RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI
2004/3
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
LE PRASSI NELLE CAUSE
DI SEPARAZIONE E DI DIVORZIO
DAL PARLAMENTO
W W W. A I A F - A V V O C AT I . I T
Anno IX-n
no 3, settembre-d
dicembre 2004
Qadrimestrale; registr. Tribunale Roma n.496 del 9.10.95.
Stampa: Tip. Quatrini A. & figli snc, v. S.Lucia 43-47, 01100 Viterbo
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SOMMARIO
Editoriale_
2 Tutela dei diritti della persona, minore e adulta: esigenza di mantenere distinti i piani della
giurisdizione e dell'amministrazione
AVV. MILENA PINI
L'amministrazione di sostegno_
4 Finalità della legge 6/04 e valutazioni sulla sua applicazione a un anno dal varo
DOTT.
DOTT.
DOTT.
DOTT.
DOTT.
GIUSEPPE REALE
PIERCARLO PAZÈ
DANIELA GIANNONE
MARCO ROSSI
LAURA COSENTINI
58 Una riforma per migliorare la vita quotidiana
PROF. PAOLO CENDON
59 La difesa tecnica nel procedimento di nomina dell'amministratore di sostegno
INTERVISTA
AL
PROF. FERRUCCIO TOMMASEO
61 Amministrazione di sostegno. Pregi e difetti
DOTT. UBALDO NANNUCCI
66 La formazione dell'amministratore di sostegno: il progetto Cesvot - Comune e Provincia di Firenze AIAF Toscana
Le prassi nelle cause di separazione e di divorzio:_
primi risultati degli incontri di studio CSM - ANM - AIAF_
69 Profili organizzativi e ordinamentali connessi ai procedimenti di separazione e divorzio
AVV. ANTONINA SCOLARO
74 Questioni processuali nell'ambito dei giudizi di separazione e divorzio
AVV. ENRICO BET
88 Ascolto del minore, affidamento e diritto di vita, esecuzione dei provvedimenti di affidamento e
visita
AVV. MARINA MARINO
92 Assegnazione della casa coniugale e mantenimento del coniuge e dei figli
AVV. MANUELA CECCHI
101 Le prassi nei giudizi di separazione e divorzio avanti i Tribunali lombardi: le conclusioni dei gruppi
di lavoro dell'AIAF Lombardia
105 Documento approvato dall'AIAF Lombardia sulle prassi avanti il T.M.
106 Il Protocollo d'intesa siglato a Verona tra il Tribunale, il Comune, i servizi e gli avvocati: un
modello di supporto ai rapporti tra genitori e figli nelle separazioni difficili
AVV. ALESSANDRO SARTORI
E
AVV. GABRIELLA
DE
STROBEL
Dal Parlamento_
116 Il testo unificato che istituisce il Garante dei minori, approvato dalla Commissione infanzia del
Senato
124 Prime analisi. La rappresentanza dei minori
SEN. AVV. ETTORE BUCCIERO- PROF. MARCO SCARPATI
126 Il DDL 4294/A sulla difesa di ufficio nei giudizi civili e minorili e la modifica degli artt. 336 e 337
c.c., approvato dalla Camera
Formazione e iniziative_
ANNO IX - N° 3,
SETTEMBRE-DICEMBRE 2004,
NUOVA SERIE QUADRIMESTRALE
Redazione
GALLERIA BUENOS AIRES 1,
20124 MILANO
TEL. E FAX 02.29535945
EMAIL: [email protected]
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Direttore responsabile
MILENA PINI
Comitato di redazione
GIAN ETTORE GASSANI
NICOLETTA MORANDI
ANTONINA SCOLARO
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TIPOGRAFIA
QUATRINI A. & FIGLI SNC
V. S.LUCIA 43-47,
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EDITORIALE
L
a riforma del sistema di protezione delle persone prive di autonomia, attuata con la legge
n. 6 del 9 gennaio 2004, che in questi giorni
compie un anno di vita, e le proposte legislative in
materia di rappresentanza e tutela dei minori - vedi
il DDL 4294/A sulla difesa d’ufficio nei giudizi
civili e minorili e la modifica del 336 e 337 c.c.,
approvato in data 15 luglio 2004 dalla Commissione Giustizia della Camera, e il Testo unificato
che istituisce il Garante dei minori predisposto
recentemente dal Comitato ristretto della Commissione speciale in materia d'infanzia e di minori - inducono alcune riflessioni sulla commistione
tra giurisdizione e amministrazione, utili per riaffermare la netta distinzione tra le competenze e i
TUTELA DEI DIRITTI
DELLA PERSONA,
MINORE E ADULTA:
ESIGENZA DI
MANTENERE DISTINTI
I PIANI DELLA
GIURISDIZIONE E
DELL’AMMINISTRAZIONE
MILENA
PINI *
poteri attribuiti dalla Costituzione alla pubblica
amministrazione e alla magistratura.
Quanto alle riforme legislative in discussione in
materia di minori, come ricorda il Dott. Gustavo Sergio, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
per i minorenni di Venezia, nel suo intervento di
commento al DDL 4294/A, nella prefazione del Quaderno AIAF n. 2/2004 - pubblicato come supplemento al n° 2 della Rivista , che riporta gli Atti del Convegno di Cagliari “IL GIUDICE E LA PERSONA:
famiglia, individui, relazioni”- “la funzione tutelare
dell'autorità giudiziaria minorile nel sistema origi-
2
nario del codice civile comprendeva in modo indistinto profili amministrativi e giurisdizionali che l'evoluzione dell'ordinamento ha poi separato. Oggi,
dopo la modifica del titolo V della Costituzione (l.
cost. 18 ottobre 2001 n. 3), la competenza esclusiva
dello Stato in materia di giurisdizione e norme processuali, ordinamento civile e penale, giustizia
amministrativa, è distinta da quella altrettanto esclusiva delle Regioni in tema d'interventi e servizi sociali (art. 117 co. 2° lett. l) e co. 4° Cost.).”
Questa distinzione di piani è in armonia con il
modello processuale previsto dal testo novellato dell'art. 111 Cost., ed in particolare con la funzione di un
giudice “terzo”, che “deve applicare regole, non
gestire interessi pubblici”, come afferma il Prof.
Andrea Proto Pisani, Ordinario di Diritto Processuale Civile all'Università di Firenze, nel suo commento
al citato disegno di legge sulla difesa d'ufficio nei
giudizi minorili, pure pubblicato nella prefazione al
nostro Quaderno, ribadendo la “necessità del superamento della commistione tra giurisdizione e amministrazione”.
Ma, avverte Gustavo Sergio, “il progetto di riforma
del processo civile minorile in esame pare invece
avviato su binari diversi che, nonostante le novità
introdotte in tema di difesa tecnica, sembrano confermare i caratteri essenziali della volontaria giurisdizione, di per sé incompatibili con il giusto processo. Ci si riferisce al rapporto del tribunale per i minorenni con i servizi socio sanitari che il disegno di legge … ripropone nei termini tradizionali della volontaria giurisdizione. Perciò il tribunale autoattivandosi quale autorità tutelare su sollecitazione dei servizi
sociali (ed avvalendosi degli stessi) adotta misure
discrezionali di protezione nell'interesse del minore
in quanto incapace.”
L'AIAF ha espresso dure critiche al DDL 4294/A
approvato dalla Commissione Giustizia della Camera, laddove viola i principi costituzionali del giusto
processo, conferendo al giudice minorile il potere di
assumere provvedimenti temporanei immediatamente esecutivi, addirittura anteriormente alla proposizione del ricorso, di nominare un curatore speciale al
minore sempre, in ogni stato e grado del giudizio e in
ogni eventuale procedura comunque connessa; attribuendo la legittimazione attiva e passiva non solo al
P.M., e ai genitori, ma anche ai parenti entro il quarto grado e addirittura alle persone che hanno rapporti significativi con il minore, senza alcuna altra precisazione; consentendo che il ricorso possa essere
proposto anche verbalmente innanzi al presidente del
tribunale, il quale provvede a fare redigere processo
verbale, etc.
Altrettanto critica è la posizione dell'AIAF sul Testo
unificato che istituisce il Garante dei minori, approvato dalla Commissione infanzia del Senato, in quanto vengono attribuiti a questa nuova figura (che
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
“svolge la sua attività su tutto il territorio nazionale,
in piena autonomia di giudizio ed indipendenza funzionale ed amministrativa e non è soggetto ad alcuna forma di controllo gerarchico”) anche funzioni
processuali, potendo persino costituirsi parte civile in
procedimenti penali che abbiano, quale oggetto, reati compiuti contro uno o più minori; nominare tutori
e curatori di minori; conferire incarichi di difesa processuale dei minori (anche se non vi è stata limitazione della potestà genitoriale!); intervenire in procedimenti civili che abbiano ad oggetto i diritti, le
condizioni di vita, il benessere, lo stato e la tutela di
uno o più minori, qualora i genitori o gli aventi diritto non abbiano esercitato l'azione, ovvero qualora
l'interesse del minore sia in possibile contrasto con
quello dei genitori (ma chi lo stabilisce?); intervenire, nell'interesse ed in rappresentanza dei minori e su
segnalazione di chiunque vi abbia interesse, nei giudizi di separazione e divorzio giudiziali nei quali l'affidamento dei figli sia oggetto di contesa!!!
Una molteplicità di poteri e compiti, in diversi ambiti… o meglio in tutti gli ambiti possibili… un potere
decisamente eccessivo, palesemente oltre i limiti
costituzionali, che confonde e sovrappone la tutela
dei diritti del minore nel processo con l'aiuto al
minore sul piano del welfare, le competenze e i
poteri attribuiti alla pubblica amministrazione
con quelli attribuiti alla magistratura.
Analoghe riflessioni critiche investono la nuova legge sull'amministrazione di sostegno, che peraltro
costituisce un positivo strumento legislativo, flessibile e rispondente alle specifiche esigenze del singolo
caso. Una legge molto attesa, che supera il precedente rigido schema normativo che prevedeva solo gli
istituti dell'inabilitazione e dell'interdizione, e consente una graduazione di provvedimenti a favore della persona priva di autonomia, a seconda della sua
capacità di intendere e di volere. La legge però è
lacunosa nella determinazione dei criteri di applicazione dell'amministrazione di sostegno, piuttosto che
degli altri due istituti, che sono rimasti nel nostro
ordinamento, e lascia al giudice tutelare un potere
discrezionale molto ampio.
Ad un anno dal varo della legge 6/04 emergono due
preponderanti considerazioni: è una legge che sta trovando larga applicazione, stante il rilevante numero
di ricorsi per la nomina di amministratore di sostegno
che si registra nei tribunali; si sono affermati due
diversi orientamenti giurisprudenziali, in relazione
all'applicazione o meno dell'amministrazione di
sostegno alle persone totalmente incapaci di intendere e volere.
Per quanto si tratti di una legge a forte valenza assistenziale, non si può dimenticare che il concetto di
capacità non è un concetto clinico bensì giuridico,
che coincide con la consapevolezza dei propri
EDITORIALE
diritti e la piena facoltà di esercitarli.
Come rileva il Dott. Ubaldo Nannucci, Procuratore
della Repubblica di Firenze, nell'articolo pubblicato
su questo numero, “serie ragioni di perplessità suscita la scelta di affidare al giudice tutelare la decisione di individuare, tra gli atti affidati all'amministratore, quelli che costui ha il potere di compiere in
nome e per conto dell'amministrato… Agire in nome
e per conto di altri significa averne la rappresentanza: secondo i principi di diritto, la rappresentanza è
conferita dalla legge o dall'interessato. Qui invece è
conferita dal giudice tutelare, per negozi di volta in
volta individuati, anche assai gravi dal punto di vista
patrimoniale. Per di più nei confronti di persona che
non è totalmente incapace, e al di fuori di qualsiasi
controllo collegiale. Si aprono un ventaglio di questioni che è possibile solo accennare. Se si tratta di
persona non totalmente priva di capacità di giudizio,
perché escluderla del tutto dalla partecipazione a
decisioni che la riguardano? E con quale autorità un
soggetto - terzo, come va di moda dire, ma in realtà
primo, ossia gestore in prima persona degli interessi
del minorato - decide di questioni che attengono al
patrimonio di questa persona sostituendosi a lei,
facendola davvero diventare oggetto di diritto piuttosto che soggetto? E degli eventuali danni che una in ipotesi - improvvida gestione le abbia cagionato,
chi ne risponde, l'amministratore? O il giudice? Od
entrambi? O nessuno?”
Ed ancora, avvertono alcuni magistrati di Torino,
“non appare corretto applicare l'amministrazione di
sostegno ad una persona totalmente incapace, modificandone lo status, senza le garanzie di una procedura che preveda il pieno contraddittorio e il diritto
di difesa”; né attribuire all'amministratore di sostegno compiti e poteri che limitano i diritti costituzionali e le libertà della persona, limiti che sono consentiti solo nel caso dell'interdizione.
Il rischio di questo eccessivo potere discrezionale
attribuito al giudice tutelare è quello di violare i
principi del giusto processo, il diritto alla difesa e
il principio del contraddittorio, e di trasformare il
ruolo del giudice in quello di un operatore sociale.
Le illustrazioni che accompagnano questo numero della Rivista sono tratte
dal catalogo dell’ottava edizione della mostra di pittura “Abbasso il grigio!”, che raccoglie le opere degli artisti disabili della Comunità di Sant’Egidio.
Ringraziamo la comunità per la collaborazione.
Per ulteriori informazioni su Abbasso il grigio!:
www.santegidio.org/it/amici/mostra.htm
3
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
FINALITÀ DELLA LEGGE 6/04 E VALUTAZIONI SULLA SUA APPLICAZIONE A UN ANNO DAL VARO
GIUSEPPE REALE*
FINALITÀ DELLA LEGGE ALLA LUCE
DEI LAVORI PREPARATORI E CONSEGUENZE
ERMENEUTICHE DEL TESTO DI LEGGE
al marzo 2004 ad oggi si sono susseguiti
convegni, dibattiti, seminari, articoli,
commenti, decreti e reclami che hanno
tentato di dare una lettura alla tanto attesa legge istitutiva dell'amministrazione di sostegno.
Ritengo, però opportuno, proprio per le diverse
letture che si manifestano agli occhi degli opera-
D
FINALITÀ DELLA LEGGE
6/04 E VALUTAZIONI
SULLA SUA APPLICAZIONE
A UN ANNO DAL VARO
tori, dei settori interessati, tentare di offrire una
valutazione esegetica in chiave critica muovendo
i primi passi dal dibattito che si è animato dal settembre 2001 al dicembre 2003 in ambito legislativo, con l'obiettivo di tradurre una possibile
applicabilità della norma che non ne tradisca la
filosofia di fondo che ne ha ispirato il contenuto:
una diversa cultura e visione della persona
nella sua integralità.
Il rischio che ho visto correre in questi mesi è stato quello di assumere per totalizzanti alcune categorie di letture che potevano apparire innovative
in tema di applicazione degli istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione, ma che si manifestano
alla luce della nuova legge come vetuste e lontane dallo spirito che l'ha animata.
Sebbene vi sia stato il tentativo negli ultimi anni
di mitigare gli effetti dell'interdizione ponendo
l'accento sulla cura della persona e rendendo funzionale la gestione patrimoniale a quel primario
obiettivo, con probabilità non si è di fatto operato osservando con rigore la necessità di tutelare
bisogni, aspirazioni ed aspettative del soggetto,
4
destinatario del provvedimento, spesso valutato
lontano dalla sua storia, dal suo ambiente familiare e di vita.
Si pensi ai trascurati effetti dell'interdizione
rispetto agli istituti a protezione degli interessi
familiari e coniugali come voluti ed introdotti dal
legislatore del 1975 in tema di comunione legale.
Da una ricerca effettuata, pare non emergano
provvedimenti di Giudici Tutelari che abbiano
considerato l'esclusione dall'amministrazione,
dell'interdetto, rispetto al patrimonio in comunione legale ex art. 183 c.c., così trascurando gli
effetti che tale omissione possa generare concretamente nell'ambito della famiglia che vede il
proprio congiunto colpito dal provvedimento di
interdizione.
Si pensi al caso di due coniugi, in comunione
legale dei beni, che gestivano l'azienda familiare,
ed il marito titolare della stessa azienda, acquistata prima del matrimonio, viene interdetto a causa
della totale compromissione volitiva e cognitiva
generata da un grave incidente automobilistico.
Altro sintomo di una cultura giuridica ancora
chiusa rispetto alla persona è il non considerare
in modo adeguato che la normativa in tema di
tutela è stata dettata in considerazione dei soli
minori ed estesa agli infermi di mente con solo
richiamo.
Cosa diversa è la collocazione di un minore
rispetto alla collocazione di un anziano, il primo
si affaccia alla vita cercando di conoscerla ed
apprezzarla, dovendo apprendere criteri di valutazioni, nozioni, informazioni e dati, il secondo
ha già vissuto, ha già informazioni, ha già maturato e tradotto aspirazioni, ha doveri e diritti che
si connotano diversamente rispetto al minore.
Pertanto richiamare l'art. 371 c.c., quale norma
cardine, per fondare un'autorizzazione “quadro”
che ingabbi l'operato del tutore rispetto ai bisogni
e la realtà di un adulto, potrebbe essere limitante
e di poca attenzione rispetto alla persona ed al
contesto relazionale in cui è vissuta.
Vi sono esempi, come quello francese, che
potrebbero illuminare gli operatori, rispetto a ciò
che può voler significare l'espressione “centralità della persona”.
Senza trascurare che l'operatività, nell'ambito
degli atti di ordinaria amministrazione, non
necessita di autorizzazione giudiziale, pertanto
anche in tal senso una autorizzazione quadro che
trascuri tale aspetto non può che imporsi quale
totalizzante rispetto alla persona e sganciata da
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
tutta quella complessa elaborazione dottrinale,
frutto di grossi sforzi di cultura giuridica, che ha
creato la categoria degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.
La legge 9 gennaio 2004, n. 6 si affaccia, dunque,
al panorama della tutela dei soggetti fragili quale
forte provocazione a schemi culturali rigidi e
vetusti.
La norma, infatti, appare quale espressione del
valore della persona in una visione olistica della
stessa.
Cerchiamo però di fondare quanto sopra, sulla
base di un percorso dei lavori espressi dalla legislatura in corso, osservando come il legislatore
abbia introdotto il nuovo istituto e mantenuto
l'interdizione e l'inabilitazione in modo tale da
consentirne l'utilizzo nei rispettivi ambiti, così
offrendo più strumenti capaci di calzare, con
maggiori garanzie, la variegata e complessa
realtà dei casi, tensione limite di ogni previsione
legislativa.
Dai lavori preparatori emerge in modo chiaro che
l'intendimento è quello di individuare i settori di
operatività dei diversi istituti.
Nella 25a sessione, del 25 ottobre 2001, il senatore Gubetti si espresse osservando come indispensabile è “che siano definiti con chiarezza gli
ambiti di applicazione di tale istituto rispetto
agli istituti già esistenti dell'interdizione e dell'inabilitazione”.
Il senatore Fassone nella stessa seduta fa presente “…l'art. 4 del disegno di legge n. 375 consente di definire i rispettivi ambiti di applicazione
dell'istituto dell'amministrazione di sostegno, da
un lato e dell'istituto dell'interdizione dall'altro,
e di evitare quindi i problemi che potrebbero
nascere da un'impropria sovrapposizione degli
stessi…”.
Ancora più significativa è la relazione dell'onorevole Ermanna Mazzoni che nella seduta del 30
gennaio 2002 si esprime: “…tutti i progetti di
legge in esame tendono a dare soluzione al problema della cura dei soggetti non pienamente
capaci di tutelare i propri interessi, per i quali il
codice prevede solo momenti estremi di tutela
attraverso gli strumenti dell'interdizione e dell'inabilitazione. Si introduce quindi la figura dell'amministratore di sostegno, cioè un soggetto
incaricato dello svolgimento di determinati atti a
vantaggio di persone affette da patologie non
gravi o da disagi psicologici lievi per le quali
non si ritiene opportuno dar luogo ad altre procedure previste dal codice civile…”
Ancora l'onorevole Luigi Giacco nella seduta del
20 febbraio afferma: “…l'importanza del provvedimento, atteso da anni da molte famiglie italiane,… la figura dell'amministratore di sostegno
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
non lede i diritti fondamentali della persona,
garantendo a determinate categorie di soggetti
non completamente autosufficienti un'adeguata
tutela della qualità della vita, al di là dell'assistenza prestata dai familiari”.
In modo altrettanto chiaro l'onorevole Battaglia
nella sessione del 28 ottobre 2003 osserva:
“Oggi, grazie ai processi di integrazione, abbiamo ottenuto dei risultati in base ai quali la persona può non essere completamente autosufficiente, può non essere completamente padrona di
sue scelte autonome in campo patrimoniale e in
campo lavorativo, ma non per questo deve essere
interdetta. Può essere, ed è questa la funzione
dell'amministrazione di sostegno - affiancata da
una persona che la sostiene, nel senso che la aiuta ad assumere quelle decisioni, quegli atti che
autonomamente non sarebbe in grado di compiere, senza per questo venir meno la sua possibilità
di godere dei suoi diritti.”
Nella stessa seduta altro intervento, di assoluta
chiarezza, che ha permeato i lavori di elaborazione del testo finale è quello dell'onorevole Giuseppe Fanfani, il quale, osservando che la proposta di legge è segno di mutata civiltà, ha sottolineato che trattasi di “…una proposta di legge che
si rivolge a tutti coloro che sono portatori di handicap ed hanno una minore funzionalità sia fisica, sia psichica, come gli alcolisti, o coloro che
non sanno badare a se stessi per ragioni di età o
per altre ragioni.”
Nella stessa sessione interviene l'onorevole Franco Grillino che, segnalando l'esistenza di 700
mila casi di “disabili psichici” in Italia, di cui
soltanto una piccola parte necessita del grave
provvedimento di interdizione, mentre per gli
altri non si necessita di una “incapacitazione a
360 gradi”, afferma l'esigenza di “venire incontro
a chiunque si trovi in difficoltà nell'esercizio dei
propri diritti.”
Ancora nella stessa seduta l'onorevole Francesca
Martini, esprime lo spirito che ha determinato la
legge ed i lavori, precisando che l'amministrazione di sostegno si dovrà rivolgere a “…situazioni
per le quali è necessario intervenire in modo più
sfumato rispettando la dignità della persona.
Pensiamo a molti casi in cui i soggetti sono incapaci di provvedere a loro stessi non perché affetti da infermità mentale, ma perché sono molto
anziani o sono affetti da handicap fisici o sono
affetti da impedimenti temporanei”.
Ancora l'onorevole Giuseppe Fanfani, nell'avvicendarsi degli interventi, coglie e sottolinea un
aspetto fondante la legge: “…questa legge ha la
capacità di prendere in esame le disabilità minori... creando una forma di assistenza anche sotto
il profilo giuridico che, non presupponendo una
5
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
loro incapacità totale o parziale, ma prendendo
atto di una inabilità che può assumere gli aspetti
più diversi sino a giungere alla semplice inabilità
di carattere naturale - che è quella della vecchiaia, sapesse supportare questi aspetti della
vita in forma corretta.”
Possiamo dunque, da questa prima selezione funzionale dei lavori preparatori, evidenziare come le
espressioni usate dai parlamentari “distinzione dei
rispettivi ambiti”, “soggetti non pienamente capaci”, “patologie non gravi”, “disagi psicologici lievi”, “categorie di soggetti non completamente
autosufficienti”, “aiuto ad assumere decisioni”,
“assistenza a persone affette da minore menomazione”, “chiunque si trovi in difficoltà”, “intervenire in modo più sfumato”, “prendere in esame
disabilità minori”, “prendere atto di una inabilità”, pongono con sufficiente certezza che l'amministrazione di sostegno, l'interdizione e l'inabilitazione si occupino di ambiti diversi e che
non vi siano possibilità teoriche per sovrapposizioni degli istituti se non per gli effetti relativi al compimento di determinati e specifici atti
e per alcuni effetti di “preclusione giuridica”
che consegue all'adozione del provvedimento
di amministrazione di sostegno.
È possibile, sulla scorta di quanto sopra evidenziato, affermare che il legislatore abbia voluto
prevedere più categorie e strumenti di intervento così da garantire la copertura di tutto il
panorama della fragilità della persona, dalla
ridotta autonomia fino alla incapacità invalidante.
Gli istituti pertanto configurabili sono:
1. Amministrazione di sostegno, ai sensi della l.
9 gennaio 2004, n. 6, permanente o temporanea - ordinaria -.
2. Amministrazione di sostegno temporanea per
il compimento di atti urgenti sia diretti alla
gestione patrimoniale che alla cura della persona - straordinaria - ai sensi della l. 9 gennaio
2004, n. 6.
3. Amministrazione provvisoria per il compimento di atti urgenti per conservare ed amministrare il patrimonio del soggetto sottoposto a
trattamento sanitario obbligatorio ex art. 35,
L. 23 dicembre 1978, n. 833.
4. Interdizione piena.
5. Interdizione, con limitazione di alcuni effetti,
ammettendo che l'interdetto possa compiere
determinati atti di ordinaria amministrazione.
6. Inabilitazione piena.
7. Inabilitazione, con limitazione di alcuni effetti, ammettendo che l'interdetto possa compiere
determinati atti di ordinaria amministrazione.
6
AIAF RIVISTA 3/2004
Potrebbe apparire più semplice e meno stigmatizzante rielaborare il contenuto della l. 6/2004
affermando che l'amministrazione di sostegno sia
l'unico strumento che il legislatore offre avendolo strutturato in modo da poter estendersi alle più
gravi compromissioni delle facoltà cognitive e
volitive, ma ritengo che tale lettura non sia aderente né alla ratio della norma, né al dato normativo esaminato in modo coordinato e sistematico.
Pare configurabile che una lettura interpretativa della legge che destini l'interdizione e l'inabilitazione ad uscire dal quadro applicativo
degli istituti a protezione dei soggetti deboli si
fondi sul mancato coordinamento degli art. 1
della legge 6/2004 e gli artt. 404 e 409 del c.c.
novellati e sul mancato rilievo della contraddizione che esprimono nel dato testuale.
Riporto, per una più immediata comprensione
dell'affermazione appena fatta gli articoli 1, 404
e 409:
Art. 1 L.6/2004 (finalità della legge)
“1. La presente legge ha la finalità di tutelare,
con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte
di autonomia nell'espletamento delle funzioni
della vita quotidiana, mediante interventi di
sostegno temporaneo o permanente”.
Art. 404 c.c. (amministrazione di sostegno)
“La persona che per effetto di una infermità
ovvero di una menomazione fisica o psichica, si
trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può
essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in
cui questa ha la residenza o il domicilio.”
Art. 409 c.c. (effetti dell'amministrazione di
sostegno)
“ Il beneficiario conserva la capacità di agire
per tutti quegli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno.
Il beneficiario dell'amministrazione di sostegno
può in ogni caso compiere gli atti necessari a
soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana”.
La lettura coordinata dei tre articoli richiamati,
porta a rilevare che l'espressione dell'art. 404 c.c.
“impossibilità, anche parziale o temporanea”,
ricomprenda l'impossibilità totale e permanente,
rilievo, certamente, da un punto di vista della
ricostruzione e significato della frase, corretto,
ma non appare altrettanto chiaro il disposto se lo
si collega alla previsione dell'art. 409 c.c..
Infatti come può un soggetto impossibilitato
totalmente e permanentemente a curare i propri
interessi compiere gli atti necessari a soddisfare
le esigenze della propria vita quotidiana?
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
Affermare, dunque, che l'amministrazione di
sostegno soppianti gli istituti dell'interdizione e
dell'inabilitazione, alla luce di quanto sopra evidenziato, appare eccessivo e fuorviante rispetto
alla finalità della norma. L'espletamento degli
atti diretti a soddisfare le esigenze della propria
vita quotidiana è presupposto limite per rendere
applicabile l'amministrazione di sostegno, laddove tale autonomia sia compromessa, non si può
far altro che affacciarsi all'interdizione come
legittima soluzione per strutturare un'adeguata
protezione del soggetto debole, privato naturalmente di ogni autonomia e capacità.
Ritengo possibile sanare la contraddizione evidenziata, leggendo le espressioni utilizzate dal
legislatore, graduando l'impossibilità, abbinandovi la temporaneità e la permanenza delle condizioni in cui versa l'individuo, così da collegare in
modo pertinente e logico le espressioni di legge.
Gli abbinamenti configurabili e gli istituti applicabili sono i seguenti:
CONDIZIONE = ISTITUTO APPLICABILE
1) impossibilità parziale temporanea = amministrazione di sostegno;
2) impossibilità parziale permanente = amministrazione di sostegno;
3) impossibilità totale temporanea, con riguardo
alla certezza della temporaneità ed alla incertezza clinica sulla permanenza = amministrazione di sostegno;
4) impossibilità quasi totale e permanente non
suscettibile di evoluzioni positive = interdizione con limitazione per alcuni effetti;
5) impossibilità totale e permanente senza alcuna
possibilità di recupero di alcune funzioni
determinanti per consentire il compimento di
alcuni atti fondamentali per la vita = interdizione piena
Il punto di snodo potrebbe configurarsi proprio
nell'ipotesi dell'impossibilità totale temporanea,
eccezione ammissibile quale punto di passaggio
tra l'istituto dell'amministrazione di sostegno e
l'interdizione e ciò per due ordini di motivi:
a) la temporaneità dell'impossibilità,
b) la maggior duttilità dell'istituto dell'amministrazione di sostegno rispetto all'interdizione.
Il Giudice Tutelare, infatti, può graduare il proprio intervento in modo più diretto ed immediato
ed anche d'ufficio, rispetto al collegio chiamato a
pronunciasi sull'interdizione e l'inabilitazione.
La indicata impostazione consentirebbe di evitare il disagio della preclusione al soggetto interdetto, che vede progressivamente migliorare le
proprie condizioni, riappropriandosi delle proprie
autonomie, di ricorrere personalmente, quindi
senza assistenza legale, per ottenere la revoca
dell'interdizione con il passaggio all'amministra-
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
zione di sostegno.
L'amministrazione di sostegno è in questo caso
strumento utile e diretto alla tutela della dignità
della persona umana, della sua libertà di espressione e di autodeterminazione.
La proposta interpretativa appena avanzata può
essere letta come traduzione di quei principi, sia
del nostro dettato costituzionale che del Trattato
dei diritti fondamentali della Comunità europea.
L'esclusione di tale impostazione non renderebbe
il provvedimento, che negasse l'ammissibilità dell'amministrazione di sostegno per tale ipotesi,
solo reclamabile innanzi alla Corte d'appello ed
impugnabile in Cassazione, ma impugnabile
innanzi alla Corte di Giustizia della Comunità
europea, per lesione di principi fondamentali a cui
la Comunità e quindi gli Stati aderenti si ispirano.
Ritengo che tale graduazione sia configurabile
altresì rispetto all'inabilitazione, facendo riferimento alle ipotesi previste dalle norme che giustificano applicabilità dell'istituto stesso, leggendole quali portatrici di esclusioni specifiche dell'amministrazione di sostegno.
La lettura della norma che esprime le finalità della legge può acquisire, dunque, una diversa
dimensione nella prospettiva indicata.
L'amministrazione di sostegno può ritenersi
diretta a prestare ausilio in tutte quelle situazioni
in cui la fragilità consente al beneficiario di preservare la propria autonomia nel compimento
degli atti diretti a soddisfare le esigenze primarie
della propria vita quotidiana.
Quanto sopra non vuole peraltro trascurare la
possibilità che l'amministrato avanzi richieste,
manifesti bisogni, aspirazioni, consensi e dissensi; colui che, beneficiario dell'originario provvedimento di amministrazione, perdesse, nell'involuzione della sua autonomia, la capacità di esprimere ciò che la legge indica come dato imprescindibile su cui fondare l'applicabilità dell'amministrazione di sostegno, non potrebbe che
approdare al procedimento di interdizione nella
sua formula graduata o piena.
Quanto elaborato dovrebbe poi essere confortato
da dati clinici con il supporto della conoscenza
medica, psichiatrica, geriatrica e psicologica.
Con riferimento agli anziani, e non solo, si può
trovare una interessante elencazione di situazioni
chiave in cui convergono le fragilità tipiche
anche dell'età avanzata nel testo “Fine serie,
riflessioni sulla terza e quarta età” ed. Archetipi
2002, di Fabrizio Cavenna, al capitolo “Il paziente scomodo” dove vengono configurati i seguenti
gruppi: “Disturbi mentali organici”, la demenza,
i disturbi d'ansia, (fra i quali i disturbi fobici, il
disturbo di attacchi di panico, il disturbo ossessivo compulsivo), l'ipocondria, i disturbi dell'umo7
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
re - la depressione, disturbi schizofrenici e deliranti, disturbi di personalità e nevrosi.
Come di ausilio è considerare cosa sia da un punto vista clinico la “Terapia di sostegno” che in
quanto tale implica la capacità del beneficiario di
interagire con chi la pratica.
Di particolare interesse risultano le riflessioni del
prof. Virginio Oddone, fra gli atti del convegno
seminario tenutosi presso il Tribunale di Torino,
raccolti e pubblicati dall'associazione Tutori professionisti, Egida ([email protected]), di Torino, il quale esprime in modo chiaro e personale
come configurare un esame obiettivo del soggetto debole. Lo schema operativo è così considerato:
A. Condizioni di salute, con specifica analisi del
complesso morboso che ha determinato la
necessità di protezione.
B. Problemi psichici e comportamentali, con
particolare attenzione alla presenza di eventuali manifestazioni aggressive, di pulsioni
molto forti in una qualche direzione, ecc..
C. Abilità residue: cosa il paziente è in grado
ancora di fare, eventuali punti di forza per un
recupero di competenze, od il mantenimento
di un certo livello di operatività autonoma.
D. Profilo evolutivo delle patologie e dei problemi psichici, e loro curabilità e/o controllabilità nel tempo, se sia prevedibile un peggioramento progressivo, oppure la situazione sia
stabile, ecc.; nel caso di patologie inarrestabili, identificare i parametri di terminalità/accanimeno terapeutico (v. sopra).
E. Il contesto ambientale: famiglia, rete famigliare, rete sociale, ecc.; presenza di eventuali
conflitti, ecc.. Valutazione anche della sicurezza del luogo ove l'incapace risiede.
F. Collocabilità: il soggetto può continuare a
rimanere a casa? deve essere messo in una
comunità, con quali esigenze di base?
G. Risorse disponibili: economiche (inventario),
umane “proprie” (famiglia, rete sociale personale), pubbliche.
H. Rischi: vittimizzazione in primo luogo (cioè il
rischio che la persona diventi o sia stata vittima di reato); di peggioramento delle proprie
condizioni; di danno per gli altri (ad es., a causa della sua aggressività); ecc..
Altra conseguenza che discende dal dettato normativo, così come dalla lettura prospettata è la
insufficienza delle categorie degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione rispetto agli
elementi che privilegiano la persona in una visione e dimensione completa rispetto ad una prospettiva di sola gestione patrimoniale.
Sollecitati dalla legge 6/2004 possiamo articolare
una più estesa configurazione di categorie di atti:
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AIAF RIVISTA 3/2004
1) ATTI DI ORDINARIA AMMINISTRAZIONE
2) ATTI DI STRAORDINARIA AMMINISTRAZIONE
3) ATTI RELATIVI ALLA VITA QUOTIDIANA
3.1 DI NATURA PATRIMONIALE
a. Svolgere attività lavorativa.
b. Riscuotere pensione o rendite.
c. Soddisfare esigenze primarie al proprio
sostentamento e mantenimento.
d. Provvedere ai pagamenti ordinari
(utenze gestioni).
3.2 DI NATURA PERSONALE
a. Igiene e cura giornaliera della propria persona.
b. Igiene e decoro nell'ambiente di vita.
4) ATTI RELATIVI ALLA CURA
a. ASPETTO SANITARIO
b. COLLOCAZIONE ABITATIVA
c. VITA DI RELAZIONE
- familiare
- di gruppo
- di società
5) ATTI PERSONALISSIMI
a. matrimonio
b. separazione
c. divorzio
d. testamento
e. consenso ai trattamenti sanitari
RILETTURA DELLE FINALITÀ DELLA LEGGE ALLA
LUCE DELLE MUTATE ESIGENZE STORICHE.
NORMATIVA INTERNA ED INTERNAZIONALE.
roseguendo nel tentativo di dare alla norma
un significato di largo respiro rispetto a letture estreme e spesso sganciate dall'intendimento del legislatore oltre che da una esegesi
sistematica del testo di legge, pare opportuno
soffermarsi brevemente sulle ragioni che hanno determinato la legge.
Almeno quattro sono le ragioni di fondo:
1. La mutata coscienza pubblica rispetto al problema storicamente e gravemente emergente
della tutela dei soggetti deboli (anziani, soggetti portatori di handicap, malati mente, soggetti affetti da malattie degenerative…. e l'elenco potrebbe proseguire….).
2. L'inadeguatezza degli istituti dell'interdizione
e dell'inabilitazione, data la loro rigidità e data
l'impronta storica che li caratterizza quali strumenti, per la maggior parte dei casi, diretti
principalmente alla tutela patrimoniale del
soggetto colpito dal provvedimento, pur non
trascurando i tentativi da parte di alcuni Giudici tutelari di mitigazione, sicuramente innovativi e di grande respiro.
3. Una rilettura degli artt. 2 e 3 del nostro dettato costituzionale, constatando come è mutato
il senso di alcuni valori fondamentali:
P
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
- salvaguardia dei diritti inviolabili dell'uomo;
- dignità;
- uguaglianza;
- libertà;
- il diritto alla salute da leggersi nella sua
accezione più ampia di SALUS intesa come
integrità fisica, psichica, emotiva, relazionale
e spirituale.
4. Una forte spinta in ambito internazionale.
Esempio cardine lo troviamo nella Convenzione dell'Aja del 13 gennaio 2000, che rappresenta la concreta dimostrazione e testimonianza di quanto sia grave ed urgente, per
diversi paesi, di occuparsi in modo adeguato
della tutela dei soggetti deboli. La Convenzione nasce per articolare un regime di tutela dei
soggetti deboli, sollecitando la cooperazione
tra le diverse autorità degli stati aderenti ed
individuando i caratteri essenziali che devono
contraddistinguere la tutela dei soggetti stessi.
Dato rilevante è costituito dal fatto che la Convenzione riconosce l'ammissibilità di un mandato a cui il soggetto interessato può ricorrere,
sia mediante apposito contratto sia mediante
atto unilaterale, per l'ipotesi futura ed eventuale di sopravvenienza del proprio stato di incapacità o di limitata capacità. La indicata Convenzione, ad oggi non è stata ancora ratificata
dall'Italia. Qualora ciò si verificasse il nostro
ordinamento potrebbe compiere un ulteriore
salto di qualità nel rispetto della persona, della sua autonomia, dei suoi diritti e delle sue
legittime aspettative in relazione al suo futuro,
evitando indebite ingerenze.
Il richiamo alla Convenzione non esclude la
considerazione che altre nazioni sia in ambito
europeo che extracomunitario, come la Francia,
la Germania, l'Austria, la Spagna, il Quebec, con
largo anticipo hanno adottato istituti simili
all'amministrazione di sostegno italiana, seppur
con elaborazioni culturali di tipo diverso da quelle che hanno trovato sbocco in Italia.
Ancora importante è richiamare la Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione Europea (Nizza 7 dicembre 2000) che nel preambolo si esprime: “Consapevole del suo patrimonio spirituale
e morale, l'Unione si fonda sui valori indivisibili
e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà, l'Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. Essa
pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno
spazio di libertà, sicurezza e giustizia”.
Ed ancora all'art. 3 rubricato “Diritto all'integrità della persona”:
1. Ogni individuo ha diritto alla propria integrità
fisica a psichica.
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
2. Nell'ambito della medicina e della biologia
devono essere in particolare rispettati “Il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge,…”
Ed ancora l'art. 25 “Diritti degli anziani” “L'Unione riconosce e rispetta il diritto degli
anziani di condurre una vita dignitosa ed indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale” e così l'art. 26 “Inserimento dei disabili
- L'Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne
l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita di comunità”
Espressioni quelle della Carta, che rivitalizzano
quanto già assunto nel nostro dettato costituzionale.
Dato non trascurabile, nell'ambito della mutata
coscienza e cultura della persona umana e della
sua centralità è, almeno per la Regione Piemonte, la legge 8 gennaio 2004, n. 1, dove a chiare
lettere si ripropone quanto enunciato nella carta
dei diritti fondamentali e cioè il “Riconoscimento
della centralità della persona quale prima destinataria degli interventi e dei servizi e del ruolo
della famiglia quale soggetto primario e ambito
di riferimento unitario per gli interventi e servizi
medesimi…”
Così esprime: “1. Al fine di favorire il benessere
della persona, la prevenzione del disagio e il
miglioramento della qualità della vita delle
comunità locali, la Regione programma ed organizza il sistema integrato degli interventi e servizi sociali secondo i principi di universalità, solidarietà, sussidiarietà, cooperazione, efficacia ed
efficienza, omogeneità ed equità territoriale…”
Oltre ai dati normativi regionali, nazionali e
sovranazionali non può essere trascurato il fatto
che in ambito internazionale altri paesi hanno già
percorso altre vie in tema di tutela dei soggetti
deboli e fragili, con elaborazioni culturali ed
esperienze ultratrentennali, come la Francia e la
Germania. Da segnalarsi le esperienze come
quelle del Quebec (Canada Francese) dove trova
apposita disciplina il mandato in previsione della
propria incapacità, istituto rappresentativo dell'intendimento di accogliere la volontà dell'uomo,
quale espressione sovrana della libertà dell'individuo e della sua capacità e legittima aspettativa
di autodeterminarsi, qualunque siano gli accadimenti che caratterizzano la sua vita1.
Come sottolinea Calò2, l'Italia non ha ancora fatto una scelta di campo a favore del principio di
autodeterminazione, disciplinando la materia del
consenso informato, del testamento biologico e
del mandato in previsione della propria futura
incapacità. Nella stesura ed elaborazione del
testo della legge 6/2004, un'attenzione al diritto
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L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
Daniela Boi,
Elisabetta Di Nucci
Città, forma, colore
Olio su tele, inserti
di carta giapponese
2004
comparato avrebbe potuto consentire l'introduzione di istituti e di dati forniti da altre esperienze di altri Stati, così da privilegiare in modo articolato e completo il principio cardine della
libertà e della cosciente autodeterminazione.
L'unica apertura al riguardo la troviamo nella
norma in commento all'art. 408 c.c. (Scelta dell'amministratore di sostegno) primo comma
“L'amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata…”
Per supplire a tale vuoto ancora presente nel
nostro ordinamento potrebbe soccorrere la configurazione di un TRUST.
Come la dottoressa Maria Rosa Spallarossa 3
osserva, direi in modo adeguato, laddove si tratta
di soggetti deboli, l'analisi va rivolta anche ai
soggetti “non deboli”, nella prospettiva della loro
futura incapacità.
L'istituzione di un Trust potrebbe predeterminare,
a favore del costituente, Settlor, o di un terzo
beneficiario, la gestione di un patrimonio e la sua
amministrazione in funzione dei bisogni, aspirazioni culturali, personali, di vita (letture, teatro,
sport, viaggi, vacanze, cure, collocazione…), così
condizionando ed instradando l'intervento dell'autorità giudiziaria e dell'amministratore di sostegno o del tutore, successivi. Lo stesso autore con
chiarezza dice: “…il trust permette di valorizzare
l'autodeterminazione del soggetto beneficiario
non solo per tutto il periodo nel quale egli è nella piena efficienza delle proprie capacità, ma
anche di graduarla nella ipotesi di perdita progressiva di capacità fisiche o psichiche”.
Sottolinea ancora l'autore, che il trustee potrebbe
AIAF RIVISTA 3/2004
essere investito di funzioni giuridiche comunque
dirette a garantire adeguata ed elevata qualità
della vita ed interventi diretti alla cura della persona, vista in tutta la sua dimensione: corporea,
psichica, emotiva, relazionale e spirituale.
Quanto sopra esposto non vuol altro che far
riflettere sui contenuti profondi della legge, che
va vista quale anelito verso la persona, i suoi
bisogni e le sue aspirazioni.
Una sorta di filosofia personalistica deve permeare la comprensione della legge istitutiva dell'amministrazione di sostegno, quale diretta ad
offrire strumenti complessi ed elastici in ausilio
dei soggetti deboli che vedono menomate le proprie autonomie, pur conservando la capacità di
compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze dettate dalla vita quotidiana.
Anche in quest'ottica non si può intendere
l'amministrazione di sostegno quale istituto
totalizzante e comprensivo anche di ipotesi di
protezione a favore di soggetti da interdire o
inabilitare.
La capacità dialogica è elemento caratterizzante
il rapporto discendente dall'amministrazione di
sostegno. Il beneficiario va sentito non solo nell'ambito del procedimento, ma nel corso della sua
vita e le sue richieste, i suoi bisogni, vanno considerati sia pur compatibilmente con le esigenze
di protezione dello stesso.
Si può pertanto concludere affermando che la
configurazione dei diversi istituti, così come
elencati nella prima parte del presente elaborato,
offre riquadri importanti con cui operare a favore
dei soggetti deboli, considerando le diversità delle fragilità e rispettando i diversi ambiti di applicazione giuridica degli istituti medesimi.
CONTENUTO DEL DECRETO, PRIME APPLICAZIONI.
OSSERVAZIONI CRITICHE AL DETTATO
NORMATIVO IN ORDINE AD ASPETTI SOSTANZIALI
a legge 6/2004 osservata nei suoi contesti
sostanziali, rispetto a ciò che il decreto di
nomina dell'amministratore di sostegno dovrà
contenere, delinea un quadro articolato che
può, nella sua traduzione pratica, rivelarsi insidioso, rispetto alle finalità della legge stessa,
dove l'autonomia dev'essere la regola e le limitazioni l'eccezione.
Ma vediamo ciò che la legge indica:
“Il beneficiario dell'amministrazione di sostegno
può in ogni caso compiere gli atti necessari a
soddisfare le esigenze della vita quotidiana” (2°
c. art. 409 c.c.).
“Il decreto di nomina deve contenere l'indicazione:…
3) dell'oggetto dell'incarico e degli atti che l'amministratore di sostegno ha il potere di compiere
L
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SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
in nome e per conto del beneficiario.
4) degli atti che il beneficiario può compiere solo
con l'assistenza dell'amministratore di sostegno.
5) dei limiti, anche periodici, delle spese che
l'amministratore di sostegno può sostenere con
l'utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o
può avere la disponibilità.” (art. 405, 5° c.)
“Qualora ne sussista la necessità, il Giudice
Tutelare adotta anche d'ufficio i provvedimenti
urgenti per la cura della persona interessata e
per la conservazione e l'amministrazione del suo
patrimonio” (art. 405, 4° c.)
“Il Giudice Tutelare deve sentire personalmente la
persona….. e deve tener conto compatibilmente
con le esigenze di protezione della persona, dei
bisogni e delle richieste di queste”. (art. 407, 2° c.)
“Il beneficiario conserva al capacità di agire per
tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno” (art. 409, 1° c.).
Ed ancora, quanto all'art. 411 c.c. (Norme applicabili all'amministrazione di sostegno), nella formulazione il legislatore estende l'applicabilità,
per quanto compatibili, degli artt. da 349 a 353
c.c. e da 374 a 388 c.c., mentre i provvedimenti
cui agli artt. 375 e 376 c.c. sono di competenza
del Giudice Tutelare, così come sono estesi, all'istituto in esame, gli artt. 596, 599 e 779 anch'essi per quanto compatibili.
Interessanti sono gli ultimi due comma dell'art.411, per cui sono valide le disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore dell'amministratore di sostegno, se fatte a favore dei soggetti
indicati ivi compresa la nuova figura introdotta,
quella della “persona stabilmente convivente”,
nonché la previsione per cui il Giudice Tutelare
nel provvedimento con il quale nomina l'amministratore di sostegno o anche in un tempo successivo può estendere all'amministrazione di sostegno “effetti, limitazioni o decadenze, previsti da
disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato” sempre tenendo presente l'interesse del beneficiario.
Le norme appena richiamate sono, dunque, l'ambito entro cui muoversi per configurare un'adeguata
protezione del soggetto beneficiario con la minore
limitazione possibile della capacità di agire.
Ora si tratta di stabilire se il decreto deve considerare tutti gli atti in modo analitico elencando
quelli che il soggetto beneficiario può compiere
con la sola assistenza dell'amministratore, quelli
che possono essere compiuti dall'amministratore
in rappresentanza dell'amministrato e quelli che
vanno autorizzati preventivamente dall'autorità
giudiziaria, tenendo ben presente che per quanto
non indicato il beneficiario conserva la capacità
di agire.
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
Oppure configurare un decreto limitandosi ad
indicare le categorie di atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, prevedendo che gli atti
di ordinaria amministrazione possano essere
compiuti con la sola assistenza dell'amministratore e gli atti di straordinaria amministrazione dal
beneficiario con l'assistenza dell'amministratore
e previa autorizzazione giudiziale o dal solo
amministratore previa autorizzazione.
Nelle prime aperture di amministrazioni di sostegno ho visto depositare diversi decreti, ne prendo
in considerazione due a titolo esemplificativo:
un decreto dove vi è indicazione specifica di atti
ed un altro dove il Giudice Tutelare si riferisce
alle categorie degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione con riferimento specifico
agli atti di cui all'art. 374 e 375 c.c.
I decreti così si esprimono:
1° CASO:
“Il Giudice Tutelare
Visto il decreto con il quale è stata dichiarata
aperta l'amministrazione di sostegno (…dati
relativi al decreto e generalità del beneficiario..)
Nomina
Amministratore di sostegno il sig.…()...
Dispone
Che l'amministratore di sostegno abbia il potere
di compiere, in nome e per conto del beneficiario,
gli atti di ordinaria amministrazione, inclusi gli
atti di straordinaria amministrazione del suo
patrimonio, inclusi gli atti previsti dall'art. 375
c.c., previa per questi ultimi l'autorizzazione del
Giudice Tutelare.
Dispone
Che il beneficiario possa compiere soltanto con
l'assistenza dell'amministratore di sostegno, e
previa autorizzazione del Giudice Tutelare, gli
atti di straordinaria amministrazione del suo
patrimonio, inclusi quelli previsti dall'art. 375
c.c., previa autorizzazione del G.T.
Dispone
Che l'amministratore di sostegno proceda al
sistematico incasso delle entrate pensionistiche;
al prelievo delle somme necessarie al fabbisogno
mensile della beneficiaria e ad apporre sui conti
e sui beni del beneficiario il vincolo derivante
dal presente provvedimento
Dispone
Che l'amministratore di sostegno debba riferire
al G.T.…etc”.
2° CASO:
“Il Giudice Tutelare
- Visto il decreto con il quale è stata dichiarata
aperta l'amministrazione di sostegno (…dati
relativi al decreto e generalità del beneficiario..)
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L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
- Ritenuta l'opportunità che l'Amministrazione
di Sostegno provveda a verificare:
1. quali siano le condizioni di vita…..etc
Tutto ciò premesso, ribadito che il beneficiario
mantiene la capacità di agire per gli atti che non
richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno e cioè non espressamente vietati dal giudice
tutelare ai sensi degli artt. 404 e ss. c.c.
Nomina
Amministratore di sostegno del sig.…()... il
sig.…()... con i poteri e le funzioni qui di seguito
specificate
Dispone
Che l'amministratore di sostegno abbia il potere
esclusivo di compiere, in nome e per conto del
beneficiario, previe specifiche autorizzazioni del
Giudice Tutelare i seguenti atti:
- riscuotere capitali di pertinenza del beneficiario;
- acquistare beni, se non nei limiti di spesa di
seguito consentiti;
- contrarre mutui; stipulare locazioni;
- alienare, iscrivere o cancellare ipoteche sui
beni del beneficiario;
- fare compromessi o transazioni, o accettare
concordati;
- promuovere giudizi;
- accettare o rinunciare ad eredità, legati o
donazioni;
- dare in pegno o svincolare pegni su beni del
beneficiario;
- procedere allo scioglimento di comunioni o a
divisioni o a promuovere i relativi giudizi sui
beni del beneficiario;
- procedere ad adempimenti fiscali e amministrativi
Dispone
che il beneficiario possa compiere solo con l'assistenza necessaria dell'Amministratore di Sostegno i seguenti atti:
- assumere altre obbligazioni salvo che queste
riguardino l'ordinaria amministrazione;
- riscuotere l'importo dei redditi percepiti eccedente l'importo di € 600,00 mensili, nella libera disponibilità del beneficiario;
…etc…..”
Da una prima osservazione è possibile rilevare
che da entrambi i decreti non emergono quali siano le richieste, i bisogni e le aspirazioni del beneficiario, anzi sia nei decreti di apertura che di
nomina nulla si indica al riguardo. Vero che la
norma non prescrive che il decreto deve essere
esplicito al riguardo, ma ritengo che una traduzione di quelle che sono le specifiche richieste,
bisogni ed aspirazioni del beneficiario sia doverosa, perché presupposto logico di quanto il Giu12
AIAF RIVISTA 3/2004
dice dovrà disporre.
È possibile ritenere che, per non vanificare lo spirito della legge, nonché la filosofia personalistica
che la sottende, devono emergere tutti i passaggi
logici che sottostanno e reggono il decreto nel
dispositivo e pertanto dato che lo stesso deve
garantire il soddisfacimento dei bisogni, delle
richieste ed aspirazioni del beneficiario, tutto ciò
deve risultare in modo espresso, così come
espressa deve essere l'indicazione che il G.T. ha
indagato in modo completo al riguardo.
Si consideri che i bisogni e le aspirazioni del soggetto non necessariamente devono essere verbalmente espressi dal beneficiario, ma possono
emergere dal contesto di vita e relazionale del
soggetto, nonché della sua storia e trascorsi.
In occasione di un evento formativo presso un
consorzio di servizi sociali proprio connotando il
concetto di doverosità per i servizi di proporre
ricorso al G.T. o segnalazione al Pubblico Ministero, osservai come tale doverosità si esplica
nella completezza dei dati forniti al Giudice. In
altri termini, espressi che il soggetto, per cui
appare doveroso il ricorso, dovrebbe essere “contestualizzato” nella realtà personale e relazionale
in cui si trova, tutto nella prospettiva di un
miglioramento della sua qualità di vita.
Indicando poi una traccia, prospettavo, in via
schematica, i punti da osservare per offrire in
modo completo i dati necessari, perché il giudice possa pronunciarsi sul contenuto dell'amministrazione.
Lo schema può essere così espresso:
1. condizioni di vita del soggetto e sua abituale
collocazione, con descrizione degli ambienti,
anche con riferimento alla sicurezza degli stessi rispetto ai bisogni essenziali dell'assistito;
2. abitudini del soggetto;
3. richieste ed aspettative espresse dal soggetto;
4. notizie e dati relativi alla situazione patrimoniale personale, conosciuti;
5. condizioni di salute e bisogni di cure (possibilmente con idonea e completa documentazione
medica). A tal riguardo è opportuno sottolineare la necessità di una reale integrazione dell'intervento dei servizi socio-sanitari sul territorio
come condizione essenziale per rendere operativa e tempestiva l'amministrazione di sostegno. L'integrazione dei servizi è essenziale per
realizzare programmi di intervento in cui la
centralità della Persona sia rispettata. Si osserva che la documentazione medica non è richiesta dalla legge ma è dato imprescindibile per il
Giudice Tutelare affinché possa provvedere
con rigore e completezza. In ordine alla documentazione medica si suggerisce di far risultare dalla stessa non la sola certificazione della
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patologia, ma l'individuazione delle autonomie
e competenze del soggetto che discendono da
quel determinato quadro clinico;
indicare quale sia stato il programma di intervento già attuato a favore del soggetto per cui
è proposto il ricorso;
indicare quali autonomie il soggetto esprime,
quali abilità sono compromesse, e quali autonomie possono essere recuperate;
proporre progetti di sostegno sulla base di
interventi già in corso, attivati o di possibile
attivazione, indicando i costi eventuali e le
risorse personali e sociali disponibili;
indicare la dimensione relazionale di cui il
soggetto dispone.
Ritornando alla analiticità a mezzo del decreto in
ordine agli atti da individuarsi, si può osservare
che la scelta per l'analiticità del contenuto o si
presenta in modo completo inserendo tutte le possibilità di atti configurabili nel nostro ordinamento o si corre il rischio di escluderne alcuni per cui
può legittimamente configurarsi la capacità del
beneficiario rispetto agli atti non indicati.
Nel secondo decreto riportato oltre ad una serie
di atti, elenco non esaustivo, che l'amministratore di sostegno può compiere da solo previa autorizzazione, si dispone che il beneficiario possa
compiere solo con l'assistenza dell'amministratore “i seguenti atti:
- assumere altre obbligazioni salvo che queste
riguardino l'ordinaria amministrazione;
- riscuotere l'importo dei redditi percepiti eccedente l'importo di € 600,00 mensili, nella libera disponibilità del beneficiario;”
La genericità dell'espressione “assumere altre
obbligazioni” precisando “salvo che queste
riguardino l'ordinaria amministrazione” fa chiaramente pensare che l'espressione sia riferita
comunque ad atti che rientrino fra quelli di
straordinaria amministrazione (v. art. 1173 c.c.),
pertanto non appare chiaro perché le “altre obbligazioni” non siano state annoverate fra il primo
gruppo di atti, per cui è stato previsto il solo ed
esclusivo potere dell'amministratore preventivamente autorizzato.
Portiamo due esempi per chiarire quanto sopra
evidenziato.
Secondo quanto disposto dal Giudice il beneficiario potrebbe costituire una società in nome
collettivo con la sola assistenza dell'amministratore, senza bisogno di alcuna autorizzazione preventiva, così come potrebbe stipulare un preliminare di vendita, con la sola assistenza, infatti tale
tipo di contratto ha meri effetti obbligatori e non
traslativi. Nel caso del preliminare come si
potrebbe poi comportare il Giudice innanzi alla
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
richiesta di autorizzazione ad adempiere?
Se poi si considera il disposto di cui all'art. 411
c.c., che le convenzioni fatte tra il beneficiario e
l'amministratore di sostegno se questo è coniuge
o parente entro il 4° grado o persona stabilmente
convivente, sono, dice la legge, “comunque valide”, quel tipo di atto di straordinaria amministrazione non sarebbe inficiabile. - Ci soffermeremo
dopo sugli effetti dell'art. 411 c.c. - e le questioni
che sono proponibili data la formulazione dello
stesso.
Altri due aspetti vanno sottolineati come problematici: quello relativo alle accettazioni di eredità
e quello degli adempimenti fiscali.
Autorizzare l'accettazione di eredità ad esempio
con beneficio di inventario non produce l'effetto
di cui agli artt. 471 e 489 c.c. se questi non vengono espressamente estesi, così come consentito
dall'art. 411 c.c. ultimo comma, da parte del G.T.
Vero è che tale estensione potrebbe sopraggiungere anche d'ufficio, in un tempo successivo al
decreto di nomina ed in occasione dell'apertura
della successione che vede l'amministrato quale
chiamato, ma il rilievo non va trascurato, in difetto il beneficiario potrebbe decadere dal beneficio
d'inventario per aver compiuto ad esempio atto
dispositivo, senza preventiva autorizzazione, di
bene mobile, pur se annullabile ex art. 412 c.c.
Problemi si potrebbero poi porre per gli atti
dispositivi dei beni ereditari in ordine alla possibilità del G.T. di esprimere parere ex art.747
c.p.c. data la formulazione “Nel caso in cui i beni
appartengano a incapaci deve essere sentito il
Giudice Tutelare”.
In merito al secondo rilievo non si vede perché
per gli adempimenti “fiscali” ed “amministrativi”
se atti dovuti, questi debbano essere soggetti ad
autorizzazione preventiva, così facendo pensare
che il G.T. possa in linea teorica negarne l'autorizzazione.
Senza avere la pretesa di formulare tutte le osservazioni possibili, forse pare opportuno che nella
stesura dei decreti si prendano in esame le categorie degli atti così come articolate nel cap. I del
presente elaborato, valutando concretamente la
possibilità di concedere la disponibilità di fondi
per compiere gli atti di ordinaria amministrazione che per loro natura anche nell'ambito della
Tutela non sono soggetti ad autorizzazione. Prevedere poi che alcuni atti di amministrazione
ordinaria siano soggetti a preventiva autorizzazione vuol dire di fatto condurre l'amministrazione di sostegno ad essere più penalizzante rispetto
all'interdizione. A tal riguardo occorre osservare
che il primo decreto appare più aderente e meno
problematico, pur se non scevro da possibili critiche, rispetto al secondo, infatti il Giudice Tute13
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
lare ha disposto che l'amministratore di sostegno
possa compiere gli atti di ordinaria amministrazione inclusi gli atti previsti dall'art. 374, previa
per questi ultimi l'autorizzazione del G.T. e che
gli atti di straordinaria amministrazione inclusi di
cui all'art 375 c.c. possono essere compiuti dal
beneficiario assistito e previa autorizzazione.
Aspetto concreto da tener presente è che l'amministratore laddove autorizzato a compiere gli atti
di ordinaria amministrazione deve poter disporre
di snelli strumenti di pagamento, si pensi all'ordinaria amministrazione rispetto alla gestione di
svariate proprietà immobiliari o stabili condotti
in locazione da terzi, considerando che lo stesso
è tenuto al rendiconto periodico il cui controllo e
verifica è del G.T.. A tal riguardo ritengo opportuno evidenziare che gli istituti bancari non possono richiedere sempre l'autorizzazione preventiva a qualsiasi prelievo non potendo sapere e perciò adoperarsi ed interessarsi per conoscere se
quella data operazione rientri nell'ambito ordinario. Ciò che la banca può pretendere è di essere
certa dell'incarico e della funzione, ogni altra
responsabilità rimane in capo all'amministratore
o al tutore, solo questi sono ausiliari del Giudice
e non l'istituto bancario stesso.
Quanto detto vale a maggior ragione per i casi in
cui chiamato a svolgere la funzione di tutore o
amministratore sia un professionista, non trascurabile al riguardo è la possibilità di operare con sportelli bancari virtuali, sarà il tutore e l'amministratore di sostegno a dover ricondurre la propria attività ad atti di ordinaria amministrazione o ad atti
di straordinaria amministrazione, questi corredati
delle dovute e prescritte autorizzazioni preventive.
Quanto sopra evidenziato può concludersi con
due considerazioni:
a. essenziale è individuare i reali bisogni, le aspirazioni, sollecitando le richieste del beneficiario quali condizioni imprescindibili per articolare un decreto personalizzato;
b. individuare gli atti specifici rispetto ai bisogni
dell'amministrato ponendo, al più, quali categorie generali finali gli atti di ordinaria e
straordinaria amministrazione, prevedendo ciò
che può compiere il beneficiario con l'assistenza dell'amministratore con o senza autorizzazione, e ciò per cui è abilitato l'amministratore con o senza autorizzazione.
Per meglio marcare quanto poco adeguato possa
essere un decreto comprensivo di tutti gli atti possibili, riporto il testo di una procura generale in
nota, osservando come la stessa indichi che l'elenco è meramente esemplificativo e non tassativo.
Si tenga poi in considerazione che il decreto di
nomina è un decreto suscettibile di integrazioni e
modifiche nel tempo, al fine di renderlo il più
14
AIAF RIVISTA 3/2004
aderente possibile alla persona del beneficiario.
Prima di procedere all'esposizione degli aspetti
che possono apparire problematici in ordine
all'applicazione dell'art. 411 soprattutto in tema
di testamento e convenzioni, ritengo utile riportare quanto già avanzato nel convegno tenutosi l'8
maggio presso il Tribunale di Torino in tema di
inventario ed accertamento patrimoniale, osservando da subito che tra gli elementi essenziali su
cui fondare il decreto e le sue successive integrazioni, vi è la necessità di avere certezza del contenuto patrimoniale nella sua “accezione” che
vado a configurare.
Nell'ambito della disciplina della tutela, l'articolo
362 c.c. prescrive espressamente che il tutore, nei
dieci giorni successivi, a quello in cui ha avuto
notizia legale della sua nomina, deve procedere
all'inventario dei beni del soggetto incapace, termine ordinatorio quello indicato e non perentorio: non mi soffermo sul contenuto dell'inventario
quale atto formale e pubblico, a cui si attribuisce,
in quanto tale, pubblica fede fino a querela di falso. Intendo però portare l'attenzione al fatto che
l'articolo appena richiamato dice “il tutore” compie l'inventario, evidenziando così che al tutore è
attribuita la responsabilità dell'accertamento del
contenuto patrimoniale del soggetto interdetto.
L'art. 363 c.c. prosegue indicando che “l'inventario si fa con il ministero del cancelliere del Tribunale o di un notaio delegato dal giudice tutelare...”; il giudice tutelare, prosegue il secondo
comma, può consentire che l'inventario sia fatto
senza il ministero del cancelliere o di notaio, se il
valore presumibile non eccede euro 7,75.
Secondo un orientamento restrittivo, pur aggiornando con riferimento agli indici ISTAT detto
importo ad oggi e così per un valore determinato
pari ad euro 311,94, di fatto non sarebbe configurabile alcun esonero o meglio nessun tutore
potrebbe evitare di ricorrere al ministero del cancelliere o del notaio per tradurre in atto pubblico
l'inventario, così legittimando l'assurdo ricorso
ad un atto formale il cui costo è superiore o
comunque non proporzionato al patrimonio da
accertare.
È però, possibile addivenire in via interpretativa
al superamento di tale impostazione restrittiva,
basandosi sul ragionamento che in altri settori la
Cassazione ha manifestato sempre in tema di
inventario e di funzione di alcuni soggetti quali
ausiliari del giudice, data la valenza pubblicistica
di alcuni istituti.
La Cassazione in tema di eredità giacente ha più
volte affermato che il curatore, quale ausiliario
del giudice laddove provvede ad accertare il
patrimonio ereditario, pur non essendo un pubblico ufficiale, e dichiara ed afferma cosa costitui-
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
sce patrimonio dell'eredità, esprime ed enuncia
“atti che fanno pubblica fede”.
Ancora afferma la Cassazione che il notaio o il
cancelliere che procedono alla redazione del verbale d'inventario, non godono di poteri d'imperio
né di indagine, ma hanno la sola funzione di certificare ed attestare cosa e quanto rinvenuto in un
dato luogo, “...l'attività diretta alla formazione
dell'inventario ha carattere meramente descrittivo della situazione patrimoniale, quale risulta
dalle carte e dalle note del defunto… e la partecipazione del pubblico ufficiale comporta la prova della verità degli atti da lui compiuti e quindi
dell'esistenza delle carte, scritture e note da lui
reperite, ma non la rispondenza alla realtà fattuale delle risultanze delle scritture….” (Cassazione 1. 04.1983, n.2626). Poteri d'indagine e di
ricerca sono del curatore, il quale esperiti gli
accertamenti chiede che vengano tradotti in verbale o comunque informa il Giudice della successione, non venendo comunque meno la valenza
pubblicistica delle proprie dichiarazioni.
Assunto quanto sopra e traslandolo alla tutela,
possiamo affermare con eguale vigore a quello
espresso dalla Cassazione che la responsabilità
dell'accertamento patrimoniale spetta al tutore e
non ad altri. In una sessione del seminario, tenutosi presso il Tribunale di Torino, è stata affermata la valenza pubblicistica degli istituti posti a
tutela della persona debole o incapace e proprio
sulla base di tale assunto si può qualificare il
tutore quale ausiliario del giudice, nella sua attività di accertamento patrimoniale, osservando
pertanto che le sue dichiarazioni al riguardo hanno valenza pubblica, fanno pubblica fede. Ne
discende, quale naturale conseguenza logica, che
l'esclusione dell'inventario mediante il ministero
del pubblico ufficiale può configurarsi, non con
riferimento al valore del patrimonio ma, alla certezza dello stesso in quanto il verbale d'inventario per atto pubblico nulla aggiungerebbe a quanto accertato dal tutore.
Sottolineo ancora che la responsabilità del tutore
al riguardo viene avvalorata dalla prescrizione del
giuramento relativo alla sincerità dell'inventario.
L'inventario, con il ministero del pubblico ufficiale, potrebbe rendersi necessario laddove si rinvengano nel patrimonio arredi e gioielli di particolare importanza e rilevanza economica.
Possiamo dunque affermare con sufficiente certezza che non è mai configurabile l'esonero dal
compiere l'inventario che comunque va eseguito,
si può al più configurare la superfluità dell'ausilio
del pubblico ufficiale dove il patrimonio sia certo.
L'inventario però non soddisfa ancora la necessarietà di ciò che può essere ricompreso in un accertamento patrimoniale anche letto nell'ottica di un
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
recupero di tutto ciò che sia stato indebitamente
sottratto al soggetto debole, al soggetto incapace.
Procedere all'inventario di un patrimonio già
ridotto considerevolmente, da parenti, familiari,
vicini, appare più come una farsa, che non come
un vero atto di natura cautelare. Non è rara la circostanza di un erede che chiusa la tutela per
decesso dell'interdetto, esaminando il rendiconto
ne scopre la regolarità formale, ma constata come
il parente arrivò all'interdizione già deprivato di
rilevanti somme, mai inventariate e dichiarate.
Per evitare pertanto una forma di fariseismo giuridico, passatemi l'espressione, è necessario che
nella fase di accertamento si proceda a ritroso nel
quinquiennio precedente all'interdizione, utilizzando al riguardo gli artt. 428, 591, 775, 1425,
1427 ss, 1448 c.c., in tema di rescissione per
lesione, di contratti aleatori. In materia successoria, o meglio per le successioni ereditarie, bisognerebbe procedere alla verifica di pretermissioni o di lesioni di quota della legittima nelle delazioni testamentarie. Anche tale diritto dovrebbe
ricomprendersi nella fase di accertamento del
patrimonio del soggetto sottoposto a tutela. Così
come si dovrebbe verificare l'utilizzo delle disposizioni in tema di divisione disposta dal testatore,
nonché delle norme in tema di rescissione della
divisione per lesione oltre il quarto così come
contemplato dall'art. 763 c.c..
Solo mediante tale attività è possibile pensare ad
una tutela sostanziale del soggetto incapace, per
ridare al medesimo quanto possa garantire una
vita dignitosa e non al limite della povertà. L'attività del tutore, dovrà essere supportata da una
perizia, medico-legale, diretta ad accertare il
momento in cui le facoltà di raziocinio e volitive
dell'interdetto potevano dirsi compromesse.
Osservo ancora, per chi nutrisse dubbi sulla lettura offerta, che l'espressione “inventario dei
beni”, va letta: “inventario del patrimonio”, nel
patrimonio di un soggetto si rinvengono un complesso di rapporti giuridici che sicuramente
ricomprendono il diritto di un soggetto di procedere con l'impugnazione di quegli atti che per le
circostanze in cui vennero compiuti risultano di
chiaro pregiudizio, in altri termini ogni soggetto
ha il diritto di agire per la tutela di sè e del proprio patrimonio. Il diritto ad agire per l'annullamento di un contratto, di un atto, per la risoluzione o rescissione di un contratto, sono diritti
accertabili e costituiscono sicuramente oggetto
da ricomprendersi in un patrimonio.
Quanto affermato può connotare il concetto di
doverosità di ricorso o segnalazione da parte dei
servizi, perché dà contenuto all'espressione “a
conoscenza di fatti tali”.
In questo, si può configurare la responsabilità del
15
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
tutore, dell'amministratore di sostegno ed in via
preliminare di tutti quei soggetti investiti dalla
legge quali legittimati e tenuti ad adire l'autorità
giudiziaria, senza per questo escludere una diretta responsabilità del Giudice tutelare, dati i poteri di vigilanza e azione d'ufficio prevista, questa
ultima, in modo espresso dalla nuova normativa
che andiamo commentando.
Sotto il profilo patrimoniale, anche l'accertamento a ritroso dovrà essere confortato da puntuali
interventi peritali, su incarico d'ufficio o dietro
richiesta del tutore o dell'amministrazione di
sostegno.
Per concludere ritengo importante sottolineare
che i procedimenti di volontaria giurisdizione
sono retti dal principio inquisitorio e non dal
principio della domanda, come per il procedimento contenzioso. Il Giudice è pertanto sganciato da quanto richiesto dal tutore o dall'istante,
potendo superare ogni dato su cui è fondato il
ricorso proprio in ragione del principio inquisitorio che regge l'intero procedimento.
La normativa che ha introdotto l'istituto dell'amministrazione di sostegno, non prevede in modo
espresso l'obbligo per l'amministratore di sostegno
di procedere all'inventario del patrimonio del
beneficiario, limitarsi però a tale constatazione,
come più volte è stato ribadito, nel seminario indicato, è fuorviante e contraddittorio rispetto alla
necessità di articolare un progetto d'intervento e di
sostegno adeguato a favore del beneficiario.
Opportuno è ripercorrere il dato normativo al fine
di individuare i presupposti che giustificano un
adeguato accertamento patrimoniale ed eventualmente un inventario formale e ciò anche alla luce
dei graduati abbinamenti propostivi.
In via preliminare è essenziale osservare che la
legge istituisce, si dice nella rubricazione della
stessa in Gazzetta Ufficiale, l'amministrazione di
sostegno. Il termine amministrazione ha una
valenza esclusivamente patrimoniale, quale logica
conseguenza è che non si può compiere alcun atto
di amministrazione di un patrimonio se non si
conosce il contenuto dello stesso, di quali atti il
giudice prevede l'intervento esclusivo dell'amministratore di sostegno in rappresentanza del beneficiario o prevede l'assistenza dell'amministratore,
se in via preliminare non ne accerta il presupposto
e cioè l'esistenza del patrimonio da amministrare
e la cui amministrazione è funzionale alla qualità
di vita del beneficiario e per cui la legge si pone a
tutela dei suoi bisogni e aspirazioni.
L'art. 404 c.c. parla di “interessi”.
L'art. 405 c.c. in tema di competenza del Giudice
tutelare ad emettere provvedimenti d'urgenza,
distingue quelli diretti alla cura della persona, da
quelli diretti alla conservazione e l'amministra16
AIAF RIVISTA 3/2004
zione del patrimonio del beneficiario. Osservo da
subito che fra gli atti di natura conservativa e
cautelare si può annoverare anche l'inventario o
comunque l'accertamento del patrimonio che
l'amministratore di sostegno dovrebbe essere
chiamato a compiere.
Osservo ancora che il concetto di conservazione
è un concetto che non va letto nella sua valenza
negativa e statica, ma nella sua valenza positiva e
dinamica a tal punto che anche l'atto di alienazione di un bene può assumere un significato conservativo rispetto all'intero patrimonio. Il Tribunale di Torino in un caso specifico ammise la
natura conservativa della singola alienazione
rispetto all'intero patrimonio, in via esemplificativa si pensi al manufatto immobiliare cadente ed
in pessime condizioni manutentive tali da paventare il serio rischio di danni a terzi ed il progressivo svilimento economico dello stesso ed in
assenza di liquidità per gli interventi di ripristino.
Atto di natura conservativa è l'apposizione di
sigilli, che per la rimozione deve essere seguito
da inventario formale.
L'art. 407 comma 3° si esprime “Il giudice tutelare provvede, assunte le necessarie informazioni…” e le informazioni devono essere necessariamente anche di natura patrimoniale, in difetto il
decreto sarebbe monco, perché di amministrazione non si potrebbe parlare ma, solo di sostegno.
Prosegue: “Dispone altresì, anche d'ufficio, gli
accertamenti di natura medica e di tutti gli altri
mezzi istruttori utili ai fini della decisione”.
