NET si basa su un «Content model» teoricamente fondato e validato attraverso un
approfondito esame di descrittori e variabili che riguardano la persona, il lavoro, il
contesto. Sono questi i «mattoni» in base ai quali si costruisce il contenuto di un determinato lavoro e se ne apprendono le modalità di svolgimento.
– O*NET consente l’accesso e l’uso attraverso diverse modalità e «finestre» multiple.
Vi si può accedere, infatti, a partire dai nomi delle professioni, quale che sia il livello di specificazione, o a partire da uno qualsiasi dei descrittori dei singoli domini in
cui è strutturato. In un mondo in cui la natura del lavoro è in rapido cambiamento,
quest’ultima modalità o finestra di accesso è particolarmente importante. Essa con-
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sente a chi la usa di pervenire induttivamente al livello di un determinato lavoro o
professione, piuttosto che procedere, come nel caso di altri sistemi, deduttivamente
a partire da una determinata categoria professionale definita in base ad una situazione passata e che fornisce delle informazioni sulle caratteristiche del lavoro richiesto che possono essere non più attuali.
– O*NET consente facilmente di operare analisi e confronti tra sistemi di classificazione diversi e con ciò di ovviare a precedenti forme di non comparabilità.
– Il programma di rilevazione dei dati di O*NET è relativamente meno costoso di altri ed agilmente governabile.
Dei vantaggi di O*NET appena richiamati, su uno in particolare appare importante richiamare l’attenzione: è la versatilità ed adattabilità di O*NET come sistema di informazione sul lavoro e sulle professioni. Entrambe sono rese massime dall’accesso consentito a partire da un qualsiasi descrittore, a qualsiasi livello. In particolare, la versatilità si manifesta a pieno nel modo in cui le informazioni che il sistema fornisce possono essere acquisite e «lette» di volta in volta in maniera diversa, in risposta alle specifiche domande dei singoli soggetti interessati. In questo senso O*NET è in grado di rispondere alle esigenze di tutti i soggetti possibilmente interessati ai diversi aspetti del
mercato del lavoro. Inoltre, per il modo in cui sono individuati e definiti, i descrittori
consentono a chiunque di iniziare un proprio persorso di ricerca, tenendo conto delle
proprie caratteristiche o attributi o di quelle del lavoro che cerca. Ad esempio, si è riportato nell’appendice al volume come, attraverso la «skills search», una qualsiasi «capacità», per quanto elementare, è sufficiente per «entrare» nel sistema. In ciò si sostanzia
la sua massima adattabilità, quali che siano le «condizioni di partenza» del singolo lavoratore o altro soggetto. È in questo senso che un determinato percorso può essere paragonato ad altri più o meno possibili e soprattutto comunicato e compreso da altri. Quest’ultima considerazione porta al secondo tipo di domande.
Per metterle a fuoco è necessario tornare all’inizio di questa riflessione, laddove si è
affermato che un modello di sistema di informazione sul lavoro o un sistema di analisi
delle professioni sia tanto più da privilegiare, quanto più gli strumenti di analisi che lo
contraddistinguono siano assimilabili a dei sensori attraverso i quali esso si riveli in grado di rilevare, misurare, rappresentare, classificare, «catturare» nel loro stesso divenire i
cambiamenti indotti sulla natura del lavoro dalle trasformazioni del contesto esterno ed
interno in cui esso si svolge. Per il modo in cui sono individuati ed il modo in cui possono essere utilizzati, i descrittori del Content Model di O*NET rappresentano in modo efficace questi sensori.
Non solo; alla luce di quanto si è detto appare sufficientemente chiaro che è anzitutto in base agli stessi descrittori che O*NET è in grado di fornire il linguaggio analitico di cui hanno bisogno i diversi attori che si muovono sul mercato del lavoro per comunicare e negoziare tra di loro. Quale che sia la «domanda» che un determinato attore intenda porre, O*NET mette così a disposizione il linguaggio che gli (o le) consente
di formularla in modo da poter essere compreso. E ciò è indispensabile per cercare di
ottenere una «risposta».
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Si è poi sostenuto che il sistema di informazione sul lavoro e sulle professioni da privilegiare sia quello che, facendo perno sul concetto di competenza, riesca meglio ad approssimarsi alla rilevazione ed alla misura delle competenze richieste sul lavoro. O più
esplicitamente, si è ritenuto che un sistema di informazione si presenta tanto più adeguato, quanto più l’informazione che fornisce faccia perno sulla competenza espressa
sul lavoro e la classificazione cui esso rinvia sia in grado di riflettere le competenze distintive dei diversi lavori e professioni. Orbene – e si è avuto modo di farvi cenno precedentemente – nel Content Model di O*NET il richiamo al concetto di competenza
non sembra rivestire altrettanta centralità. Eppure, proprio la strutturazione dei diversi domini di O*NET e la successiva individuazione dei descrittori di ciascun dominio
forniscono il quadro che meglio consente di approssimarsi alla nozione e misura delle
competenze che contraddistinguono un determinato lavoro. Ed è questo che qui maggiormente conta. In particolare, avendo optato per l’approccio razionalistico all’analisi delle competenze che – come si è visto – concettualizza la competenza come un costrutto composto di diversi elementi o dimensioni di per sé rilevabili, misurabili e standardizzabili, i descrittori rappresentano uno strumento analitico quanto mai efficace
per misurarle, compararle, anticiparne i cambiamenti in relazione allo svolgimento di
determinati lavori.
Ma per chiudere questa riflessione pone conto porsi la stessa domanda che implicitamente si pongono Kochan et al. al termine del loro rapporto. A chi spetta il compito
di prendersi cura di un siffatto sistema di informazione sul lavoro? La loro risposta appare chiara: al di là dell’interesse e dell’uso che può venire da attori del settore privato,
le risorse necessarie perché i dati sulle professioni possano essere, secondo il sistema descritto, tempestivamente raccolti, esaminati ed elaborati debbono propriamente provenire dal settore pubblico. Un sistema nazionale di informazione sul lavoro e sulle professioni, per quanto poderosa possa essere l’impresa, rappresenta un’indispensabile risorsa pubblica e deve essere sostenuta con fondi pubblici.
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La fattibilità del Dizionario delle
Professioni Tecniche
■
1. L’adozione del modello O*NET™
per il Dizionario delle Professioni Tecniche.
Approcci e condizioni di fattibilità 1
N
ella parte precedente del rapporto si sono sostenute le ragioni che suggeriscono di adottare il modello di analisi e rappresentazione delle professioni dell’Occupational Information
Network per realizzare il Dizionario delle Professioni Tecniche oggetto di questo studio
di fattibilità.
Si tratta di ragioni fondate e derivate dal dibattito internazionale sulle trasformazioni in atto nelle professioni e sulle esigenze di informazione dei sistemi sociali che si trovano sempre più ad affrontare il problema dell’occupazione in termini di investimenti
e di potenziamento del capitale umano della propria forza lavoro.
Dal punto di vista analitico, il modello risulta particolarmente adeguato e innovativo nel rispondere alle esigenze per cui è stato progettato, ma, prima di affrontare il come possa essere realizzato nel nostro paese, vale la pena di accennare brevemente al contesto in cui si collocherebbe.
In Italia il dibattito e le stesse informazioni sulle competenze e sui contenuti delle
professioni risultano derivare da ricerche, finanziate dallo Stato, sui fabbisogni formativi delle imprese fondate sulle previsioni e sulle testimonianze degli imprenditori e delle parti sociali.
Quasi tutte queste ricerche acquisiscono informazioni con interviste estese a testimoni privilegiati finalizzate a cogliere le idee che essi si fanno sulle tendenze al cambiamento di determinati settori economici e sui fabbisogni formativi della forza la1 Dr. Aldo Scarnera, Primo Ricercatore, Istat.
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voro necessari per fronteggiarli, o, anche, su fabbisogni di figure professionali emergenti 2.
Già dalla definizione degli obiettivi, insomma, queste indagini non si pongono il problema di rilevare e descrivere, secondo uno o più modelli analitici, le competenze espresse dalle professioni così come sono esercitate nell’attuale mercato del lavoro: porre questa questione, infatti, significherebbe fare indagini del tutto diverse per campo e finalità.
Questo tipo di informazione viene, dunque, lasciata sullo sfondo, dandola per scontata.
Se, tuttavia, si considera che un fabbisogno di professioni (o di nuove competenze
professionali) o un fabbisogno formativo può essere definito in termini di scarto fra ciò
che è e cio che sarebbe necessario, emergono chiaramente i vantaggi che queste indagini avrebbero nel raggiungimento dei loro obiettivi se disponessero di informazioni analitiche su come vengono esercitate le professioni e sulle competenze che concretamente attivano nel lavoro: vantaggi che si estenderebbero ben oltre quelle indagini poiché si
porrebbero le condizioni per costruire con entrambi gli strumenti un efficace sistema
informativo su un aspetto del mercato del lavoro che è ormai cruciale per il suo corretto funzionamento.
Ritornando alle condizioni di fattibilità di cui si discute in questa parte del rapporto, va detto che, fuori dell’ambito, per così dire, istituzionale, di queste indagini negli
ultimi due anni sono state condotte alcune piccole ricerche sperimentali che hanno adottato il modello statunitense nell’analisi delle professioni 3: partendo da come sono state
2 Si vedano per esempio: Agriform, Analisi dei fabbisogni formativi in agricoltura. Settore ortofrutta, 2002
(http://www.agriform.org); Chirone 2000, Ricerca sulla professionalità delle imprese del settore dei trasporti,
delle loro infrastrutture e servizi collegati: fabbisogni di nuove competenze professionali e nuove risposte formative, 2003 (http://www.chirone2000.it); Coop-Form, L’analisi dei fabbisogni di competenze nella cooperazione, 2000 (http://www.coop-form.it); Enbicredito, Indagine sui fabbisogni professionali nel settore del credito, 2002; ENFEA, Indagine nazionale sui fabbisogni formativi nella piccola e media industria
privata, 2002 (http://www.enfea.it); EBNA, Indagine nazionale sui fabbisogni formativi nell’artigianato,
2000 e 2002 (http://www.ebna.it); EBT, L’analisi dei fabbisogni formativi e professionali del settore turismo, 2001 (http://www.ebnt.it); Mastermedia, Nuove competenze per l’industria della comunicazione, 2001
(http://www.MM2000.it); OBNF, Indagine nazionale sui fabbisogni formativi, 2000 e 2002
(http://www.obnf.it). A questo scenario partecipano anche l’Isfol con le sue due edizioni del Repertorio
delle Professioni, che, però, per esaustività, sistematicità, metodologia ed analiticità non fornisce l’informazione necessaria e Unioncamere che con il suo Progetto Excelsior fornisce stime di medio e breve periodo sulle previsioni di assunzione delle imprese (e degli Enti e organizzazioni, anche pubblici) e sulle
vacancy del mercato del lavoro (professioni ricercate, ma non reperite).