Quali sono gli altri mezzi istruttori utili? Sicuramente si possono disporre perizie dirette ad
accertare il contenuto patrimoniale al fine di verificare l'eventuale maltolto giustificando l'amministrazione di sostegno per promuovere eventuali
azioni civilistiche che diversamente il soggetto
beneficiario non sarebbe in grado si sostenere.
Ricordo il caso di una signora ormai pensionata
che colpita da ingravescente demenza senile,
consentì delega sui suoi conti ai nipoti, che a colpi di prelievi allora anche di £ 10.000.000 settimanali hanno ridotto la zia quasi in povertà, con
sfratto in corso perché morosa, ormai deprivata
non solo del patrimonio ma della dignità di una
vita decorosa, igienicamente adeguata ed
ambientalmente idonea.
I nipoti richiesti non ricordavano i motivi dei prelievi, così affermarono e si limitarono ad indicare che la zia era generosa.
L'art. 411 (Norme applicabili all'amministrazione
di sostegno) afferma che i provvedimenti di cui
agli articoli 375 e 376 sono emessi dal giudice
tutelare ed ancora all'ultimo comma prevede: “Il
giudice tutelare, nel provvedimento con il quale
nomina l'amministratore di sostegno, o successi-
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
vamente, può disporre che determinati effetti,
limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni
di legge per l'interdetto e l'inabilitato, si estendano al beneficiario dell'amministrazione di sostegno, avuto riguardo all'interesse del medesimo ed
a quello tutelato dalle predette disposizioni.”
Quanto riportato include sicuramente l'ipotesi
dell'inventario e degli accertamenti patrimoniali
in genere, norma che va riletta alla luce del percorso ermeneutico che ho rappresentato in tema
di inventario di tutela.
Ritengo che con tranquillità si possa affermare
che un completo provvedimento di apertura di
amministrazione di sostegno non possa prescindere da un adeguato accertamento patrimoniale,
che per le forme si può spingere fino al formale
inventario redatto con il ministero del cancelliere
o del notaio.
Richiamo la puntuale osservazione della dottoressa Turino che nel citato convegno ha affermato: “La messa a sistema della domiciliarità inderogabilmente:… richiede la definizione dei criteri di reddito e dei limiti di spesa a carico comunale (essendo la possibilità di intervento da parte dell'ente pubblico limitate devono necessariamente tenere conto delle condizioni di povertà o
ricchezza del soggetto, garantendo priorità ai
meno abbienti)”.
Da parte di uno dei nostri Senatori promotori della legge 6/2004, ho sentito affermare che per avere contezza del patrimonio del beneficiario sarà
sufficiente sentire le persone legittimate ad intervenire nel procedimento: direi che, assunto quanto sopra, la soluzione prospettata appare riduttiva
e lontana dalla complessa e variegata realtà dei
casi che la vita propone; il Senatore parlava definendo l'amministrazione di sostegno di diritto
mite, elastico, definizioni sicuramente entusiasmanti, ma limitare la fase di accertamento ad
una mera richiesta ai parenti o al convivente
appare riduttiva e pericolosa se non soddisfa il
bisogno di certezza che sottende al nuovo istituto
introdotto.
Avviandomi alla conclusione di questo breve elaborato non posso evitare di soffermarmi sull'art.
411 c.c. e sulle possibili incongruenze ed effetti
della previsione normativa.
Il legislatore usando l'espressione “per quanto
compatibili” richiama ed estende all'amministrazione gli articoli da 349 a 353 e da 374 a 388
nonché gli artt. 596, 599, 779 c.c.
Affermando al 3° comma che “sono in ogni caso
valide le disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore dell'amministratore di sostegno”,
che sia parente entro il quarto grado del beneficiario ovvero sia coniuge o persona che sia stata
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
chiamata alla funzione in quanto con lui stabilmente convivente.
L'art. 591 c.c. in materia di capacità di testare,
enuncia che non sono capaci di testare gli interdetti per infermità di mente e che possono disporre per testamento tutti coloro che non sono
dichiarati incapaci dalla legge. Tale disposto non
è richiamato dall'art. 411 c.c. e pertanto non
applicabile al soggetto beneficiario dell'amministrazione di sostegno a cui è concessa la
capacità di testare. Ma ci si può chiedere se il
giudice possa escludere la capacità di testare del
beneficiario direttamente con un suo provvedimento, o con diversa tecnica.
Il fatto che l'art. 411 preveda la validità delle
disposizioni testamentarie, in ogni caso, se fatte a
favore dei soggetti indicati, consente di configurare l'ipotesi che tale capacità possa essere ablata
e che qualora il testatore versasse in condizioni
tali da veder compromessa e viziata la sua
volontà, che in tema di testamenti deve essere
sovrana ed autonoma, il testamento è comunque
valido se fatto a favore di quei determinati soggetti, se amministratori di sostegno.
Quale tecnica potrebbe usare il G.T. per poter
ablare la capacità di testare del beneficiario dell'amministrazione di sostegno?
L'art. 411 c.c. ultimo comma prevede che il Giudice tutelare possa, o con il decreto di nomina o
successivamente, disporre effetti, limitazioni o
decadenze previsti per l'interdetto. In altri termini il G.T. potrebbe, in linea teorica, estendere gli
effetti di cui all'art. 591 c.c., ciò però potrebbe far
scattare la necessità di segnalare al Pubblico
Ministero per l'avvio del procedimento di interdizione, assimilando, con un provvedimento del
genere, il beneficiario all'”infermo di mente”.
Comunque si voglia risolvere la problematica
sollevata, rimane la scelta di campo fatta dal legislatore con l'espressione “sono in ogni caso valide”. A tal riguardo osservo però che tale espressione rende incompatibile la norma (Art. 596
c.c.) per il beneficiario dell'amministrazione di
sostegno, perché l'art. 411 c.c. ultimo comma è di
portata più ampia, non ponendo i limiti di cui
all'art 596 c.c. e quindi le nullità previste.
Sempre in tema di testamento v'è da chiedersi se
l'amministrato in preda ad una alterazione psichica momentanea decida, nelle sue ideazioni, di
formulare un testamento a favore del parente
amministratore e si rechi dal Notaio chiedendo di
riceverlo in forma pubblica, il Notaio lo potrà
ricevere perché comunque la disposizione è fatta
salva dalla norma (art. 411 c.c.)? Ed ancora, se si
configurasse l'ipotesi dell'amministrato a cui è
stata ablata la capacità di testare, può il Notaio
con tranquillità ricevere l'atto perché fatto salvo
17
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
nei casi previsti dall'art. 411 c.c.?
Ancora da non trascurare, sempre in tema di
testamento del beneficiario, la nuova previsione
che fa salve le disposizioni di ultima volontà fatte a favore di chi convive stabilmente e riveste
l'ufficio di amministratore di sostegno. Il Notaio
chiamato a ricevere il testamento a favore di tal
soggetto come potrà avere la certezza della stabile convivenza? Convivenza è quella more uxorio,
quella omosessuale, quella di due amici che condividono interessi, passioni, ed eventuali comproprietà? E qualora la convivenza cessasse dopo
la redazione del testamento, questo è valido
comunque?4
Altre problematiche sorgono sul termine “CONVENZIONE” sempre nell'ambito operativo dell'art. 411 c.c., 3°c.. Cosa si intende per “convenzione”? Qui il legislatore ha dato materia di
discussione sia per la dottrina che per la giurisprudenza: quando parla di convenzioni, si riferisce a qualsiasi contratto?
In dottrina, nel commento all'art. 388 c.c. richiamato dall'art. 411 c.c. si ritiene che il termine
convenzione possa essere tradotto “in qualsiasi
AIAF RIVISTA 3/2004
atto negoziale”5.
Anche per l'ipotesi della “convenzione” vale
quanto detto in tema di testamento rispetto all'art.
779, in quanto l'espressione “sono in ogni caso
valide” ha portata più ampia dell'articolo richiamato in tema di donazione.
Un rilievo ulteriore necessita rispetto al richiamato art. 378 c.c. rubricato “Atti vietati al Tutore
ed al Protutore”.
La previsione che le “convenzioni”, quindi ogni
atto negoziale, fatte a favore dell'amministratore
di sostegno che sia parente entro il quarto grado,
coniuge o persona stabilmente convivente, sono
“in ogni caso valide”, vanifica il divieto di cui
all'art. 378 c.c., richiamato dall'art. 411 c.c..
Le implicanze dell'art. 411 c.c. sono numerose e
di non immediata lettura anche con riferimento
alle così dette “preclusioni di diritto”, di cui si
trova traccia nei lavori preparatori.
Il tema però necessita di un ulteriore elaborazione.
* Studio notarile Lobetti Bodoni di Torino, già Giudice Tutelare Onorario presso il Tribunale di Torino
sede e sez. distaccata di Ciriè
NOTE
1
V. Egida, Raccolta atti Convegni 2003 - 2004 sul tema Amministrazione di sostegno, profili di diritto comparato e progetto di legge
2
Calò, Amministrazione di sostegno. Legge 9 gennaio 2004, n. 6, Giuffrè, Milano 2004, 69.
3
Spallarossa, Trust e soggetti deboli, in Il Trust nel Diritto delle Persone e della Famiglia, Giuffrè, Milano 2003, 143.
4
Marcoz, Riflessioni in tema di amministrazione di sostegno, n. 5-6-7, 15-31 marzo 15 aprile 2004, da “IL NOTARO”, Roma.
5
Stella Richter - Sgroi, Comm., Delle persone e della famiglia, UTET.
BIBLIOGRAFIA
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M. Pronello, Cecità e ordinamenti giuridici, Elessa Morea Editore, Torino 2003.
G. Oberto, I Regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Giuffrè, Milano 1991.
E. Calò, Le convivenze registrate in Europa, Giuffrè, Milano 2000.
E.V.Napoli, L'infermità di mente, l'interdizione, l'inabilitazione, Giuffrè, Milano 1995.
M. C. Venuti, Integrità della persona e multietnicità, in FAMILIA, rivista di diritto della famiglia e delle successioni in Europa, Giuffrè, n.
3/2003.
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E. Calò, Amministrazione di sostegno - Legge 9 gennaio 2004 n. 6, Giuffre, Milano 2004.
G. Marcoz, Riflessioni in tema di amministrazione di sostegno, in IL NOTARO, n. 5-6-7/2004
P. Lorefice, L'amministrazione dei beni degli incapaci, CEDAM, 1996.
G. Santarcangelo, La volontaria giurisdizione, vol. II, Giuffrè, Milano, 2003.
L. Milone, L'amministrazione di sostegno, in Familia, n. 3/2004, Giuffrè, Milano.
M.Dogliotti - A. Braun, Il trust nel diritto delle persone e della famiglia, Giuffrè, Milano 2003.
U. Morello, L'amministratore di sostegno (dalle regole ai principi), in Notariato, IPSOA, n. 3/2004.
18
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
FINALITÀ DELLA LEGGE 6/04 E VALUTAZIONI SULLA SUA APPLICAZIONE A UN ANNO DAL VARO
PIERCARLO PAZÈ*
LA PROTEZIONE DELLE PERSONE NON
AUTONOME
1. LE RAGIONI DI UNA RIFORMA
introduzione nel nostro ordinamento
dell'amministrazione di sostegno, avvenuta con la legge 9 gennaio 2004 n. 6,
risponde ad una necessità da tempo avvertita di
più completa tutela giuridica delle persone
deboli.
Gli istituti tradizionali di interdizione e inabilitazione, finalizzati a limitare la capacità di agire
delle persone definite inferme di mente, da tempo apparivano inadeguati a questo scopo. L'assicurare una rappresentanza o un'assistenza ai
beneficiari non compensava il pregiudizio prodotto con l'annullare o ridurre rigidamente i loro
diritti, senza prendere in considerazione i diversi
livelli di infermità. Inoltre la generale privazione
della capacità di agire portata dall'interdizione,
anche rispetto a quelle attività che la persona
poteva continuare a svolgere, urtava con le nuove
forme curative trattamentali che puntano a recuperare e potenziare le capacità residue dell'infermo di mente, mentre l'inabilitazione era di scarsissima utilità. Parallelamente queste misure
venivano avvertite come dolorose e addirittura
rifiutate per l'etichetta che attribuivano agli interessati e che in, qualche modo, ricadeva anche
sulle loro famiglie.
Finalmente, dopo che da tempo gli altri Paesi
europei già vi avevano provveduto, anche l'Italia
ha rivisitato l'intera materia. La nuova disciplina,
inserita nel libro I, titolo XII, capi I e II del codice civile, introduce la misura dell'amministrazione di sostegno (artt. 404-413 cod. civ.) e apporta
dei ritocchi all'interdizione e l'inabilitazione
(artt. 414-433 cod. civ.).
Le misure, diventate tre, hanno effetti diversi sulla capacità di agire.
a. Nell'amministrazione di sostegno la persona
menomata o inferma viene sostituita nel compimento di determinati atti e assistita nel compimento di altri atti da un amministratore,
mentre conserva la capacità di agire per tutti
gli altri atti (art. 405, comma 5, cod. civ.).
b. Nell'interdizione la persona abitualmente
inferma di mente è sostituita da un tutore nel
compimento degli atti che la concernono, con
L’
l'eccezione degli atti di ordinaria amministrazione che sia stata autorizzata a compiere senza l'intervento o con l'assistenza del tutore
(art. 427, comma 1, cod. civ.).
c. Nell'inabilitazione la persona soggetta non
può compiere senza l'assistenza di un curatore
gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione,
ma può essere autorizzata a compiere alcuni
atti senza tale assistenza (art. 427, comma 1,
cod. civ.).
Pertanto il beneficiario nell'amministrazione di
sostegno conserva una generale capacità di agire,
meno per gli atti per i quali un giudice ha deciso
che debbano essere compiuti con la rappresentanza esclusiva o l'assistenza dell'amministratore,
mentre il beneficiario dell'interdizione o dell'inabilitazione ha una capacità di agire annullata
(nell'interdizione) o ridotta (nell'inabilitazione)
in via generale, salvo per gli atti permessi da un
giudice.
L'amministrazione di sostegno è meno mortificante delle capacità di agire rispetto all'interdizione e può determinare una riduzione della
capacità di agire più lieve dell'inabilitazione, per
esempio quando l'amministratore è nominato per
il compimento di un singolo atto di ordinaria o
straordinaria amministrazione.
2. I PRINCIPI CHE ISPIRANO LA NUOVA DISCIPLINA
e linee della nuova disciplina rispondono
alle moderne concezioni di trattamento delle persone disabili.
a. Dall'obiettivo della privazione dei diritti, che
riduce l'interdetto a una “non persona”, si passa
a dare alla persona un sostegno nelle sue disabilità e a riconoscere le sue capacità residue.
b. Tutte le misure di protezione hanno contenuti
duttili, adattati nel momento iniziale e in ogni
momento successivo alle disabilità diverse e
variabili e ai conseguenti bisogni di protezione
di ciascuna persona, con la rinuncia a tracciare
istituti giuridici uguali per tutti e stabili nel
tempo. L'amministrazione di sostegno ha la
maggiore flessibilità, poiché consente di ritagliare un vestito disegnato secondo le esigenze
della singola persona, offrendole delle aree e
dei momenti di protezione come e quando si
rivela necessario, senza arrivare mai ad una
totale esclusione della sua capacità di agire.
c. Si allarga l'area dei beneficiari potenziali delle
misure di protezione: essi sono non solo le
persone in condizione di abituale infermità di
L
19
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
mente, ma anche tutti coloro che, per effetto di
un'infermità ovvero una menomazione fisica o
psichica, sono privi in tutto o in parte di autonomia nello svolgimento delle funzioni della
vita quotidiana (art. 1 legge n. 6/2004), trovandosi per questo motivo nell'impossibilità,
anche parziale o temporanea, di provvedere ai
propri interessi. In questo modo le misure
diventano strumenti delle politiche sanitarie e
assistenziali di uno Stato sociale verso i soggetti deboli.
d. Nella scelta delle misure e nella determinazione dei loro contenuti ci si deve prefiggere “la
minore limitazione possibile della capacità di
agire” (art. 1 legge n. 6/2004), assicurando una
invasività limitata alle reali necessità della
persona. Esse si attivano quando sono necessarie per assicurare ad una persona disabile
una protezione di fronte ad un danno attuale o
temuto e va preferita la misura più leggera sufficiente a assicurare tale protezione. Perciò
non si deve sottoporre ad una misura di protezione chi, affetto da una menomazione o un'infermità che gli impedisce in qualche modo di
provvedere a se stesso, è già protetto perché è
seguito e curato dai suoi familiari e non è
necessario che a suo vantaggio sia attivata una
rappresentanza sostitutiva per qualche attività
specifica o in via generale. Ciò perfino nei
casi più gravi di decadimento progressivo delle facoltà mentali, connotati da perdita della
memoria o della capacità critica, indifferenza
affettiva, tendenza alla perdita di ogni interesse e riduzione dell'attività motoria fino al totale immobilismo, in persone anziane o in persone colpite dal morbo di Alzheimer. In questo
senso devono essere lette le disposizioni che la
persona può essere assistita da un amministratore di sostegno (art. 404 cod. civ.) e che le
persone possono essere interdette (art. 414
cod. civ.) o inabilitate (art. 415 cod. civ.).
Significativa in particolare è la modifica relativa all'interdizione apportata nell'art. 414 cod.
civ.: in precedenza le persone in condizione di
abituale infermità di mente che le rende incapaci di provvedere ai propri interessi dovevano essere interdette; oggi esse “possono essere
interdette” “quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione”.
e. Si vuole evitare, anche con una nuova terminologia, che la soggezione alle misure sia
avvertita come un marchio negativo che produce sofferenza nei beneficiari e nei loro familiari. La rubrica del titolo XII del libro primo
del codice civile, che contiene la materia, parla di “misure di protezione” destinate alle
“persone prive in tutto o in parte di autono20
AIAF RIVISTA 3/2004
mia”; i nomi “amministratore” e “amministrazione” hanno un significato neutro che non
definisce negativamente il beneficiario mentre
il “sostegno” evidenzia la finalità positiva di
aiuto alla persona. Purtroppo sono rimasti i
vocaboli “interdizione” e “inabilitazione” che
mantengono un senso comune di annullamento o limitazione della capacità di agire.
L'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
1. L'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO COME MISURA
ORDINARIA
ivenute tre le caselle delle misure di proD
tezione per le persone totalmente o parzialmente prive di autonomia, occorre
determinare quale scegliere per ogni situazione.
La questione è importante perché l'amministrazione di sostegno, l'interdizione e l'inabilitazione
sono disegnate come alternative: si è sottoposti a
amministrazione di sostegno, ovvero interdetti,
ovvero inabilitati. Se una persona è già interdetta
o inabilitata, perché possa applicarsi l'amministrazione di sostegno deve revocarsi l'interdizione o inabilitazione (art. 406, comma 2, cod. civ.)
e viceversa si chiude l'amministrazione se, a
seguito di interdizione o inabilitazione, si arriva
alla nomina di un tutore o curatore (art. 413,
comma 4, cod. civ.).
Inoltre, se è vero che il legislatore ha previsto
degli “scambi” di binari a procedure iniziate
(passaggio dalle procedure di interdizione o inabilitazione all'amministrazione di sostegno, art.
418, ult. comma cod. civ.; informazione del giudice tutelare al pubblico ministero perché si proceda ad interdizione o inabilitazione, art. 413,
comma 4 cod. civ.) è sempre meglio partire subito verso la destinazione che più risponde ai bisogni della persona interessata.
In linea generale l'amministrazione di sostegno va considerata la misura di protezione
ordinaria. Essa è la più appropriata perché
può essere costruita come risposta ai bisogni
più diversi di ogni persona privata o limitata
nell'autonomia e perché costituisce la misura
di protezione esclusiva per la maggior parte
delle situazioni. Non casualmente il legislatore
ha collocato la sua disciplina nel codice civile
al primo posto (artt. 404-413), precedendo l'interdizione e l'inabilitazione (artt. 414-432) e
ha obbligato i responsabili dei servizi sanitari
e sociali quando ne ricorrono le condizioni a
proporre ricorso o segnalazione per promuoverla (art. 406, comma 3, cod. civ.) mentre non
li ha legittimati al ricorso per l'interdizione o
l'inabilitazione.
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
2. LA PERSONA SOGGETTA AD AMMINISTRAZIONE DI
SOSTEGNO
amministrazione di sostegno è destinata
L’
alla persona che, per effetto di una infermità o una menomazione fisica o psichica, si
trova nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi (art.
410 cod. civ.). I suoi presupposti sono perciò
due: la malattia o la menomazione e l'impossibilità conseguente a tale stato di provvedere ai
propri interessi. Ciascuno dei presupposti, da
solo, non è sufficiente, e il primo deve essere
causa del secondo.
L'infermità consiste in una compromissione del
normale stato funzionale dell'organismo avente la
più varia natura (vi rientrano di disturbi della
personalità e i disturbi psicotici) e dovuta ai più
diversi fattori causali (origine genetica, congenita, da agenti esterni, da malnutrizione o mancanza di cure, psicogena o legata alla senescenza,
ecc.) mentre la menomazione comprende mutilazioni, lesioni, condizioni di handicap fisico o psichico. È essenziale che l'infermità o la menomazione siano di natura e portata tale da compromettere, temporaneamente o definitivamente,
parzialmente o totalmente, l'autonomia della persona nel provvedere ai propri interessi.
L'impossibilità di provvedere può riferirsi sia agli
interessi di cura della persona sia a quelli di conservazione e amministrazione del suo patrimonio,
sia agli interessi della persona e del patrimonio
congiuntamente, come il legislatore esplicitamente ricorda per i provvedimenti urgenti (art.
405, comma 4 cod. civ.). Infatti anche le attività
relative al patrimonio devono essere rivolte ad
assicurare la migliore qualità di vita della persona ovvero, con felice espressione usata dal legislatore (art. 1 legge n. 6/2004), a tutelarla nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana.
3. LO SPAZIO DEI NUOVI BISOGNI COPERTO
DALL'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
n primo pregio dell'amministrazione di
sostegno è che ampia la fascia dei soggetti
destinatari di una protezione giudiziaria. Essa
infatti occupa spazi che non venivano coperti,
e tuttora non possono esserlo, dalle misure di
interdizione e inabilitazione, destinate solo
alle persone in condizione di abituale infermità
di mente.
Perciò l'amministrazione di sostegno si applica,
anzitutto, alle persone che sono affette da una
infermità o menomazione fisica che non le rende
in grado, in tutto o in parte o anche temporaneamente, di esercitare i propri diritti o di soddisfare i propri bisogni vitali, rischiando per questo di
recare danno a se stesse o di essere danneggiate
U
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
dai terzi.
Vi rientra inoltre una utenza di persone che non si
possono definire come abitualmente inferme di
mente, secondo i criteri usuali di valutazione, ma
sono affette da una menomazione o infermità psichica che si rivela sul versante psichiatrico o
sono deboli nella mente per l'età o la malattia o
hanno la coscienza di sé indebolita dalla dipendenza dall'uso di sostanze stupefacenti o di alcolici, con danno per loro salute e/o i loro interessi.
Alcuni esempi possono indicare le potenzialità
della misura, che può essere utilizzata per casi
abbastanza comuni:
- persone molto semplici che non sanno spendere bene le loro risorse e vengono raggirate;
- persone che vivono in condizioni di isolamento sociale e di deterioramento abitativo che
bisogna rimuovere, destinando in modo specifico delle loro risorse alle esigenze di cura;
- persone deboli che sono incapaci di fare valere
i propri diritti (ottenimento di pensioni o
indennità di accompagnamento, riscossione di
affitti, accettazione delle eredità o ricerca dei
beni ereditati presso le banche per evitare che i
relativi diritti siano lasciati prescrivere, ecc.);
- persone deboli mentali o fragili psicologicamente che hanno bisogno che qualcuno stia
loro accanto con funzioni terapeutiche e di
aiuto a fare e a gestirsi;
- sofferenti psichici che hanno bisogno di un'organizzazione delle cure alla propria persona
attraverso una presenza integratrice, che spesso
è sufficiente per evitare l'istituzionalizzazione;
- persone con disturbi della personalità o con
comportamenti disordinati;
- persone in condizioni di salute precarie per le
quali appare necessario attribuire responsabilità di cura ai parenti, per esempio ad uno dei
figli;
- alcoldipendenti che indirizzano in prevalenza
al bere le risorse, non sono capaci di gestirsi e
conducono una vita disordinata;
- tossicodipendenti;
- e, perché no, i barboni, persone che quasi mai
sono interdette e cui nessuno pensa.
L'età avanzata di per sé non è una menomazione
ma può comportare menomazioni fisiche e psichiche che incidono sull'autonomia, per cui l'anziano talvolta non è più in condizione di provvedere a se stesso e ai propri interessi. L'amministrazione di sostegno può dunque essere una
misura di protezione efficace per la persona
anziana che non pensa a curarsi o si lascia andare con pericolo per la sua vita quotidiana (non
ritira la pensione o gli affitti, non si compra il
necessario per mangiare, non pulisce la casa, non
paga il canone di locazione o le utenze o le tasse
21
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
con le conseguenze di sfratto per morosità o di
interruzione delle utenze o di procedimenti esecutivi, non compra vestiti o non si scalda, rischia
di fare saltare in aria l'alloggio perché dimentica
il gas aperto, ecc.) o che ha bisogno di assistenza
nella gestione del patrimonio per non diventare
vittima di raggiri.
4. I CONFINI DELL'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO CON
L'INTERDIZIONE NEL CASO DI ABITUALE INFERMITÀ DI MENTE
ualche volta il soggetto che deve fruire di
una misura di protezione versa in una condizione di abituale infermità di mente, tale da
renderlo incapace di provvedere ai propri interessi. In questo caso fino alla riforma portata
dalla legge n. 6/2001 egli doveva essere interdetto. Oggi invece si deve scegliere fra l'interdizione (che può applicarsi alla persona abitualmente inferma di mente) e l'amministrazione di sostegno (che riguarda chiunque si trova
in uno stato di infermità o di menomazione
psichica, anche nello stato di infermità o
menomazione psichica assoluta e più grave), le
cui aree risultano sovrapponibili.
Dunque due sono le valutazioni prognostiche che
possono indirizzare verso l'interdizione: in negativo l'inidoneità in concreto dell'amministrazione
di sostegno; in positivo la necessità, nel senso di
indispensabilità, di arrivare alla misura più compressiva dell'interdizione per assicurare la protezione richiesta.
Al di fuori dei casi in cui, per proteggere talune persone, occorre veramente una limitazione
tendenzialmente totale della loro capacità di
agire, in tutti gli altri casi la finalità di tutelare le persone prive di autonomia con la minore limitazione possibile della capacità di agire
(affermata dall'art. 1 della legge n. 6/2004) fa
pendere l'ago della bilancia per l'amministrazione di sostegno1.
Si deve pertanto promuovere l'interdizione
quando per la protezione della persona inferma di mente e priva di ogni autonomia è necessaria una sua sostituzione tendenzialmente
generale e permanente con un tutore. Vi rientra anche l'ipotesi in cui il beneficiario infermo di mente non possa “in ogni caso” compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze
della propria vita quotidiana, perché nell'amministrazione di sostegno deve rimanere
comunque tale spazio di libertà per l'amministrato (art. 409, comma 2, cod. civ.). Ricadono
pertanto nell'interdizione le situazioni più
sfortunate e disperate, di particolare gravità e
di sicura irrecuperabilità, anche in questo caso
valutando la possibilità che il giudice secondo
le condizioni diverse di infermità di mente sta-
Q
22
AIAF RIVISTA 3/2004
bilisca che l'interdetto eserciti personalmente
un qualche residuo diritto compatibile con il
suo stato.
L'interdizione va però lasciata in un angolino
ristretto. Nella gran maggioranza dei casi, poiché non è necessaria una compressione generale di tutte le facoltà, si può e si deve ricorrere
all'amministrazione di sostegno.
In particolare ciò deve avvenire ogni volta che
una persona deve essere sostituita in pochi e
determinati atti o si devono compiere a suo favore atti o procedure burocratiche, mentre altri atti
non sono necessari in quanto la stessa disabilità
funziona da autotutela. In questi casi non c'è
ragione per vietare ad una persona atti che
comunque non compierebbe (impedire il matrimonio a chi è in coma irreversibile o al demente
senile in fase avanzatissima) o per designarle nel
tutore un rappresentante per tutti gli affari quando in realtà le attività specifiche necessarie sono
ridotte.
Seguendo questo criterio, l'amministrazione di
sostegno è largamente idonea e sufficiente quando in soccorso dell'infermo di mente occorre
provvedere alle seguenti attività:
- la riscossione della pensione o di assegni e il
prelievo dai risparmi per il pagamento della
retta dell'ospizio dell'anziano demente;
- lo svolgimento delle pratiche per pensioni o
assegni di accompagnamento (per ottenere un
qualsiasi beneficio previdenziale, assicurativo
o sociale, bisogna fare domande e sapere mettere delle firme);
- la stipula di divisioni ereditarie o vendite (il
notaio si rifiuta di redigere un atto perché la
persona non gli appare capace di esprimere
una valida volontà);
- l'accettazione di eredità;
- la richiesta in giudizio degli alimenti ai parenti.
L'amministrazione di sostegno inoltre appare
misura idonea e sufficiente nei casi di incapacità
assoluta permanente nello stadio terminale della
vita (il moribondo per cancro o ictus cerebrale
cui altri devono provvedere per tutto), di incapacità assoluta temporanea (la persona in coma
profondo per cui occorrono contratti di cura,
pagamenti delle prestazioni sanitarie, riscossioni
di stipendi) e di mancanze parziali di autonomia
(come i soggetti down).
All'amministratore di sostegno può essere attribuita la rappresentanza della persona priva di
autonomia nel compimento di ogni atto che
potrebbe compiere un tutore (come si ricava inequivocabilmente dall'art. 411, comma 4, cod.
civ.). Perciò non ricorre più la necessità di procedere alle cosiddette interdizioni sanitarie, pronunciate affinché un tutore dia il consenso infor-
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
mato al compimento di atti medici rifiutati dall'interessato, o alle cosiddette interdizioni assistenziali, rivolte ad obbligare una persona non
autonoma a una dimora coatta in ospizi di assistenza. Poiché la residua capacità della persona
deve in qualche modo essere presa in considerazione in scelte personalissime relative alla salute
e alla domiciliarietà, la misura più appropriata e
rispettosa per questi casi, che di frequente si
ripropongono nella loro drammaticità, non è l'interdizione ma la nomina di un amministratore di
sostegno che informi il beneficiario circa gli atti
da compiere, lo senta e tenga conto dei suoi bisogni, aspirazioni e richieste, con possibilità per il
beneficiario di ricorso al giudice tutelare.
Va peraltro considerato che per queste decisioni
dovrebbe essere valorizzata fin che si può la
capacità di fatto dell'interessato, a prescindere
dalla definizione legale del suo status. Che un
tutore - e soprattutto un tutore burocratico, quale
l'assessore ai servizi sociali di una grande città o un amministratore di sostegno possano sostituire la propria volontà a quella di un cittadino che
non voglia curarsi o rifiuti di essere istituzionalizzato, attuando una forma di trattamento coatto,
era ed è discutibile e appare addirittura ripugnante nei casi in cui un'interdizione venga pronunciata strumentalmente a tali fini. Quando poi un
soggetto si trovi nell'impossibilità assoluta di
manifestare qualsiasi volontà, e si sia fuori dell'ipotesi dello stato di necessità che impone un
intervento sanitario o di soccorso, è meglio riconoscere un potere di sostituzione ai parenti tenuti ad un compito di assistenza e protezione2.
5. I CONFINI DELL'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO CON
L'INABILITAZIONE
amministrazione di sostegno è diventata lo
strumento di protezione più idoneo anche
per le persone in stato di infermità di mente
non grave, che finora venivano inabilitate.
Il regresso dell'inabilitazione non merita rimpianti. Nella pratica c'era una disaffezione rispetto a
questa misura, ormai caduta in desuetudine per i
sordomuti o i ciechi dalla nascita o dalla prima
infanzia che non abbiano ricevuto una educazione sufficiente e ritenuta di scarsa utilità per le
persone in stato di infermità di mente lieve. Essa
è utile praticamente solo per scoraggiare i terzi
dal compiere con l'inabilitato degli atti di disposizione immobiliare, che sarebbero annullabili se
compiuti senza l'assistenza del curatore e l'autorizzazione del tribunale. Lo stato di inabilitazione non impedisce però che l'interessato sperperi
il suo denaro con tanti singoli atti di liberalità o
con spese voluttuarie ripetute rientranti nell'ordinaria amministrazione. Soprattutto, l'assistenza
L’
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
del curatore non costituisce un accompagnamento alla persona e non assicura il compimento in
suo favore di atti che questi non voglia o possa
effettuare. Un disabile si danneggia più spesso
perché non esercita dei diritti o non adempie dei
doveri (non paga le tasse o l'affitto o le bollette,
non riscuote la pensione, ecc.) che per il fatto di
compiere degli atti patrimoniali dannosi. A tutti
questi scopi appare più idonea la protezione assicurata da un'amministrazione di sostegno.
Se l'inabilitazione in generale serve a poco, si
può ancora continuare ad applicarla a chi, per
prodigalità, espone sé o la propria famiglia a
gravi pregiudizi economici. Il prodigo che non
sia affetto da infermità o menomazione fisica o
psichica non può avere un amministratore di
sostegno, ma se ha dei patrimoni importanti
l'inabilitazione può costituire una remora al
perfezionamento di atti di disposizione patrimoniale dannosi con i terzi.
LA PROCEDURA DELL'AMMINISTRAZIONE DI
SOSTEGNO
1. LA COMPETENZA DEL GIUDICE TUTELARE
ormalmente la procedura per l'amministrazione di sostegno inizia avanti al giudice
tutelare. Anche quando sia promossa nell'ultimo anno prima della maggiore età (art. 405,
comma 2, cod. civ.), affinché l'amministratore
operi a decorrere dal diciottesimo anno, il
ricorso deve essere proposto al giudice tutelare e non al tribunale per i minorenni. Il giudice tutelare viene così rivitalizzato come sportello periferico della giustizia della persona,
prossimo ai bisogni e facilmente accessibile.
La procedura si svolge davanti al giudice tutelare
sia nella prima fase che porta all'istituzione dell'amministrazione, sia nella seconda fase della
sua gestione. In ciò essa si differenzia dalla procedura di interdizione e inabilitazione, anch'essa
bifasica, che nella prima fase fino alla sentenza di
interdizione o inabilitazione si svolge avanti al
tribunale ordinario o al tribunale per i minorenni
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23
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
e nella fase di gestione della tutela o curatela
diventa competenza del giudice tutelare.
La procedura segue il rito definito di camera di
consiglio, anche se recepisce alcune regole della
procedura contenziosa dell'interdizione (art. 720bis cod. proc. civ.).
La procedura è completamente gratuita, proprio
perché rivolta a realizzare finalità dello Stato di
protezione degli incapaci. Perciò gli atti e i provvedimenti non sono soggetti all'obbligo di registrazione (e dunque al pagamento della tassa di
registro) e sono esenti dal contributo unificato
richiesto per gli ordinari procedimenti civili (art.
46 bis, disp. att. cod. civ.). Chi vi ricorre deve
pagare solo le spese per il rilascio di copia di atti
e le spese richieste dall'ufficiale giudiziario per
l'esecuzione delle notifiche.
2. I SOGGETTI LEGITTIMATI A PROPORRE RICORSO
olti soggetti sono legittimati a proporre
azioni formali per promuovere l'amministrazione di sostegno. Due vi sono obbligati
quando sono a conoscenza di una situazione
che lo impone, il pubblico ministero e i
responsabili dei servizi sanitari e sociali; tre
altri soggetti ne hanno facoltà, i parenti, i conviventi stabili e l'interessato.
Prevedendo una legittimazione concorrente del
pubblico ministero e dei responsabili dei servizi
sanitari e sociali il legislatore ha voluto che la
protezione della persona priva in tutto o in parte
di autonomia diventi effettiva. Si è inteso ovviare al fenomeno diffuso dell'inerzia del pubblico
ministero relativamente alla promozione di interdizione e inabilitazione, aggiungendo quali titolati all'iniziativa per l'amministrazione di sostegno i servizi che hanno un compito istituzionale
di protezione dei soggetti deboli, sono direttamente a conoscenza delle situazioni su cui intervenire e possono meglio farsene portatori.
Il pubblico ministero è legittimato a promuovere
l'amministrazione di sostegno perché è la parte
pubblica che interviene nella cause riguardanti la
capacità delle persone (art. 70, comma 1, n. 3,
cod. proc. civ.). Il fatto che la persona impossibilitata a provvedere ai propri interessi “può” essere assistita da un amministratore di sostegno non
attribuisce al pubblico ministero una mera facoltà
di ricorso, dovendo egli attivarsi ogni volta che
ne ravvisi le condizioni.
La legittimazione ad attivare l'amministrazione
di sostegno dei responsabili dei servizi sanitari e
sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona costituisce una novità in
senso assoluto. Di norma i servizi sanitari e
sociali hanno solo facoltà o doveri di segnalazione, di denuncia o di referto all'autorità giudizia-
M
24
AIAF RIVISTA 3/2004
ria. In questo caso invece i responsabili dei servizi sanitari e sociali, ove a conoscenza di fatti tali
da rendere opportuna l'apertura del procedimento, sono tenuti a presentare ricorso direttamente
al giudice tutelare ovvero, in alternativa, a procedere alla segnalazione al pubblico ministero (art.
406, comma 3, cod. civ.). I servizi non possono
invece ricorrere per promuovere l'interdizione o
l'inabilitazione.
Gli altri soggetti che possono presentare ricorso
per l'amministrazione di sostegno sono i parenti
entro il quarto grado (vi rientrano gli ascendenti,
gli zii, i cugini primi), il coniuge, gli affini entro
il secondo grado (il coniuge di un genitore o di un
nonno, i cognati, i generi e le nuore). Ad essi si
sono aggiunti i conviventi stabili del beneficiario, che possono meglio rendersi conto dei suoi
bisogni.
Infine lo stesso interessato, anche se minore di
età ma ultradiciassettenne, e anche se interdetto o
inabilitato, può proporre ricorso per l'istituzione
a suo favore di una amministrazione di sostegno.
Il sostegno attraverso una amministrazione
diventa così un diritto direttamente esigibile dal
beneficiario.
Dal fatto che la procedura ha natura di volontaria
giurisdizione, si deduce comunemente che le parti private (parenti e affini, coniuge, conviventi,
soggetto beneficiario) possono presentare ricorso
personalmente o, in alternativa, farsi rappresentare e difendere da un avvocato (richiedendo, se lo
vogliono e ne ricorrono le condizioni, il patrocino a spese dello Stato. La questione è però controversa.
Invece appare chiaro che i servizi possono depositare al giudice tutelare ricorso per l'amministrazione di sostegno in proprio, senza dovere essere
assistiti da una difensore tecnico.
3. IL RICORSO
l ricorso per l'amministrazione di sostegno
deve indicare, oltre che i dati del ricorrente,
le generalità del beneficiario, la sua dimora
abituale, le ragioni per cui si richiede la nomina dell'amministratore, il nominativo e il
domicilio (se conosciuti) del coniuge, dei
discendenti, degli ascendenti, dei fratelli e dei
conviventi del beneficiario (art. 407, comma 1,
cod. civ.).
Essenziale è una esaustiva elencazione delle
ragioni per cui si chiede l'amministrazione di
sostegno, al fine di individuare i bisogni della
persona beneficiaria e i compiti di sostituzione e
di assistenza che dovrebbero essere attribuiti
all'amministratore. Il ricorso perciò deve illustrare brevemente le infermità o menomazioni della
persona eventualmente con il corredo di una
I
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
documentazione sanitaria, spiegare che per effetto di esse la persona non può provvedere in tutto
o in parte ai propri interessi di cura e di buona
amministrazione patrimoniale, indicare con chi la
persona vive e quale è la sua situazione patrimoniale e reddituale, proporre le attività di sostituzione o di assistenza che potrebbero essere attribuite all'amministratore. Il ricorso non va riempito con altri formalismi, perché sarà poi il giudice
tutelare a richiedere le informazioni e a disporre
gli accertamenti.
Il ricorso presentato dai servizi sanitari o sociali
potrebbe essere corredato da una relazione che
racconti vicende personali e familiari, condizioni
di salute, bisogni e desideri della persona interessata.
Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria
del giudice tutelare del luogo dove la persona
interessata ha residenza o domicilio.
4. IL PROCEDIMENTO
l procedimento per l'istituzione dell'amministrazione di sostegno segue alcune regole
elementari (indicate dall'art. 407 cod. civ. e
dall'art. 720 bis cod. proc. civ., che dispone
l'applicazione, in quanto compatibili, delle
disposizioni degli art. 712, 713, 716, 719 e 720
cod. proc. civ.).
Ricevuto il ricorso, il giudice tutelare fissa con
decreto il giorno e l'ora dell'udienza in cui devono comparire avanti a lui il ricorrente, la persona
proposta come beneficiaria dell'amministrazione
e le persone indicate nel ricorso le cui informazioni ritenga utili (artt. 720 bis - 713, comma 1,
cod. proc. civ.).
Il ricorso e il decreto che dispone la comparizione devono essere portati a conoscenza della persona interessata all'amministrazione, la quale può
perciò contraddire e difendersi, e delle persone
indicate nel decreto, e comunicati al pubblico
ministero (artt. 720 bis - 713, comma 2, cod.
proc. civ.). A tale fine essi devono essere notificati, a cura del ricorrente, a mezzo dell'ufficiale
giudiziario. Alcuni ritengono però che, come
avviene di norma nei procedimenti in camera di
consiglio, essendo in gioco interessi pubblici
caratterizzati da un'ampia possibilità di azione di
ufficio, il ricorso e il decreto debbano essere
notificati a cura della cancelleria, che procederà
tramite ufficiali giudiziari. Come soluzione intermedia altri propongono che il ricorrente debba
provvedere a fare notificare il ricorso e il decreto
a mezzo di ufficiale giudiziario al solo beneficiario, mentre la cancelleria provvederebbe a convocare con biglietti di cancelleria gli altri soggetti.
Non essendo ancora chiara la modalità, è opportuno che chi ricorre si informi presso ogni tribu-
I
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
nale sul modo in cui in quell'ufficio si ritiene
debbano effettuarsi le notifiche.
Il ricorso e il decreto dovrebbero essere notificati in busta chiusa, per non portare il loro contenuto a conoscere di terzi.
L'audizione personale della persona cui il procedimento si riferisce è obbligatoria (a meno che la
persona sia irreperibile) e, ove occorra, il giudice
tutelare deve recarsi nel luogo in cui si trova per
sentirla (art. 407, comma 2, cod. civ.).
Prima ancora di questa audizione e in ogni
momento, parallelamente a ciò che è disposto
nella tutela degli interdetti e dei minori (art. 361
cod. civ.), il giudice tutelare può, anche di ufficio, se necessario, adottare i provvedimenti
urgenti per la cura della persona interessata e
l'amministrazione del suo patrimonio (art. 405,
comma 4 cod. civ.). La sola presentazione del
ricorso consente dunque che siano assunti subito
i provvedimenti necessari urgenti di protezione di
una persona non autonoma, ancora prima della
sua audizione e precedentemente al decreto di
nomina dell'amministratore.
5. LE INFORMAZIONI E GLI ACCERTAMENTI
llo scopo di raccogliere i dati utili per la
decisione il giudice tutelare procede all'assunzione delle informazioni dal ricorrente, dai
parenti e dai terzi citati e provvede, anche di
ufficio, per lo svolgimento degli accertamenti
di natura medica e gli altri mezzi istruttori ritenuti utili (art. 407, comma 3, cod. civ.). Si deve
accertare quale sia la menomazione o infermità
che pregiudica il soggetto interessato, quali
effetti abbia sulla sua capacità di agire, quali
siano le sue residue capacità attuali di agire e
come limitarle nel minore modo possibile,
quale forma di sostegno gli potrebbe essere
utile, come amministrare il patrimonio.
Mentre nell'interdizione tradizionale il giudice
doveva rivolgersi essenzialmente alla competenza psichiatrica, nell'amministrazione di sostegno
è necessario soprattutto conoscere il contesto di
vita, accertare le effettive disabilità sociali e le
abilità residue o potenziali e definire quale progetto di integrazione sociale si deve sostenere e
con quali atti attribuiti all'amministratore si può
attuare tale sostegno. Occorre inoltre avere un
quadro della situazione reddituale e patrimoniale
del soggetto. A questo fine acquistano maggiore
importanza le informazioni che pervengono dai
parenti e dai servizi.
Fra gli accertamenti nei casi più complessi o controversi rientra anche la consulenza tecnica medica. Cambia però il quesito da porre, che nell'articolazione delle domande deve comprendere
anche la disabilità e il livello di autonomia resi-
A
25
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
dua del beneficiario, gli atti in cui bisogna sostituirlo o è sufficiente assisterlo o che può compiere da solo. Occorre capire non tanto il grado di
capacità di intendere e di volere ma ciò che la
persona è in grado di fare.
6. L'ISTITUZIONE DELL'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
ll'esito della raccolta di queste informazioni il giudice tutelare, con decreto emanato
entro sessanta giorni dal deposito del ricorso,
istituisce l'amministrazione di sostegno e provvede alla nomina dell'amministratore (art. 405,
comma 5, cod. civ.). Seguendo il modello delle tutele, il giudice tutelare può anche provvedere con due decreti separati, uno di istituzione dell'amministrazione e l'altro di nomina dell'amministratore.
a. La scelta dell'amministratore deve avvenire
secondo alcuni criteri predeterminati dalla legge (art. 408, comma 1, cod. civ.).
Lo stesso interessato può avere designato
l'amministratore in previsione della propria
eventuale futura incapacità, designazione che
può in ogni momento revocare successivamente. Egli può avere designato l'amministratore
anche nel ricorso con cui ha chiesto per sé
l'amministrazione o può averne indicato il
nome quando è stato sentito dal giudice tutelare. Che l'amministrato abbia come amministratore una persona di sua fiducia, da cui si
senta accompagnato, è molto importante per il
significato stesso della misura.
In mancanza di designazione, o disattendendola per gravi motivi, alla scelta dell'amministratore provvede il giudice tutelare. La nomina di
una persona giusta è fondamentale. La sua
scelta va fatta “con esclusivo riguardo alla
cura e agli interessi della persona del beneficiario”, e quindi rivolta al soddisfacimento di
bisogni che possono essere molto diversi ed
esigere competenze a attitudini conseguenti.
La preferenza va perciò di norma ai parenti e
alla persona stabilmente convivente che per
consuetudine di vita meglio possono svolgere
le attività sostitutive di cura, privilegiando in
questo modo la relazione affettiva, o alla persona indicata dal genitore superstite.
Possono essere amministratori anche altre persone idonee. Per individuarle e prepararle appare lodevole l'iniziativa di corsi di formazione di
amministratori di sostegno, rivolti a volontari,
fra i quali il giudice tutelare possa attingere delle persone preparate e disponibili. Una alternativa interessante potrebbe essere seguire le indicazioni della associazioni degli utenti dei servizi, che dovrebbero venire coinvolte.
Infine, può essere amministratore una delle per-
A
26
AIAF RIVISTA 3/2004
sone giuridiche elencate nel titolo II del libro I
cod. civ. (artt. 11-13 cod. civ.): scelta da riservare preferibilmente ai casi in cui l'attività
sostituiva è di mera amministrazione di beni.
Per l'amministratore di sostegno valgono le
cause di incapacità e dispensa previste per il
tutore (art. 411, comma 1 cod. civ., che richiama gli artt. 350-353 cod. civ.).
b. Il decreto di nomina deve inoltre indicare la
durata dell'incarico dell'amministratore, e
quindi dell'amministrazione stessa, che può
essere a tempo determinato o indeterminato.
c. Il decreto determina anche l'oggetto della
amministrazione, con l'indicazione degli atti
che l'amministratore può o deve compiere in
nome e per conto del beneficiario, degli atti
che il beneficiario compie solo con l'assistenza dell'amministratore di sostegno e dei limiti
di spese che l'amministratore può sostenere
con l'utilizzo del denaro di cui il beneficiario
dispone.
Il giudice tutelare indica i contenuti dell'amministrazione in modo che corrispondano alle
sue finalità di protezione, decidendoli di ufficio a prescindere dalle richieste delle parti
(art. 407, comma 4, cod. civ.). Egli può disporre che l'amministratore sostituisca o assista il
beneficiario nel compimento di qualsiasi atto
in cui potrebbe sostituirlo un tutore o assisterlo un curatore. Il solo limite è che non può
arrivare a privare il beneficiario di ogni spazio
di autonomia perché il beneficiario “può, in
ogni caso, compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana”
(art. 409, comma 2, cod. civ.).
Il giudice tutelare può anche allargare l'ambito
di protezione disponendo che determinati
effetti, limitazioni o decadenze, previsti da
disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato, si estendano al beneficiario dell'amministrazione di sostegno, avuto riguardo all'interesse del medesimo e a quello tutelato dalle
predette disposizioni (art. 411, comma 4, cod.
civ.). Perciò anche nell'amministrazione di
sostegno, quando il giudice tutelare lo dispone
ritenendo che ne sia il caso, possono operare
divieti, come quelli di contrarre matrimonio o
di fare testamento.
La giurisprudenza e le scienze sociali dovranno definire correttamente le categorie di atti
per cui l'autonomia del soggetto viene ridotta
e/o sostituita, sufficientemente chiare per assicurare l'affidamento dei terzi che consultino il
registro delle amministrazioni di sostegno su
cui vengono trascritte.
d. Infine, il decreto di nomina deve prevedere la
periodicità con cui l'amministratore di soste-
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
gno è tenuto a riferire al giudice circa l'attività
svolta e circa le condizioni di vita personale e
sociale del beneficiario. La periodicità della
relazione perciò è determinata non dalla legge
ma dal giudice tutelare in relazione all'oggetto
e alla durata dell'amministrazione. L'amministratore non ha, come il tutore, l'obbligo di un
rendiconto annuale, ma ha un obbligo di relazione, che può presentare oralmente o redigere per iscritto. Il contenuto della relazione è
ridotto rispetto ad un rendiconto relativamente
ai dati patrimoniali e reddituali (a meno che il
giudice tutelare prescriva un rendiconto) ma si
estende alle condizioni di vita personali e
sociali.
7. LA GESTIONE
ella gestione della amministrazione di
sostegno successiva alla sua apertura si
devono sottolineare alcuni punti.
a. L'amministratore di sostegno presta sempre
giuramento (art, 411, comma 1, cod. civ., che
richiama l'art. 349 cod. civ.) mentre non deve
procedere all'inventario a meno che il decreto
lo disponga (ex art. 411, comma 4, cod. civ.).
b. Il giudice tutelare segue la gestione attraverso
le relazioni che gli pervengono con la periodicità determinata nel decreto istitutivo dell'amministrazione e in ogni momento può convocare l'amministratore di sostegno allo scopo di
chiedere informazioni, chiarimenti e notizie
sulla gestione dell'amministrazione di sostegno e di dare istruzioni inerenti agli interessi
morali e materiali del beneficiario (art. 44,
disp. att. cod. civ.).
c. I contenuti dell'amministrazione di sostegno
possono variare lungo il periodo temporale
della sua applicazione. Il giudice tutelare ha
infatti dei poteri modificativi di integrare o
modificare, in ogni momento e anche di ufficio, le decisioni assunte (artt. 407, comma 4;
411, comma 4, cod. civ.), fino a potere pervenire alla sostituzione dell'amministratore (art.
413, comma 1, cod. civ.) e, in determinate
situazioni, al suo esonero, sospensione o rimozione (art. 411, comma 1 cod. civ., che rinvia
agli artt. 383-384 cod. civ.). Ogni volta che il
giudice tutelare modifica o integra le decisioni assunte, la persona cui il procedimento si
riferisce deve essere necessariamente sentita.
d. Nell'amministrazione di sostegno è flessibile
anche la durata, che inizialmente può essere a
tempo determinato o indeterminato (art. 405,
comma 5, cod. civ.). Nel primo caso il giudice
tutelare può prorogare l'incarico all'amministratore con decreto motivato pronunciato
anche di ufficio prima della scadenza del ter-
N
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
mine (art. 405, comma 6, cod. civ.); nel secondo caso in qualsiasi momento il giudice tutelare può disporre la cessazione dell'amministrazione quando essa si riveli inidonea a realizzare la piena tutela dell'interessato o si determinino altri presupposti per tale cessazione (art.
413, comma 1, cod. civ.).
8. GLI ATTI COMPIUTI NEL CORSO DELL'AMMINISTRAZIONE
li atti compiuti nel corso dell'amministrazione di sostegno riferibili al beneficiario hanno un regime diverso a seconda
della loro natura.
a. Il beneficiario conserva la piena capacità di
agire per gli atti non compresi nell'amministrazione (art. 409, comma 1 cod. civ.) e per
gli atti necessari a soddisfare le esigenze della
propria vita quotidiana (art. 409, comma 2
cod. civ.).
b. Per compiere validamente alcuni atti, oggetto
dell'amministrazione, il beneficiario deve
necessariamente essere assistito dall'amministratore di sostegno (art. 405, comma 6, n. 4
cod. civ.).
c. Ci sono poi altri atti, oggetto dell'amministrazione, che il beneficiario non può compiere e
che in sua vece può compiere l'amministratore
di sostegno quale rappresentante esclusivo
(art. 405, comma 6, n. 3 cod. civ.).
d. Infine, per il compimento degli atti più potenzialmente pregiudizievoli per il patrimonio
che siano compresi nell'amministrazione, e
rientrino fra quelli elencati negli artt. 375 e
376 cod. civ., l'amministratore deve essere
specificamente autorizzato dal giudice tutelare
(art. 411, comma 1, cod. civ.). Se però l'amministrazione è stata istituita per quel fatto specifico (come riscuotere la pensione ogni mese,
vendere un bene, ecc.), nel decreto di istituzione è già compresa l'autorizzazione per
quell'atto.
Sono nulle le disposizioni patrimoniali del
beneficiario dell'amministrazione a favore dell'amministratore, anche se fatte sotto nome di
interposta persona (art, 411, comma 2, cod. civ.),
ma sono valide le disposizioni testamentarie e le
convenzioni fatte dall'amministrato a favore dell'amministratore che sia coniuge, parente entro il
quarto grado o persona che sia stata chiamata alla
funzione in quanto stabilmente convivente (art.
411, comma 3, cod. civ.).
G
9. I PASSAGGI DALL'INTERDIZIONE O INABILITAZIONE
ALL'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
alvolta all'amministrazione di sostegno si
Tnatura
giunge in parallelo con un procedimento di
contenziosa relativo all'interdizione o
27
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
inabilitazione.
a. Ciò si verifica anzitutto allorché, nel corso di
un procedimento proposto avanti al tribunale
ordinario per la dichiarazione di interdizione o
inabilitazione, appare opportuno applicare
all'interessato l'amministrazione di sostegno.
In questo caso il giudice istruttore o il tribunale (a seconda della fase) di ufficio o a istanza
di parte dispongono la trasmissione del procedimento al giudice tutelare e, con un decreto,
possono anticipare i provvedimenti urgenti di
amministrazione di sostegno di cui all'art. 405
cod. civ. (art. 418, ult. comma, cod. civ.).
Il pubblico ministero e le parti private, ove
concordino che la protezione della persona
interessata possa essere definita con l'amministrazione, rinunciano agli atti del giudizio di
interdizione o inabilitazione e segue l'estinzione del processo (art. 306 cod. civ.). Qualora
invece una delle parti insista per la pronuncia
di interdizione o inabilitazione, il tribunale
provvede con sentenza a respingere o accogliere la domanda originaria.
b. Invece nelle ipotesi in cui si voglia istituire
l'amministrazione di sostegno per una persona
già interdetta o inabilitata devono intervenire
due procedure contemporanee: l'una di revoca
dell'interdizione o inabilitazione avanti al tribunale; l'altra di nomina dell'amministratore
di sostegno avanti al giudice tutelare. In questo caso il pubblico ministero, i soggetti legittimati e lo stesso interdetto o inabilitato propongono istanza al tribunale per la revoca dell'interdizione e dell'inabilitazione e, congiuntamente, ricorrono al giudice tutelare per l'istituzione dell'amministrazione di sostegno (art.
406, comma 2, cod. civ.). Va ricordato che l'interdetto non può chiedere al tribunale la sola
revoca della propria interdizione ma la revoca
congiuntamente con la richiesta al giudice
tutelare di nomina di un amministratore di
sostegno.
Quando infine sia promosso un procedimento di
mera revoca dell'interdizione o dell'inabilitazione
(art. 429, ult. comma, cod. civ.), nel corso del
giudizio il tribunale può, su istanza di parte o
d'ufficio, disporre la trasmissione degli atti al
giudice tutelare ove ritenga opportuno che successivamente alla revoca di interdizione o amministrazione il soggetto sia assistito da un amministratore di sostegno.
Per dare continuità alla protezione della persona
priva di autonomia e evitare sovrapposizioni di
istituti diversi, il decreto con cui il giudice tutelare istituisce l'amministrazione di sostegno
diventa esecutivo solo dalla pubblicazione della
sentenza di revoca dell'interdizione o dell'inabili28
AIAF RIVISTA 3/2004
tazione (art. 405, comma 3, cod. civ.).
10. LA PUBBLICITÀ
l fine di assicurare la correttezza delle relazioni con i terzi l'amministrazione di sostegno è soggetta ad un regime di pubblicità: la
sua apertura e chiusura sono annotate in margine dell'atto di nascita del beneficiario; i
decreti di apertura, di modifica e di chiusura
sono iscritti in un apposito registro costituito
presso il tribunale (art. 405, commi 7 e 8, cod.
civ.).
Il terzo, che dall'atto di nascita ha notizia dell'esistenza di una amministrazione, può quando ne
abbia interesse conoscere dal registro costituito
presso il tribunale quali atti il beneficiario dell'amministrazione può compiere da solo, in quali
atti egli deve essere assistito, quali atti devono
essere svolti dall'amministratore di sostegno.
A
L'AMMINISTRATORE, L'AMMINISTRATO E I SERVIZI
1. L'AMMINISTRATORE
a finalità dell'amministrazione di sostegno di
protezione del più debole si realizza attribuendo all'amministrare lo svolgimento di attività che hanno un rilievo giuridico (pertanto
l'amministratore non può confondersi con un
“badante”). L'amministratore ha solo i poteri
conferiti dal giudice tutelare e non poteri generali di rappresentanza e gestione (art. 405, comma 5, cod. civ.). Egli può compiere determinati
atti in nome e per conto del beneficiario, ovvero assistere il beneficiario nel compimento di
atti, ovvero congiuntamente sostituire il beneficiario in alcuni atti e assisterlo in altri.
I contenuti del mandato non sono però limitati a
queste attività di cura e amministrazione con
diretto rilievo giuridico. L'amministratore ha un
compito più generale di accompagnamento e di
comunicazione rivolto al beneficiario, con un
occhio generale sulla sua persona. Egli infatti
deve tenere conto dei bisogni e aspirazioni del
beneficiario e informarlo tempestivamente circa
gli atti da compiere (art. 410, commi 1 e 2, cod.
civ.), verifica che il beneficiario non compia atti
in violazione delle disposizioni (art. 412, comma
2, cod. civ.), informa il giudice tutelare sulla
gestione dell'amministrazione e riceve istruzioni
inerenti gli interessi morali e materiali del beneficiario (art. 44 disp. att. cod. civ.), chiede al giudice tutelare la revoca dell'amministrazione se
non ne ricorrono più i presupposti (art. 413, comma 1, cod. civ.). In questi modi egli può costituire una sponda del beneficiario verso il giudice
tutelare, verso i servizi, verso i terzi in genere.
Il beneficiario a sua volta ha possibilità di dis-
L
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
sentire rispetto alle attività dell'amministratore.
In questo caso l'amministratore deve tempestivamente informare il giudice tutelare di tale dissenso e il beneficiario può, ricorrendo al giudice
tutelare, promuovere un embrionale incidente di
esecuzione (art. 410, comma 2, cod. civ.).
L'incarico dell'amministratore è gratuito (art. 411
cod. civ., che rinvia all'art. 379 cod. civ.). Egli
può ottenere un equo indennizzo per la sua attività e il rimborso delle spese affrontate ma la sua
attività non può gravare mai sul bilancio dello
Stato (art. 3, comma 3, legge n. 6/2004).
2. L'ATTENZIONE ALLA PERSONA DEL BENEFICIARIO
er quanto la cura della persona non sia indicata fra gli oggetti diretti dell'incarico di
nomina dell'amministratore di sostegno (art. 405,
comma 5, cod. civ.), è evidente che centrale è il
raccordo fra la cura della persona del beneficiario
e l'amministrazione del suo patrimonio.
A ciò conduce il dato testuale di varie disposizioni
sparse, che considerano i bisogni, le richieste, le esigenze di protezione, gli interessi della persona, le
aspirazioni del beneficiario (artt. 407, comma 2; 408,
comma 1; 410, commi 1 e 2, cod. civ.) al fine di realizzare la cura della persona, la conservazione e l'amministrazione del suo patrimonio e la sua piena tutela (artt. 405, comma 4; 413, comma 4, cod. civ.).
L'amministratore deve perciò assumere, come
criterio principale della sua attività, la destinazione delle risorse alla migliore qualità di vita della
persona compatibile con le sue menomazioni.
La preoccupazione per la persona come finalità dell'amministrazione di sostegno è confermata da altre
norme:
- il beneficiario conserva la capacità di agire per
tutti quegli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno e “può, in ogni caso,
compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana” (art. 409, commi
1 e 2, cod. civ.);
- il giudice tutelare deve sentire la persona cui il
procedimento si riferisce e tenere conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste
di questa (art. 407, comma 2, cod. civ.);
- l'amministratore deve costantemente informare il
beneficiario circa gli atti da compiere (art. 410,
comma 2, cod. civ.).
La direttiva doverosa di informazione del beneficiario e di presa in considerazione delle sue opinioni
non esclude che, in qualche caso, il beneficiario non
possa esprimere le sue opinioni e non sia possibile
informarlo. Il legislatore ha voluto introdurre delle
prassi virtuose di relazione ed ascolto con la persona debole che hanno rilievo e peso diverso a secon-
P
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
da della condizione del soggetto cui sono destinate.
3. LA COLLABORAZIONE CON I SERVIZI
l giudice tutelare può in ogni momento, nel
corso di una amministrazione di sostegno, così
come nel corso di una tutela o curatela, chiedere
l'assistenza degli organi della pubblica amministrazione e di tutti gli enti corrispondono alle sue
funzioni (art. 344, comma 2, cod. civ.).
La legge non prevede espressamente degli altri collegamenti dell'apparato giudiziario che gestisce le
tutele e curatele con i servizi sanitari e sociali pubblici e privati. Tali servizi compaiono invece in due
norme relative all'amministrazione di sostegno.
a. I responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della
persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l'apertura dell'amministrazione di
sostegno, sono tenuti a proporre ricorso al giudice tutelare oppure a fornire notizia al pubblico
ministero (art. 407 cod. civ.), svolgendo una
funzione di segnalatori all'autorità giudiziaria
che potranno proseguire quando la condizione
di quella persona si modifichi. Il termine “servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella
cura e assistenza della persona” indica i servizi
che hanno queste competenze generali, a prescindere dal fatto che la persona per qualsiasi
motivo non sia stata ancora presa in carico.
b. La presenza dei servizi è implicita anche nel
divieto di ricoprire le funzioni di amministratori
di sostegno agli operatori dei servizi pubblici o
privati che hanno in cura o in carico il beneficiario (art. 408, comma 3, cod. civ.). Il termine operatori sembra riferito in genere a quanti lavorano
nei servizi, compresi i loro responsabili.
Il divieto, analogo a quello fatto ai legali rappresentanti delle comunità di tipo familiare e
degli istituti e a coloro che vi svolgono attività
di essere chiamati all'incarico di tutori (art. 3,
comma 3, legge n. 184/1983 sull'adozione), è
legato alla preoccupazioni di evitare un conflitto di interessi che si poteva configurare e di non
snaturare il percorso di amministrazione con un
amministratore burocratico formale. L'incompatibilità fra le figure dell'operatore dei servizi
e dell'amministratore di sostegno consente inoltre all'amministratore di fare valere i diritti del
beneficiario anche nei confronti dei servizi che
lo hanno in cura o in carico. A loro volta i servizi trovano nell'amministratore un interlocutore, di cui hanno bisogno per gestire utilmente
delle situazioni difficili e per costruire in collaborazione dei progetti di vita per la persona priva di autonomia.
Di fatto i provvedimenti di amministrazione di
sostegno possono costituire un campo di straordi-
I
29
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
naria cooperazione del giudice tutelare e dell'amministratore di sostegno con le politiche dei servizi, instaurando una commistione profonda fra
sistema giudiziario, in funzione di garanzia, e
sistemi sanitario e socio assistenziale.
LE NUOVE INTERDIZIONE E INABILITAZIONE
1. IL RICONOSCIMENTO DELL'AUTONOMIA POSSIBILE PER
GLI INTERDETTI E GLI INABILITATI
principio della riconoscibilità di una sfera di
Idellalautonomia
del beneficiario, pensata a misura
sua abilità residua, ha contaminato anche il
nuovo regime dell'interdizione e dell'inabilitazione.
L'interdetto è civilmente una non persona, privata
dell'esercizio diretto dei diritti e soggetto passivo
delle decisioni di altri, con l'eccezione del diritto
politico di voto attivo. Il legislatore si è però accorto che anche una persona gravemente invalidata da
una infermità di mente può presentare delle aree di
capacità. Perciò ha ora disposto che, in deroga del
modello legale astratto, all'interdetto può essere
riconosciuta una limitata capacità di agire, senza
l'intervento del tutore ovvero con l'assistenza del
tutore, rispetto ad alcuni atti di ordinaria amministrazione determinati dal giudice (art. 427, comma
1, cod. civ.). Fra questi atti possono essere significativi lo stipulare un contratto di lavoro e il prestare
una attività lavorativa, il riscuotere lo stipendio o la
pensione o il ritirare delle somme presso la banca,
l'avere la libera disponibilità di un peculio.
Anche per l'inabilitato può stabilirsi che possa compiere taluni atti eccedenti l'ordinaria amministrazione senza l'assistenza del curatore (art. 427, comma
1, cod. civ.).
2. LA PROCEDURA
a procedura dell'interdizione e inabilitazione rimane bifasica. Prima il tribunale o il tribunale per i minorenni (a secondo che la procedura sia iniziata per un maggiorenne o per un
infradiciottenne) con un rito formalmente contenzioso pronunciano sentenza con cui dichiarano la
persona interdetta o inabilitata. Successivamente
si apre una tutela o curatela presso il giudice tutelare.
Le modifiche della procedura apportate dalla legge
n. 6/2004 relative alla prima fase avanti al tribunale
sono poche ma importanti.
La stessa persona che può essere interdetta o inabilitata e le persone stabilmente con lei conviventi possono promuovere il giudizio di interdizione
o inabilitazione (art. 417 cod. civ.).
a. Il pubblico ministero può provvedere a promuovere il giudizio di interdizione o inabilitazione
anche a seguito di informazione e sollecitazione
del giudice tutelare, il quale abbia ritenuto che
L
30
AIAF RIVISTA 3/2004
l'amministrazione di sostegno si riveli inidonea a
realizzare la piena tutela del beneficiario (art.
413, comma 4, cod. civ.).
b. Nel corso del giudizio di interdizione o inabilitazione anche l'abilità residua dell'interessato deve
formare oggetto dell'indagine. Il tribunale poi,
quando la con la sentenza pronuncia l'interdizione o inabilitazione, deve individuare questi spazi
di autonomia possibile e prendere in considerazione la questione nella motivazione (art. 427,
comma 1, cod. civ.).
c. La nomina del tutore o del curatore provvisorio
ovvero la sentenza che dichiara l'interdizione o
l'inabilitazione determinano la cessazione dell'amministrazione di sostegno (art. 413, comma
4, cod. civ., norma cui deve attribuirsi una portata generale in tutte le situazioni in cui potrebbe
verificarsi sovrapposizione delle misure).
Anche successivamente, nel corso di una tutela o
curatela, può richiedersi l'allargamento della capacità di agire dell'interdetto o inabilitato (art. 427,
comma 1, cod. civ.). Infatti oggi varie forme di
infermità di mente sono reversibili o si può con terapie alleviarne gli effetti, per cui con il miglioramento delle condizioni della persona occorre anche attenuare il regime originario più severo stabilito dalla
sentenza di interdizione o inabilitazione.
Possono farne richiesta il pubblico ministero, il tutore o il curatore, nonché le persone che sono legittimate a proporre ricorso per l'interdizione e l'inabilitazione. Possono chiederlo anche l'interdetto o inabilitato, in analogia al fatto che essi possono chiedere per sé la revoca della condizione di interdizione o
inabilitazione per essere sottoposti all'amministrazione di sostegno (art. 406, commi 1 e 2, cod. civ.).
Siccome rimane fermo lo status di interdizione o
inabilitazione, la richiesta deve essere proposta al
giudice tutelare. Il giudice tutelare, dopo avere sentito l'interessato, con decreto assume i provvedimenti attenuativi del regime precedente e può variarli nel
tempo al modificarsi delle condizioni dell'interessato. Il decreto deve essere annotato nel registro delle
tutele o curatele al fine di assicurare la pubblicità
verso i terzi.
Nel corso della tutela l'interdetto ha anche capacità
processuale di proporre al tribunale, con l'assistenza di un difensore, istanza di revoca della sua interdizione, chiedendo congiuntamente al giudice tutelare di essere sottoposto ad amministrazione di
sostegno (art. 406, commi 1 e 2, cod. civ.).
* Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
per i minorenni del Piemonte e della Valle d'Aosta,
Torino
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
FINALITÀ DELLA LEGGE 6/04 E VALUTAZIONI SULLA SUA APPLICAZIONE A UN ANNO DAL VARO
DANIELA GIANNONE*
PRESUPPOSTI DELL'ISTITUTO E POTERI
DELL'AMMINISTRATORE
on la legge 9.1.2004 n. 6, in attuazione di
una riforma nella materia da tempo auspicata, ha trovato ingresso nel nostro ordinamento l'istituto dell'amministrazione di
sostegno.
L'indubbia portata innovativa dell'intervento
legislativo risiede nella specifica previsione di
una protezione giuridica a quei soggetti che, nel
dualismo interdizione-inabilitazione, ne sarebbero rimasti privi, consentendo di operare nei confronti di una fascia più ampia di individui, con
modalità flessibili e graduate a seconda della difficoltà\disabilità presentate.
La ratio della nuova normativa consiste precisamente nella “finalità di tutelare con la minore
limitazione possibile della capacità di agire, le
persone prive in tutto o in parte di autonomia
nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”1: da ciò consegue il carattere
residuale della misura interdittiva, attesa la priorità applicativa assegnata dal legislatore al nuovo
istituto (sempre che, naturalmente, ne sussistano
i presupposti).
Il tema dei presupposti dell'amministrazione di
sostegno verrà di seguito esaminato attraverso il
necessario raffronto con quelli che fondano il
provvedimento di tutela, sotto l'aspetto delle condizioni soggettive del destinatario, dei poteri dell'amministratore e del contenuto della gestione
patrimoniale.
C
1. CONDIZIONI SOGGETTIVE DEI DESTINATARI.
a novellata normativa propone un sistema di
protezione dell'incapace più articolato e
flessibile, in ordine al quale appare rimesso
all'interprete, attraverso una valutazione delle
peculiarità della singola fattispecie concreta,
pervenire all'applicazione dell'una o dell'altra
misura; si consideri, infatti, che “l'abituale
infermità di mente che rende incapaci di provvedere ai propri interessi”, tuttora richiesta per
la pronuncia dell'interdizione, appare prima
facie simile all'infermità psichica, anche parziale o temporanea, che rende impossibile
provvedere ai propri interessi e costituisce
condizione per la nomina dell'amministratore
di sostegno.
Tuttavia, la previsione, ai fini della pronuncia
dell'interdizione, della circostanza che tale misu-
L
ra sia necessaria per assicurare un'adeguata
protezione al soggetto (art.414 c.c.), e non solo
per la cura dei propri interessi, viene di fatto a
creare una gradazione tra le misure ed una notevole flessibilità operativa fra le stesse.
Occorre rilevare, infatti, come quest'ultima chiosa e il riferimento, nell'art. 404 c.c. all'infermità
o menomazione anche parziale e temporanea,
venga utilizzata da alcuni interpreti come elemento per sostenere che sia applicabile l'A.S.
anche in presenza di menomazioni totali e per
ritenere che i due istituti siano di fatto interscambiabili, salvo doversi ricorrere all'interdizione
ove ciò sia reso necessario per assicurare un'adeguata protezione.
Si conviene sul fatto che le norme base con le
quali si sarebbero dovute disegnare, in modo
chiaro ed inequivoco, i presupposti e i contorni
dei due istituti, si prestino a letture contrastanti,
probabilmente frutto di mediazioni, tuttavia la
questione pare risolvibile solo attraverso l'esame
dell'intero corpo della legge, che esprime, invero,
numerose e chiare norme dalle quali ricavare
un'indicazione in senso opposto.
In questo senso l'art. 405 n. 3 c.c., che, nel rappresentare il contenuto del decreto, prevede che il
Giudice Tutelare debba fare espressa indicazione
degli atti - solo quelli - che l'amministratore ha il
potere di compiere in nome e per conto del destinatario; ovvero (al n. 4 dello stesso articolo) con
l'assistenza dell'amministratore di sostegno, atteso che ex art. 409 c.c. “il beneficiario conserva la
capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza
necessaria dell'amministratore di sostegno”,
come per “tutti gli atti necessari a soddisfare le
esigenze della propria vita quotidiana”.
Ancora all'art. 410 c.c. si legge: “Nello svolgimento dei suoi compiti l'amministratore di sostegno deve tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario. L'amministratore deve
tempestivamente informare il beneficiario circa
gli atti da compiere, nonché il Giudice Tutelare in
caso di dissenso con il beneficiario stesso”.
Dal tenore delle norme sopra richiamate è difficile argomentare che l'A.S. possa prescindere da
una capacità residua della persona che, invero,
parrebbe essere una condizione necessaria e presupposto indispensabile del provvedimento. È
peraltro evidente come in tanto le citate previsioni possano avere attuazione in quanto possa
esservi un dialogo continuo fra amministrato e
31
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
amministratore.
Sul punto, chi invece sostiene l'applicabilità dell'amministrazione anche ai casi di totale compromissione ritiene che le disposizioni citate trovino
applicazione eventuale solo ove il soggetto abbia
effettivamente una capacità residuale, ritenendo
il nuovo istituto compatibile anche con un'ipotesi
di incapacità totale: a sostegno di tale tesi viene
richiamata la disposizione di cui all'art 414 c.c.
nuova formulazione, nella parte in cui subordinerebbe l'applicabilità dell'interdizione, alle sole
ipotesi in cui questa sia l'unica inidonea a realizzare un'adeguata protezione dell'incapace.
Deve rilevarsi, al riguardo, come gli stessi termini usati dal legislatore siano indicativi: a fronte di
“un'abituale infermità che rende incapaci” di cui
all'art 414 c.c., l'art. 404 c.c. fa riferimento ad
“infermità ovvero menomazione fisica o psichica, di persona che si trovi nell'impossibilità
di provvedere ai propri interessi”; l'etimologia
del termine impossibilità indica la situazione di
un soggetto che non è in grado di attivare le
potenzialità di cui dispone.
Si osserva come nell'art. 404 c.c. non si parli di
incapacità bensì di impossibilità a curare i propri
interessi; come l'impossibilità sia concetto che
esprime una condizione che ben può coesistere
con la capacità di agire, solo temporaneamente
paralizzata o diminuita e che può prescindere da
un'infermità. Si pensi a puro titolo esemplificativo alla persona immobilizzata per intervento chirurgico, al paraplegico, al politraumatizzato a
seguito di un sinistro.