3 F.P. Cerase, L’analisi delle competenze nel lavoro ammnistrativo, Angeli, 2002 e la ricerca empirica condotta realizzata da Aldo Scarnera nell’ambito del progetto STEP (Stock and Tremds in the European
Professions) finanziato dal Fondo Sociale Europeo (art. 6, misure innovative), in corso di pubblicazione in CNA-ECIPA, Fondazione Giacomo Brodoloni, Kassel Universitat Institut fur Arbeitwissenshaft,
Turun Kauppakorkeakoulu; Camera di Commercio Italiana-Nice, Sophia Antipolis-Cote d’Azur, IRES,
STEP Project. Stock and Trends in the European Professions, in corso di pubblicazione presso Donzelli
Editore. Si tratta di una sperimentazione che sta continuando oltre queste due ricerche con le indagini
che va conducendo la Dr.ssa Domenica Farinella, nell’ambito del suo dottorato presso l’Università degli Studi di Napoli «Federico II».
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condotte e dalle innovazioni da loro introdotte nel disegno dell’indagine, sono stati individuati i punti su cui far leva per risolvere i problemi e introdurre elementi di novità
nella realizzazione di un Dizionario fondato su quel modello.
1.1. La partecipazione all’indagine
Raggiungere le professioni non è un’impresa facile. Non è possibile, infatti, reperire liste di persone che le svolgono o individuare altre tecniche di semplice ed immediato utilizzo che consentono di raggiungerle altrettanto direttamente.
L’unica possibilità è quella di rivolgersi alle imprese, di cui ovviamente esistono liste,
individuando probabilisticamene quelle presso cui è possibile ritrovare la professione
che si intende indagare, acquisire la loro disponibilità a partecipare all’indagine e, ottenutala, recuperare da loro le liste dei soggetti che svolgono la professione di interesse,
estrarre da queste un campione casuale e su quest’ultimo riattivare le procedure e i protocolli tipici di un’indagine campionaria.
Fatto questo il problema diventa come assicurare la partecipazione del lavoratore all’indagine.
In un campione di piccole dimensioni, quale quello adottato dall’indagine statunitense, il problema delle interviste mancate ha forti ripercussioni sull’intera indagine e
sulla qualità stessa dei risultati. Non essendo possibile trattarle adeguatamente con tecniche statistiche, diventa, infatti, necessario sostituirle con interviste di riserva e ricorrere a questa soluzione intensivamente, può introdurre sistematicità nella selezione del
campione e far aumentare notevolmente i costi dell’indagine.
In questa indagine specifica, poi, entrambi i problemi risultano particolarmente enfatizzati a causa della complessità della procedura di selezione dei soggetti da intervistare.
L’esperienza dell’indagine statunitense, d’altronde, mostra come questo sia di fatto
uno dei problemi non ancora del tutto risolti, con cui quell’équipe di ricerca sta tuttora confrontandosi 4.
Chi partecipa ad un’indagine, infatti, se non ha particolari motivazioni a farlo, tende in genere a valutare il tempo che vi dedica come sottratto al tempo disponibile per
fare altre cose che per lui, magari, hanno priorità maggiori.
Fornire, poi, informazioni sulla professione svolta, a chi fa ricerca potrà forse sembrare una buona ragione per dedicare il proprio tempo ad un’intervista, ma non è detto che sia così per tutti i lavoratori.
Se, tuttavia, si considerano i possibili beneficiari dei risultati che un’indagine del genere può fornire, appare chiaro che, rispetto ai lavoratori, i soggetti maggiormente interessati sono di fatto le imprese e i loro responsabili, per le implicazioni pratiche che
tali risultati potrebbero avere rispetto agli investimenti sulla propria forza lavoro e ri4 Ivi.
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spetto agli output della formazione professionale e più in generale del sistema dell’istruzione.
Seguendo questa considerazione, nella sperimentazione condotta nell’ambito del
progetto STEP (citata in nota 2) si è ritenuto opportuno esperire il tentativo di chiedere all’imprenditore di far condurre l’intervista in orario di lavoro, spiegando al momento
del contatto sia quali convenienze e quali aspetti strategici i risultati della ricerca potevano avere per la sua impresa, sia che l’indagine stessa era condotta nell’ambito di una
più ampia ricerca internazionale cui partecipava anche una delle loro organizzazioni di
categoria (la CNA-ECIPA).
Se questa condizione fosse stata accettata si sarebbero avute certamente maggiori garanzie di partecipazione del lavoratore all’indagine: il lavoratore non avrebbe sopportato, infatti, costi di alcun genere e, anzi, avrebbe visto compensare come orario di lavoro il tempo dedicato. Quei costi, tuttavia, si sarebbero spostati, con un impatto e una
visibilità certamente maggiore, sull’impresa di cui non era affatto scontata la disponibilità ad assumerli.
Pensare che un imprenditore potesse accettare una condizione del genere ha costituito, quindi, un’assunzione forte (se non una scommessa), non verificata, che, però,
ha dato risultati eccellenti: nell’indagine, infatti, sono risultati pochissimi gli imprenditori che hanno rifiutato di far condurre le interviste a queste condizioni e, quando l’indagine è stata accettata dall’imprenditore, non si è verificata nessuna mancata
intervista.
Non si può escludere, dunque, un disegno dell’indagine che preveda di intervistare chi svolge la professione di interesse sul luogo di lavoro e durante l’orario di lavoro e che consideri di spostare sull’impresa una parte, pur minima, dei costi della rilevazione.
Un tale disegno presenta molti vantaggi perché consente di ridurre notevolmente i
costi della rilevazione garantendo, contestualmente, una maggiore qualità dei dati.
Intanto sposta alla prima fase di contatto la possibilità, che pur sempre rimane, di
ottenere un rifiuto dell’intervista. Se un imprenditore o un responsabile dell’impresa rifiutasse di accettare le condizioni di intervista, l’impresa verrebbe subito sostituita da
un’altra di riserva. Nel disegno alternativo di indagine, al contrario, potrebbe succedere che l’impresa accetti di collaborare ma che il lavoratore selezionato rifiuti l’intervista:
in questo frangente è, certamente possibile prevedere la sua sostituzione, tuttavia in questi casi l’eventualità di esaurire liste di riserva senza ottenere informazioni non è detto
che sia più rara di quella di rimettere in moto l’intera procedura di selezione di una nuova impresa e di nuovi lavoratori.
Un disegno del genere, poi, ridurrebbe considerevolmente il numero di interviste fissate dal disegno alternativo, perché permetterebbe l’utilizzazione di un unico questionario fatto di più sezioni tematiche, in cui potrebbero essere comprese anche quelle che,
nella realizzazione dell’Occupational Information Network, o non sono oggetto di ricerca (come quella sull’Organizational Context) o sono compilate da esperti (Abilities) o
prodotte da indagini speciali (Work Values). Un unico questionario che ridurrebbe, anche, possibili eccessi di variabilità generati dal fatto che persone diverse forniscono com-
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ponenti diverse di un’informazione che è unitaria per la professione indagata, eliminando il costo, in termini di qualità del dato, implicato in tale procedura 5.
Ancora, le risorse recuperate potrebbero essere destinate a migliorare ulteriormente la qualità del dato aumentando la numerosità delle interviste necessarie a fornire le stime richieste e quindi riducendo ulteriormente il loro errore campionario 6.
Ma, anche, facendo condurre l’intervista da intervistatori esperti: la scelta statunitense di far autosomministrare (per via postale o su web) questionari così sofisticati,
pur essendo motivata dalla necessità di ridurre alcuni costi di rilevazione, certamente non risulta la più opportuna. La complessità e la sofisticazione di quei questionari, infatti, necessita costantemente di una mediazione interpretativa fra il linguaggio
del ricercatore utilizzato nei quesiti e il linguaggio dell’intervistato, mediazione che
può essere ottenuta solo in un’intervista condotta da un intervistatore opportunamente addestrato.
Il punto di domanda è come ottenere una partecipazione onerosa delle imprese all’indagine.
La risposta in qualche modo è stata già data nelle righe precedenti: si tratta di costruire una legittimazione forte dell’intero progetto.
Si tratta, cioè, non solo di convincere l’imprenditore o il responsabile dell’impresa
del suo interesse reale ai risultati che si intendono ottenere, ma anche di renderlo consapevole della sua funzione sociale che, in questo caso, potrebbe essere garantita dal patrocinio dichiarato e palese delle parti sociali, delle organizzazioni di categoria, delle associazione e degli albi professionali, di Enti pubblici e, perfino privati, interessati alla
realizzazione del progetto e, non meno importante, dal fatto, che, trattandosi di produzione di informazione statistica pubblica dovrebbe in qualche modo rientrare nell’alveo del Sistema Statistico Nazionale (Sistan).
In tal senso, l’eventuale realizzazione del progetto dovrebbe preliminarmente acquisire tale compartecipazione (ovviamente non onerosa, ma convinta), essere, in
qualche misura, veicolata lungo i canali comunicativi dei soggetti organizzati che
l’accettano, e, infine, essere presentata, con questo tipo di legittimazione, alle imprese eleggibili 7.
5 Le sperimentazioni cui si sta facendo riferimento sommnistrano questionari unificati che sembrano dare risultati particolarmente significativi. In particolare, nel caso dell’indagine del progetto STEP, gli imprenditori che hanno accettato di far condurre l’indagine in orario di lavoro lo hanno fatto nonostante
fossero stati informati che questa poteva prolungarsi oltre le due ore lavorative.
6 Si ricorda che il numero minimo di interviste individuato dai ricercatori statunitensi è pari a quindici,
ma che di fatto la scelta di somministrare a quattro diversi intervistati i quattro questionari messi a punto per ciascuna intervista le fa salire, di fatto, a sessanta. U.S. Department of Labor, O*NET Data Collection Program, cit.; Research Triangle Institute, O*Net Report, Results of statistical analysis pretest, cit.
7 Questa stessa logica, d’altronde, è stata adottata dall’indagine O*NET™. Cfr. Association Endorsement,
http://onet.rti.org/eletter.cfm.
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1.2. L’organizzazione dell’indagine
Ma se è possibile ottenere al prezzo della legittimazione una partecipazione onerosa dell’impresa all’indagine, non si può pensare che eventuali problemi organizzativi di quest’ultima possano concorrere ad aumentare quegli oneri.
In altri termini, se l’imprenditore accetta i costi dell’indagine deve poter stabilire
quando questa deve essere condotta, deve, cioè, avere la possibilità di scegliere quando
allontanare, e per quanto tempo, il proprio dipendente dall’attività produttiva. Di conseguenza non si possono dare le condizioni di indagine consuete. L’intervistatore non
può e non deve avere margini discrezionali sul quando condurre l’intervista, non può
disdire appuntamenti fissati e non può vincolarli ai suoi impegni.