Si può a ragione sostenere che l'A.S. rappresenti una terza ipotesi di incapacità legale:
un'incapacità relativa in quanto riferita solo
ad alcuni atti.
Salvo situazioni eccezionali, dietro all' Amministrazione di sostegno c'è una persona capace, al più “inabilitata” a realizzare alcuni atti.
Per giungere ad un risultato interpretativo adeguato, occorre completare l'esame di tutti i punti
di possibile differenziazione fra l'istituto dell'A.S. e della tutela partendo dai poteri sulla persona, ossia quei poteri che maggiormente caratterizzano i due istituti.
2. POTERI DELL'AMMINISTRATORE: CURA DELLA PERSONA.
ll'amministratore sono rimessi alcuni aspetti relativi alla cura della persona, nell'ambito di un generale potere e facoltà di cura,
secondo quanto indicato nel provvedimento di
nomina (cfr. artt. 405-408-410 cc).
Ma quali sono i limiti di tale potere di cura
visto che il beneficiario è un soggetto che mantiene capacità di agire?
Sul punto è utile un raffronto con la figura del
A
32
AIAF RIVISTA 3/2004
tutore, in particolare in ordine agli aspetti che
individuano la relazione tutelato\tutore.
È pacifico che il tutore (art 357 c.c.) abbia non
solo la mera rappresentanza del tutelato (patrimoniale, di amministrazione), ma anche la cura
integrale della persona, atteso che egli trae la sua
legittimazione da una pronuncia giurisdizionale,
che accerta la menomazione della sfera cognitiva
e volitiva del soggetto in esame.
Da questa premessa discendono dei corollari fondamentali:
- il tutore ha il dovere di prendersi cura del tutelato, di reperire un adeguata collocazione (art
371 c.c.) e di individuare modalità di assistenza (c.d. progetto personalizzato) anche contro
la volontà del soggetto;
- il primo atto della tutela consiste nell'acquisire un progetto personalizzato dal quale ricavare le necessità di cura e collocazione del tutelato;
- la gestione patrimoniale acquista un rilievo di
strumentalità rispetto alla cura della persona;
- il tutore non è arbitro della situazione del tutelato (non ha una delega in bianco), ma deve
operare nell'ambito di un quadro autorizzato e
controllato dal Giudice Tutelare;
- il tutore non può non preoccuparsi di un soggetto dichiarato incapace di gestire i propri
interessi perché ne ha, ex lege, la responsabilità.
L'interdizione ha, pertanto, l'effetto di rendere
giuridicamente rilevante il dovere di preoccuparsi di un altro soggetto (non secondo una generica e indefinibile “presa in carico”), analogamente a quanto compete al genitore nei confronti
del figlio minore.
Tutto ciò comporta l'individuazione di un potere\dovere del tutore in ordine alla collocazione
del tutelato, disciplinata espressamente dagli artt.
371 c.c. e negli artt. 358 c.c. 44 disp.att. c.c., e
costituisce il fondamento del potere d'intervento
sino ad arrivare alla c.d. collocazione indotta.
La tutela, quindi, è l'unico strumento che legittimi una collocazione protratta, anche contro la
volontà dell'interessato, perché il soggetto non è
stato ritenuto in grado di provvedere a se stesso.
Nell'amministrazione di sostegno la situazione
è diversa, non solo qualitativamente, ma anche
quantitativamente.
L'amministratore è al più un rappresentante per
taluni atti, quando non un semplice assistente;
l'amministratore deve occuparsi della persona
dell'amministrato, se ciò sia previsto dal provvedimento del GT e, salvo situazioni di urgenza,
non può comprimere la volontà del destinatario.
L'amministratore può gestire la cura della persona nei limiti in cui ciò sia previsto dal provvedi-
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
mento; tutto quanto va oltre potrebbe anche ritenersi illegittimo, in quanto una più ampia ed indiscriminata applicazione del provvedimento
rischierebbe di invadere una sfera riservata a
capacità ancora integre.
Il Giudice può, al più, prevedere una sostituzione
integrale dell'amministratore solo in via d'urgenza e per un periodo di tempo limitato.
L'amministratore, pur essendo responsabile
solo per gli atti delegati, ha una responsabilità
specifica, strettamente connessa alla peculiarità
del proprio ruolo: quella di svolgere una funzione di supporto e di mantenere un rapporto dialettico con l'amministrato, tanto da prevedersi un
generale dovere di informativa del beneficiario in
ordine agli atti da compiere nonché, in caso di
contrasto (fra le valutazioni dell'amministratore e
quelle dell' amministrato), di scelte o di atti dannosi per l'amministrato ovvero di negligenza del
nominato nel perseguire l'interesse o nel soddisfare i bisogni e le richieste del beneficiario, uno
specifico procedimento disciplinare innanzi al
giudice tutelare (ex art. 406 c.c.).
Al di là di questa particolare caratteristica, la
responsabilità dell'amministratore rimane nei
limiti del mandato individuato dal provvedimento
del GT, mandato che non può, a sua volta, superare un certo livello d'invasività sia per gli atti di
natura patrimoniale sia, soprattutto, per quelli inerenti alla sfera personale del beneficiario.
Tutto ciò colloca l'amministratore in una posizione diversa rispetto alla responsabilità di
“cura” di un soggetto incapace, che fa capo al
tutore, sebbene il compito di cura, in senso
lato, competa all'amministratore (artt. 405, 4°
comma, 408, 410 c.c.), quanto meno in termini
di monitoraggio della situazione e di sollecito
di interventi che si rendano necessari.
Ma allora fino a che punto possono spingersi i
poteri dell'amministratore?
Tale intervento appare attualmente dai confini
incerti; ciò significa che soltanto attraverso l'esame dei casi pratici e della giurisprudenza che si
formerà su di un numero significativo di essi,
potranno aversi risposte più articolate; probabilmente dovrà prevedersi una negoziazione con la
persona interessata-capace; certo occorrerà raccogliere le aspirazioni del beneficiario; probabilmente si verificherà l'opposizione di quest'ultimo
rispetto ad indicazioni non di suo gradimento;
sicuramente sarà difficile elidere, in modo stabile, la volontà del beneficiario in punto collocazione\residenzialità, salvo situazioni connotate
dall'urgenza di provvedere (art 405 c.c.).
L'urgenza, in generale, è condizione che legittima ciò che in una situazione normale ed ordinaria, non può esserlo, ma proprio per questo deve
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
mantenersi in limiti, interpretativi e temporali,
rigorosi.
Dall'art 405, 4 comma, c.c. pare di poter dedurre
che solo in tale caso l'amministratore possa esercitare poteri invasivi legati alla cura della persona, analoghi a quelli del tutore. Si pensi al soggetto portatore di patologia psichiatrica che alterni momenti di lucidità a momenti di delirio e che,
in dati momenti di scompenso, si venga a trovare
nell'impossibilità di gestirsi, situazione da non
confondersi con quella che legittima un TSO,
ancorata alla necessità di praticare un trattamento terapeutico. In tale caso potrebbe il Giudice
Tutelare, con un'amministrazione di sostegno
temporanea, autorizzare anche un collocamento,
senza il consenso della persona, in un luogo di
cura fino a che si verifichi una situazione di relativo compenso.
È evidente come debba utilizzarsi il massimo
rigore sia per la durata del provvedimento sia per
il monitoraggio delle condizioni del soggetto.
Questa è l'unica, (oltre che temporanea) ipotesi in cui possa gestirsi con l'amministrazione
un' incapacità anche totale. Finita l'emergenza,
l'eventuale dissenso del beneficiario, nuovamente compensato, non potrebbe essere gestito con
poteri coercitivi.
Una collocazione residenziale protratta, in assenza del consenso del paziente, è configurabile solo
nelle situazioni in cui le condizioni del soggetto
rivestano i caratteri dell'infermità abituale, rientrandosi, allora, nella fattispecie della tutela
caratterizzata dal potere\dovere del tutore di
sostituirsi al tutelato.
3. GESTIONE PATRIMONIALE: CONTENUTI E MODALITÀ
D'INTERVENTO.
legge è chiara nel prevedere da parte delLattial'amministratore
solo la gestione di alcuni
sia di natura ordinaria che straordinaria; è
evidente che, qualora il loro numero aumenti
fino a coprire la quasi totalità degli atti, l'amministrazione possa non essere più lo strumento adatto: se l'amministratore non può riferirsi
indiscriminatamente a tutti gli atti di gestione
patrimoniale, come potrebbe intervenire in
situazioni nelle quali il destinatario fosse completamente incapace e, in quanto tale, dovesse
essere rappresentato per tutti gli atti da un altro
soggetto?
Qualora il confine fra gli atti possibili e quelli
inibiti fosse marcatamente sbilanciato su questi
ultimi, sorgerebbe il problema di rivalutare le
condizioni della persona.
Non pare condivisibile l'interpretazione secondo
la quale l'A.S. potrebbe ugualmente disporsi ove
il soggetto sia totalmente incapace ma non abbia
33
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
patrimonio ovvero vi siano pochi atti da compiere (come riscuotere la pensione d'invalidità e
indennità di accompagnamento, pagare una retta)
dovendosi, in tal caso, procedere a meri e limitati atti di gestione del reddito.
La questione pare mal posta, in quanto il presupposto per l'applicabilità dell'AS o dell'interdizione deve individuarsi nelle condizioni personali
del soggetto; il criterio discretivo non può certo
essere quello del patrimonio, perché in quest'ottica si avrebbe l'effetto paradossale, oltre che inaccettabile, che, a parità di condizioni soggettive,
chi ha patrimonio verrebbe interdetto e chi ne è
privo, amministrato.
Il tentativo di dare alla nuova legge un'interpretazione sistematica impone di sottolineare alcune
questioni che, ove non correttamente valutate,
potrebbero tradursi in rilevanti CRITICITÀ della
normativa:
a) La questione legata alle garanzie.
L'ambito di esercizio dei poteri dell'amministratore nella cura della persona è questione molto
delicata, non solo accedendo all'interpretazione
qui seguita, secondo la quale i presupposti per l'istituto devono essere individuati in una parziale
compromissione (in tal caso è evidente il limite),
ma anche ove si ritenesse che l'A.S. si applichi
anche ai casi d'incapacità totale.
Sul punto si osserva come per tale via si andrebbe sostanzialmente ad “incapacitare” un soggetto, modificandone lo status, senza le garanzie di
una procedura che preveda il pieno contraddittorio e il diritto di difesa; verrebbe così snaturato il
presupposto fondamentale che giustifica l'intervento sostitutivo della volontà di un soggetto a
quella di un altro, e cioè un'incapacità conseguente a una patologia (infermità abituale) da
non confondersi con la mera impossibilità a
gestirsi, che abbiamo visto può coesistere con
una residua capacità.
È giustificata una procedura più agile, informale,
celere, di competenza di un organo monocratico
anche per l'accertamento, senza difesa tecnica,
ove la posta in gioco non sia lo status di una persona ma solo l'intervento su singole facoltà,
impregiudicata la residua capacità del soggetto,
in primo luogo quanto alle scelte che investono la
sfera personale.
La questione assume contorni precisi ove si
affronti il problema della collocazione e della
residenzialità dei c.d. lungodegenti.
Senza il consenso del destinatario, l'A.S. non può
essere la via per normare e\o regolarizzare questo
fenomeno; un intervento sostitutivo della volontà
del soggetto può avvenire unicamente attraverso
la figura del tutore e, dunque, solo ove vi sia una
34
AIAF RIVISTA 3/2004
situazione di accertata, e totale, compromissione
a gestirsi della persona.
Con l'A.S. può gestirsi l'emergenza, l'acuzie
(analogamente a quanto si faceva con l'amministrazione provvisoria ex art. 35 L. 833\78)
per un periodo limitato. Si è detto come per
tale via potrebbe gestirsi l'accompagnamento
del paziente sottoposto a TSO, al momento
della cessazione, in un'ottica di collocazione
residenziale limitata nei tempi; ma non può
andarsi oltre.
Va da sé che con l'A.S. non sia gestibile il consenso informato agli interventi chirurgici.
L'A.S. è un bel termine, sarà un istituto utilissimo per quella fascia di persone che grazie a
questa normativa avrà finalmente una protezione giuridica, ma un bel termine non deve
mettere a posto la coscienza e rendere attuabile qualsiasi intervento sulla persona, anche più
invasivo e meno garantistico di quanto sia
legittimamente possibile con la tanto vituperata interdizione.
La mancanza di rigore in materia di diritti della
persona può portare a risultati abnormi e cioè riaprire le porte di istituzioni che si è voluto appartenere alla storia.
Un termine può piacere e l'altro essere spiacevole, ma quello che conta è la sostanza che vi sta
dietro; gli istituti giuridici sono di per sé neutri,
diventano fondamentali i contenuti che vengano
loro attribuiti e l'applicazione che ne venga fatta.
In materia di libertà personale esiste una riserva
di legge; pertanto una qualsiasi limitazione del
diritto di autodeterminarsi di una persona, secondo il dettato dell'art 13 Costituzione, è possibile,
e legittimo solo ove una legge ne abbia delimitato esattamente i confini: nella legge sull'Amministrazione di Sostegno non individuiamo un superamento di questi limiti.
Se in materia penale la libertà personale è giustamente “blindata”, nella materia di cui ci occupiamo le valutazioni non sono differenti, perché
interveniamo su quanto ci sia di più delicato: la
possibile compressione delle scelte personali in
ordine a modalità e luogo in cui vivere.
In campo civilistico tali principi trovano puntuale attuazione in materia di trattamenti sanitari
obbligatori, ambito in cui opera il massimo rigore nei tempi e nei controlli (giurisdizionali) della
limitazione (esclusivamente a scopo terapeutico)
del paziente psichiatrico.
L'A.S si ribadisce potrà avere un'applicazione
utilissima, importante, perché consente di attivare una protezione graduale in situazioni prima
non considerate dal diritto, ma ad usarla nelle
situazioni di totale incapacità mostra tutta la sua
inadeguatezza in termini di:
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
- garanzia del diritto di difesa del destinatario,
poiché ove il soggetto fosse totalmente compromesso, egli non sarebbe in grado di “contraddire”, con il possibile verificarsi di procedure sommarie e gestioni che privano di fatto
il destinatario di ogni facoltà;
- chiarezza nei presupposti e nelle procedure
che devono essere le prime garanzie per l'utente; il rimettere alla mera discrezionalità del
Giudice, se intervenire anche in situazioni di
totale incapacità o meno, è scelta che non pare
considerata dalla normativa in esame.
È importante avere un buon amministratore e un
buon Giudice Tutelare ma ciò non basta, non
basta neppure al Giudice, che vuole e, deve, avere, nei termini detti, dei confini al suo operare,
consapevole della difficoltà dell'essere al tempo
stesso “invasore” e “garante” della sfera di un
soggetto che non può esplicare a pieno le sue
potenzialità.
b) l'interpretazione applicativa e il principio
dell'affidamento dei terzi.
Non si elimina lo stigma per il solo fatto di uti-
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
lizzare un termine etimologicamente più protettivo: i destinatari devono essere individuati senza
confusione.
Accedendo alla tesi che ritiene applicabile l'A.S.
anche ai soggetti totalmente incapaci si avrebbe
il risultato che un terzo, nell'interloquire con un
amministrato, potrebbe legittimamente, dubitare
di avere a che fare con un soggetto totalmente
incapace, con il risultato che sarà portato a diffidarne e che lo stigma si verificherà ugualmente.
Il messaggio per i terzi deve essere chiaro: l'Amministrazione di Sostegno non certifica una
totale incapacità, ma solo un'impossibilità, una
difficoltà del destinatario del provvedimento.
L'amministrato, a sua volta, non deve percepire
l'A.S. come uno strumento che lo presenti come
un potenziale incapace.
Per questi soggetti in difficoltà è stato pensato l'istituto dell'amministrazione di sostegno e non
pare che la legge 6\2004, pur con alcune espressioni in apparente contrasto, abbia tradito la finalità di estendere la protezione oltre, ai soggetti
totalmente incapaci.
* Giudice del Tribunale di Torino, Sezione famiglia
Massimiliano
Prestandrea,
30 anni
Recupero n.1 Incidente in città
tappi di birra e filo di
ferro su tavola di legno
smaltata, cm 40x30
35
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
AIAF RIVISTA 3/2004
FINALITÀ DELLA LEGGE 6/04 E VALUTAZIONI SULLA SUA APPLICAZIONE A UN ANNO DAL VARO
MARCO ROSSI*
L'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO:
ASPETTI PROCEDURALI
a legge 9.1.2004 n 6 prevede una specifica procedura volta alla valutazione della
sussistenza o meno dei presupposti necessari per l'apertura di un'amministrazione di
sostegno a favore di un soggetto in difficoltà,
definito dalla legge “beneficiario”.
Il procedimento in oggetto verrà di seguito esaminato nei suoi profili maggiormente innovativi:
l'individuazione dei soggetti legittimati a proporre la domanda, l'obbligatorietà o meno di assistenza tecnica nel procedimento, il contenuto del
ricorso ed il decreto di fissazione di udienza.
L
1. I LEGITTIMATI ATTIVI.
art. 3 della predetta legge1 - che ha introdotto l'art. 406 c.c. - individua i soggetti legittimati attivi. La norma, al primo comma, indica
come primo legittimato attivo lo stesso potenziale beneficiario2, anche se già interdetto o inabilitato, o se ancora minore. Opera poi un rinvio
all'art. 417 c.c. che elenca invece, quali legittimati, in relazione all'amministrazione, il coniuge,
la persona stabilmente convivente, i parenti entro
il quarto grado, gli affini entro il secondo grado,
il tutore, il curatore ed il Pubblico Ministero.
Il terzo comma dell'art. 406 c.c. individua, in
ultimo, quali legittimati anche i responsabili dei
servizi sanitari e sociali direttamente impegnati
nella cura e nell'assistenza della persona, istituendo un vero e proprio obbligo, pur mitigato
dall'inciso “ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l'apertura del procedimento…”3, e
dalla locuzione finale della norma, in forza della
quale i servizi potrebbero alternativamente “fornirne comunque notizia al Pubblico Ministero”4.
Le novità introdotte dalla legge sono pertanto sin
qui da indicarsi nella possibilità che lo stesso
beneficiario avvii il procedimento a proprio favore, nella modifica apportata in tema di interdizione ed inabilitazione all'articolo 417 c.c. richiamato, come visto, dall'articolo 406 c.c., con l'aggiunta tra i legittimati attivi anche della persona
stabilmente convivente, e nella previsione della
legittimazione attiva in capo ai responsabili dei
servizi sanitari e sociali.
Il riconoscimento della legittimazione attiva
anche in capo allo stesso beneficiario - significativa innovazione nell'ambito del titolo XII del
libro primo del codice civile - riassume bene la
“ratio” sottesa alla legge 9/1/2004 n. 6 e va letta
L’
36
unitamente alla disposizione dell'art. 408 c.c.,
primo comma, secondo capoverso. Chi si trovi in
difficoltà, con un'impossibilità anche parziale di
provvedere ai propri interessi, e ritenga di poter
necessitare del sostegno di un amministratore,
può ricorrere direttamente al Giudice Tutelare,
rappresentando le proprie difficoltà e richiedendo
al giudice la nomina di un amministratore. È
anche possibile immaginare una propria futura
incapacità di agire e designare, nelle forme indicate dall'art. 408, primo comma, c.c. il proprio
amministratore, scegliendo liberamente una persona di fiducia e vincolando anche lo stesso Giudice Tutelare a tale indicazione, fatta salva l'esistenza di gravi motivi.
Il legislatore non ha tuttavia previsto, quale legittimato attivo alla proposizione del ricorso, anche
il soggetto designato dal beneficiario, che quindi
non potrà direttamente avviare il procedimento,
ma potrà dare attuazione alla manifestazione di
volontà del beneficiario, costituita dalla designazione, ricorrendo all'impulso di una delle categorie legittimate ed in particolare al Pubblico Ministero o ai servizi sanitari o sociali. Si può così
cogliere appieno la portata della legge 9/1/2004
n. 6: uno strumento di protezione, con la 'minore
limitazione possibile della capacità di agire'5, con
possibilità dello stesso beneficiario di azionare il
procedimento e di scegliersi l'amministratore.
La previsione che estende anche alla persona stabilmente convivente la legittimazione attiva al
procedimento ha invece recepito il mutamento
avvenuto nel tempo all'interno della nostra struttura sociale, ove situazioni di convivenza si
affiancano sempre più allo schema tradizionale
costituito dalla famiglia fondata sul matrimonio.
Il legislatore ha esteso la legittimazione attiva a
favore della persona stabilmente convivente inserendola all'articolo 417 c.c., nelle norme in tema
di interdizione e inabilitazione, istituti comportanti anche l'integrale sostituzione della persona,
ed ha richiamato tale disposizione all'articolo 406
c.c. per l'amministrazione, strumento di sostegno
all'individuo in situazioni connotate dall'impossibilità di cura dei propri interessi6. È chiara quindi l'intenzione del legislatore di introdurre nell'ambito dei diversi istituti una nuova categoria di
legittimati attivi costituita dalla “persona stabilmente convivente” con il soggetto in difficoltà,
senza operare distinguo, e a prescindere dall'invasività o meno dell'istituto utilizzato, superando
così una lacuna in parte anacronistica.
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
Il legislatore è stato volutamente sintetico nell'indicare il convivente quale legittimato attivo, ed
ha colorato la convivenza di una particolare connotazione parlando di “persona stabilmente convivente”. La mera convivenza, come situazione
di fatto, non sarebbe quindi elemento sufficiente
per essere annoverati tra i legittimati attivi. Tale
situazione di fatto deve, infatti, essere 'stabile',
cioè non momentanea od occasionale, connotata
in sostanza da elementi di solidità. Risulta particolarmente significativo, in tale contesto, il criterio temporale. Una convivenza significativamente duratura ed in atto al momento del deposito del
ricorso non può che ritenersi stabile. È più complesso esaminare la situazione di una convivenza
breve - seppur in atto al momento del deposito
del ricorso - dove acquisirebbero rilievo altri
indici che, a seconda dello specifico caso concreto, potrebbero essere sufficienti a configurare la
stabilità del rapporto. Si pensi ad esempio a due
soggetti che in funzione della loro convivenza
abbiano contratto specifiche obbligazioni, acquistato beni in comune, deciso di gestire i reciproci
redditi cumulativamente, connotando così la loro
convivenza con elementi di solidità.
Sorge poi l'ulteriore problema per il soggetto di
fatto stabilmente convivente: dimostrare tale propria qualità, non necessariamente ancorata ad uno
specifico dato formale quale ad esempio la comune residenza7.
Ulteriore aspetto da affrontare è quello legato
alla tipologia di convivenza. Si tratta cioè di
capire se il legislatore abbia fatto riferimento alle
convivenze more uxorio, o alla stabile convivenza connotata da altre motivazioni8, o se si possa
estendere il concetto anche a convivenze diverse,
come quelle riscontrabili all'interno di un contesto comunitario. È poco agevole fornire una soluzione univoca, poiché l'unico dato certo è la collocazione sistematica della “persona stabilmente
convivente”, nell'ambito dei soggetti legittimati
al deposito del ricorso, tra il “coniuge” ed i
“parenti entro il quarto grado”. Ove si ritenesse
prevalente l'assimilazione della persona stabilmente convivente al coniuge, si dovrebbe circoscrivere la categoria dei conviventi alle sole ipotesi connotate da un rapporto more uxorio. Ove si
propendesse per la totale autonomia della categoria costituita dalla “persona stabilmente convivente”, si potrebbe far riferimento alle più diverse situazioni di convivenza.
Quanto alla legittimazione in capo ai responsabili dei servizi sanitari o sociali la legge introduce
una specifica previsione solo in tema di amministrazione, operando la scelta, per nulla casuale, di
non estendere tale possibilità anche in tema di
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
interdizione e inabilitazione. L'amministrazione,
infatti, rappresenta uno strumento di sostegno,
più o meno esteso, a favore della persona in difficoltà, mentre con l'interdizione ed in parte con
l'inabilitazione si ha una vera e propria sostituzione a vantaggio del soggetto incapace.
Presupposto per la legittimazione dei servizi è
che questi siano direttamente impegnati nella
cura e nell'assistenza della persona, e che siano
“a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna
l'apertura del procedimento”. I servizi devono
quindi essere in possesso di elementi acquisiti in
occasione della cura o assistenza alla persona,
tali da evidenziare in modo esplicito o anche sintomatico un'impossibilità, anche parziale o temporanea, dell'individuo di provvedere ai propri
interessi, in presenza di una infermità o di una
menomazione fisica o psichica. In presenza di
questi presupposti, i servizi devono attivarsi. Si
tratta di un vero e proprio dovere: la norma è
esplicita nell'indicare come i servizi “sono tenuti
a proporre al giudice il ricorso…”9. Questo dovere, come visto, è solo mitigato dalla valutazione,
demandata agli stessi servizi, circa la sussistenza
di “fatti tali da rendere opportuna l'apertura del
procedimento”10. Quando l'apertura del procedimento risulti opportuna i servizi non possono esimersi dall'attivarsi11. Tale inciso da un lato lascia
un margine operativo verso il basso, cioè rispetto
a situazioni meno chiare, ma dall'altro non permette ai servizi la possibilità di effettuare scelte
nei casi in cui sussistano i requisiti richiesti dalla
legge per avviare il procedimento.
L'ultimo inciso dell'articolo 406 c.c. si presta poi
ad una duplice interpretazione. La norma recita:
“[I responsabili dei servizi sanitari e sociali]…
sono tenuti a proporre al Giudice Tutelare il
ricorso di cui all'articolo 407 o a fornirne comunque notizia al Pubblico Ministero”. È evidente
che i responsabili dei servizi hanno la possibilità
alternativa di proporre direttamente il ricorso o di
darne notizia al Pubblico Ministero perché questi
valuti se avviarlo o meno. È, invece, poco chiaro
se i responsabili dei servizi debbano o meno
“comunque” dare notizia al Pubblico Ministero
anche nell'ipotesi in cui decidano di promuovere
il ricorso.
2. GLI ALTRI SOGGETTI PRIVI DI LEGITTIMAZIONE ATTIVA.
individuazione dei soggetti legittimati attraverso la disciplina dettata dall'art. 406 c.c.,
non preclude tuttavia la possibilità anche a soggetti non legittimati di attivarsi per ottenere l'avvio di un procedimento di amministrazione12.
Infatti, il privato che, pur non rientrando tra le
categorie di soggetti legittimati, sia a conoscenza
di una specifica situazione meritevole di inter-
L’
37
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
vento, potrà scegliere se segnalare il tutto ai sevizi sanitari o sociali competenti13 (dipartimenti di
salute mentale o servizi sociali territoriali) o al
Pubblico ministero, o allo stesso Giudice Tutelare.
Il procedimento nei primi due casi potrà essere
avviato o dai responsabili dei servizi sanitari o
sociali, previa presa in carico della situazione, o
direttamente dal Pubblico Ministero. La segnalazione al Giudice Tutelare dovrebbe invece comportare la trasmissione della notizia al Pubblico
Ministero per l'esercizio dell'azione, non potendo
il Giudice Tutelare promuovere di ufficio il procedimento, fatta salva l'ipotesi contemplata dagli
articoli 418 u.c. c.c. e 429 u.c. c.c..
IUS POSTULANDI.
ndividuati i soggetti che sono legittimati a
depositare la richiesta14 o ricorso15 di amministrazione di sostegno, sorge il problema di verificare se sia o meno necessaria l'assistenza tecnica, cioè la presenza di un legale munito di specifica procura, e se solo questi possa depositare la
richiesta o il ricorso.
Fornire una risposta esaustiva a tale quesito non
è un compito particolarmente agevole. È necessario infatti individuare a quale categoria di atti sia
riconducibile l'amministrazione di sostegno, se
cioè si tratti di un vero e proprio giudizio in cui
le parti stanno in causa, dal contenuto e dalla forma contenziosa, o se si tratti di un procedimento
di giurisdizione volontaria, ed in tale ultimo caso,
se tale procedimento abbia o meno la forma contenziosa, o se verta o meno su questioni attinenti
lo stato giuridico di un soggetto.
Il procedimento di amministrazione di sostegno è
lasciato nell'esclusiva competenza del Giudice
Tutelare, che come è noto, provvede sempre e
I
Antonio
Spadavecchia,
49 anni
Giro di cappelli
Colori ad olio su
carta con inserzione
di oro in fogli
2004
38
AIAF RIVISTA 3/2004
solo con decreto anche su istanza informale16, in
procedimenti sempre ricondotti nell'ambito della
volontaria giurisdizione a contenuto non contenzioso.
Si potrebbe quindi ritenere che il procedimento di
amministrazione possa rientrare nell'ambito dei
procedimenti di giurisdizione volontaria.
La definizione di tale categoria ha sempre posto
alcune difficoltà, come anche l'individuazione
esatta dei suoi caratteri peculiari e la delimitazione del suo contenuto.
Autorevole dottrina ha ritenuto che il procedimento di giurisdizione volontaria sia diretto “ad
attuare per ragioni di pubblico interesse un controllo circa la legalità di un atto e/o l'opportunità
di taluni atti acchè i medesimi siano compiuti in
modo che non siano lesi o sorpresi gli interessi di
alcune categorie di soggetti”17.
Il procedimento di volontaria giurisdizione
dovrebbe essere connotato da alcune tipiche
caratteristiche quali la mancanza della contrapposizione tra le parti in lite e del pieno contraddittorio tra le stesse, l'introduzione della domanda nella forma del ricorso, con possibilità di
mutare la domanda nei suoi elementi costitutivi,
la mancanza di uno specifico onere della prova a
carico di un soggetto, la presenza di vasti poteri
istruttori al giudice procedente, l'assenza di una
specifica forma o ritualità degli atti, il contenuto
del provvedimento conclusivo che non dovrebbe
riconoscere uno specifico diritto ad un soggetto
in danno ad un altro, il difetto del carattere della
cosa giudicata sostanziale18.
Le materie in cui si parla di volontaria giurisdizione dovrebbero essere distinte da un'attività di
amministrazione che il legislatore ha affidato al
giudice per motivi di terzietà e garanzia, concorrendo spesso in misura più o meno evidente un
interesse pubblico alla definizione di una situazione che non prevede la sola contrapposizione di
parti private19. La stessa Corte di Cassazione ha
parlato di provvedimenti amministrativi riferendosi all'attività svolta dal Giudice Tutelare nell'ambito dei decreti autorizzativi emessi ai sensi
degli articoli 374 c.c. e 737 c.p.c., atti che diventano efficaci con il decorso del tempo, ma che
non hanno attitudine di acquisire efficacia di giudicato, né esplicito, né implicito20. La Corte di
Cassazione ha ancora fatto cenno alla natura
amministrativa dell'intervento del Giudice Tutelare in riferimento ai procedimenti ex art. 337
c.c.21, orientamento abbracciato anche da alcuni
Tribunali per i Minorenni22, e da autorevole giurisprudenza di merito in tema di affidamento di
minori ai sensi della legge n. 184/198323. Risulterebbe da ultimo riconducibile ad un'attività
amministrativa anche quella disposta sempre dal
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
Giudice Tutelare ai sensi dell'art. 371 c.c., pur
investendo una materia delicatissima relativa alla
vita del minore di età in tutela, estesa dall'art. 424
c.c. anche ai soggetti in stato di interdizione giudiziale24.
Fornite la definizione, i caratteri ed il contenuto
dei provvedimenti di giurisdizione volontaria,
risulta tuttavia complesso individuare con certezza se un procedimento, seppur caratterizzato
dagli elementi sopra ricordati, appartenga o meno
a questa categoria, poiché da un lato, tale termine non è espressamente utilizzato dal legislatore
se non in rari casi, come nell'art. 32 disp. att.
c.c.,25 e poiché, dall'altro, non esiste una norma di
raccordo generale tra la volontaria giurisdizione
ed uno specifico rito, quale quello camerale
disciplinato dagli articoli 737 e ss. c.p.c.26.
La circostanza della singolare competenza esclusiva del Giudice Tutelare e quanto ora ricordato in
tema di giurisdizione volontaria inducono a ritenere, secondo un'opinione che appare prevalente,
che sia maggiormente ragionevole affermare che
l'amministrazione di sostegno rientri nella categoria dei procedimenti di volontaria giurisdizione.
Se si aderisce a questa soluzione non trova applicazione la disposizione di cui all'art. 82 c.p.c., e
dunque non è automaticamente utilizzabile il
“principio dell'onere del patrocinio”. È utile ribadire che nei procedimenti di giurisdizione volontaria è improprio parlare di parte, come di giudizio, elementi riportati espressamente dalla norma
ultima citata.
Se si dovesse interpretare l'art. 82 c.p.c. diversamente, estendendolo a tutti i procedimenti, fatti
salvi quelli eccettuati, in nessun “procedimento”
davanti al Giudice Tutelare la “parte” potrebbe
ricorrere senza il patrocinio di un legale, e quindi i genitori dovrebbero essere assistiti nell'ambito dei ricorsi ai sensi dell'art. 320 c.c. o dell'art.
337 c.c., o nei ricorsi ex art. 3 legge n. 1185 del
1967, i tutori ed i curatori dovrebbero conferire
delega ad un difensore per ricorrere al loro Giudice Tutelare ai sensi degli articoli 363 c.c., 374
c.c., 371 c.c. e 394 c.c. (solo per ricordare alcune
norme), le minori dovrebbero munirsi di legale
per ricorrere ai sensi dell'articolo 12 della legge
n. 194 del 1978.
È necessario fare un ulteriore passo avanti: ritenuta, secondo tale tesi, la riconducibilità del procedimento di amministrazione di sostegno nell'ambito
della volontaria giurisdizione è indispensabile
capire se si tratti di un procedimento avente natura e forma di volontaria giurisdizione o avente
natura di giurisdizione volontaria e forma contenziosa. Si tratta cioè di stabilire se sia o meno utilizzabile la giurisprudenza che estende l'onere del
patrocinio e gli effetti dell'articolo 82 c.p.c. anche
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
a tutti i procedimenti caratterizzati nella forma da
richiami alla disciplina contenziosa.
È utile ricordare la lunga elaborazione dottrinale
e giurisprudenziale in materia di interdizione e di
inabilitazione, procedimenti “diretti a costituire il
soggetto nello stato di incapacità per l'esigenza di
ordine pubblico di adeguare la situazione giuridica riflettente la capacità della persona a quella
reale, e nel contempo tesa a preservare l'incapace
dal compimento di atti che potrebbero essergli
pregiudizievoli”27. Vi è sempre in questi casi concorrenza dell'interesse pubblico e privato. “La
prevalenza dell'uno o dell'altro influisce solo sulla forma del procedimento, che è contenziosa
quando ha maggior rilievo l'interesse generale,
come in genere i procedimenti attinenti lo status
delle persone; in tali casi il contraddittorio formale e la decisione con sentenza soggetta a tutti i
mezzi normali di impugnazione sono preordinati
al fine di assicurare una maggiore e più ampia
tutela di tale interesse”28.
Il procedimento di interdizione e inabilitazione è considerato dalla dottrina prevalente29
avente natura di giurisdizione volontaria e
forma contenziosa 30, e la giurisprudenza ha
affermato il principio secondo cui tale procedimento “ha per oggetto un accertamento sulla
capacità di agire che incide sullo status della
persona, la cui tutela non può prescindere dal
rispetto delle norme in tema di patrocinio delle
parti nel giudizio, e segnatamente di quella che
impone il ministero di un procuratore legalmente
esercente”31. La Corte di Cassazione ha evidenziato che tale procedimento risulta del tutto peculiare per la non disponibilità degli interessi coinvolti, per la posizione dei soggetti legittimati attivi, per i poteri inquisitori del giudice istruttore,
per la natura dell'atto conclusivo, una 'sentenza'
suscettibile di giudicato, ma revocabile, alla quale viene data una particolare pubblicità32. La forma contenziosa di tale procedimento è stata
desunta dal contenuto della pronuncia della Corte Costituzionale n. 87 del 1968 che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 713
c.p.c. nella parte in cui prevedeva la possibilità di
rigettare il ricorso senza istituire il pieno contraddittorio con l'istante, su semplice richiesta
del Pubblico Ministero competente.
Le osservazioni ora riportate riecheggiano chiare
ed illustri posizioni della dottrina in tema di giurisdizione volontaria33, allorché sostiene la non
piena idoneità del semplice rito camerale a garantire principi costituzionali relativi alla tutela giurisdizionale, con l'utilizzo di un procedimento
scheletrico, privo di una predeterminazione normativa delle forme e dei termini. Si ritiene in
sostanza la necessità di garantire il contradditto39
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
rio tra i soggetti del procedimento, l'esercizio
della facoltà di prova e la ricorribilità per Cassazione, quali elementi minimi perché il procedimento di giurisdizione volontaria possa rispettare
i principi dell'ordinamento.
L'esame della giurisprudenza della Corte di Cassazione, seppure in diverse materie, porta a concludere che si possa individuare un principio
generale in forza del quale nei procedimenti di
volontaria giurisdizione, ove si tratti di diritti
sostanziali o di status, si debbano mantenere
forme adeguate all'oggetto del procedimento,
rientrando tra tali forme anche la difesa tecnica, a prescindere quindi alla forma camerale o
speciale del singolo rito34.
È pacifico da quanto esposto che il procedimento
di interdizione e inabilitazione abbia natura di
giurisdizione volontaria e forma contenziosa.
Risulta più problematico equiparare sic et sempliciter tali procedimenti a quello di amministrazione e concludere il ragionamento affermando
analogamente che anche la forma del procedimento di amministrazione debba essere contenziosa.
È necessario verificare preliminarmente se sia o
meno applicabile il principio sopra esposto e cioè
se nel procedimento di amministrazione di sostegno si verta o meno in materia di status o di diritti sostanziali, ed in particolare se nel procedimento di amministrazione, analogamente a quanto
avviene per l'interdizione e l'inabilitazione, si incida sull'integrale capacità di agire di un soggetto,
con un provvedimento dichiarativo di un nuovo
status. Tale verifica è tutt'altro che agevole, risultandone l'esito imprescindibilmente connesso
all'esame di tutto il testo della legge 9/1/2004 n. 6
ed all'individuazione della ratio legis.
Il dato testuale della legge non sembra individuare nell'amministrazione di sostegno un procedimento che privi il soggetto integralmente o in
misura significativa della propria capacità di agire e men che meno un procedimento all'esito del
quale si possa dichiarare uno specifico status giuridico. Tale conclusione appare desumibile, in
sintesi, da diversi elementi: dalla dizione utilizzata nell'articolo 404 c.c. che prevede quale presupposto dell'emissione del decreto di apertura
del procedimento uno stato di infermità o menomazione fisica o psichica che comporti una
impossibilità35 anche parziale o temporanea di
provvedere ai propri interessi; dal contenuto dell'articolo 407, comma secondo, c.c. che dispone
che il giudice debba tener conto dei bisogni e delle richieste provenienti dal possibile beneficiario36; dall'articolo 409 c.c. che al primo comma
recita “il beneficiario conserva la capacità di agi40
AIAF RIVISTA 3/2004
re per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno”37, e che al secondo
comma sottolinea come in ogni caso il beneficiario può “compiere gli atti necessari a soddisfare
le esigenze della propria vita quotidiana”; dall'articolo 410, comma primo, c.c. ove viene indicato
che l'amministratore deve, quindi ha l'obbligo, di
tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del
beneficiario38; dall'articolo 410, secondo comma,
c.c. dal quale si desume che il beneficiario deve
essere in grado di interloquire con il proprio
amministratore, ricorrendo in caso di contrasto
con quest'ultimo al suo Giudice Tutelare; dall'articolo 411 c.c. che richiamando, con espressa e
tassativa enumerazione, le disposizioni in tema di
tutela applicabili in quanto compatibili all'amministrazione, traccia linee inequivoche (non è
necessario l'inventario39, non si procede ai sensi
dell'art. 37140, non si ricorre al collegio ai sensi
dell'art. 375,…), e da ultimo all'articolo 413 u.c.
c.c..
Il Giudice Tutelare, in forza degli articoli 405 c.c.
e 407 c.c., all'esito del procedimento di amministrazione, emette un decreto con il quale indica
specifiche e limitate aree o categorie di atti per le
quali il beneficiario sarà rappresentato dal suo
amministratore o per le quali il beneficiario dovrà
compiere l'atto unitamente al suo amministratore.
Il provvedimento di amministrazione è quindi
ritagliato sulle specifiche esigenze del singolo e
dovrebbe incidere per sua stessa natura su aspetti limitati della capacità di agire, per permettere il
più ampio rispetto del principio fondante l'intera
struttura normativa, principio individuabile nell'articolo 1 della legge 9/1/2004 n. 641, norma persa in sede di trasposizione della disciplina in
ambito codicistico.
Il provvedimento di amministrazione di sostegno non può quindi incidere in modo invasivo
sulla capacità di agire e non può essere sussumibile in categorie precostituite quanto agli effetti.
Ogni provvedimento, ogni decreto, sarà un unicum
per l'unicità che caratterizza le esigenze, le necessità e le peculiarità di ogni singolo individuo.
Il provvedimento di amministrazione di sostegno
non potrà del pari comprendere ogni categoria di
atto e l'intera sfera della capacità di agire del soggetto, senza per ciò solo violare lo stesso disposto normativo. Si tratterà più facilmente di singole e specifiche limitazioni calzate su esigenze
particolari rappresentate al giudice o emerse nel
corso del procedimento.
Risulta possibile sostenere, alla luce di quanto
esposto, che il procedimento di amministrazione
di sostegno non sia assimilabile, sotto il profilo
contenutistico, ad un procedimento relativo allo
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
status e che poco abbia a condividere quanto a
natura ed effetti con il procedimento dichiarativo
dell'interdizione o dell'inabilitazione, se non nella
misura in cui intervenga, anche se con modalità
completamente diverse, sulla capacità di agire.
È dubbio, a questo punto, che si possa ritenere di
essere in presenza di una forma contenziosa per il
procedimento di amministrazione di sostegno, ed
in effetti tale interpretazione è allo stato esclusa
da parte della giurisprudenza di merito42, anche se
non condivisa pacificamente43.
La conclusione esposta apparirebbe altresì sorretta, sia dalla procedura applicata all'intera gamma
dei procedimenti già di competenza del Giudice
Tutelare, come sopra sommariamente richiamati,
sia dalla circostanza che tra i legittimati vi siano
anche i servizi sanitari e sociali44, indice di una
diretta fruibilità ed accessibilità del procedimento, senza necessità di difesa tecnica, sia dalla circostanza che il Giudice Tutelare debba promuovere di ufficio il procedimento nei casi indicati
dagli articoli 418 u.c. c.c. e 429 u.c. c.c., sia dalla difformità del dato testuale esistente tra l'articolo 406, primo comma, c.c. e l'articolo 417, primo comma, c.c.45.
È utile chiarire che la possibilità dei soggetti
legittimati a ricorrere a questo istituto senza
necessità di difesa tecnica non comporta l'elisione delle diverse garanzie presenti nel procedimento di amministrazione di sostegno.
Tali garanzie sono desumibili in parte dalle procedure già di competenza del Giudice Tutelare, in
parte dalle norme richiamate dall'articolo 720 bis
c.p.c. in quanto compatibili ed in parte dai principi generali del nostro ordinamento.
È quindi pacifico che, al pari di quanto avviene
davanti al Giudice Tutelare nel procedimento ai
sensi dell'art. 337 c.c., o nel procedimento ai sensi dell'articolo 3 legge n. 1185 del 1967, o nel
procedimento ex art. 384 c.c., solo per citare
alcuni dei casi più ricorrenti, tutti i soggetti coinvolti nel procedimento devono essere posti in
grado di conoscere pienamente l'oggetto di cui si
tratta, rappresentando al giudice le loro posizioni
e le loro eventuali istanze.
Si osserva, inoltre, che nell'amministrazione di
sostegno - proprio anche ai fini di cui sopra - lo
stesso legislatore ha tracciato il contenuto del
procedimento. Ha indicato agli artt. 405 e 407
c.c. la forma dell'atto introduttivo; all'art. 407,
primo comma, c.c. ha specificato il contenuto
minimo dello stesso atto; agli articoli 404 c.c. e
712 c.p.c. ha individuato il giudice competente;
all'art. 407 c.c. ed attraverso il richiamo all'art.
713 c.p.c., in quanto compatibile, ha evidenziato
la necessità per il giudice di fissare l'udienza per
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
l'esame e la disciplina relativa alla comunicazione del ricorso46; all'art. 407, secondo comma, c.c.
ha specificato la necessità di procedere comunque all'esame del possibile beneficiario; all'articolo 407, terzo comma, c.c. ha precisato l'esigenza di sentire le persone potenzialmente legittimate, ricorrente incluso, soggetti che potrebbero in
tale ambito proporre al giudice dei 'temi di prova'; ancora all'articolo 407, terzo comma, c.c. ha
indicato la possibilità di approfondire l'istruttoria
con l'assunzione di informazioni, con accertamenti di natura medica, e con “tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione”; all'art.
407 u.c. c.c. ha chiarito la necessità dell'intervento del Pubblico Ministero; all'art. 719 c.p.c. ha
specificato i termini per l'impugnazione e da ultimo all'art. 720 bis c.p.c. ha individuato la possibilità di reclamare il provvedimento davanti alla
Corte di Appello e di ricorrere per Cassazione47
contro il decreto emesso dalla Corte di Appello.
È chiaro che il procedimento così come delineato
ha una propria scansione temporale, quantificata
anche nell'estensione complessiva, come indicato
all'art. 405, primo comma, c.c.48.
Risultano quindi superabili, nello specifico caso
del procedimento di amministrazione di sostegno, le acute osservazioni provenienti da parte
della dottrina in merito alla non piena idoneità
del semplice rito camerale a garantire principi
costituzionali relativi alla tutela giurisdizionale,
poiché da un lato, come visto, la disciplina garantisce la conoscenza del procedimento, individua
la procedura - le cui modalità sono regolate in
modo espresso e non derogabile -, consente ai
soggetti coinvolti di indicare 'temi di prova', e
prevede il reclamo alla Corte di Appello o il
ricorso per Cassazione, e poiché, dall'altro come illustrato - il procedimento comunque non
investe una pronuncia sullo status o sull'integrale
capacità di agire di un soggetto.
CONTENUTO MINIMO DEL RICORSO.
l ricorso deve avere un contenuto ben preciso. Mi riferisco non solo al contenuto minimo previsto dalla legge, ma anche al fatto che
la natura del provvedimento di amministrazione comporta per il giudice la necessaria conoscenza della concreta situazione in cui versi il
possibile beneficiario.
Il contenuto previsto dalla legge è riportato
all'art. 407, primo comma, c.c. che dispone come
il ricorso debba necessariamente indicare: le
generalità del beneficiario, la sua dimora abituale, le ragioni per cui si chiede la nomina dell'amministratore di sostegno, il nominativo ed il
domicilio, se conosciuti dal ricorrente, del coniuge, dei discendenti, degli ascendenti, dei fratelli e
I
41
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
dei conviventi del beneficiario. La norma appare
sufficientemente lineare, ma una lettura attenta
della legge nel suo complesso evidenzia la necessità di valutare se procedere o meno al coordinamento del primo comma dell'articolo 407 c.c. con
l'articolo 712 c.p.c. richiamato dall'articolo 720
bis c.p.c. ed applicabile in quanto compatibile.
L'articolo 712 c.p.c., in forza dell'espresso richiamo, dovrebbe avere una seppur ridotta portata
applicativa nell'ambito del procedimento di
amministrazione. È necessario precisare che il
legislatore non ha scisso gli aspetti sostanziali da
quelli procedurali nell'ambito delle norme che
vanno dall'art. 404 c.c. all'articolo 413 c.c.49. Il
legislatore, eccettuato l'articolo 720 bis c.p.c. non
ha introdotto nel codice di procedura civile specifiche previsioni. Diverse disposizioni a valenza
procedurale sono di fatto state inserite nel codice
civile. La presenza dell'articolo 720 bis c.p.c. ed
il richiamo effettuato da questa norma dovrebbero quindi rilevare esclusivamente per gli aspetti
procedimentali non regolati dalle norme inserite
nel codice civile. L'inciso “in quanto compatibili” dell'articolo 720 bis potrebbe assumere un
duplice rilievo: la compatibilità dovrebbe essere
valutata sia in relazione al fatto che esistono già
altre disposizioni a contenuto procedimentale nel
codice civile, sia per la circostanza del richiamo
ad articoli del codice di procedura civile nati per
disciplinare il procedimento per interdizione e
inabilitazione, istituti, come visto, decisamente
diversi dall'amministrazione nelle forme e nei
contenuti.
L'articolo 712 c.p.c. individua la forma della
domanda, il criterio per determinare il giudice
territorialmente competente, il contenuto del
ricorso, l'elencazione dei soggetti i cui dati anagrafici devono essere riportati.
Tutti questi elementi sono già disciplinati dalle
disposizioni contenute nel codice civile. Gli articoli 406 c.c. e 407 c.c. evidenziano che la domanda va introdotta con ricorso; l'articolo 404 indica
il criterio individuante il Giudice Tutelare territorialmente competente; l'articolo 407 c.c. disciplina il contenuto del ricorso, ed indica quali siano
i soggetti i cui dati devono essere riportati nel
ricorso.
Gli unici elementi differenzianti l'articolo 712
c.p.c. dal contenuto delle disposizioni ora citate,
consistono nel fatto che la disposizione del codice di procedura civile richiede l'indicazione del
nome, del cognome e della residenza delle persone da indicare in ricorso, mentre l'articolo 407
c.c. richiede solo il nominativo ed il domicilio, e
la circostanza che l'articolo 712 c.p.c. indichi tra
le categorie di soggetti anche gli affini entro il
secondo grado ed i parenti entro il quarto.
42
AIAF RIVISTA 3/2004
Il problema, da un punto di vista esclusivamente
pratico, potrebbe sembrare di poco rilievo; in
realtà diventa discriminante ove si ritenga che il
richiamo all'art. 712 c.p.c. comporti la necessità
di integrare il contenuto minimo del ricorso.
È possibile in sostanza sostenere sia che il richiamo all'articolo 712 c.p.c. debba fermarsi al primo
comma di tale norma, e quindi utilizzare la disposizione solo al fine di ribadire quale sia l'atto
introduttivo o il criterio di competenza territoriale, come è possibile sostenere che il richiamo
vada esteso anche al secondo comma dell'articolo 712 c.p.c., ampliando la categoria dei soggetti
prossimi al potenziale beneficiario i cui estremi
dovrebbero essere indicati in ricorso con maggiore precisione di quanto richieda l'art. 407 c.c.. Si
tratterebbe non solo di indicare il nominativo e il
domicilio tra gli altri di discendenti ed ascendenti, ma anche dei parenti entro il quarto grado e gli
affini entro il secondo, e per tutti con l'indicazione del nome, cognome e residenza.
L'elasticità e l'immediatezza che dovrebbero connotare il procedimento di amministrazione sembrano far propendere più per la prima soluzione,
cioè per una reiterazione in ambito processual
civilistico di dati già presenti nel codice civile,
ritenendo 'non compatibile' l'estensione delle
categorie indicate dall'art. 712 c.p.c., secondo
comma, in ambito di amministrazione di sostegno per la presenza di una difforme espressa previsione normativa all'interno dell'art. 407 c.c..
ELEMENTI ULTERIORI DEL RICORSO.
a particolare natura del procedimento, le indicazioni puntuali contenute nell'articolo 405
del codice civile e la conseguente necessità di
un'istruttoria sufficientemente approfondita inducono a dare un contenuto preciso al termine
“ragioni” utilizzato dal legislatore.
Sarà in sostanza sufficiente indicare i motivi che
hanno indotto a chiedere l'amministrazione ma
sarebbe opportuno che nel ricorso fossero precisati:
1) le condizioni di vita della persona per la quale
si chiede l'amministrazione: dove viva, con chi
viva, da chi sia assistita, se lavori o sia beneficiario di pensioni e di che tipo, se sia titolare
di conti o depositi, o di altri beni;
2) le eventuali infermità o menomazioni fisiche o
psichiche da cui sarebbe affetta la persona per
la quale si chiede l'amministrazione, e se sia o
meno seguita dai servizi sociali o dai servizi
psichiatrici indicando l'assistente sociale o il
medico di riferimento e la sede dei servizi
sociali o dell'ambulatorio, oltre all'indicazione
del medico di base;
3) gli atti che la persona per la quale si chiede
l'amministrazione non sarebbe in grado di
L
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
compiere specificando ad esempio se la persona appaia o meno in grado di utilizzare le
entrate mensili, di pagare le spese ricorrenti,
di gestire somme di denaro a cadenza mensile
o settimanale, ed altro.
Sarebbe altresì opportuno che il ricorso contenesse altri elementi non indicati dal primo comma
dell'articolo 407 c.c., ma comunque utili ai fini
della procedura in esame.
Il ricorrente dovrebbe poi specificare le eventuali ragioni di urgenza per l'emissione di un provvedimento ai sensi dell'articolo 405, comma
quarto, c.c., indicando ad esempio quali atti pregiudizievoli stiano per essere compiuti dalla persona, o quali atti necessari ed indifferibili, che la
persona non può compiere, debbano essere posti
in essere a suo favore.
Il ricorrente potrebbe, altresì, indicare se il possibile beneficiario abbia o meno già designato un
potenziale amministratore ai sensi dell'articolo
408 del codice civile.
Il ricorrente potrebbe ancora indicare se il possibile beneficiario sia o meno in grado di muoversi
autonomamente per poter essere convocato in
Tribunale per l'esame, o se l'esame necessariamente debba essere svolto presso la residenza o
la dimora.
Il ricorrente potrebbe allegare un certificato indicante i precisi estremi anagrafici del possibile
beneficiario e la documentazione medica attestante le esatte condizioni di salute.
Ci sono, quindi, molti elementi che non vengono
indicati come necessari dalla legge, ma che risultano particolarmente utili per le valutazioni del
Giudice Tutelare e per garantire la celerità del
procedimento e l'efficacia del provvedimento.
IL DECRETO DI FISSAZIONE DELL'UDIENZA.
epositato il ricorso, il giudice competente
dovrà in primo luogo verificare se esistano o
meno le ragioni di urgenza indicate nell'articolo
405 comma quarto. Conclusa questa fase preliminare, il giudice dovrà fare in modo che il soggetto individuato come beneficiario possa avere piena conoscenza del contenuto del ricorso. È necessario che il potenziale beneficiario sappia quali
sono i motivi che hanno indotto un terzo ad attivare il procedimento e che possa, ove dissenta da
questi, contrapporre le proprie ragioni, ed ove li
condivida, confermarli specificando i propri
bisogni e le proprie richieste.
Si pone il problema di stabilire chi debba procedere alla comunicazione del decreto e del ricorso
al beneficiario ed ai terzi indicati nel ricorso stesso, e se i terzi indicati debbano o meno avere, prima dell'udienza, piena conoscenza del contenuto
del ricorso.
D
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
È, infatti, possibile sostenere che il ricorrente
debba notificare il ricorso ed il decreto; o che sia
la cancelleria del Giudice Tutelare a dover comunicare il contenuto del decreto e del ricorso; o
che il ricorrente debba notificare al solo possibile beneficiario, risultando a carico della cancelleria l'onere di comunicare agli altri soggetti; o che
la cancelleria debba eseguire la comunicazione al
solo potenziale beneficiario, essendo onere del
ricorrente far comparire gli altri soggetti terzi
indicati in ricorso.
La questione non è di facile soluzione e chiaramente la risposta al quesito muta a seconda della
posizione adottata in merito alla forma contenziosa o meno del procedimento di amministrazione, procedimento che, come visto, parrebbe
meglio corrispondere alla natura di giurisdizione
volontaria.
Chi, infatti, ritiene che la forma sia contenziosa
dovrebbe necessariamente optare per la notifica a
cura del ricorrente, che introduce la domanda a
tutti i soggetti parti del procedimento, come
avviene per l'interdizione o l'inabilitazione. Il
giudice nel decreto in cui fissa l'udienza pone a
carico del ricorrente l'onere della notifica sia
all'interdicendo o all'inabilitando sia alle persone
indicate in ricorso le cui informazioni potrebbero
risultare utili.
Chi, al contrario, ritiene che la forma non sia
contenziosa potrebbe abbracciare una delle diverse opzioni sopra indicate.
Il dato normativo non offre una soluzione radicale al problema. È infatti necessario richiamare gli
articoli 407 c.c. e 713 c.p.c..
Quest'ultima norma, applicabile in quanto compatibile, è nata per disciplinare il procedimento
di interdizione e inabilitazione: prevede in sintesi al primo comma il compito del Presidente di
nominare il giudice istruttore e fissare l'udienza
di comparizione, ed al secondo comma l'obbligo
di notifica a cura del ricorrente del ricorso e del
decreto alle persone le cui informazioni siano
ritenute utili.
Il primo comma dell'articolo 713 c.p.c. non risulta compatibile con la disciplina in tema di amministrazione per ciò che concerne la fase presidenziale. Il procedimento di amministrazione si svolge, infatti, davanti al solo Giudice Tutelare. Il
primo comma è quindi forse compatibile solo
nella parte in cui prevede che il Giudice Tutelare
fissi l'udienza di comparizione del ricorrente, del
possibile beneficiario e delle altre persone indicate in ricorso le cui informazioni ritenga utili. Si
tratta tuttavia di una 'compatibilità' ultronea
rispetto alla previsione contenuta nell'art. 407
c.c.. È infatti chiaro che, poiché il Giudice Tutelare deve sentire il beneficiario e gli altri sogget43
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
ti indicati in ricorso, deve necessariamente fissare una o più udienze.
Il secondo comma dell'art. 713 c.p.c., che prevede l'onere di notifica a carico del ricorrente, risulterebbe astrattamente applicabile per intero
all'amministrazione, salvo confliggere con la
ratio dell'amministrazione di sostegno e con la
forma non contenziosa del procedimento.
La norma risulta compatibile nella parte in cui
prevede la notifica del ricorso e del decreto al
possibile beneficiario, realizzando l'effettiva e
piena conoscibilità da parte di quest'ultimo dell'atto introduttivo del procedimento a proprio
favore. Tale previsione non confligge, come
sopra visto, neppure con la natura non contenziosa del procedimento, realizzando al contrario una
di quelle garanzie necessarie in tema di giurisdizione volontaria. Si tratterebbe in sostanza del
solo onere a carico del ricorrente, all'interno di
un procedimento rapido e snello, strumento atto a
garantire la piena conoscibilità dell'atto prima
dell'udienza, a differenza di quanto avviene negli
altri procedimenti di competenza del Giudice
Tutelare ove la cancelleria provvede ad effettuare la comunicazione50.
Risulta più difficile ritenere che l'articolo 713
c.p.c. secondo comma sia compatibile con la
disciplina in tema di amministrazione, nella parte in cui prevede l'onere a carico del ricorrente di
notificare ricorso e decreto a tutti i soggetti indicati in ricorso le cui informazioni siano ritenute
ex ante utili dal giudice.
Tale difficile compatibilità emerge dall'esame
dell'articolo 407 c.c..
L'articolo 407 c.c. prevede, al secondo comma,
l'obbligo del giudice di sentire personalmente il
potenziale beneficiario, mentre al terzo comma
dispone che il giudice provveda, assunte le
necessarie informazioni e sentiti i soggetti indicati nell'art. 406 c.c.. Il terzo comma dell'articolo, prosegue con l'inciso “[il giudice]… in caso di
mancata comparizione [dei soggetti di cui
all'art. 406] provvede comunque sul ricorso.
Dispone altresì anche di ufficio, gli accertamenti
di natura medica e tutti gli altri mezzi istruttori
utili ai fini della decisione.”, ed al quinto comma
indica l'obbligatorietà dell'intervento del Pubblico Ministero nel procedimento. La norma prevede, quindi, che tutti i possibili legittimati attivi
siano messi in grado di comparire in udienza, ove
lo vogliano, per essere sentiti nell'ambito dell'impiego dei poteri istruttori conferiti al Giudice
Tutelare. Questi soggetti non assumono la veste
di parte in senso tecnico, non possono formulare
una vera e propria domanda51, e vengono sentiti a
sommarie informazioni all'interno di un procedimento necessariamente rapido52, pur potendo,
44
AIAF RIVISTA 3/2004
come tutti i soggetti del procedimento, evidenziare al giudice aspetti o circostanze meritevoli di
essere approfondite attraverso i poteri istruttori
di quest'ultimo.
Emerge da quanto esposto che la conoscenza
effettiva e completa del ricorso prima dell'udienza da parte dei soggetti legittimati attivi non
ricorrenti sia poco compatibile con la forma non
contenziosa del procedimento e, in ogni caso, con
la funzione da questi rivestita.
Sembra risultare quindi maggiormente conforme
all'intera architettura normativa la soluzione
secondo cui il ricorrente dovrebbe notificare il
ricorso introduttivo ed il decreto emesso dal Giudice Tutelare al solo possibile beneficiario, risultando a carico della cancelleria l'onere di comunicare agli altri soggetti con biglietto di cancelleria il contenuto del solo decreto emesso dal Giudice Tutelare, permettendo loro di conoscere la
data dell'udienza ed il motivo della stessa.
CONCLUSIONI.
na lettura critica della legge 9/1/2004 n. 6
evidenzia l'esistenza di molti problemi interpretativi e di alcune incongruenze, forse solo
apparenti, che esclusivamente le pronunzie giurisprudenziali, in particolare delle Corti di Appello
e della Corte di Cassazione, potranno sciogliere.
Spetta ora ai diversi operatori del diritto, alla dottrina ed alla giurisprudenza, ed anche agli operatori del settore sanitario e sociale, dare piena
attuazione alla volontà del legislatore, superando
gli ostacoli esistenti, senza dimenticare la portata
rivoluzionaria di questa legge nell'interesse
esclusivo dei soggetti deboli: i veri destinatari
della norma.
U
* Giudice del Tribunale di Torino, Ufficio del Giudice Tutelare
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
NOTE
1
Verranno nel proseguo citate esclusivamente le norme del codice civile come introdotte dalla legge n. 6/2004.
2
Tale novità riguarda anche il soggetto interdicendo o inabilitando come risulta dalla nuova formulazione dell'art. 417 c.c..
3
Articolo 406 u.c. c.c.
4
Articolo 406 u.c. c.c.
5
Tale formula è riportata nell'articolo 1 della legge 9/1/2004 n. 6.
6
I presupposti per l'applicazione dell'amministrazione di sostegno sono indicati all'articolo 404 c.c., norma che fa riferimento all'impossibilità di cura degli interessi a seguito di una infermità o menomazione fisica o psichica che pregiudichi l'autonomia del soggetto.
7
È possibile immaginare che l'interessato possa fornire diversi elementi utili dai quali desumere l'effettiva convivenza, a prescindere
dal dato formale della residenza, documentando ad esempio la cointestazione di beni significativi, come l'abitazione o un conto bancario di gestione comune ai conviventi, o rappresentando al giudice altre specifiche circostanze.
8
Si pensi ad esempio alla convivenza motivata da semplice amicizia, o connessa ad esigenze di natura economica per il riparto di spese comuni, o connotata da legami di natura affettiva.
9
Si veda l'articolo 406 u.c. c.c.
10 Si veda l'articolo 406 u.c. c.c.
11 Si tratta in sostanza di una “opportunità” connotata da una valenza oggettiva. È quindi importante non confondere il dovere di attivarsi in presenza degli elementi che rendono “opportuna l'apertura del procedimento”, con le valutazioni effettuate dai servizi in relazione alla concreta situazione del potenziale beneficiario.
12 M.F. Christillin, in Raccolta Atti Seminario CSM-EGIDA, 27 marzo, 18 aprile, 8 maggio 2004, pag. 21 e ss.
13 La segnalazione dovrebbe essere indirizzata ai servizi di salute mentale o ai servizi sociali presenti sul territorio in funzione della causa originante la difficoltà, e cioè se la stessa sia conseguente ad una patologia psichiatrica o ad una menomazione fisica o psichica.
Il dovere di attivazione dei servizi previsto dalla legge dovrebbe indurre gli stessi, ove non fossero direttamente competenti, a trasmettere la segnalazione ricevuta al servizio realmente competente, trattandosi di una mera ripartizione interna del carico di lavoro,
o al Pubblico Ministero per le proprie determinazioni.
14 Termine utilizzato all'art. 405, primo comma, c.c..
15 Termine utilizzato, tra l'altro, agli articoli 406 c.c. e 407 c.c..
16 È necessario richiamare in materia l'art. 43 disp. att. al codice civile.
17 A. Jannuzzi, Manuale della Volontaria Giurisdizione, Giuffrè Editore Milano, 2000.
18 ibidem
19 G.Cian - A. Trabucchi, Codice di Procedura Civile Annotato, Cedam, 1999.
20 Cass. Civ. Sez. II, 6 agosto 2001, n. 10822, in Giust. Civ. Mass., 2001, 1551.
21 Cass. Civ. Sez. I, 3 novembre 2000, n. 14360, in Giust. Civ. Mass., 2000, 2504.
22 Tribunale per i Minorenni Perugia, 13 giugno 1997, in Rass. Giur. Umbra, 1998, 17, nota Tarquinio.
23 Pretura Roma, 12 dicembre 1983, in Giust. Civ., 1984, I, 1339.
24 Cass. Civ. Sez. I, 8 ottobre 1979 n. 5195, in Giust. Civ., 1980, I, 115.
25 G.Cian - A. Trabucchi, op.cit., art. 737 c.p.c..
26 ibidem
27 A. Jannuzzi, op. cit., pag. 7 e ss..
28 A. Jannuzzi, op. cit., ibidem
29 Vedasi in particolare Carnelutti, Iannuzzi e Mandrioli.
30 M.F. Christillin, in Raccolta Atti Seminario CSM-EGIDA 27 marzo, 18 aprile, 8 maggio 2004, pag. 21 e ss.
31 Cass. Civ. Sez. I, 22 giugno 1994 n. 5967, in Giust. Civ., 1980, I, 115.
32 Cass. ult. cit.
33 Proto Pisani, in R. d. Civ. 90, I, 393 e ss.; Civinini, I procedimenti in camera di consiglio, 1994; Carratta, R. trim. 92, 1049.
34 Cass. Civ. Sez. I, 30 luglio 1996, n. 6900; Cass. Civ. Sez. I, 27 giugno 1997, n. 5770; Cass. Civ. Sez. II, 18 febbraio 1999, n. 1375;
Cass. Civ. Sez. I, 10 gennaio 1996, n. 156.
35 Il peso di ogni singola parola per i legislatore dovrebbe essere essenziale. Il termine impossibilità è del tutto difforme dal termine incapacità utilizzato in tema di interdizione o inabilitazione. La dizione utilizzata per individuare le ipotesi di interdizione nell'articolo
414 del codice civile è “abituale infermità di mente” tale da comportare l'incapacità di provvedere ai propri interessi con la contestuale necessità di assicurare alla persona un'adeguata protezione non altrimenti garantibile. Le ipotesi connesse all'inabilitazione
sono più articolate. La norma fa riferimento ad una “infermità di mente” che non comporti l'integrale incapacità di provvedere ai propri interessi oppure ad uno stato di prodigalità o abuso abituale di sostanze alcoliche o stupefacenti con grave pregiudizio economico per la persona o per la sua famiglia, oppure alla situazione del sordomuto o cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, privi di sufficiente educazione e non del tutto incapaci di provvedere ai loro interessi. Risulta poi poco convincente la posizione dottrinale che
di fronte a queste ultime osservazioni ritiene che il legislatore abbia utilizzato impropriamente il termine impossibilità, e che l'interprete evidenziando tali anomalie lessicali, cioè la difformità tra impossibilità ed incapacità, commetta un eccesso di rigore interpre-
45
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
AIAF RIVISTA 3/2004
tativo: qualora, del resto, si opinasse diversamente, vi sarebbe una notevole difficoltà a comprendere la differenza tra il soggetto che per infermità psichica si trova nelle condizioni di dover essere interdetto, poiché incapace di provvedere ai suoi interessi, e l'analoga situazione del soggetto che, sempre incapace, sia invece da sottoporre ad amministrazione di sostegno.
36 Tale norma evidenzia la sussistenza di una buona capacità residua in capo al potenziale beneficiario.
37 Risulterebbe quindi implicita la permanenza di capacità di agire in capo al beneficiario.
38 Tale norma presuppone l'esistenza di un beneficiario non solo con discrete capacità, ma anche in grado di esprimere delle aspirazioni e dei desideri chiaramente rappresentabili e percepibili dal suo amministratore, in un rapporto pienamente dialettico.
39 La mancanza di un atto di inventario de beni, speculare rispetto alla disciplina in vigore in tema di inabilitazione e curatela, evidenzia che l'amministrato dovrebbe avere una capacità tale da poter tutelare autonomamente in misura parziale i propri interessi, quanto meno, al pari dell'inabilitato.
40 Il mancato richiamo al provvedimento in tema di collocazione e scelte fondamentali per il quotidiano dovrebbe dimostrare l'autonomia del beneficiario nell'affrontare tali problemi.
41 L'articolo 1 della legge recita: “La presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone
prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”.
42 La posizione esposta, limitatamente allo ius postulandi, risulterebbe, allo stato, condivisa tra gli altri, anche se non univocamente, dal Tribunale
di Milano, Palermo, Torino,Cuneo, Alessandria, Ancona, Asti, Alba, Mondovì, Saluzzo.
43 Tali conclusioni in tema di ius postulandi non risulterebbero condivise da altri tribunali tra cui per certo Padova e, Biella. Il Giudice Tutelare di
Padova ha emesso un articolato decreto in materia, ed il Giudice Tutelare di Biella ha ritenuto che i servizi sociali dovessero comunque ricorrere al patrocinio legale.
44 Risulta difficile immaginare che i singoli servizi sul territorio debbano necessariamente ricorrere all'assistenza tecnica di un legale ove intendano
direttamente promuovere il ricorso, magari per ragioni di urgenza, senza transitare attraverso l'intervento del Pubblico Ministero.
45 La prima norma richiamata dispone che il ricorso per l'amministrazione possa essere “proposto” dai legittimati, mentre la seconda norma prevede che interdizione e inabilitazione possano essere “promosse”.
46 L'articolo 713 c.p.c., come vedremo oltre, deve necessariamente essere applicato, come ricorda l'inciso dell'art. 720 bis c.p.c. 'in quanto compatibile' con la disciplina dettata dagli articoli 404 - 413 c.c. in tema di amministrazione ed in particolare con quanto disposto dall'art. 406 c.c..
47 La possibilità di ricorrere per Cassazione pone un problema di delicata soluzione relativamente alla necessità di difesa tecnica. Il procedimento
di amministrazione di sostegno, secondo una delle tesi esposte, risulterebbe attivabile senza necessità di difesa tecnica, pur prevedendo al contempo la ricorribilità per Cassazione.
48 Il Giudice Tutelare dovrebbe riuscire a provvedere in sessanta giorni.
49 È utile ricordare che l'articolo 407 c.c. è stato rubricato “Procedimento” e di fatto disciplina, almeno in parte, la procedura da seguire nell'amministrazione di sostegno.
50 La cancelleria del Giudice Tutelare nei vari procedimenti di volontaria giurisdizione provvede, su richiesta del Giudice, a comunicare agli interessati la pendenza del procedimento e la data di udienza. Gli interessati, tuttavia, non conoscono sempre e necessariamente a priori il contenuto degli atti che hanno originato la convocazione, ma solo il motivo della stessa.
51 L'unica domanda contemplata nel procedimento è l'accoglimento del ricorso con apertura del procedimento o il rigetto del ricorso con la trasmissione degli atti in archivio o al Pubblico Ministero per l'eventuale avvio di un procedimento di inabilitazione o interdizione.
52 Il legislatore vorrebbe che il giudice chiudesse il procedimento entro sessanta giorni dal deposito del ricorso, come indicato nell'articolo 405 c.c.,
termine che tuttavia appare avente natura ordinatoria e non perentoria.
Luigi Funedda,
41 anni
Riccardo Gazzillo,
36 anni
Roberto Mizzon,
48 anni
Simona Occhipinti,
27 anni
Gianni Oriente,
60 anni
Nadia Primiani,
44 anni
Accoglienza
Inaccoglienza
acrilici su cartoncini
telati fissati a tavola
di cm 160x120
46
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
FINALITÀ DELLA LEGGE 6/04 E VALUTAZIONI SULLA SUA APPLICAZIONE A UN ANNO DAL VARO
LAURA COSENTINI*
FINALITA' E RATIO DELLA RIFORMA
A
rt.1 L.6/2004:
“Finalità della legge”
“La presente legge ha la finalità di tutelare, con
la minore limitazione possibile della capacità di
agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita
quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”.
Tale esplicita intenzione del legislatore viene sinteticamente riassunta nella modificata rubrica del
Titolo XII, non più “Dell'infermità di mente, dell'interdizione e dell'inabilitazione”, bensì “Delle
misure di protezione delle persone prive in tutto
o in parte di autonomia”. Il Titolo II è quindi
suddiviso in Capo I “Dell'amministrazione di
sostegno”, e Capo II “Della interdizione, della
inabilitazione e della incapacità naturale”.
Il legislatore si è con ciò proposto, nei termini
esattamente indicati all'art.1, di offrire al soggetto disabile un regime di protezione che gli dia
tutti gli strumenti di assistenza e sostegno di volta in volta necessari in funzione del suo deficit,
comprimendo il meno possibile quelle aree residuali di capacità e autonomia di cui sia comunque dotato. L'intervento dell'ordinamento a favore della persona disabile è quindi incentrato sul
concetto di protezione, là dove sia utile e necessaria, e non più sul concetto di divieto, qual è il
significato primo del termine interdizione, ossia
di preclusione al compimento di qualunque atto
negoziale, esteso indiscriminatamente a qualunque atto di natura sia personale sia patrimoniale.
Sembra con ciò abbandonarsi l'impostazione che
per tanti anni si è ritenuta alla base dell'interdizione, quando si affermava che l'interesse perseguito dall'ordinamento era in primo luogo di natura pubblica, eliminare il disordine giuridico che si
viene a creare se nella realtà giuridica si presume
capace di agire un soggetto che in realtà è un incapace, e quindi intervenire con una pronuncia che
ne escluda la capacità giuridica, a tutela dei terzi
che stabiliscano rapporti con lui; l'interesse soggettivo dell'incapace diveniva quindi oggetto di
attenzione e tutela solo dopo l'accertamento e la
dichiarazione della sua incapacità, mediante la
costituzione dell'ufficio tutelare.
Ora invece al centro dell'attenzione è l'incapace,
con la sua persona, i suoi bisogni, le sue diffi-
coltà, le sue aspirazioni (termine significativo
perché richiama il diritto del soggetto ad avere un
futuro), e sino a che sia possibile l'ordinamento
deve offrirgli strumenti di protezione nelle singole aree e nei singoli momenti in cui si riveli
necessario, senza emettere una pronuncia di totale esclusione della sua capacità di agire.
Lo strumento dell'A.S. consente di “ritagliare”
sulla persona dell'incapace un intervento di protezione che lo assista e lo affianchi in quelle aree
e in quei momenti in cui ciò appaia necessario,
caratterizzandosi il decreto del G.T. per la flessibilità di un contenuto che avrà l'incidenza e l'estensione che lo stesso giudice riterrà di prevedere in funzione delle necessità di protezione emerse. Così inteso avrebbe potuto avere anche la portata più estesa possibile, idonea a coprire, con
maggiore o minore incisività, tutte le aree di deficit presenti nel soggetto, con ciò venendosi a
sostituire agli istituti già previsti di interdizione e
inabilitazione.
Il legislatore tuttavia non ha ritenuto di procedere in tal senso, ma ha mantenuto nel nostro ordinamento, sia l'istituto dell'interdizione, proposto
quale estrema ratio (dal combinato disposto degli
artt.413 comma 4 e 414 c.c. ne emerge come
soluzione necessaria per assicurare adeguata
protezione all'infermo di mente incapace di provvedere ai propri interessi, là dove l'amministrazione di sostegno si riveli misura inidonea a realizzare la piena tutela del soggetto), sia l'istituto
dell'inabilitazione. Starà all'interprete individuare la non chiara linea di confine tra i tre istituti,
ovvero capire sino a che punto è consentito estendere l'ambito d'intervento dell'amministratore di
sostegno, quando divenga necessario rimettere
integralmente a un tutore la cura della persona e
del suo patrimonio, quando sia sufficiente affiancare al soggetto un mero curatore.
POTERI DI AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO,
TUTORE, CURATORE
ella ricerca di una linea scriminante tra
Amministrazione di Sostegno, Tutela, Curatela, può essere utile guardare preliminarmente
ai poteri e ambiti d'intervento che l'ordinamento
riconosce all'A.S., al tutore, al curatore.
Vengono in considerazione le seguenti norme:
Art.357 c.c. “il tutore ha la cura della persona
del minore,<dell'interdetto ex art.424 c.c.>, lo
rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra
i beni
N
47
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
Art.405 c.c. comma 5 “Il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno deve contenere l'indicazione:1)… 2)… 3) dell'oggetto dell'incarico
e degli atti che l'amministratore di sostegno ha il
potere di compiere in nome e per conto del beneficiario.. 4) degli atti che il beneficiario può compiere solo con l'assistenza dell'amministratore di
sostegno;..”
Art.409 c.c. “Il beneficiario conserva la capacità
di agire per tutti gli atti che non richiedono la
rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno.
Art.394 c.c. “Il minore emancipato <l'inabilitato, ex art.424 c.c.> può con l'assistenza del curatore riscuotere i capitali… può stare in giudizio…
Per gli altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, oltre il consenso del curatore è necessaria l'autorizzazione del giudice tutelare… Per
gli atti indicati nell'art.375 c.c. l'autorizzazione
deve essere data dal tribunale…”
Nel raffrontare le funzioni di tutore e Amministratore di Sostegno, se ne ricava che, se al tutore è riconosciuta la rappresentanza esclusiva del
tutelato in tutti gli atti civili e il potere di amministrarne i beni nella loro generalità, con piena
libertà di azione nell'individuare i necessari atti
da compiere (sia pure sotto il controllo del G.T.),
all'A.S. è riconosciuto il potere di compiere (in
rappresentanza esclusiva o in assistenza) solo
quegli atti che, indicati singolarmente o per tipologie, siano compresi dal G.T. nel decreto di
nomina, nella consapevolezza che il beneficiario
conserva la capacità di agire per tutti gli atti che
non siano stati espressamente menzionati.
Nel raffrontare le funzioni di Amministratore di
Sostegno e curatore, se ne ricava che, mentre
l'A.S. può essere autorizzato al compimento di
atti sia in rappresentanza esclusiva del soggetto,
sia in sua assistenza, il curatore ha unicamente il
potere di affiancare il soggetto solo per gli atti di
straordinaria amministrazione esprimendo un
consenso, mentre in nessun caso potrà sostituirlo,
esprimendo in suo nome una volontà negoziale.
AMBITO PERSONALE
sorto il dubbio che l'A.S. possa essere incaricato solo di atti di gestione economicopatrimoniale, non inerenti la condizione personale del soggetto, la cura della sua persona, il
suo collocamento. Ciò nascerebbe dal mancato
richiamo, tra le norme della tutela estese
all'A.S., del'art.371 c.c. (“il G.T. delibera sul
luogo dove il minore deve essere allevato…”)
e dalla previsione, all'art.405 c.c., di adozione
di provvedimenti per la cura della persona solo
È
48
AIAF RIVISTA 3/2004
come misure urgenti, non richiamate tra i successivi atti specificamente rimessi all'A.S. nel
decreto di nomina, atti che si reputerebbero
quindi non consentiti come compiti delegabili
all'A.S. in via permanente.
Non sembra tuttavia che tale interpretazione sia
condivisibile. La previsione di una possibile adozione urgente di provvedimenti per la cura della
persona nell'immediatezza del ricorso al G.T.
sembrerebbe anzi far ritenere che tale è l'intervento primo dell'A.S., il suo compito principale, di
certo non escluso anche nel prosieguo ogniqualvolta se ne ravvisi la necessità. La legittimità e
doverosità di tale intervento, ove necessario,
emerge anche da altre norme, che pongono l'accento su una modalità di protezione che dovrà
porre particolare attenzione alle esigenze di cura e
agli interessi della persona non solo materiali ma
anche morali. Si vedano l'art.405 n. 6 (“…l'A.S.
deve riferire al giudice circa l'attività svolta e circa le condizioni di vita personale e sociale del
beneficiario…”), l'art.408 (“…la scelta dell'A.S.
avviene con esclusivo riguardo alla cura e agli
interessi della persona del beneficiario…”),
l'art.410 (“…nello svolgimento dei suoi compiti
l'A.S. deve tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario”), l'art. 44 disp.att. c.c.
(“…il giudice tutelare può convocare in qualunque momento… l'A.S. per dargli istruzioni inerenti gli interessi morali e patrimoniali del beneficiario”), l'art.49 bis disp.att. c.c. (che comprende
anche i provvedimenti urgenti tra quelli destinati
ad essere annotati sul registro di cancelleria).
Particolare rilievo si riconosce poi all'art.418
c.c., secondo cui i provvedimenti urgenti di cui al
comma 4 dell'art.405 (e tra questi vi sono certamente quelli inerenti la cura della persona) possono essere adottati anche quando, nel corso del
giudizio d'interdizione, anziché procedere ad una
pronuncia d'interdizione, si ritenga opportuno
applicare l'amministrazione di sostegno e trasmettere a tal fine gli atti al giudice tutelare. Il
compito di cura della persona non può pertanto
ritenersi estraneo ai poteri dell'A.S., data la previsione esplicita di tale ambito d'intervento proprio nel momento in cui si escluda di dare corso
ad una pronuncia d'interdizione.
In tal senso sono anche le indicazioni che provengono dai lavori preparatori di elaborazione
della legge in sede parlamentare; nella seduta del
22.12.2003, nell'esprimere il voto favorevole, un
senatore ribadisce che “…la portata dell'articolato si caratterizza per non limitarsi alla tutela
degli interessi patrimoniali dei beneficiari del
nuovo istituto, essendo lo stesso diretto anche ad
assicurare la cura della persona…”.
Sotto il profilo della misura di protezione in ambi-
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
to personale, può quindi affermarsi che l'Amministratore di Sostegno può avere (ove gli vengano
espressamente riconosciuti) analoghi poteri del
tutore. Di tali poteri è invece sicuramente privo il
curatore, che potrà affiancare il soggetto nel porre in essere atti “eccedenti l'ordinaria amministrazione”, espressione che non può che riferirsi ad
operazioni di natura solo patrimoniale.
L'attenzione data al tema della cura della persona deriva dalla considerazione che in tale ambito
rientra non solo l'operato dell'A.S. in termini di
attuazione e controllo di una data soluzione abitativa, assistenziale, sanitaria, che sia adeguata
alle esigenze e patologie del soggetto, bensì
anche possibili interventi fortemente incisivi e
limitativi della libera determinazione del soggetto in aree come i trattamenti sanitari sulla persona o la libertà del domicilio e della circolazione,
tutelati anche in ambito costituzionale. Se il soggetto non è consapevole di sé e della propria
malattia, l'A.S. potrà quindi essere autorizzato, se
necessario anche in contrasto con la volontà
espressa (ma viziata) dello stesso, ad inserirlo in
contesti sanitari di ricovero, a sottoporlo a cure,
ad esprimere il consenso informato ad interventi
chirurgici, ecc.
AMBITO PATRIMONIALE
ome per il tutore, il legislatore ha riconosciuto all'A.S., se espressamente autorizzato, il potere di compiere atti di gestione (in
rappresentanza esclusiva, o in assistenza dell'incapace), sia di natura ordinaria, sia di natura straordinaria. Per questi ultimi vi è anzi la
singolarità di una disciplina differente rispetto
agli atti di straordinaria amministrazione compiuti dal tutore, in quanto, se posti in essere
dall'A.S., sono tutti indifferentemente rimessi
all'autorizzazione del solo G.T., se posti in
essere dal tutore sono rimessi all'autorizzazione del G.T. o del tribunale a seconda della loro
tipologia (artt.374 e 375 c.c.).
Di tale distinzione non si comprende peraltro la
ratio, ove si consideri che la ritenuta necessità di
un controllo più ponderato da parte dell'organo
collegiale rispetto all'organo monocratico
dovrebbe discendere dalla maggiore incisività di
un dato atto sul patrimonio del soggetto amministrato, e quindi dalla tipologia dell'atto posto in
essere, e non già dal fatto che nel caso concreto
l'atto sia posto in essere da un soggetto che abbia
la rappresentanza dell'interessato per la gestione
dell'intero patrimonio ovvero solo per dati atti
individuati (quando comunque, dovendo verificarsi l'opportunità e utilità dell'operazione, non
potrà prescindersi dal valutarla nel contesto del
restante patrimonio dell'interessato).
C
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
Netta è la distinzione tra A.S. e curatore, in quanto il curatore può solo assistere il soggetto per
atti di straordinaria amministrazione, mentre
l'A.S. può sia assisterlo, sia rappresentarlo in via
esclusiva, per atti sia di ordinaria sia di straordinaria amministrazione.
PRIME VALUTAZIONI CIRCA L'AMBITO DI
OPERATIVITA' DI AMMINISTRAZIONE DI
SOSTEGNO, INTERDIZIONE, INABILITAZIONE
iferimenti normativi sono l'art.404 c.c.
Amministrazione di sostegno, l'art.414 c.c.
Persone che possono essere interdette, l'art.415
c.c. Persone che possono essere inabilitate.
L'art.404 c.c., nel delineare il possibile beneficiario di un A.S., indica una persona che, per
effetto di un'infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nell'impossibilità,
anche parziale o temporanea, di provvedere ai
propri interessi.
L'art.414 c.c., nel definire le persone che possono essere interdette, menziona coloro che si trovano in condizioni di abituale infermità di mente
che li rende incapaci di provvedere ai propri
interessi.
L'art.415 c.c. si riferisce all'infermo di mente lo
stato del quale non è talmente grave da far luogo
all'interdizione, ovvero al soggetto che per prodigalità o abuso abituale di bevande alcoliche o
stupefacenti, espone sé o la famiglia a grave pregiudizio economico, ovvero al sordomuto o cieco
che non abbiano ricevuto un'educazione sufficiente, salva l'interdizione quando risulta che
sono del tutto incapaci di provvedere ai propri
interessi.
R
INFERMITÀ FISICA
l dato testuale dell'art.404 c.c. isola quale
autonoma fattispecie legittimante la nomina
di A.S. la condizione di chi sia portatore di una
menomazione solo fisica e non psichica, che
ne determini l'impossibilità di attendere ai propri interessi, situazione certamente estranea ad
una pronuncia d'interdizione o inabilitazione,
che presuppone invece un'infermità mentale.
Anche invero la fattispecie del sordomuto o
cieco dalla nascita, quale legittimante una pronuncia d'inabilitazione, non sembra rilevi per
la menomazione solo fisica ma più che altro
per un'indotta menomazione psico-intellettiva,
portato di un'educazione insufficiente che non
ne abbia stimolato le risorse intellettive e le
residue capacità sensoriali, rendendo il soggetto incapace di attendere ai propri interessi.
Si può ipotizzare quindi il caso di un soggetto
affetto da infermità solo fisica (ma non psichica)
che lo costringa a permanere nella propria abita-
I
49
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
zione o in struttura di ricovero, ovvero ne renda
estremamente difficoltoso l'accesso esterno, o
comunque la manifestazione all'esterno della propria volontà. In tali condizioni potrà utilmente
nominarsi un A.S., che ne abbia la rappresentanza esclusiva all'esterno, nel tenere rapporti con
soggetti terzi, pubblici o privati (ente erogatore
di pensione o indennità, istituti di credito, fisco,
debitori, creditori, ecc.).
La presupposta piena capacità intellettiva del
soggetto porta a ritenere che possa procedersi a
tale nomina solo su espressa richiesta del soggetto stesso, o comunque mai contro la sua volontà
e sino a che tale volontà persista.
In presenza di atti di straordinaria amministrazione, quali elencati negli artt.374 e 375 c.c., ovvero
anche soltanto per prelievi bancari di particolare
consistenza in funzione di esigenze straordinarie
(i confini del potere ordinario dell'A.S. saranno
indicati dal G.T. nel decreto di nomina), l'A.S. di
volta in volta richiederà al G.T. l'autorizzazione
ad operare in rappresentanza dell'interessato, e il
G.T. si reputa debba preventivamente informarsi,
anche con modalità informali, circa la volontà del
medesimo in merito all'operazione in oggetto, nei
termini che sembrano derivare dal disposto di cui
all'art.410 c.c. (tenere conto dei bisogni e delle
aspirazioni del beneficiario o ipotizzare un contrasto nel soddisfare i bisogni o le richieste di
questi, non può che presupporre che se ne verifichi la volontà quando questa è integra).
C'è chi dubita di tale ricostruzione, affermando
che un soggetto pienamente capace sotto il profilo intellettivo non possa mai abdicare alla sua
capacità, e che pertanto il legislatore non possa
aver inteso disciplinare un istituto che consentirebbe al soggetto di rinunciare alla pienezza della propria capacità, quando oltretutto potrebbe
trovare nell'ordinamento soluzioni negoziali che
gli consentirebbero di demandare il proprio operato a un rappresentante (artt.1387 e ss. c.c.). A
confutazione di tale rilievo si osserva tuttavia
che, non solo il dato testuale sembra netto nel
dare ingresso a tale istituto in presenza di infermità anche solo fisica, ma che, confrontando la
soluzione della nomina di A.S. con quella negoziale di una procura speciale o generale, la differenza sembra rinvenirsi nella maggiore garanzia
che consegue al rappresentato/amministrato dal
fatto che il rappresentante/amministratore debba
rispondere del proprio operato non nell'ambito
privato del solo rapporto negoziale tra i due soggetti, bensì al giudice tutelare che l'ha nominato.
Sembra inoltre che il legislatore abbia inteso
comunque sottolineare la valenza di questo intervento, non già come mera modalità di compimento di uno o più specifici atti che nel caso concre50
AIAF RIVISTA 3/2004
to il soggetto sia impossibilitato a compiere (al
pari di una procura negoziale), bensì in ogni caso
come misura di protezione che accompagnerà il
soggetto per tutti quegli ambiti gestionali in cui
ne sarà emerso il deficit operativo; ciò si ricava
anche dal dettato di cui al n.6 dell'art.405 c.5, ove
si impone sempre all'A.S. di riferire al G.T. circa
l'attività svolta e le condizioni di vita personale e
sociale del beneficiario. Sarà bene far comprendere alla parte istante tale aspetto di periodico
rendiconto e costante riferimento a un giudice,
onde eventualmente indirizzare il soggetto verso
modalità di rappresentanza meramente negoziale
per singoli atti, se è questa sola l'esigenza
momentanea che vuole soddisfare.
ETÀ AVANZATA
eggendo i lavori preparatori del nuovo testo
normativo, il legislatore sembra intendesse
far rientrare tra i possibili beneficiari dell'A.S.
il soggetto anziano, inteso quale soggetto
debole ed esposto (solo perché anziano e
magari solo) a possibili azioni di raggiro,
ovvero semplicemente in difficoltà nell'affrontare e gestire operazioni negoziali. Sino alle
ultime stesure del progetto di legge l'età avanzata risultava compresa espressamente tra le
condizioni che legittimavano la nomina di
A.S., e l'esclusione è stata approvata nel 2002
sulla base del rilievo che l'ampia casistica di
cui all'art.404 c.c. già doveva ritenersi comprensiva del caso dell'anziano.
Nel condividere l'esclusione dell'età avanzata tra
i presupposti di per sé soli legittimanti la nomina
di A.S., quasi fosse equiparabile a un'infermità o
menomazione fisica o psichica, si osserva che,
sulla base della definitiva stesura del testo normativo, il soggetto anziano potrà beneficiare di
un'Amministrazione di sostegno, solo in quanto
effettivamente affetto da infermità fisiche e/o
psichiche che ne limitino le capacità esponendolo a situazioni di pregiudizio. In tal caso l'A.S.
potrebbe essere autorizzato a una mera assistenza
del soggetto, che lo supporti eventualmente nei
soli atti di maggiore consistenza economicopatrimoniale.
L
INFERMITÀ PSICHICA CHE DETERMINI INCAPACITÀ PARZIALE
O TEMPORANEA
rocedendo nel raffronto tra art.404 e
P
art.414 c.c., sembra chiara la volontà del
legislatore di comprendere tra i potenziali
beneficiari dell'A.S. quei soggetti portatori di
infermità psichica, che ne determini un'incapacità solo parziale o temporanea di attendere ai propri interessi, residuando spazi o periodi di consapevolezza.
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
Tra questi può collocarsi il soggetto affetto da
infermità psichiatrica, un soggetto che la scienza medica rifiuta di considerare incapace in via
assoluta e permanente, perché spesso la patologia
si caratterizza per un'alternanza di momenti più o
meno lunghi di compenso e consapevolezza e
momenti di totale delirio e scollamento dalla
realtà, ovvero perché il deficit non riguarda tanto
le capacità intellettive quanto quelle volitive,
ovvero infine perché una risposta di emarginazione ed esclusione, quale viene associata all'interdizione, si pone in antitesi con lo stesso progetto
e obiettivo di cura.
La flessibilità di questo strumento di protezione e
la sua modificabilità in tempi anche rapidi, consentendo all'amministrato di compiere in autonomia dati atti ed individuandone altri che compirà
con l'assistenza dell'amministratore o rappresentato da questi, lo rendono utilmente sperimentabile
in casi di patologie psichiatriche di natura ciclotimia o monotematica, ovvero di patologie schizofreniche residuali o in compenso farmacologico,
ovvero di patologie in cui il soggetto, in una situazione di sostanziale integrità intellettiva, presenti
deficit volitivi che non gli consentano adeguatezza comportamentale di spesa, e comunque in tutte
quelle situazioni in cui il soggetto, psichicamente
sofferente, sembra utile possa avere al suo fianco
chi, nei momenti di scompenso o delirio, possa
sostituirlo ovvero semplicemente affiancarlo, consentendogli invece autonomia nelle fasi di compenso e adeguatezza comportamentale.
Tra i soggetti portatori di infermità psichica che
ne determini incapacità solo parziale di attendere
ai propri interessi possono ritenersi compresi
anche soggetti che, affetti da ritardo mentale
medio o lieve o da patologie congenite, presentino aree di autonomia valutativa e gestionale, sia
per la specificità della malattia, sia a volte perché
inseriti in ambiti familiari o assistenziali che ne
abbiano valorizzato le residue capacità. Si pensi
a chi abbia contezza del denaro e del suo utilizzo,
ancorché per importi limitati, che sia autonomo
non solo nelle esigenze personali/corporali ma
anche nello spazio esterno all'abitazione, abbia
capacità di acquisto in autonomia di generi di
prima necessità sia pur in contesti guidati e ripetitivi, abbia consapevolezza a grandi linee di concetti quali la riscossione di una pensione, ovvero
l'acquisto o la vendita di un bene in termini di
scambio di cosa contro prezzo; potrebbero essere
quei soggetti che, pur riconosciuti totalmente
invalidi, siano nelle condizioni di essere avviati
al lavoro ed abbiano acquisito un'autonomia di
vita relazionale che li gratifichi.
In tutti i suddetti casi di incapacità solo parziale
del disabile, operativamente l'A.S. potrebbe
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
essere autorizzato ad aprire un conto corrente
intestato all'infermo rappresentato dall'A.S., ove
vengano accreditate le entrate e disponibilità del
disabile e dal quale poter prelevare importi che,
nell'ambito di un tetto massimo su base mensile
destinato a coprire spese di ordinario mantenimento del soggetto e di gestione dei suoi beni,
saranno dall'A.S. versate all'interessato con la
periodicità e nella misura compatibile con una
capacità di spesa autonoma del soggetto.
In presenza di capacità e consapevolezza dell'infermo anche superiori, potrebbero autorizzarsi modalità di accesso al prelievo bancario che si concretizzino in una mera assistenza da parte dell'A.S.,
oppure, nel rispetto della normativa degli istituti
bancari, soluzioni che consentano al soggetto di
accedere autonomamente al prelievo bancario sino
a un dato importo mensile (è stato possibile realizzarlo tramite specifica tessera di prelievo automatico a importo predefinito), richiedendosi l'assistenza dell'A.S. per prelievi superiori o per atti di
straordinaria amministrazione (sottoposti anche
all'autorizzazione del G.T. ove rientranti nelle operazioni di cui agli artt.374 e 375 c.c.).
In ogni caso, nel rispetto della previsione di cui
all'art.409 c.c., secondo cui il soggetto mantiene
la capacità di compiere autonomamente gli atti
che non siano rimessi alla rappresentanza esclusiva o all'assistenza dell'amministratore, dovrà
contemplarsi nel decreto di nomina una formula
di sbarramento che rimetta alla specifica autorizzazione del Giudice Tutelare gli atti di straordinaria amministrazione, quali elencati negli
artt.374 e 375 c.c., nonché le operazioni che, in
funzione della consistenza del patrimonio del
soggetto, superino un dato valore economico.
Così intesa, l'Amministrazione di Sostegno risulta una misura che da tempo si attendeva. Sino ad
oggi nei suddetti casi di infermità mentale la
risposta dell'ordinamento oscillava tra interdizione, troppo invasiva e penalizzante, escludendo
qualunque possibilità di agire al soggetto anche
in quei periodi e in quegli spazi in cui ne avesse
avuto capacità, e inabilitazione, troppo poco tutelante in quanto il curatore può solo affiancarsi al
soggetto e non può mai sostituirlo anche quando
l'acuzie della malattia lo porta a non avere consapevolezza di sé e rimane inattivo, se non oppositivo, di fronte a situazioni personali o patrimoniali che richiederebbero invece il suo operato.
L'Amministrazione di Sostegno, differenziandosi
dall'inabilitazione proprio per il più ampio potere dell'Amministratore rispetto al curatore, riesce
ad essere una risposta di maggiore protezione ed
efficacia.
Nella pratica si tende a ritenere che l’istituto dell’A.S. assorbirà progressivamente le precedenti
51
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
forme di curatela, potendo ritenersi che l’inabilitazione rimanga istituto residuale per le forme di
“prodigalità” estranee a qualunque forma di
infermità, anche se l’esperienza sembra indurre a
ritenere che difficilmente una condotta di prodigalità di tale intensità da risultare pregiudizievole a sé o alla famiglia sia del tutto estranea a una
patologia o fragilità psichica (anche per la persona dedita al gioco d’azzardo, si sente ormai
ricondurre la sua condotta a un impulso patologico al gioco).
Abbandonandosi un’interpretazione dilatata dell’art.415 c.c. che, onde offrire risposta alle situazioni di cui sopra, rimetteva al curatore poteri di
assistenza per ogni prelievo bancario che in funzione dell’entità del patrimonio rivestisse valenza di spesa straordinaria o superasse un dato tetto mensile, potrà forse continuare a pronunciarsi
l’inabilitazione quale utile risposta dell’ordinamento nei casi in cui si escluda la necessità di
una rappresentanza esclusiva del soggetto anche
solo episodica, si escluda parimenti un controllo
circa l’utilizzo delle risorse correnti al di là di un
qualunque tetto di spesa mensile/annua, ed
appaia prudenziale unicamente un affiancamento
per le operazioni di straordinaria amministrazione elencate negli artt.374 e 375 c.c..
Per i soggetti solo parzialmente capaci di cui si è
detto, estremamente delicato è il tema degli effetti, limitazioni, decadenze che, previsti da disposizione di legge per l’interdetto o l’inabilitato, possa il giudice tutelare estendere al beneficiario
dell’amministrazione di sostegno (art.411 c.c.).
Se da un lato può ritenersi trovino ingresso a
tutela dell’amministrato norme quali l’art.1722
c.c. (per far divenire inefficaci procure a terzi
carpite a solo vantaggio del terzo), ovvero
l’art.1626 c.c. (per sciogliere contratti locativi in
situazioni analoghe), il pensiero va a norme
anche più incisive, come le limitazioni in tema di
capacità di contrarre matrimonio, di riconoscere
figli, di far testamento. Si reputa in proposito
che, non potendosi generalizzare ma solo ipotizzare una valutazione attenta e ponderata del giudice tutelare con riferimento ai singolo casi in
esame, la nomina di amministratore di sostegno
pone il beneficiario in una condizione certamente compatibile con l’integrità di tali capacità e
diritti, che potranno essere limitati solo in casi
estremi, quando si dovesse riscontrare che la fragilità del soggetto, conseguente alla patologia, lo
sta esponendo ad attenzioni o pressioni di terzi
del tutto estranee all’interesse del soggetto, ma
unicamente motivate da interessi personali e
mala fede. Il soggetto disabile ha certamente
diritto a una vita affettiva, e in questo ambito
52
AIAF RIVISTA 3/2004
possono ipotizzarsi matrimoni, figli, lasciti testamentari, donazioni, ma ciò da cui lo si vorrebbe
preservare sono gli affetti falsi, che lasciano il
posto a delusioni cocenti e grande sofferenza. In
ogni caso la modificabilità del provvedimento
consentirà anche in questo caso al G.T. di seguire
il beneficiario nell’arco della sua vita e poter
introdurre limitazioni, o revocarle, sulla base delle indicazioni che emergeranno dal suo comportamento e dalle valutazioni degli operatori medico-sanitari-assistenziali.
INFERMITÀ PSICHICA CHE DETERMINI INCAPACITÀ TOTALE E
PERMANENTE.
i confondono i confini delle norme in preSinfermità
senza di soggetti in condizioni di abituale
di mente… incapaci di provvedere ai
propri interessi, situazione propria dell’interdizione, ma che sembra non estranea al disposto di cui all’art.404, là dove la dizione “infermità… psichica che determina l’impossibilità,
anche parziale o temporanea, di provvedere ai
propri interessi”, non può che comprendere
anche un’infermità che determini l’impossibilità totale e permanente di provvedere ai propri interessi.
Se tali norme non sono quindi sufficienti a stabilire una linea di confine, sarà necessario guardare altrove, non senza sottolineare che in ogni caso
(e proprio per la potenziale sovrapponibilità delle due norme principali) occorrerà procedere ad
una forzatura interpretativa, sulla base di criteri
ermeneutici, sistematici, che vincano la mera
interpretazione letterale.
Sembrano delinearsi più linee interpretative che
conducono a soluzioni difformi.
RICERCA DI UNA POSSIBILE LINEA DI DEMARCAZIONE TRA
AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO E INTERDIZIONE CON
RIFERIMENTO ALLE RESIDUALI CAPACITÀ DEL SOGGETTO
alorizzando i dati normativi di cui agli
V
artt.405, 409, 410 c.c., si potrebbe sostenere che l’amministrazione di sostegno venga
proposto come utile strumento di protezione
solo per la persona che, ancorché affetta da
un’infermità permanente ed estesa, mantenga
un margine residuale pur limitato di autonomia.
La previsione di un soggetto amministrato che
conservi la capacità di agire per tutti gli atti che
non vengono menzionati, e che in ogni caso possa
compiere gli atti della vita quotidiana, non viene
intesa come facoltà residuale rimessa a chi ne
abbia le capacità, ma come necessaria capacità
residuale (il soggetto deve poter essere in grado di
compiere gli atti quotidiani della vita…). Si prevederà quindi l’interdizione per quel soggetto che,
del tutto privo di autonomia, necessiti di un tutore
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
non già per singoli atti ma per tutti gli atti inerenti
la gestione della sua persona e del suo patrimonio,
sia di natura ordinaria sia di natura straordinaria, in
quanto nessuno di questi atti può essere compiuto
dall’interessato (tra le tipologie soggetti portatori
di patologie congenite che ne abbiano determinato
oligofrenia grave, soggetti affetti da patologie psichiatriche croniche che li mantengano in condizione di costante scompenso e delirio, soggetti affetti
da morbo di Alzheimer o demenza senile in stadio
avanzato, soggetti in coma, ecc…).
In tal senso sarebbe anche la previsione, in caso
di nomina di A.S., di un continuo dialogo tra lo
stesso e il beneficiario e la possibilità di un contrasto tra i due, situazioni irrealizzabili se non
ipotizzando un margine residuale di consapevolezza del soggetto.
Le ragioni di critica a tale orientamento muovono
dal rilievo che gli artt.404 e 414 c.c., con riferimento a soggetti affetti da infermità psichiche
abituali, non sembrano consentire alcuna differenziazione, né può ritenersi che gli
artt.405,409,410 integrino i presupposti legittimanti il ricorso all’A.S., potendo unicamente
interpretarsi come norme operative nei limiti in
cui il soggetto abbia effettivamente una capacità
residuale (si osserva tra l’altro che in merito
all’art.410 “L’amministratore di sostegno deve
tempestivamente informare il beneficiario circa
gli atti da compiere…”, era stato proposto l’emendamento “ove possibile”, poi ritirato affermandosi che era indicazione superflua, cioè
ovvia… -così dai lavori parlamentari del Senato
in data 23.10.2001).
La stessa modifica significativamente apportata
alla rubrica dell’art.414 c.c, da “Persone che
devono essere interdette” a “Persone che possono
essere interdette”, sembra dirci che l’interdizione
non viene più intesa come doveroso strumento di
tutela per quei soggetti del tutto privi di capacità,
ma come necessario strumento di protezione solo
quando i restanti strumenti offerti dall’ordinamento si rivelino inidonei a realizzare la piena
tutela dell’incapace (art.413 comma 4 c.c.). Se i
soggetti incapaci sono interdetti quando ciò è
necessario per assicurare loro adeguata protezione, non può che conseguirne che gli stessi non
sono interdetti quando l’amministrazione di
sostegno si rivelerà misura sufficiente ad assicurargli adeguata tutela.
RICERCA DI UNA POSSIBILE LINEA DI DEMARCAZIONE TRA
AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO E INTERDIZIONE CON
RIFERIMENTO ALLA CONSISTENZA DEL PATRIMONIO DEL SOGGETTO
onfrontando in particolare l’art.357 c.c. (“il
Cpresenta
tutore ha la cura della persona…, lo rapin tutti gli atti civili e ne amministra i
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
beni”) e l’art.405 c.c. (che demanda al G.T. di
individuare i singoli atti rimessi all’A.P. in
rappresentanza esclusiva dell’incapace), sembra che all’A.S. non possa attribuirsi con un’unica espressione la totalità degli atti che si
rivelino necessari in tema di cura della persona
e gestione del suo patrimonio. Se si procedesse in tal senso si attribuirebbero illegittimamente all’A.S. gli stessi poteri del tutore in
assenza di una pronuncia di interdizione.
Sulla base di tale considerazione si è pensato che,
qualora il soggetto del tutto privo di una sia pur
minimale autonomia gestionale sia titolare di
sostanze e redditi contenuti (ad esempio percepiti a titolo di sola pensione o indennità), e si presenti quindi la necessità di meri atti di gestione
ordinaria di detti redditi (utilizzo delle entrate per
far fronte alle spese correnti di mantenimento,
assistenza e cura dell’incapace o gestione ordinaria dell’abitazione), affiancati da pochi atti di
gestione straordinaria (riscossione di arretrati,
premi assicurativi, risarcimenti, vendita di un
cespite per avere di che vivere, ecc.), verosimilmente la nomina di un A.S., autorizzato ad agire
in rappresentanza esclusiva del disabile solo per
detti singoli atti, si riveli soluzione idonea e sufficiente alla completa protezione del disabile, e
non sia necessario accedere all’interdizione.
Nel caso invece in cui il patrimonio dell’incapace richieda necessariamente, per la sua consistenza e complessità di gestione, svariati e frequenti
atti sia di ordinaria sia di straordinaria amministrazione, l’interdizione può apparire una forma
di tutela più adeguata, comportando la nomina di
un tutore che rappresenti il soggetto in tutti gli
atti civili e ne amministri i beni nella sua complessità, con onere di inventario iniziale dell’intero patrimonio e rendiconto del suo agire in tutti gli ambiti in cui si è esplicitato; in tali casi l’operato dell’A.S. potrebbe invece risultare rallentato dalla necessità di acquisire volta per volta le
necessarie autorizzazioni anche in ambiti di ordinaria amministrazione.
Tale linea interpretativa mostra la sua fragilità
ove si consideri la non chiarezza di una distinzione che guardi solo alla consistenza del patrimonio (quando lo stesso è sufficientemente esiguo
da ritenersi sufficiente un’amministrazione di
sostegno?), e rischia di venire percepita come iniquamente discriminante tra soggetti che, in condizioni paritetiche di incapacità, si reputerebbero
“penalizzati” da una pronuncia d’interdizione
solo se titolari di un consistente patrimonio. E’
un’interpretazione che si ritiene tuttavia legittima, rispondendo a quella discrezionalità valutativa che il legislatore sembra abbia inteso rimettere al giudice (artt.413 c.4 e 414 c.c.).
53
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
RICERCA DI UNA POSSIBILE LINEA DI DEMARCAZIONE TRA
AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO E INTERDIZIONE CON RIFERIMENTO
AGLI EFFETTI TUTELANTI DELLE DUE PRONUNCE SUL SOGGETTO
e considerazioni che precedono inducono a
Ldi differenziazione
ricercare anche altrove una possibile linea
tra i due istituti. Se l’interdizione può essere correttamente definita come
la pronuncia che toglie al soggetto la capacità
di agire, e se, ai sensi degli artt. 413 e 414 c.c.,
si deve procedere all’interdizione quando si
rivela la soluzione necessaria per assicurare
adeguata protezione all’infermo di mente, si
dovrà verificare quando sia necessario togliere
al soggetto la capacità di agire al fine di assicurargli adeguata protezione.
L’osservazione della realtà e la consapevolezza
della portata afflittiva che si accompagna ad una
pronuncia d’interdizione, indurrebbe a ritenere
che tale intervento residuale si riveli necessario,
non tanto quando la capacità di agire del soggetto sia di fatto già inesistente e il soggetto si trovi
nell’impossibilità di manifestare all’esterno qualunque espressione di capacità o volontà, ma
quando di tali capacità del tutto viziate il soggetto stia facendo un uso gravemente pregiudizievole a sé o agli altri.
Sembrerebbe quindi non ravvisarsi la necessità di
un’interdizione quando il soggetto, ancorché del
tutto privo di capacità intellettive e volitive,
mostra di adattarsi supinamente alle condizioni e
modalità di vita consentite dall’infermità e proposte da familiari o assistenti, e non si esponga
mai all’esterno se non nel rispetto dei canali di
protezione eretti intorno a lui. Non esplicitandosi
mai alcuna capacità di agire, non sarà necessario
ufficializzarne l’inesistenza con una pronuncia
d’interdizione, mentre sarà unicamente richiesta
una pronuncia del giudice che consenta a chi gli
presta assistenza di procedere in suo nome e per
suo conto a quegli atti di gestione che richiederebbero la sua firma. Per soggetti quali gli oligofrenici gravi, i portatori di morbo di Alzheimer o
demenza senile in stadio avanzato, i soggetti in
coma prolungato, ecc, potrebbe quasi dirsi che
sia la loro stessa patologia a “tutelarli”, nella
misura in cui impedisce loro qualunque modalità
di contatto autonomo con la realtà esterna, idoneo a produrre effetti giuridici o negoziali potenzialmente anche pregiudizievoli.
Pensiamo invece ad un soggetto che, come
espressione della sua infermità mentale, cioè di
capacità intellettive e volitive fortemente compromesse, abbia la tendenza a sfuggire alle
maglie di assistenza create intorno a lui, si
opponga sistematicamente alle soluzioni di cura
o collocamento proposte, non impedito nel movimento si ponga all’esterno esponendo a pericoli
54
AIAF RIVISTA 3/2004
sé e gli altri e rifiutando soluzioni di adeguato
contenimento, ovvero sia facile vittima di circonvenzioni, ceda a qualunque attenzione affettiva o
ricatto psicologico, sottoscriva qualunque atto gli
venga sottoposto, esponendosi al pregiudizio di
assumere obbligazioni incompatibili con le proprie capacità o le proprie sostanze (e tra queste
potrebbero esserci anche obbligazioni coniugali o
genitoriali, di cui non abbia alcuna contezza e
che derivino da matrimoni o riconoscimenti di
figlio estorti, magari al solo fine di acquisire una
cittadinanza!). In questi casi verosimilmente non
potranno essere elencati tutti gli atti rimessi
all’A.S. (che al negativo saranno sottratti al beneficiario), e il solo strumento di protezione efficace sarà una pronuncia di interdizione che, sottraendogli la capacità di agire in qualunque ambito gestionale sia personale sia patrimoniale, gli
impedirà di esercitarla a proprio danno, e rimetterà a un tutore ogni decisone inerente la cura
della sua persona e dei suoi beni.
Tale valutazione non potrà ovviamente che ricavarsi dalla condotta pregressa del soggetto e
dovrà trovare in ogni caso il conforto di una diagnosi e prognosi medica. Si auspicherebbe anzi
che la discrezionalità riconosciuta al giudice tutelare dall’attuale normativa venga invece a spostarsi più opportunamente sul più corretto terreno
medico, trattandosi di valutazioni che devono in
ogni caso essere condotte nell’esclusivo interesse
del disabile con riferimento alla portata della sua
malattia.
PROCEDIMENTO
PRIME PROBLEMATICHE E IPOTESI INTERPRETATIVE.
PROCEDIMENTO DI VOLONTARIA GIURISDIZIONE
O CONTENZIOSO
a legge in esame non dà alcuna esplicita
Lmento
indicazione in tal senso, neppure con riferialla necessità o meno che il ricorso sia
presentato con il patrocinio di un difensore (la
L. 4.4.2001 n.154, nel disciplinare gli “ordini
di protezione contro gli abusi familiari”, prevedeva invece esplicitamente una possibilità di
ricorso presentato personalmente dalla parte).
Vengono in considerazione le seguenti norme:
Art.82 comma 3 c.p.c.: “Salvi i casi in cui la
legge dispone altrimenti, davanti al tribunale e
alla corte d’appello le parti debbono stare in giudizio col ministero di un procuratore…”.
Art.405 c.c.: “Il giudice tutelare provvede entro
60 giorni dalla data di presentazione della
richiesta alla nomina dell’amministratore di
sostegno…”
Art.720 bis c.c.: “Ai procedimenti in materia di
amministrazione di sostegno si applicano, in
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
quanto compatibili, le disposizioni degli artt.712,
713, 716, 719, 720”
L’orientamento prevalente, rifacendosi anche alle
indicazioni emerse in sede di iter parlamentare di
approvazione della legge (vedi relazione di presentazione alla Camera il 30.1.2002, e relazione
prof. Paolo Cendon circolata via Internet il
9.1.2004), tende a ritenere si tratti di procedimento di volontaria giurisdizione.
Indicazioni interpretative in tal senso ci provengono dalla previsione che tale misura di protezione sia rimessa alla competenza esclusiva del Giudice Tutelare, cui l’ordinamento ha sempre riconosciuto unicamente funzioni di volontaria giurisdizione (autorizzazione ad atti di gestione di
beni di minore -art.320 c.c., vigilanza del giudice
tutelare sulle condizioni di esercizio potestà genitoriale stabilite dal tribunale -art.337 c.c., compiti di vigilanza, controllo, disciplina su tutele e
curatele -art.344 c.c., autorizzazioni in tema di
rilascio passaporti minori e interruzione gravidanza minori, convalida T.S.O., ecc.).
Tale linea interpretativa non sembra inoltre contrastare con i principi cardine del nostro ordinamento processuale se ci riferiamo alla distinzione
tra giurisdizione contenziosa e giurisdizione
volontaria. In estrema sintesi, si può affermare
che la giurisdizione contenziosa si caratterizza
per essere rivolta alla risoluzione di un conflitto
d’interessi di più soggetti contrapposti, mediante
l’applicazione del diritto oggettivo. La giurisdizione volontaria è invece diretta a valutare l’interesse di un unico soggetto, e se un contrasto
emerge può riguardare solo una diversa valutazione di quell’unico interesse e delle modalità di
sua tutela. La presenza del giudice, obbligatoria
non potendosi altrimenti parlare di “giurisdizione”, è destinata ad una funzione propositiva e
autorizzativa ovvero di vigilanza e controllo, e
nasce dall’esigenza di soddisfare nel contempo
un interesse generale e pubblico connesso all’interesse privato.
Nel caso del procedimento d’interdizione, ne è
stata affermata (vedi Carnelutti –Diritto e Processo, Satta –Commentario al codice di proc. civ.,
Iannuzzi -Manuale della Volontaria Giurisdizione) la peculiare natura di procedimento di volontaria giurisdizione (perché diretto non a dirimere
un conflitto d’interessi contrapposti ma a valutare e tutelare l’interesse di un singolo), che si
svolge tuttavia in forma contenziosa, perché
all’esigenza di tutela del singolo si affianca un
dominante interesse pubblico, diretto a eliminare
quel disordine giuridico che si crea nella collettività quando una persona è titolare di una capacità
di agire di cui nei fatti è priva, pregiudicando la
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
certezza dei rapporti giuridici di chi si relazioni
con lui; detta finalità viene perseguita con una
pronuncia che, escludendo la capacità giuridica
del soggetto, incide radicalmente sullo status della persona, riportandola dallo status di adulto alla
status di minore (ex art.424 c.c., in tema di tutela
dell’interdetto operano le norme che disciplinano
la tutela del minore). L’opzione processuale contenziosa prevalsa con riferimento al giudizio di
interdizione avrebbe quindi trascinato anche il
giudizio di inabilitazione, idoneo ad incidere solo
in misura parziale sulla capacità del soggetto.
Tale ricostruzione consentirebbe di riconoscere alla
procedura di nomina dell’amministrazione di
sostegno la natura di procedimento di volontaria
giurisdizione non solo nella sostanza ma anche nella forma, proprio in quanto, volto ad accertare e
tutelare l’interesse del singolo, non incide radicalmente sul suo status, venendo a limitarne la capacità di agire solo con riferimento a specifiche tipologie di atti, e non escludendola nella sua totalità.
Ne discende come primo corollario che non sarà
necessaria la rappresentanza e difesa tecnica di
un legale in sede di proposizione del ricorso, ma
unicamente facoltativa, diritto ovviamente riconosciuto anche al soggetto che, indicato come
potenziale beneficiario della misura di protezione, non ravvisi di averne necessità e intenda
opporsi in termini formali costituendosi con un
difensore legale.
In ogni caso il richiamo posto dall’art.720 bis c.c.
agli artt.712, 713, 716 c.p.c., in quanto compatibili, norme disciplinanti gli aspetti processuali
propri di interdizione e inabilitazione (deposito
ricorso, instaurazione contraddittorio, opposizione in giudizio del convenuto), induce a ritenere
che debbano essere doverosamente salvaguardati
il principio del contraddittorio e debba essere
posto il soggetto, della cui protezione si discute,
in grado di conoscere la domanda svolta nei suoi
confronti (e non solo la data di sua convocazione)
ed esprimere la propria posizione. La possibilità
dello stesso di munirsi di difesa tecnica sarà sempre consentita, non soltanto all’inizio del giudizio ma nel corso dell’intero procedimento, e la
previsione di un provvedimento suscettibile in
ogni momento di revoca, modifica, integrazione
(artt.407 e 413 c.c.), è la garanzia prima di una
verifica costante che le limitazioni di capacità
attuate rispondano effettivamente alle esigenze e
agli interessi del beneficiario.
PRESENTAZIONE RICORSO
a presentazione del ricorso sembra doversi
effettuare direttamente presso la cancelleria
del giudice tutelare (così argomentandosi dalla
L
55
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
previsione di un decreto del G.T. da emettersi
entro 60 giorni dalla data di presentazione della
richiesta, e dal disposto dell’art.406 che, menzionando tra i possibili soggetti proponenti i responsabili dei servizi sanitari e sociali, dice “…sono
tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso di
cui all’art.407..”.
L’iscrizione del ricorso non avverrà quindi nel
ruolo generale contenzioso della cancelleria centrale, bensì nel ruolo non contenzioso della cancelleria del giudice tutelare.
Parimenti si ritiene non possa esserci la fase presidenziale di cui all’art.713 c.c. con trasmissione
al P.M., vaglio iniziale di infondatezza, designazione del giudice.
In ordine al contenuto del ricorso e alle ragioni
che hanno indotto a richiedere la nomina dell’A.S., si richiederà una certificazione medica
che non si limiti alla diagnosi della patologia, ma
indichi in termini più diffusi l’incidenza della
stessa sulle capacità intellettive, volitive e gestionali del soggetto, onde consentire al G.T. di individuare i singoli atti in cui si concretizzerà l’operato dell’A.S. e graduare gli spazi di gestione
diretta dell’amministrato.
Sarà inoltre necessario indicare la consistenza delle sostanze del beneficiario (cespiti patrimoniali
ed entrate), nonché le sue principali esigenze di
spesa corrente, onde consentire al G.T., ai sensi
dell’art.405 comma 5 n.5, di individuare i limiti
periodici delle spese che l’A.S. potrà sostenere utilizzando le disponibilità dell’amministrato.
NOTIFICHE/COMUNICAZIONI
e da una parte si condivide la natura di volontaria giurisdizione della procedura in oggetto,
tuttavia il richiamo, in quanto compatibile,
all’art.713 (“…ricorso e decreto sono notificati a
cura del ricorrente entro il termine fissato…”), e
lo stesso principio costituzionale di cui
all’art.111 cost. (“ogni processo si svolge nel
contraddittorio tra le parti…”), ancor più ove si
valuti la potenziale incisività dell’intervento del
G.T. sulla capacità di agire del soggetto, sia pure
per singoli atti, depone per la necessità di una
comunicazione formale e preventiva del ricorso
al soggetto nei cui confronti è chiesto l’intervento di protezione. Si dovrà procedere in tempi
comunque contenuti, dato il termine di 60 giorni
(da reputarsi peraltro ordinatorio) entro il quale
deve intervenire la pronuncia del G.T..
Circa le modalità di instaurazione del contraddittorio nei confronti del beneficiario sembrano
emergere orientamenti difformi:
-notifica a mezzo ufficiale giudiziario a carico
della parte istante, sia che agisca con difensore,
sia che agisca personalmente (sulla base del-
S
56
AIAF RIVISTA 3/2004
l’art.713 c.p.c., comunque richiamato dall’art.720 bis c.p.c.)
-notifica a carico della cancelleria, che procederà
tramite ufficiali giudiziari nei termini consentiti
dall’art.137 c.p.c.
-comunicazione con biglietto di cancelleria che,
ex art.136 c.c., potrà essere consegnato direttamente, inviato tramite servizio postale (art.45
disp.att. c.p.c), ovvero tramite ufficiali giudiziari
Valutandosi la peculiarità di questo procedimento, che da un lato risponde a esigenze di immediatezza, snellezza, facile accessibilità per il privato cittadino di qualunque estrazione sociale,
caratterizzato dall’impulso e dall’iniziativa d’ufficio nella parte sia istruttoria sia decisionale,
estraneo a rigori formali, ma che dall’altro incide
sulle capacità del soggetto, potendo limitarle
anche incisivamente, presso il Tribunale di Milano si è ritenuto di optare per una notifica formale, che sarà azionata dal ricorrente, se munito di
difensore, mentre sarà attivata dall’ufficio di
Cancelleria se il ricorso è presentato dalla parte
personalmente.
Si oppone a tale soluzione il rilievo che, ove il
legislatore ha inteso porre tale onere a carico della Cancelleria, l’ha detto espressamente (vedi
artt.22 e 23 L.689/81 in tema di opposizione del
privato alle sanzioni amministrative) e che, non
potendo trascurarsi gli oneri economici di tale
incombente, il giudice prevedrebbe in tal modo
arbitrariamente che ciò venga a gravare sullo Stato. Di fronte a tali perplessità, e ribadendosi le
possibili difformità interpretative che discendono
dal testo legislativo in esame, si auspicherebbero
interventi chiarificatori del legislatore (che sempre più, con la formula del richiamo normativo in
quanto compatibile, rimette al giudice valutazioni necessariamente interpretative, foriere di possibili diverse “applicazioni” della legge).
Si reputa in ogni caso sia a carico della parte
ricorrente l’onere di informare i congiunti, quali
indicati nell’art.407 c.c., dando prova documentale al G.T. che ciò sia avvenuto (anche con lettera raccomandata).
Nelle more della fissazione dell’udienza, il ricorso dovrà essere trasmesso al P.M. perché possa
esercitare il suo intervento, che dovrà esplicitarsi
in ogni caso con conclusioni formali prima che il
G.T. provveda, sulla base dei dati documentali e
delle notizie fornite dal ricorrente, se ritenute
sufficienti, ovvero all’esito delle ulteriori informazioni acquisite dal giudice.
AUDIZIONE DELL’INTERESSATO
embra incombente essenziale prima di poter
nominare un A.S., anche se l’art.405 comma 3,
consentendo in caso di urgenza la nomina di un
S
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
amministratore di sostegno provvisorio, potrebbe
consentire tale pronuncia anche prima dell’audizione dell’interessato, sulla base delle prove
documentali o delle informazioni raccolte. In ogni
caso per potere confermare la nomina dell’A.S.
entro i 60 giorni dal deposito iniziale del ricorso,
l’interessato dovrà essere sentito personalmente.
Non venendo richiamato l’art.714 c.c., si ritiene
che all’audizione non sia obbligatoria la presenza
del pubblico ministero.
RAPPORTI GIUDIZIO INTERDIZIONE/NOMINA
AMMINISTRATORE SOSTEGNO
rt.418 comma 3: “Se nel corso del giudizio
A
d’interdizione o di inabilitazione appare
opportuno applicare l’amministrazione di sostegno, il giudice d’ufficio o su istanza di parte,
dispone la trasmissione del procedimento al giudice tutelare. In tal caso il giudice competente
per l’interdizione o per l’inabilitazione può adottare i provvedimenti urgenti di cui al quarto
comma dell’art.405”.
La norma, riferendosi al giudice, e utilizzando
l’espressione trasmissione del procedimento, che
nella procedura civile non sembra trovare una
collocazione formale, non offre precise indicazioni circa l’organo (giudice istruttore o collegio)
deputato alla valutazione di opportunità dell’amministrazione di sostegno, né circa la forma del
provvedimento di trasmissione.
Nella genericità e informalità della dizione normativa si è ipotizzato (così il Tribunale di Milano)
che, ove dovessero emergere posizioni contrastanti delle parti in giudizio (ricorrente, resistente
e pubblico ministero), la suddetta valutazione non
possa che provenire dal collegio, trattandosi di
materia rimessa alla competenza del giudice in
composizione collegiale; in tal caso sarà emessa
una sentenza che definirà il giudizio contenzioso,
e con separata ordinanza (o decreto motivato, ove
si ritenga necessario nominare un amministratore
di sostegno provvisorio ed emettere i provvedimenti urgenti di cui all’art.405 comma 4 c.c.) si
procederà a trasmettere copia degli atti al giudice
tutelare (gli originali rimarranno nel fascicolo del
procedimento contenzioso, anche per una possibile fase di impugnazione).
Vi è anche tuttavia chi ritiene che tale trasmissione del procedimento, ed ancorché vi sia un contrasto tra le parti, possa avvenire ad opera del
G.I., valorizzandosi con ciò lo spirito della legge
e le esigenze di celerità e semplificazione cui si
uniformerebbe tutta la materia. In ogni caso si
ritiene che, qualunque forma venga adottata, il
provvedimento che definirà il giudizio contenzioso dovrà essere compatibile con la possibilità di
essere impugnato o reclamato.
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
Nel caso invece di adesione di tutte le parti del
giudizio alla prospettata trasmissione degli atti al
G.T. per l’apertura di Amministrazione di sostegno, si è ritenuto legittimo (e in tal senso sta operando il Tribunale di Milano), che le parti rinuncino agli atti del giudizio con reciproca accettazione (Pubblico Ministero compreso), rinuncia
che si valuta consentita di fronte all’avvio certo
di un procedimento posto comunque a protezione
della persona nella diversa sede non contenziosa
avanti al giudice tutelare. Ai sensi dell’art.306
c.p.c., il G.I. dichiarerà l’estinzione del giudizio e
con la stessa ordinanza (o decreto motivato, ove
ritenga necessario nominare un A.S. provvisorio
ed emettere i provvedimenti urgenti di cui
all’art.405 c.4 c.c.), procederà a trasmettere copia
degli atti al giudice tutelare.
Si è obiettato da parte di alcuni che le soluzioni
di cui sopra conducono tutte ad una chiusura del
procedimento d’interdizione, che non potrebbe
più essere riaperto nel caso in cui, teoricamente
possibile, il giudice tutelare ritenesse non ricorrano i presupposti di nomina di A.S.. Tale preoccupazione indurrebbe a ricercare forme di trasmissione degli atti al G.T. compatibili con un
possibile riavvio del procedimento d’interdizione, quali ordinanze di mero rinvio o sospensione
del procedimento.
A conclusione di queste prime note interpretative, cariche di dubbi e timide ipotesi, si ribadisce
l’opportunità e l’urgenza di interventi chiarificatori del legislatore, soprattutto su nodi processuali che espongono inopportunamente il cittadino a
soluzioni procedurali anche significativamente
differenti a seconda dell’ambito territoriale di
riferimento.
Si reputa in ogni caso che solo l’applicazione
futura di questa nuova normativa nelle fattispecie
concrete consentirà di individuare nel tempo le
più adeguate risposte interpretative, idonee a realizzare quegli obiettivi di protezione e rispetto
della persona priva in tutto o in parte di autonomia quali il legislatore ha voluto e ci ha voluto
segnalare.
* Giudice del Tribunale di Milano, Sezione diritto di
famiglia e tutele
57
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
In questo intervento del Prof. Paolo Cendon, padre
del nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno,
emerge lo spirito della riforma del sistema di protezione delle persone incapaci… e la filosofia del
nuovo welfare, verso il potenziamento e ampliamento dei poteri della pubblica amministrazione.
I
l 22 dicembre 2003, è stato approvato definitivamente dal Senato il provvedimento
che introduce in Italia il nuovo e attesissimo Istituto di Protezione Civilistica degli
infermi di mente: l’amministrazione di sostegno. E’ una riforma destinata a incidere
profondamente sulla quotidianità dei malati
psichici.
Gli svantaggi della disciplina in vigore sono mol-
UNA RIFORMA PER
MIGLIORARE LA VITA
QUOTIDIANA
PAOLO
CENDON*
teplici: processi onerosi, eccesso di pubblicità,
difficoltà di difesa. Soprattutto sono pesanti le
conseguenze tecniche: all’interdetto viene impedito di fare ogni cosa. Qualunque contratto da lui
stipulato è annullabile, anche il più modesto. E
all’inabilitato non va molto meglio. Si tratta di
misure “totalizzanti” quasi sempre sproporzionate rispetto alle necessità di protezione del soggetto. Etichette odiose. Spesso inapplicabili. Tra i
disabili psichici viventi in Italia, (circa 700.000),
solo una piccola parte sta effettivamente così
male.
Gli altri non sono colpiti fino a quel punto (e poi
non sempre e non continuativamente), e per soccorrerli legalmente, quando arriva un momento
difficile, non esiste nulla.
Come investire una piccola liquidazione quale
clausole introdurre in un vitalizio, a chi vendere i
mobili di casa, quanto farsi dare per la cessione
delle quote di un’azienda? Il disabile psichico (se
non ha un famiglia, o se questa non lo ama), resta
facile preda per chiunque.
Perciò l’amministrazione di sostegno. Il Giudice
Tutelare (mettiamo), viene avvertito (dagli opera-
Articolo pubblicato su “Plurali- volontariato e autonomia locale”, settembre
2004, supplemento mensile di Aut&Aut a cura del Cesvot, che si ringrazia,
con il Prof. Paolo Cendon, per l’autorizzazione alla pubblicazione.
58
AIAF RIVISTA 3/2004
tori, dai vicini di casa, dal Pubblico Ministero)
che una persona si trova in difficoltà: allora entra
in azione, si informa tramite gli assistenti sociali,
dispone eventualmente una perizia, se occorre va
a parlare con la persona, consulta chi le sta intorno. Alla fine emetterà un decreto (anticipandone
magari una parte in via d’urgenza) con cui nomina l’amministratore di sostegno, indicando quali
operazioni potrà compiere “ in nome e per conto”
dell’interessato, precisando data d’inizio e fine
dell’incarico.
Una “filosofia” opposta a quella dell’interdizione. Sul piano dei principi in primo luogo: l’incapacitazione non è più a 360°, ma riguarda solo
atti specificamente menzionati; per tutto il resto
il beneficiario conserva intatti i suoi diritti. Sul
piano della direzione della tutela poi, non è chiaro se le misure tradizionali siano qualcosa che va
a pro’ dell’infermo, o non piuttosto della società
o della famiglia (bloccare qualcuno che potrebbe
dilapidare il patrimonio). Il nuovo provvedimento dovrà essere assunto, invece, tenendo “conto,
compatibilmente con l’interesse della persona,
dei bisogni e delle richieste di questa”.
Sul piano delle garanzie, poi, l’infermo può attivare lui stesso la procedura, nominare un consulente, esigere un rendiconto periodico, pretendere
in ogni momento la modifica o la revoca del provvedimento. Sul piano della snellezza procedurale,
gli avvocati non servono, tutto è tendenzialmente gratuito. Sul piano dei doveri dell’amministratore, infine: dovrà operare per la miglior
felicità del paziente, “con la diligenza del buon
padre di famiglia”; altrimenti potrà venir sospeso, rimosso, eventualmente condannato a risarcire
i danni. La seconda grande differenza si coglie sul
terreno dei destinatari della protezione. L’interdizione riguarda solo gli infermi di mente.
Il nuovo strumento è pensato invece, per venire
incontro anche ad anziani della quarta età, handicappati sensoriali, alcolisti, tossicodipendenti,
soggetti colpiti da ictus, malati, morenti.
Inutile dire che tutto ciò (milioni di futuri “clienti” dell’a.d.s.) richiederà uno sforzo organizzativo di prim’ordine; uffici giudiziari potenziati,
assistenti sociali capillari, scuole di formazioni,
coordinamento fra i servizi, tecnologia e informatica a piene mani. I beneficiari dell’a.d.s.
dovranno, nella misura del possibile, contribuire
al finanziamento dell’apparato? Si tratterà di un
modo diverso di impiegare risorse attualmente
investite altrove? E se occorrono invece nuove
spese, per il paese varrà la pena di affrontarle?
Ecco alcune domande del nuovo welfare che si
affaccia per il terzo millennio.
* Ordinario di Diritto Privato, Università degli Studi di Trieste
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
CACCO
Il Tribunale di Padova ha dichiarato la nullità
di un ricorso per la nomina di un amministratore di sostegno in quanto non ritualmente proposto a norma dell’art. 82, 3°c., c.p.c., attraverso il
ministero di un difensore abilitato. Secondo Lei
è necessaria la difesa tecnica nel procedimento
di amministrazione di sostegno?
TOMMASEO
i tratta di procedimento avanti al Tribunale,
e la legge ci dice (art. 82 III comma c.p.c.)
che nei giudizi davanti al Tribunale è necessario il ministero del difensore.
Vi sono, però, degli argomenti che possono concorrere a rendere meno vincolante questa regola:
a) Quando era Giudice Tutelare il Pretore credo
che nessuno si sia posto il problema se l’
accesso al Giudice Tutelare dovesse avvenire
con il ministero del difensore. Si trattava di
una giurisdizione volontaria davanti al Pretore.Il ministero del difensore era meno vincolante rispetto a quello previsto dal diritto
comune.
b) La giurisprudenza è abbastanza ferma nel ritenere che anche nei procedimenti di giurisdizione volontaria sia necessario il ministero del
difensore.
Però ci sono degli elementi nuovi che è bene non
sottovalutare, non tanto ricavabili dalla disciplina
dell’ amministrazione di sostegno, e mi riferisco
in particolare agli artt. 406 III comma c.c. e 411
ult.comma c.c..
Penso invece alle scelte che il legislatore ha operato nell’ ambito della riforma del processo societario.
I procedimenti in camera di consiglio di stretta
giurisdizione volontaria sono due e appartengono
a due modelli: uno, quello dei procedimenti nei
confronti di una parte sola e l’ altro, dei procedimenti nei confronti di più parti e cioè, secondo la
terminologia dottrinale, dei procedimenti unilaterali di giurisdizione volontaria e dei procedimenti plurilaterali.
Vi è da notare che è considerato unilaterale anche
il procedimento nel cui ambito deve essere sentito il P.M..
Solo per i procedimenti unilaterali non è necessario il ministero del difensore. Questa è un’ indicazione che consente di ritenere che, se il ricorso
ex. art. 407 c.c. è proposto dallo stesso soggetto
beneficiario, ci troviamo di fronte sicuramente ad
un procedimento unilaterale, per definizione senza contraddittorio: se è così, il sistema ormai è
univoco nel ritenere che il patrocinio non sia
necessario. In tutti gli altri casi, invece, è necessaria la difesa tecnica perché vi è indubbiamente
S
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
un conflitto tra chi fa la richiesta di limitare la
capacità di un soggetto e chi tale richiesta subisce.
CACCO
L’art. 406 III comma c.c. che dispone che i
responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della
persona sono tenuti a proporre ricorso ex. art.
407c.c. e l’ art. 411 ult. comma c.c. che consente al beneficiario dell’ amministrazione di sostegno di presentare ricorso “direttamente”, legittimano, a Suo parere, la tesi della non necesssità della difesa tecnica?
LA DIFESA TECNICA
NEL PROCEDIMENTO
DI NOMINA
DELL’AMMINISTRATORE
DI SOSTEGNO
TOMMASEO
art. 406 c.c. individua solamente i soggetti
legittimati a proporre il ricorso e, tra questi,
vi sono anche i responsabili dei servizi sanitari e
sociali. L’ art. 411 ult. comma c.c. quando dice
che il beneficiario può presentare “direttamente”
ricorso si riferisce non alla domanda introduttiva
ma agli atti di gestione che sono certamente di
giurisdizione volontaria.
La discriminante per la necessità della difesa tecnica è sulla caratteristica volontaria o contenziosa del procedimento: nel caso in cui sia la parte
stessa che richiede la nomina dell’ amministratore di sostegno e vi è, quindi, mancanza del contraddittorio, la difesa tecnica non è necessaria. In
tale caso è priva di giustificazione l’ applicazione
dell’ art. 82 III comma c.p.c..
Sul piano pragmatico, però, sconsiglierei la scelta di non avvalersi del ministero del difensore:
L’
INTERVISTA AL
PROF. FERRUCCIO
TOMMASEO,
ORDINARIO DI DIRITTO
PROCESSUALE CIVILE,
FACOLTÀ DI
GIURISPRUDENZA,
UNIVERSITÀ DI TRIESTE
A CURA DELL’
AVV. PAOLA
CACCO*
59
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
AIAF RIVISTA 3/2004
penso al tecnicismo della procedura, al contenuto
del ricorso, al problema delle notifiche, ai gravami ecc.
La parte economicamente debole può avvalersi
della difesa a spese dello Stato, strumento efficace, che può essere disposto, su istanza di parte, dallo stesso giudice in ogni stato e grado del
processo.
* avvocato in Padova
AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO - OBBLIGATORIETA’ DELLA DIFESA TECNICA.
È nullo il ricorso ex art. 404 c.c. per la nomina di amministratore di sostegno, presentato da uno dei soggetti legittimati alla presentazione del ricorso stesso, senza l’assistenza di un difensore abilitato.
L’art. 82, 3°comma, c.p.c. ha portata generale e si applica a tutti i procedimenti davanti ad un organo giurisdizionale, salvo che la legge disponga altrimenti, né influisce al riguardo la forma speciale o camerale del rito previsto
per lo specifico tipo di procedimento, ma il contenuto sostanziale di controversia sui diritti soggettivi o di status
delle persone
(Tribunale di Padova. Decreto 21.05.2004)
Il Tribunale di Padova ha dichiarato la nullità del ricorso presentato dal Responsabile del Settore Interventi Sociali del Comune di Albignasego per la nomina di un amministratore di sostegno in quanto tale ricorso, benché effettuato da uno dei soggetti legittimati ai sensi dell’art. 406 c.c., non è stato ritualmente proposto a norma dell’art.
82 3°c. c.p.c., attraverso il ministero di un difensore abilitato.
Tale decisione è stata formulata innanzi tutto sulla scorta di una interpretazione letterale del dato normativo citato, che prevede la possibilità di eccezione al principio generale indicato, volto a consentire la piena ed effettiva
esplicitazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost, soltanto per i “casi in cui la legge dispone altrimenti”.
Nella fattispecie, considera il Giudice Tutelare di Padova, la legge 9.01.2004 non contiene alcuna disposizione
che escluda la necessità della difesa tecnica per il procedimento di nomina di amministratore di sostegno.
Tale scelta interpretativa risulta a fortiori sostenibile per via analogica sulla base della costante giurisprudenza di
legittimità, la quale afferma la necessità della difesa tecnica anche con riferimento a procedimenti diversi, per
oggetto o per rito, dai giudizi contenziosi.
Particolare rilievo viene conferito dal giudicante alle pronunce della Suprema Corte, relative sia alla declaratoria
di nullità insanabile del ricorso sottoscritto da procuratore privo di ius postulandi nel procedimento di interdizione ed inabilitazione (Cass. 14.4.1994 n. 3491 in Giur. It. 1994 I,1967), sia alla declaratoria di nullità del reclamo
avverso un provvedimento emesso in camera di consiglio non proposto a mezzo di procuratore abilitato, se non
seguito dalla costituzione di altro procuratore abilitato (Cass. 13.5.1991 n. 5320 in Foro It. 1992, I, 2218).
Osserva il Giudice Tutelare che la ratio delle decisioni della Suprema Corte risiede nella valutazione della necessità
della difesa tecnica in procedimenti, tra i quali non può che intendersi ricompreso quello per la nomina di amministratore di sostegno, con sostanziale contenuto di controversia su diritti soggettivi o di status delle persone.
Degno di rilievo sotto il profilo processuale ed ulteriore conferma della coerenza sistematica della decisione in
esame, infine, è il richiamo operato all’art. 720 bis c.p.c., quale modificato dall’art. 17 della legge n. 6/2004, in
base al quale nei procedimenti in materia di amministrazione di sostegno si applicano, in quanto compatibili, le
disposizioni per i procedimenti di interdizione e di inabilitazione di cui agli artt. 712, 713, 716, 719 e 720 c.p.c.
L’espresso riferimento a tali norme processuali ed in particolare il richiamo all’art. 712 c.p.c. risulta decisivo ai fini
della questione in esame, non potendosi dubitare, per le ragioni sopra esposte, che il ricorso per interdizione o
per inabilitazione debba essere proposto con il ministero di un difensore abilitato.
In altri termini, considerato il rimando operato dall’art.720 bis c.p.c.quale espressa conferma dell’analogia tra gli
istituti dell’amministrazione di sostegno e quelli dell’ interdizione e dell’ inabilitazione, che parimenti incidono su
diritti di rilevanza costituzionale, non può non risultare confermata la correttezza dell’applicazione del principio
dell’obbligatorietà della difesa tecnica anche al procedimento per la nomina di un amministratore di sostegno.
60
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
L
a legge 9 gennaio 2004 n. 6 che introduce
nel codice civile il nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno è sicuramente
ispirata a grande senso di umanità e di giustizia, e risponde ad una attesa di quella parte non
trascurabile della società che deve far fronte a
problemi che investono l’intero nucleo familiare per la presenza di persona non pienamente in grado di provvedere a se stessa.
Essa va incontro anche ad un diffuso sentimento
che considera l’ interdizione come una specie di
marchio che distrugge la dignità della persona,
quasi cosa totalmente soggetta alla volontà di
altri. Per cui il valore dell’istituto quale strumento giuridico previsto a protezione dell’infermo,
non alla sua emarginazione, assai spesso si perde,
per esser visto piuttosto come ulteriore sanzione
che esclude il soggetto dal consorzio degli almeno apparentemente - normali.
Non ogni umore che si agiti nell’ambiente sociale merita di essere assecondato. Il legislatore
deve saper distinguere tra le ragioni della mente
e le sensazioni emotive. Ma il fatto che vi sia nei
confronti dell’interdizione questo comune pregiudizio giustifica che il legislatore se ne occupi,
e che studi le forme in cui cercar di adeguare gli
strumenti alle necessità effettive.
Ora il sistema tradizionale ha in sé – aveva, a
questo punto - un grave limite. Quello di non
consentire vie di mezzo, tra una totale privazione
di capacità di compiere qualunque atto giuridicamente valido, e una sorta di capacità quasi piena,
salvo che per certi atti per i quali occorreva ed
occorre una speciale assistenza. La linea di confine era incerta, non essendo sempre facile distinguere tra capacità piena, semipiena e totalmente
esclusa.
L’altro limite grave era quello derivante dalla funzione assegnata all’inabilitazione, come strumento di pura conservazione patrimoniale, soprattutto
inteso ad evitare pericoli di dispersione, non come
mezzo capace di consentire una gestione oculata e
redditizia dello stesso patrimonio1.
E tuttavia non basta l’eccellenza dei propositi
per evitare le confusioni della pratica. E poiché
sono poi i pratici che debbono far vivere le leggi,
sarà bene che cerchino di individuare linee di
interpretazione che preservino l’ispirazione della
legge correggendone le possibili incongruenze.
La prima domanda che ci si pone è quella di individuare, se vi sono, linee guida per discernere
quando si fa luogo ad interdizione – posto che
l’istituto è stato mantenuto – e quando ad amministrazione o inabilitazione.
Diverse disposizioni sembrano autorizzare il
sospetto che il legislatore abbia ritenuto che
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
l’amministrazione possa essere applicata indifferentemente sia in caso di totale incapacità che di
capacità parziale. Se così fosse, in presenza di
persona totalmente incapace, si affiderebbe al
giudice la scelta tra interdizione e amministrazione. La legge sembra disinteressarsi del problema,
e lo abbandona alla discrezione del giudicante. E’
quel che pare desumersi dall’articolo 404 c.c.
(anche parziale, quindi anche se totale). Questa
lettura non è accettabile. Se si ritiene che l’interdizione sia istituto di per sé negativo di un complesso di diritti dell’individuo, assistiti da garanzia costituzionale quali beni indisponibili del cittadino (articoli 2 e 3), non può essere affidato al
giudice senza precisa individuazione dei presup-
AMMINISTRAZIONE DI
SOSTEGNO.
PREGI E DIFETTI
posti di legge il sacrificio totale o parziale di questi diritti.
Occorre individuare un criterio. E questo non può
che ricavarsi dalla stessa logica della legge e dalle sue parole.
È la legge stessa che considera incompatibile il
sostegno con l’interdizione o inabilitazione, nel
senso che ove si debba pronunciare interdizione o
inabilitazione non può farsi luogo ad amministrazione di sostegno, e viceversa. Tale rapporto di
alternatività risulta chiaramente dall’art. 405, 3°
co., c.c., dove è detto che se l’interessato è un
interdetto, il decreto diviene esecutivo al momento della revoca dell’interdizione, e dall’articolo
406, 2° co., c.c., dove è detto che se il ricorso
riguarda un interdetto o inabilitato, deve esser
presentato congiuntamente alla domanda di revoca dell’interdizione o inabilitazione. Occorre
dunque, in via di interpretazione, coordinare il
sistema, in modo da stabilire quando si debba
UBALDO
NANNUCCI*
Articolo pubblicato su “Plurali - volontariato e autonomia locale”, settembre
2004, supplemento mensile di Aut&Aut a cura del Cesvot, che si ringrazia,
con il Dott. Ubaldo Nannucci, per l’autorizzazione alla pubblicazione.
61
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
procedere ad interdizione (o inabilitazione) e
quando invece ad amministrazione di sostegno.
Ma quand’è che si deve ricorrere all’uno o all’altro istituto?
Una linea discriminante deve ravvisarsi in ciò: se
la capacità di provvedere ai propri interessi è
totalmente esclusa, non può farsi luogo ad amministrazione di sostegno, ma deve pronunciarsi
interdizione.
Questa conclusione è imposta da varie disposizioni di legge, dalle quali emerge che il legislatore, in tutti i casi in cui ritiene applicabile il nuovo istituto, suppone esistente una certa capacità,
sia pure ridotta, di autoamministrarsi da parte del
beneficiario: vedasi l’art 409 c.c., laddove afferma che “il beneficiario conserva la capacità di
agire per tutti gli atti che non richiedano la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria
dell’amministratore di sostegno”. E l’articolo
410 c.c. dove è detto che l’amministratore deve
tempestivamente informare il beneficiario circa
gli atti da compiere, e il giudice tutelare in caso
di dissenso; il che vuol dire che il beneficiario
deve essere in grado di comprendere ciò che gli si
dice e financo di esprimere un dissenso. Imporre
queste formalità nei confronti di chi magari non è
neppure in grado di riconoscere chi gli parla,
sarebbe esibizionismo retorico oltre tutto oltraggioso verso una persona che non capisce nulla di
ciò che gli si dice. Ciò significa che l’amministrazione suppone che il soggetto abbia conservato e mantenga una qualche capacità naturale che
gli consenta di discernere il senso degli atti che
compie intendendone il significato e il valore
giuridico.
La legge stessa ne fornisce una esemplificazione
tassativa laddove al secondo comma stabilisce
che il beneficiario in ogni caso può compiere gli
atti necessari al compimento della propria vita
quotidiana. Se è prescritto legislativamente che il
beneficiario in ogni caso può compiere determinati atti, anche dotati di valore giuridico, come
acquisto di beni necessari al proprio sostentamento, pagamento di servizi e simili, se ne deve
necessariamente concludere che non può disporsi
amministrazione di sostegno nei confronti di chi
si trova in condizioni tali da rendere del tutto
impossibile l’esecuzione e il compimento di tali
pur semplici operazioni.
Questa lettura è quella che rispecchia d’altronde
lo spirito della legge, che ha voluto evitare l’interdizione in tutti i casi in cui lo stato di mente
della persona non sia così menomato da renderla
inevitabile, ma non nega che quando questa situazione si verifica è all’interdizione che si debba
fare esclusivo ricorso.
62
AIAF RIVISTA 3/2004
Se questa prima conclusione mi sembra incontrovertibile, si apre l’altro arduo problema: posto
che la capacità naturale non sia totalmente esclusa, come orientarsi nella scelta tra amministrazione e inabilitazione? Su questo terreno non mi
voglio avventurare, perché sicuramente superiore
alle mie forze. Qualcun altro forse vi si vorrà
cimentare, anche per chiarire per quale ragione
per gli atti indicati dall’articolo 375 c.c. (394, 3°
co., c.c.) per l’inabilitato occorra l’autorizzazione del tribunale su parere del giudice tutelare
mentre per l’amministrato sia sufficiente quella
del giudice tutelare.
Serie ragioni di perplessità suscita la scelta di
affidare al giudice tutelare la decisione di individuare, tra gli atti affidati all’amministratore,
quelli che costui ha il potere di compiere in nome
e per conto dell’amministrato (articolo 405, 5°
co., n. 3, e 409, 1° co., c.c.).
Agire in nome e per conto di altri significa averne la rappresentanza: secondo i principi di diritto, la rappresentanza è conferita dalla legge o dall’interessato. Qui invece è conferita dal giudice
tutelare, per negozi di volta in volta individuati,
anche assai gravi dal punto di vista patrimoniale.
Per di più nei confronti di persona che non è
totalmente incapace, e al di fuori di qualsiasi controllo collegiale.