In queste condizioni la macchina organizzativa dell’indagine deve risultare estremamente efficace. Non solo si deve occupare di contattare l’impresa, verificare che sia eligibile (se utilizza, cioè, l’una o l’altra delle professioni oggetto di indagine), ottenere la
sua partecipazione all’indagine, definire con essa la lista dei lavoratori eligibili, scegliere casualmente uno da intervistare e comunicare la scelta all’intervistato e all’impresa,
ma deve, anche, concordare con quest’ultima il giorno e l’ora dell’intervista, comunicarla all’intervistando e schedularla con gli impegni dell’intervistatore, il quale a sua volta, non dovrà in alcun modo mancare all’appuntamento preso.
Le usuali procedure di contatto, insomma, devono essere ripensate per queste operazioni e attivate in tempo reale.
La classica lettera di primo contatto, che ovviamente dovrà contenere tutti le informazioni sull’indagine e sulla sua legittimazione, dovrebbe dare la possibilità all’azienda
di dare una risposta immediata (eventualmente per dare anche le informazioni richieste) sia contattando un numero verde sia accedendo, con login e password dedicata, ad
un apposito sito web.
Il database di questo sito dovrebbe avere una funzione cruciale in tutta l’organizzazione dell’indagine: in esso dovrebbero confluire sia l’elenco delle imprese eligibili, sia
le informazioni sulla loro partecipazione all’indagine, le liste dei lavoratori eligibili nelle imprese disponibili e i loro recapiti, gli stessi appuntamenti concordati.
L’acquisizione e il rilascio in tempo reale di queste informazioni consentirebbe agli
operatori addetti al contatto successivo alla lettera (ma anche agli imprenditori che
accedessero via web e agli operatori del numero verde) di prendere decisioni immediate, di concordare con l’impresa gli appuntamenti per l’eventuale intervista e i modi con cui comunicare la scelta all’intervistato; e di comunicarli in tempo reale agli
intervistatori.
1.3. Il questionario
L’articolazione delle informazioni dei questionari messi a punto per l’Occupational Information Network e lo stesso il linguaggio con cui sono stati formulati pongono problemi da affrontare con particolare cura.
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Intanto, non va esclusa la possibilità di coinvolgere la comunità scientifica nazionale in ulteriori procedure di validazione delle sezioni tematiche e di costruzione del questionario unificato che sarebbe opportuno attivare prima di procedere con l’indagine sul
campo.
Dal punto di vista linguistico, poi, i questionari messi a punto dai ricercatori del Department of Labor presentano problemi semantici non trascurabili.
La loro utilizzazione in Italia non comporta solo una loro traduzione testuale. Quei
questionari infatti sono ricchi di accorgimenti linguistici che tentano di evitare una divaricazione fra il significato attribuito dai ricercatori ai singoli item del questionario e
l’interpretazione che ne avrebbe potuto dare l’intervistato in fase di intervista
Il linguaggio di quei questionari, infatti, evita accuratamente torsioni specialistiche
e utilizza diffusamente, nella formulazione delle domande e delle risposte possibili, riferimenti ad attività facilmente individuabili nell’esperienza quotidiana di un cittadino
americano.
Non bisogna farne, quindi, una semplice traduzione, bisogna, invece, interpretarne il
senso e renderlo in un linguaggio in grado di garantire il più possibile un’interpretazione.
Ancora, nel costruire il questionario unificato bisogna individuare una sequenza delle sezioni tematiche in grado di garantire un’attenzione e una partecipazione costante
dell’intervistato in intervista molto lunga. Bisogna anche eliminare e/o risistemare informazioni non applicabili alla situazione italiana e integrarle con ulteriori informazioni che, applicabili per l’Italia, non lo sono per gli Stati Uniti.
Infine, bisogna colmare il gap informativo relativo alla sezione tematica dei Tasks.
Nell’indagine statunitense questa è una delle sezioni che i quattro questionari hanno in
comune: essa riporta una definizione della professione oggetto di indagine su cui l’intervistato è chiamato a pronunciarsi con una scala di accordo e un elenco abbastanza
esteso (e aperto) di Tasks che si ritiene siano svolti con la professione, per ciascuno dei
quali viene richiesta la rilevanza per la professione e se rilevante quanto è importante e
quanto è frequente nello svolgimento della professione. Definizione ed elenco sono precostituiti sulla base di informazioni già disponibili.
In Italia non si dispone di queste informazioni e, se in qualche modo è possibile mettere a punto definizioni più o meno attendibili della professione, non altrettanto si può
fare per l’elenco dei Tasks.
Le informazioni rilevate su questi ultimi dalle indagini sui fabbisogni formativi sono troppo scarne e limitate ad un numero ridotto di figure professionali, risultano quindi utilizzabili solo per alcune professioni e per costruire un elenchi di Tasks estremamente ridotti e non rappresentativi.
La soluzione adottata dalle sperimentazioni prese a riferimento mostra che è possibile ricostruire un elenco rudimentale chiedendo in cosa consiste il lavoro svolto dagli intervistati, quali i loro compiti prevalenti, quali le attività che sono chiamati a svolgere. I
risultati ottenuti con questa domanda si sono rivelati molto interessanti e promettenti.
Quest’approccio, però, comporta necessariamente la conduzione di un’unica indagine trasversale che colga e, in fase di elaborazione del dato, standardizzi le informazioni necessarie a completare lo strumento di rilevazione che sarà poi utilizzato nelle suc-
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cessive indagini da condurre per cicli eventualmente secondo lo schema messo a punto
per l’Occupational Information Network.
Il volume, la complessità del questionario e la necessità di predisporre già in fase di
intervista il trattamento di questi ultimi dati consigliano di adottare tecniche di intervista basate su CAPI (Computer Aided Personal Interview) che garantiscono simultaneamente di controllare in tempo reale gli errori di compilazione e di trasmettere per
via telematica i risultati dell’intervista.
1.4. La nomenclatura
In Italia non è mai esistito un vero repertorio ufficiale delle professioni e, sebbene, agli
inizi degli anni Sessanta, una ricerca nata dalla collaborazione fra Istat e Ministero del
Lavoro abbia prodotto un Elenco delle Qualifiche Professionali, questo era stato pensato
come un semplice elenco da usare nelle procedure amministative formali degli Uffici di
Collocamento e come tale è stato usato, fino a diversi anni fa, senza mai esser stato aggiornato o rivisto.
Pure, fino a non molto tempo fa, riferimenti a professioni o a nomi di professioni si
ritrovavano ancora nei contratti di lavoro, dove potevano essere rilevate sia le definizioni che le mansioni e i compiti che erano chiamate a svolgere. Informazioni del genere,
poi, potevano essere colte dai vari mansionari utilizzati dalle grandi imprese private o
dagli Enti Pubblici.
L’evoluzione della logica dei contratti di lavoro e l’assenza di Enti o di strutture organizzate di Enti che si occupassero di monitorare sistematicamente il mercato del lavoro dal lato delle professioni, ha pressoché azzerato le già scarne e limitate informazioni
esistenti riducendole a semplici tracce.
Sicché l’unica fonte disponibile da cui attingere per ricostruire una nomenclatura ragionata per le professioni da indagare rimangono la Classificazione delle Professioni edita dall’Istituto Nazionale di Statistica e le ridotte informazioni che è possibile acquisire
dalle citate indagini sui fabbisogni 8.
Diversamente da quello dei ricercatori del Department of Labor che hanno ridefinito la nomenclatura oggetto di indagine avendo come obiettivo la coerenza con la Standard Occupational Classification e come fonte le dodicimila descrizioni di professioni
del Dictionary of Occupational Titles, il lavoro che dovrebbero svolgere i nostri esperti è
certamente più difficoltoso ma non per questo impossibile.
Come per la nomenclatura statunitense si dovrà provvedere ad aumentare il dettaglio
delle novantadue categorie incluse nel grande gruppo delle professioni tecniche, cercando di definire unità professionali omogenee a partire dall’elenco delle voci professionali
raccolte dalla classificazione e dalle figure ricostruite dalle indagini sui fabbisogni. La nomenclatura così ottenuta, che si stima potrebbe comprendere circa duecento unità pro8 Vi sono, ovviamente, anche le professioni riconosciute e repertoriate da Albi e Associazioni professionali
ma si tratta di segmenti molto particolari dell’universo.
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fessionali, andrebbe sottoposta ad un’ulteriore validazione delle parti sociali e delle organizzazioni di categoria e in quella sede rivista e rifinita nelle denominazioni.
Definiti questi aspetti cruciali per la realizzazione dell’indagine è possibile individuare le fasi in cui organizzarla, la tempistica e i relativi costi di realizzazione, avvertendo, in ogni caso, che questi ultimi sono stati calcolati con riferimento ai parametri
utilizzati dall’Istituto Nazionale di Statistica.
Va anche detto che realizzare un dizionario delle sole Professioni Tecniche comporta costi solo di poco inferiori alla costruzione di un dizionario omnicomprensivo delle
professioni, va dunque valutata adeguatamente l’opportunità di coinvolgere altri ministeri nella sua realizzazione.
Fasi, tempi e costi di realizzazione sono stati individuati dalle due tabelle seguenti.
■ Tabella A ■ Fasi e tempi di realizzazione del Dizionario delle Professioni Tecniche
Macro-FASI
A
A1
A2
A3
A4
A5
A6
B
ATTIVITÀ/TASKS
Progettazione dell’indagine
Legittimazione dell’indagine Acquisizione dell’accordo sulla rilevazione delle
parti sociali, delle associazioni di categoria, delle
associazioni e degli albi professionali.
Definizione del protocollo da inviare alle imprese
nella fase di sensibilizzazione dei rispondenti
Progettazione e sviluppo
Progettazione del questionario
del questionario e dei
Definizione dei Metadati d’indagine
processi di manutenzione
Sviluppo del questionario elettronico
evolutiva, adattiva e
Test del questionario e indagine pilota da condurre
correttiva dello stesso
con tecnica CAPI (Computer Assisted Personal
Interview)
Versioning del questionario e gestione integrata
con i metadati d’indagine
Messa in esercizio del questionario elettronico
e gestione integrata con il sistema CAPI
Progettazione, sviluppo e
Progettazione architetturale e tecnologica per il
messa in esercizio del sistema sistema CAPI
informativo/informatico a
Progettazione architetturale e tecnologica per il
supporto del processo
sistema WP e CC
d’indagine e progettazione, Progettazione tecnologica ed implementazione:
sviluppo e gestione del
configurazione hardware, software di base,
sistema integrato di
apparati di rete e trasmissioni, dispositivi per la
monitoraggio dell’indagine sicurezza per la componente CAPI
Progettazione ed implementazione della
componente di sicurezza di reti e dei sistemi
Sviluppo software primario per il Data Collection
Sviluppo software e implementazione basi di dati a
Audit del sistema CAPI client e CAPI server
Audit del sistema WP in termini di prestazioni
Progettazione e selezione
Definizione del primo stadio del campione
del campione
(selezione delle professioni e dei luoghi dove trovarle)
Selezione e formazione dei Definizione del Fieldwork
Rilevatori
Analisi e definizione dei carichi di lavoro dei rilevatori
Formazione dei rilevatori
Geo-referenziazione delle
Definizione delle aree geografiche di rilevazione
aree di rilevazione
Normalizzazione e geo-referenziazione delle aree
Realizzazione dell’indagine
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Anni
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Sensibilizzazione dei soggetti Predisposizione delle lettere da inviare alle imprese
coinvolti nell’indagine
Selezione a firma del Presidente dell’ISTAT
Invio delle lettere tramite Postel
Attivazione e definizione dei compiti del Contact
Center (CC) e del Web Portal (WP)
Acquisizione della
Definizione del secondo stadio del campione
disponibilità delle imprese
(selezione degli individui da intervistare)
Analisi ed applicazione dei metodi e delle tecniche
per la riduzione delle mancate risposte
Schedulazione delle interviste Progettazione, sviluppo ed implementazione
dell’algoritmo di organizzazione temporale e
geografica delle interviste
Esecuzione delle interviste
Esecuzione delle interviste tramite il sistema CAPI e WP
Output finale del processo
Input per il Sistema Informativo delle Professioni
d’indagine
Dati Aggregati per professione
Totale anni
0,2
0,6
0,2
2
■ Tabella B ■ Costi di realizzazione del Dizionario delle Professioni Tecniche
Personale
Costo unitario
1 ricercatore livello II
4 ricercatori e 1
tecnologo informatico
livello III
2 esperti informatici
di livello IV
2 addetti alla gestione
di livello VI
Totale
Anni/uomo
TOTALE
50.173,00
2
100.346,00
39.325,00
10
393.250,00
40.506,00
4
162.024,00
33.339,00
4
20
133.356,00
788.976,00
Sistema Informativo ed Informatico a supporto dell’indagine
HW, Software di base e d’ambiente,
sicurezza telematica e Trasmissioni
SW applicativo (Basi Dati, Questionario
Elettronico, Sistema CAPI completo)
Costi di gestione e Sviluppo (Operatori
Contact Center, Manutenzione e Gestione)
Totale
Stima del costo totale di possesso
(Total Cost of Ownwrship, TCO)
Stima del costo totale di possesso
(Total Cost of Ownwrship, TCO)
15% dei costi sopraindicati
565.000,00
645.661,16
181.599,17
1.392.260,33
Rilevatori e realizzazione dell’indagine
Selezione per i 100 rilevatori necessari alla conduzione
dell’indagine
Formazione per 100 rilevatori
Numero interviste
Test del questionario ed Indagine Pilota
250
Realizzazione delle interviste
4000
Totale
stima
stima
Costo unitario
50,00
50,00
35.000,00
40.000,00
12.500,00
200.000,00
287.500,00
Spese generali
Spese postali
Missioni Nazionali ed Internazionali
stima
stima
Totale
1.400,00
60.000,00
61.400,00
Totale nel complesso 2.530.136,33
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Le pagine seguenti discutono gli aspetti statistici del disegno campionario di un’indagine siffatta.
■
2. Considerazioni metodologiche relative
alla fattibilità dell’indagine campionaria 9
Si analizzano qui alcuni aspetti relativi alla fattibilità di un’indagine
campionaria sulle professioni tecniche svolte in Italia. Tale indagine ha come oggetto
la popolazione dei lavoratori nelle professioni tecniche, nell’accezione data dalla nuova classificazione Istat delle professioni (Istat, 2001). In questa sede si è assunta come
esperienza di riferimento quella statunitense riguardante il sistema O’Net (U.S. Department of Labor, 2002). Questo righe concentrano l’attenzione sugli aspetti di progettazione teorica riguardanti l’identificazione delle unità statistiche e la strategia di
campionamento. Per raggiungere questo obiettivo, si è adottato un approccio semplificato in grado di ridurre la complessità del problema e supplire alla carenza di informazioni preliminari. L’indagine infatti riguarda un gran numero di professioni, studiate con riferimento a numerosi descrittori, e, d’altra parte, non è supportata da sufficienti informazioni quantitative riguardanti le dimensioni e la variabilità dei fenomeni di interesse. Secondo questo approccio le considerazioni sono state riferite alla
misurazione di un solo descrittore riferito a una generico contenuto lavorativo per una
singola professione tecnica.
Senza per questo mancare di generalità, questo criterio ha permesso di ridurre al minimo le ipotesi necessarie a delineare uno scenario di situazioni plausibili e di stabilire
almeno alcuni punti fermi a partire dai quali procedere a successive rilevazioni sperimentali ed alla progettazione dell’indagine vera e propria.
Il problema di stima viene formalizzato nel paragrafo 2, nel quale vengono definiti
la popolazione di interesse dell’indagine e il parametro di interesse riferito all’intera popolazione.
Si passa quindi a considerare (paragrafo 3) il problema di fare inferenza sul parametro di interesse ricorrendo alla misurazione della caratteristica su un campione della popolazione. Si introducono in questa sede due stimatori alternativi e due possibili disegni di campionamento.
Successivamente il paragrafo 4 affrontata il problema dell’individuazione delle liste
di base mediante le quali si potrà procedere alla selezione e al contatto delle unità di rilevazione e delle unità statistiche.
Nel paragrafo 5 viene illustrata una valutazione quantitativa delle alternative individuate relativamente al disegno campionario, allo stimatore del parametro e alla dimensione del campione. Tale valutazione è stata ottenuta mediante dati simulati al
computer, dal momento che non era possibile condurre analisi su dati reali. In questo
9 Marco Fortini, Primo Ricercatore, e Claudia De Vitiis, Ricercatrice, Istat.
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contesto, comunque, la sperimentazione è stata basata su due insiemi differenziati di
ipotesi iniziali, in modo che fosse il più possibile garantita la riproduzione di situazioni verosimili.
Infine, il paragrafo 6 contiene alcune considerazioni conclusive con particolare riguardo agli aspetti più importanti di cui tenere conto nel seguito della progettazione
dell’indagine.
2.1. Definizione del parametro d’interesse
Ognuna delle professioni considerate definisce una popolazione di individui, costituita da tutti i lavoratori classificati nella professione in oggetto. Su ognuna di queste popolazioni l’indagine rileverà informazioni relativamente ad H variabili, i descrittori, utilizzate per descrivere i contenuti lavorativi della professione.
La quantità che si intende stimare, denominata parametro d’interesse, relativamente all’h-mo descrittore sarà la media della variabile definita secondo la seguente
espressione:
(1)
dove hkCj rappresenta il valore assunto dall’h-mo descrittore per il j-mo individuo appartenente alla popolazione di coloro che svolgono la k-ma professione e Nk indica la
dimensione della popolazione (ossia il numero di individui) che svolge la k-ma professione.
Poiché, in realtà, gli individui sono raggiungibili solamente contattando le imprese
in cui lavorano (e, quindi, rappresentano dei grappoli di unità elementari), supponendo di poter disporre della lista delle imprese che occupano almeno un individuo nella
–
professione k, si può riscrivere il parametro di interesse hkC come:
in cui kM è il numero di imprese che occupano almeno un individuo nella professione
k e kNi è il numero di individui che svolgono la professione k nell’impresa i.
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2.2. Indagine campionaria e stima del parametro
Per ragioni di costo e di tempo la misurazione non potrà essere effettuata su tutta la popolazione di individui che svolgono la k-ma professione di interesse. Pertanto, si renderà necessario ricorrere ad un’indagine campionaria che consisterà nella rilevazione di
un sottoinsieme degli individui della popolazione. Per semplicità di esposizione e di analisi, le considerazioni che seguono sono riferite al problema di raccogliere informazioni
riguardanti una sola professione, anche tenendo conto che le K indagini sulle K professioni si possono considerare come indagini indipendenti. Si rimanda, pertanto, la trattazione della rilevazione di informazioni su più professioni ad un momento successivo.
Disegno campionario
La scelta del tipo di disegno di campionamento è condizionata da vincoli di tipo pratico dovuti alle liste disponibili e alle informazioni in esse contenute. Infatti, nella situazione italiana non sarebbe possibile ricorrere ad un campione casuale semplice di lavoratori della data professione dal momento che non esiste alcuna lista che elenchi tali unità statistiche. Sarà necessario, pertanto, come nel caso del sistema O*NET, passare attraverso una lista di imprese per acquisire informazioni sui lavoratori.
Per tali ragioni, si profila l’esigenza di definire un disegno campionario a due stadi,
in cui le unità di primo stadio sono le imprese e le unità di secondo stadio sono i lavoratori.
Una scelta da compiere, a questo punto, è se procedere o meno a una stratificazione
delle imprese sulla base di una o più variabili presenti nell’archivio di selezione. In altri
termini, si deve stabilire se utilizzare un disegno in cui le imprese vengono selezionate
mediante campionamento casuale semplice o un disegno in cui le imprese vengono selezionate all’interno di strati.
La stratificazione più ragionevole sarebbe senz’altro quella sulla base della dimensione delle imprese in termini del numero di lavoratori impiegati nella professione d’interesse (oltre eventualmente a un qualche livello territoriale). Purtroppo però, come sarà
meglio evidenziato nel seguito, non si disporrà dell’informazione su tale numero e sarà
pertanto possibile utilizzare solamente la dimensione delle imprese in termini di addetti complessivi. Sarà cioè possibile definire una stratificazione per classe di addetti e un’allocazione del campione tra gli strati basata sulle proporzioni di addetti complessivi nelle classi.
Lo stimatore del parametro
Per definire l’espressione dello stimatore del parametro d’interesse, è necessario ipotizzare un disegno campionario per la selezione delle imprese e, all’interno di queste, dei
lavoratori nella professione d’interesse. A prescindere dalla stratificazione, il disegno più
ragionevole, tenendo conto delle informazioni che si avranno a disposizione, prevede la
selezione delle unità, sia di primo stadio sia di secondo stadio, con probabilità uguali.
Nel caso del disegno casuale semplice di imprese (ossia senza stratificazione) è pos–
sibile quindi stimare il parametro obiettivo hkC mediante lo stimatore:
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(2)
dove km indica il numero di imprese campione selezionate per la professione k e kni indica il numero di addetti campionati nell’impresa i per la professione k.
Lo stimatore (2) può essere visto come un riporto all’universo in due passi: dapprima il totale del descrittore misurato sull’insieme degli addetti campione dell’i-ma impresa viene riportato al complesso degli addetti di quella impresa attraverso il peso di
secondo stadio dato dal rapporto (kNi/kni); poi, il totale stimato dell’impresa i viene riportato alla popolazione delle imprese attraverso il peso di primo stadio definito dall’inverso della probabilità di inclusione dell’impresa (kM/km).
È facile osservare che lo stimatore (2) è lo stimatore di un rapporto; infatti a denominatore compare la stima di un totale, ossia il numero totale di lavoratori della professione k, ottenuto sulla base delle imprese campione. In tal modo, lo stimatore non è
una funzione lineare dei dati campionari e ciò fa sì che lo stimatore (2) sia in generale
uno stimatore distorto, ossia uno stimatore il cui valore atteso sull’insieme di tutti i possibili campioni non coincide con il valore ‘vero’ del parametro che si intende stimare. È
bene sottolineare, tuttavia, che tale distorsione diviene trascurabile se la numerosità campionaria è sufficientemente elevata (Cochran, 1977).