Si aprono un ventaglio di questioni che è possibile solo accennare. Se si tratta di persona non
totalmente priva di capacità di giudizio, perché
escluderla del tutto dalla partecipazione a decisioni che la riguardano? E con quale autorità un
soggetto – terzo, come va di moda dire, ma in
realtà primo, ossia gestore in prima persona degli
interessi del minorato – decide di questioni che
attengono al patrimonio di questa persona sostituendosi a lei, facendola davvero diventare
oggetto di diritto piuttosto che soggetto? E degli
eventuali danni che una - in ipotesi - improvvida
gestione le abbia cagionato, chi ne risponde,
l’amministratore? O il giudice? Od entrambi? O
nessuno? Affido questi interrogativi alla riflessione comune.
Più gravi ancora sono le perplessità se si considera che l’amministrazione può essere disposta
anche nei confronti di persona del tutto integra
intellettualmente, e solo fisicamente minorata.
A qual titolo costei può venire espropriata del
diritto di decidere da sola delle proprie sorti e
sostanze?
E ancora, è ammissibile che queste decisioni vengano prese in assenza di formale consenso dell’amministrato, per definizione non totalmente, o
nel caso di infermità fisica, pienamente capace?
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
Qui davvero bisognerà che la legge venga sottoposta a scrupolosa opera di cosmesi creativa,
piaccia o non piaccia al Ministro della Giustizia,
perché essa non si risolva in paternalistico
esempio di insidioso scardinamento di principi
costituzionali, per tramite di legge ordinaria,
secondo una prassi ormai ampiamente diffusa
nel costume del nostro legislatore.
Mi sia consentito di esprimere viva sorpresa per
quanto dice il 6° comma dell’articolo 411 c.c.,
che dichiara ex lege comunque valide le convenzioni in favore dell’amministratore congiunto. I
parenti stretti dell’incapace sono già assurdamente esclusi dal rischio della circonvenzione, per
cui il fratello o lo zio che inducono l’infermo a
spogliarsi dei suoi beni in loro favore non rispondono di nulla; ora questa stessa immunità sembra
estesa ai cugini; l’unico che risponde di circonvenzione, se per caso avesse incautamente autorizzato simili atti, finisce con l’essere il giudice,
perché la causa di non punibilità ha carattere
strettamente soggettivo. Non comprendo perché
non si è approfittato dell’occasione per cancellare l’aberrazione giuridica del 649 c.p..
SUL PROCEDIMENTO.
I)
previsto che il beneficiario debba essere
sentito. Anche perché potrebbe non essere
affatto felice di ricevere questa attenzione. Ma,
si dice, in caso di mancata comparizione il giudice tutelare decide comunque sul ricorso.
Questa norma è grave. Un’ampia dottrina ha
sostenuto che l’interrogatorio dell’interdicendo deve considerarsi vera e proprio condicio
juris per l’accoglimento della domanda, sia
sotto il vecchio che sotto il nuovo codice
(Pacifici Mazzoni, Poggeschi, Giunta, Stella
Richter, Andrioli, Jannuzzi e Sorace)2. Qualcuno ha anche ritenuto di dissentire, affidandosi
all’articolo 715 c.p.c., che stabilisce che il giudice si debba recare ad esaminare l’interdicendo se questi non si presenta per legittimo impedimento. Se ne è dedotto che se non è provato
l’impedimento, il giudice può decidere ugualmente. Ma è una interpretazione capziosa. La
legge ha voluto dire che se è legittimamente
impedito, è il giudice che si deve muovere; se
non è, si deve muovere l’interdicendo. E la
Cassazione ha detto che anche in caso di rifiuto il giudice si deve recare sul luogo di residenza dell’ostinato soggetto, e solo in questo
ultimo caso può procedere oltre.
La legge si è in questo caso dimenticata di introdurre una disposizione di cui spesso si è avvertito il bisogno: quella di disporre l’accompagnamento coatto del recalcitrante. Il giudice può
È
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
disporre TSO, può emettere ordini di protezione,
poteva altrettanto utilmente disporre l’accompagnamento di persona che rifiuta di incontrarlo,
nei soli limiti necessari per parlarci. È una lacuna che poteva essere evitata.
II)
rticolo 406 – Il ricorso può essere presentato
A
anche dai responsabili dei servizi sanitari. La
norma desta qualche curiosità. E’ prevedibile un
grande afflusso di ricorsi al giudice, sul quale
viene di fatto a scaricarsi il compito di decidere
preliminarmente se il soggetto è passibile di
interdizione, amministrazione od altro. E per
quanto il 1° comma dell’articolo 407 c.c. prescriva quale debba essere il contenuto del ricorso, è
assai probabile che si rovescerà sul giudice il
compito di quella istruttoria minima sulle condizioni di mente della persona cd beneficiata.
In tal modo il giudice confonde il proprio ruolo con quello di un operatore sociale. Ciò comporta un ulteriore effetto, che aggrava un vizio di
cui già le Procure soffrono. Quello del disimpegno in affari di questo tipo. Occorrerà comunque
che qualcuno impartisca direttive ai servizi sociali, ma a questo punto dubito che ciò possa esser
fatto dal pubblico ministero che è solo un soggetto che interviene, non un soggetto che promuove.
Direttive che chiariscano i presupposti indispensabili per codesta richiesta, con particolare
riguardo alla patologia della persona che rende
necessaria l’iniziativa, per distinguere tra l’una
misura e l’altra; e per evitare che si possa supporre che l’aver promosso la nomina dell’ammi-
Opera collettiva
La città degli Amici
fototessere, tempera
su tela, cm.120x210
(misura della base
estensibile)
2004
63
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
nistratore valga ad esonerare il servizio dai compiti di assistenza quotidiana che abitualmente,
spesso con grande disponibilità e diligenza, svolgono. È corretto che questo compito sia svolto
dal giudice?
III)
uanto poi all’intervento del pubblico ministeQ
ro, ritengo che sia essenziale che esso avvenga in via preliminare, ossia prima che – salvo casi
di assoluta urgenza – siano adottati provvedimenti di qualsivoglia natura. Ciò quanto meno per
consentirgli di esercitare il potere di richiesta
preventiva di declaratoria di infondatezza prevista dall’articolo 713 c.p.c., che è richiamato dall’articolo 720 bis delle disp. att.. Pare poi implicito che, quando il ricorso non è proposto dal
pubblico ministero, questi non è tenuto ad intervenire all’interrogatorio non rivestendo il ruolo
di ricorrente. Ma ciò costituisce un ulteriore fattore di esposizione personale del giudice, di dubbia opportunità. E se è vero che siamo in ambito
di giurisdizione volontaria, non si dovrebbe spingere il concetto fino ad annullare il carattere giurisdizionale dell’intervento, che implica comunque una qualche forma di contradditorio tra parti
processuali, come di certo non credo possa considerarsi l’assistente sociale3.
C’è un’ultima questione, assai seria. Qual è l’ambito dei poteri dell’amministratore? L’articolo
404 c.c. parla della difficoltà dell’infermo di
provvedere ai “propri interessi”. Più volte la giurisprudenza ha affermato che l’espressione non
va intesa limitatamente ai soli interessi patrimoniali, e di ciò v’è un’eco nella legge all’articolo
405, 4° co., c.c. quando si parla di interventi
urgenti per la “cura della persona”.
È bene fissare alcuni punti.
Se l’amministrazione viene disposta nei confronti di persona pienamente capace, nessuna autorità potrà imporre interventi terapeutici di
sorta senza il suo consenso. Violare questa
libertà di non curarsi, garantita dalla Costituzione, integra il delitto di violenza privata in concorso se del caso a quello di lesioni o al limite di
sequestro di persona.
Altrettanto certo deve essere il principio che in
nessun caso può considerarsi sintomo di debolezza mentale il rifiuto della cura. Chi non si
vuol curare, o si vuol curare con metodi che la
scienza ufficiale non approva, esercita un suo
sacro diritto di libertà.
Ma il problema si fa grave e assai delicato quando esso riguarda persone affette in qualche misura da fragilità mentale. Nei giorni scorsi la stampa ha dato notizia di una donna che è stata inter64
AIAF RIVISTA 3/2004
detta, appunto allo scopo di sottoporla ad una
amputazione che non intendeva subire. Ho
espresso una vibrata protesta, in una mailing list
di dialogo tra magistrati, e pare che ci abbiano
ripensato. La questione è di tal peso, da non poter
certo essere affrontata qui. Qualche cenno però
mi pare doveroso. Mi limito, anche qui, a porre
interrogativi.
Davvero la persona interdetta – ossia quella totalmente incapace, sia o meno in grado di esprimere una qualche volontà, un desiderio, un segno di
attenzione, a volte soltanto un sorriso. Davvero
questa persona è pienamente e totalmente inerme
nelle mani del suo tutore? E può costui autorizzare qualunque manomissione fisica, sia pure
ovviamente con ogni migliore intenzione, sol
perché investito di presunzione ex lege di conoscere ciò che è bene per il povero infermo? E
come potrà costui dissentire da ciò che la scienza
paludata gli presenta come miglior cura possibile? Dunque anche l’amputazione, l’enucleazione
di un bulbo oculare, l’intervento spinale ecc.
Attenti. Non voglio esplorare ipotetici risvolti
penali. Qui bisogna interrogare la propria
coscienza. Fin quando si tratta di attenuare sofferenze, di praticare terapie non demolitorie, di
usare ogni mezzo per consentire la prosecuzione
di una esistenza in condizioni non peggiori di
quella vissuta fino a quel giorno, possono essere
umanamente accettabili misure che provocano
una sofferenza aggiuntiva ma temporanea. Ma
valicare questo confine, e infliggere ulteriori
menomazioni permanenti dell’integrità del malato, solo per obbedire a personali teoremi filosofici o religiosi, questa non è carità, né senso di
umanità. Non spetta a nessuno di noi opporsi al
destino segnato di una persona, infliggendo ad
essa nuove sofferenze, solo per obbedire a un
canone che non è dello Stato, “in dubio semper
pro vita”.
Ma ancora più incerta è l’attribuzione di poteri di
questo tipo al curatore, o all’amministratore. Un
apprezzato studioso ha osservato che essendo l’istituto dell’inabilitazione disegnato in funzione
della tutela di interessi prettamente economici4,
non sussiste alcun elemento normativo che possa
escludere il carattere personale del consenso al
trattamento medico. Che significa, che in caso di
mancanza di tale consenso, nessun trattamento è
lecito. Non altrettanto chiara è la situazione per
l’amministrato, perché, come si è detto, esso
comprende anche la cura della persona, e quindi
è istituto previsto specificamente per sopperire
anche a necessità personali. E’ bene che si chiarisca, che, proprio perché il presupposto è che la
capacità di discernimento non sia totalmente
esclusa, ogni trattamento medico suppone non
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
solo un tentativo di informazione corretta, di ciò
che la terapia comporta, ma anche l’accettazione
dell’intervento da parte dell’infermo. Al di fuori
dei casi del trattamento sanitario obbligatorio, la
libertà di non curarsi è legge inderogabile, e nessun giudice tutelare potrà ordinare, in assenza di
specifiche previsioni che lo consentano, pratiche
mediche deliberatamente rifiutate dal paziente,
senza per ciò stesso esporsi, insieme a chi le chiede, alle conseguenze che la legge prevede per
ogni violenza morale o fisica.
Poiché l’alta ispirazione ideale di questa legge,
sta nel porsi come strumento di servizio per i
deboli e i meno capaci, è bene che sia chiaro
ch’essa non possa divenire di fatto, contro il suo
spirito e la sua volontà, strumento di prevaricazione e di violenza proprio verso chi vuol proteggere.
* Procuratore della Repubblica di Firenze
NOTE
1
V Scardulla, voce Inabilitazione in Enc. Dir 1970, 855
2
Sull’esame dell’inabilitando, v. Scardulla voce Inabilitazione in Enc. Dir 1970, 847: “La dottrina ritiene tale esame fondamentale ed
insostituibile ai fini del convincimento del giudice e dell’accertamento della capacità del convenuto (Poggeschi, Il processo di interdizione e di inabilitazione, Milano 1958, 79) e lo considera come una vera e propria condicio juris per l’accoglimento della domanda”(Giunta, Incapacità di agire, Milano 1965, 48). Pacifici Mazzoni, riteneva sotto il vecchio codice, che in tal caso la domanda
dovesse essere respinta”
Nello stesso senso Stella Richter e Sgroi, in Comm., Utet, secondo i quali l’irreperibilità dovrebbe comportare l’improseguibilità del
giudizio (Comm. breve al Codice Civile, Cedam, Cian e Trabucchi, 1988, p. 377 sub articolo 419).
Sulla centralità dell’interrogatorio. Il giudice deve procedere personalmente e direttamente (Andrioli Comm. IV, 363; Jannuzzi,
Manuale della volontaria giurisdizione, 840). Anche quando rifiuti di comparire il giudice non è esonerato dall’obbligo di recarsi presso di lui per esaminarlo (Cass. 79/4650). Il rifiuto non può essere considerato ficta confessio. Solo quando, recatosi sul posto, non
riesca a parlarci per rifiuto o fuga sarà esonerato dall’obbligo di sentirlo.
3
I procedimenti di interdizione e di inabilitazione pur contraddistinti da una peculiare funzione pubblicistica non si sottraggono all’essenziale quanto generale principio processuale della domanda: Corte App. Milano, 7 marzo 2001
4
Giunta, Il consenso informato all’atto medico tra principi costituzionali e implicazioni penalistiche, Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2001,
65
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
L
a legge sull’amministrazione di sostegno
sta avendo in tutto il Paese una larga
applicazione, essendo uno strumento che
consente misure di sostegno e protezione alle
persone anche solo temporaneamente o lievemente incapaci, sotto il profilo fisico o psichico. Immediata conseguenza di questa ampia
applicazione è la necessità da parte dei giudici
tutelari di poter contare su un numero sufficiente di persone che siano in grado di svolgere il ruolo di amministratore di sostegno, laddove non sia possibile la nomina di parenti o
conviventi, che pure necessitano di informazioni e indicazioni per svolgere al meglio tale
funzione.
LA FORMAZIONE
DELL’AMMINISTRATORE
DI SOSTEGNO
IL PROGETTO
ADIUTOR
DEL CESVOT
E DEL COMUNE
DI FIRENZE,
IN COLLABORAZIONE
CON
L’AIAF TOSCANA
E ALTRI ENTI
E ASSOCIAZIONI
66
Interessante è il progetto di formazione ADIUTOR, proposto recentemente dal CESVOT e dal
Comune di Firenze in collaborazione con AIAF
Toscana, ASL 10 Firenze, Ordine Dottori Commercialisti di Firenze, Ordine degli Avvocati di
Firenze, Ordine Professionale Assistenti Sociali
Regione Toscana, ARCI Nuova Associazione
Comitato regionale Toscano, ANPAS Comitato
Regionale Toscano, Associazione Solidarietà
Caritas Onlus.
Il progetto che sarà realizzato con la Provincia di
Firenze, è stato presentato nel corso di un Convegno promosso a Firenze dal Cesvot lo scorso 14
ottobre, cui hanno partecipato, tra gli altri, il
Prof. Paolo Cendon e il Prof. Angelo Venchiarutti, dell’Università Di Trieste. Il progetto si
avvarrà dei Fondi FSE per la formazione professionale (misura B1/17 mirata) così come previsto
dall’apposito Bando, e prevede due fasi tra loro
strettamente collegate e complementari: informazione e formazione.
La prima fase mira a realizzare interventi sul
territorio, al fine di sensibilizzare la cittadinanza sulla figura dell’amministratore di sostegno,
e si articola in seminari aperti ai cittadini che si
AIAF RIVISTA 3/2004
svolgeranno nella circoscrizione territoriale del
Giudice Tutelare del Tribunale di Firenze,
durante i quali verranno somministrati questionari per individuare potenziali partecipanti
all’attività formativa. Contestualmente saranno
prodotti materiali vari di tipo divulgativo da
diffondere tra le cittadinanza ed in modo particolare tra le organizzazioni del non profit. È
prevista anche la redazione di una vera e propria
Guida sull’amministrazione di sostegno che
dovrà recepire tutti i contributi emersi durante il
corso del progetto.
La seconda fase si prefigge di formare gli operatori delle organizzazioni del non profit a svolgere l’attività di amministratore di sostegno, ed
è finalizzata a creare un primo elenco di persone da indicare al Giudice Tutelare; prevede
l’organizzazione di due corsi della durata di 50
ore rivolti a 25 allievi tramite i quali trasferire
le conoscenze di base che si ritengono necessarie per definire la nuova figura non descritta
compiutamente dalla legge. Ogni percorso prevederà tre moduli: descrizione del quadro legislativo e giuridico, approfondimento delle
tematiche psico-sociali legate alla figura dell’amministratore di sostegno, gestione del
patrimonio della persona assistita. Sarà particolarmente curato lo studio del rapporto tra amministrazione di sostegno e sistema dei servizi
socio-sanitari del territorio.
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
DEL
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
PROGETTO ADIUTOR
CESVOT E DEL COMUNE DI FIRENZE
MODULO GIURIDICO DEL CORSO DI FORMAZIONE
PER AMMINISTRATORI DI SOSTEGNO
(CINQUE INCONTRI DI TRE ORE CIASCUNO –
REALIZZATI IN COLLABORAZIONE CON L’AIAF TOSCANA)
PRIMO INCONTRO
L’amministratore di sostegno
Chi è - chi lo nomina – su richiesta di chi – per fare cosa – come viene nominato - quali requisiti
deve avere - quali sono i suoi doveri, i diritti e le responsabilità- per quanto tempo svolge la
sua attività – che differenza c’è tra amministratore di sostegno, tutore e curatore- lo spirito
della normativa che ha introdotto questa figura
(Avv.Gigliola Montano-Avv.Valeria Vezzosi)
SECONDO INCONTRO
Capacità/incapacità nel percorso esistenziale della persona
Capacità giuridica – capacità di agire – capacità di intendere e di volere – Sufficiente
discernimento – situazioni di debolezza (persone minori di età, malate, anziane) e riflessi sul
piano della capacità - i diritti delle persone in situazione di debolezza
(Avv.Cecilia Adorni Braccesi-Avv.Alessandra Cirri)
TERZO INCONTRO
Rappresentare ed assistere le persone in situazioni di debolezza
Incontro a due voci: psichiatra e avvocato
Ascolto ed individuazione dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario dell’amministrazione di
sostegno - competenze della persona in situazione di debolezza ed utilizzazione del contributo
possibile alla sua migliore rappresentanza o assistenza - decidere per gli altri, decidere con gli
altri
(Avv. Carla Marcucci-Dott.ssa Gemma Brandi)
QUARTO INCONTRO
I giudici che si occupano delle persone in situazione di debolezza
Tribunale ordinario – Giudice tutelare – Tribunale per i minorenni – Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale ordinario e presso il Tribunale per i minorenni – competenze e procedure
(Avv.Manuela Cecchi-Avv.Marina Lupo)
QUINTO INCONTRO
Cenni di diritto civile
I contratti più ricorrenti: locazioni, compravendita, mutuo, polizze assicurative
(Avv.Sandra Albertini-Avv.Alfonsa Brini)
67
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DI DIVORZIO:
PRIMI RISULTATI DEGLI INCONTRI DI STUDIO CSM - ANM - AIAF
MILENA PINI
N
el luglio 2003 il Consiglio Superiore della Magistratura ha deliberato un’iniziativa di formazione sulle prassi nelle cause
di separazione e divorzio, tenendo conto dei
risultati cui era pervenuto il gruppo di lavoro
costituito presso l’Associazione Nazionale
Magistrati, e che erano stati illustrati nel Convegno tenutosi a Roma nel giugno 2003 (“Viaggio nei processi di separazione e di divorzio.
Come attuare un processo ragionevole.”).
L’obbiettivo era quello di approfondire i nodi critici dei giudizi di separazione e divorzio, e di
promuovere e ricercare soluzioni ampiamente
condivise da parte di coloro che trattano la materia, anche al fine di realizzare un protocollo
metodologico procedimentale e organizzativo.
L’incontro di studio si è sviluppato in più sessioni di lavoro (dall’ottobre al dicembre 2003), e
strutturato in quattro gruppi che hanno approfondito i seguenti temi:
1. Profili organizzativi e ordinamentali connessi
ai procedimenti di separazione e divorzio
2. Questioni processuali nell’ambito dei giudizi
di separazione e divorzio, e ruolo del P.M.
3. Ascolto del minore, affidamento e diritto di
vita, esecuzione dei provvedimenti di affidamento e visita
4. Questioni di natura economica. Assegnazione
della casa coniugale e mantenimento del
coniuge e dei figli
Ai lavori hanno partecipato 50 magistrati dei tribunali ordinari e per i minorenni, addetti in via
esclusiva o promiscua alla trattazione delle cause
in materia di famiglia e minori, e 10 avvocati del
Direttivo Nazionale dell’AIAF (E. Bet, M. Cecchi, R. D’Agata, V. Fabj, L. Fanni, G. Gassani, M.
Marino, M. Pini, A. Scolaro, R. Tiburzi).
La partecipazione all’incontro di studio di magistrati e avvocati, operanti presso tribunali di
grandi e piccole dimensioni, al nord, al centro e
al sud del Paese, ha consentito un interessante
confronto tra diverse realtà ed esperienze, ed una
ricca elaborazione di riflessioni e proposte, che
ha indotto i responsabili della Nona Commissione – Tirocinio e Formazione Professionale- del
CSM, a riportare i risultati di questo lavoro in
sede decentrata, per un ulteriore confronto con
specifiche realtà locali.
Nel corso del 2004 si sono quindi tenute numerose iniziative di studio su tali questioni, promosse
dagli Uffici decentrati per la formazione del
CSM, presso varie Corti d’Appello, tra cui Mila68
no e Salerno, con la collaborazione dell’AIAF.
La partecipazione, a livello nazionale e decentrato, degli avvocati dell’AIAF ha contato sotto il
profilo della rappresentanza sia associativa, che
dei fori di appartenenza, per lo specifico contributo sulle prassi vigenti avanti i diversi tribunali.
Pur nella salvaguardia delle personali riflessioni
e posizioni, è comunque emersa una chiara e univoca posizione dell’AIAF sulle diverse questioni
organizzative e ordinamentali (a favore delle
sezioni specializzate; di tempi di trattazione del
processo brevi; di una presenza effettiva e fattiva
del PM, con sezione specializzata presso la Procura); sulle questioni processuali (salvaguardia
del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, e cioè dei principi enunciati nell’art. 111
Cost. nov.; uniformità dei procedimenti di separazione e divorzio; salvaguardia del principio di
economia nei giudizi, avendo il cittadino l’interesse ad una sollecita risposta di giustizia sulle
diverse questioni che possono interessare il conflitto coniugale e familiare); sulle questioni di
merito (inerenti l’affidamento dei figli minori e il
diritto di visita, l’ascolto del minore e il riconoscimento delle convenzioni internazionali che
tutelano i suoi diritti; il mantenimento dei figli e
del coniuge economicamente più debole; l’esecuzione dei provvedimenti etc.; questioni che trovano orientamenti giurisprudenziali difformi, anche
a secondo della diversa realtà sociale ed economica, e che necessitano di un’attenta trattazione,
caso per caso, da parte di un giudice e di un avvocato specializzati in materia).
Gli articoli che seguono riportano la discussione
e le conclusioni cui sono pervenuti i quattro
gruppi che si sono riuniti a Roma nel 2003.
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
Q
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
uali sono i nodi organizzativi e strutturali che influiscono sulla qualità della risposta di Giustizia che i cittadini
ricevono?
Da questo interrogativo ha preso le mosse il lavoro del gruppo sui “profili organizzativi e ordinamentali connessi ai procedimenti di separazione e
divorzio”, introdotto dalla relazione del Dott.
Paolo Martinelli, presidente di sezione del Tribunale di Genova, e coordinato dal Dott. Emilio
Curtò, presidente di sezione del Tribunale di
Varese.
L’indagine ha posto in correlazione diretta e concreta i dati organizzativi, raccolti tramite i questionari che ANM ha distribuito negli uffici giudiziari italiani, con i dati relativi all’andamento e
all’esito anche del singolo processo.
La prima verifica effettuata ha messo in luce la
mancanza di confronti tra le esperienze dei vari
uffici giudiziari su un piano di concretezza,
anche rispetto alle divergenze interpretative ed
alla diversità della prassi che ciascun Tribunale
segue.
I dati raccolti attraverso i questionari dell’ANM,
lungi dal colmare la suddetta mancanza, sono stati usati metodologicamente al fine di formulare
domande finalizzate alla ricomposizione delle
relazioni tra i vari aspetti, ad esempio, a quale
istituzione competano le ricerche aventi ad
oggetto gli aspetti organizzativi o quelli giurisprudenziali, se si possa prescindere da alcuni
elementi statistici relativi alla durata delle udienze presidenziali o alla percentuale dei procedimenti di separazione, che già nella fase presidenziale si trasformano in separazione consensuale.
I grandi temi individuati sono quindi stati: la specializzazione delle sezioni, il numero dei procedimenti sopravvenuti e definiti, i tempi di accesso all’udienza presidenziale e di definizione dei
procedimenti contenziosi e dei procedimenti consensuali, la definizione del ruolo del Pubblico
Ministero.
L’obbiettivo prioritario è stato la realizzazione di
un giusto processo attraverso l’equilibrata composizione tra il dato normativo ordinamentale e le
esigenze operative degli uffici. Nel corso dei
lavori è stato segnalato dal dott. Gustavo Sergio
(Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
per i Minorenni di Venezia) l’invito rivolto dal
Capo dello Stato al Consiglio Superiore della
Magistratura, in occasione dell’intervento del 29
ottobre 2003, nel corso del quale, trattando della
formazione dei Magistrati, si è espresso per la
soluzione del preoccupante problema della durata ragionevole dei processi, ed ha sollecitato i
Magistrati “a conoscere e applicare quelle cosiddette prassi virtuose che facilitano e velocizzano
i tempi del processo” indicando tra gli “indispensabili obbiettivi della formazione quello di favorire la diffusione di prassi omogenee “ed ha sottolineato che il rispetto delle attese dei cittadini
debbono spingere il Giudice ad assicurare stabilità e, come talora si dice, prevedibilità delle
decisioni e che l’equilibrio tra garanzia del processo e durata del processo passa anche per l’efficiente organizzazione degli uffici”.
Il tema centrale dell’analisi è stato “come strutturare la sezione famiglia?”
Tale domanda ha evidenziato la necessità di risolvere il preliminare interrogativo se sia necessaria
o solo opportuna la trattazione degli affari in
PROFILI ORGANIZZATIVI
E ORDINAMENTALI
CONNESSI
AI PROCEDIMENTI
DI SEPARAZIONE
E DIVORZIO
materia di diritto della famiglia da parte di un
giudice specializzato. Al riguardo, è stato sottolineato che la specializzazione in tale materia si
acquista “sul campo” e che la necessità di conoscenze anche non strettamente giuridiche, rilevanti per la comprensione della controversia, fanno di questa materia una materia speciale.
Il dott. Alberto Bucci (Presidente della Sezione
Famiglia del Tribunale di Roma) ha evidenziato
come il procedimento di separazione e di divorzio
“regolato solamente nella fase introduttiva, senza
alcuna disposizione relativa alla costituzione delle parti o alle regole dell’istruttoria, deve considerarsi come un vero e proprio procedimento speciale in cui l’operatore, più che l’interprete deve
contemperare i principi contenuti nell’art. 111
della Costituzione sul giusto processo, e quelli
immanenti nel Codice di Procedura Civile, che a
ANTONINA
SCOLARO*
69
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
Maria Cantarini,
39 anni
Roma barocca
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cm 16x 49
70
tali principi fanno riferimento nella configurazione di uno strumento snello, finalizzato a rapide
conclusioni, senza paletti che non siano finalizzati alla applicazione della norma costituzionale”.
Il gruppo ha concordemente espresso l’opinione
che soltanto un Giudice specializzato, preparato e
capace non solo tecnicamente, può essere in grado di dominare l’emotività, di interpretare i fatti
con distacco e non secondo la propria formazione
culturale ed esperienza professionale. Alla specialità della materia consegue l’urgenza della sua
trattazione con la conseguente individuazione di
criteri di priorità di trattazione, intesa sia nel senso di priorità tra affari della famiglia e affari di
altre materie, sia in quello di priorità tra affari
all’interno della materia della famiglia, ad esempio, tra separazione e divorzi.
È stata quindi individuata la necessità, non solo
di fatto, ma anche con una specifica previsione
del progetto organizzativo dell’ufficio, di dare un
ordine di preferenza nella trattazione degli affari
della famiglia.
La necessità del tempestivo svolgimento della
fase Presidenziale, ha quindi introdotto l’ulteriore problematica circa l’adozione da parte degli
uffici di uno specifico progetto di definizione
degli affari.
Dai dati rilevati dall’ANM il tempo medio del
processo è risultato per le cause di separazione
giudiziale di anni 1,7, per i divorzi giudiziali di
anni 1,4, per le separazioni consensuali di mesi
2,4 e per i divorzi congiunti di mesi 2,5.
Il progetto di definizione degli affari è risultato
essere praticato in qualche caso solo per gli affari risalenti nel tempo; è però emerso il convincimento che la cadenza dei tempi del processo, se
non può essere programmata con riferimento alla
durata complessiva dei procedimenti contenziosi,
debba essere inserita nel progetto organizzativo
dell’ufficio per i procedimenti consensuali ed
anche per quelli giudiziali, sia pure limitatamente alla fase presidenziale, in particolare per que-
AIAF RIVISTA 3/2004
sti ultimi, con la previsione di una corsia preferenziale per i procedimenti con figli minori;
rispetto ai tempi emersi dall’indagine dell’ANM,
è stato ritenuto congruo quello dei procedimenti
contenziosi, mentre quello dei procedimenti consensuali è stato ritenuto accettabile solo come
tempo massimo.
TEMPI DI TRATTAZIONE DEI PROCEDIMENTI
GIUDIZIALI
uanto incidono le questioni processuali e le
prassi giudiziarie sulle modalità di lavoro e
sull’organizzazione?
Le incertezze interpretative generate dalla legge
6/3/1987 n. 74, dalla legge 26/11/1990 n. 353 e
dalla legge 20/12/1995 n. 534, hanno determinato il fiorire di prassi giuridiche differenziate;
nonostante un altro gruppo si occupasse delle
questioni processuali, è stata sentita la necessità
di una analisi di tali problematiche, attesa la ricaduta che sull’organizzazione hanno le problematiche attinenti ai tempi processuali e considerato
che le soluzioni adottate devono essere in grado
di assicurare un ragionevole contemperamento
tra efficienza e garanzia.
L’opinione del gruppo è stata nel senso dell’applicabilità della norma del procedimento divorzile a quello di separazione; il tempo ragionevole è
stato quindi individuato di regola in sessanta
giorni, il tempo medio tra udienza presidenziale
ed udienza avanti al Giudice Istruttore dovrebbe
essere al massimo di uno o due mesi, anche nel
caso di coniuge non comparso, attesa la non
necessità di notifica dell’ordinanza presidenziale
di nomina del Giudice Istruttore e di fissazione
dell’udienza davanti a questi, ai sensi dell’art. 4
Legge Divorzio, norma ritenuta sovrapponibile
all’art. 709 c.p.c..
Il numero delle udienze presidenziali da tenere
settimanalmente (secondo i dati di ANM per i
soli procedimenti di separazione di 1,8 per settimana) non può che essere stabilito nell’osservan-
Q
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
za del progetto di definizione degli affari, in
quanto dipende naturalmente dai carichi lavorativi. Il gruppo ha messo in evidenza il rilievo
assunto, in relazione al carico di lavoro e conseguentemente al numero di cause trattabili nel corso dell’udienza, dalla modalità (quindi la prassi
seguita) nell’audizione dei coniugi in fase di
udienza presidenziale, nei procedimenti contenziosi e di trasformazione dei procedimenti giudiziali in consensuali.
È emerso che la prassi seguita prevalentemente,
quantomeno dai Magistrati componenti il gruppo
e dai Tribunali (Torino, Bologna e Perugina)
presso i quali esercitano gli Avvocati componenti il gruppo, è quella della verbalizzazione delle
dichiarazioni rese dai coniugi; voci dissenzienti
hanno evidenziato come la funzione dell’audizione dei coniugi in sede presidenziale sia finalizzata esclusivamente al tentativo di riconciliazione e
pertanto non dovrebbe trovare attuazione la verbalizzazione delle loro dichiarazioni.
In ordine alla consensualizzazione dei procedimenti giudiziali si è operata la distinzione tra
fase presidenziale e fase istruttoria; nella prima si
è ipotizzata l’immediata cameralizzazione della
procedura senza necessità di un’ulteriore comparizione dei coniugi, nella seconda alcuni hanno
espresso la preferenza per la prosecuzione del
giudizio con l’invito alle parti a precisare le conclusioni (conformi), eventualmente anche con
rinuncia al deposito di comparse conclusionali e
memorie, per altri, dovrebbe esservi la remissione diretta del fascicolo al Tribunale in camera di
consiglio, previa acquisizione, comunque, delle
conclusioni del P.M..
In ordine ai procedimenti “consensuali” (separazione e divorzio) e alla procedura di modifica delle condizioni di separazione e di divorzio, è stato affrontato il tema dei trasferimenti
immobiliari ed è stata criticata la prassi di conferimento di incarico ad un Notaio al fine di verificare la mancanza di condizioni ostative al trasferimento, mentre è stata preferita la prassi che
ritiene sufficiente l’autocertificazione dei coniugi di avere incluso l’immobile oggetto del trasferimento nell’ultima dichiarazione dei redditi,
oltre la produzione della documentazione sulla
conformità urbanistica dell’atto di provenienza
con la specificazione di esonero di responsabilità
del Tribunale.
Per quanto riguarda i divorzi congiunti, l’opinione del gruppo, in ordine alla composizione del
Tribunale, si è espressa in due differenti indicazioni: la prima ritiene che l’audizione dei coniugi debba avvenire davanti al Tribunale in compo-
sizione collegiale, la seconda ritiene possibile la
delega al singolo Magistrato che poi riferisce al
collegio. Tale opinione è stata sostenuta dal dott.
Alberto Bucci (trova peraltro applicazione anche
presso il Tribunale di Torino) in base alla seguente osservazione: la pienezza del contraddittorio
davanti al collegio non ha ragione d’essere in
relazione alla semplicità degli accertamenti che
devono essere svolti, e dal punto di vista formale
la legge prevede che i coniugi siano sentiti dal
Tribunale e quindi non appare contra legem la
prassi che riservi successivamente al collegio l’esame della sussistenza delle condizioni dell’interesse di figli minori, dopo che la volontà delle
parti sia stata raccolta da uno dei componenti del
collegio stesso.
In ordine al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio congiunto si sono discusse due
prassi, quella della rinuncia preventiva del coniuge all’impugnazione e l’altra dell’acquiescenza
successiva.
Per quanto riguarda le procedure di modifica delle
condizioni di separazione e di divorzio, l’opinione
prevalente si è espressa a favore della collegialità
in quanto la collegialità è un valore da perseguire
e privilegiare comunque, anche per le maggiori
garanzie offerte ed in considerazione della maggiore autorevolezza del giudice collegiale.
In ordine ai rapporti con il P.M.: è stata osservata all’unanimità la mera formalità del ruolo
dell’ufficio del Pubblico Ministero nelle cause in
esame ed è stata affermata quindi la necessità
della valorizzazione della sua funzione in ragione
degli interessi protetti che ne imporrebbero una
presenza più significativa e pregnante all’interno
del processo, anche alla luce della normativa
internazionale. Il dott. Gustavo Sergio ha sottolineato che la convenzione europea di Strasburgo
sull’esercizio dei diritti dei bambini del 1996 –
ratificata dalla legge 77 del 2003 valorizzi il
potere del P.M. – già previsto in generale dall’art.
79 c.p.c. – prevede il diritto del minore di essere
informato e di esprimere la propria opinione nei
procedimenti relativi ai rapporti di famiglia che
lo riguardano e il diritto di chiedere al giudice la
nomina di un rappresentante speciale in caso di
conflitto di interesse tra il minore ed i genitori
per sollecitare, se del caso, una posizione distinta del figlio minorenne. La trasmissione degli atti
al P.M. dovrebbe essere per certi aspetti limitata:
dopo la presentazione del ricorso iniziale, dopo la
chiusura dell’istruttoria per le conclusioni finali,
dopo la pubblicazione della sentenza di divorzio;
e per altri versi dovrebbe essere estesa al deposito del ricorso, o di istanza in corso di causa, per
la modifica o revisione dei provvedimenti tempo71
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
ranei e urgenti emessi dal Presidente riguardanti
la prole, in conformità con le decisioni della Corte Cost. (n. 416/1992, n. 214/1996) che hanno
esteso a tutti i procedimenti che comportino
provvedimenti relativi ai figli, la necessità dell’intervento obbligatorio del P.M.. Al riguardo, il
dott. Gustavo Sergio ha riferito la prassi adottata
nel proprio ufficio. In forza di tale prassi – che
accoglie le indicazioni interpretative della Corte
Costituzionale (sentenza n. 1 del 2002) sul rito
camerale minorile ed esalta, tra l’altro, la posizione di parte del P.M. alla luce del novellato art.
111 Cost – il Pubblico Ministero, ricevuta la
comunicazione del deposito del ricorso della parte privata nella cancelleria del Tribunale e dell’udienza di trattazione avanti al collegio, interviene
con comparsa nella quale sono indicate a) le conclusioni di merito; b) ovvero la riserva di formulare le conclusioni in udienza all’esito della trattazione (in caso di rinvio dell’udienza il Pubblico
Ministero, al pari delle parti private, ha l’onere di
informarsi sulla data della nuova udienza). Per
consentire al P.M., come alle altre parti e nel
rispetto del principio della parità di tutti i soggetti del processo, l’esercizio dei propri poteri processuali, il Tribunale, se non decide immediatamente o se non riserva la decisione, ordina il
deposito degli atti con avviso che il ricorso verrà
esaminato in una camera di consiglio successiva
al termine fissato e dispone che il fascicolo, con
tutti gli atti, rimanga fino a quella data a disposizione della parti e del P.M. affinché possano
rispettivamente depositare eventuali memorie
difensive e/o conclusionali e comunque formulare le proprie conclusioni (i fascicoli depositati
risultano anche in elenchi- distinti in relazione
alle date di scadenza – inseriti in un data base
condiviso in rete con la Procura).
Sempre nell’ottica di accentuare la posizione di
parte del P.M. – ha esposto il dr. Sergio – “quando sono richiesti provvedimenti urgenti la Procura, sempre sulla scorta della sentenza n. 1/2002
della Corte Cost., si è orientata nel senso della
applicabilità delle regole di cui al procedimento
cautelare uniforme, in particolare quelle dettate
dall’artt. 669 sexies co. 2 e 3 c.p.c.”. Tale orientamento, recepito gradualmente nella prassi, “fa
si che il giudice o provvede ‘inaudita altera parte’ (senza sentire previamente neppure il P.M.) e
fissa con il decreto urgente l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine
non superiore a 15 giorni oppure sente le parti,
anche quella pubblica, prima di provvedere”.
Come deve essere strutturata la sezione famiglia e come farne una sezione semispecializzata almeno in quei Tribunali che per organico di
72
AIAF RIVISTA 3/2004
Magistrati e per carichi lavorativi lo consentono,
tenuto conto della normativa vigente e delle
risorse disponibili?
La previsione di criteri di priorità e l’adozione di
un progetto di definizione degli affari sono
momenti organizzativi attraverso cui passa la
costruzione di una sezione famiglia; si è quindi
tentato di individuare le regole minime al fine di
attuare l’esigenza che la trattazione delle cause in
materia di diritto di famiglia sia affidata ad un
giudice specializzato. La prima opzione organizzativa affrontata ha riguardato la concentrazione
delle funzioni presidenziali in capo al solo Presidente ovvero il coinvolgimento di più Magistrati
delegati e ancora la diversificazione tra Presidente e Giudice Istruttore; è risultata prevalente l’opinione che ritiene preferibile la concentrazione
degli affari su pochi Magistrati della stessa sezione, sia nella fase presidenziale che in quella
istruttoria, per favorire la specializzazione, così
come si è preferita la diversificazione tra ruolo
Presidenziale e quello di Giudice Istruttore per
assicurare il pluralismo del giudizio.
Da parte dei sostenitori della concentrazione
degli affari e della diversificazione delle funzioni
(dott. Saverio De Simone, Giudice del Tribunale
di Bari) è stato evidenziato che “la scelta di concentrare nel solo Presidente le funzioni disciplinate dagli artt. 708 c.p.c. e 4, comma ottavo, l.
Divorzio si ispira, oltre che al rispetto del dettato
legislativo – che sottolinea la diversità di funzioni tra Presidente e Giudice Istruttore, - essenzialmente alla necessità di favorire, grazie alla presenza di un Magistrato anziano, dotato di provata
esperienza e carisma, non solo la consensualizzazione delle procedure, ma anche la prevedibilità
delle decisioni urgenti, prevedibilità che è stata
ritenuta un valore da tutelare, al pari, e non di
meno, di quello collegato alla revisione delle
determinazioni presidenziali da parte del Giudice
Istruttore. In definitiva, i valori innanzi delineati,
che riflettono la ‘ratio legis’, sono stati ritenuti
prevalenti, nell’economia del sistema, rispetto al
rischio della possibile frequenza delle istanze di
modifica dell’ordinanza presidenziale, che sarebbe sicuramente più contenuta, invece, laddove si
concentrino in capo al medesimo magistrato le
funzioni di Presidente e di Giudice Istruttore.
Unica ipotesi di delega (oltre al caso di impedimento del Presidente), riguarda la trasformazione
del rito della separazione contenziosa in consensuale; in tal caso il Presidente del Tribunale, con
provvedimento di carattere generale, ha appositamente delegato i Giudici Istruttori della Sezione a
svolgere le funzioni dell’udienza presidenziale
per poi riferire al Collegio in Camera di Consiglio”.
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
Da parte dei sostenitori della tesi contraria, sono
state evidenziate ragioni di ordine pubblico, quali la limitazione degli organici, la semplificazione e trasparenza della designazione, la speditezza
dei procedimenti, l’acquisizione della specializzazione); peraltro, anche da parte dei fautori della diversificazione soggettiva delle funzioni presidenziali e istruttorie, è stato ritenuto che tale
scelta favorirebbe la specializzazione.
Come dimensionare la sezione famiglia nei
Tribunali minori? Il gruppo ha preliminarmente
posto attenzione al limite insormontabile della
riserva di collegialità e del dato statistico (è un
dato di esperienza comune che le cause di separazione e di divorzio, anche se in vertiginoso
aumento negli ultimi anni, nei termini percentuali costituiscono sempre una frazione minoritaria
del carico lavorativo degli uffici giudiziari) con
cui qualsiasi modello organizzativo deve confrontarsi. Traducendo tutto ciò in termini organizzativi, sono stati evidenziati due profili:
a) ad occuparsi di tali controversie devono essere almeno quattro Magistrati, di cui almeno
due specializzati, Presidente del collegio
potrebbe essere o il Presidente del Tribunale, o
il Presidente di sezione, o un Giudice anziano;
il numero dei componenti consentirebbe le
sostituzioni in caso di reclamo su misure cautelari;
b) il criterio della specializzazione, indicato dalla circolare del CSM in materia di tabelle
organizzative degli uffici come un obbiettivo a
cui il modulo organizzativo degli uffici giudiziari deve tendere con priorità in via generale
e a cui deve essere quindi parametrato il progetto di lavoro, fin quando sia consentito dalle concrete condizioni operative di ciascun
ufficio, non sempre può trovare attuazione
piena. Infatti è possibile che delle cause matrimoniali si occupino solo alcuni dei Magistrati
addetti al settore civile, non è invece sempre
realizzabile il criterio della esclusività delle
competenze.
Deve pertanto trovarsi un punto di incontro tra
l’esigenza della specializzazione e l’esigenza di
una organizzazione che per garantire lo svolgimento di un giusto processo deve risultare efficiente. Per realizzare tutto ciò, nei Tribunali
Minori occorre individuare materie quanto più
affini al diritto di famiglia al fine di realizzare un
accorpamento in un’area di competenze omogenea che assicuri la necessaria perequazione dei
carichi lavorativi; un’indicazione in tal senso viene direttamente dal CSM che segnala opportuno
l’accorpamento a quello della famiglia dei procedimenti relativi alle persone (interdizioni ed inabilitazioni, cittadinanza ed in genere i diritti del-
la personalità), i provvedimenti di espulsione dello straniero, i trattamenti sanitari obbligatori, le
controversie in materia di pensioni di reversibilità e di TFR per i divorziati, di onore, immagine,
identità, etc.; è emersa inoltre la opportunità di
attribuire alla sezione famiglia l’esecuzione dei
provvedimenti in materia di diritto di famiglia.
Nei Tribunali di dimensioni maggiori, sia per
organico di magistrati, sia per flussi di affari, è
sicuramente realizzabile la costituzione di sezioni specializzate per la trattazione dei procedimenti disciplinati dal Libro Primo del Codice
civile; tale realizzazione, in linea con la raccomandazione del CSM, non pone peraltro problematiche molto diverse rispetto ai Tribunali di
dimensioni minori, in quanto il carico di lavoro
dovrà essere riequilibrato attraverso l’attribuzione di materie affini.
Dipenderà poi dalle singole situazioni locali la
scelta di assegnare alle Sezione Famiglia solo
affari in diritto di famiglia, o di creare all’interno
della sezione un settore “tutele” con competenze
esclusive, di fatto sarebbe però preferibile trattare la materia tutelare congiuntamente a quella
delle separazioni e dei divorzi in quanto ciò consentirebbe una maggiore elasticità e flessibilità
operativa, fatta eccezione per la gestione delle
tutele, che richiedono un’attenzione quotidiana e
costante.
L’utilizzabilità dei Giudici Onorari è stata esclusa nella materia del diritto di famiglia. Il gruppo
si è espresso nel senso della loro utilizzabilità
solo nella trattazione di affari in materia tutelare,
anche se la nuova circolare sulle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il biennio
2004/2005, pur avendo ampliato la possibilità di
utilizzazione dei Got nel ramo civile, ne vieta
espressamente l’utilizzazione “in materia di diritto di famiglia, ivi compresi gli affari di competenza del Giudice Tutelare.
* avvocato in Torino
73
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
L
e questioni di natura processuale inerenti
la separazione e il divorzio trovano, come
è noto, soluzioni differenti da parte dei
giudici di merito, ed è auspicata da tutti una
modifica legislativa che, uniformando la procedura dei giudizi di separazione e divorzio, e
nel rispetto del diritto alla difesa e del principio del contraddittorio, consenta una maggiore
tutela dei diritti dei cittadini.
La discussione del gruppo di lavoro si è quindi
incentrata su molteplici questioni processuali,
relative sia ai giudizi contenziosi che consensuali,
e sul ruolo del P.M., partendo dalle relazioni
introduttive della Dott.ssa Isabella Mariani, giudice del Tribunale di Firenze, e del Dott. Fabio
QUESTIONI PROCESSUALI
NELL’AMBITO DEI GIUDIZI
DI SEPARAZIONE E
DIVORZIO
ENRICO BET*
Roia, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, con l’intento di individuare le prassi maggioritarie, e da condividere.
Si riportano le conclusioni cui è pervenuto il
gruppo di lavoro, riassunte in sede plenaria nel
dicembre 2003 dalla Dott.ssa Franca Mangano,
giudice del Tribunale di Roma.
L’AVVIO DEL PROCEDIMENTO E LA NATURA
CONTENZIOSA O PRECONTENZIOSA
DELL’UDIENZA PRESIDENZIALE
a discussione tra i partecipanti al gruppo ha
fatto emergere una prassi ampiamente maggioritaria secondo la quale tanto nel procedimento di separazione che nel procedimento di
divorzio, la costituzione dell’attore deve ritenersi perfezionata con il deposito del ricorso.
Pertanto:
a) il contenuto del ricorso introduttivo in ambedue i giudizi è disciplinato dall’art. 4, comma
2 della L. 898/1970, sicché alla ‘mera esposizione di fatti sui quali la domanda è fondata’
richiesta dall’art. 706 c.p.c. si sostituisce la
L
74
AIAF RIVISTA 3/2004
più dettagliata pretesa enunciata dall’art. 4,
commi 2 e 4, cit;
b) il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore
munito di procura;
c) il deposito del ricorso perfeziona la costituzione dell’attore, senza nessuna altro onere per
quest’ultimo, fermo restando la disposizione
dell’art. 706 c.p.c., il cui mancato rispetto
comporta la perdita di efficacia della domanda, comunque ritualmente proposta;
d) la fissazione di un termine ex art. 163 bis
c.p.c. (ridotto della metà) tra la data di notificazione del ricorso e del decreto e l’udienza
presidenziale si ritiene pacificamente applicabile al procedimento di separazione.
Non si dubita generalmente che tale ricostruzione, peraltro in linea con la giurisprudenza di
legittimità (Cass., 24.6.1995 n. 3095; Cass.,
8.9.1992 n. 10921), sia uniformemente riferibile
alla separazione e al divorzio e che essa realizzi
il miglior grado di compatibilità con la disciplina
ordinaria del giudizio di cognizione vigente.
Tuttavia, da parte di alcuni viene espresso il
timore che questa anticipazione imposta all’attore pregiudichi le possibilità conciliative della
lite, e che, pertanto, debba ritenersi preferibile
una persistente vigenza dell’art. 706 c.p.c. nei
giudizi di separazione, con la possibilità di integrare il ricorso, proponendo la richiesta di addebito con le memorie davanti al giudice istruttore.
All’opposto si registrano posizioni più rigorose
che, in ordine all’ammissibilità della domanda di
addebito, richiedono una indicazione quantomeno generica dei fatti sui quali essa si fonda, salva
una prassi sufficientemente uniforme che consente che i fatti indicati a fondamento della richiesta
di addebito possano usufruire di una più compiuta esposizione entro i termini dell’art. 183 c.p.c.
e della completa articolazione dei mezzi istruttori entro i termini dell’art. 184 c.p.c..
LE DOMANDE CUMULABILI ALLA DOMANDA DI
SEPARAZIONE E DI DIVORZIO
remesso che il ricorso deve essere rispettoso
dei contenuti imposti dall’art. 4 comma 2 della L. 898/1970, e che le domande proponibili
sono strettamente connesse alle pronunce consequenziali indicate dagli artt. 155 e 156 cod. civ.
per la separazione e 5 e 6 della L. 898/1970, non
sono generalmente ritenute cumulabili né la
domanda di divisione della comunione né quella
di restituzione di beni.
L’inammissibilità del cumulo di tali domande si
fonda, nel giudizio di separazione, sull’art. 191
cod. civ. e sul mancato perfezionarsi del presupposto necessario allo scioglimento della comunione e, nel giudizio di divorzio, sulla diversità
P
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
dei riti cui sono soggette, rispettivamente, la
domanda di scioglimento del vincolo matrimoniale e la domanda di divisione della comunione.
IL MOMENTO DI INIZIO DEL GIUDIZIO
oerentemente con la comune indicazione circa
la costituzione dell’attore, esiste una sostanziale convergenza nell’individuazione del
momento di inizio del giudizio in coincidenza
con il deposito del ricorso.
Tanto premesso si conviene che:
- il processo deve essere iscritto a ruolo con il
deposito del ricorso e non solo dopo il passaggio davanti all’istruttore;
- al deposito del ricorso si ricollegano gli effetti giuridici della domanda (competenza, litispendenza, ecc.).
Questa ricostruzione è coerente con una concezione unitaria del giudizio di separazione e di
divorzio, assistito dalle garanzie giurisdizionali
sin dalla fase presidenziale.
A partire da questi punti fondamentali, la ricostruzione del giudizio svolta dalla prassi secondo
un disegno sostanzialmente unitario si divide in
una serie di variabili già individuate dal questionario ANM, rispetto alle quali il lavoro di gruppo
ha operato una riduzione a categorie fondamentali di riferimento, limitandosi ad individuarne
ragioni teoriche e pratiche e distinguendo tra gli
obiettivi perseguiti e quelli raggiunti.
C
LA NOTIFICA DEI PROVVEDIMENTI PRESIDENZIALI
AI SENSI DELL’ART. 709 C.P.C.
a tacita abrogazione, per effetto della disciplina del divorzio, della necessaria notifica dell’ordinanza presidenziale contenente i provvedimenti provvisori e la data dell’udienza davanti
all’istruttore, nel caso di mancata comparizione
del convenuto all’udienza presidenziale (art. 709
c.p.c.) non costituisce una acquisizione totalmente condivisa, pur risultando una prassi applicativa
sicuramente maggioritaria e permangono, pertanto, realtà giudiziarie nelle quali il giudizio di
separazione si atteggia in forme non completamente uniformi al giudizio di divorzio.
L
LA COSTITUZIONE DEL CONVENUTO
mpiamente maggioritaria è risultata la posizione che riferisce il termine di costituzione
del convenuto alla fase del giudizio svolta davanti al giudice istruttore, con una prassi allineata
alle indicazioni recenti della Cassazione (Cass.,
27.12.2002 n.10914).
L’interpretazione opposta che dalla tacita abrogazione dell’art. 709 c.p.c. e dalla conseguente unitarietà del giudizio fa derivare una piena equiparazione dell’udienza presidenziale all’udienza ex
A
art. 180 c.p.c., benché ritenuta da molti partecipanti al gruppo come dotata di intima coerenza e
sistematicità, viene respinta per diverse ragioni.
Ragionando con estrema sintesi:
a) dal punto di vista pratico si reputa che la forzata costituzione del convenuto prima dell’udienza presidenziale mortifichi le possibilità
conciliative della lite,
b) dal punto di vista teorico-normativo, anche
alla luce di alcune recenti pronunce della Cassazione (n. 10780/96; 1332/00; 2064/00;
11751/01; 10914/02), si ritiene che b1), sebbene il procedimento di separazione sia nel suo
complesso di natura contenziosa (cfr. Corte
Cost. nn. 151/71 e 201/71) tuttavia sia netta la
sua articolazione in due fasi, delle quali la prima, quella presidenziale, non sia intesa quale
prima udienza di comparizione ex art. 180
c.p.c. ma sia caratterizzata dalla sua specifica
funzione, che è quella diretta all’emanazione
dei provvedimenti temporanei ed urgenti, con
la conseguenza, ad es., che i termini di decadenza per la formulazione delle domande
riconvenzionali andrebbero riferiti alla prima
udienza dinanzi al G. I.;
inoltre si giudica incompatibile con gli adempimenti dell’art. 180 c.p.c. e, segnatamente
con la dichiarazione di contumacia del convenuto non comparso, la facoltà di questa stessa
parte di partecipare all’udienza presidenziale
senza ministero di difensore, secondo il disposto dell’art. 707, primo comma c.p.c., pur
dopo gli interventi della Corte Costituzionale.
Le variabili rilevate all’interno di queste opzioni
possono ricondursi fondamentalmente a due
orientamenti:
a) per l’uno la costituzione del convenuto e la
tempestiva proposizione delle domande di
addebito e di assegno divorzile deve avvenire
entro 10 giorni, per l’abbreviazione dei termini, prima dell’udienza davanti al giudice
istruttore,
b) per l’altro, invece, le medesime preclusioni
non operano sino all’udienza medesima.
Le ragioni di questa differenziazione poggiano
essenzialmente sulla controversa efficacia dell’avvertimento dell’art. 163 n.7 c.p.c. e sulle
diverse opzioni concrete che si affidano al decreto di fissazione dell’udienza presidenziale o alla
‘diligenza creativa’ del giudice istruttore per
inserire l’avvertimento in questione. In buona
sostanza, Cass. 7.2.2000 n. 1332, che ha giudicato manifestamente inammissibile il dubbio di
legittimità costituzionale relativo alla omessa
previsione nella descrizione del ricorso recante la
domanda di divorzio dell’avviso di cui all’art.
163 n. 7 c.p.c., non sembra aver tranquillizzato i
75
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
giudici di merito.
Né il contrasto pare acquietato dalle importanti
affermazioni contenute nella sentenza in parola
circa la non coessenzialità della previsione di termini di decadenza con l’indicazione di un avviso
espresso nell’atto introduttivo del giudizio e circa la correlazione dei termini stessi direttamente
alla legge, analogamente a quanto avviene per il
rito speciale del lavoro.
A ben vedere, tuttavia, questa diversa individuazione del momento rilevante per il perfezionamento degli effetti preclusivi stabiliti dalla legge, benché gravida di effetti pregiudizievoli, riconosce
come comuni le opzioni interpretative di fondo.
Infatti viene condivisa:
a) l’opinione secondo cui il rispetto del principio
del contraddittorio non esige che la tempestiva
costituzione delle parti si ricolleghi al medesimo momento processuale,
b) la valutazione, addirittura opposta, secondo
cui la posizione del convenuto, stretto tra i
tempi ridotti di notifica del ricorso e del decreto e il termine anticipato a comparire, risulterebbe ingiustificatamente compressa nelle sue
legittime facoltà di difesa, viceversa ampiamente soddisfatte dalla possibilità del convenuto di operare una scelta processuale circa i
tempi di costituzione,
c) l’affermazione secondo cui il convenuto, una
volta compiuta la scelta processuale di costituirsi all’udienza presidenziale, ossia anticipatamente rispetto allo spirare dei termini imposti dalla legge alla sua costituzione, consuma
la sua costituzione facendo maturare tutte le
preclusioni,
d) la piena assimilazione della fase del giudizio
davanti al giudice istruttore alla sequenza procedimentale propria del giudizio di cognizione
ordinario (183, 184 c.p.c.), cosicché anche se
la tesi che consente la costituzione del convenuto fino all’udienza davanti all’istruttore può
apparire meno rigorosa, tuttavia non opera una
sistematica destrutturazione del giudizio di
divorzio, distinguendone soltanto la fase
davanti al Presidente dalla fase davanti al giudice istruttore ma applica tutte le decadenze
riferite alle diverse scansioni del giudizio
ordinario.
LA RICHIESTA DI MODIFICA DEI PROVVEDIMENTI
PRESIDENZIALI
i ritiene pressoché uniformemente che l’art.
708 ultimo comma c.p.c., il quale subordina,
nel giudizio di separazione, la modifica dei provvedimenti provvisori al verificarsi di “mutamenti
nelle circostanze”, sia stato abrogato a seguito
della L. 74/1987, la quale all’art. 23 prevede l’ap-
S
76
AIAF RIVISTA 3/2004
plicazione ai giudizi di separazione, in quanto
compatibili, delle regole di cui all’art. 4 L.
898/70, tra le quali rientra la previsione secondo
cui “l’ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore a norma
dell’art. 177 del c.p.c.”. Ne consegue un regime
di revocabilità dei provvedimenti presidenziali
secondo le regole generali relative alle ordinanze,
anche per i procedimenti di separazione, a prescindere dalla sopravvenienza di mutamenti della
situazione fattuale esistente al momento della
pronuncia.
La prassi denota una persistenza del presupposto
dell’assenza di circostanze nuove essenzialmente
nelle motivazioni dei provvedimenti di rigetto.
Viceversa, le richieste di modifica sono accolte:
a) per circostanze sopravvenute,
b) per una diversa valutazione dei fatti preesistenti,
c) per l’allegazione di fatti o elementi di prova
non prospettati al Presidente,
d) per errori evidenti di valutazione in cui si sia
incorsi al momento dell’emissione dei provvedimenti provvisori,
e) per il progressivo adattamento dei provvedimenti provvisori alle esigenze della famiglia
in crisi.
Si registra una generale aspirazione alla stabilità
dei provvedimenti provvisori, che si ritiene debba essere perseguita:
a) attraverso la via ordinamentale legata all’identità del presidente e del giudice istruttore,
b) attraverso la via procedimentale che incrementi l’autorevolezza dei provvedimenti provvisori. A tale proposito si insiste da parte dei
sostenitori del rito ambrosiano sull’importanza della costituzione del convenuto previamente rispetto alla udienza presidenziale. Tuttavia anche i sostenitori dell’interpretazione
opposta consentono che le udienze presidenziali si svolgano con ampi tempi istruttori consentendo rinvii e acquisizione di atti istruttori
(Ctu e relazione dei servizi sociali).
In ogni caso, una più compiuta motivazione dei
provvedimenti provvisori sembrerebbe assicurare
più garanzie circa la stessa modificabilità dei
provvedimenti stessi.
SULLA RECLAMABILITÀ DEI PROVVEDIMENTI
PROVVISORI
n orientamento condiviso esclude la reclamabilità dei provvedimenti provvisori, perché:
a) dal punto di vista pratico il regime di revocabilità degli stessi provvedimenti modulato sull’art. 177 c.p.c. e non sull’art. 708, ult. comma
c.p.c. non rende indispensabile questo rimedio, il quale, viceversa, si tradurrebbe in un
U
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
ingiustificato rallentamento dei tempi processuali di definizione del giudizio,
b) dal punto di vista teorico normativo soprattutto il disposto dell’art. 189 disp. att. cod. civ.
rende inapplicabile il regime cautelare uniforme ai provvedimenti provvisori, per loro stessa natura inidonei a refluire in alcuna sentenza
senza perdere d’efficacia.
SULL’AMMISSIBILITÀ DELLA PROCEDURA EX ART.
700 C.P.C.
ltrettanto maggioritaria la posizione secondo
cui il ricorso ex art. 700 c.p.c. non dovrebbe
considerarsi ammissibile, essendo già i procedimenti in questione caratterizzati da speditezza e
dalla adozione di provvedimenti che anticipano
la decisione finale.
Sono ben presenti le ragioni di economia processuale ostative all’ammissibilità del 700 c.p.c.,
ossia:
a) i presupposti per l’esperibilità della procedura
sono costituiti dalla gravità e irreparabilità del
danno; tali presupposti concernono più che
altro le necessità della prole, tematiche che
sono già oggetto di provvedimenti provvisori,
la cui modificabilità svuota di fatto di significato il ricorso alla procedura ex art. 700 cpc,
b) il provvedimento ex art. 700 cpc richiesto a
tali fini, pertanto, potrebbe non portare a
significativi risultati, perché ricadrebbe
comunque sotto la disciplina delle revocabilità
o modificabilità dei provvedimenti adottati
nell’ambito di tale procedura da parte del G.I.,
c) il rischio più rilevante è che tale procedura
crea un “doppio binario”, sia come attività
istruttoria, sia come possibilità di proporre
reclamo, in questo caso con un effetto “devolutivo” al collegio, che crea diversi problemi,
dall’appesantimento delle procedure alla
sovrapposizione di decisioni.
Va segnalata, tuttavia, una prassi che spesso utilizza il ricorso ex art. 700 cpc quando l’udienza
istruttoria è lontana; meglio sarebbe, pertanto,
chiedere l’anticipazione dell’udienza adducendo
gravi e urgenti motivi.
Una proposta tendenzialmente unificatrice che si
ispira ad una linea sistematica di riordino dell’utilizzo di questo strumento propone la possibilità
di esperire la procedura ex. art. 700 cpc in relazione ad oggetti estranei alle tematiche tipiche
dei procedimenti in questione (restituzione beni
personali, ecc.). Tuttavia suscita qualche perplessità, in relazione al difetto di strumentalità di tali
pronunce rispetto alla decisione definitiva e al
regime di inammissibilità del cumulo con la
domanda di separazione o di divorzio di domande a contenuto prettamente patrimoniale diverse
A
da quelle tipiche.
LA SENTENZA PARZIALE (NELLA SEPARAZIONE
E NEL DIVORZIO)
n conformità alla pronuncia della Suprema
Corte, si ritiene applicabile anche alla sentenza
di separazione la norma divorzile secondo cui,
nel caso in cui il processo debba continuare per la
determinazione dell’assegno, il Tribunale emette
sentenza non definitiva sullo scioglimento o sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio.
La prassi rileva, tuttavia, che le sentenze non
definitive di separazione sono ancora poco frequenti in tutte le sedi, in contrasto con l’orientamento della Cassazione e della dottrina, secondo
cui la pronuncia in questione non necessita di
istanza di parte in quanto la pronuncia non avviene d’ufficio, ma solo ad istanza di parte. Alcuni
giudici richiedono la domanda di entrambe le
parti (l’opinione sembra, tuttavia, contrastare con
la ratio legis sottesa all’istituto), e non ritengono
possibile emettere sentenza parziale in un giudizio contumaciale.
I
IL MOMENTO DELLA RIMESSIONE DELLA CAUSA
AL COLLEGIO
on vi è accordo sul momento di remissione
della causa al collegio. Analogamente a
quanto rilevato dal questionario:
a) una parte dei Tribunali ammettono la rimessione della causa al Collegio anche nella prima
udienza davanti all’istruttore,
b) altri consentono la rimessione all’udienza ex
art. 183 c.p.c.,
c) altri ancora dopo la compiuta articolazione dei
mezzi istruttori.
Il fondamento teorico-normativo di tali diverse
posizioni si ricava:
a) dalla ratio della norma che intende favorire il
più possibile il formarsi in tempi brevi del giudicato sulla pronuncia di divorzio (e di separazione),
b) il rilievo che fino alla scadenza dei termini per
la proposizione di eccezioni non rilevabili
d’ufficio, il resistente potrebbe proporre l’eccezione di riconciliazione, che impedirebbe la
pronuncia in questione (verrebbe meno la presunzione di cui all’art. 3, lett b, L. div., e l’onere della prova della mancata interruzione
della separazione ricadrebbe sul ricorrente),
c) l’applicazione dei principi generali (artt. 187 e
189 cpc) secondo cui le parti devono precisare
interamente le conclusioni di merito (e, quindi, non solo sullo status), e, pertanto, avere la
possibilità di dedurre prove (ma alcuni richiedono la conclusione anche nel merito anche
prima di aver avuto la possibilità di articolare
N
77
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
compiutamente le prove) unitamente alla considerazione che la norma speciale dell’art. 4,
comma 9, laddove dispone che la sentenza
parziale può essere pronunciata “quando il
giudizio deve proseguire” riconosce un potere
di valutazione al giudice circa la utilità della
sentenza parziale che esige la completa definizione dell’oggetto del giudizio.
Tutte le diverse posizioni rilevate circa il
momento della rimessione della causa al Collegio
adducono il principio di economia processuale:
a) perché l’utilità deflattiva e acceleratoria della
sentenza parziale è coerente con una adozione
quanto più anticipata del relativo provvedimento Si rileva, infatti, per esperienza comune, che spesso la pronuncia della sentenza non
definitiva sullo status accelera la definizione
dell’intera controversia in quanto le parti,
deciso lo status, sembrano psicologicamente
più predisposte a raggiungere una soluzione,
anche consensuale, sulle altre questioni; in
particolare, la rinuncia concorde delle parti ai
termini per il deposito delle comparse (prassi
comune) comporta l’emissione in tempi brevi
della sentenza che decide sullo status, e, di
conseguenza, la definizione dell’intero giudizio non subisce ritardi rilevanti;
b) perché corrisponde alla finalità di economia di
giudizi posticipare la rimessione all’udienza di
trattazione, quando, scaduti i termini di cui
all’art. 180 cpc, e precisato, anche in esito al
tentativo di conciliazione, il thema decidendum, può essere possibile una definizione consensuale della lite o, comunque, la decisione
dell’intera controversia, qualora non si debbano assumere mezzi di prova;
c) perché si evitano inutili duplicazioni di giudizi nel caso di domande accessorie inammissibili o del tutto sfornite di prova o provate allo
stato delle produzioni documentali.
Partendo da queste prassi diversificate e
approfondendo le ragioni delle contrapposizioni,
il gruppo ha tentato di elaborare una prassi condivisa che, seppure non rispondendo a criteri di
sistematicità, tuttavia si propone di corrispondere
all’aspirazione di uniformità attraverso una
applicazione delle disposizioni processuali in
questione calibrata sul caso concreto e adeguata
all’iniziativa processuale delle parti.
Pertanto si distingue:
a) il caso in cui i coniugi, concordemente facciano richiesta di una sentenza parziale sul vincolo, nel quale può disporsi la rimessione al Collegio sin dall’udienza ex art. 180 sulle conclusioni delle parti limitate allo scioglimento del
vincolo;
b) il caso in cui l’istanza di sentenza parziale sia
78
AIAF RIVISTA 3/2004
proposto da un solo coniuge con l’opposizione
dell’altro, nel quale la rimessione al collegio
non può disporsi prima dell’udienza ex art.
183 c.p.c., con la completa definizione del
thema decidendum e dei mezzi istruttori, la cui
richiesta dovrà essere reiterata con la precisazione delle conclusioni estesa anche alle pronunce accessorie alla domanda di scioglimento del vincolo.
L’OGGETTO DELLA PRONUNCIA
nche a tale proposito si registrano prassi
difformi. Il giudice pronuncia su tutte le questioni sollevate o solo sullo status, rimettendo la
causa sul ruolo per l’ulteriore istruttoria. Coloro
(la minoranza) che ritengono compatibile la
disciplina speciale dell’art. 4, L. div., con quella
generale sulla sentenza parziale di cui agli artt.
277 e 279, 2° co., cpc, ammettono che il giudice,
oltre a pronunciarsi sullo status, si pronunci su
tutti i punti che è in grado di decidere (e non,
quindi, su tutte le domande), rimettendo la causa
sul ruolo per l’ulteriori istruttoria sulle domande
residue.
A
SOVRAPPOSIZIONE DEI GIUDIZI DI
SEPARAZIONE E DI DIVORZIO
n ipotesi di pendenza del giudizio di separazione sulle questioni diverse dallo status (addebito, assetto economico, affidamento figli) e di
contemporanea pendenza del giudizio di divorzio, si profilano le seguenti soluzioni:
a) riunione dei giudizi;
b) pronuncia di cessazione degli effetti civili o di
scioglimento del vincolo, definizione delle
questioni concernenti i figli, il loro mantenimento, la casa coniugale e sospensione del
giudizio per la definizione della questione dell’assegno divorzile fino alla definizione della
domanda di addebito, ritenuta pregiudiziale
rispetto alla decisione sull’assegno divorzile;
c) pronuncia della cessazione della materia del
contendere nel giudizio di separazione.
Non esistono sul punto ancora prassi consolidate
dei singoli uffici, essendo poco frequenti le pronunce di sentenza non definitiva di separazione.
Tutte le soluzioni individuate comportano problemi di difficile soluzione, ma, dopo ampia
discussione, la maggior parte dei partecipanti
concorda nel ritenere preferibile la soluzione sub
b), estendendola a tutte le pronunce accessorie
alla sentenza di divorzio (e non solo l’addebito),
anche se questa soluzione prevede una sospensione non giustificata da una pregiudizialità tecnica
in senso stretto di tutte le questioni e anche se la
sospensione del giudizio di divorzio potrebbe
allungare i tempi della decisione definitiva. La
I
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
preferenza per questa soluzione è motivata anche
per esclusione. Infatti, per la soluzione a) si
obietta la mancanza di un rapporto di connessione tra il giudizio sulle domande consequenziali
alla separazione e il giudizio sulle domande consequenziali al divorzio. Per la soluzione c) si
oppone l’irragionevole sacrificio del diritto della
parte ad avere un doppio grado di giurisdizione
sulle domande accessorie alla pronuncia di separazione.
DIVORZIO A DOMANDA CONGIUNTA
lavori del gruppo hanno evidenziato una consistente (anche se non totale) propensione per
il principio di necessaria assistenza tecnica anche
nei procedimenti di divorzio proposti con domanda congiunta.
Questa linea si fonda:
a) sulla considerazione, di carattere giuridico,
che si tratta di un giudizio relativo allo status
personale che si conclude con sentenza suscettibile di impugnazione ed al quale deve, quindi, essere riconosciuta una natura sostanzialmente contenziosa,
b) sull’osservazione, di carattere pratico e operativo, che grazie all’intervento del legale le
condizioni vengono predisposte in modo corretto e soprattutto più completo, così risultando agevolato il compito del tribunale e non
essendo necessario che questi intervenga con
correttivi e integrazioni nel corso dell’udienza.
La linea contraria, che non riconosce cioè la
necessità della difesa tecnica, si basa:
a) sulla considerazione, in diritto, della pregnante omologia ravvisabile tra il procedimento di
divorzio congiunto e quello di separazione
consensuale, tale da rendere inspiegabile un
trattamento differenziato sul punto in questione e
b) sull’osservazione, di carattere concreto, che
laddove non vi sia un effettivo contenzioso tra
le parti non si possa imporre di far ricorso
all’assistenza legale, esponendoli a oneri economici inutili.
È stata sollevata l’obiezione che, se il procedimento deve essere inteso di natura contenziosa,
allora logicamente si impone la presenza di due
legali, ciascuno di questi essendo chiamato a
tutelare e garantire gli interessi di una parte.
Una soluzione di compromesso è quella di distinguere tra i casi di pronuncia solo sul vincolo (per
i quali la presenza del difensore non sarebbe
necessaria) e i casi di pronunce anche accessorie
per le quali si richiederebbe la presenza dei legali. Tale soluzione espone al rischio, nel caso di
assenza di figli minori, di incentivare la creazio-
I
ne di una regolamentazione sommersa affidata ad
accordi privati che potrebbe risolversi in una
lesione dei diritti delle parti.
L’altra soluzione “condivisa” percorribile potrebbe essere quella di riconoscere:
- la necessità di assistenza tecnica;
- la sufficienza di un solo legale, comune ad
entrambe le parti e loro domiciliatario.
Questa opzione applicativa consentirebbe:
a) di rispettare il principio secondo il quale, vertendosi in tema di status personale, al procedimento deve essere riconosciuta natura contenziosa, natura che non viene meno in presenza
di un accordo in ordine alle condizioni accessorie al divorzio,
b) di garantire un pieno esercizio del diritto di
difesa, dal momento che l’interesse pubblico è
qui forte e determinante, tanto che – ad esempio – pur in presenza di un accordo delle parti
la domanda di divorzio ben potrebbe essere
respinta qualora il tribunale dovesse verificare
l’insussistenza dei presupposti e delle condizioni dell’azione (e, in questa ipotesi, quasi
essenziale è che la comunicazione del deposito della sentenza venga fatta al difensore
domiciliatario, anche ai fini di una eventuale
proposizione dell’appello che non potrebbe
essere rimessa alle parti personalmente),
c) di contenere i costi della procedura, in quanto
un solo difensore non è elemento di per sé
contraddittorio nel momento in cui, pure in
presenza di una riconosciuta natura contenziosa del giudizio (che si conclude con sentenza,
suscettibile di fare passaggio in giudicato),
non siano ravvisabili posizioni contrapposte e
aspetti in concreto conflittuali,
d) di operare una lettura delle disposizioni aderente al testo normativo, dal momento che per
il divorzio c.d. congiunto non è stata richiamata la previsione della separazione consensuale
di cui all’art. 711 c.p.c. e sembra chiara l’intenzione del legislatore di non coniare un procedimento di mera “omologazione” degli
accordi già precedentemente raggiunti dalle
parti.
TRASFERIMENTI IMMOBILIARI
ra i componenti del gruppo si è delineata una
maggioranza a favore della possibilità di procedere ai trasferimenti immobiliari in sede di
divorzio congiunto; sembra, anche, che dai più
sia condivisa la prassi di realizzare il trasferimento a verbale, sottoscritto dalle parti e completato attraverso tutte le attività e le dichiarazioni necessarie per la regolarità dell’atto, e ciò
anche per la preoccupazione di non investire il
tribunale di eccessive responsabilità e far ricade-
T
79
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
re queste ultime sulle parti che debbono produrre
documentazione, rendere dichiarazioni sostitutive di atto notorio, ecc..