Nel caso in cui invece fosse noto il numero di addetti occupati nella professione k
per tutte le imprese universo, si potrebbe considerare la possibilità di utilizzare uno stimatore lineare (e quindi non distorto) in quanto il denominatore sarebbe una quantità
nota; ma tale stimatore risulterebbe meno efficiente (ossia produrrebbe stime meno precise) dello stimatore rapporto (2).
Per poter utilizzare lo stimatore (2) occorre che le imprese campione siano in grado
di stabilire qual è il numero kNi di addetti occupati nella professione k. Questa ipotesi
può verosimilimente non verificarsi ed è quindi possibile che lo stimatore (2) non sia
nella realtà applicabile.
Potrebbe essere quindi necessario ricorrere al seguente stimatore:
(3)
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nel quale le medie campionarie delle imprese campione non vengono pesate sulla base
del numero di addetti che occupano la professione k nell’impresa, ma solamente con il
peso di primo stadio che non tiene conto, se non in modo indiretto e approssimato, del
numero di addetti della professione k. Per tale ragione, nel seguito indicheremo lo stimatore (3) con il termine stimatore non pesato e lo stimatore (2) con il termine stimatore pesato.
Lo stimatore (3) conduce in generale ad una stima diversa da quella ottenibile con
lo stimatore pesato a meno che non valga l’ipotesi che tutte le imprese impiegano un
ugual numero di lavoratori che svolgono la professione k, ossia si abbia che:
(3)
Infatti solamente sotto tale ipotesi, la (2) verrebbe semplificata nella (3):
Infine, è importante osservare che anche lo stimatore non pesato è affetto in generale da distorsione, dal momento che non utilizza le effettive probabilità di inclusione delle unità nel campione 10. Infatti, nell’espressione (3) viene implicitamente effettuata una
ponderazione dei dati campionari che assegna lo stesso peso a tutte le unità, mentre il
meccanismo di selezione adottato induce una minore probabilità di selezione per gli individui appartenenti alle imprese più grandi rispetto a quelli appartenenti alle imprese
piccole. Per questo effetto, nello stimatore (3), i lavoratori campione appartenenti alle
imprese maggiori si trovano a rappresentare meno unità della popolazione di quelle che
effettivamente dovrebbero e, viceversa, i lavoratori delle imprese piccole ne rappresentano troppi.
La distorsione di tale stimatore non pesato, inoltre, sarà tanto più elevata quanto più
alta sarà la correlazione tra le probabilità di inclusione (che dipendono dalla dimensione delle imprese) e la variabile di interesse C.
Si osserva, per inciso, che volendo limitare la rilevazione ad un solo addetto per impresa, i due stimatori introdotti sopra diventerebbero rispettivamente:
10 Solamente gli stimatori basati su pesi ottenuti come reciproco delle probabilità di inclusione hanno la
proprietà di essere corretti.
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(4)
(5)
Tale caso, che probabilmente si realizzerà in pratica, è motivato da ragioni sia gestionali sia di tipo metodologico. Tra le prime rientra la necessità di limitare il carico della rilevazione su ciascuna impresa. Le seconde riguardano invece l’opportunità di ridurre
l’effetto cluster indotto dal disegno a due stadi, limitando il più possibile il numero di
lavoratori intervistati in ogni impresa.
Ritornando al problema della distorsione degli stimatori, questo potrebbe essere attenuato, se non risolto, ricorrendo a un disegno in cui le imprese vengono stratificate in
base alla dimensione in termini di addetti, supponendo che in tal modo si ottenga indirettamente una stratificazione anche in base alla dimensione in termini di lavoratori
della professione k.
Gli stimatori introdotti sono facilmente modificabili per un disegno stratificato. Se
si optasse, infatti, per un disegno campionario con stratificazione delle imprese in G
strati 11, gli stimatori (2) e (3) diventerebbero rispettivamente:
(6)
(7)
dove si è indicato rispettivamente con
e
gli stimatori (2) e (3) relativi al generico strato g (g = 1, …, G) e con kmg la numerosità campionaria dello strato g.
11 Della scelta delle variabili di stratificazione si tratterà nel seguito del documento.
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2.3. Procedura di selezione e contatto delle unità statistiche
Come si è accennato nel paragrafo precedente, non è possibile pensare, data la natura
delle liste a nostra disposizione, ad un’indagine che procede direttamente ad una selezione dei lavoratori occupati nelle professioni tecniche. Piuttosto occorrerà raggiungere i lavoratori attraverso le imprese dove sono occupati, per le quali si dispone di un archivio esaustivo.
Per questo motivo, la definizione dello schema di selezione delle imprese campione
è una delle fasi più delicate della progettazione dell’indagine, dalla quale, oltre che dalla scelta dello stimatore, dipende la possibilità di ottenere stime il più possibile accurate del parametro di interesse.
La lista di base utilizzata per la selezione delle imprese potrebbe essere costituita dall’Archivio Statistico delle Imprese Attive (ASIA) (Garofano, 1998) il quale però, per essere utilizzato, necessita dell’acquisizione di informazioni ausiliarie e dell’esecuzione di
elaborazioni accessorie.
Infatti, una prima caratteristica peculiare della situazione in esame è che in effetti occorre procedere all’estrazione di più campioni, uno per ciascuna delle professioni studiate. Ogni campione deve contenere imprese estratte dall’universo di quelle che impiegano almeno un lavoratore nella professione di interesse. Da questo si deduce che le
liste da cui selezionare le imprese non possono essere perfettamente coincidenti per le
diverse professioni, in quanto non tutte le imprese impiegano lavoratori di tutte le categorie professionali. Questa particolarità impone di creare un numero di liste di imprese pari alle professioni da studiare, liste che saranno presumibilmente in parziale sovrapposizione fra loro, dal momento che una stessa impresa può impiegare lavoratori in
più di una delle professioni tecniche oggetto d’analisi.
Il processo di selezione delle liste di imprese relative alle professioni tecniche dovrà
utilizzare tutte le informazioni disponibili in ASIA o presenti su fonti ausiliarie, in modo che le liste selezionate minimizzino i problemi di copertura e segnatamente:
– imprese contenute nella lista di una data professione che però non impiegano lavoratori nella professione in esame;
– imprese non contenute nella lista di una data professione che invece impiegano lavoratori in quella professione.
Tali errori prendono rispettivamente i nomi di sovra e sottocopertura delle liste e la
loro presenza implica problematiche di natura differente. Gli errori di sovracopertura
possono essere individuati nel momento del contatto delle imprese, ma costituiscono
comunque un costo per l’indagine (determinato dal fatto che l’impresa dopo essere stata contattata, viene esclusa e successivamente sostituita) e devono quindi essere per quanto possibile limitati. Gli errori di sottocopertura sono più gravi dal punto di vista della
qualità in quanto selezionano l’universo impedendo il contatto e la misurazione di alcune unità e rendendo pertanto possibili delle distorsioni nel fenomeno qualora gli errori di sottocopertura siano associati all’intensità delle variabili in esame.
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Non sembra pertanto proponibile la soluzione di estrarre un unico campione di imprese dall’intero archivio ASIA, sul quale poi effettuare la misurazione sulle imprese che
risultano eleggibili. Infatti, se questo virtualmente eliminerebbe i problemi di sottocopertura, provocherebbe però un forte tasso di esclusione delle imprese per via della loro non eleggibilità (con conseguente incremento dei costi) e una grande instabilità della dimensione campionaria in termini di lavoratori di ogni professione.
Queste considerazioni impongono che la predisposizione delle liste sia condotta in
modo tale da massimizzare la probabilità che queste comprendano tutte e sole le imprese eleggibili. Per fare questo dovrebbero però essere disponibili in ASIA informazioni sulla presenza nelle imprese di lavoratori impiegati nelle diverse professioni oggetto
di studio. Dal momento però che in ASIA è disponibile soltanto il numero degli addetti
e la classe di attività economica (ATECO) (Istat, 2002 a) di appartenenza dell’impresa,
sarà necessario esaminare preliminarmente altre fonti di informazione per rendere utilizzabili ai nostri scopi i dati contenuti in ASIA.
Una possibilità, in analogia a quanto viene fatto per O*NET, è quella di legare la
professione svolta dai lavoratori con la classe ATECO dell’impresa che li occupa, attraverso la tabella di contingenza doppia che rappresenta la distribuzione dei lavoratori secondo la professione svolta e la classe ATECO dell’impresa per la quale lavorano.
Una fonte informativa nella quale è possibile trovare tale raccordo tra professioni e
ATECO delle imprese è l’indagine campionaria sulle Forze di Lavoro (Istat, 2002b). Infatti, nel questionario di tale indagine sono presenti per ogni individuo due quesiti chiave: la professione svolta e il codice ATECO dell’impresa in cui è occupato. In tal modo
è possibile individuare i codici ATECO per i quali la data professione risulta più presente e produrre di conseguenza una stima della matrice di raccordo tra professioni e
ATECO. Fatto questo, sarà possibile selezionare dall’archivio ASIA le imprese che presentano i codici ATECO dove è più probabile la presenza di lavoratori impiegati nella
professione di interesse e formare così le liste di imprese relative a ciascuna professione.
Sempre dall’indagine sulle Forze di Lavoro è possibile conoscere a quale classe di addetti
appartiene l’impresa che impiega i lavoratori intervistati. Per questa via è quindi possibile stimare anche se i lavoratori si concentrano nelle grandi imprese o sono invece diffusi nelle piccole. In questo modo si potrà quindi valutare se le liste di imprese da utilizzare debbano essere vincolate alle sole classi ATECO o si debbano usare regole di inclusione basate anche sui livelli di soglia dimensionale delle imprese.
Una volta che sarà stato definito con precisione l’insieme delle professioni tecniche
da indagare, la procedura per la costituzione delle liste di campionamento delle imprese per ogni professione potrà essere condotta come segue:
– analisi dei dati dell’indagine Forze di Lavoro per costruire una matrice di raccordo
professioni – ATECO;
– individuazione delle classi ATECO in cui la professione in esame è maggiormente
presente (per esempio si può stabilire di prendere in considerazione le prime p o tutte quelle la cui frequenza relativa cumulata superi una certa soglia);
– individuazione, nell’archivio ASIA, delle imprese che presentano le ATECO scelte;
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– eventuale stratificazioni di tali imprese in base a variabili territoriali e/o dimensionali.
In seguito alla prima fase di individuazione e selezione delle imprese dovrà seguire
il loro contatto. Dal momento che non è disponibile a priori alcuna informazione sull’effettiva presenza nelle imprese dei lavoratori impiegati nella professione di interesse, è da prevedersi una fase preliminare in cui reperire le informazioni necessarie alla
successiva selezione degli individui da intervistare. Senza poter entrare in dettagli, al
momento non ancora prevedibili, si può comunque accennare al fatto che le informazioni da reperire presso ogni impresa campione si riferiscono essenzialmente alla lista
dei lavoratori in esse impiegati nella professione di interesse. Tale lista potrà quindi essere usata per compiere una selezione casuale dei lavoratori da campionare all’interno
di ogni impresa. È quasi superfluo precisare che ogni deroga alla procedura di selezione casuale dei lavoratori nelle imprese campione può condizionare la stima dei livelli
dei descrittori, diminuendo in modo non valutabile l’accuratezza dei risultati dell’indagine.
2.4. Valutazione della strategia campionaria basata su simulazione
Nei precedenti paragrafi sono stati presi in considerazione due possibili disegni campionari (stratificato e non stratificato) e due stimatori (pesato e non pesato). La scelta di
quale stimatore e di quale disegno adottare nella pratica dipende, oltre che dalla possibilità di disporre di tutte le informazioni necessarie per la loro applicazione, anche dall’entità assunta nei casi reali dalla distorsione e dalla variabilità campionaria degli stimatori, nelle loro versioni semplice e stratificata.
Dal momento che non sono disponibili dati da rilevazioni reali e non è quindi possibile far riferimento a casi concreti per una valutazione, ricorreremo a un esercizio di
simulazione per analizzare il comportamento degli stimatori in situazioni realistiche.
Il problema considerato nella simulazione è stato quello di stimare l’intensità media di
un dato descrittore, riferito ad una generica professione, per una popolazione di lavoratori addetti a tale professione (definiti soltanto lavoratori nel seguito) e impiegati in
imprese.
L’approccio di simulazione è consistito nella preliminare creazione di un insieme
fittizio di 10.000 imprese e nella seguente distribuzione fra queste della popolazione
dei lavoratori addetti alla professione di interesse (anch’essi fittizi, creati secondo la metodologia illustrata nel seguito). Successivamente si è proceduto ad estrarre ripetutamente campioni da tale popolazione fittizia, per entrambi i disegni di campionamento da testare, in modo da riprodurre la variabilità dello spazio campionario. Per ogni
campione estratto sono state calcolate le stime utilizzando gli stimatori (2) e (3) per il
campionamento non stratificato e gli stimatori (6) e (7) per il campionamento stratificato, in modo da valutare la distorsione e la variabilità degli stimatori e dei disegni
campionari.
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La popolazione
L’algoritmo per generare il complesso delle informazioni riguardanti la popolazione fittizia utilizzata nelle simulazioni è stato il seguente:
– si è generato un codice progressivo i = 1, …, 1000 per ciascuna impresa;
– per ogni impresa si è quindi generato il numero dei propri addetti;
– sulla base del numero di addetti di ogni impresa si è generato il numero di lavoratori (compreso fra zero e il numero degli addetti 12);
– si è quindi attribuito ad ogni impresa un livello medio e una variabilità del descrittore relativo all’insieme dei lavoratori in essa impiegati;
– si è infine attribuito a ciascun lavoratore di una stessa impresa il valore del descrittore (all’interno dell’insieme dei numeri naturali compresi tra 1 e 7) sulla base del valore medio e dalla variabilità attribuiti all’impresa al passo precedente;
In questa fase le imprese sono state classificate in cinque classi dimensionali definite
a partire del numero dei propri addetti. Le classi di addetti considerate sono state le seguenti: «1-9», «10-19», «20-49», «50-249», «250 e oltre».
Per tenere conto del fatto che, nella realtà, liste di imprese relative a professioni differenti potrebbero presentare diverse distribuzioni delle imprese secondo il numero degli addetti, il processo appena descritto è stato ripetuto in modo da creare due diverse
popolazioni fittizie di imprese. Affinché le distribuzioni delle imprese secondo il numero di addetti relative alle due popolazioni rimanessero comunque il più possibile realistiche, si è scelto di definirle in entrambi i casi fortemente concentrate nella classe di
addetti «1-9».
Nella prima popolazione si è ricreata una distribuzione simile a quella realmente esistente per il complesso delle imprese italiane operanti nei settori industria e servizi. In
questa popolazione, che definiremo in seguito «concentrata», il 97% delle imprese sono state inserite nella classe «1-9» addetti e solo lo 0,7 per mille nella classe «250 e oltre». Nella seconda popolazione, che nel seguito definiremo invece «diffusa», si è scelto
di rappresentare una distribuzione più favorevole alle grandi imprese. Per questo solo il
60% delle imprese è stato attribuito alla prima classe mentre il 5% è stato collocato nella quinta. Le due distribuzioni di frequenza risultanti da tali impostazioni sono illustrate
in Tabella 1 (colonne 4 e 7).
Per quanto riguarda descrittore oggetto d’esame, il suo valore medio per i lavoratori appartenenti ad una stessa impresa è stata assegnato in funzione della dimensione delle imprese. Questa scelta è stata adottata in quanto prove preliminari hanno mostrato
che in assenza di un’associazione tra il descrittore e la dimensione delle imprese lo stimatore non pesato risulta non distorto e più efficiente dello stimatore pesato. Tuttavia,
si può ritenere che tale condizione di indipendenza sia difficilmente realizzabile nella
12 In questo modo una singola impresa può anche essere esclusa dall’insieme delle unità di rilevazione oggetto di interesse in quanto possono risultare 0 lavoratori impiegati nella professione.
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pratica. È, cioè, ragionevole assumere che appartenere ad un’impresa piuttosto che ad
un’altra può giocare un ruolo determinante sulle performance richieste al lavoratore e
alla professione che svolge.
Per queste ragioni, al fine di verificare il comportamento degli stimatori in situazioni non favorevoli, la media del descrittore attribuito ai lavoratori di ciascuna impresa è
stato fatta variare tra un valore medio di due per le imprese nella classe «1-9» e un valore medio pari a quattro per le imprese nella classe «250 e oltre». Questa circostanza, illustrata in colonna 2 di Tabella 1, è stata mantenuta invariata sia per la popolazione diffusa sia per quella concentrata.
Un ulteriore elemento di variabilità nelle popolazioni è stato introdotto modificando, in funzione della classe dimensionale delle imprese, la percentuale di lavoratori sul
totale degli addetti delle imprese. Infatti questo aspetto, insieme al grado di associazione fra il descrittore e la classe dimensionale delle imprese, può influire sul comportamento di entrambi gli stimatori considerati. Nel caso in esame si è agito in modo che i
lavoratori fossero più concentrati nelle imprese più grandi. La percentuale di lavoratori sul totale degli addetti nelle imprese appartenenti alle cinque classi dimensionali è illustrata in colonna 3 di Tabella 1; il numero assoluto di lavoratori in imprese appartenenti a ciascuna classe è invece riportato nelle colonne 6 e 9. Si può osservare che, pur
avendo imposto a entrambe le popolazioni una stessa legge di assegnazione dei lavoratori in funzione del numero di addetti dell’impresa, la distribuzione assoluta dei lavoratori nelle classi dimensionali risulta notevolmente differente a causa della diversa distribuzione delle imprese secondo il numero degli addetti.
È opportuno notare che quest’ultima scelta ha prodotto una sensibile diminuzione
delle imprese eleggibili 13 rispetto alle 10.000 generate per mezzo della simulazione. Tale diminuzione risulta ovviamente tanto maggiore quanto più la distribuzione delle imprese secondo il numero di addetti è concentrata nella classe «1-9». Le imprese eleggibili sono infatti circa 2000 per la popolazione concentrata mentre si mantengono intorno alle 5000 nel caso della popolazione diffusa. Questa situazione evidenzia che sarà necessario ricorrere a liste aggiuntive di imprese per sopperire ai casi in cui nel campione di base vengono incluse imprese che, successivamente al primo contatto, si verificano sprovviste di lavoratori impiegati nella professione di interesse. Nel caso teorico
esaminato in questa sede, il ricorso alle liste aggiuntive dovrebbe essere concentrato quasi completamente nelle imprese incluse nella classe «1-9» addetti. È chiaro che per essere sufficientemente sicuri dell’aderenza dei risultati ottenuti alla realtà si dovrebbe disporre di dati reali.
Una descrizione dettagliata delle modalità tecniche di generazione delle due popolazioni considerate nella simulazione è fornita nell’appendice tecnica.
L’universo di campionamento
La simulazione è stata condotta estraendo dalle due popolazioni descritte un elevato numero di campioni (500) sufficiente ad approssimare l’universo campionario, ossia l’in13 Cioè di imprese che impiegano almeno un lavoratore nella professione esaminata.
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sieme di tutti i possibili campioni ottenibili, per ogni schema di campionamento considerato.
I due schemi di campionamento ricorrono entrambi a due stadi di selezione in cui
si considerano le imprese come unità di primo stadio e i lavoratori come unità di secondo stadio. I due schemi si differenziano invece per la stratificazione, alla quale si ricorre solo in uno dei due casi, effettuata sulla base della classe dimensionale delle imprese in termini di addetti complessivi.
Per quanto riguarda le numerosità campionarie, si è stabilito di estrarre un solo lavoratore da ogni impresa campione e di sottoporre a verifica due numerosità complessive pari rispettivamente a 20 e 30 lavoratori. È evidente, dal momento che si seleziona
un solo lavoratore per ogni impresa, le dimensioni campionarie in termini di imprese e
lavoratori coincidono.
Su ogni campione estratto sono quindi state calcolate le stime per gli stimatori pesato e non pesato introdotti nel paragrafo 3.
In totale sono state condotte 8 diverse simulazioni su altrettanti universi campionari in relazione a:
– due diverse distribuzioni delle imprese secondo gli addetti (più o meno concentrata
nelle piccole imprese);
– due diversi disegni di campionamento (casuale semplice e stratificato in base alla dimensione delle imprese);
– due diverse dimensioni campionarie (20 o 30 unità campionate).
Una volta ottenuti i dati dalle otto simulazioni, le distribuzioni delle stime riferite a
ciascuna di esse sono state analizzate per valutare le proprietà degli stimatori e dei disegni considerati. In Tabella 2 sono riportati gli indicatori calcolati per ognuna delle otto
simulazioni condotte. Gli indicatori illustrati in tabella sono i seguenti:
–
–
–
–
–
–
valore medio assunto dallo stimatore;
valore della distorsione relativa percentuale dello stimatore;
valore dell’errore standard dello stimatore;
valore della radice quadrata dell’errore quadratico medio (MSE) dello stimatore;
percentile 2,5 della distribuzione campionaria dello stimatore;
percentile 97,5 della distribuzione campionaria dello stimatore.
Le espressioni analitiche degli indicatori sono riportate in appendice.
Risultati della simulazione
In generale i risultati delle simulazioni confermano quanto detto nel paragrafo 3 riguardo alla distorsione dei due stimatori considerati.
In particolare, nel disegno non stratificato, sia lo stimatore pesato che quello non pesato sono affetti da distorsione in tutte le prove condotte che, per come sono state strutturate le popolazioni, risulta essere di segno negativo. Tuttavia, nella popolazione dif-
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fusa la distorsione è sempre minore rispetto alla popolazione concentrata. La differenza risulta essere molto più accentuata per lo stimatore pesato che passa da una distorsione di –15% nel caso della popolazione concentrata, a –1,3% nel caso della popolazione diffusa. L’entità della distorsione risulta invece sempre elevata per lo stimatore non
pesato, per il quale assume valori intorno al –25% nella popolazione diffusa per scendere di poco (–22%) nella popolazione concentrata.