Pur in presenza di ancora irrisolti nodi problematici, una soluzione di massima condivisa potrebbe prevedere:
- la possibilità per i coniugi di perfezionare trasferimenti immobiliari in occasione del divorzio congiunto, utilizzando il verbale di causa e
trovando la cessione suggello nella sentenza
che riconosca l’avvenuto trasferimento facendo mero rinvio al verbale;
- l’esclusione di tale possibilità se i beneficiari
del trasferimento siano soggetti terzi (anche
figli) rispetto alle parti, in quanto estranei al
procedimento ed affatto legittimati ad intervenire nel giudizio, ancorché a tale limitato fine;
- l’incarico alle parti di predisporre la relativa
nota di trascrizione e di curare, al passaggio in
giudicato della sentenza, l’adempimento di
tutte le attività necessarie presso le conservatorie.
tivi (forse comuni soltanto ai grandi Tribunali)
collegati alla necessità di garantire lo “smaltimento” in tempi brevi di un gran numero di procedimenti su domanda congiunta e la concomitante presenza negli Uffici di molte coppie.
A tal fine è stata avanzata la proposta di una soluzione condivisa che:
- preveda la collegialità effettiva dell’organo
giudicante (formazione predeterminata del
collegio, seduta collegiale dei tre membri in
contemporanea ma comparizione dei coniugi
davanti anche solo al giudice relatore / estensore per la raccolta delle firme e della dichiarazione di rinuncia all’impugnazione);
- preveda la redazione contestuale della sentenza, sua integrale lettura alle parti prima della
loro rinuncia all’impugnazione, sottoscrizione
immediata della sentenza da parte del relatore
e del presidente, quindi deposito e pubblicazione in tempi brevi.
RINUNCIA ALL’IMPUGNAZIONE
utti sembrano favorevoli a consentirla, anche
se vengono utilizzate modalità diverse (con
dichiarazione a verbale, con dichiarazione resa
successivamente in cancelleria).
Anche per favorire le parti e non imporre loro
una pluralità di accessi negli uffici giudiziari,
non dovrebbe essere difficile concordare che:
- la rinuncia all’impugnazione è possibile;
- poiché non è logicamente percorribile la strada di una rinuncia preventiva, la dichiarazione
dovrebbe essere fatta dalle parti personalmente, e quindi da loro sottoscritta, nel verbale
dell’udienza, dandosi atto del fatto che della
sentenza è stata prima data integrale lettura;
- l’attestazione di passaggio in giudicato dovrà
essere rilasciata dal cancelliere dopo la trasmissione della sentenza agli uffici della Procura generale della Repubblica e la relativa
dichiarazione di acquiescenza.
I
T
COMPETENZA COLLEGIALE
nettamente prevalsa la tendenza a riconoscere una collegialità “piena”, mentre abbastanza marginale è la prassi che riconosce la possibilità che i coniugi compaiano personalmente
davanti ad un giudice “delegato”.
Tuttavia, va segnalato, in parte per sdrammatizzare questa questione, che le modalità di svolgimento delle udienze collegiali anche nei Tribunali che non si discostano formalmente dalla collegialità del giudizio prevedono la comparizione
dei coniugi davanti ad un solo giudice.
Sussistono infatti innegabili problemi organizza-
È
80
AIAF RIVISTA 3/2004
CONVERSIONE DEL DIVORZIO DALLA FORMA
CONTENZIOSA A QUELLA CONGIUNTA
l gruppo è sembrato compatto nel ritenere
l’ammissibilità della conversione e non si sono
evidenziati “dissidi” profondi e insanabili nell’individuazione delle relative modalità, salvo
alcune (modeste) eccezioni.
Sarebbe, quindi, abbastanza agevole trovare un
punto di incontro che preveda:
- l’ammissibilità della trasformazione dalla forma contenziosa a quella congiunta;
- la conseguente non necessità di un nuovo
ricorso, essendo sufficiente che l’accordo raggiunto sia trasfuso nel verbale del procedimento originario e sia sottoscritto dalle parti;
- la trasmissione del fascicolo al P.M. per le sue
conclusioni sulle nuove istanze;
- la fissazione a breve di un’udienza collegiale
in camera di consiglio, per l’espletamento
degli incombenti già trattati nel punto che precede.
L’immediata rimessione davanti al giudice istruttore che muterebbe la sua veste in quella di giudice delegato dal Collegio per pronunciare il
divorzio si coniuga con la posizione (rivelatasi
formalmente minoritaria) della delega ad un solo
giudice per la comparizione delle parti dei coniugi che hanno presentato domanda congiunta di
divorzio e le indubbie utilità che comporta sono
apprezzabili soprattutto nelle sedi giudiziarie di
maggiori dimensioni.
Il vantaggio preminente dato dalla conversione
consiste nella possibilità per le parti di rinunciare all’impugnazione e, così, di accelerare il passaggio in giudicato della sentenza e l’acquisizione dello stato libero, oltre che nel non dover
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
affrontare gli oneri di una nuova iscrizione a ruolo ecc.; quanto al “guadagno” sui tempi per la
sentenza, tutto dipenda dall’organizzazione dei
ruoli di ogni singolo giudice, ma è ragionevole
pensare che sia più semplice trovare spazio per
un procedimento congiunto che per una sentenza
per così dire normale, anche se da pronunciarsi
su conclusioni conformi.
QUESTIONI INERENTI I GIUDIZI DI
SEPARAZIONE CONSENSUALE E DIVORZIO
CONGIUNTO. NATURA DEGLI ACCORDI E
REVOCA DEL CONSENSO
chematizzando il risultato di discussioni dottrinali e giurisprudenziali, può dirsi che l’accordo di separazione ha come contenuto naturale
l’accordo sulla cessazione della coabitazione, il
regolamento delle posizioni dei genitori rispetto
ai figli e il regolamento delle questioni patrimoniali di cui all’art. 155 cod. civ. rispetto al coniuge non dotato di mezzi propri;
L’accordo sulla cessazione della coabitazione è il
contenuto minimo della separazione ed è obbligatorio; ugualmente obbligatoria è da ritenersi la
regolamentazione dei rapporti economici e non in
relazione ai figli, quando vi siano, mentre alla
regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra
coniugi viene riconosciuto un carattere meramente eventuale, di natura contrattuale implicante la
applicabilità delle norme sui contratti.
Questione ancora aperta è la natura dell’accordo
minimo di separazione, e cioè se debba essere
ricostruito come accordo (inteso come incontro
di volontà convergenti) o come contratto o negozio cui applicare in via analogica le norme in
tema di contratti (inteso come incontro di volontà
portanti interessi difformi) con la ulteriore conseguenza della applicabilità o meno delle norme sul
contratto e quindi sulla possibilità o meno della
revoca del consenso.
La lettura della norma di cui all’art. 158 cod. civ.
consente di escludere la possibilità di un sindacato del Giudice sulle ragioni della separazione o
sulle condizioni patrimoniali tra i coniugi (l’unico intervento essendo limitato alla eventuale non
omologabilità in caso di pattuizioni difformi
dagli interessi dei minori). Secondo l’art. 158
cod. civ. l’accordo di separazione non ha effetto
senza l’omologa del Tribunale, che viene considerato un momento giurisdizionale di controllo,
qualificato come causa del procedimento di separazione, ovvero ricostruzione dell’accordo come
causa della separazione stessa, e dell’omologazione come mera condizione di efficacia della
separazione, omologazione che si sostanzia in un
controllo di legittimità che il Giudice è chiamato
a compiere alla stregua dei principi di ordine
S
pubblico.
Questa seconda teoria si sposa evidentemente
con la tesi che pone l’accento sulla rilevanza dell’accordo dei coniugi e lo qualifica come accordo
assimilabile ad un contratto, valido di per sé ma
condizionato nell’efficacia alla omologazione,
così che all’accordo di separazione si applicano
le norme in materia di contratti, senza distinguere tra contenuto obbligatorio ed eventuale, ed
altresì la irrevocabilità del consenso espresso prima della udienza presidenziale o in detta sede
presidenziale.
Viceversa, ritenere l’accordo come avente contenuto diverso dal contratto, ritenere inapplicabili
le regole contrattuali e porre l’accento sul
momento processuale, in sostanza svalutare il
momento della autonomia privata, porta a ritenere il consenso revocabile quanto meno sino a che
non intervenga il provvedimento di omologa.
Come pare emergere anche dai risultati del questionario ANM, in giurisprudenza la tesi della
revocabilità del consenso è assolutamente maggioritaria, e riflettere sulla revocabilità del consenso significa analizzare il contenuto degli
accordi di separazione che i coniugi possono porre in essere, qualificarli e distinguerli. Il discorso
così si allarga dal contenuto della separazione
agli accordi patrimoniali che accedono solo eventualmente alla separazione, alla validità di accordi presi in sede di separazione in vista del futuro
divorzio; tutti argomenti che passano al vaglio
della giurisprudenza, sino ai patti prenuziali che
per il nostro diritto positivo e per la giurisprudenza paiono argomenti ancora del tutto futuribili.
In particolare sul problema relativo alla configurabilità di accordi patrimoniali (aventi ad oggetto
i rapporti tra coniugi, discorso diverso essendo
quello che riguarda le pattuizioni sui figli) stipulati in sede di separazione ed in vista del divorzio, si veda la apertura contenuta in Cassazione
8109/2000 che sul punto ha creato un precedente
ribadendone in generale la nullità per la illiceità
della causa, ma sancendo la non azionabilità della nullità da chi è gravato dell’impegno, riservandola esclusivamente alla “parte debole” che
potrebbe essere lesa dalla pattuizione dispositiva.
Ci si soffermi a riflettere sui temi cardine che
ruotano attorno alla configurabilità dei contratti
in vista del divorzio: il diritto potestativo di chiedere la cessazione del vincolo, che mal si concilia coll’affermata indisponibilità dei diritti patrimoniali tratta dall’art. 160 cod. civ., il tipo di
controllo operato dal Giudice in sede di procedimento di separazione o in sede di procedimento
sul contratto matrimoniale, l’inapplicabilità ai
contratti di separazione o di divorzio, della clausola rebus sic stantibus di cui ai procedimenti
81
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
camerali che seguiranno.
Strettamente connesso alla questione relativa alla
revocabilità del consenso è la questione relativa
alla necessaria presenza delle parti alla udienza
presidenziale o in camera di consiglio. Evidentemente se la revoca del consenso è efficace, la presenza delle parti che confermino il proprio assenso è necessaria.
Sono state quindi affrontate le questioni relative
ai procedimenti di modifica delle condizioni di
separazione e divorzio che si svolgono nelle forme del rito camerale, per richiamo espresso
degli artt. 710 c.p.c. e 9, I° c., L. 898/1970, come
modificato dalla L. 74/1987, di cui agli artt. 737
e seguenti c.p.c..
I problemi che si pongono per lo svolgimento del
procedimento non sono diversi dai problemi che
si pongono in generale quando si utilizza lo strumento processuale semplificato richiamato, con
la particolarità tuttavia che l’oggetto del processo è nel nostro caso la trattazione di diritti soggettivi veri e propri sui quali tra le parti si instaura un contenzioso.
Uno strumento processuale pensato per risolvere
questioni di volontaria giurisdizione pura, intesa
come soluzione di interessi, deve così adattarsi
alla più difficoltosa trattazione di diritti soggettivi, normalmente ad alta contenziosità.
Ne è conferma la giurisprudenza che sancisce la
doppia possibilità di adire le forme camerali
come le forme ordinarie: in realtà non si tratta
solo del problema della conservazione degli atti,
da citazione a ricorso, ma dell’affermazione che
le modifiche delle condizioni della separazione
possono essere chieste in via alternativa con le
forme del rito ordinario e con le forme del rito
camerale, proprio per il fatto che il procedimento
ex art. 710 c.p.c. “configura un procedimento
contenzioso che si esplica nel contraddittorio pieno delle parti e si chiude con un provvedimento
che pur con la forma del decreto, ha la natura
sostanziale di sentenza.”.
Sia l’art. 710 che il 9 richiamano per i procedimenti aventi ad oggetto la modifica delle condizioni di separazione e divorzio, il procedimento
in camera di consiglio regolato dagli artt. 737 e
segg. c.p.c., con due ulteriori indicazioni nel corpo dell’art. 710 c.p.c.: “sentite le parti ed assunti
eventuali mezzi istruttori”, ed inoltre con la partecipazione del P. M. quando si tratti di questione
concernenti minori secondo quanto stabilito dall’art. 9 della L. 1987/78 di modifica delle legge
sul divorzio estesa al procedimento di modifica
delle condizioni di separazione con intervento
della Corte Costituzionale 416/1992.
Le regole processuali vanno pertanto desunte
82
AIAF RIVISTA 3/2004
dagli artt. da 737 a 742 c.p.c. con le integrazioni
della necessità del rispetto del principio del contraddittorio e il richiamo ad una fase istruttoria.
La deformalizzazione del rito e l’assenza di regole predeterminate in materia di contraddittorio e
garanzia del diritto di difesa, che certamente hanno indotto il legislatore a privilegiare questo rito
per la sua celerità in materia in cui la definizione
del procedimento deve essere rapida, costituiscono tuttavia il limite dell’intervento legislativo e
hanno determinato recenti ed importanti interventi della Cassazione.
L’atto introduttivo è pertanto il ricorso ai sensi
dell’art. 737 c.p.c.: il Presidente, fissa l’udienza
di comparizione delle parti, concede termine per
la notifica del ricorso e del decreto di fissazione
e nomina il Giudice Relatore.
Si pone quindi il primo problema relativo all’eventuale termine per la proposizione di domanda
riconvenzionale: le risposte al questionario indicano che la stragrande maggioranza dei magistrati ritiene ammissibile la proposizione di riconvenzionale con la comparsa di costituzione e
risposta presentata alla udienza in quanto nessun
termine preclusivo è ricavabile analogicamente
né dall’art. 166 né dall’art. 416 c.p.c., mancando
la indicazione di un termine a comparire per la
parte convenuta. Vi è tuttavia di più.
A tenore della sentenza n. 14022/2000 della S. C.
il rito adottato dal legislatore, con l’art. 9 della
legge sul divorzio, ai fini della modificazione
dell’assegno divorzile, risulta regolato, in via
generale, dagli art. 737 e ss. del c.p.c., e, quanto
alle forme, in parte risulta disciplinato espressamente da tale normativa, mentre, nella parte non
regolata, risulta rimesso nel suo svolgimento alla
disciplina concretamente dettata dal giudice la
quale dovrà garantire il rispetto del principio del
contraddittorio e di quello del diritto di difesa.
Da ciò deriva, quanto al procedimento di primo
grado, che in esso non vigono le preclusioni previste per il giudizio di cognizione ordinario, con
la conseguenza che:
1) potranno essere proposte domande nuove,
anche riconvenzionali, in conformità delle
direttive dettate dal giudice nella gestione del
processo, senza che la loro eventuale mancata
proposizione possa impedirne la proposizione
in separato giudizio;
2) potranno essere ammesse altresì prove nuove,
anche in correlazione con i fatti sopravvenuti
dedotti nel corso del processo; fatti che peraltro - anche in questo caso il giudice dovrà
e potrà prendere in esame se ed ove dedotti e
sempre nei limiti delle domande proposte.
Più in particolare trattasi di un procedimento che
si svolge nell’interesse delle parti ed anche nel
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
quale - diversamente da quanto accade nel caso
in cui si tratti di modifica dell’assegno di mantenimento di figli minori - vige il principio della
domanda e della corrispondenza fra il “chiesto”
ed il “pronunciato”, investendo l’officiosità del
procedimento unicamente il profilo dell’impulso
al suo svolgimento, ed, in certa misura (ai sensi
dell’art. 738, comma 3) l’acquisizione di materiale probatorio.
Quanto poi al giudizio di secondo grado nascente dal reclamo, fermo restando che quest’ultimo
costituisce un mezzo di impugnazione avente
carattere devolutivo e come tale ha per oggetto la
revisione della decisione di primo grado nei limiti del devolutum e delle censure formulate ed in
correlazione alle domande formulate in quella
sede, in detto giudizio, mentre possono essere
allegati fatti nuovi, non possono essere proposte
domande nuove, in quanto queste ultime snaturerebbero la natura del reclamo quale mezzo di
impugnazione avente la funzione di rimuovere
vizi del precedente provvedimento.
Nel corso del procedimento possono senza alcuna preclusione svolgersi domande nuove e riconvenzionali, se tale è la scelta processuale della
parte, la quale potrebbe invece sempre decidere
di azionare i fatti nuovi e sopravvenuti in altro
procedimento di modifica.
Non vi è pertanto un onere di allegazione e
domanda del fatto nuovo nel processo già in corso e viceversa il fatto nuovo base della domanda
nuova può sempre essere azionato.
Vi è da ritenere la medesima mancanza di preclusioni riguardo la deduzione del fatto nuovo a
sostegno della domanda o dei fatti dedotti dal
convenuto per il rigetto della stessa.
Quanto precede incontra due limiti.
Da una parte vi è il principio del rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa in quanto le parti devono essere messe in condizione di replicare
sulle allegazioni e di difendersi.
Sul punto vi è una importante e recente sentenza
della Corte di Cassazione, la n. 9084/2002, che
prescrive che nei procedimenti in camera di consiglio debbano essere assicurati l’esercizio del
diritto di difesa e la garanzia del contraddittorio
specialmente nella formazione della prova, in
quanto detto principio generale è stato enunciato
dall’art. 111 cost. nella nuova formulazione
introdotta con la legge cost. n. 2 del 1999, sia
pure con espresso riferimento al processo penale.
La Cassazione afferma che il processo deformalizzato in camera di consiglio si sottrae a censure
di costituzionalità quando si verta in tema di
diritti soggettivi solo quando siano garantiti i
diritti di difesa e la garanzia del contraddittorio e
che il procedimento non può non essere interpre-
tato alla luce del nuovo dettato costituzionale
dell’art. 111 Cost.: in particolare si afferma per
quanto riguarda la acquisizione delle prove che
appare dubbia la costituzionalità dell’assunzione
di prove al di fuori del contraddittorio con messa
a disposizione del materiale probatorio ai difensori in un momento successivo.
Quindi il primo limite alla assenza di preclusioni
su domande, allegazione di fatti e assunzione di
mezzi istruttori è il rispetto del contraddittorio e
della difesa.
Il secondo limite è dato dalla necessità che il procedimento abbia un adeguato e ordinato svolgimento nell’ambito dei poteri del regolamento del
procedimento propri del Giudice ai sensi dell’art.
175 c.p.c.: è attività propria del Presidente quella
di individuare, mediante la fissazione di termini,
le fasi del procedimento, distinguendo la fase
della individuazione dei fatti costitutivi ed estintivi e la fase della articolazione dei mezzi di prova. Ancora una volta le fasi dovranno contemperare il rispetto della difesa e del contraddittorio:
concretamente le allegazioni avverranno o all’udienza a verbale o in memorie richieste dovendosi ritenere che coll’esaurimento della attività della difesa sul punto, le questioni non possano nuovamente essere riaperte.
I MEZZI ISTRUTTORI NEI PROCEDIMENTI CAMERALI
entite le parti” postula la necessità della
comparizione delle parti in Camera di Consiglio (con conseguente deduzione di argomenti
di prova dalla mancata comparizione) o solo la
esigenza del rispetto del contraddittorio?
Quali sono i mezzi istruttori cui l’art. 710 c.p.c.
fa riferimento e possono essere essi disposti di
ufficio?
I mezzi istruttori sono i più disparati ed anche
oltre i mezzi tipici.
Come emerge dalle risposte al questionario
ANM, sono tutti quegli strumenti che fanno parte dell’armamentario probatorio del Giudice della famiglia: c.t.u., relazione degli assistenti sociali, indagini patrimoniali a mezzo della Guardia di
Finanza oltre che i mezzi tipici del codice di rito.
Quanto alla ufficiosità esiste ormai la possibilità
di disporre d’ufficio mezzi di prova sulle condizioni relative al minore, proprio perché non esiste
sotto questo profilo una disponibilità delle parti
(molteplici sono gli indici: il controllo del Giudice solo su questo aspetto nelle consensuali; la non
vincolatività dell’accordo dei genitori ecc.).
Quanto ai diritti patrimoniali dei coniugi si pone
il problema dell’interpretazione della contestazione della parte quale presupposto per procedere alla indagine di polizia tributaria, da considerare comunque come uno strumento probatorio
“S
83
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
da disporsi d’ufficio.
Sul punto lo stato della giurisprudenza della S. C.
ritiene che il potere del tribunale di disporre indagini anche d’ufficio e di avvalersi della Polizia
Tributaria, come prevede espressamente la legge
con disposizioni applicabili per identità di “ratio”
anche al procedimento di revisione del contributo di mantenimento dei figli, rientra nella sua
discrezionalità, e non può essere considerato
anche come un dovere imposto sulla base della
semplice contestazione delle parti in ordine alle
loro rispettive condizioni economiche.
L’unico limite a detto potere, che costituisce una
deroga alle regole generali sull’onere della prova,
è rappresentato dal fatto che il giudice, potendosene avvalere, non può rigettare le richieste delle
parti relative al riconoscimento ed alla determinazione dell’assegno sotto il profilo della mancata dimostrazione da parte loro degli assunti sui
quali le richieste si basano. In tal caso il giudice
ha l’obbligo di disporre accertamenti d’ufficio,
avvalendosi anche della Polizia Tributaria.
PENDENZA DEI GIUDIZI DI MODIFICA EX ART. 710 CPC
E DI DIVORZIO
l giudizio di modifica ex art. 710 c.p.c. è proIdimento
ponibile o proseguibile in pendenza del procedi divorzio? Introdotto il giudizio di
Micaela Vinci,
32 anni
Il profumo di
un’altra città
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84
divorzio si tratta di verificare se il procedimento
ex art. 710 c.p.c., pendente, debba proseguire o
debba esserne dichiarata la improcedibilità, o,
ancora, se possa essere iniziato.
Il problema si pone da quando, dirimendo un
contrasto tra le corti di merito, la Cassazione ha
statuito la possibilità per il Presidente in sede di
AIAF RIVISTA 3/2004
udienza di emanazione di provvedimenti urgenti,
di modificare l’assetto definitivo con la sentenza
di separazione.
La soluzione giurisprudenziale più recente è
quella adottata dalla Corte di Appello di Napoli
con pronuncia del 22/03/2000: pendente il procedimento di modifica e introdotto il divorzio non
si determina l’improcedibilità del primo procedimento che continua per la regolamentazione delle statuizioni intermedie sino alla pronuncia dei
provvedimenti presidenziali, ove venga effettuata, o dei provvedimenti definitivi in sede di
divorzio.
Evidentemente ciò è vero solo quando vengano
chiesti mutamenti di ordine patrimoniale, che
attenendo a prestazioni fungibili possono essere
modificati anche con effetto retroattivo (dal
momento del verificarsi della circostanza nuova),
ma non per il diritto di visita o di affidamento che
si è consumato per il periodo già trascorso e non
è suscettibile di ristoro retroattivo.
Diversa la posizione della Cassazione, la quale
ammette la possibilità di simultaneus processus
tra procedimento di divorzio e procedimento di
modifica delle condizioni di separazione.
Infine, nel caso di estinzione del procedimento di
divorzio con provvedimenti urgenti resi dal Presidente, la loro eventuale modifica va chiesta con
le forme di cui all’art. 710 c.p.c..
Viceversa se il divorzio sia stato pronunciato
anche senza statuizioni in materia di assegni, la
modifica va chiesta colle forme di cui all’art. 9 L
898/1970.
Nel procedimento ex art. 710 c.p.c. è prevista la
possibilità della emanazione di provvedimenti
urgenti in corso di procedimento, mentre analoga
previsione non è ripetuta nell’art. 9 L. 898/1970
e si segnala la incongruità della differenza.
I provvedimenti provvisori possono essere disposti anche d’ufficio e il provvedimento conclusivo
del procedimento è il decreto, che deve contenere la condanna alle spese.
Il decreto reso dal Tribunale è sempre revocabile
o modificabile dal Tribunale stesso: corollari di
tale costante revocabilità sono l’assenza di attitudine al giudicato, la mancata preclusione di
dedotto e deducibile (nel senso che possono essere fatti valere non solo motivi sopravvenuti, ma
anche motivi preesistenti), la non ricorribilità in
Cassazione ex art. 111, II comma Cost..
Il decreto è soggetto a reclamo.
Ormai è chiarita la questione sulla decorrenza del
termine di impugnazione: i dieci giorni decorrono dalla notifica effettuata alla controparte su
istanza di parte e non su impulso della cancelleria, in quanto il termine di dieci giorni previsto
dall’art. 739 c.p.c. per la proposizione del recla-
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
mo contro il provvedimento camerale pronunciato nei confronti di più parti decorre dalla notificazione dello stesso eseguita ad istanza di parte,
e non anche dalla notificazione eseguita ad istanza del cancelliere.
Il giudizio di reclamo è un giudizio di merito che
tuttavia avviene nei limiti dei motivi di gravame:
è pertanto illegittimo un provvedimento che
riformi un decreto in un punto non oggetto di esame, così come non sono ammesse domande nuove. Possono invece essere allegati fatti nuovi e
chieste nuove prove.
IL PUBBLICO MINISTERO.
LE RAGIONI DELLA SUA PRESENZA NEL PROCESSO
ella relazione del ministro guardasigilli sul
codice di procedura civile si legge che “quando l’interesse pubblico reclama che l’esercizio dell’azione sia svincolato dalla iniziativa privata” è
opportuno che il potere di agire sia affidato non al
giudice, per non menomarne l’imparzialità – affermazione di strabiliante attualità alla luce del disposto dell’art. 111 Costituzione – ma al pubblico
ministero, trattandosi di un potere di iniziativa più
confacente alla funzione di parte. E derogando così
“da quella che nel campo civilistico è la regola,
consistente nell’esclusiva dipendenza della tutela
giurisdizionale dalla volontà dell’interessato”.
Negli ordinamenti in cui, come nel nostro, nel
campo civilistico vige la regola consistente nella
dipendenza della tutela giurisdizionale dalla
volontà dell’interessato, le deroghe a tale regola
non possono non essere che per casi tassativi,
come stabilisce l’art. 69 c.p.c.: “Il pubblico ministero esercita l’azione civile nei casi stabiliti dalla legge”.
Lo stesso principio è contenuto nell’art. 2907
cod. civ. ai sensi del quale alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria
anche su istanza del pubblico ministero o d’ufficio, ma solo “quando la legge lo dispone”, come
l’art. 75, I c., dell’ordinamento giudiziario che
stabilisce che “il pubblico ministero esercita l’azione civile ed interviene nei processi civili nei
casi stabiliti dalla legge”.
In questo quadro positivo, quando una disposizione concede l’azione “a chiunque vi abbia interesse” deve essere escluso che fra i titolari del relativo potere possa rientrare anche il pubblico ministero, stante il principio della tassatività dei casi
in cui il predetto soggetto è legittimato ad esercitare l’azione civile, casi non suscettibili di applicazione analogica o di interpretazione estensiva.
È il caso di ricordare come, in applicazione di
tale principio, il pubblico ministero non possa
impugnare il matrimonio celebrato con intento
simulatorio (art. 123 cod. civ.) anche laddove
N
venga accertata l’esistenza di una condotta delittuosa realizzata da cittadini stranieri con cittadini
italiani per finalità di acquisizione di uno status
che consenta in prima istanza la regolarizzazione
della posizione sul territorio italiano e quindi
l’acquisizione della cittadinanza.
Quanto all’intervento in causa del pubblico ministero l’art. 70 c.p.c. regola due tipi di intervento:
quello obbligatorio e quello facoltativo.
Fra le cause nelle quali l’intervento risulta obbligatorio vi sono quelle matrimoniali, comprese
quelle di separazione personale dei coniugi (art.
70, co. I, n. 2) c.p.c.) e di divorzio, siano esse
contenziose od a domanda congiunta.
Alla questione controversa, riguardante la partecipazione del P. M. ai procedimenti a domanda
congiunta, la dottrina maggioritaria sembra dare
risposta favorevole sulla base dell’assunto che se
è vero, come appare, che la funzione principale
del pubblico ministero, nel giudizio di divorzio, è
quella di garantire il rispetto dei diritti dei figli,
non si vede perché di questa garanzia debbono
poter usufruire solo le parti che abbiano prescelto il rito contenzioso.
L’intervento non deve invece reputarsi necessario
nei giudizi in cui si tratti solo di modificare le
condizioni della separazione personale, salvo che
non si tratti di modifica delle condizioni di separazione riguardanti la prole, come espressamente
previsto dalla Corte Costituzionale che, con sentenza del 9 novembre 1992 n. 416, ha infatti
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.
710 c.p.c. nella parte in cui non prevede la partecipazione del pubblico ministero al procedimento
di modifica dei provvedimenti di separazione
personale dei coniugi riguardanti la prole.
Con una successiva sentenza la Corte Costituzionale (25.06.1996 n. 214) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 70 c.p.c. nella parte
in cui non prescrive l’intervento obbligatorio del
pubblico ministero nei giudizi tra genitori naturali che comportino “provvedimenti relativi ai
figli”, nei sensi di cui agli artt. 9 della legge 898
del 1970 (nel testo vigente) e 710 c.p.c. come
risulta a seguito della citata sentenza 416/1992.
Nei casi in cui l’intervento del pubblico ministero è obbligatorio, lo è tale naturalmente in ogni
grado.
Occorre tuttavia, per ridare un senso a questa
impostazione che rischia per prassi e per progetti
di riforma normativa di proporre un giudizio di
agonia del pubblico ministero nel processo civile,
ridisegnare lo spazio di presenza della parte pubblica nel processo civile.
85
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
IL MOMENTO DELL’INTERVENTO E L’ATTIVITÀ DEL P.M.
enuto meno l’obbligo di comunicare al pubblico ministero l’ordinanza presidenziale di
fissazione dell’udienza avanti il giudice istruttore, per espresso disposto legislativo, nella disciplina del divorzio, oppure per incompatibilità –
dell’art. 709 c.p.c. – con le nuove regole dell’art.
4 legge divorzio, per il giudizio di separazione,
ne discende l’applicazione della regola generale
dettata dall’art. 71 c.p.c.: “il giudice, davanti al
quale è proposta una delle cause indicate nel
comma 1 dell’articolo precedente, ordina la
comunicazione degli atti al pubblico ministero
affinché possa intervenire” mediante comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza presidenziale e del ricorso introduttivo.
Già nella fase presidenziale, perciò, il pubblico
ministero deve intervenire depositando in cancelleria la comparsa di intervento (artt. 1, 2 disp. att.
c.p.c. in quanto quest’ultima norma richiama le
modalità di intervento previste dall’art. 267 c.p.c.
per le parti private): modalità ispirata al criterio
generale secondo il quale la tutela degli interessi
pubblici affidati al P. M. nel processo civile va
perseguita con gli stessi mezzi riservati alle parti.
Così nel corso dell’istruttoria il pubblico ministero può produrre documenti e dedurre prove al
pari delle parti in causa, però nei limiti delle
domande proposte dalle parti (art. 72 comma 2°
c.p.c.); ma può anche non intervenire nelle udienze istruttorie senza che da ciò consegua la nullità
degli atti a cui non ha assistito.
Se però il pubblico ministero, intervenendo
innanzi al collegio, non si limita ad aderire alle
conclusioni di una delle parti, ma prende proprie
conclusioni, producendo documenti e deducendo
prove, il presidente, su istanza di parte od anche
d’ufficio, può rimettere con ordinanza la causa al
giudice istruttore per l’integrazione dell’istruttoria. Ciò è chiaramente previsto dall’art. 3 comma
3° disp. att. c.p.c..
Occorre rilevare come la remissione al giudice
istruttore possa avvenire solo nel caso in cui il
pubblico ministero produca ulteriori documenti,
rispetto a quelli già prodotti, o deduca prove su
circostanze nuove o comunque prima non capitolate dalle parti: sempre nei limiti delle domande
da queste proposte.
Non sarebbe necessario, al contrario, disporre la
remissione degli atti in istruttoria qualora il P.M.
avesse esibito un rapporto della polizia giudiziaria su un episodio attribuito ad uno dei coniugi
contrario alla morale o all’ordine della famiglia,
se ciò già risulta da un giudicato prodotto in causa; come non sarebbe necessario se il P.M. avesse formulato capitoli di prova su circostanze che
risultano pacifiche in causa.
V
86
AIAF RIVISTA 3/2004
Per quanto concerne le conclusioni, il P.M. può
aderire semplicemente a quelle prese da una delle parti ovvero, come accade normalmente, il
pubblico ministero si limita a precisare le conclusioni apponendo un timbro con la dicitura “nulla
oppone”.
Anche nel procedimento di separazione consensuale l’intervento del P.M. è del pari richiesto a
pena di nullità, a norma dell’art. 70 n. 2 c.p.c. che
non distingue tra cause di separazione giudiziale
e cause di separazione consensuale.
L’art. 738 c.p.c. – in sede di disposizioni comuni
ai provvedimenti in camera di consiglio – prescrive che gli atti siano direttamente comunicati
al pubblico ministero che stende le sue conclusioni in calce al provvedimento del presidente.
IL POTERE DI IMPUGNAZIONE DEL P.M.
uando il pubblico ministero ha qualità di
interveniente necessario nel processo, e non è
perciò legittimato attivo a proporre la relativa
domanda, sussiste il divieto di impugnare la sentenza non gravata dalle parti private.
Dopo l’introduzione del divorzio, che intervenne
direttamente sul quadro normativo preesistente,
nei processi di separazione il P.M. continua a non
essere legittimato all’impugnazione (art. 72 comma 2° e 3° c.p.c.) mentre nei procedimenti di
divorzio può impugnare le sentenze ivi pronunciate ma “limitatamente agli interessi patrimoniali dei minori o legalmente incapaci” (art. 5 comma 5° L. divorzio).
Secondo la prevalente interpretazione, quest’ultima disposizione deve essere intesa in termini non
restrittivi e si ritiene che siano ricompresi (e
quindi siano suscettibili di impugnazione dalla
parte pubblica), non solo i capi di sentenza
riguardanti il patrimonio della prole, ma anche il
se ed il quantum dell’assegno di mantenimento.
In ogni caso il limite contenuto nella norma non
incide sul potere generale, di fatto raramente utilizzato, conferito al pubblico ministero dall’art.
397 c.p.c. di impugnare per revocazione le sentenze pronunciate senza il suo intervento, o quando queste siano effetto della collusione delle parti posta in essere per frodare la legge.
Poiché la norma sui poteri di impugnazione del
pubblico ministero non è stata richiamata dall’art. 4 comma 13 L. divorzio (divorzio ad istanza congiunta) si è posto il problema se tale previsione valga anche per le sentenze emesse al termine di questi procedimenti.
Anche in tal caso, per motivi di simmetria con il
procedimento contenzioso, sembra che il potere –
dovere di impugnazione spetti al pubblico ministero sempre limitatamente “agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci”.
Q
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
Il riconosciuto potere di impugnazione al pubblico ministero pone il problema del passaggio in
giudicato della sentenza di divorzio, che tale
dovrebbe diventare decorso un anno dalla sua
pubblicazione ai sensi dell’art. 327 c.p.c..
Per quanto attiene ai processi di separazione, non
pare che possano sorgere dubbi sull’inapplicabilità della previsione che permette al pubblico
ministero di impugnare limitatamente agli interessi dei figli minori, così come previsto per il
processo di divorzio, costituendo l’art. 5 comma
5° L. divorzio, un’eccezione alla regola.
Come già rilevato, il pubblico ministero risulta
interprete e difensore delle istanze pubblicistiche
incentrate sulla tutela della famiglia e dei minorenni e, per questa sua funzione, de iure condendo, sarebbe forse opportuno riconoscere al pubblico ministero il potere di impugnazione anche
nei giudizi di separazione, dove gli interessi protetti appaiono identici a quelli implicati nei giudizi divorzili.
stero dichiarando non luogo a provvedere.
* avvocato in Genova
IL PROCESSO CIVILE E LA TRASMISSIONE DELLA NOTIZIA DI
REATO
isulta frequente, nell’esperienza giudiziaria,
R
che il giudice della separazione e del divorzio
si imbatta, nel suo percorso processuale, in fatti
costituenti notizie di reato procedibili d’ufficio,
soprattutto nei procedimenti caratterizzati da alta
conflittualità.
In tali contesti, la presenza necessaria nel processo del pubblico ministero costituisce molte volte
un fattore di confusione in ordine alla trasmissione della notizia di reato all’ufficio titolare dell’esercizio dell’azione penale, in quanto molti giudici civili ritengono che la presenza necessaria
del pubblico ministero costituisca un fattore di
esenzione dall’obbligo di denuncia sancito dall’art. 331 co 4° c.p.p..
Invero, proprio la tempistica dell’intervento del
pubblico ministero, il quale si limita a conclusioni superficiali ed adesive, senza la consultazione
del fascicolo processuale, formulate alla fine dell’istruttoria, consiglia l’immediata trasmissione
della notizia di reato per assicurare una risposta
immediata in ambito penale, sia essa di natura
investigativa o cautelare anche a tutela della presunta parte lesa del reato.
L’automatismo della denuncia trova del resto
ampia applicazione, di natura anche “deflattiva”,
nel procedimento introdotto dalla L. 4 aprile
2001 n. 154 contro le violenze familiari allorché
il giudice, richiesto dell’emissione di un ordine
di protezione in ambito civile, ravvisando gli
estremi di un reato procedibile d’ufficio – solitamente i maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p.
– trasmette gli atti all’ufficio del pubblico mini87
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
I
l titolo di questo articolo corrisponde al
lavoro svolto nello scorso anno nel gruppo
di lavoro al quale ho partecipato, nell’ambito degli incontri organizzati dal Consiglio
Superiore della Magistratura sulle prassi nella
separazione e nel divorzio, introdotto dalla
relazione del Dott. Bruno De Filippis, consigliere della Corte d’Appello di Salerno, e
coordinato dalla Dott. Maria Carla Gatto, consigliere della Corte d’Appello di Milano.
L’obiettivo, di non poco momento, del gruppo era
quello, partendo dalla panoramica delle diverse
prassi esistenti nel Paese, di pervenire alla individuazione di interpretazioni normative e prassi
che raccogliessero la condivisione dei diversi
ASCOLTO DEL MINORE,
AFFIDAMENTO E DIRITTO
DI VISITA, ESECUZIONE
DEI PROVVEDIMENTI DI
AFFIDAMENTO E VISITA
MARINA
MARINO*
88
partecipanti. Il gruppo, proprio in forza della
metodologia di lavoro scelta, era composto da
magistrati di Tribunale ordinario, presidenti di
Tribunale, giudici di Tribunale per i minorenni,
consiglieri di Corte di Appello e da avvocati di
tre diversi fori, nessuno dei quali aveva scelto il
gruppo di lavoro di cui fare parte.
Oggetto dell’indagine del gruppo di lavoro, coordinato dalla Dr. Maria Carla Gatto, consigliere
della Corte di Appello di Milano, era costituito
dall’affidamento dei minori, dal c.d. diritto di
visita, dall’ascolto del minore, dall’esecuzione
dei provvedimenti inerenti l’affidamento ed il
diritto di visita. Tutti argomenti che, chi si occupa di questa materia, ben sa quanto siano problematici, e quanto la loro soluzione presenti difficoltà, anche sotto il profilo processuale, spinose
anche perché incidono sui rapporti affettivi tra i
componenti della famiglia, in un momento difficile quale quello della definizione della crisi
AIAF RIVISTA 3/2004
coniugale.
Proprio in considerazione di quanto appena detto,
e del pericolo che in queste questioni ciascuno
riportasse oltre che le proprie competenze tecniche anche il proprio pensiero e vissuto personale,
il raggiungimento dell’obbiettivo proposto poneva indubbie e concrete difficoltà. Tuttavia su quasi tutte le diverse questioni il gruppo è riuscito a
raggiungere risultati che hanno raccolto la condivisione dei partecipanti, il che, se solo si tiene
conto di quanto gli stessi fossero differenziati tra
loro, per esperienza professionale, per provenienza territoriale, per background culturale, è sicuro
segno della positività sia della metodologia che
del lavoro effettivamente svolto dal gruppo.
Va detto che, proprio io, la sera prima di conoscere in quale gruppo avrei lavorato, avevo espresso
pubblicamente la speranza di poter lavorare nel
gruppo che si occupava degli aspetti processuali,
e comunque in qualsiasi gruppo tranne che in questo. Dopo la fine dei lavori debbo riconoscere che
questo impegno mi è piaciuto, credo mi abbia
consentito di portare un contributo ed un punto di
vista caratterizzati non solo dall’esperienza professionale, e dalla mia attenzione a problematiche
processuali, troppo spesso disattese laddove si
trattano questioni che attengono ai minori, ma
anche dalla esperienza dell’attività associativa
dell’AIAF, e sicuramente mi ha arricchito di prospettazioni ed osservazioni delle questioni affrontate da angolazioni nuove e diverse, oltre ad avermi consentito di conoscere persone interessanti,
sia sotto il profilo personale che tecnico.
Nel primo incontro, prima che i partecipanti si
dividessero in gruppi di lavoro ci sono state
numerose relazioni che individuavano le tesi iniziali sui diversi argomenti; per gli argomenti di
cui al presente articolo, il Dott. Bruno De Filippis ha esposto le proprie tesi ed opinioni e quindi, al fine di individuare il punto di partenza e
quello di arrivo affronterò i singoli argomenti
riportando la tesi iniziale e quella alla quale il
gruppo di lavoro è pervenuto.
L’ASCOLTO DEL MINORE
a relazione introduttiva nell’affrontare il
tema dell’audizione del minore, esamina le
norme di diritto positivo in materia, per concludere che il legislatore, solo dopo il 1975, ha
posto attenzione al problema del riconoscimento del minore quale persona portatrice di
autonomi diritti, che (l.898/70 art.4, 5° comma) poteva essere sentita dal giudice “qualora
lo ritenesse necessario”; la l.74/87, applicabile
in forza dell’art.23 della medesima norma
anche alle separazioni, conferma la possibilità
per il giudice di sentire i minori qualora ciò
L
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LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
fosse “strettamente necessario”. Il legislatore
italiano è quindi fortemente restio a che i
minori vengano ascoltati in giudizio, per valutazioni che vanno dalla valutazione dell’effetto traumatico dovuto all’essere sentito da un
giudice, alla attendibilità ed influenzabilità del
minore medesimo.
Le convenzioni internazionali a partire da quella
di New York del 20 novembre 1989, ratificata in
Italia con legge del 27 maggio 1991 n. 176, prevede l’obbligo per gli stati firmatari di garantire
al minore, capace di discernimento il diritto di
esprimere liberamente la propria opinione sulle
questioni che lo interessano.
L’audizione del minore non potrà mai essere utilizzata come mezzo istruttorio al fine di acquisire elementi sul comportamento dei genitori, e non
potrà che avvenire o all’udienza presidenziale o
in istruttoria, ma comunque al più presto possibile, per evitare che situazioni particolarmente
inopportune, ove non addirittura dannose, si consolidino. Il minore, secondo la relazione del Dott.
De Filippis dovrà essere ascoltato senza la presenza dei genitori e degli avvocati di questi,
eventualmente alla presenza di esperti.
Il gruppo di lavoro ha ritenuto che, anche sotto il
profilo linguistico, fosse maggiormente corretto
parlare di ascolto del minore anziché di audizione
dello stesso, proprio per chiarire che il minore viene sentito dal giudice al fine di dargli la possibilità
di esprimere i propri desideri, ma non certo come
teste, come informatore privilegiato od altro.
Il minore quale titolare di diritti, può essere
oggetto di provvedimenti giudiziari indipendentemente dalle richieste di parte, che sono espressione del potere che compete al giudice di assumere provvedimenti d’ufficio, in tema di minori.
Dopo l’osservazione che nell’ordinamento italiano, l’ascolto del minore ha una funzione per alcuni versi istruttoria, e comunque residuale, rispetto alle normative internazionali quali tra l’altro la
Convenzione di Strasburgo sui diritti dei minori
del 25 gennaio 1996 - alla quale il legislatore italiano ha dato una applicazione nella quale ad
esempio non ha ricompreso la separazione ed il
divorzio tra le procedure alle quali sia applicabile - il gruppo ha sottolineato come la Corte Costituzionale abbia, con la sentenza n.1/2002, sancito che l’ascolto del minore sia un dovere per il
giudice in considerazione della percettività
immediata dell’art. 12 della Convenzione di New
York, pur se anche in questa occasione nessuno
ha chiarito se si debba trattare di un ascolto in
forma diretta.
Lo sforzo maggiore del gruppo è stato quello di
rispondere ad una serie di domande di ordine
giornalistico a questo riguardo:1) perché? 2)
quando? e 3) come? si deve procedere all’audizione del minore.
La risposta alla prima domanda discende dalla
osservazione che il giudice, o il P.M. - nei casi in
cui il PM non sia solo una figura al tempo simbolica e fantasma – possono avere delle perplessità in merito alla correttezza del modo in cui le
parti definiscono la situazione della famiglia, e
ritengano che i genitori abbiano dato una rappresentazione dei bisogni dei figli minori inadeguata e non rispondente alla realtà. In queste situazioni, allo scopo di comprendere quali siano le
effettive esigenze del minori, potrà essere disposta l’audizione dei minori che siano in grado di
esprimersi con autonomia di giudizio e discernimento. La compresenza di questi ultimi requisiti
è ritenuta essenziale al fine di evitare che da questa esperienza il minore possa trarre elementi di
responsabilizzazione e di coinvolgimento indubbiamente negativi. Di conseguenza tutti hanno
concordato che, ove solo possa nascere il sospetto di strumentalizzazione dei minori non si dovrà
procedere all’ascolto diretto: pertanto non dovrà
essere ascoltato il minore portato in udienza da
uno dei genitori senza che ne sia stato disposto in
precedenza l’ascolto.
La seconda domanda ha una risposta immediata:
il minore, ove sia opportuno che venga sentito,
dovrà essere ascoltato il prima possibile. I casi in
cui si debba procedere alla modifica del provvedimento presidenziale per quel che attiene l’affidamento o le modalità di visita, ovvero le ipotesi
di procedimento ex art.710 c.p.c o art.9 L.div.
suggeriscono la opportunità di procedere all’ascolto del minore se le prospettazioni delle parti
sono assolutamente antinomiche e contraddittorie
in ordine a quelle che sono le esigenze ed i bisogni dei figli. L’ascolto del minore potrà consentire al giudice di comprendere effettivamente quali bisogni e quali esigenze il minore rappresenta.
La terza domanda ha visto il gruppo assolutamente concorde nel ritenere che debba essere
totalmente modificata la modalità di verbalizzazione indiretta di quanto detto dal minore, che si
riduce quasi sempre a poche frasi, che definire
succinte è poco, e che comunque è frutto di una
interpretazione delle parole dette dal minore, data
dal giudice sulla scorta di schemi linguistici certamente non propri del minore, e che pertanto
possono snaturarne la sostanza. Tale verbalizzazione indiretta non consente a quanti non hanno
partecipato all’ascolto, ivi compresi il PM, la
Corte di Appello in caso di impugnativa, i difensori, di avere un riscontro oggettivo di quello che
ha detto il minore, di come lo ha detto, con quali
pause, con quali incertezze ovvero certezze, quale sia stato l’atteggiarsi fisico del minore, e così
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LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
via. Pertanto il gruppo ha ritenuto che sarebbe
auspicabile se non una videoregistrazione, almeno una fonoregistrazione dell’ascolto in modo
che si possa avere direttamente a disposizione il
quadro esatto non mediato dall’interpretazione di
alcuno.
Fino a quando ciò non sarà possibile si dovrà procedere alla verbalizzazione diretta delle parole del
minore, riferendo altresì l’atteggiarsi fisico dello
stesso, le pause, le reazioni psico-fisiche alle
domande, il comportamento e tutto quello che è
utile a definire un quadro quanto più preciso del
minore. Elementi questi particolarmente utili nell’ascolto dei minori più piccoli, il cui ascolto non
è comunque pregiudizialmente escluso.
Il gruppo ha sottolineato con forza che il minore
non è un testimone, non è soggetto ad un interrogatorio, ma è un soggetto che viene ascoltato
perché possa esprimere i propri desiderata e le
proprie esigenze delle quali il giudice potrà o no
tenere conto. Nell’ipotesi di una pluralità di fratelli che debbano essere ascoltati si è ritenuto
che, al fine di evitare soggezioni e condizionamenti, gli stessi debbano, contrariamente a quanto spesso accade, essere sentiti singolarmente, a
meno che la situazione concreta e le evidenze
processuali suggeriscano di sentirli assieme perché si sostengano.
Tutti sono stati concordi nel ritenere necessario
che l’ascolto avvenga in assenza dei genitori.
Mentre per ciò che attiene la presenza dei difensori, pur avendo verificato che la prassi indica
che anche i difensori sono assenti durante l’ascolto, si è considerata questa assenza come
eventuale.
Deve essere con forza chiarito che comunque,
prima dell’inizio dell’ascolto, i difensori dovranno definire in contraddittorio tra loro e con il giudice i campi di indagine che ciascuno intende siano approfonditi, ed in caso di presenza dei difensori il gruppo ha valutato negativamente un contraddittorio diretto con il minore e la formulazione diretta di domande, ritenuto potenzialmente
dannoso per il minore, e comunque inutile dato
che le domande devono già essere concordate e
definite in precedenza.
Il gruppo ha altresì sottolineato che sia opportuno formalizzare a verbale la rinuncia delle parti e
dei difensori a partecipare all’ascolto, ove questa
rinuncia vi sia. All’ascolto dovrà essere presente
comunque un cancelliere che provveda su dettatura del giudice alla verbalizzazione.
Il minore dovrà essere informato in modo idoneo
alle sue capacità di percezione, della finalità del
suo ascolto, e del tipo di provvedimento che il
giudice dovrà adottare. Deve essere informato del
fatto che lui non è né l’unico interlocutore del
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AIAF RIVISTA 3/2004
giudice, né quello privilegiato, dato che comunque i genitori vengono sempre sentiti e sono loro
gli interlocutori privilegiati del giudice: ciò
anche per evitare sia le eccessive responsabilizzazioni del minore che il delirio di potenza dello
stesso.
L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI MINORI
ella Sua relazione il Dott. De Filippis, dopo
avere individuato la norma sostanziale in forza della quale si regola l’affidamento dei figli, e
precisamente l’art.155 c.c. che recita: “ il giudice
che pronuncia la separazione dichiara a quale dei
coniugi i figli sono affidati ed adotta ogni altro
provvedimento relativo alla prole, con esclusivo
riferimento all’interesse morale e materiale della
stessa”, chiarisce come la valutazione dell’interesse del minore sia riservato al “prudente apprezzamento del giudice” e che “nell’esercizio di tale
attività, più che la preparazione giuridica del giudice e la sua capacità di astratta interpretazione
della legge, avranno importanza le doti di comprensione umana e sensibilità psicologica ed il
bagaglio di buon senso e di esperienza specifica”.
Il giudice quindi, secondo questa relazione, dovrà
considerare sia lo stato psicologico del minore
che il pericolo per lo stesso di un prolungamento
e di un aggravamento dello stato di conflittualità
dei genitori.
Le ulteriori norme a disposizione del giudice
sono l’art.147 c.c. ed i contenuti della Convenzione di New York del 20 novembre 1989. È utile chiarire come, mentre l’art.155 c.c. parla di
esclusivo interesse del minore, la convenzione
sovrarichiamata parla di considerazione prevalente dell’interesse del minore; la relazione sceglie la interpretazione della norma nel senso della prevalenza e non esclusività dell’interesse del
minore. Viene altresì sottolineato come l’art.155
c.c. faccia riferimento all’interesse morale e
materiale del minore, mentre nell’art. 147 c.c. il
riferimento alla morale scompare dopo la riforma
del 1975. La motivazione di questa differente formulazione è dovuta alla considerazione del fatto
che se si definisce la morale come l’insieme dei
costumi, pensieri e comportamenti dell’uomo nei
confronti di concetti astratti quali il bene ed il
male, non si può che riconoscere come tutto ciò
sia soggettivo e quindi inutilizzabile come criterio universale, a differenza di quanto avveniva in
passato.
L’interesse morale viene quindi ridefinito come
complemento dell’interesse materiale e come
soddisfacimento delle aspirazioni, della sfera
affettiva, della dignità e del rispetto del minore
come persona.
Chiarito cosa si intende con il termine di interes-
N
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LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
se del minore, l’individuazione del genitore che
maggiormente sia in grado di soddisfare tutte le
esigenze di cui si è appena detto, consentirà di
definire quello dei due genitori più idoneo a svolgere la funzione di affidatario.
La valutazione dell’idoneità di un genitore quale
affidatario anziché l’altro deve coinvolgere la
personalità ed i comportamenti di questi, evitando i pregiudizi e gli apriorismi.
La c.d. facoltà di visita non è solamente un diritto, ma anche un dovere, pur se non coercibile. La
relazione introduttiva ha messo in evidenza la
necessità di garantire ai figli minori contatti
periodici (incontri articolati per i fine settimana,
per le vacanze estive, per le festività di fine anno,
per i periodi feriali) in modo da garantire al
minore il mantenimento dei rapporti con il genitore non affidatario, ampi, ma non certo tali da
realizzare in fatto un affidamento alternato destabilizzante per il minore.
Il diritto di visita non è assoluto e trova il proprio
limite nel rispetto dell’interesse del minore, e
conseguentemente detto diritto potrà essere
sospeso, essere condizionato alla presenza di terze persone, essere impedita la frequenza di determinati luoghi, essere stabilita nel dettaglio la
modalità di riaccompagno dei minori.
Il gruppo di lavoro è partito dall’osservazione che
l’accordo dei genitori incide in maniera determinante sulla valutazione che il giudice è chiamato
a fare, dato che laddove non vi siano conflitti e
contrapposizioni tra i genitori il giudice ratifica
l’accordo senza operare alcuna verifica, il che è
in stretta applicazione dell’art.155 comma 7° c.c.
che precisa che il giudice pur potendo assumere
provvedimenti difformi dalle richieste delle parti
è tenuto a tenere in considerazione l’accordo tra
le parti. Tale tendenza trova una eccezione laddove si proponga l’affidamento alternato, talvolta
utilizzato nelle situazioni in cui uno dei genitori
viva all’estero o sia marittimo, dato che dinanzi
alla richiesta anche congiunta dei coniugi di un
affidamento alternato il giudice effettua una valutazione volta ad accertare che il minore non sia
danneggiato da questa alternanza nel senso di
smarrire i punti di riferimento abituali con un suo
conseguente disorientamento sia dal punto di
vista affettivo che psicologico.
Il gruppo si è soffermato essenzialmente ad esaminare la problematica posta dal c.d. affidamento congiunto, ed in tal senso ha sottolineato come
sotto il profilo normativo, l’esercizio della potestà sulle questioni di maggiore rilevanza rimanga
in capo ad entrambi i coniugi, a differenza di quel
che accade ai genitori naturali nei confronti dei
quali l’affidamento del figlio comporta che l’esercizio della potestà rimarrà in via esclusiva in
capo al genitore affidatario, mentre all’altro non
sarà riconosciuto altro che un potere di controllo.
Le decisioni relative alla vita del figlio dovranno
quindi essere assunte dopo un confronto tra i
genitori su quelle che sono le migliori scelte da
operare nell’interesse del figlio: la bigenitorialità
è quindi un indubbio valore, ed è altresì l’obiettivo al quale tendere che potrà realizzarsi con l’affidamento congiunto.
Il gruppo di lavoro ha altresì individuato i criteri
che consentano di verificare quando e come sia
possibile pervenire all’affido congiunto:
a) la lontananza tra le abitazioni dei genitori non
è stata considerata un ostacolo impeditivo;
b) la mancanza di consenso in ordine all’affido
congiunto non impedisce che si possa disporre
il medesimo, alla condizione che i coniugi
manifestino la disponibilità ad una collaborazione in tal senso, ad esempio il desiderio
espresso da entrambe le parti ad intraprendere
un percorso di mediazione familiare che le
aiuti a superare diffidenze e problemi ed a trovare un diverso e nuovo equilibrio, ed in tal
caso quindi l’affidamento congiunto si può
porre come obiettivo futuro da raggiungere.
c) Il vero ostacolo che impedisce di pervenire ad
un affidamento congiunto è l’esistenza di una
elevata conflittualità che si pone come insuperabile, in quanto l’affidamento congiunto
imposto in situazioni di conflittualità, non è
mai riuscito a risolvere i problemi, quanto
semmai a peggiorarli.
La discussione all’interno del gruppo non ha trovato una soluzione condivisa su una questione
specifica attinente la regolamentazione o meno
delle modalità di incontro tra i figli minori ed il
genitore non convivente. A questo riguardo si
andava da coloro che ritenevano opportuno determinare le modalità di incontro, come nell’affidamento monogenitoriale, ma a riguardo dovrà essere definita e chiarita, e nessuno è stato in grado di
farlo, la reale differenza tra questo e l’affido congiunto, a quelli che ritenevano necessario non
definire alcuna modalità di incontro. Quest’ultimi
osservavano che ove i genitori non fossero neppure capaci di regolamentare secondo le esigenze di
ciascuno e del momento le modalità con cui collaborare, non aveva davvero significato alcuno
parlare di affido condiviso, e che sarebbe stato
necessario parlare di affido monogenitoriale.
Tutto il gruppo è al contrario stato d’accordo nel
riconoscere che nel provvedimento che disponeva, o dava atto dell’accordo in ordine all’affido
congiunto si dovesse prevedere ad individuare il
domicilio del minore anche ai fini dell’assegnazione della casa coniugale, e dei provvedimenti
economici.
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LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
Per quel che concerne il problema del pernottamento dei figli con il genitore non affidatario o
non convivente, in relazione al quale le risposte
al questionario diffuso dall’ANM erano state di
segno estremamente vario e differenziato (si
andava da tribunali nei quali si consentiva il pernotto anche ai neonati, a tribunali nei quali non si
consentiva il pernotto prima dei 14 anni), il gruppo ha ritenuto impossibile ipotizzare una età
minima, ma che debba essere possibile prevedere
il pernottamento tenendo conto degli impedimenti posti dall’età infante del minore, quali l’allattamento, la dipendenza dalla figura che si occupa
del minore e soprattutto in considerazione delle
abitudini della famiglia fino all’insorgenza della
crisi coniugale.
Fino a quando sia impossibile consentire il pernottamento il diritto di visita dovrà essere intensificato, e comunque i provvedimenti relativi al
diritto di visita dovranno subire adeguamenti alle
esigenze dei minori che si modificano con l’età
degli stessi.
L’ESECUZIONE DEI PROVVEDIMENTI RELATIVI AI MINORI
esecuzione dei provvedimenti relativi ai
minori nella relazione del Dott. De Filippis è
considerato un problema di non scarsa importanza in quanto frequente e coinvolgente interessi di
notevole impatto emotivo, che richiederebbe norme chiare ed efficaci.
Il relatore ha altresì osservato come essendo
“l’oggetto” dell’esecuzione una persona, questa
può manifestare la propria volontà ed opporsi
all’esecuzione stessa. Questo dato rende l’esecuzione assolutamente particolare rispetto ai problemi delle altre esecuzioni che non attengono i
rapporti tra persone.
Storicamente prima della l.74/87 la dottrina
discuteva se l’esecuzione in questa materia
dovesse avvenire ex art.605 c.p.c. (esecuzione
forzata per consegna di beni mobili o rilascio di
immobili) ovvero ex art. 612 c.p.c. (esecuzione
forza di obblighi di fare) ed altri sostenevano si
trattasse di una ulteriore tipologia che definiva
l’obbligo di consegna dei minori come un pati.
L’orientamento della Cassazione era nel senso di
ritenere applicabile all’esecuzione in materia le
norme di cui all’art. 612 c.p.c. in considerazione
che ciò avrebbe risposto alla duplice esigenza di
assicurare al procedimento le garanzie di un processo giurisdizionale da un lato e quella di essere
sufficientemente duttile, per tenere conto di esigenze particolari dall’altro.
La giurisprudenza di merito aveva individuato
altri tipi di soluzioni quali ad esempio “l’esecuzione in via breve” da realizzarsi direttamente sotto il controllo del giudice che quasi sempre è sta-
L’
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AIAF RIVISTA 3/2004
to individuato nel giudice tutelare ex art.337 c.c.
Questa scelta prediletta dalla dottrina, e da una
cospicua giurisprudenza di merito, viene criticata
in conseguenza della confusione tra i compiti di
esecuzione e di vigilanza che si crea in capo al
giudice tutelare che ha solo funzione di vigilanza.
Dopo la l.74/87 dal momento che essa prevede
che, quando il giudizio è in corso, l’esecuzione di
questi provvedimenti è compito del giudice di
merito, sia nei giudizi di divorzio che in quelli di
separazione ex art.23 della medesima norma,
rimaneva da risolvere solo il caso in cui l’esecuzione dovesse avvenire a giudizio definito. Una
giurisprudenza di merito consistente, ha ritenuto
che in tal caso la competenza spetti al Giudice
tutelare, anche se questa scelta si pone in contrasto con la lettera della norma che fa riferimento
al G.T. solo in caso di applicazione della l.4 marzo 1983 n.184. La esecuzione, quindi a giudizio
della relazione introduttiva dovrebbe avvenire
“con procedura semplificata e possibilità di ricorrere all’ausilio del servizi sociali”.
Il gruppo di lavoro ha sottolineato come le difficoltà indubbie che si incontrano sia in linea teorica che pratica nell’affrontare questa problematica sono date dal fatto che l’esecuzione si può
realizzare solo con la collaborazione del minore
medesimo e dalla verifica che la stessa esecuzione viene in realtà realizzata per soddisfare l’interesse del minore. Il giudice dell’esecuzione dovrà
di conseguenza porsi la domanda se il provvedimento che si accinge ad eseguire sia un provvedimento che realizzi ancora compiutamente gli
interessi ed i diritti di quel minore o meno.
La prima distinzione che deve essere operata è tra
procedimenti in corso e procedimenti definiti. In
relazione ai primi il gruppo è stato concorde nel
ritenere che giudice dell’esecuzione dei provvedimenti di affidamento e visita sia il giudice del
merito, anche se si è avuto modo di apprendere
che vi sono tribunali che ritengono che anche in
pendenza di giudizio la competenza in materia di
esecuzione spetti al G.T., prassi certo non condivisa da alcuno dei componenti del gruppo.
La competenza del GT è stata individuata solo in
quella della vigilanza al medesimo attribuita dall’art.337 c.c. e dall’art.6 comma 10° l.div. Nel
corso del giudizio il GT non ha neppure un potere di vigilanza che gli viene attribuito dall’art.337 c.c., dal momento che in pendenza della
causa tale potere compete al giudice del merito. I
provvedimenti di separazione e divorzio debbono
essere trasmessi a cura del tribunale che li emette al giudice tutelare perché questi possa esercitare la sua funzione di vigilanza, che consiste
appunto nel verificare se i provvedimenti emessi
dal tribunale vengono adempiuti; per potere fare
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LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
questo il GT non ha poteri decisori, bensì solo
poteri interpretativi del provvedimento emesso
dal tribunale, e di conseguenza il GT non potrà in
nessun caso modificare quest’ultimo.
Il gruppo ha altresì ritenuto utile procedere al
chiarimento di cosa intendeva con modifica: laddove il provvedimento sia indeterminato (il padre
vedrà ed avrà con sé il figlio un pomeriggio a settimana) il GT potrà integrare detto provvedimento disponendo che il giorno sia il mercoledì piuttosto che il venerdì, cioè se il compito è quello di
specificare il provvedimento nel senso appena
indicato, ben potrà provvedervi il GT, ogni altro
tipo di intervento deve essere considerato modificativo del provvedimento e quindi inattuabile dal
GT.
La scelta di ritenere competente per l’esecuzione
il giudice del merito in pendenza di giudizio si è
fondata sugli artt.10 e 5 della l.div, in considerazione che il giudice del merito sarà più in grado
di valutare l’effettiva rispondenza del proprio
provvedimento alla situazione complessiva, tramite vari strumenti a disposizione quali la comparizione personale delle parti, l’ascolto del
minore, la ctu, i servizi sociali, ed anche quindi
di modificarlo al fine di renderlo rispondente agli
interessi e diritti del minore e quindi, in quanto
tale eseguibile. A ciò si aggiunga che tale scelta è
rispondente sia al principio generale di eseguibilità degli obblighi aventi contenuto non patrimoniale a cura del giudice di merito, che alle previsioni normative di cui all’art.669 duodecies c.p.c.
e 342 ter c.c.
Qualora il procedimento si sia concluso e si ponga il problema dell’esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori di natura non patrimoniale
non si è ritenuto possibile continuare ad individuare nel giudice del merito il giudice competente per l’esecuzione e ciò in quanto il giudice del
merito è una giudice collegiale, mentre il giudice
dell’esecuzione è sempre un giudice monocratico, anche perché prevedere la collegialità nei casi
di esecuzione comporterebbe notevoli problemi
di organizzazione degli uffici con conseguente
inefficacia dell’esecuzione che deve essere, specie in questo campo tempestiva.
Il gruppo ha, con grande compattezza, ritenuto
che non fosse possibile ritenere competente il
giudice tutelare, sulla scorta dell’esperienza
negativa raccolta dovunque a questi vengano
affidati compiti di esecuzione in considerazione
dell’abitudine di questo di andare oltre le competenze proprie e di incidere sul provvedimento che
avrebbero dovuto applicare per modificarlo.
Il giudice dell’esecuzione in questa materia sarà
un giudice tabellarmente individuato per l’esecuzione dei provvedimenti di famiglia, in tal modo
si garantirebbe la specializzazione in materia del
giudice, dato di indubbia importanza, ed anche il
rispetto delle norme di rito in tema di esecuzione.
Le norme applicabili sono state individuate nell’art.612 c.p.c. anche per la possibilità del giudice dell’esecuzione di individuare la modalità di
esecuzione più opportuna e migliore, mentre l’esecuzione nelle forme di cui all’art.605 c.p.c. e
dell’esecuzione in via amministrativa sono state
ritenute concordemente inapplicabili.
Il gruppo ha tenuto a sottolineare ulteriormente
che il giudice dell’esecuzione non può in alcun
modo modificare il provvedimento che è chiamato ad eseguire e conseguentemente, ove lo stesso
verifichi che il provvedimento così com’è sia ineseguibile, non potrà che sospendere l’esecuzione
dichiarando l’impossibilità di darvi esecuzione
ed in tal caso non rimarrà alla parte interessata
che introdurre un giudizio ex art.710 c.p.c. ovvero ex art.9 l. div. Resta inteso che in tali casi, se
ne ricorrano gli estremi il GT dovrà trasmettere
informativa alla Procura della Repubblica presso
il Tribunale ovvero alla Procura della Repubblica
presso il Tribunale per i minorenni per quanto di
competenza degli stessi.
Nel periodo che intercorre tra la decisione di primo grado e la scadenza del termine per interporre
appello la competenza sarà comunque del giudice
dell’esecuzione. Il gruppo ha infine sottolineato
come una mancata e incoerente risposta del nostro
sistema giudiziario in tema di esecuzione rischia
di far perdere ogni credibilità all’intero sistema.
Invero ogni volta in cui il sistema giustizia non è
in grado di provvedere all’esecuzione di un provvedimento tempestivamente, le conseguenze sono
devastanti: sia per chi vede i propri diritti riconosciuti in un provvedimento giudiziario rimanere
inattuati, sia per chi non adempie ad un provvedimento, dell’autorità giudiziaria e si convince dell’
“eventualità” dei provvedimenti giudiziari con il
conseguente rafforzamento della convinzione che
l’adempimento può esserci o no senza particolari
conseguenze, sia per i minori stessi che, quanto
più a lungo rimane inattuato un provvedimento
che li riguarda, tanto più a lungo rimangono
“ostaggio” dei contendenti, senza voler poi tenere
conto del fatto che una decisione definitiva eseguita ha una notevolissima capacità di garantire la
tranquillità che discende dalla consapevolezza di
aver superato la fase della contesa.
* avvocato in Roma
93
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
S
ulla base dei dati raccolti tramite i questionari che ANM ha distribuito negli
uffici giudiziari, e delle prassi rappresentate all’interno del gruppo da magistrati e
avvocati di tribunali italiani di varia grandezza
e diversa provenienza geografica, il gruppo di
lavoro ha preso in esame alcune questioni di
natura economica che si presentano nell’ambito dei giudizi di separazione e divorzio, relative all’assegno di mantenimento per il coniuge
e per i figli e all’assegnazione della casa
coniugale, alla ricerca di prassi omogenee.
La discussione è stata introdotta dalla relazione
della Dott.ssa Fiorella Buttiglione, consigliere
della Corte d’Appello di Cagliari, e il gruppo di
ASSEGNAZIONE DELLA
CASA CONIUGALE E
MANTENIMENTO DEL
CONIUGE E DEI FIGLI
MANUELA
CECCHI*
lavoro è stato coordinato dal Dott. Lorenzo Orilia, giudice del Tribunale di Napoli.
L’ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE
A
CHI VA LA CASA CONIUGALE ?
questione dell’assegnazione della casa
Lti diafamiliare-coniugale
costituisce uno dei punmaggior conflitto nella fase della separazione, anche in considerazione delle diversità
di orientamento tra la Suprema Corte e alcuni
giudici di merito, e ciò nonostante la nota pronuncia delle Sezioni Unite.
LA
NOZIONE DI CASA FAMILIARE
econdo il disposto dell’art. 155 c.c. 4° co.
Spreferenza,
“l’abitazione nella casa familiare spetta, di
e ove sia possibile, al coniuge cui
vengono affidati i figli”. Pertanto, secondo la giurisprudenza di legittimità, con l’espressione casa
familiare deve intendersi il “complesso di beni
funzionalmente attrezzato per assicurare l’esistenza domestica della comunità familiare”
94
AIAF RIVISTA 3/2004
(Cass. 22 maggio 1993, n.5793) così che, l’assegnazione ad uno dei coniugi soddisfi “all’esigenza di conservare l’habitat domestico, inteso come
centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare” (Cass. 22 novembre 1995, n.12083) “nel
precipuo interesse della prole minorenne o maggiorenne non autosufficiente” (Cass. 9 settembre
2002, n.13065).
ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE
essun dubbio quindi quando vi siano figli
minori o maggiorenni non ancora autosufficienti. Nella fattispecie la norma è chiara:
Art. 155 c.c. 4°co: “L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza,e ove sia possibile,al
coniuge cui vengono affidati i figli.”
Art.6 legge divorzio 6°co.: “L’abitazione nella
casa familiare spetta di preferenza al genitore a
cui vengono affidati i figli o con il quale i figli
convivono oltre la maggiore età.”
Pertanto, salvi diversi accordi tra le parti, non
pregiudizievoli per la prole, la casa coniugale sia
in comproprietà che in proprietà esclusiva, spetta
al coniuge affidatario o convivente con il figlio
minore o maggiorenne non economicamente indipendente.
Ma cosa accade quando non vi sono figli o
comunque questi abbiano raggiunto la loro autonomia economica?
In caso di proprietà esclusiva da parte di uno dei
coniugi dell’immobile, il bene ritornerà nella
disponibilità dell’esclusivo proprietario.
In caso di comproprietà tra i coniugi si sono delineate tre tesi:
- Tesi maggioritaria: non assegnazione della
casa coniugale
- Tesi minoritaria: assegnazione della casa
coniugale, in fase presidenziale confermata
nella sentenza definitiva
- Tesi intermedia: assegnazione provvisoria della casa coniugale in fase presidenziale, non
confermata in sentenza definitiva
Esaminiamo nello specifico le tre tesi.
N
TESI
MAGGIORITARIA : NON ASSEGNAZIONE DELLA
CASA CONIUGALE
Corte di Cassazione, dopo varie iniziali
Lle aoscillazioni,
ha affermato a Sezioni Unite, con
sentenze n. 2494/82 e 11297/95, il principio
per cui la ratio dell’assegnazione è da ricercarsi
esclusivamente nella tutela dell’interesse della
prole. Solo questa presenza giustifica il potere
del giudice in ordine all’assegnazione della casa
coniugale e all’imposizione di sacrifici al titolare
di diritti personali e/o reali sull’immobile. Al di
fuori di tali ipotesi il giudice manca di potere:
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
- “In tema di separazione personale dei coniugi,
la disposizione dell’art.155 quarto comma
cod.civ.(nel testo novellato con la legge 19
maggio 1975 n.151), che attribuisce al giudice il potere di assegnare l’abitazione nella
casa familiare al coniuge cui vengono affidati
i figli, che non sia il titolare o l’esclusivo titolare del diritto di godimento (reale o personale) sull’immobile, ha carattere eccezionale ed
è dettata nell’esclusivo interesse della prole
minorenne, sicché essa non è applicabile, neppure in via di interpretazione estensiva, al
coniuge non affidatario, ancorché avente
diritto al mantenimento; né a quest’ultimo l’abitazione nella casa familiare può essere assegnata in forza dell’art.156 cod.civ., che non
conferisce al giudice il potere di imporre al
coniuge obbligato al mantenimento di adempiervi in forma diretta e non mediante prestazione pecuniaria” Cass. Civ. Sez. Unite, 23
aprile 1982, n. 2494.
In seguito all’intervento legislativo del 1987
in tema di divorzio, la nuova formulazione
dell’art. 6 l. n. 898/1970 fece di nuovo sorgere contrasti, ma di nuovo le Sezioni Unite della Suprema Corte confermarono il precedente
orientamento:
- “Anche nel vigore della legge 6 marzo 1987 n.
74, il cui art. 11 ha sostituito l’art. 6 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, la disposizione del
sesto comma di quest’ultima norma, in tema di
assegnazione della casa coniugale, non attribuisce al giudice il potere di disporre l’assegnazione a favore del coniuge che non vanti
alcun diritto - reale o personale - sull’immobile e che non sia affidatario della prole minorenne o convivente con figli maggiorenni non
ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri” Cass. Civ. Sez. Unite, 28
ottobre 1995, n. 11297.
Questa interpretazione è quella maggiormente
seguita dai giudici di merito, che, condividendo l’orientamento delle Sezioni Unite, non
mancano di rilevare che laddove vi fosse l’assegnazione della casa in assenza di figli o con
figli economicamente indipendenti, il provvedimento assumerebbe una durata indeterminata, tendenzialmente pari alla vita del coniuge
assegnatario, mettendo in essere nei confronti
del coniuge non assegnatario “una sorta di
esproprio senza indennizzo di dubbia legittimità costituzionale” (Cass. Civ. Sez. Unite, 28
ottobre 1995, n. 11297). Si sostiene inoltre che
il godimento dell’abitazione coniugale non
può essere sostitutivo dell’assegno quando sia
possibile una quantificazione monetaria dello
stesso: ne consegue che non si può ricorrere
all’assegnazione della casa coniugale in comproprietà, al coniuge più debole, in sostituzione o integrazione dell’assegno di mantenimento. In mancanza di figli minori e maggiorenni
non economicamente indipendenti, secondo
questa tesi maggioritaria, l’assegnazione è
dunque possibile solo in caso di accordo tra le
parti, rientrando tale pattuizione nell’ambito
dei diritti disponibili e, quindi nulla vieta,”che
il coniuge nei cui confronti l’assegno venga
richiesto dia il proprio assenso anche tacito, a
che all’altro coniuge resti assegnata una casa
in comproprietà, tenendosi conto del valore
economico di tale assegnazione nella liquidazione dell’assegno” (Cass. Civ. Sez. I, 12 gennaio 2000, n. 266.
Il contrasto tra i coniugi in ordine all’assegnazione della casa coniugale in comproprietà, deve
infine essere risolto nell’ambito della procedura
di cui all’ultimo comma dell’art.1105 c.c. relativo al godimento della cosa comune, instaurando
un giudizio di divisione, una volta passata in giudicato la sentenza di separazione.