Il diverso comportamento dei due stimatori risente delle loro proprietà teoriche. Infatti la distorsione dello stimatore pesato tende a diminuire al crescere del numero complessivo di lavoratori e, contemporaneamente, al diminuire della presenza dei lavoratori nelle imprese più piccole. Infatti la popolazione concentrata è costituita da un numero molto inferiore di lavoratori, per lo più collocati nelle imprese appartenenti alla
classe «1-9» addetti. Lo stimatore non pesato non beneficia invece delle proprietà teoriche di quello pesato e rimane distorto a causa della forte associazione esistente tra il
descrittore e la dimensione dell’impresa, dal momento che la sua espressione analitica
non tiene conto del numero di lavoratori nelle imprese campione.
Riguardo al segno della distorsione c’è da osservare che questo dipende dal tipo di
associazione che si stabilisce fra la dimensione delle imprese e il descrittore oggetto di
studio. Nei casi esaminati si è scelto infatti di aumentare progressivamente il valore assunto dal descrittore attribuito ai lavoratori al crescere della dimensione delle imprese. Se avessimo optato per la scelta contraria la distorsione avrebbe invece avuto segno
positivo.
Se consideriamo invece i disegni di campionamento stratificati, osserviamo che entrambi gli stimatori considerati presentano una distorsione molto più contenuta. In particolare, nel caso della popolazione concentrata, la distorsione è pari al –2,3% per lo stimatore pesato e al –6,7% per lo stimatore non pesato. Nel caso della popolazione diffusa la distorsione diventa praticamente trascurabile per lo stimatore pesato (–0,7%) e
scende sensibilmente anche per lo stimatore non pesato (–4,8%).
Si noti che la fonte della distorsione è in questo caso differente da quella che agiva
nel disegno non stratificato, dato che il ricorso alla stratificazione riesce almeno in parte a controllare l’associazione tra dimensione d’impresa e descrittore. Tuttavia il ricorso
ad un’allocazione del campione basata impropriamente sulla proporzione degli addetti
nelle classi dimensionali d’impresa piuttosto che, più correttamente, su quella dei lavoratori (che non è nota) è responsabile di una nuova fonte di distorsione. La sperimentazione mostra che, pur essendo affetti da tale problema, le versioni stratificate degli stimatori sono comunque da preferirsi a quelle non stratificate.
C’è inoltre da sottolineare che nella simulazione condotta l’effetto appena descritto
è stato accentuato dalla forte dissomiglianza introdotta, in entrambe le popolazioni, tra
la distribuzione dei lavoratori e la distribuzione degli addetti nelle cinque classi di imprese. In altri termini, mentre gli addetti risultano concentrati nelle imprese appartenenti alla classe «1-9», i lavoratori sono più distribuiti fra le imprese appartenenti alle
cinque classi. Dal momento che tale situazione dovrebbe risultare molto meno marcata nelle situazioni pratiche, ci si può attendere che, nei casi reali, la distorsione di entrambi gli stimatori potrà essere ancora più contenuta.
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In conclusione, per quanto riguarda la scelta del disegno campionario, le considerazioni fatte consigliano senza dubbio di optare per il disegno stratificato, anche se l’allocazione del campione fra gli strati non può essere effettuata nel modo più corretto.
Passando alla scelta dello stimatore, nell’ambito del disegno stratificato occorre tenere conto sia della variabilità campionaria sia della distorsione.
Mentre l’analisi della sola varianza dei due stimatori vede prevalere lo stimatore non
pesato rispetto a quello pesato, considerando il MSE, che tiene conto anche della distorsione, non è più possibile effettuare una scelta univoca. Bisogna inoltre osservare che
lo stimatore non pesato, pur comportandosi peggio in termini di distorsione, presenta
in tutte le situazioni un intervallo di confidenza al 95% che contiene il parametro di interesse e che sembra essere sempre di dimensioni accettabili ai fini pratici.
A nostro avviso quindi, per quanto lo stimatore pesato debba considerarsi preferibile, lo stimatore non pesato può comunque essere utilizzato qualora l’informazione necessaria a calcolare lo stimatore pesato non fosse disponibile e comunque nel caso in cui
non si riscontrassero le condizioni che provocano problemi di accuratezza.
Per quanto concerne infine la numerosità campionaria, dal confronto tra gli intervalli di confidenza degli stimatori in funzione della dimensione del campione, si osserva che, almeno nelle situazioni testate, il campione con sole 20 osservazioni non sembra essere molto meno efficiente di quello con 30 osservazioni. D’altra parte è bene sottolineare che lo stimatore pesato beneficia notevolmente di un aumento della numerosità campionaria in termini di una diminuzione della distorsione.
■ Tabella 1 ■ Caratteristiche delle popolazioni di imprese e lavoratori utilizzate nella simulazione
Caratteristiche comuni
Pop. concentrata
Pop. diffusa
Classe
impresa
Media
carattere
Lav. /
Imprese
(1)
((2)
(3)
(4)
1-9
2,0
0,1
9673
1731
1826
6000
999
1069
10-19
2,5
0,2
189
175
518
2000
1902
5498
20-49
3,0
0,3
91
90
797
800
752
6490
50-249
3,5
0,4
40
36
1339
700
699
27.237
250 e oltre
4,0
0,5
7
4
2146
500
493
259.184
10.000
2036
6721
10.000
4845
299.478
Totale
Imprese Lavoratori
con
lavoratori
(5)
(6)
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Imprese
(7)
Imprese Lavoratori
con
lavoratori
(8)
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2,81
2,82
3,26
3,18
3,38
3,35
30
30
20
4,25
20
Pesato
Non Pesato
4,23
Num. Camp.
Stimatore
30
20
30
20
Pesato
Non Pesato
Num. Camp.
Stimatore
0,21
0,26
0,62
0,60
0,99
0,99
0,81
0,84
2,40
2,30
2,44
2,32
P97,5
3,20
3,35
4,85
4,72
3,52
3,50
3,69
3,64
Media
Stime
Campione casuale semplice
Popolazione Diffusa (Media popolazione = 4,31)
–0,26
–0,25
–0,14
–0,16
P2,5
–0,22
–0,22
–0,02
–0,02
0,22
0,25
0,61
0,68
0,99
0,97
0,61
0,68
2,93
2,90
2,92
2,72
3,80
3,90
5,39
5,51
4,11
4,09
4,29
4,26
0,18
0,24
0,27
0,32
0,32
0,37
0,29
0,35
3,17
3,05
3,15
–0,05
–0,05
–0,01
–0,01
0,21
0,24
0,30
0,35
0,29
0,33
0,31
0,35
3,70
3,65
3,71
3,65
Campione stratificato
–0,07
–0,07
–0,02
–0,04
P2,5
3,08
Campione stratificato
Distorsione
Relativa (%)
Campione casuale semplice
Errore Standard
Popolazione Concentrata (Media popolazione = 3,78)
Distorsione
Relativa (%)
Distorsione
Relativa (%)
MSE
■ Tabella 2 ■ Risultati della simulazione
Errore Standard
Errore Standard
Media
Stime
Media
Stime
MSE
MSE
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P2,5
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P97,5
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Media
Stime
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Distorsione
Relativa (%)
A
Errore Standard
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P97,5
3,90
3,95
4,20
4,20
4,53
4,55
4,89
4,87
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2.5. Considerazioni conclusive
Nel presente documento sono stati discussi alcuni aspetti da considerare nella progettazione dell’indagine sulle professioni tecniche, riguardo alla selezione delle unità statistiche, al disegno di campionamento, allo stimatore e alla dimensione del campione.
Le considerazioni fatte si sono basate su quanto noto da precedenti esperienze internazionali, soprattutto quella statunitense riferita al sistema O*NET, sulla conoscenza delle fonti informative disponibili nel nostro paese e su alcune sperimentazioni basate su simulazioni al computer.
In questo paragrafo si riassumono i principali risultati del lavoro di analisi effettuato allo scopo di contribuire ad orientare i successivi approfondimenti necessari per una
futura progettazione di una indagine sulle professioni tecniche.
Le liste utilizzate per la selezione e il contatto delle unità statistiche
Per quanto riguarda la fase di selezione e contatto delle unità statistiche si è visto come,
per motivi pratici, il contatto dei lavoratori impiegati nelle professioni tecniche di interesse debba necessariamente essere condotto attraverso le imprese presso le quali essi sono impiegati.
Per questo motivo si dovrà ricorrere ad un campione a due stadi in cui le unità di primo stadio sono costituite dalle imprese mentre le unità di secondo stadio sono rappresentate dai lavoratori. In tal modo la selezione dei lavoratori da intervistare avverrà selezionando prima un certo numero di imprese campione e quindi alcuni lavoratori in
esse impiegati.
E utile osservare che, essendo stimate in circa duecento le professioni tecniche (meglio unità professionali) studiate dall’indagine, occorrerà procedere alla selezione di altrettanti campioni di lavoratori, ciascuno relativo ad una differente professione. Dal
punto di vista delle unità di primo stadio questo significa che sarà necessario costituire
tante liste di imprese quante sono le professioni indagate, in modo che, almeno in teoria, in ciascuna lista siano comprese tutte e sole le imprese che impiegano almeno un lavoratore nella specifica professione indagata. Liste di imprese riferite a professioni tecniche differenti potranno essere tra loro parzialmente sovrapposte.
L’archivio di base utilizzabile per la formazione delle liste di campionamento potrà
rappresentato dal registro ASIA nel quale, tuttavia, non sono contenute tutte le informazioni necessarie per selezionare le imprese in funzione della professione dei lavoratori in esse impiegati. A tale problema si potrà ovviare analizzando preliminarmente i
dati della nuova indagine sulle Forze di Lavoro, nella quale si rilevano notizie sia sulla
professione svolta dagli individui intervistati, sia sulla classe ATECO cui appartengono
le imprese che li impiegano. Attraverso l’analisi di tali dati si potranno identificare le
classi ATECO in sui sono maggiormente concentrati i lavoratori impiegati in una data
professione e selezionare quindi da ASIA la lista delle imprese che appartengono alle
classi ATECO identificate.
La procedura proposta, che si richiama alla strategia adottata per O*NET, sembra
essere l’unica capace di garantire in pratica la formazione di adeguate liste di campio-
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namento delle imprese. Tale procedimento ha infatti il vantaggio di limitare il costo dell’indagine dal momento che porta ad escludere buona parte delle imprese nelle quali
non sono impiegati lavoratori nella professione di interesse. Di contro però c’è da aspettarsi che verranno escluse da una data lista di campionamento tutte le imprese appartenenti alle classi di ATECO per cui la presenza di lavoratori addetti alla professione di
interesse è limitata. Questo provocherà inevitabilmente una limitazione nella capacità
di osservare l’intera popolazione dei lavoratori, limitazione che in fase di progettazione
andrà attentamente valutata caso per caso al fine di tenere sotto controllo i possibili problemi nella rappresentatività dei risultati conseguiti con l’indagine per qualcuna delle
professioni analizzate.
Il disegno di campionamento
Per quanto riguarda lo schema di campionamento proposto c’è da premettere che in
parte questo è obbligato dalle caratteristiche delle basi dati disponibili per selezionare e
contattare le unità statistiche. In questo senso quindi il ricorso ad un disegno a due stadi, dove le imprese e gli individui rappresentano rispettivamente le unità di primo e di
secondo stadio, è vincolato da considerazioni di carattere pratico.
Meno scontata risulta invece la scelta del numero di lavoratori da selezionare da ogni
impresa campione. Nel caso del Data Collection Program di O*NET (U.S. Department
of Labor, 2002) si utilizza un complesso meccanismo di estrazione di più lavoratori per
ogni impresa, non necessariamente appartenenti ad una sola professione. Questa costruzione se da un lato ha l’obiettivo di ottimizzare la procedura di istruttoria preliminare con le imprese contattate, dall’altro complica molto il disegno campionario e lo
vincola ad una serie di ipotesi, a priori non verificabili, sul numero atteso di lavoratori
presenti in ogni impresa per le diverse professioni. Questa strategia risulta difficilmente applicabile al caso italiano in quanto, diversamente dal caso di O*NET, l’intervista
potrebbe essere svolta durante l’orario di lavoro e quindi potrebbe rappresentare un costo anche per l’impresa. In questa fase di studio di fattibilità si è preferito far prevalere
questo elemento sulla flessibilità della rilevazione e si è scelto quindi di selezionare un
solo lavoratore per impresa al fine di contenere al massimo il carico per l’impresa stessa. Resta inteso che, dopo una fase di sperimentazione, sarà opportuno valutare l’opportunità di introdurre elementi di complessità nel disegno di indagine, finalizzati ad
aumentare l’efficienza del contatto con le imprese.
Un ulteriore aspetto del disegno campionario da considerare riguarda l’eventuale
stratificazione delle imprese. La variabile più importante identificata per una possibile
stratificazione è costituita dalla classe dimensionale delle imprese in termini di addetti.
Il primo problema nella scelta di tale variabile come fattore di stratificazione, è però costituito dalla sua capacità di conseguire un effettivo miglioramento nell’accuratezza delle stime. Infatti in teoria sarebbe più corretto stratificare rispetto al numero di lavoratori impiegati in ciascuna impresa nella specifica professione, cosa che però nella pratica sarebbe comunque impossibile dato che tale informazione non è disponibile negli archivi. Una seconda questione riguarda lo scarso numero di unità da campionare (20 o
30 imprese nei casi da noi esaminati) tale da impedire di fatto la creazione di più di 10
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o 15 strati rispettivamente, dal momento che è necessario garantire la presenza di almeno due unità per ogni strato al fine di poter produrre nel modo più opportuno una
stima della variabilità campionaria.
L’analisi di questi aspetti basata sulla simulazione al computer, descritta in dettaglio
nel paragrafo 5, ha dimostrato che una stratificazione delle liste basata su cinque classi
di addetti è in grado di migliorare sensibilmente l’accuratezza delle stime, soprattutto
in termini di distorsione attesa degli stimatori. Sulla base di tale risultato si raccomanda pertanto il ricorso ad un disegno a due stadi con stratificazione delle unità di primo
stadio basata sulle classi dimensionali delle imprese in termini di addetti.
È utile precisare che anche altre variabili di stratificazione, come per esempio la localizzazione territoriale della sede d’impresa o la classe ATECO dell’impresa, potrebbero avere un effetto migliorativo sull’accuratezza delle stime. Tuttavia la mancanza di informazioni preesistenti sulle caratteristiche delle professioni tecniche non ha permesso
in questa sede di effettuare una valutazione quantitativa di tali aspetti che deve essere rimandata all’analisi dei dati di una eventuale indagine pilota finalizzata a definire meglio
aspetti come questi. Si ribadisce comunque l’impossibilità strutturale di ricorrere ad una
stratificazione troppo fine a causa dell’esiguo numero di unità campione.
Un diverso aspetto, sempre concernente il disegno di campionamento, riguarda la necessità di selezionare campioni che si riferiscono a differenti popolazioni di lavoratori,
contattandoli tramite liste di imprese parzialmente coincidenti. In questa situazione infatti è desiderabile estrarre le imprese minimizzandone la probabilità di essere selezionate per il contatto di lavoratori afferenti a professioni diverse, senza per questo produrre
interferenze nella selezione casuale dei diversi campioni. Anche se questo aspetto non è
stato trattato esplicitamente in questo documento, si è comunque verificato che tale problematica può essere efficacemente affrontata, sia dal punto di vista operativo che da quello metodologico, tramite le tecniche di campionamento coordinato (Ohlsson, 1995).
La caratteristica particolare dell’indagine sulle professioni tecniche, che si può rappresentare nei fatti come un insieme di più indagini condotte con il medesimo procedimento su popolazioni differenti, permette di considerare anche la possibilità di adottare scelte leggermente differenti per qualche specifica professione, se le loro peculiarità dovessero consigliarlo. Si potrebbe, per fare un esempio, rinunciare al disegno stratificato qualora le imprese della lista per una particolare professione fossero per la maggior parte piccole o grandi. Il ricorso a tale forma di flessibilità progettuale a nostro avviso dovrebbe tuttavia essere praticato solo in casi eccezionali, in modo da non incorrere nel rischio di causare problemi di confrontabilità dei risultati per una insufficiente
omogeneità dei metodi e delle procedure utilizzati.
Lo stimatore e la dimensione campionaria
L’analisi basata su simulazione ha permesso anche di valutare il comportamento di due
stimatori alternativi, nonché di determinare l’ordine di grandezza della dimensione
campionaria.
Rispetto alla scelta dello stimatore, il primo dei due presi in considerazione, per stimare il descrittore riferito ad una singola competenza, ricorre alla media semplice del
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descrittore in questione misurato sui lavoratori inclusi nel campione. Tale stimatore è
stato indicato come non pesato per distinguerlo da quello pesato, con il quale è stato
confrontato. Nello stimatore pesato, invece, si somma, su tutti i lavoratori del campione, il prodotto del descrittore misurato su ciascun lavoratore, per il numero totale dei
lavoratori impiegati nella sua stessa impresa e si rapporta quindi tale quantità al totale
dei lavoratori occupati nelle imprese campione. Tale stimatore, diversamente da quello
non pesato, fa uso di maggiore informazione e permette meglio dell’altro di tenere conto di situazioni in cui molte imprese impiegano pochi lavoratori mentre poche altre ne
impiegano molti.
Il motivo per il quale si è deciso di confrontare il comportamento dei due stimatori
in situazioni realistiche è dato dal fatto che si teme che lo stimatore non pesato possa essere fortemente distorto, ossia possa fornire un risultato sistematicamente superiore o
inferiore al vero valore riscontrabile nella popolazione.
In effetti si è visto che tale problema può verificarsi per effetto di possibili differenze nei descrittori osservati sui lavoratori, indotte dalla diversa dimensione delle imprese di cui fanno parte. Tuttavia la sperimentazione effettuata evidenzia che questo problema dovrebbe risultare comunque attenuato dal ricorso al disegno di campionamento stratificato. In ogni caso, data l’impossibilità, in questo stadio della progettazione, di
valutare l’effettiva importanza delle eventuali relazioni tra i descrittori da misurare sui
lavoratori e la dimensione delle imprese che li occupano, si ritiene comunque opportuno consigliare l’uso dello stimatore pesato. Qualora però si rivelasse impossibile, per le
imprese campione, reperire l’informazione riguardante il numero dei lavoratori impiegati nella professione di interesse, la sperimentazione condotta sui dati fittizi sembra in
ogni caso suggerire che, sebbene affetto da una maggiore distorsione, anche lo stimatore non pesato possa comunque essere utilizzato.
Rispetto alla numerosità del campione, il test effettuato testimonia che una numerosità pari a 30 lavoratori garantisce, nel caso trattato, che la stima basata sullo stimatore pesato sia praticamente non distorta e che l’ampiezza del suo intervallo di confidenza sia tale da condurre confronti tra le situazioni verificabili nella pratica. Dalle analisi condotte sembra comunque di poter affermare che la perdita in termini di accuratezza per il campione di sole 20 unità sia tale da renderlo comunque utilizzabile qualora i vincoli di costo lo imponessero.
In connessione con le considerazioni riguardanti la dimensione del campione si
vuole richiamare l’attenzione su un aspetto che nella pratica esecuzione dell’indagine, più che nei suoi risvolti metodologici, può essere ad esse collegato. Si verifica infatti che la maggior parte delle imprese italiane sono caratterizzate da un esiguo numero di occupati, solo una parte dei quali svolge la professione tecnica di volta in volta oggetto di indagine. A causa di questo elemento c’è da aspettarsi, come verificato
anche nelle simulazioni condotte, che buona parte delle piccole imprese (sotto i 10
addetti) possano, una volta contattate, non impiegare alcun lavoratore nella professione di interesse pur mostrandosi disponibili a collaborare. Per ovviare a questo tipo
di inconveniente si raccomanda quindi di prevedere delle liste di riserva alle quali attingere per sostituire le imprese che dovessero trovarsi in tali condizioni. È ragione-
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vole attendersi che la dimensione di tali liste potrebbe essere, per la classe di imprese
più piccole, anche tre o quattro volte maggiore della dimensione attesa del campione
in tale classe.
Ulteriori sperimentazioni
In conclusione si ritiene comunque di consigliare la conduzione di una o più sperimentazioni tali da corroborare, con dati quanto più oggettivi possibile, le considerazioni condotte in questo documento. Utili informazioni fornite da tali sperimentazioni dovrebbero riguardare:
– la distribuzione attesa dei lavoratori tra le imprese in funzione della dimensione di
queste ultime;
– eventuali relazioni tra i descrittori da misurare sui lavoratori e le dimensioni delle imprese che li impiegano;
– dimensione delle liste di riserva per sostituire imprese campione nelle quali non si
identifica nessun lavoratore nella professione di interesse;
– reale capacità del ricorso alla stratificazione di migliorare l’accuratezza delle stime;
– efficacia dell’uso di tecniche di campionamento coordinato per minimizzare la probabilità di includere una stessa impresa nei campioni finalizzati all’analisi di più di
una professione.
Opere citate
Chiodi, M., Tecniche di simulazione in statistica, RCE, Napoli, 200.
Cochran, W.G., Sampling Techniques, Third Edition, John Wiley, 1977
Garofalo, G., L’archivio statistico delle imprese attive: il progetto ASIA, «L’impianto normativo,
metodologico e organizzativo del Censimento Intermedio dell’Industria e dei Servizi» – Istat,
1998.
Istat, Classificazione delle professioni, Istat, Collana Metodi e Norme, n. 12, 2001.
Istat, Classificazione delle attività economiche – Ateco 2002, Istat, www.istat.it, 2002a.
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