TESI
MINORITARIA : ASSEGNAZIONE DELLA CASA
CONIUGALE IN FASE PRESIDENZIALE , CONFERMATA
NELLA SENTENZA DEFINITIVA
econdo questa tesi il Presidente, tenuto ad
S“opportuni
adottare i provvedimenti provvisori ed urgenti
nell’interesse dei coniugi e della prole”, deve sempre provvedere in ordine all’assegnazione della casa coniugale, disponendone il
godimento a favore dell’uno o dell’altro, così da
permettere ai coniugi di vivere separati all’esito
della udienza ex art. 708 c.p.c.. Una diversa soluzione, comporterebbe, per i fautori di questo
orientamento, costringere le parti a promuovere
un giudizio in altra sede, al di fuori del giudizio
di separazione e divorzio, dove non vi è lo spazio
per far emergere le problematiche del conflitto
familiare, e trovare le conseguenti idonee soluzioni.
Si rileva altresì che l’art.155 c.c. laddove recita
“l’abitazione nella casa coniugale spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono
affidati i figli”, deve essere interpretato nel senso
che anche in presenza di figli “è possibile assegnare all’altro coniuge…”, a maggior ragione
quindi senza figli o con figli maggiorenni.
I criteri di scelta per verificare chi debba essere il
beneficiario sono, oltre a quello dello squilibrio
economico, anche lo stato di salute, le condizioni
personali ecc. in modo da individuare il coniuge
che si trova in situazione di debolezza, non solo
o non necessariamente di natura economica.
Il termine finale del provvedimento di assegnazione, secondo questo orientamento minoritario,
95
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
non sarebbe indeterminato, ma coinciderebbe con
lo scioglimento della comunione, ritenendo possibile per le parti anche la richiesta della sentenza parziale di separazione o, con un provvedimento di modifica ex art.710 c.p.c., così da porre
rimedio alla situazione di indeterminatezza censurata dalla Sezioni Unite.
TESI
INTERMEDIA : ASSEGNAZIONE PROVVISORIA DELLA
CASA CONIUGALE IN FASE PRESIDENZIALE ,
NON CONFERMATA IN SENTENZA
econdo questa interpretazione seguita da alcuSconiugale
ni giudici di merito, l’assegnazione della casa
in comproprietà, in assenza di prole
minore o maggiore non economicamente indipendente, nella solo fase presidenziale, avrebbe il
duplice scopo di allentare il conflitto in atto e
evitare la duplicazione di procedimenti. Allontanando il coniuge “più forte”, il conflitto verrebbe
risolto portando le parti a cercare una soluzione
conciliativa nelle more tra l’udienza presidenziale e la sentenza definitiva.
Anche questo orientamento trova conforto normativo nel terzo co. dell’art.708: “Se il coniuge
convenuto non comparisce o la conciliazione non
riesce, il presidente anche d’ufficio, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei ed urgenti che
reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole”. Ciò non appare in contrasto con le conclusioni elaborate dalle Sezioni Unite della
Suprema Corte, poiché l’assegnazione come
provvedimento provvisorio ed urgente disposto
in fase presidenziale ex art.708 c.p.c. non verrebbe ribadito in sentenza e, la domanda sul punto
avanzata da uno dei coniugi, non troverrebbe
accoglimento.
Il tribunale di Cagliari, nella ricerca di una soluzione alle ipotesi menzionate, ha elaborato due
soluzioni adottate in recenti provvedimenti emessi nell’anno 2002, di cui si riportano le motivazioni:
a) provvedimento a termine:
“…sorge l’orientamento di questo tribunale a
disporre, già con provvedimento presidenziale,
una assegnazione meramente provvisoria e a termine (o condizionata), non potendo, comunque,
essere lasciato senza soluzione il problema del
conflitto tra coniugi con riguardo alla casa
quando entrambi ancora vi abitano (onde non
può condividersi la differente tesi che nessun
provvedimento debba essere assunto al riguardo,
e che quel problema debba essere risolto alla
stregua delle norme sulla comunione: le quali,
rispetto all’esigenza di risolvere il conflitto, sono
di portata certamente insufficiente).
Deve, in definitiva, nella specie, confermarsi il
96
AIAF RIVISTA 3/2004
provvedimento presidenziale che ha consentito
alla…di disporre in via esclusiva della casa,
stante la sua presumibile maggiore difficoltà di
reperire un’altra adeguata soluzione abitativa in
tempi brevi; ma con la precisazione che tale
disponibilità cesserà nel momento in cui, nell’ambito di un procedimento di divisione giudiziale (salva divisione contrattuale), venga ordinata l’esecutività del progetto di divisione, o vengano decise con sentenza le contestazioni relative al progetto ovvero, in mancanza, nel momento
della pronuncia delle ordinanze di vendita o di
assegnazione.”
b) ordinanza di rilascio
Il tribunale di Cagliari sviluppando tale soluzione ritiene ammissibile l’emissione di un provvedimento provvisorio ed urgente “di rilascio”,
diverso da quello di assegnazione proprio dell’art. 155 c.c. emesso in fase presidenziale e non
confermato nella sentenza che definisce il giudizio. “…Una volta che tale provvedimento sia stato eseguito non si avrà a favore del beneficiario
alcun diritto all’uso della cosa in via esclusiva,
dovendo invece tale situazione trovare adeguata
regolamentazione sulla base delle norme dettate
in materia di proprietà o comproprietà dei beni.
L’ordinanza di rilascio è da inquadrarsi nell’ambito dei provvedimenti che il presidente può assumere anche d’ufficio in base ad una valutazione
di opportunità circa l’interesse dei coniugi e dei
figli - art. 4 l.898/70 come modificato dall’art. 8
l. 74/1987- ed ha un effetto limitato al solo rilascio dell’immobile coniugale.”
ASSEGNAZIONE
DELLA CASA CONIUGALE DI PROPRIETÀ
DI TERZI
a) La casa coniugale in locazione
na volta emesso il provvedimento di assegnazione della casa coniugale in locazione
in fase presidenziale, a norma dell’art. 6 comma secondo l.392/78, si ha successione nel
contratto di locazione e il coniuge beneficiario
ha diritto ad ottenere il trasferimento a suo
nome del contratto locativo. Occorre però che
il contratto di locazione sia valido ed efficace
tra le parti. La Suprema Corte ha puntualizzato che, la successione nel contratto ai sensi del
sopra citato art. 6 “…..non modifica la natura
del rapporto e la natura del diritto in base al
quale il conduttore detiene la cosa locata, ma
solo consente a soggetto diverso dall’originario conduttore di sostituirsi nella titolarità del
contratto, con attribuzione dei relativi diritti
ed assunzioni delle obbligazioni che ne derivano. Ne consegue che il locatore ha diritto alla
scadenza ha riottenere la disponibilità dell’immobile, senza che tale suo diritto possa trova-
U
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
re un limite nel provvedimento di assegnazione
della casa familiare da parte del giudice”
(Cass. 18 giugno 1993, n. 6804)
b) La casa coniugale in comodato
La casa coniugale può essere anche detenuta dai
coniugi in virtù di un contratto di comodato.
Capita molto frequentemente che i genitori concedano l’uso dell’alloggio di loro proprietà al
figlio/a perché lo adibisca ad abitazione coniugale. In tali casi e, in presenza di figli minori o
maggiorenni non autosufficienti, la casa coniugale concessa in comodato deve essere assegnata.
Anche nell’ipotesi del comodato si realizza una
successione ex lege nel contratto originario:
“Qualora la casa familiare, concessa in comodato ai coniugi per il tempo della loro convivenza,
in sede di separazione personale degli stessi venga assegnata, ai sensi dell’art. 155 4° co. c.c., al
coniuge affidatario dei figli, questi succede nella
titolarità del rapporto di comodato, in applicazione analogica dell’art. 6 comma 2,
l.n392/1978” (Cass.17 luglio 1996, n.6458).
Il provvedimento di assegnazione realizza la cessione ex lege del contratto in capo all’assegnatario, mentre il titolare di diritti sull’immobile
potrà eventualmente agire in altre sedi qualora
intenda richiedere la restituzione dell’immobile;
infatti, l’assegnazione della casa coniugale opera
tra le parti del giudizio di separazione e divorzio
e non nei confronti dei titolari di preesistenti
diritti sull’immobile. Il provvedimento di assegnazione non grava sul diritto del terzo proprietario dell’immobile ad ottenere il rilascio, poiché
questi è estraneo alle vicende della separazione.
“Il coniuge assegnatario è tenuto a subire ai sensi dell’art. 1810 c.c. gli effetti del recesso del
comodante, non essendo opponibile ai terzi il
provvedimento di assegnazione, attributivo non
di un diritto reale, ma di un diritto atipico di
godimento, senza che rilevi il decesso del comodante dopo l’esercizio del diritto di recesso “
(Cass.20 gennaio 1995, n. 929).
ASSEGNAZIONE DELLA SECONDA CASA
art. 155 c.c. e l’art. 6 l. n. 898/70 non si occupano di tale ipotesi, in quanto si riferiscono
solo alla “casa familiare”, e non lasciando spazi
ad assegnazioni di immobili con diverse destinazioni.
L’
ASSEGNAZIONE DELLE PERTINENZE
on potendo la definizione di casa familiare
essere limitata ad un habitat ristretto, ma a
qualcosa di complessivo con tutte le strutture che
lo identificano e gli danno significato ex art. 818
c.c., l’assegnazione delle pertinenze segue quella
del bene principale (casa coniugale).
N
Si può procedere alla non assegnazione solo nel
caso in cui detto bene pertinenziale abbia di fatto
perduto tale destinazione, per essere stato utilizzato durante il matrimonio per scopi diversi (ad
esempio il garage usato come magazzino dell’attività lavorativa), la pertinenza sia autonoma dal
punto di vista materiale dal resto dell’immobile
coniugale assegnato, e infine, non sia pregiudizievole per il coniuge o per la prole.
ASSEGNAZIONE A CIASCUNO DEI CONIUGI DI UNA
PORZIONE DELL’ ABITAZIONE FAMILIARE
olo nel caso di accordo dei coniugi e di comoda divisibilità dell’abitazione si può procedere
all’assegnazione di porzioni divise dell’ex casa
coniugale.
S
TRASFERIMENTI
IMMOBILIARI IN SEDE DI SEPARAZIONE
CONSENSUALE E DIVORZI CONGIUNTI
ali tipi di trasferimenti, là dove vi sia accordo
TSuprema
tra le parti, sono sempre ammissibili. Anche la
Corte ha ormai affermato la validità di
tale tipo di clausole in sede di separazione consensuale e divorzio congiunto, sia che venga
riconosciuta ad uno o ad entrambi i coniugi la
esclusiva proprietà di singoli beni immobili
(Cass. 11 novembre 1992, n. 12110), sia che venga realizzato il trasferimento di beni immobili o
di quote di tali beni da un coniuge all’altro
(Cass.27 novembre 1999, n. 3299), sia che venga
previsto l’impegno di uno dei due coniugi a trasferire all’altro successivamente (Cass. 21
dicembre 1987, n. 9500).
Detta volontà essendo inserita nel verbale di
udienza redatto da un ausiliare del giudice a norma dell’art. 126 c.p.c. e, diretto a far fede di ciò
che in esso è attestato, deve ritenersi assuma la
forma di atto pubblico ai sensi e agli effetti di
cui all’art. 2699 c.c., costituendo, una volta omologato, titolo idoneo per la trascrizione ai sensi e
agli effetti di cui all’art.2657 c.c.
Le divergenze che si riscontrano nella giurisprudenza di merito non sono relativamente alla possibilità o meno di effettuare tali trasferimenti,
bensì in ordine ai controlli formali normativamente previsti. In buona sostanza il “giudice” si
chiede se spetti a lui o no il controllo sulle
dichiarazioni di conformità urbanistica sull’immobile previste dall’art. 40 L. 47/85, o se debba
richiedere in caso di trasferimenti di terreni l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica ai sensi dell’art. 18 della stessa legge 47/85,
essendo tali adempimenti previsti a pena di nullità del trasferimento stesso. In merito, si registrano due orientamenti.
Secondo una prima tesi, maggioritaria nel gruppo
di lavoro, il giudice deve effettuare tale control97
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
lo, poiché il trasferimento immobiliare assume
validità laddove siano state effettuate dalle parti
in udienza o, nel ricorso allegato al verbale di
udienza, le necessarie menzioni urbanistiche previste a pena di nullità.
Ancora il Tribunale di Cagliari, 2 ottobre 2000,
sul punto ha sostenuto che:”Il tribunale, nel recepire la volontà dei coniugi di compiere un trasferimento immobiliare in seno al verbale di separazione consensuale, svolge funzione analoga a
quella dell’ufficiale rogante; è perciò nullo il trasferimento se dal predetto verbale non risultino
gli estremi della licenza edilizia o della concessione in sanatoria, o la dichiarazione sostitutiva
di atto notorio attestante la preesistenza dell’opera al giorno 1 settembre 1967, o ancora se non
sia allegata copia della domanda di sanatoria
munita degli estremi di avvenuta presentazione,
ai sensi dell’art 40 l.47/85”.
Secondo altro orientamento, il giudice deve limitarsi a recepire la volontà delle parti in ordine al
trasferimento immobiliare, non dovendo effettuare nessun controllo sulla validità dell’atto richiesto, non essendo il trasferimento immobiliare
parte del contenuto necessario della separazione,
e pertanto non spettando al Tribunale il vaglio
sulla validità dell’atto. Si rileva tra l’altro che le
parti in caso di mancanza delle necessarie dichiarazioni o della richiesta documentazione, possono ex art. 40 l. 47/85 procedere alla conferma
dell’atto, purché l’immobile sia stato regolarmente edificato in base a licenza o concessione
edilizia o condonato, se costruito anteriormente
all’1.9.67.
L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO
L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO A FAVORE
DEL
CONIUGE
remessa la natura diversa dell’assegno di
P
mantenimento in sede di separazione e di
divorzio, nonché i criteri per la sua corresponsione (art.156 c.c.- art.5 comma 6 legge div.),
nella fase presidenziale l’assegno viene fissato
dal Presidente sulla base del tenore di vita dei
coniugi così come questi può dedurlo dalle
dichiarazioni dei redditi e dalle altre circostanze emerse in sede di comparizione personale
dei coniugi.
A tal fine, il gruppo di lavoro ha ritenuto, all’unanimità, l’esigenza di inserire nel decreto di fissazione dell’udienza presidenziale, richiamando
gli artt. 4 e 23 legge sul divorzio, l’ordine alle
parti di produzione delle dichiarazioni dei redditi
degli ultimi tre anni. Quando il lasso di tempo tra
la presentazione della dichiarazione dei redditi e
l’udienza presidenziale è molto ampio, potrebbe
essere utile l’ordine del Presidente alle parti di
98
AIAF RIVISTA 3/2004
produrre le buste paga degli ultimi mesi. Qualora
queste non ottemperino all’ordine di produzione
disposto nel decreto, il Presidente ne potrà trarre
argomenti di prova ai sensi dell’art. 116 c.p.c.
senza concedere ulteriori rinvii. Il gruppo di
lavoro non ha ritenuto opportuno che il Presidente disponga in tale fase indagini tributarie e patrimoniali che ritarderebbero l’emissione dei provvedimenti provvisori ed urgenti.
Tale indagine deve essere riservata al G.I..
L’attività istruttoria di accertamento dei redditi
può essere svolta dal G.I. attraverso il libero
interrogatorio delle parti, o una CTU con quesiti
molto precisi e dettagliati, chiedendo chiarimenti
su fatti circostanziati, ordinando la produzione di
nuovi documenti quali estratti conti bancari personali o di diverso soggetto attraverso il quale si
esercita l’attività lavorativa, conto titoli e depositi, contratti di lavoro, locazione, comodato,
finanziamento, bilanci di società e quant’altro si
ritiene utile, informazioni presso banche, enti di
previdenza, uffici del registro, polizia tributaria.
Quanto alla determinazione dell’entità dell’assegno, si è sottolineata l’esigenza che il giudice
verifichi, laddove sia stata proposta una domanda
di assegno di mantenimento da parte del coniuge,
pur in presenza di autonome posizioni reddituali
o di titolarità di patrimoni, se tra i coniugi vi sia
una situazione di “sperequazione”, in modo da
poter ristabilire il preesistente, documentato
tenore di vita.
Inoltre, nel determinare l’assegno il giudice
dovrà tenere conto della nuova situazione abitativa del coniuge non assegnatario e degli oneri che
a lui faranno carico.
Si è altresì rilevata l’esigenza di:
- distinguere l’ammontare della quota dell’assegno per il coniuge rispetto a quella dei figli;
- far coincidere la decorrenza dell’assegno con
la data della domanda e quindi con il deposito del
ricorso;
- prevedere che l’adeguamento ISTAT nella
separazione operi per legge così come nel divorzio ai sensi dell’art.23 l. div.
Per quanto concerne i matrimoni di breve durata,
l’assegno deve essere valutato caso per caso,
avendo riguardo alla sopra accennata natura dell’assegno in sede di separazione e di divorzio,
nonché alle aspettative che le parti avevano in
funzione del loro matrimonio.
Nel caso di donne con capacità e in età lavorativa, sarà applicabile analogicamente la legge sul
divorzio, valutando le scelte compiute per accordo anche tacito dagli ex coniugi nell’ottica del
matrimonio, nonché il titolo di studio e l’attualità
del mercato del lavoro.
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
L’assegno di mantenimento fissato dal Presidente
può essere modificato dal G.I., per mutamenti
delle condizioni, ma la sua modifica è possibile
anche per una diversa valutazione dei fatti derivante da nuova produzione, allegazione e prospettazione della parte istante la modifica.
L’assegno di mantenimento a favore dei figli
Il coniuge non affidatario è tenuto a contribuire al
mantenimento dei figli, corrispondendo un assegno all’altro coniuge, la cui misura è determinata
dal Tribunale avuto riguardo alle condizioni economiche dell’obbligato, assicurando altresì, sia
nella separazione che nel divorzio, ai figli il tenore di vita da questi goduto prima della separazione dei loro genitori.
Ai sensi dell’art. 147 c.c., deve trattarsi di un
assegno che permetta al coniuge affidatario di far
fronte alle diverse esigenze dei figli, non riconducibili al mero obbligo alimentare e, che tengano invece conto dell’aspetto abitativo, scolastico,
sportivo, sanitario, sociale, dell’opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica.
Per l’individuazione del contributo, il giusto
parametro di riferimento è dato, in base al disposto dell’art. 148 c.c., non soltanto dalle condizioni patrimoniali dei coniugi (“rispettive sostanze”), ma anche dalla loro rispettiva capacità di
lavoro, professionale e casalingo, valorizzando
anche le accertate potenzialità reddituali.
In conclusione, poiché i figli non devono essere
privati delle utilità di cui beneficiano prima della
separazione, anche se si deve tener conto dei
maggiori oneri conseguenti alla stessa separazione, il gruppo di lavoro ha rilevato l’esigenza che
il giudice accerti e valuti la situazione patrimoniale dei genitori attraverso un’indagine comparativa delle condizioni complessive di entrambi e
delle esigenze di vita dei figli. Si tratta di un
accertamento da effettuare anche d’ufficio (Cass.
Civ. sez.I 22 novembre 2000, n. 15065), tenendo
conto del compendio patrimoniale dato dai redditi di lavoro subordinato e/o autonomo, ma anche
dal valore dei beni immobili, mobili, quote di
partecipazione sociale, utili derivanti da investimenti di capitali, proventi di qualsiasi natura
(Cass. Civ.sez.I 3 luglio 1999, n. 6872).
L’assegno per il figlio deve essere sufficiente a
soddisfare i suoi bisogni di vita e di crescita, in
relazione all’età, ed anche in presenza di una
situazione familiare particolarmente disagiata,
tanto che il diritto al mantenimento del minore
non deve dipendere dalla condizione di genitore
occupato o disoccupato; il padre o la madre non
affidatari disoccupati, ma con capacità lavorativa
che incide sulla quantificazione dell’assegno,
devono contribuire comunque al mantenimento
del figlio (Cass. Sez. I, 19 marzo 2002, n. 3974).
Pur tenendo conto del costo della vita nei diversi
contesti territoriali, l’assegno non può essere
inferiore a 150-200 euro.
La misura del contributo può tenere conto di molte circostanze quali: esistenza di figli naturali
nati da altra unione, disponibilità della casa
coniugale, perdita del posto di lavoro di uno dei
due genitori, esistenza o meno di aiuti economici
di terzi.
Quanto alle spese straordinarie, deve essere
posto a carico del genitore non affidatario il contributo al versamento del 50% delle spese mediche e sanitarie non coperte dal SSNN e quelle
scolastiche. Per le altre spese, in mancanza di
accordo o di ragioni di urgenza, possono essere
effettuate dal genitore affidatario, che le richiederà all’altro purché documentate e compatibili
con la di lui posizione reddituale. La Suprema
Corte ha stabilito che non sussiste obbligo a carico del genitore affidatario di concordare anticipatamente l’ammontare delle spese straordinarie,
nei limiti in cui esse non implichino decisioni di
maggiore interesse per il figlio (Cass.Civ.sez.I, 5
maggio 1999, n.4459).
Quanto a particolari ipotesi di spesa, il gruppo di
lavoro è giunto alla conclusione che possono
essere così considerate:
cure alternative: oneri ordinari se già utilizzate
dai genitori prima della separazione;
baby sitter: se l’utilizzo è collegato ad una necessità del figlio, quale ad esempio una malattia,
costituisce evento straordinario; se si tratta di
spesa corrente, perché il genitore affidatario vi
deve ricorrere dovendo recarsi al lavoro, costituisce elemento da valutarsi nella determinazione
della misura dell’assegno, così come l’asilo e la
scuola materna;
ticket per spese farmaceutiche minute: spese
ordinarie
ticket per spese mediche importanti: spese straordinarie
lezioni private di sostegno e corsi estivi di studio:
spese straordinarie
mensa scolastica: spesa ordinaria
Si deve inoltre tenere presente che ai sensi dell’art. 211 l. 151/75 gli assegni familiari, che non
fanno parte del contributo economico al mantenimento, spettano al coniuge affidatario; si ritiene
utile disporre espressamente nel provvedimento
sull’assegno di mantenimento, l’obbligo per il
genitore obbligato, di versare in aggiunta anche
gli assegni familiari, o precisare che nell’importo
globale dell’assegno si è tenuto conto anche di
questi. La decorrenza di tali assegni coincide con
99
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
quella dell’assegno di mantenimento, e, in caso
di recupero coatto per mancata erogazione, il termine di prescrizione è quello decennale, trattandosi di somme indebitamente riscosse da chi non
ne era titolare.
CESSAZIONE
DELL’ OBBLIGO DI MANTENIMENTO
Poiché l’obbligo di mantenimento cessa non
con il raggiungimento della maggiore età, ma
quando il figlio diventa autonomo dal punto di
vista economico, potendosi mantenere da solo
senza il contributo del genitore con un lavoro
conforme al proprio status sociale, occorre valutare la diligenza del figlio negli studi e nella
ricerca di un lavoro, poiché in caso di negligenza
il contributo non trova giustificazione.
I lavori che i figli reperiscono devono avere le
caratteriste della stabilità; borse di studio o lavori saltuari non incidono sul diritto alla corresponsione. I contratti a termine, pur non assicurando
entrate idonee a far ritenere una persona “indipendente economicamente”, possono risultare
sufficienti a soddisfare le esigenze di mantenimento e di svago del giovane; pertanto l’assegno
corrisposto dal genitore non affidatario può convertirsi in altre forme di utilità quali la disponibilità della casa coniugale o l’assunzione diretta di
alcuni oneri.
L’obbligo di mantenimento da parte del genitore
non affidatario si ha per dodici mesi, poiché la
suddivisione in mesi è solo una facoltà per il giudice. Tale regola può essere derogata solo se il
figlio si trasferisce per lunghi periodi presso il
genitore non affidatario.
MEZZI
DI GARANZIA PER IL PAGAMENTO DELL’ ASSEGNO
L’art.156 c.c. stabilisce che il giudice della separazione può imporre al coniuge di prestare idonea
garanzia reale o personale se esiste il pericolo
che egli possa sottrarsi all’adempimento degli
obblighi previsti dai precedenti commi e dall’art.155 c.c.. Il comma 5 riconosce la sentenza
quale titolo per l’iscrizione ipotecaria ex art.
2818 c.c., mentre il comma 6 prevede che il giudice, su richiesta dell’avente diritto, in caso di
inadempimento, può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai
terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’obbligato, che una parte
di esse venga versata direttamente agli aventi
diritto.
È ormai legittimo applicare tutti gli istituti speciali previsti per la tutela dell’assegno di mantenimento del coniuge anche per la prole, nonostante che il legislatore non abbia indicato
100
AIAF RIVISTA 3/2004
espressamente l’applicazione di questi strumenti
nell’ambito della tutela dei minori. Titolare dell’azione di recupero è il genitore affidatario, che
promuove l’azione nell’interesse della prole.
(Cass. Civ. Sez. I, 4 dicembre 1996, n. 10813;
Cass. Civ. Sez. I, 14 febbraio 1990, n. 1095;
Cass. Civ. Sez. I, 23 dicembre 1992, n. 13630;
Cass. Civ. Sez. I, 2 dicembre 1998, n. 12204).
* avvocato in Firenze
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
L’
AIAF LOMBARDIA ha promosso il 15
ottobre 2004 un incontro di studio,
riservato ai propri associati (cui hanno
partecipato 115 avvocati dei Fori di Milano,
Bergamo, Brescia, Busto Arsizio, Como, Cremona, Lecco, Mantova, Monza, Pavia, Varese)
per un confronto sulle prassi nei giudizi di
separazione e divorzio seguite dai tribunali
della Lombardia (distretti delle Corti di Appello di Milano e Brescia).
Sono stati costituiti tre gruppi:
1. Questioni ordinamentali, organizzative e processuali inerenti i giudizi di separazione e
divorzio
2. Le questioni economiche nei giudizi di separazione e divorzio
3. L’affidamento e l’ascolto dei minori
È emerso, come già in sede nazionale negli
incontri di studio promossi dal CSM, un difforme
orientamento tra i diversi tribunali, sia sulle questioni di natura processuale che di merito, che fa
ritenere necessario, nell’interesse dei cittadini,
pervenire al più presto a soluzioni più omogenee,
nel rispetto dei principi costituzionali.
Si riportano le riflessioni e le conclusioni cui è
pervenuto ogni gruppo.
1. QUESTIONI ORDINAMENTALI,
ORGANIZZATIVE E PROCESSUALI INERENTI I
GIUDIZI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
GRUPPO DI LAVORO COORDINATO DA MILENA PINI
(MILANO) – DONATA PIANTANIDA (MILANO) – MARISA
BEDOTTI (MANTOVA)
e principali questioni esaminate hanno
riguardato:
1. l’esistenza di sezioni specializzate presso i
vari Tribunali lombardi;
2. se l’udienza presidenziale sia trattata dal Presidente del Tribunale ovvero da altro giudice
su delega del Presidente;
3. i tempi di fissazione dell’udienza presidenziale, a fare tempo dal deposito del ricorso;
4. se il Giudice Istruttore sia Giudice diverso dal
Presidente;
5. i termini e le eventuali decadenze per la costituzione del convenuto;
6. il ruolo svolto dal P.M.;
7. i tempi per la pronuncia di sentenza parziale di
separazione e di divorzio;
8. la posizione dei Tribunali rispetto al cumulo
delle domande.
L
Rispetto ai temi trattati è stato possibile individuare prassi molto diverse nei vari Tribunali lombardi, ma è stato altresì possibile individuare
prassi largamente condivise dai partecipanti.
Per quanto attiene la trattazione dei giudizi da
parte di giudici specializzati, è emerso che nessun Tribunale lombardo, con l’eccezione di Milano, possiede una Sezione specializzata e tuttavia
in molti Uffici la trattazione dei giudizi di separazione e di divorzio è affidata ad alcuni magistrati, sempre gli stessi, che, conseguentemente,
garantiscono omogeneità rispetto agli aspetti processuali ed alla scansione temporale del giudizio.
E tuttavia se la trattazione dei giudizi di separazione e di divorzio da parte degli stessi giudici ha
quale conseguenza l’omogeneità del rito, non
sempre l’esistenza, di fatto, di sezioni ovvero di
giudici “specializzati” garantisce omogeneità
nelle decisioni relative ai provvedimenti presi-
LE PRASSI NEI GIUDIZI
DI SEPARAZIONE
E DIVORZIO AVANTI
I TRIBUNALI LOMBARDI
denziali.
I tempi di fissazione dell’udienza presidenziale
variano dai 45 giorni (T. Brescia) ai tre mesi
(T.Lecco) o più (T.Milano, dove i tempi delle
presidenziali nei giudizi contenziosi sono anche
di 6-7 mesi).
I partecipanti al gruppo hanno ritenuto condivisibile ed auspicabile che i giudizi di separazione e
di divorzio siano trattati da Giudici specializzati
che garantiscano non soltanto omogeneità nel
rito, ma anche nei provvedimenti, soprattutto di
contenuto economico. Rispetto all’udienza presidenziale si sono auspicati tempi rapidi di fissazione, con priorità per le udienze presidenziali
nei procedimenti contenziosi. Analogamente si è
auspicato che il Giudice Istruttore sia magistrato
diverso rispetto al Presidente, non diversamente
da quanto accade nella maggior parte dei Tribunali lombardi, con l’eccezione di Milano.
Quanto alla procedura, e alla costituzione del
convenuto, nei giudizi di separazione e di divorzio, si sono evidenziati due diversi orientamenti:
il c.d. “rito ambrosiano” seguito dal Tribunale di
CONCLUSIONI
DEI GRUPPI DI
LAVORO
DELL’AIAF
LOMBARDIA
101
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
Milano e una incredibile varietà di interpretazioni delle norme procedurali da parte degli altri Tribunali lombardi.
Il Tribunale di Milano, come noto, considera l’udienza presidenziale come udienza ai sensi dell’art. 180 c.p.c. e l’udienza avanti al Giudice
Istruttore come udienza ai sensi dell’art. 183
c.p.c., e ciò sia in assenza di indicazioni diverse
sia tenuto conto del rinvio operato dall’art. 23
della L. 898/70 come modificata dalla L. 74/87.
Da qui i termini di costituzione, dieci giorni prima dell’udienza presidenziale, previsti per il convenuto e le relative decadenze.
Altri Uffici ritengono la sussistenza di due distinte fasi, riconoscendo all’udienza presidenziale la
finalità della conciliazione dei coniugi, e fanno
coincidere l’inizio del giudizio con l’udienza
avanti al Giudice Istruttore, considerata ai sensi
dell’art. 180 c.p.c.. Nell’ambito di tale ultima
interpretazione la costituzione del convenuto in
sede presidenziale non è un onere, né è prevista
decadenza alcuna in difetto. Il convenuto può
costituirsi 20 giorni prima dell’udienza avanti al
Giudice Istruttore (Tribunale di Brescia e di
Busto Arsizio), oppure direttamente all’udienza
avanti al Giudice Istruttore (Tribunale di Cremona e di Mantova), mentre presso il Tribunale di
Bergamo nel decreto in calce al ricorso viene formulato al convenuto l’invito a costituirsi 10 giorni prima dell’udienza avanti al Giudice Istruttore,
che verrà fissata dal Presidente all’esito dell’udienza presidenziale. Ed ancora, il Tribunale di
Lecco, pur invitando il convenuto a costituirsi 10
giorni prima dell’udienza presidenziale, non prevede decadenza alcuna in difetto, decadenze che
si verificheranno soltanto avanti al Giudice
Istruttore.
Stante questa varietà di prassi, che crea confusione ed incertezza del diritto, i partecipanti
hanno convenuto sull’opportunità di un unico
rito che preveda la formulazione di tutte le
domande da parte del ricorrente nel ricorso
introduttivo del giudizio e la predisposizione
da parte del convenuto delle proprie difese 10
giorni prima dell’udienza presidenziale.
È rimasta aperta la questione delle decadenze, in
quanto da parte di alcuni si è ravvisato quale termine per valutare le decadenze relative alla costituzione del convenuto, l’udienza presidenziale,
altri la prima udienza avanti al Giudice Istruttore.
Nel caso di costituzione avanti il Giudice Istruttore, è peraltro emersa la necessità che il ricorrente possa integrare le proprie domande nello
stesso termine assegnato al convenuto per la sua
costituzione, poiché in caso contrario, la posizione del ricorrente risulterebbe penalizzata: a quest’ultimo infatti si richiede di formulare tutte le
102
AIAF RIVISTA 3/2004
proprie domande prima dell’udienza presidenziale, mentre il convenuto può formulare le proprie
domande dopo tale udienza, utilizzando quanto
emerso sino a quel momento.
Quanto al ruolo del P.M., da un lato se ne è constatata l’assenza di fatto, nei giudizi di cui si tratta, e dall’altro si è auspicata una partecipazione
analoga a quella del P.G., attraverso pareri motivati da depositare prima delle conclusioni formulate dalle parti, con particolare riguardo alle decisioni da assumere relativamente ai figli minori.
Per quanto attiene alle pronunce non definitive, in
alcuni Tribunali dette pronunce possono essere
richieste alla prima udienza avanti al G.I., in altri
sempre avanti al G. I. ma in sede di udienza ai sensi dell’art. 184 c.p.c.. La diversità di prassi determina ovviamente anche una macroscopica differenza nei tempi: avanti al Tribunale di Lecco per
esempio, la pronuncia parziale di divorzio può
essere ottenuta dopo 4 mesi circa dal deposito del
ricorso, a Milano, invece, dopo circa due anni.
I partecipanti al gruppo hanno ovviamente auspicato che la remissione al Collegio per ottenere una
pronuncia non definitiva possa avvenire già in
sede presidenziale, con tempi più brevi possibili,
in considerazione della finalità di dette pronunce.
Infine è stato rilevato come nella maggior parte
dei Tribunali lombardi, con l’eccezione del Tribunale di Milano, non sia ammesso il cumulo
delle domande - quali ad esempio l’accertamento
delle somme dovute da un coniuge all’altro a titolo di scioglimento della comunione. E tuttavia
proprio nell’interesse degli utenti è stata sottolineata l’opportunità di tale cumulo, sempre nel
rispetto delle norme attualmente in vigore.
2. LE QUESTIONI ECONOMICHE NEI GIUDIZI
DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
GRUPPO DI LAVORO COORDINATO DA MIRELLA
QUATTRONE (COMO) E LUCREZIA MOLLICA (MILANO)
ASSEGNO DI MANTENIMENTO
i auspica che venga inserito nel decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di comparizione dei coniugi l’ordine di produzione della
dichiarazione dei redditi degli ultimi tre anni
(come è già prassi del Tribunale di Como).
Dall’esame delle prassi vigenti presso i Tribunali
lombardi emerge che è generalizzata l’attenzione
ai redditi dei coniugi e quindi il riconoscimento
di un assegno al coniuge economicamente più
debole. L’assegno è riconosciuto al coniuge
anche in caso di breve durata del matrimonio,
attività lavorativa a tempo pieno o part-time,
essendo commisurato con il pregresso tenore di
vita e il reddito dell’altro coniuge.
S
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
CRITERI DI QUANTIFICAZIONE ASSEGNO PER I FIGLI E PER LA
MOGLIE
È
emersa come buona prassi quella di:
a) determinare un contributo a carico anche del
coniuge che si dichiara disoccupato, a favore
dei figli, per una somma non inferiore ad euro
150,00 per figlio (con aumento proporzionale
per ogni figlio in più).
b) non creare criteri fissi predeterminati per
quantificare gli assegni, dovendosi valutare
nello specifico caso i redditi dei coniugi,
facendo distinzione tra i redditi da lavoro
dipendente, per i quali è sufficiente la documentazione fiscale, e redditi da lavoro autonomo per i quali è spesso necessaria una più
approfondita indagine al fine della determinazione effettiva del reddito.
VERSAMENTO DIRETTO DELL’ASSEGNO DA PARTE DEL TERZO,
NEL GIUDIZIO DI SEPARAZIONE
S tito genericamente al datore di lavoro dell’ob-
indagini presso la Banca d’Italia - Anagrafe dei
conti correnti, non venga considerata richiesta
generica ed esplorativa ma diventi mezzo per
l’accertamento del patrimonio e dei redditi dell’obbligato.
ASSEGNAZIONE CASA CONIUGALE QUANDO NON CI
SONO FIGLI, O SONO MAGGIORENNI E AUTONOMI
È coniuge più debole anche in tali casi, almemersa la necessità dell’assegnazione al
no in via provvisoria in sede presidenziale, al
fine di evitare che i coniugi, “autorizzati a
vivere separati”, si ritrovino nella stessa casa
con tutti i problemi che conseguono (possessorie, cause divisionali, etc).
ASSEGNAZIONE CASA IN COMODATO
i deve provvedere all’assegnazione della casa
coniugale anche se è stata concessa in comodato, secondo il recente orientamento della Cassazione (6.7.2004 n.12309).
S
arebbe opportuno che l’ordine venisse impar-
bligato, evitando così che in caso di licenziamento e di nuovo datore di lavoro si debba nuovamente ottenere l’ordine (con perdita di tempo e di
mensilità a favore dell’altro coniuge).
SUDDIVISIONE SPESE STRAORDINARIE PER I FIGLI
i è concluso per la necessità di togliere le
dizioni “straordinarie e da concordare” in
quanto ingenerano confusione e conflittualità.
Si propone come soluzione la suddivisione in
proporzione ai redditi dei genitori, e quindi non
sempre al 50%, ma anche eventualmente in proporzioni diverse, delle spese scolastiche e mediche, solo da documentare, oltre spese ludiche e
sportive da concordare.
Solo in caso di grave conflittualità è stata considerata come risolutiva la proposta di inglobare
nell’assegno mensile una quota per le spese scolastiche e mediche.
S
ACCERTAMENTI GUARDIA DI FINANZA NELLE SEPARAZIONI
E DIVORZI
L efficace.
o strumento è abbastanza utilizzato ma poco
Si ritiene utile che sia l’avvocato a fornire al Giudice elementi indiziari e dati di riferimento (studi di settore - redditometro), e che il Giudice sottoponga alla Polizia Tributaria un quesito preciso
che eviti la produzione di documentazione facilmente accessibile per la stessa parte (visure
Camerali, Conservatorie, P.R.A.), e comporti
un’approfondita indagine sulla situazione reddituale e sul tenore di vita del soggetto. Si è sottolineata la necessità di intervenire affinché le
3. L’AFFIDAMENTO E L’ASCOLTO DEI MINORI
GRUPPO COORDINATO DA FRANCA ALESSIO (LECCO) E
CINZIA CALABRESE (MILANO)
L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI
ella stragrande maggioranza dei casi, l’affidamento congiunto dei figli ad entrambi i genitori viene disposto solo sull’accordo delle parti o
a seguito di perizia psicologica, che lo suggerisca. In alcuni Tribunali è prassi disporre l’affidamento congiunto solo per i figli adolescenti, ma
in ogni caso tale disposizione non viene mai
adottata in sede di provvedimenti presidenziali,
ma solo dal giudice istruttore. Raramente viene
disposta una perizia in sede presidenziale, fatta
eccezione per il Tribunale di Lecco. In altri Tribunali, di “confine” (Varese, Como), l’affidamento congiunto viene utilizzato quando la
madre è extracomunitaria e si teme che possa
espatriare con il figlio.
La migliore prassi è risultata quella di non imporre l’affidamento congiunto, ma di tener conto
della libera decisione dei coniugi; si è anche evidenziato come il ruolo degli avvocati sia decisivo
nel suggerire, ove possibile, ai coniugi di richiedere l’affidamento congiunto o a uno dei due di
acconsentire alla richiesta in tal senso formulata
dall’altro, perché spesso tale soluzione evita il
protrarsi di un dannoso contenzioso.
Non risulta in nessun caso opportuno che l’affidamento congiunto venga imposto dal giudice,
per obbligare i genitori a collaborare nella cura e
nell’educazione del figlio; sono emerse critiche e
controindicazioni all’affidamento congiunto
“terapeutico”.
N
103
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
Per quanto riguarda l’affidamento alternato, è
risultata essere una prassi assai rara; per lo più si
tratta di casi di affidamento congiunto, con particolari modalità di rapporto con il genitore non
convivente, anche se ci sono casi in cui i genitori si alternano nella ex casa coniugale per accudire i figli con cadenza settimanale.
Quanto all’affidamento ai servizi sociali, si tratta
di una prassi adottata esclusivamente dal Tribunale di Milano e non condivisibile, perché non prevista dalla legge, né in tema di separazione, né in
tema di divorzio, dove si parla esclusivamente di
affidamento all’uno o all’altro genitore o di affidamento extra familiare. Di fatto si tratta di un
provvedimento limitativo della potestà che può
essere assunto solo dal Tribunale per i Minorenni.
È altresì emersa l’esigenza che l’avvocato e il
giudice suggeriscano a genitori in conflitto l’opportunità di rivolgersi a un mediatore o a un centro di mediazione, purché si tratti di un suggerimento e non di una imposizione, che contrasterebbe con i principi della mediazione.
Si è infine escluso che nel caso di nomina di un
CTU, psicologo, possa allo stesso essere conferito un incarico di mediatore, in quanto i ruoli del
consulente psicologo e del mediatore sono nettamente diversi.
DIRITTO DI VISITA
er quanto riguarda il pernottamento del figlio
presso il genitore non affidatario, è emerso
che, per prassi ormai consolidata, si tende a non
predefinire l’età in cui il figlio può dormire presso il genitore non affidatario, ed è opportuno
favorire, laddove possibile, il pernottamento del
figlio anche in tenerissima età.
Sull’esecuzione dei provvedimenti relativi all’affidamento e alle modalità di visita, si ritiene che in
mancanza del giudice di merito, cui spetta la competenza in pendenza di giudizio, sia opportuno
rivolgersi al Giudice Tutelare, cui spetta la vigilanza sull’esecuzione delle condizioni della separazione e del divorzio relative ai minori, e che
potrà nominare un CTU o chiedere l’intervento dei
servizi sociali per l’accertamento della situazione
del minore e dei rapporti con i genitori.
P
ASCOLTO DEL MINORE
nche a tale proposito si è riproposta la necessità di istituire le sezioni specializzate presso
ogni tribunale, con giudici dotati di competenza e
maturità tali da poter svolgere questo delicato
compito.
Si è concluso che il minore di almeno 14 anni
debba essere ascoltato il più presto possibile e
quindi dal Presidente prima dell’adozione dei
provvedimenti temporanei e urgenti, mentre il
A
104
AIAF RIVISTA 3/2004
minore di 14 anni dovrebbe essere ascoltato dal
Presidente con l’aiuto di uno psicologo, solo al
fine di informare il minore e sentire il suo parere,
senza escludere la possibilità di richiedere una
consulenza tecnica.
Comunque l’ascolto del minore deve rappresentare solo uno degli elementi del giudizio e non
certo l’unico criterio di giudizio, nella consapevolezza che spesso quello che il minore esprime
non è il frutto di una sua libera scelta, ma può
essere determinato dal desiderio di difendere il
genitore che gli appare il più colpito dalla separazione, dandogli in premio la sua stessa persona,
oppure sia il frutto di un condizionamento che, in
vari modi, può essere determinato da uno dei
genitori, ovvero una scelta di comodo per contrastare il genitore più presente e vigile, che gli
impone maggiori limitazioni.
Il Presidente, sia che senta direttamente il minore,
sia che si avvalga di un ausiliario, lo farà in assenza dei genitori e degli avvocati, anche se in ogni
caso l’audizione dovrà essere preceduta da un colloquio con i genitori, assistiti dai rispettivi avvocati e dovrà essere possibilmente video registrata.
In ogni caso l’ascolto del minore non dovrebbe
mai essere un colloquio clinico, né un esame psicologico, ma solo l’occasione in cui un soggetto
esprime, davanti all’autorità che deve decidere il
suo futuro, le proprie aspirazioni, esercitando
quindi i diritti di personalità, che gli competono.
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
DOCUMENTO APPROVATO DAL CONSIGLIO DIRETTIVO DELL’AIAF LOMBARDIA
SULLE PRASSI DA SEGUIRE AVANTI IL TRIBUNALE PER I MINORENNI
In occasione dell’incontro con l’Associazione Nazionale Magistrati Minorili – sez. Milano
e il Presidente del Tribunale per i Minorenni di Milano, Dott.ssa Livia Pomodoro
L’AIAF LOMBARDIA
ferme restando le note posizioni dell’AIAF nazionale a favore dell’istituzione di sezioni specializzate in
materia di famiglia e minori, quanto meno in materia civile, presso il tribunale ordinario, al quale trasferire le competenze oggi attribuite al tribunale per i minorenni,
ritenendo comunque necessario nell’immediato, in attesa del varo delle modifiche legislative quanto alla
competenza, applicare ai giudizi minorili i principi dell’equo processo, garantiti dall’art. 111 Cost. novell.,
e ribadendo quindi le posizioni e richieste già avanzate da tempo,
chiede
che vengano applicate in tutti i procedimenti civili avanti il tribunale per i minorenni le seguenti regole minime, compatibili con la natura della giurisdizione civile minorile, idonee a garantire il principio
del contraddittorio e il diritto di difesa delle persone coinvolte in giudizio:
1. A seguito del deposito in cancelleria di un ricorso, il Giudice dispone immediatamente, con decreto steso in calce, la comparizione delle parti ordinando alla Cancelleria di dare avviso alle medesime con congruo anticipo della convocazione, del tipo di procedura aperta, della possibilità di farsi assistere da un difensore, di prendere visione degli atti ed estrarne copia nonché di presentare
memorie o documenti. Nel caso di iniziativa esercitata dal Pubblico Ministero o d’iniziativa di ufficio nei casi previsti, il decreto è notificato dalla Cancelleria insieme a copia dell’atto con cui l’iniziativa è stata esercitata e contiene gli avvisi sopra indicati.
2. All’udienza di comparizione il Giudice ascolta le parti, acquisisce le eventuali comparse e memorie, dispone in ordine alle istanze.
3. Nell’ambito dei procedimenti, laddove vi sia una richiesta delle parti, è data preferenza alla nomina di CTU in alternativa all’incarico ai servizi sociali
4. Laddove vengano incaricati i servizi sociali, è consentito agli stessi di mantenere una comunicazione con i difensori delle parti, laddove costituite, salvi i casi gravi in cui si renda necessario il
segreto d’ufficio a tutela del minore
5. Al momento del deposito della relazione dei servizi sociali, ne è data comunicazione ai genitori o
ai loro difesori, se costituiti, con avviso che può essere estratta copia e presentata memoria, salvi i
casi gravi in cui si renda necessario il segreto d’ufficio a tutela del minore. Le parti e i loro difensori hanno sempre facoltà di esaminare gli atti del procedimento e di estrarne copia. Sono fatte salve le limitazioni previste per legge; in tal caso gli atti coperti da segreto sono inseriti all’interno del
fascicolo in busta chiusa con l’indicazione del tipo di atto.
6. All’esito dell’acquisizione di tutte informazioni e acquisito il parere obbligatorio del Pubblico Ministero, il Giudice dà avviso alle parti, o se costituite ai loro difensori, del termine entro il quale possono depositare memorie e note conclusive. Le parti possono sempre chiedere la discussione orale
e il difensore presenzia in Camera di Consiglio al momento della discussione. La decisione viene
comunicata alle parti, o se costituite ai loro difensori, con l’indicazione delle modalità e del termine per presentare eventuale reclamo.
7. Nei procedimenti aventi ad oggetto l’affidamento di figli naturali, laddove i genitori raggiungano un
accordo anche in merito alle questioni di natura economica, è inserita nel verbale di udienza, la
precisazione che tale accordo non ha efficacia esecutiva, e che dovrà essere adito il tribunale ordinario ai fini dell’esecutività dell’accordo di natura economica.
8. Nei procedimenti aventi ad oggetto l’affidamento di figli naturali, e la sospensione e decadenza della potestà, laddove si ritenga necessario l’affidamento del minore al Comune, vengano esplicitati nel
provvedimento del tribunale per i minorenni:
- i poteri dell’affidatario
- i compiti dei servizi sociali
- i compiti e poteri del collocatario, genitore o terzo
- la regolamentazione del diritto di visita al minore da parte di uno o di entrambi i genitori, sia nel
caso in cui sia concordata tra i genitori, sia nel caso in cui sia ritenuta dai servizi quella più opportuna al caso
9. Nel decreto che definisce il giudizio sia esplicitamente indicato che trattasi di provvedimento definitivo; diversamente indicare che trattasi di provvedimento provvisorio
Milano, 25 novembre 2004
Consiglio Direttivo dell’AIAF LOMBARDIA
105
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
N
ei giorni 5 e 6 novembre 2004 si è tenuto a Verona un convegno nazionale sul
tema “Seperazioni difficili: professionalità a confronto nel lavoro con genitori e figli”
in esito al quale è stato sottoscritto il “PROTOCOLLO D’INTESA” che viene di seguito
riprodotto che rappresenta certamente un rilevante passo avanti nei rapporti fra Magistratura, Servizi Sociali del Comune e delle ULSS
competenti e Avvocatura che si occupa delle
problematiche familiari e minorili.
Il testo del Protocollo dà conto dell’impegnativo
confronto svoltosi tra le varie professionalità per
individuare strumenti condivisi per dare ai soggetti coinvolti nelle vertenze familiari risposte o
UN MODELLO DI
SUPPORTO AI RAPPORTI
TRA GENITORI E FIGLI
NELLE SEPARAZIONI
DIFFICILI
ALESSANDRO
SARTORI
E GABRIELLA
DE STROBEL*
106
soluzioni che consentano più agevolmente di
superare la fase del conflitto e raggiungere un
nuovo equilibrio di vita.
L’AIAF Sezione Veneto ha partecipato attivamente alla elaborazione del Protocollo già organizzando anni addietro ben sette Seminari di Formazione Interdisciplinare fra tutti gli operatori
coinvolti nei procedimenti di separazione e di
divorzio, contribuendo a creare uno spirito nuovo
di valorizzazione delle rispettive figure professionali, nonché dei rispettivi ruoli e funzioni.
Si era cercato allora di trovare strumenti e soluzioni al fine condividere la strategia per calmierare le sofferenze dell’incertezza vuoi dell’utente, vuoi dell’operatore.
Tutti gli operatori (avvocati, giudici, componenti
dei vari servizi sociali, etc.) condivisero la convinzione di doversi tenere allenati all’umiltà dell’approccio alle problematiche della patologia
familiare e di applicarsi costantemente ai con-
AIAF RIVISTA 3/2004
fronti interdisciplinari per cercare di evitare il
propagarsi dei conflitti e dei malesseri familiari,
che ricadevano (e ricadono) sugli adulti e, soprattutto, sui figli, anche con un rilevante costo
sociale.
Ci si convinse di cercare di realizzare una strategia preventiva per limitare i conflitti familiari,
convinti che l’allora generalizzato sistema di
conduzione delle vertenze non fosse più adeguato a dare certezze e a consentire un sereno affidamento alla giustizia.
Quell’inizio di confronto ha portato ad una sempre maggior condivisione per realizzare lo scopo
sempre più avvertito di offrire alle persone coinvolte nei procedimenti di separazione o divorzio
risposte il più possibile certe sia sul piano delle
procedure, che dei risultati e delle decisioni.
Il modello adottato si è andato sempre più evolvendo senza dimenticare che le persone coinvolte nei fenomeni di disgregazione familiare reagiscono frequentemente alla sofferenza che ne deriva cercando di sfogare i propri rancori (il proprio
“lutto”) anziché metabolizzarli, per cui appariva
sempre più necessario cercare di capire le ragioni di quella sofferenza e del disagio conseguente
intervenendo nel momento della disgregazione
come stimolo per condurre la coppia attraverso la
fase della sua trasformazione, per indurre i singoli componenti in crisi a capire sia le ragioni
dell’altro, sia, soprattutto, l’esigenza di preservare i figli dal dissenso e dal baratro della litigiosità, valorizzando a tal fine le rispettive figure
genitoriali, realizzando le così dette “tre C”
(Comunicazione per consentire la Collaborazione
e giungere possibilmente alla Condivisione dei
problemi relativi ai figli e garantirne la crescita
più sana e serena possibile).
Sono state a tal fine sempre più valorizzate le
garanzie da mettere in atto nel rapporto fra i giudicanti, i servizi e le parti rappresentate dalla
nostra categoria, la quale non deve certamente
cessare di esercitare la propria capacità critica
continuando, anche attraverso la verifica della
pratica quotidiana, ad assumere una funzione di
stimolo (assieme a tutte le altre categorie con cui
è stato condiviso questo percorso) per una legislazione sempre più adeguata all’esigenza della
miglior soluzione dei problemi delle famiglie in
crisi e per una interpretazione delle norme che
possa sempre più portare a “buone decisioni” nel
rispetto del giusto processo.
A tal fine rilevante appare il “tavolo di lavoro
comune” (cui continueranno a partecipare tutti i
soggetti che hanno sottoscritto il “Protocollo di
Intesa”) per monitorare il funzionamento e l’applicazione del Protocollo stesso.
Si suggeriranno tutte le più adeguate integrazioni
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
e/o modifiche, per renderlo sempre più valido e
consentire sempre più risposte ferme e sicure a
chi chiede aiuto e consiglio.
Il “modello veronese” non presume certo di essere perfetto, né chi l’ha sottoscritto (e, ovviamente, tra costoro, i legali dell’AIAF VENETO)
intende autoreferenziarsi.
Per quanto riguarda gli avvocati la riprova del
loro impegno professionale per risolvere pacificamente i conflitti familiari è data dalle statistiche che sono state presentate nel Convegno da
cui risulta, appunto, che le domande di separazione sono presentate al 75% circa in modo consensuale, non sottacendo che più della metà dei
restanti casi iniziati in contenzioso terminano con
un accordo e con una decisione assunta su concordi conclusioni delle parti.
Il che, comunque, conferma e prova l’impegno di
cui i legali si fanno carico per aiutare le parti a
risolvere i loro problemi personali anche e
soprattutto per evitare ai figli la devastante esperienza del conflitto tra i loro genitori.
L’AIAF VENETO auspica che il rilevante lavoro
svolto, di cui il Protocollo dà conto, possa essere
utile per tutti i Colleghi iscritti all’Associazione.
* avvocati in Verona
PROTOCOLLO D’INTESA
TRA
- TRIBUNALE C.P DI VERONA
- COMUNE DI VERONA
- ULSS 20: CONSULTORI FAMILIARI, SERVIZIO DI NEUROPSICHIATRIA INFANTILE
E PSICOLOGIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA
CON L’ADESIONE DI:
- AIAF (ASSOCIAZIONE ITALIANA AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI) – VENETO
- OSSERVATORIO SUL DIRITTO DI FAMIGLIA – SEZ. VERONA
PREMESSA
Negli ultimi dieci anni si è assistito ad un progressivo aumento del fenomeno della disgregazione familiare e quindi del numero delle separazioni e dei divorzi di coppie con figli. Ne è conseguito un forte
incremento delle situazioni di grave conflittualità tra i coniugi rispetto all’affidamento ed alla relazione
con i figli stessi.
A questo fenomeno si aggiunge la crescente presenza di nuclei costituiti da partners con figli propri e
con figli della nuova coppia: “famiglie ricomposte”.
Questo quadro trova ampia conferma anche nella realtà veronese.
In tale contesto è indubbio che le Istituzioni, anche nel rispetto delle Convenzioni Internazionali, debbano farsi carico del disagio del minore e della sua famiglia.
D’altro canto, dal confronto tra le varie professionalità che si misurano quotidianamente con il conflitto familiare (magistrati, operatori socio-sanitari, avvocati, ecc.), sia pure da diverse prospettive, emerge l’esigenza comune di individuare strumenti condivisi per dare ai soggetti coinvolti risposte o soluzioni che consentano di superare la fase del conflitto e raggiungere un nuovo equilibrio di vita.
L’approcciarsi in modo diretto al disagio della famiglia in fase di separazione o divorzio impone inoltre
a tutte le figure professionali interessate un modo di operare che tenga conto del tasso di sofferenza e
di disagio degli adulti e soprattutto dei minori.
Obiettivo primario di tutti è fare in modo che i genitori possano continuare a svolgere il loro ruolo, evitando che le loro difficoltà e conflitti si ripercuotano sul minore.
La legislazione nazionale e internazionale si è evoluta nel senso del pieno riconoscimento del diritto
del minore coinvolto come soggetto avente diritto ad una crescita e ad uno sviluppo corretto e compiuto come sopra richiamati, ed è quindi necessario che gli operatori giuridici e dei servizi pongano
attenzione particolare alla sua tutela.
Si richiamano in particolare:
- gli articoli 29-30-31 della Costituzione che riguardano i principi ispiratori della legislazione familiare;
- gli articoli 143 e 147 del Codice Civile introdotti dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 che san107
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
-
AIAF RIVISTA 3/2004
ciscono l’uguaglianza rispetto alla responsabilità genitoriale e la rilevanza dell’interesse del minore”;
la L. 898/70 sulla “disciplina nei casi di scioglimento del matrimonio” e successive modifiche
(436/78 e 74/87);
gli articoli del Codice Civile (155,158 e 344) che prevedono la possibilità di collaborazione tra il
Giudice e i Servizi Sociali;
la legge 154/01 (art. 342 bis e segg. del Codice Civile);
l’articolo 23 del DPR 616/77 che stabilisce il trasferimento di competenze relative ai minori dallo
Stato alle Regioni;
la L. 405/75 e la L.R. 28/77 (art. 2) sull’istituzione dei Consultori Familiari che prevede la collaborazione con gli organi giudiziari nei riguardi della famiglia e della problematica minorile;
la legge quadro 328/2000 per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali;
il DPCM del 29.11.01 area integrazione socio-sanitaria (LEA);
la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20.11.1989 ratificata con la legge n. 176/91;
la Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei minori, del 25 gennaio 1996 – ratificata
con L. 77/2003;
Nella realtà veronese, tutte le Istituzioni e le professionalità coinvolte, (Tribunale Civile Sezione Famiglia, Consultori Familiari, Servizio di Neuropsichiatria Infantile e Psicologia dell’Età Evolutiva (NPIPEE),
Servizi Sociali Comune di Verona, Avvocati AIAF), pur con ruoli, competenze e mandati diversi, hanno iniziato un percorso comune, che ha preso avvio dalla realizzazione, nel 1997, di Seminari di Formazione Interdisciplinare. A questa esperienza è seguita la formazione di un tavolo di lavoro e confronto costante, cui hanno aderito anche gli avvocati iscritti al “Osservatorio sul Diritto di Famiglia”, di
più recente costituzione.
Parallelamente, i Consultori Familiari delle tre ULSS della Provincia di Verona, hanno mantenuto un
costante confronto con i magistrati della Sezione Famiglia, che ha consentito di definire una prassi omogenea di collaborazione su tutto il territorio.
I Magistrati della Sezione Famiglia, in quest’ottica, hanno maturato la consapevolezza:che l’attività del
Giudice Minorile è diretta a valutare capacità affettive – educative e relazionali e ad intervenire su rapporti umani per indirizzarli alla realizzazione del diritto del minore, alla costruzione della sua personalità
e alla libera espressione delle sue potenzialità;che allo scopo è necessario costruire un procedimento con
formule adeguate al compito del Giudice, e rispettose del diritto alla difesa e al contraddittorio di tutte le
parti coinvolte e dello stesso minore;che il Giudice deve quindi utilizzare conoscenze e scienze che appartengono a diverse professionalità per la individuazione delle capacità dei genitori e del bisogni dei minori, che le decisioni che il giudice è chiamato ad adottare sono inevitabilmente sottoposte a continue revisioni in conseguenza dell’evolversi delle risorse dei genitori e delle esigenze dei minori.
I Servizi Sociali e Socio-Sanitari del territorio, parallelamente, hanno sviluppato il loro ruolo di ausiliari del Giudice, definendo al loro interno, nelle diverse competenze, procedure privilegiate, modalità di
intervento, anche con l’utilizzo di nuovi strumenti come la mediazione familiare.
È stato inoltre incrementato il lavoro di rete tra Servizi, nell’ottica di una presa in carico globale delle
situazioni, nell’interesse del minore.
Nel 1994 si è costituito in via sperimentale un gruppo di lavoro permanente composto da: Servizi sociali del Comune di Verona, Consultori Familiari e Servizio di Neuropsichiatria Infantile e Psicologia dell’Età Evolutiva dell’ULSS 20, per l’analisi delle richieste provenienti dal Tribunale Civile, con i seguenti obiettivi:
- individuare un punto di riferimento unico e specifico per le richieste inviate dal Tribunale: richieste di
informazioni, di intervento, ecc., razionalizzando la distribuzione del lavoro tra i vari Servizi, in base
alle specifiche competenze, anche attraverso un’unica segreteria, evitando così dispersioni e ritardi.
- migliorare la collaborazione tra Tribunale Civile e Servizi Socio Sanitari oltre che tra i vari Servizi
stessi, attraverso la ricerca di un linguaggio comune e di un lavoro in rete.
Gli Avvocati aderenti all’AIAF, sez. Veneto, si sono adoperati per una sempre maggiore diffusione e
applicazione delle norme di comportamento professionale stese dall’Associazione.
AIAF e Osservatorio della Famiglia hanno inoltre promosso, insieme e separatamente, aggiornamenti
continui e specializzati sulle problematiche minorili, sulle novità legislative, sempre con l’ottica del
confronto interdisciplinare.
Alla luce di quanto esposto nella premessa, da ritenersi parte integrante, il Tribunale Civile di Verona,
Sezione I^ specializzata per la trattazione della famiglia - il Comune di Verona - l’ULSS 20 – con l’adesione dei Legali rappresentati dall’AIAF e dall’Osservatorio della Famiglia - rilevata l’utilità e l’efficacia di una collaborazione per raggiungere gli obiettivi comuni di tutela della famiglia e dei minori, sono
addivenuti a realizzare il seguente Protocollo d’Intesa sulle reciproche modalità di collaborazione in
base alle rispettive funzioni e competenze.
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SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
PROTOCOLLO
1. TRIBUNALE CIVILE DI VERONA
È operativa, come da specifica previsione tabellare, la sezione dedicata alla trattazione in via esclusiva
dei procedimenti per separazione personale e per divorzio con cancelleria addetta in via esclusiva agli
adempimenti relativi ai procedimenti in tema di diritto di famiglia e delle persone.Le funzioni di Giudice tutelare, con specifico riferimento all’attività di vigilanza prevista dall’articolo 337 cc sull’attuazione dei provvedimenti adottati sia dal TM sia dal Tribunale ordinario, sono svolte dai magistrati appartenenti alla sezione famiglia.
Nei procedimenti in cui sono coinvolti minori, i magistrati addetti alla trattazione, nel pieno e indipendente esercizio della funzione giurisdizionale di cui sono esclusivi titolari:
- promuovono la mediazione familiare offrendo la necessaria informazione e, ove le parti intendano
avvalersene, sospendono il giudizio.
- dispongono l’intervento dei servizi sociali e sanitari per acquisire le indispensabili notizie in ordine alla
situazione, personale e sociale, delle parti, alla condizione socio-ambientale, psicologica ed affettiva
del minore, allo stato delle relazioni, al fine acquisire gli elementi necessari alla adozione delle decisioni in tema di affidamento, collocamento del minore e relazione con il genitore non convivente;
- provvedono allo espletamento di consulenze tecniche laddove la complessità della condizione personale, delle relazioni instaurate, la profondità del conflitto siano tali da non consentire un proficuo spazio di intervento dei servizi e richiedano accertamenti più approfonditi;
- dispongono, una volta che le parti abbiano acquisito consapevolezza delle necessità dei figli, percorsi di sostegno personale, alla loro genitorialità e per i loro bambini, per restituire ai minori coinvolti
condizioni più equilibrate e serene per il loro adeguato sviluppo, e per assicurarne la permanenza.
2. SERVIZI SOCIO-SANITARI:
a) È costituito tra il Comune di Verona e l’ULSS 20 – Consultori Familiari e Servizio di Neuropsichiatria Infantile e Psicologia dell’Età Evolutiva - un Gruppo di lavoro permanente composto da un rappresentante di ciascun servizio che si riunisce ogni tre settimane circa presso la sede del Settore
Sociale dell’ULSS 20. Ogni membro rappresenta il Servizio di appartenenza con funzioni di referente per gli operatori del suo Servizio e portavoce dello stesso all’interno del Gruppo.
La Segreteria del Gruppo è quella dei Consultori Familiari presso il Settore Sociale dell’ULSS 20
b) Il Gruppo prende di volta in volta in esame le richieste pervenute alla Segreteria dal Tribunale Civile nell’arco di tempo tra un incontro e l’altro e procede all’assegnazione dei casi ai singoli Servizi
ritenuti competenti.
c) Per l’attribuzione dei casi il Gruppo segue i seguenti criteri:
Vengono assegnate ai Consultori Familiari le situazioni in cui sono richiesti e/o ritenuti opportuni:
- Interventi sulla conflittualità della coppia per attenuarne le tensioni;
- Mediazione familiare;
- Valutazioni e/o sostegno alle capacità genitoriali, con possibilità, nei casi che lo richiedono, di
attuare incontri fra bambino/i e genitore non affidatario alla presenza di un educatore con funzione
facilitante;
- Profili di personalità degli adulti;
- Presa in carico terapeutica della coppia e/o del singolo.
Vengono assegnate alla NPIPEE le situazioni in cui sono richiesti e/o ritenuti opportuni:
- Profili psicologici di minori e/o valutazioni diagnostiche psicologiche e/o neuropsichiatriche infantili;
- Valutazioni sulle relazioni tra genitori e figli;
- Monitoraggio periodico sui minori;
- Presa in carico terapeutica dei minori;
- Consulenza e supporto terapeutico ai genitori.
Vengono assegnate ai Servizi Sociali del Comune le situazioni in cui sono richiesti e/o ritenuti
opportuni:
- Valutazioni delle situazioni di pregiudizio, maltrattamento, trascuratezza di minori e, per questi
casi, indagini socio-ambientali e monitoraggio dell’evoluzione anche in ordine a particolari programmi che prevedono ad esempio incontri protetti genitori-figli;
- Valutazione e attivazione di risorse extra-familiari e/o dell’ambito parentale.
d) Alla fine di ogni incontro del Gruppo la segreteria provvede ad inviare:
- Al Tribunale Civile una comunicazione della riunione effettuata con l’elenco delle situazioni esaminate e l’indicazione dei Servizi cui sono state assegnate le richieste.
- Ai Servizi interessati una comunicazione dell’assegnazione del caso accompagnata da tutto il
materiale allegato dal Tribunale Civile alla sua richiesta.
Nel caso in cui sia stata fatta un’assegnazione congiunta a più Servizi verranno segnalati tutti i Servizi Coinvolti.
Nel caso in cui una situazione sia già stata seguita in precedenza da un altro Servizio questo verrà
pure indicato.
e) Situazioni particolari:
109
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
AIAF RIVISTA 3/2004
Nel caso in cui l’assegnazione da parte del Gruppo sia stata fatta ad un unico Servizio, questo, se
nel corso del suo intervento lo ritiene opportuno, può richiedere la collaborazione di un altro Servizio inviando una richiesta scritta allo stesso e per conoscenza al Gruppo di lavoro.
Nel caso in cui il Servizio incaricato, nel corso della conoscenza diretta della situazione, ritenga di
non essere competente, provvederà ad informare il Gruppo di lavoro motivando la propria posizione. Il Gruppo di lavoro, riesaminata la situazione alla luce degli elementi evidenziati, provvederà
ad una diversa assegnazione, previa valutazione di opportunità.
Per i casi particolarmente urgenti il responsabile dei Consultori Familiari provvederà ad individuare
il servizio competente per consentire un primo intervento, salvo poi il successivo esame del caso
da parte della Commissione.
f) Tempistica:
I Servizi incaricati si impegnano a fornire al Tribunale una prima relazione per quanto possibile entro
quattro-sei mesi dalla ricezione dell’incarico, nel caso di situazioni non conosciute dal Servizio ed
entro tre mesi, nel caso di situazioni già in carico al Servizio stesso. In caso sia necessaria una proroga dei tempi il Servizio fornirà comunque al Tribunale una informativa sullo stato dell’intervento
e sulle problematiche emerse.
2.A. ULSS 20. CONSULTORI FAMILIARI
I Consultori familiari operano su due livelli:
1-Valutazione 2- Intervento
Valutazione
La Valutazione è un percorso che si attiva su mandato dell’Autorità Giudiziaria.
Gli operatori (psicologo e assistente sociale) si propongono di osservare e conoscere la situazione familiare per formulare, possibilmente in accordo con la coppia di genitori, un’ipotesi di intervento mirato
alla prevenzione del disagio e alla tutela del minore.
In particolare gli operatori approfondiscono:
- le condizioni psicologiche e sociali di entrambi i genitori;
- le relazioni tra genitori, tra questi e i figli e tra i figli;
- la capacità del padre e della madre di esercitare le funzioni genitoriali;
- la funzione della rete familiare e dell’eventuale famiglia ricomposta;
- l’inserimento socio-ambientale dei genitori e dei figli.
La durata media di questo percorso è di circa quattro-sei mesi, dalla ricezione dell’incarico, salvi casi
particolari.
Si prevede una serie articolata di interventi rivolti ai genitori, ai figli ed al contesto familiare allargato,
che possono prevedere a seconda dei casi e della valutazione di opportunità fatta dagli operatori: colloqui, visite domiciliari, incontri di osservazione, applicazione di test, incontri con agenzie del territorio e con altri servizi ecc.
La valutazione si conclude con l’invio di una relazione al Tribunale Civile i cui contenuti sono restituiti anche ai soggetti interessati.
Intervento
L’intervento è un percorso di sostegno e di accompagnamento rivolto alla coppia genitoriale ed ai figli,
effettuato dagli operatori del Consultorio familiare (psicologo- assistente sociale, educatore), sulla base
dei bisogni emergenti da parte degli utenti in carico e delle loro risorse disponibili.
L’obiettivo è creare le condizioni che consentano a ciascun genitore di recuperare e ridefinire il proprio
ruolo genitoriale, affinché i figli possano mantenere un legame costruttivo con entrambi i genitori e i
nuclei familiari (fratelli, nonni, etc)
Si
-
possono in tale contesto attivare:
percorsi di sostegno alla genitorialità individuali e/o di coppia
percorsi di Mediazione familiare, ove sussistano le condizioni di fattibilità,
incontri facilitanti allo scopo di garantire al genitore non affidatario di riprendere e/o mantenere con
costanza il rapporto con i figli,
- monitoraggio periodico dell’evoluzione della situazione
- su richiesta degli interessati, prese in carico psicoterapeutica di uno o entrambi i genitori (tenendo
conto che le situazioni di tutela minorile usufruiscono di una procedura privilegiata, occorre comunque precisare che la presa in carico terapeutica della coppia e/o dei singoli può avvenire compatibilmente con la disponibilità delle risorse professionali esistenti e con i tempi operativi interni).
Non è possibile per tali interventi stabilire a priori la durata del percorso.
È prevista una serie articolata di modalità operative, valutate opportune dagli operatori a seconda dei
casi, quali in particolare: colloqui, visite facilitanti alla presenza dell’educatore, incontri con altre agenzie del territorio, con altri Servizi, gruppi d’auto-mutuo aiuto.
Gli operatori comunicano in ogni caso al Tribunale Civile il progetto di intervento, riservandosi anche
di segnalare l’intrattabilità del caso
110
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
2.B. ULSS 20. NEUROPSICHIATRIA INFANTILE E PSICOLOGIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA
Il Servizio NPIPEE dell’ULSS 20 svolge attività clinica e di consulenza su richiesta del Tribunale Civile
nell’ambito della tutela del minore, in collaborazione con gli altri Servizi ULSS e con i Servizi Sociali
Comunali.
Le richieste di valutazione provenienti dal Tribunale Civile vengono accolte e assegnate all’operatore di
competenza, NPI o Psicologo, attivando una procedura privilegiata che prevede l’assegnazione in tempi più celeri rispetto alla procedura standard.
INTERVENTI PREVISTI:
a) valutazione e diagnosi
si rivolge sempre al bambino/ragazzo considerato all’interno del nucleo familiare e/o ambientale e si
propone di analizzare:
- le dinamiche relazionali nei confronti dei genitori;
- la personalità e il suo sviluppo psicologico affettivo;
- la presenza di indicatori psico patologici pregressi e/o attuali;
- gli elementi di conflittualità a carattere evolutivo che pur non rientrando all’interno di un quadro
strutturato, si configurano come fattori di rischio di patologia psichica o psico relazionale.
La valutazione e diagnosi si articola attraverso:
- visita NPI e/o colloquio psicologico clinico con il bambino, colloqui con i genitori e/o con il nucleo
familiare, sedute di osservazione e gioco
- test, esami strumentali, colloqui con Assistenti sociali, Insegnanti etc., a discrezione dell’operatore
e a seconda della problematica emersa e della condizione psicologica del minore.
Al termine del percorso valutativo/diagnostico e prima dell’invio dell’elaborato scritto al Tribunale Civile, l’operatore referente renderà noto ai genitori l’esito dell’approfondimento effettuato e il contenuto
della relazione.
Si prevede per le situazioni non conosciute dal Servizio, dal primo atto espletato alla fine della valutazione comprensiva della relazione, un tempo di circa 4/6 mesi.
Presa in carico
Può avvenire:
- a conclusione della fase di valutazione e diagnosi come programma terapeutico proposto dall’operatore ai genitori e comunicato per iscritto nella relazione al Tribunale.
- quando il Giudice recepisce le indicazioni formulate da un esperto a seguito di CTU.
Il programma terapeutico può avvalersi di diverse modalità di intervento, a seconda della situazione,
quali colloqui periodici con il minore e/o con i genitori, consultazioni terapeutiche con i genitori, psicoterapia, terapia psicomotoria o occupazionale, riabilitazione neuropsicologica, terapia farmacologica,, interventi di collegamento con Enti ed Istituzioni.
Non è possibile per tali interventi stabilire a priori una durata che in ogni caso non è generalmente inferiore ai 6 mesi-un anno.
Questi interventi potranno essere sostenuti compatibilmente con la disponibilità delle risorse professionali esistenti e con i tempi operativi interni.
2.C. COMUNE DI VERONA - SERVIZI SOCIALI
Il Comune di Verona, relativamente alle situazioni di separazioni coniugali conflittuali inviate dal Tribunale Civile, interviene nei casi nei quali si ravvisano elementi di pregiudizio per i minori, escludendo quindi le situazioni di difficoltà e sofferenza, esito “ diffuso “ di separazioni coniugali difficili, per
le quali l’intervento è di competenza dell’Ulss n. 20 - Consultori Familiari.
Con “ situazione di pregiudizio per il minore “ si intendono tutte quelle situazioni nelle quali è necessario indagare se la condotta o la situazione dei genitori ponga a rischio l’equilibrata crescita del minore o abbia già provocato danni; si tratta quindi di situazioni per le quali l’autorità giudiziaria ha necessità di valutare se emettere prescrizioni o provvedimenti a tutela dei minori.
La conoscenza e l’approfondimento di tali situazioni viene effettuata, innanzi tutto, attraverso l’indagine socio-ambientale.
Indagine socio-ambientale:
L’indagine socio-ambientale richiesta dall’autorità giudiziaria al Servizio Sociale del Comune di Verona
ha come scopo quello di valutare se esistono condizioni di pregiudizio per i minori presenti nel nucleo
familiare, segnalate o riportate all’autorità giudiziaria stessa o emerse nel corso dell’iter giudiziario.
L’indagine, in relazione alla complessità della situazione, comprende una parte di analisi descrittiva delle seguenti aree:
- situazione personale e sociale dei genitori, con eventuale riferimento alla loro storia individuale e
di coppia
111
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
AIAF RIVISTA 3/2004
-
situazione dei minori presenti nel nucleo, con riferimento anche ai diversi contesti di vita, in particolare quello scolastico
- rapporto genitori –figli in ordine agli aspetti educativi, di cura, accudimento e inserimento sociale
- rete parentale di sostegno
- rete sociale di sostegno
- relazione fra famiglia e servizi sociali
e una parte valutativa che mette in relazione i fattori di rischio/ criticità evidenziati, anche con l’apporto
di valutazioni di altri servizi e di diverse professionalità (quando richiesto), con i fattori protettivi/ capacità del nucleo e le risorse del contesto parentale e sociale.
La valutazione si conclude con eventuali proposte a tutela dei minori che possono eventualmente prevedere l’attivazione di risorse nell’ambito parentale o extrafamiliare.
Strumenti:
- colloqui con utenti
- visite domiciliari
- incontri con istituzioni, agenzie del territorio che mantengono rapporti significativi con il bambini
e la famiglia, con particolare riguardo all’ambito scolastico-educativo
- collaborazioni con i servizi dell’Ulss 20 per le specifiche competenze.
Tempi necessari al servizio per l’espletamento dell’incarico: mediamente 4-6 mesi
Presa in carico e monitoraggio:
La presa in carico della situazione può avvenire
- su richiesta degli interessati, già durante la fase di indagine sociale o a conclusione di questa. Di
tale evoluzione verrà informato il giudice. In questo caso il monitoraggio della situazione farà parte del progetto condiviso con la famiglia.
- su disposizione dell’autorità giudiziaria
Presa in carico e monitoraggio disposti dall’autorità giudiziaria:
Con la presa in carico disposta dall’autorità giudiziaria, il servizio sociale condividendo, per quanto
possibile, con gli utenti una progettualità volta a superare le criticità emerse, mette in atto interventi per
favorire l’evoluzione positiva della situazione di vita dei minori.
Il servizio sociale può predisporre l’attivazione di servizi di supporto al nucleo quali ad esempio appoggi socio- educativi domiciliari o presso strutture, compatibilmente con le risorse disponibili e con la
situazione anche economica del nucleo familiare.
A seguito della presa in carico, il servizio sociale per il tempo stabilito come necessario dall’autorità
giudiziaria, procede al monitoraggio dell’evoluzione della situazione sociale dei minori, rispetto ai quali esplica l’incarico.
Il monitoraggio ha lo scopo di verificare periodicamente che l’adeguatezza della situazione di vita raggiunta dai minori con la presa in carico del nucleo, venga mantenuta nel tempo e a programmare nuovi interventi, se necessario.
Visite protette:
Su incarico dell’autorità giudiziaria, qualora sussista la necessità di proteggere i minori da comportamenti pregiudizievoli dei genitori, il servizio sociale organizza e supervisiona visite genitori-figli in
ambiente protetto, alla presenza di personale educativo convenzionato con l’ente.
(Escluse le visite protette effettuate dai Consultori Familiari per le specifiche competenze)
Esecuzione di provvedimenti a tutela del minore:
Il Servizio Sociale del Comune di Verona provvede all’ esecuzione di eventuali provvedimenti disposti
dall’autorità giudiziaria a tutela dei minori (es. allontanamenti)
Esprimono la loro adesione al Protocollo di Intesa gli Avvocati aderenti all’AIAF e all’Osservatorio
per la Famiglia e, auspicando una maggior valorizzazione della loro funzione di difesa nell’ambito
della vigente normativa, assumono i seguenti impegni:
1) Assumere l’incarico con l’obiettivo di aiutare la parte a confrontare le proprie aspettative/pretese con
il dettato normativo e con gli orientamenti giurisprudenziali, offrendo soluzioni che meglio la preservino dal disagio che sta vivendo, aiutandola anche a comprendere le ragioni dell’altra parte,
svolgendo in tal modo una prima opera di mediazione.
2) Farsi carico di fare emergere in via prioritaria le esigenze della prole, nel tentativo di salvaguardare entrambe le figure genitoriali, stimolando nei genitori la consapevolezza che, malgrado i loro dissensi, non cesseranno di essere tali e come tali dovranno continuare a comportarsi nell’esercizio dei
loro diritti-doveri al fine di una corretta valutazione delle esigenze morali e patrimoniali correlate al
112
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
rapporto con i figli.
3) Prima di dar corso ad un procedimento contattare la controparte invitandola a confrontarsi stragiudizialmente con l’assistenza di altro legale per cercare una soluzione concordata. Promuovere a tal
fine, con spirito di trasparente collaborazione, incontri e scambio di ogni documentazione atta a
favorire l’intesa.
4) Farsi comunque carico di avvalersi di una competenza interdisciplinare servendosi, d’accordo con
l’altra parte, di consulenti pubblici e/o privati per una migliore identificazione degli interessi delle
parti e della prole, evitando di ricorrere unilateralmente a consulenze o perizie di parte.
5) Esaurita la possibilità di raggiungere un’intesa, nel caso in cui si debba promuovere un’azione giudiziaria, cercare di contenere l’atto introduttivo ed eventualmente la comparsa di risposta, evitando
di acuire irrimediabilmente il conflitto, al fine di consentire una ripresa di tentativi di definizione
conciliativa della vertenza, da privilegiare anche provocando l’intervento ad hoc del Giudicante.
6) Nell’ambito del confronto giudiziale invocare (e attenersi) nei confronti delle parti e di tutti i soggetti coinvolti a qualsiasi titolo un puntuale rispetto del “Giusto Processo” e del contraddittorio affinché sia garantito un corretto esercizio del diritto alla difesa.
Viene istituito un Osservatorio Permanente ed un tavolo di lavoro comune cui parteciperanno tutti i soggetti che sottoscrivono il presente Protocollo con l’obiettivo di monitorare il funzionamento e l’applicazione del Protocollo stesso, suggerire integrazioni e/o modifiche, promuovere un costante e continuo
confronto interprofessionale e ogni altra attività connessa di aggiornamento e formazione. A tal fine il
tavolo di lavoro si riunirà periodicamente ogni due mesi.
113
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
AIAF RIVISTA 3/2004
data 10 novembre 2004 è stato pubblicato dall’ISTAT l’Annuario statistico 2004, che
Ial naggiorna
le conoscenze sulla realtà italiana e ne misura l’evoluzione. I dati si riferiscono
2003 e sono accompagnati da un confronto con i quattro anni precedenti.
Dal sito http://catalogo.istat.it/asi2004/PDF/Cap6.pdf (cfr tavole in basso) si rilevano in materia di
famiglia e minori questi dati.
PERSONE – FAMIGLIA – SEPARAZIONI - DIVORZI
Nel 2002 si è registrato un aumento, nei confronti dell’anno precedente, sia del numero delle separazioni (+4,9 per cento) che dei divorzi (+4,5 per cento), pari rispettivamente a 79.642 e 41.835 unità.
Ogni 100 mila abitanti si hanno 140 separazioni e 73 divorzi. Nel 2002 le separazioni consensuali
sono state 69.076, pari all’86,7 per cento del totale delle separazioni concesse, quelle giudiziali
10.566 (13,3 per cento).
Il numero di figli minori di 18 anni coinvolti è stato 59.480 nelle separazioni e 19.356 nei divorzi. La
maggior parte di essi continua a essere affidata alla madre: circa l’85 per cento nei casi di separazione e l’84 per cento in quelli di divorzio.
Tavola 6.6 - Procedimenti civili di separazione personale dei coniugi per modalità di esaurimento e regione Anno 2002
ANNI
REGIONI
1998
1999
2000
2001
Senza
separazione
6.213
6.477
8.699
9.726
Con separazione
-------------------------------------------------------------------------Omologazione
Accoglimento
Totale
53.613
55.335
62.206
66.032
Totale
9.124
9.580
9.763
9.858
62.737
64.915
71.969
75.890
68.950
71.392
80.668
85.616
847
33
1.528
117
90
27
643
261
208
649
551
95
312
1.201
216
56
1.265
683
78
304
1.181
338
10.566
4.286
2.159
4.121
8.214
254
14.768
1.285
660
625
5.906
2.054
2.750
6.415
5.855
1.131
1.805
10.636
1.376
256
5.215
3.510
189
1.286
4.819
1.918
79.642
41.646
19.427
18.569
9.037
314
15.999
1.501
829
672
6.249
2.237
3.023
7.086
6.242
1.152
1.915
11.612
1.571
337
6.695
4.636
219
1.473
5.985
1.985
89.268
45.446
20.921
22.901
2002-PER REGIONE
Piemonte
Valle d'Aosta
Lombardia
Trentino-Alto Adige
Balzano-Bozen
Trento
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
U mbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
ITALIA
Nord
Centro
Mezzogiorno
Fonte: Separazioni personali dei coniugi (R)
114
823
60
1.231
216
169
47
343
183
273
671
387
21
110
976
195
81
1.480
1.126
30
187
1.166
67
9.626
3.800
1.494
4.332
7.367
221
13.240
1.168
570
598
5.263
1.793
2.542
5.766
5.304
1.036
1.493
9.435
1.160
200
3.950
2.827
111
982
3.638
1.580
69.076
37.360
17.268
14.448
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
Tavola 6.7 - Figli affidati nelle separazioni personali dei coniugi e negli scioglimenti e cessazioni degli effetti
civili del matrimonio (divorzi) per tipo di affidamento - Anni 1998-2002
(a) (valori assoluti e composizioni percentuali)
Tipo di affidamento
Valori assoluti
ANNI
Al
padre
Alla Congiunto/
madre alternato
Composizioni percentuali
A
terzi
Totale
AL
padre
Alla Congiunto/
madre alternato
A
terzi
Totale
0,5
0,5
0,7
0,5
0,5
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
0,6
0,7
0,7
0,7
100,0
100,0
100,0
100,0
SEPARAZIONI PERSONALI DEI CONIUGI
1998
1999
2000
2001
2002
2.194
2.226
2.372
2.593
2.426
42.319
43.373
44.421
48.966
50.504
1.800
1.888
4.113
5.402
6.238
235
218
323
254
312
46.548
47.705
51.229
57.215
59.480
4,7
4,7
4,6
4,5
4,1
90,9
90,8
86,7
85,6
84,9
3,9
4,0
8,0
9,4
10,5
SCIOGLIMENTI ECESSAZIONI DEGLI EFFETTI CIVILI DEL MATRIMONIO
1998
1999
2001
2002
949
997
1.189
1.254
13.504
13.872
15.290
16.254
324
365
1.889
1.699
100
108
122
149
14.877
15.342
18.490
19.356
6,4
6,5
6,4
6,5
90,8
90,4
82,7
84,0
2,2
2,4
10,2
8,8
Fonte: Scioglimenti e cessazioni degli effetti civili del matrimonio (R); Separazioni personali dei coniugi (R)
(a) Sono compresi i figli legittimi (nati dall’attuale matrimonio o da matrimonio precedente), legittimati e adottivi.
Tavola 6.6 - ProcedimentI di scioglimento e di cessazione degli effetti civili del matrimonio (divorzi) per
modalità di esaurimento e regione - Anno 2002
ANNI
REGIONI
1998
1999
2000
2001
Esauriti senza
Esauriti con sentenza di scioglimento e di cessazione
sentenza di -------------------------------------------------------------------------scioglimento
Scioglimento Cessazione degli
Totale
e cessazione del matrimonio (a)
effetti civili (b)
1.920
1.845
1.828
1.859
5.935
6.090
6.690
7.190
Totale
27.575
28.251
30.883
32.861
33.510
34.341
37.573
40.051
35430
36.186
39.401
41.910
4.030
140
6.642
411
190
281
2.962
958
1.270
3.153
2.314
423
196
3.124
612
102
1.686
1.201
143
509
2.081
595
33.812
19.626
7.257
6.929
5.065
171
8.085
160
341
419
3.548
1.358
1.656
3.800
3.006
514
951
4.106
114
122
2.181
1.388
149
568
2.334
753
41.835
24.443
9.183
8.209
5.265
190
8.284
859
421
438
3.662
1.425
1.684
3.910
3.125
519
989
4.798
775
141
2.340
1.545
153
600
2.489
759
43.512
25.279
9.431
8.802
2002 - PER REGIONE
Piemonte
Valle d'Aosta
Lombardia
Tre ntino-Alto Adige
Bolzano-Bozen
Trento
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
ITALIA
Nord
Centro
Mezzogiorno
200
19
199
99
80
19
114
67
28
110
119
5
32
92
61
19
159
151
4
32
155
6
1.677
836
248
593
1.035
31
1.443
289
151
138
586
400
386
647
692
91
161
982
102
20
495
181
6
59
253
158
8.023
4.817
1.926
1.280
Fonte: Scioglimenti e cessazioni degli effetti civili del matrimonio (R)
(a) Sentenze riferite a matrimoni celebrati con rito civile.
(b) Sentenze riferite a matrimoni celebrati con rito religioso.
115
DAL PARLAMENTO
GARANTE DEI MINORI
COMMISSIONE SPECIALE IN MATERIA D’INFANZIA E DI MINORI
Mercoledì 21 luglio 2004 - 35a Seduta
Presidenza del Presidente BUCCIERO
La seduta inizia alle ore 20,35.
IN SEDE REFERENTE
(1916) RIPAMONTI. - Istituzione del difensore civico dei minori
(2461) GUBERT ed altri. - Istituzione del Garante nazionale per l’ infanzia e l’ adolescenza
(2469) ROLLANDIN ed altri. - Istituzione di un Garante nazionale per l’ infanzia e l’ adolescenza
(2649) BUCCIERO e Antonino CARUSO. - Norme quadro per la istituzione dei difensori dei minori
e altre norme a tutela degli stessi
(2703) Vittoria FRANCO ed altri. - Istituzione del Garante per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza
(Seguito dell’esame e rinvio)
Riprende l’esame sospeso nella seduta del 6 aprile 2004.
Il PRESIDENTE informa la Commissione che il Comitato ristretto ha completato i propri lavori, elaborando un apposito testo unificato per i disegni di legge nn. 1916, 2461, 2469, 2649 e 2703, pubblicato in allegato al resoconto della seduta odierna. Invita quindi il relatore Mugnai ad illustrare il testo
unificato predisposto dal Comitato ristretto.
Il relatore MUGNAI (AN) evidenzia preliminarmente che il testo normativo in esame individua
un’apposita figura istituzionale, denominata garante dei minori, al quale sono attribuiti poteri di controllo, ispettivi, di intervento e di rappresentanza, poteri consultivi, promozionali e di informazione,
di analisi e di studio, nella prospettiva della piena valorizzazione delle esigenze connesse alla tutela
dei diritti dei minorenni, in attuazione dei principi enunciati dalle convenzioni internazionali emanate negli ultimi anni in materia di infanzia.
In particolare, il testo unificato approvato dal Comitato ristretto all’articolo 1 istituisce il garante
nazionale dei minori, salvaguardando l’indipendenza funzionale ed amministrativa dello stesso,
essenziale per il corretto ed efficace espletamento delle funzioni di protezione dei minori.
All’articolo 2 viene attribuito alle regioni il potere di istituire figure di garanti regionali, ai quali è
conferito il compito di svolgere la propria attività in piena autonomia, nell’ambito territoriale di
rispettiva competenza - articolo 2 comma 2 -.
Al fine di salvaguardare l’omogenea tutela dei diritti dei minori in ambito nazionale, viene attribuito al
garante nazionale un compito di coordinamento e di collaborazione funzionale con i garanti regionali, da
espletare attraverso un’apposita struttura organizzativa istituita presso i suoi uffici -articolo 2 comma 3.
La delicatezza ed il rilievo delle competenze attribuite al garante nazionale - prosegue il relatore hanno comportato la necessità di configurare requisiti rigorosi per la nomina dello stesso, incentrati
da una parte sulla specchiata moralità del candidato e dall’altra sulla specifica e comprovata esperienza e competenza dello stesso nelle materie inerenti alla difesa dei diritti dei minori e della famiglia - articolo 3 comma 1-.
Il regime delle incompatibilità, previsto al comma 2 dell’articolo 3, è volto ad evitare che l’espletamento
di eventuali attività lavorative o politiche da parte del soggetto a cui è attribuito l’incarico di garante
116
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
DAL PARLAMENTO
possa da una parte compromettere la continuità dell’operato dello stesso per la difesa dei minori e dall’altra diminuirne la piena indipendenza e imparzialità. In particolare, si stabilisce che la carica di
Garante dei minori è incompatibile con l’esercizio di qualsiasi incarico lavorativo subordinato, professionale o autonomo, prevedendo altresì che lo stesso garante non possa ricoprire cariche politiche, sindacali o associative. Qualora dipendente pubblico o privato il Garante, per tutta la durata del mandato,
è collocato in aspettativa senza assegni e non può conseguire promozioni se non per anzianità.
L’alto rilievo delle attività espletate dal garante ha reso opportuno l’attribuzione del potere di nomina dello stesso al Presidente della Repubblica, che lo sceglie tra una terna di nominativi, previamente individuati d’intesa dai Presidenti di Camera e Senato.
Il garante nazionale, il cui mandato dura quattro anni - ai sensi dell’articolo 5- può nominare quattro
collaboratori di comprovata esperienza e competenza, che possano assicurare adeguati standard di
efficienza all’ufficio direzionale del garante.
L’articolo 7 del testo unificato in esame - prosegue il relatore - attribuisce al garante tutti i poteri
necessari allo svolgimento delle proprie funzioni, tra i quali quelli ispettivi, di inchiesta, di sopralluogo, di interpello, e, nel corso di indagini inerenti al mancato rispetto di uno dei principi della Convenzione di New York sui diritti dell’Infanzia, quello di richiedere alle forze di polizia l’esecuzione
di ispezioni presso gli uffici della Pubblica Amministrazione.
La struttura amministrativa di cui il garante dispone consta di un organico di quaranta unità, composto da dipendenti dello Stato e di altre amministrazioni pubbliche, collocati fuori ruolo - ai sensi dell’articolo 8 comma 3-. Il personale distaccato presso il Garante nazionale dei minori conserverà il trattamento economico riconosciuto nelle amministrazioni di provenienza, mentre al titolare della carica
di garante nazionale viene riconosciuta una indennità di carica pari a quella spettante ai membri del
Senato della Repubblica. Ai garanti collaboratori di cui all’articolo 6 è riconosciuta una indennità pari
all’80 per cento dell’indennità spettante al Garante nazionale.
Il comma 4 dell’articolo 8 - prosegue il relatore - demanda l’individuazione della disciplina inerente
al funzionamento e all’organizzazione dell’ufficio ad un decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la solidarietà sociale, sentito il Garante medesimo.
Al Garante, al fine di salvaguardare e tutelare i bisogni, i diritti e gli interessi dei minori anche solo
temporaneamente presenti sul territorio nazionale, sono attribuite funzioni di vigilanza sulla attuazione dei principi inerenti i diritti e gli interessi dei minori sanciti dalla Costituzione della Repubblica, dalle Convenzioni Internazionali, dalle normative dell’Unione Europea e dalle leggi nazionali e
regionali, compiti di promozione dei diritti dei minori, poteri consultivi - rivolti al Parlamento, al
Governo o agli enti e che si sostanziano anche nell’espressione di un parere obbligatorio sul Piano
nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva e
su ogni altro strumento di politica nazionale per l’infanzia - poteri di segnalazione ad organismi internazionali di eventuali violazioni dei diritti dei minori, di analisi e monitoraggio sulla situazione dei
fanciulli - lettera f) - poteri di indirizzo verso le autorità competenti, da esprimere attraverso raccomandazioni, volte ad assicurare la conformità delle loro azioni e disposizioni al superiore interesse
dei minori, poteri di intervento sulle questioni attinenti ai minori trattate dagli organi legislativi ed
amministrativi, di promozione della partecipazione dei minori nelle questioni e decisioni che li riguardano, di cooperazione con tutti gli organismi nazionali ed internazionali, le associazioni, gli enti locali o funzionali che si occupano, anche incidentalmente, della promozione e della tutela dei diritti dei
minori, nonché con i servizi sociali, con le amministrazioni regionali e locali, e con tutte le associazioni e gli organismi che lo richiedano, al fine di avviare programmi di assistenza tecnica per il sostegno, il recupero e la tutela di minori in situazione di disagio, poteri di iniziativa presso gli organismi
di tutela dei diritti umani, volti a segnalare ogni presunta violazione dei diritti dei minori e poteri di
collaborazione con le università, per la promozione di corsi di laurea, scuole specialistiche, master,
insegnamenti, seminari, ricerche, studi, borse di studio e quant’altro possa servire alla diffusione della cultura dei diritti dei minori.
Al comma 2 dello stesso articolo 9 - prosegue il relatore - vengono individuate le funzioni di tipo
“istituzionale” del garante nazionale, il quale provvede ogni anno, alla convocazione dei garanti
regionali, al fine di confrontare le diverse esperienze e di coordinare le linee di azione per i biennio
successivo, partecipa alle riunioni dell’Osservatorio nazionale sull’infanzia e l’adolescenza e collabora con lo stesso e con il Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza di Firenze, esercita le funzioni previste dall’art. 12 della Convenzione Europea sull’esercizio
dei diritti dei fanciulli, è membro del Comitato interministeriale di coordinamento per la lotta alla
117
DAL PARLAMENTO
AIAF RIVISTA 3/2004
pedofilia costituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le pari opportunità, produce studi, rapporti e relazioni, provvedendo alla loro pubblicazione e diffusione presso i
principali organi di informazione ed infine presenta ogni due anni al Parlamento e al Governo una
relazione sulla propria attività, che contiene altresì proposte di iniziative da adottare per promuovere
e incrementare la tutela dei diritti dell’infanzia e il miglioramento delle condizioni dei minori.
L’articolo 10 del testo unificato in esame si sofferma sui poteri ispettivi ed investigativi del garante,
che prende in esame denunce, segnalazioni e reclami relativi a violazioni dei diritti di minori, pervenutegli sotto qualsiasi forma, si occupa dei casi di minori a rischio di violazione dei propri diritti o
vittime della violazione dei propri diritti, delle quali sia venuto a conoscenza, avvia attività investigative, inchieste e indagini necessarie ad accertare lo stato in cui versa un minore al fine di prevenire la lesione della sua posizione soggettiva, esercita poteri ispettivi, che può attivare, senza obbligo
di preavviso, in tutti i luoghi in cui siano ospitati dei minori, fra i quali gli istituti di accoglienza, di
educazione e scolastici pubblici o privati, le case famiglia, le comunità, i luoghi di detenzione e gli
ospedali, può chiedere tutte le informazioni riguardanti uno o più minori esistenti presso le pubbliche
amministrazioni, nonché ottenere copia di tutti i documenti o gli atti che riguardano situazioni relative ai diritti dei minori, può udire liberamente un minore anche senza la presenza degli esercenti la
potestà, la tutela o l’amministrazione di sostegno - previa emanazione di un provvedimento motivato
da notificarsi agli interessati - può verificare le condizioni e gli interventi relativi all’accoglienza e
all’inserimento dei minori stranieri anche non accompagnati.
L’articolo 11 - prosegue il relatore - inerisce ai poteri di intervento in giudizio e di rappresentanza
processuale del garante. Queste funzioni si sostanziano nella facoltà di rappresentare, in un giudizio
penale o amministrativo, gli interessi dei minori, o anche nei procedimenti giudiziari che abbiano ad
oggetto le condizioni di vita, il benessere, l’abitazione, lo stato e comunque la tutela di uno o più
minori. Il sopracitato articolo 11 legittima inoltre il garante ad intervenire, nell’interesse ed in rappresentanza dei minori e su segnalazione di chiunque vi abbia interesse o del Tribunale, nel corso di
procedure di separazioni giudiziali, nelle quali l’affidamento dei figli sia oggetto di contesa, attribuendo altresì allo stesso il potere di nominare, qualora risulti necessario nello svolgimento delle sue
funzioni, tutori, curatori e rappresentanti di un minore. Al garante viene conferita la facoltà di avviare tutte le azioni e le procedure ritenute necessarie per la tutela dei diritti di un minore, privilegiando
sempre, qualora possibile, la conciliazione bonaria dei conflitti. A tale figura spetta inoltre il compito di favorire, ove possibile ed in collaborazione con i Tribunali per i minorenni, la mediazione penale nei procedimenti in cui un minore sia parte.
L’articolo 12 contiene una disposizione di delega alle regioni, relativamente alla regolamentazione
dell’attività dei garanti regionali, mentre l’articolo 13 contempla poteri sostitutivi dell’Esecutivo, da
attivarsi nel caso in cui entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, il garante
regionale non sia stato istituito presso tutte le regioni.
L’articolo 14 - prosegue il relatore - istituisce presso il Garante Nazionale e presso ciascuno dei
Garanti regionali le Commissioni consultive del garante, i cui membri sono costituiti da tre rappresentanti delle associazione di tutela dei diritti dei minori più rappresentative.
Con l’articolo 15 viene istituita la Conferenza Nazionale dei Garanti, composta dal Garante nazionale e dai garanti regionali, nonché da dieci rappresentanti delle associazioni di protezione dei minori
maggiormente rappresentative, designati dall’Osservatorio nazionale sull’infanzia e l’adolescenza. La
Conferenza individua le linee generali di attuazione dei diritti dei minori, verifica il grado di attuazione dei diritti degli stessi a livello nazionale, esegue il censimento delle risorse istituzionali e del
volontariato e ne verifica la capacità d’interazione, introduce forme di costante scambio di dati e di
informazioni sulla condizione dei minori, predispone gli elenchi delle persone idonee e disponibili ad
assumere la funzione di tutori e curatori speciali dei minori, curandone altresì la formazione continua
e l’aggiornamento, elabora ed analizza proposte di legge che saranno poi presentate al Parlamento o
al Governo dal Garante nazionale, esprime parare obbligatorio sulla relazione biennale prevista dalla
lettera f) del secondo comma dell’art. 9 della presente legge.
Il PRESIDENTE propone di assumere come testo base, per il prosieguo dei lavori, il testo unificato predisposto dal Comitato ristretto, illustrato dal relatore Mugnai.
La Commissione conviene con tale proposta.
Il seguito dell’esame è quindi rinviato.
118
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
DAL PARLAMENTO
TESTO UNIFICATO PREDISPOSTO DAL COMITATO RISTRETTO
PER I DISEGNI DI LEGGE NN. 1916, 2461, 2469, 2649 e 2703
Istituzione del Garante dei minori
Art. 1 - Istituzione del Garante dei minori
1. In attuazione dei principi della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre
1989, resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e della Convenzione Europea sull’esercizio
dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e resa esecutiva ai sensi della legge 20
marzo 2003 n. 77, è istituito il Garante nazionale dei minori (d’ora innanzi Garante nazionale).
2. Il Garante nazionale esercita l’attività di difesa dei diritti dei minorenni, avendo quale regola il
loro superiore interesse. Svolge la sua attività su tutto il territorio nazionale, in piena autonomia di
giudizio ed indipendenza funzionale ed amministrativa e non è soggetto ad alcuna forma di controllo gerarchico.
Art. 2 - Garanti dei minori regionali
1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione delle Convenzioni internazionali citate all’articolo 1 ed in conformità con quanto disposto dalla presente legge, istituiscono
con proprie leggi i garanti regionali dei minori, reperendo nei propri bilanci i fondi necessari a
garantire le loro attività.
2. I Garanti dei minori istituiti ai sensi del primo comma operano, con riferimento al territorio di
rispettiva competenza, in piena autonomia e senza vincoli di subordinazione gerarchica, mantenendo
un rapporto paritetico di consultazione, di coordinamento e di collaborazione con il garante nazionale dei minori e con gli altri garanti regionali.
3. Il Garante nazionale provvede ad instaurare rapporti di collaborazione funzionale con i garanti
regionali, finalizzati all’organizzazione dell’assistenza, difesa e promozione dei diritti dei minori in
maniera omogenea sul territorio nazionale. A tal fine presso i suoi uffici è istituita una segreteria per
il coordinamento delle azioni e delle ricerche dei garanti dei minori.
Art. 3 - Requisiti per la nomina del Garante dei minori
1. Il Garante nazionale dei minori è scelto fra persone di specchiata moralità che siano in possesso
di specifica e comprovata esperienza e competenza nelle materie inerenti la difesa dei diritti dei
minori e della famiglia.
2. La carica di Garante dei minori è incompatibile con l’esercizio di qualsiasi incarico lavorativo
subordinato, professionale o autonomo, e il Garante non può ricoprire cariche politiche, sindacali o
associative. Qualora dipendente pubblico o privato il Garante, per tutta la durata del mandato, è collocato in aspettativa senza assegni e non può conseguire promozioni se non per anzianità.
3. Il Garante nominato dispone di trenta giorni per risolvere ogni eventuale situazione di incompatibilità esistente o insorta durante il suo mandato.
4. Il Presidente della Repubblica, con proprio decreto, dichiara l’avvenuta decadenza del Garante
per mancata osservanza del disposto di cui al comma precedente.
5. Le regioni stabiliscono con legge i requisiti per la nomina dei garanti regionali, nel rispetto dei
principi stabiliti nei commi precedenti.
Art. 4 - Nomina del Garante
Il Garante nazionale è nominato con Decreto dal Presidente della Repubblica, scelto tra tre nominativi sottopostigli d’intesa dai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Art. 5 - Durata del mandato del Garante
1. Il Garante nazionale ha un mandato di quattro anni, rinnovabile una sola volta.
2. Le regioni stabiliscono con legge la durata del mandato dei garanti regionali.
3. Il Garante nazionale può essere revocato, per gravi e comprovati motivi di ordine morale, con
decreto del Presidente della Repubblica.
Art. 6 - Ufficio del Garante nazionale
1. Il Garante nazionale nomina, con atto motivato, entro trenta giorni dall’insediamento, quattro collaboratori, di comprovata esperienza e competenza, che compongono, con lui, l’ufficio direzionale
119
DAL PARLAMENTO
AIAF RIVISTA 3/2004
del Garante. Ai garanti collaboratori possono essere affidati specifici settori di competenza dell’Ufficio direzionale. Nella nomina dei collaboratori il Garante cura e garantisce che siano assicurate le
competenze giuridiche, psicologiche, sociologiche, pedagogiche e sanitarie all’interno dell’ufficio
direzionale.
2. I componenti dell’ufficio direzionale decadono con le dimissioni o la cessazione del mandato del
Garante nazionale, pur restando temporaneamente in carica fino alla nomina del nuovo Garante.
3. Per i collaboratori valgono le medesime incompatibilità e condizioni di eleggibilità stabilite per il
Garante nazionale.
Art. 7 - Poteri del Garante Nazionale
1. Al Garante nazionale sono attribuiti dalla presente legge tutti i poteri necessari allo svolgimento
delle proprie funzioni, tra i quali quelli ispettivi, di inchiesta, di sopralluogo, di interpello, e, nel corso di indagini inerenti il mancato rispetto di uno dei principi della Convenzione di New York sui diritti dell’Infanzia, quello di richiedere alle forze di polizia l’esecuzione di ispezioni presso gli uffici della Pubblica Amministrazione.
2. Il Garante può avvalersi, per lo svolgimento delle proprie funzioni, degli uffici e del personale dei
servizi sociali dello Stato, delle Regioni e degli enti locali.
Art. 8 - Organizzazione amministrativa del Garante Nazionale
1. Al Garante nazionale è riconosciuta una indennità di carica pari a quella spettante ai membri del
Senato della Repubblica. Ai garanti collaboratori di cui all’art. 6 è riconosciuta una indennità pari
all’80 per cento dell’indennità spettante al Garante nazionale.
2. Il Garante nazionale ha sede in Roma.
3. Alle dipendenze del Garante nazionale è posta una struttura amministrativa composta da dipendenti dello Stato e di altre amministrazioni pubbliche, collocati fuori ruolo, determinato nella misura di quaranta unità. Il Garante nazionale dispone altresì di una segreteria tecnica, formata da non
più di 15 persone esperte nelle materie di cui alle attività dell’ufficio, assunte con contratto a termine di diritto privato.
4. L’organizzazione ed il funzionamento dell’ufficio, della segreteria tecnica e della struttura amministrativa del Garante nazionale sono stabiliti, entro sei mesi dalla nomina del primo Garante nazionale, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su
proposta del Ministro per la solidarietà sociale, sentito il Garante medesimo.
5. Il personale distaccato presso il Garante nazionale dei minori conserva il trattamento economico
riconosciuto nelle amministrazioni di provenienza.
6. Ai dipendenti pubblici e privati della struttura amministrativa del Garante nazionale è riconosciuta la qualifica di pubblici ufficiali; sono vincolati dal segreto d’ufficio sulla documentazione da
loro visionata e sulle situazioni personali di cui vengono a conoscenza nello svolgimento delle loro
funzioni.
7. Le spese di funzionamento dell’ufficio del Garante nazionale, nonché quelle della sua struttura
amministrativa e tecnica sono a carico del bilancio dello Stato.
Art. 9 - Funzioni pubbliche del Garante dei minori
1. Al Garante, al fine di salvaguardare e tutelare i bisogni, i diritti e gli interessi dei minori anche
solo temporaneamente presenti sul territorio nazionale, sono attribuite le seguenti funzioni, che esercita nell’ambito territoriale di propria competenza:
a) vigilare sulla attuazione dei principi inerenti i diritti e gli interessi dei minori sanciti dalla Costituzione della Repubblica, dalle Convenzioni Internazionali, dalle normative dell’Unione Europea e
dalle leggi nazionali e regionali;
b) favorire la diffusione e la promozione dei diritti dei minori sviluppando la conoscenza dei diritti e
dei principi indicati dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dei suoi Protocolli opzionali;
c) fornire consulenze e pareri al Parlamento, al Governo o agli enti che amministrano il territorio di
sua competenza, circa le iniziative anche legislative, gli atti e le decisioni che possono influire sui
diritti dell’infanzia;
d) esprimere un parere motivato obbligatorio sul Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva e su ogni altro strumento di politica nazionale per l’infanzia;
e) segnalare al Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’Infanzia istituto dalla Convenzione di New
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SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
DAL PARLAMENTO
York del 20 novembre 1989, ogni violazione dei diritti dei minori avvenuta nel territorio nazionale;
f) raccogliere dati e avviare progetti di ricerca sulla situazione dei minori e la tutela dei loro diritti;
g) inoltrare raccomandazioni ad ogni autorità competente, al fine di assicurare la conformità delle
loro azioni e disposizioni al superiore interesse dei minori;
h) intervenire sulle questioni attinenti i minori trattate dagli organi legislativi ed amministrativi, promuovendo emendamenti e riforme all’esclusivo fine di armonizzare la legislazione del territorio di
sua competenza, le politiche e le prassi amministrative nazionali e locali, con le convenzioni sui diritti dell’infanzia;
i) promuovere la partecipazione dei minori nelle questioni e decisioni che li riguardano;
j) mantenere costanti rapporti di consultazione e collaborazione con tutti gli organismi nazionali ed
internazionali, le associazioni, le ONG e gli enti locali o funzionali che si occupano, anche incidentalmente, della promozione e della tutela dei diritti dei minori;
k) cooperare con i servizi sociali, con le amministrazioni regionali e locali, e con tutte le associazioni e gli organismi che lo richiedano, al fine di avviare programmi di assistenza tecnica per il sostegno, il recupero e la tutela di minori in situazione di disagio;
l) ricorrere alle Commissioni e ai Tribunali per la tutela dei diritti umani al fine di segnalare ogni
presunta violazione dei diritti dei minori;
m) promuovere con le Università e gli Istituti di ricerca pubblici e privati, corsi di laurea, scuole specialistiche, master, insegnamenti, seminari, ricerche, studi, borse di studio e quant’altro possa servire alla diffusione della cultura dei diritti dei minori.
2. Il Garante nazionale:
a) provvede ogni anno alla convocazione dei garanti regionali, al fine di confrontare le diverse esperienze e di coordinare le linee di azione per il biennio successivo;
b) partecipa alle riunioni dell’Osservatorio nazionale sull’infanzia e l’adolescenza e collabora con
lo stesso e con il Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza di
Firenze;
c) esercita le funzioni previste dall’art. 12 della Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei
fanciulli;
d) è membro del Comitato interministeriale di coordinamento per la lotta alla pedofilia (CICLOPE)
costituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le pari opportunità;
e) produce studi, rapporti e relazioni, provvedendo alla loro pubblicazione e diffusione presso i principali organi di informazione;
f) presenta ogni due anni al Parlamento e al Governo una relazione sulla propria attività, che contiene altresì proposte di iniziative da adottare per promuovere e incrementare la tutela dei diritti dell’infanzia e il miglioramento delle condizioni dei minori.
Art. 10 - Funzioni di indagine, ispettive e di controllo
Il Garante, nell’interesse dei minori, dispone dei poteri necessari per svolgere le seguenti attività:
a) prendere in esame denunce, segnalazioni e reclami relativi a violazioni dei diritti di minori o relative a minori in situazione di rischio di violazione dei propri diritti, pervenutegli sotto qualsiasi forma o presentategli direttamente da qualsiasi persona fisica, sia maggiorenne che minorenne, o da
qualsiasi ente o persona giuridica, provvedendo altresì a segnalare i casi ai garanti regionali territorialmente competenti per le determinazioni necessarie;
b) prendere in esame, al fine di provvedere alla loro soluzione o alla segnalazione agli uffici competenti, situazioni di minori a rischio di violazione dei propri diritti, o vittime della violazione dei propri diritti, delle quali sia venuto a conoscenza;
c) avviare e svolgere investigazioni, inchieste e indagini necessarie ad accertare lo stato in cui versa un minore, al fine di prevenirne la violazione dei diritti;
d) ispezionare, senza obbligo di preavviso, tutti i luoghi in cui siano ospitati dei minori, fra i quali
gli istituti di accoglienza, di educazione e scolastici pubblici o privati, le case famiglia, le comunità,
i luoghi di detenzione e gli ospedali, ed ottenere da questi, senza indugio e alcun onere economico,
tutta la documentazione di cui faccia richiesta;
e) chiedere tutte le informazioni riguardanti uno o più minori esistenti presso le pubbliche amministrazioni, organismi, enti o persone giuridiche nonché ottenere senza indugio copia di tutti i documenti o gli atti che riguardano situazioni relative ai diritti dei minori;
f) udire liberamente un minore. Qualora ritenga di dover operare senza la presenza degli esercenti la
potestà, la tutela o l’amministrazione di sostegno, il garante emette un provvedimento motivato da
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DAL PARLAMENTO
AIAF RIVISTA 3/2004
notificarsi agli interessati. Qualora il minore ne faccia richiesta egli può essere assistito da un legale o da una persona di sua fiducia;
g) verificare le condizioni e gli interventi relativi all’accoglienza e all’inserimento dei minori stranieri anche non accompagnati.
2. Il Garante, al fine di tutelare i diritti di un minore, può disporre, attraverso i funzionari del proprio ufficio, ovvero anche attraverso i funzionari dei servizi sociali degli enti locali, che vengano
effettuate indagini e ispezioni.
Art. 11 - Intervento in giudizio del garante e suoi poteri di rappresentanza processuale
1. Il garante dei minori, nel territorio di propria competenza, può esercitare le seguenti attività:
a) rappresentare, in un giudizio penale o amministrativo, gli interessi dei minori;
b) rappresentare gli interessi dei minori nel corso di procedimenti civili, penali e amministrativi, che
abbiano ad oggetto le condizioni di vita, il benessere, l’abitazione, lo stato e comunque la tutela di
uno o più minori. Ciò può avvenire anche indipendentemente dall’azione intrapresa dai genitori, in
quei procedimenti nei quali l’interesse del minore possa essere in contrasto o in concorrenza con
quello da essi rappresentato;
c) intervenire, nell’interesse ed in rappresentanza dei minori e su segnalazione di chiunque vi abbia
interesse o del Tribunale, nel corso di separazioni giudiziali nel quale l’affidamento dei figli sia
oggetto di contesa di controversa soluzione;
d) nominare, quando risulta necessario nello svolgimento delle sue funzioni, tutori, curatori e rappresentanti di un minore;
e) avviare tutte le azioni e le procedure ritenute necessarie per la tutela dei diritti di un minore, privilegiando sempre, qualora possibile, la conciliazione bonaria dei conflitti. Qualora esse possano avere
implicazioni giudiziarie, tali procedure devono svolgersi in collaborazione con le autorità competenti;
f) favorire, ove possibile ed in collaborazione con i Tribunali per i minorenni, la mediazione penale
nei procedimenti in cui un minore sia parte.
Art.12 - Delega alle regioni
1.Le regioni, nel regolamentare l’attività dei garanti di propria competenza, determineranno:
a) l’articolazione territoriale della sede del garante regionale;
b) l’organizzazione degli uffici del garante;
c) i requisiti professionali del personale addetto agli uffici del garante, prevedendo anche forme di
formazione ed aggiornamento continuativo nelle materie di competenza del garante stesso;
d) le modalità di funzionamento degli uffici e gli orari minimi di apertura al pubblico degli stessi;
e) i compensi per il garante regionale;
f) i procedimenti di nomina del garante regionale.
Art. 13 - Poteri sostitutivi
1. Qualora, decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, il garante non sia
stato istituito presso tutte le regioni, il Presidente del Consiglio dei Ministri, provvede ad assegnare
alla regione inadempiente un termine di tre mesi per provvedere.
2. Decorso inutilmente il termine ultimo di cui al comma precedente, il Governo, sentito il presidente
della regione inadempiente, è delegato ad emanare entro i tre mesi successivi, uno o più decreti legislativi per l’istituzione del Garante regionale nel rispetto dei principi delineati dalla presente legge.
3. In caso di esercizio del potere sostitutivo le disposizioni resteranno in vigore fino alla data di
entrata in vigore della legge regionale.
Art. 14 - Commissione consultiva del Garante
1. Presso il Garante Nazionale e presso ciascuno dei Garanti regionali sono istituite le Commissioni
consultive del garante.
2. Sono membri della Consulta tre rappresentanti delle associazioni di tutela dei diritti dei minori
maggiormente rappresentative.
3. La composizione è stabilita dal Garante con proprio regolamento da emettersi entro sei mesi dalla prima nomina.
4. La Commissione, che si riunisce almeno una volta l’anno, ha il compito di esprimere pareri, consulenze e suggerimenti nell’interesse dei minori al fine di migliorare l’attività del garante.
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SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
DAL PARLAMENTO
Art. 15 - Conferenza Nazionale dei Garanti
1. È istituita la Conferenza nazionale dei Garanti dei minori, con sede presso il Garante nazionale.
2. La Conferenza è composta dal Garante nazionale e dai garanti regionali.
3. Sono membri della Conferenza dieci rappresentanti delle associazioni di protezione dei minori
maggiormente rappresentative, designati dall’Osservatorio nazionale sull’infanzia e l’adolescenza.
4. La Conferenza svolge le seguenti funzioni:
a) individua le linee generali di attuazione dei diritti dei minori;
b) verifica il grado di attuazione dei diritti dei minori a livello nazionale;
c) esegue il censimento delle risorse istituzionali e del volontariato e ne verifica la capacità d’interazione, anche individuando specifiche ed interessanti forme di sperimentazione;
d) individua forme di costante scambio di dati e di informazioni sulla condizione dei minori;
e) predispone gli elenchi delle persone idonee e disponibili ad assumere la funzione di tutori e curatori speciali dei minori, curandone altresì la formazione continua e l’aggiornamento;
f) elabora ed analizza proposte di legge che saranno poi presentate al Parlamento o al Governo dal
Garante nazionale ai sensi dell’art. 9 comma 1 lettera h);
g) esprime parere obbligatorio sulla relazione biennale prevista dalla lettera f) del secondo comma
dell’art. 9 della presente legge.
Art. 16 - Copertura finanziaria
1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in 40 milioni di Euro annui, si
provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità revisionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.
2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni.
PERICOLOSA E NON CONDIVISIBILE L’ATTRIBUZIONE AL GARANTE DEI MINORI DI POTERI DI
INTERVENTO GIUDIZIARIO, PER RAPPRESENTARE IL MINORE, IN SOSTITUZIONE DEI GENITORI
Il testo unificato del ddl in materia di Garante dei minori, approvato dalla Commissione infanzia del Senato attribuisce al Garante
una molteplicità di poteri e compiti, in diversi ambiti… o meglio in tutti gli ambiti possibili… un potere decisamente eccessivo!
Concordo con Livia Pomodoro, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Milano, che in occasione di un incontro a Milano su
questo tema, alla presenza dell’On.le Antonino Caruso, Presidente della Commissione Giustizia del Senato, ha affermato che “non
giova a nessuno continuare a parlare di difensore dei minori, curatore dei minori e garante dei minori, se non ci indicano le competenze di ciascuno e in che modo potrebbero davvero aiutare il minore”, e se è vero che “il minore nel processo ci deve essere, è nel processo che vanno tutelati i suoi diritti, mentre l’aiuto al minore deve essere assicurato dal welfare”.
Il testo unificato invece riconosce al Garante (che “svolge la sua attività su tutto il territorio nazionale, in piena autonomia di giudizio ed indipendenza funzionale ed amministrativa e non è soggetto ad alcuna forma di controllo gerarchico”) anche funzioni
processuali, potendo persino costituirsi parte civile in procedimenti penali che abbiano, quale oggetto, reati compiuti contro uno
o più minori; nominare tutori e curatori di minori; conferire incarichi di difesa processuale dei minori (anche se non vi è stata
limitazione della potestà genitoriale!); intervenire in procedimenti civili che abbiano ad oggetto i diritti, le condizioni di vita, il
benessere, lo stato e la tutela di uno o più minori, qualora i genitori o gli aventi diritto non abbiano esercitato l’azione, ovvero
qualora l’interesse del minore sia in possibile contrasto con quello dei genitori (ma chi lo stabilisce?); intervenire, nell’interesse
ed in rappresentanza dei minori e su segnalazione di chiunque vi abbia interesse, nei giudizi di separazione e divorzio giudiziali nei quali l’affidamento dei figli sia oggetto di contesa (inammissibile ingerenza nella vita delle famiglie, su segnalazione di generici terzi estranei… a salvaguardia di chi? Del minore? O non piuttosto di un concetto di famiglia perfetta-soggetto superpartes che
annienta anche i diritti dei singoli e la potestà dei genitori?).
Decisamente troppo… Urge chiarezza e un richiamo ai confini tracciati dalla Costituzione tra le competenze e i poteri della pubblica amministrazione e quelli attribuiti alla magistratura, ricordando che le limitazioni dei diritti e delle libertà dei cittadini, e della potestà genitoriale, spettano, laddove sussistano i gravi motivi previsti dalla legge, esclusivamente all’autorità
giudiziaria
Milena Pini
123
DAL PARLAMENTO
IL GARANTE DEI MINORI
E LA POSSIBILITÀ
DI RAPPRESENTANZA
DEI MINORI
ETTORE
BUCCIERO*
L
a nascita del nuovo istituto del garante dei
minori sta occupando le attività della
Commissione da me presieduta.
È stata mia intenzione fin dal momento in cui ho
presentato, insieme al Collega Antonino Caruso,
un disegno di legge in materia, evitare la nascita
di un istituto prettamente politico, dai compiti e
con un ruolo di mera rappresentanza politica
degli interessi dei minori.
La discussione che è nata nei mesi scorsi in Commissione Infanzia del Senato e nei convegni a cui
ho preso parte mi ha convinto che non dovevamo
fermarci ad un garante di facciata, ma dovevamo
cogliere l’occasione per provare a ridisegnare la
presenza del minore e dei suoi interessi non solo
nei palazzi della politica, ma anche nei luoghi
ove si decide il futuro di singoli bambini, la cui
voce resta troppo spesso inascoltata.
IL TESTO UNIFICATO
DEL DDL IN MATERIA DI
GARANTE DELL’INFANZIA. UNA
PRIMA ANALISI
MARCO
SCARPATI*
124
L
a predisposizione, da parte della Commissione infanzia del Senato (Relatore il senatore Mugnai) del testo unificato del ddl in
materia di Garante dell’infanzia, ha comportato
un importante salto di qualità nel dibattito sulla
difesa dei diritti dei minori.
La base del disegno risente grandemente del testo
AIAF RIVISTA 3/2004
È proprio per questo che, anche a seguito degli
incontri con alcuni garanti stranieri che ci hanno
stimolato nell’ipotizzare la possibilità di un intervento processuale dei garanti, abbiamo deciso di
prevedere nella legge che il garante possa assumere ruoli di rappresentanza dei minori nei processi che li riguardano.
Quello che stiamo andando a disegnare (e che si
sta delineando nel testo unificato predisposto dal
collega senatore Mugnai e approvato dal comitato ristretto) è un garante di assoluta indipendenza, libero di rappresentare in ogni sede l’interesse dei minori e che, se del caso, può rappresentare tale interesse anche nelle sedi giudiziarie ove
esso rischia di essere vulnerato.
Un garante che rappresenti non solo l’interesse
generale dei minori, ma, proprio nella corretta
interpretazione della Convenzione di New York
del 1989, possieda le capacità di dare corpo a tale
interesse anche nei casi di singoli minori la cui
voce, oggi, è spesso assente nei procedimenti che
li riguardano.
Una scommessa certamente difficile e che chiede
un impegno non solo della politica, ma anche di
ognuno degli attori del processo, dal giudice
all’avvocato. È per questo che spero che i colleghi
avvocati, ed in particolare modo i colleghi dell’AIAF, vogliano aiutarci con critiche e suggerimenti, nelle scelte legislative che ci attendono.
* Presidente della Commissione speciale infanzia
del Senato della Repubblica
del ddl a firma Bucciero e Antonino Caruso, presidenti rispettivamente delle Commissioni Infanzia e Giustizia del Senato, pur contenendo gran
parte delle prerogative che gli altri DDL avevano
prospettato.
Il Garante (la scelta di questo nome non è dovuta
solo al fatto che esso appare nella maggioranza
dei disegni di legge presentati, ma piuttosto dalla
volontà di delineare una figura nuova, difensore
sia dei diritti dei minore collettivamente considerati che dell’interesse di ogni singolo minore) si
contraddistingue per una presenza sia nazionale
che regionale. La scelta territoriale è stata certamente dettata dalla necessità di permettere che il
Garante possa difendere i diritti dei minori in
maniera capillare, attraverso strutture territoriali
fra loro autonome e indipendenti, ma ugualmente
collegate e coordinate.
Al Garante nazionale è riconosciuta ampia autonomia sia funzionale che territoriale e non è
gerarchicamente sottoposto ad alcun organo dello
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
Stato. È nominato dal Presidente della Repubblica, che lo sceglie sulla base di una rosa di tre
nomi segnalatigli dai Presidenti dei due rami del
Parlamento e dura in carica per quattro anni, rinnovabili una sola volta. La persona nominata deve
avere alti e riconosciuti requisiti professionali
nella materia della difesa dei diritti dei minori e
non può ricoprire incarichi politici di alcun tipo.
Egli appena nominato, dovrà a sua volta designare i membri dell’ufficio direzionale del garante
(complessivamente altre 4 persone) avendo attenzione a coprire, con tali nomi, tutti i campi di attività del suo ufficio (e cioè quello giuridico, medico, psicologico, pedagogico e sociologico).
La grossa novità sta nei poteri che gli vengono
assegnati.
Egli ha poteri ispettivi, di inchiesta, di sopralluogo, di interpello, e, anche se limitatamente alle
indagini inerenti il mancato rispetto di uno dei
principi della Convenzione di New York sui diritti dell’Infanzia, quello di richiedere alle forze di
polizia l’esecuzione di ispezioni presso gli uffici
della Pubblica Amministrazione.
Inoltre al Garante sono riconosciute svariate funzioni di intervento nella predisposizione di atti
normativi, di atti amministrativi e, in generale,
gli sono affidati poteri di controllo ed ispettivi
nella materia dei diritti dei minori, oltre a poter
organizzare corsi universitari e a stimolare la formazione permanente nei temi che caratterizzano
la sua attività.
Di grosso interesse anche le funzioni processuali
che sono riconosciute a tutti i garanti, nell’ambito territoriale di competenza. Durante le audizioni parlamentari, infatti, i garanti stranieri uditi
avevano sottolineato l’importanza di assegnare al
garante anche tali funzioni, proprio per evitare
che le sue capacità di intervento si scontrassero
con la necessità di dover contare sulle collaborazioni con organismi che non sempre, nella pratica, hanno voglia e capacità di coordinarsi con lui.
Da questo una serie di funzioni che portano a
delineare un nuovo ruolo del minore nei processi
che lo riguardano.
Se la prima stesura destava alcune perplessità
dovute alla vaghezza delle previsioni, a correggere tale possibile errore ha pensato il Presidente
della Commissione, sen. Bucciero che ha presentato alcuni emendamenti che delineano con maggiore precisione il ruolo processuale del Garante
(soprattutto avendo riguardo ai procedimenti
civilistici).
Innanzitutto il garante può impugnare, avanti alla
giustizia amministrativa, provvedimenti ed atti
della Pubblica Amministrazione che possono
ledere i diritti e gli interessi dei minori, e costituirsi parte civile in procedimenti penali che
DAL PARLAMEMTO
abbiano, quale oggetto, reati compiuti contro uno
o più minori. Se necessario alle sue funzioni egli
può nominare tutori e curatori di minori.
Ancora: il DDL prevede di conferire al Garante
anche funzioni di difesa processuale dei minori.
Egli può intervenire, nell’interesse dei minori,
nel corso di procedimenti civili, che abbiano ad
oggetto i diritti, le condizioni di vita, il benessere, lo stato e la tutela di uno o più minori, qualora i genitori o gli aventi diritto non abbiano esercitato l’azione, ovvero qualora l’interesse del
minore sia in possibile contrasto con quello dei
genitori. Il DDL specifica che qualora sia prevista dalla legge la costituzione in giudizio del
minore con un proprio difensore, al garante è
possibile il solo intervento ad adiuvandum.
Il Garante, nell’interesse ed in rappresentanza dei
minori e su segnalazione del Tribunale o di
chiunque vi abbia interesse, può anche intervenire nel corso di separazioni giudiziali nel quale
l’affidamento dei figli sia oggetto di contesa di
controversa soluzione.
Il DDL prevede la costituzione di organi consultivi e di coordinamento dell’attività dei garanti
oltre alla possibilità di esercizio di poteri sostitutivi da parte del Governo nazionale nel caso di
inerzia delle regioni nella costituzione degli
organismi di garanzia regionali.
Fabio Lo Surdo,
* Presidente ECPAT-Italia
Underground
(dedicato a Italgas,
Telecom, Fastweb
etc…)
chine e oro in foglia
su carta, cm.58x77
2004
125
DAL PARALAMENTO
AIAF RIVISTA 3/2004
DIFESA D’UFFICIO NEI GIUDIZI CIVILI
E MINORILI
In data 15 luglio 2004 la Commissione Giustizia della Camera ha approvato il DDL 4294/A sulla difesa di ufficio nei giudizi civili e minorili e modifica del 336 e 337 c.c.
In data 16 luglio è stato trasmesso al Senato, e assegnato (S. 3048) alle Commissioni riunite 2ª (Giustizia), Commissione speciale in materia d’infanzia e di minori in sede referente
SENATO DELLA REPUBBLICA
XIV LEGISLATURA
N. 3048
DISEGNO DI LEGGE
presentato dal Ministro della giustizia (CASTELLI)
(V. Stampato Camera n. 4294)
approvato dalla Camera dei deputati il 15 luglio 2004
Trasmesso dal Presidente della Camera dei deputati alla Presidenza
il 16 luglio 2004
Disciplina della difesa d’ufficio nei giudizi civili minorili e
modifica degli articoli 336 e 337 del codice civile
in materia di procedimenti davanti al tribunale per i minorenni
Art. 1.
1. Nei procedimenti di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, nei quali siano interessate più parti private, queste non possono stare in giudizio se non con il ministero o l’assistenza di un avvocato. Nell’avviso di cui al comma 2 dell’articolo 10 della legge 4 maggio 1983,
n. 184, e successive modificazioni, oltre l’invito a nominare un difensore di fiducia e l’avvertimento
che in mancanza il difensore sarà nominato d’ufficio, deve essere contenuta una succinta informazione in ordine alle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato previste dagli articoli 74, 76 e 77 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002,
n. 115, con l’avvertenza che, ove non ricorrano le
condizioni per tale ammissione, le parti hanno
L’AIAF esprime una valutazione fortemente critica del DDL 4294/A sulla
difesa di ufficio nei giudizi civili e minorili e modifica del 336 e 337 c.c., l’obbligo di retribuire il difensore nominato d’uffiapprovato in data 15 luglio 2004 dalla Commissione Giustizia della Camera. cio. Con lo stesso atto è nominato al minore un
I commenti critici al DDL espressi dall’AIAF, dal Prof. Avv. Andrea Proto curatore speciale che lo rappresenta, a titolo graPisani, Ordinario di Diritto Processuale Civile presso l’Università di Firen- tuito, per ogni grado e per ogni fase del giudizio e
ze, dal Dott. Gustavo Sergio, Procuratore della Repubblica presso il Tribuper tutte le eventuali procedure connesse.
nale per i minorenni di Venezia, dal Prof. Avv. Alberto Figone, docente
all’Università di Genova, sono pubblicati sul Quaderno n.2/04, pubblica- 2. Le parti private possono chiedere al giudice
to come supplemento al n° 2/2004 della Rivista, che riporta gli Atti del competente, anche al fine di promuovere i giudizi di
Convegno tenutosi a Cagliari sul tema “IL GIUDICE E LA PERSONA: fami- cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive
glia, individui, relazioni”, aggiornato con l’esame e le valutazioni critiche modificazioni, l’ammissione al patrocinio a spese
dei più recenti testi di proposte legislative in materia di famiglia e minori.
dello Stato. Il giudice decide ai sensi dell’articolo
126
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
DAL PARLAMENTO
74, comma 2, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002,
n. 115.
3. La scelta del difensore d’ufficio è effettuata tra gli avvocati iscritti in uno specifico elenco predisposto dal locale Consiglio dell’Ordine degli avvocati, ha efficacia dal momento della nomina e viene meno automaticamente con la comunicazione della parte al giudice della nomina di un difensore
di fiducia.
4. La nomina del difensore d’ufficio è valida per ogni grado e per ogni fase del giudizio e per tutte le
eventuali procedure, comunque connesse.
5. Per quanto non previsto dal presente articolo si applicano le disposizioni stabilite dal testo unico
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni, in quanto compatibili.
Art. 2.
1. L’articolo 336 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 336. (Forma della domanda, udienza di comparizione e provvedimenti urgenti). – I provvedimenti di cui agli articoli precedenti sono chiesti con ricorso al giudice competente. Il ricorso può
essere proposto anche verbalmente innanzi al presidente del tribunale, il quale provvede a fare redigere processo verbale. Il ricorso o il processo verbale deve contenere:
1) l’indicazione dell’ufficio giudiziario;
2) il nome, il cognome, la residenza o il domicilio eletto del ricorrente nella circoscrizione del giudice adito;
3) l’oggetto della domanda, con concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto che ne costituiscono fondamento;
4) l’indicazione dei mezzi di prova, e in particolare l’indicazione del nome e del cognome delle persone informate dei fatti, nonché dei documenti che si offrono in comunicazione.
Il presidente, entro tre giorni dal deposito del ricorso o dalla redazione del processo verbale, nomina il giudice istruttore, fissa l’udienza di comparizione delle parti davanti a questo e nomina al minore che ne sia privo un curatore speciale che lo rappresenta, a titolo gratuito, in ogni stato e grado del
giudizio e in ogni eventuale procedura comunque connessa.
Tra la data del deposito del ricorso o della redazione del processo verbale e l’udienza di comparizione non devono intercorrere più di quaranta giorni. Su istanza motivata del ricorrente, detto termine può essere ridotto alla metà.
Il ricorso o il processo verbale, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato ai controinteressati, entro cinque giorni dalla data di pronuncia del decreto.
Tra la data di notificazione e quella dell’udienza di comparizione deve intercorrere un termine non
minore di quindici giorni.
In caso di urgenza, anche anteriormente alla proposizione del ricorso, il presidente può adottare
provvedimenti temporanei, immediatamente esecutivi tenuto conto dell’interesse del minore.
Con il decreto mediante il quale fissa la comparizione delle parti ai sensi dell’articolo 669-sexies del
codice di procedura civile, il presidente nomina un curatore speciale del minore, a cui il decreto è
comunicato dalla cancelleria. Il curatore speciale rappresenta il minore a titolo gratuito».
Art. 3.
1. L’articolo 337 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337. (Legittimazione e difesa). – La legittimazione attiva spetta al pubblico ministero, ai genitori, ai parenti entro il quarto grado e alle persone che hanno rapporti significativi con il minore.
La legittimazione passiva spetta al pubblico ministero, ai genitori, al minore e alle persone che hanno rapporti significativi con il minore.
Le parti private non possono stare in giudizio se non con il ministero o con l’assistenza di un avvocato.
Le parti private possono chiedere, in qualsiasi momento, anche prima della proposizione del ricorso,
al giudice competente, l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Qualora il ricorrente non abbia nominato un difensore di fiducia, il presidente, con il provvedimento
di cui al secondo comma dell’articolo 336, nomina un difensore d’ufficio.
Con successivo decreto il presidente nomina ai controinteressati un difensore d’ufficio qualora gli
stessi, costituitisi, non abbiano provveduto alla nomina di un difensore di fiducia.
Contestualmente alla nomina del difensore d’ufficio, il presidente informa le parti, a pena di nullità,
delle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, previste dagli articoli 76 e 77 del
127
DAL PARLAMENTO
AIAF RIVISTA 3/2004
testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, avvertendole
che, ove non ricorrano le condizioni per tale ammissione, hanno l’obbligo di retribuire il difensore
nominato d’ufficio.
La scelta del difensore d’ufficio è effettuata tra gli avvocati iscritti in uno specifico elenco predisposto dal locale Consiglio dell’Ordine degli avvocati, ha efficacia dal momento della nomina e viene
meno automaticamente con la comunicazione della parte al giudice della nomina di un difensore di
fiducia.
La nomina del difensore d’ufficio è disposta, con le stesse modalità di cui ai commi precedenti, in
ogni altro caso in cui un soggetto acquista la qualità di parte nel corso del procedimento.
La nomina del difensore d’ufficio è valida per ogni grado e per ogni fase del giudizio e per tutte le
eventuali procedure, comunque connesse.
Per quanto non previsto dal presente articolo si applicano le disposizioni stabilite dal testo unico di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni, in
quanto compatibili».
Art. 4.
1. Dopo l’articolo 337 del codice civile sono inseriti i seguenti:
«Art. 337-bis. – (Costituzione delle parti). – Le parti si costituiscono depositando in cancelleria il
ricorso o il processo verbale e il decreto di fissazione dell’udienza, con la relazione di notificazione,
unitamente alla procura, oppure presentando tali documenti al giudice in udienza.
Art. 337-ter. – (Procedimento). – All’udienza di prima comparizione il giudice, verificata l’avvenuta
notifica e la regolare instaurazione del contraddittorio, con ordinanza, conferma o revoca i provvedimenti adottati dal presidente. La mancata conferma comporta la inefficacia dei medesimi. Nel corso del giudizio, il giudice, nell’interesse del minore, può adottare, con ordinanza, provvedimenti provvisori, dichiarandoli immediatamente esecutivi in caso di urgenza. Tali provvedimenti sono modificabili e revocabili in corso di causa dallo stesso giudice che li ha pronunciati e perdono efficacia con
la pronuncia della sentenza di cui all’articolo 337-quinquies, terzo comma. Avverso i provvedimenti
provvisori pronunciati in corso di causa dal giudice può essere proposta, entro quindici giorni dalla
loro comunicazione, istanza di modifica o di revoca al collegio di cui fa parte il giudice che li ha pronunciati; il collegio decide, con ordinanza, entro sessanta giorni, sentite le parti; l’ordinanza deve
essere depositata in cancelleria entro venti giorni dalla decisione ed è notificata d’ufficio alle parti
private e comunicata al pubblico ministero nel testo integrale.
Il giudice procede anche d’ufficio nella ricerca delle prove e decide nell’esclusivo interesse del minore, anche indipendentemente e in difformità rispetto alle richieste formulate dalle parti. Il giudice, se
ammette delle prove d’ufficio, avverte, sotto pena di nullità, le parti della data della loro assunzione,
salvo che, in relazione all’oggetto della prova o alla personalità del soggetto da escutere, il giudice
ritenga che la presenza delle parti stesse possa influire sulla genuinità della prova. Per gli stessi
motivi, il giudice può disporre l’allontanamento delle parti precedentemente ammesse.
L’esistenza di sommarie informazioni ottenute dal giudice, nonché delle relazioni del servizio sociale, deve essere comunicata immediatamente alle parti, le quali hanno il diritto di prenderne visione,
di estrarne copia e di replicare nel termine perentorio di quindici giorni dalla comunicazione.
L’acquisizione al fascicolo processuale di qualsiasi informazione, atto o documento deve essere
immediatamente comunicata alle parti le quali hanno il diritto di prenderne visione, di estrarne copia
e di replicare nel termine perentorio di quindici giorni dalla comunicazione. Il giudice può disporre
che sia sottoposta al vincolo del segreto l’indicazione del luogo in cui il minore si trova.
Se viene disposta consulenza tecnica d’ufficio, alle parti deve essere comunicata, a pena di nullità, la
data dell’inizio delle relative operazioni, avvertendole della possibilità di nominare propri consulenti.
Il giudice, con decreto motivato, vieta la conoscenza di atti e documenti acquisiti al processo, non
rilevanti ai fini della decisione, in presenza di un grave pregiudizio per il minore o per i terzi.
Art. 337-quater. (Audizione del minore). – Il minore che abbia compiuto gli anni dodici ed eventualmente il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, deve essere
sentito e il giudice deve prendere in considerazione la sua opinione, tenendo conto dell’età e del suo
grado di maturità.
Il giudice può disporre che il minore sia sentito con audizione protetta, in locali a ciò idonei, anche
fuori dell’ufficio giudiziario, e che la medesima, oltre che verbalizzata, sia registrata con mezzi
audiovisivi.
Art. 337-quinquies. (Decisione e ricorso). – Terminata la fase istruttoria e di trattazione, il giudice
128
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
DAL PARLAMENTO
rimette la causa al collegio, fissa, non oltre sessanta giorni, la data dell’udienza collegiale e ne dà
avviso alle parti, le quali possono, entro dieci giorni dalla comunicazione dell’avviso, chiedere la
discussione orale davanti al collegio. Fino a cinque giorni prima dell’udienza le parti hanno facoltà
di depositare memorie difensive.
Qualora una delle parti ne faccia richiesta, il collegio può assegnare un termine non superiore a venti giorni per le memorie e un successivo termine di dieci giorni per le repliche.
Esaurita la discussione, il collegio trattiene la causa in decisione. La sentenza che definisce la causa e che può essere dichiarata immediatamente esecutiva è depositata in cancelleria nel termine di
quindici giorni dall’udienza, ovvero dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica ed è notificata d’ufficio nel testo integrale al pubblico ministero e alle parti del giudizio.
Le parti possono proporre ricorso dinanzi alla sezione per i minorenni della corte d’appello, entro il
termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza. Il ricorso deve essere sottoscritto dalla
parte personalmente e non può essere fondato su motivi di legittimità non dedotti in primo grado, salve le ipotesi di nullità assoluta.
Se vi sono ragioni di urgenza, le sentenze pronunciate in primo e in secondo grado possono essere
dichiarate immediatamente esecutive d’ufficio o su richiesta di parte.
Al giudizio in grado di appello si applicano le disposizioni dettate per il giudizio di primo grado, in
quanto compatibili.
Avverso la sentenza pronunciata in grado di appello, le parti possono proporre ricorso per cassazione entro il termine di trenta giorni dalla notificazione.
La sentenza divenuta definitiva può essere modificata o revocata per circostanze sopravvenute ovvero per motivi non conosciuti nel precedente giudizio.
Art. 337-sexies. – (Vigilanza). – Sull’osservanza delle condizioni stabilite per l’esercizio della potestà e per l’amministrazione dei beni vigila uno dei componenti del collegio che le ha adottate delegato dal collegio stesso.
Art. 337-septies. – (Esecuzione). – L’esecuzione dei provvedimenti ha luogo, d’ufficio, con le modalità stabilite dal giudice che li ha pronunciati.
L’esecuzione delle ordinanze è curata da uno dei componenti togati del collegio che le ha pronunciate delegato dal collegio stesso.
Il giudice incaricato per l’esecuzione può essere coadiuvato da un esperto, può pronunciare i provvedimenti necessari, anche di modifica delle modalità esecutive, e può sospendere l’esecuzione rimettendo in tale caso gli atti al collegio.
Art. 337-octies. (Poteri dei difensori). – In tutti i procedimenti previsti dagli articoli 330 e seguenti,
i difensori, di fiducia o d’ufficio, possono compiere e ricevere, nell’interesse delle parti, tutti gli atti
del processo che non sono espressamente riservati alle parti stesse».
2. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio
dello Stato.
Art. 5.
1. Ai procedimenti disciplinati dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, nonché
ai relativi giudizi di opposizione, pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore
del decreto-legge 24 aprile 2001, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2001,
n. 240.
2. Ai procedimenti di cui all’articolo 336 del codice civile pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data
di entrata in vigore del decreto-legge 24 aprile 2001, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2001, n. 240.
Art. 6.
1. Per quanto non previsto dalla presente legge si applicano le disposizioni del codice di procedura
civile, in quanto compatibili.
Art. 7.
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
129
FORMAZIONE E INIZIATIVE
AIAF SICILIA - MESSINA
CORSO DI FORMAZIONE ED AGGIORNAMENTO
PROFESSIONALE SUL DIRITTO DI FAMIGLIA
FEBBRAIO – LUGLIO 2005
PROGRAMMA (IN
18.2.2005
Avv. Francesco Marullo e Docente scuola siciliana di
servizio sociale
Questioni di etica e di deontologia professionale nei giudizi
inerenti le relazioni familiari.
Metodologia e ruolo del servizio sociale.
4.3.2005
Avv. Luisella Fanni - Operatore Ce.S.V. di Messina Psicologo Asl 5 di Messina
Procedimento civile davanti al Tribunale per i Minorenni.
Ablazione e limitazione della potestà genitoriale (aspetti
processuali e tecniche difensive). Affidamento.
Adozione ed affido – presupposti ed impugnazione.
Il ruolo del volontariato nella promozione dell'affidamento
familiare (l'esperienza di Messina).
23.3.2005
Avv. Milena Pini
Responsabilità civile nelle relazioni familiari.
FASE DI DEFINIZIONE)
29.4.2005
Dott.ssa Rose Galante
Mediazione di conflitti in una prospettiva psicodinamica.
Famiglia disturbata e famiglia traumatizzata (casi pratici e
tecniche operative). Il ruolo dell’avvocato.
6.5.2005
Prof. Avv. Michele Sesta e Dott. Felice Lima
La legge sulla procreazione assistita e la coerenza al dettato
costituzionale. (primo vaglio giurisprudenziale).
27.5.2005
Avv. Marina Marino e Docente Facoltà di Scienze Politiche
indirizzo giuridico
Diritto internazionale privato e relazioni familiari.
Sottrazione di minori. Sentenza di nullità ecclesiastica e
rapporti tra coniugi. Matrimoni tra persone di nazionalità
diverse.
16.6.2005
Avv. Gian Ettore Gassani e Operatore scuola di formazione
Giustizia minorile presso il Tribunale per i minorenni di
Messina
Crisi familiare e tutela penale (ordine di protezione maltrattamenti e abusi - inosservanza degli obblighi).
Specialità del procedimento penale minorile.
1.4.2005
Dott.ssa Gloria Servetti
Assegno di mantenimento e divorzile (natura e funzione criteri di quantificazione- accertamento dei redditi e dei
patrimoni (casi pratici e tecniche difensive). Profili
previdenziali. Tutele post divorzio. Tutela. Misure
cautelari ed esecutive. Assegnazione della casa coniugale .
1.7.2005
Modificabilità dei provvedimenti (casi pratici e tecniche
Avv. Manuela Cecchi
difensive).
Amministratore di sostegno. Tutela della persona (tutela,
Anna Galizia Danovi
curatela, emancipazione).
Affidamento e mantenimento del minore ( congiunto ed
esclusivo). Ascolto del minore. Curatore del minore.
Tutela ed esecuzione dei provvedimenti. (Casi pratici e
7.7.2005
tecniche difensive).
Prof. Dott. Giacomo Oberto e Notaio M.F.Puglisi
Famiglia di fatto. Tutela ed autonomia negoziale dei coniugi.
I contratti della crisi coniugale. Separazione di fatto. Profili
15.4.2005
tributari e fiscali. (casi pratici e tecniche operative).
Prof. Avv. Alberto Figone
Filiazione naturale – riconoscimento e dichiarazione
giudiziale di paternità e maternità. Profili medico legali.
(attività istruttoria e tecniche difensive).
Per le iscrizioni : Avv. Cinzia Fresina - Responsabile AIAF SICILIA - Messina
Viale Regina Elena 137 Messina - Tel. 090 363500
130
FORMAZION E INIZIATIVE
SETTEMBRE - DICEMBRE 2004
AIAF LOMBARDIA
COLLABORAZIONE CON LA CAMERA TRIBUTARIA DI
E CON IL PATROCINIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI
IN
MILANO
MILANO
CORSO
QUESTIONI FISCALI
NEI PROCEDIMENTI DI DIRITTO DI FAMIGLIA
LA LETTURA DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI E L’INDIVIDUAZIONE DEL REDDITO
APRILE - GIUGNO 2005
MILANO, VIA FRANCESCO SFORZA, 23 - AULA MAGNA DELL'UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE
PROGRAMMA
13 aprile 2005 - ore 14.30
Inaugurazione del corso
con la partecipazione di
Avv. Paolo Giuggioli, Presidente Ordine degli Avvocati di Milano
Avv. Patrizio Tumietto, Presidente Camera Tributaria di Milano
Avv. Milena Pini, Presidente AIAF LOMBARDIA
Norme generali sulla dichiarazione dei redditi. Identificazione dei dati anagrafici del soggetto passivo
d'imposta - Oneri deducibili. Lettura relativo quadro di
dichiarazione. - Lettura del quadro di liquidazione
d'imposta e individuazione del reddito dichiarato. Reddito dei fabbricati. Lettura del quadro di dichiarazione
e problematiche connesse.
Avv. Luciana Tullia Bertoli, Camera Tributaria di Milano
Il Modello CUD
Avv. Caterina Lattuada, Camera Tributaria di Milano
18 maggio 2005 ore 14.30
La richiesta all'Agenzia delle Entrate di copia della
dichiarazione dei redditi, dei contratti di compravendita e
locazione. - Comparazione fra rendita catastale e valore di
mercato. - Accertamento da parte dell'Agenzia delle
Entrate, in particolare nei casi di interposizione fittizia.
Poteri dell'Ufficio
Dott. Donato Serini, Dirigente dell'Agenzia delle Entrate, Milano
Le indagini reddituali e patrimoniali su richiesta del Tribunale
Col. Federico D'Andrea, Guardia di Finanza di Milano
20 aprile 2005 - ore 14.30
Questioni fiscali inerenti beni immobili - I soggetti passivi
8 giugno 2005 ore 14.30
dell'ICI e problematiche connesse.
Il reddito d'impresa. Identificazione del reddito nell'ambito di
Dott.ssa Silvia Brandodoro, Dirigente del Comune di Milano
società di capitali. Linee generali di orientamento nella
I trasferimenti immobiliari, in ambito di separazione e
lettura di un bilancio per Srl e Spa
divorzio.
Avv. Patrizio Tumietto, Presidente Camera Tributaria di Milano
Notaio Dott. Domenico Cambareri, Presidente Associazione
Gli accertamenti patrimoniali e reddituali della Guardia di
Sindacale Notai Lombardia
Finanza. Poteri e ambiti di operatività. Risultati
4 maggio 2005 ore 14.30
conseguibili
Lettura dei quadri relativi a redditi di partecipazione, redditi
Col. S.T. Dott. Giancarlo Pezzuto, Capo Ufficio Addestramento
di capitale, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro
e studi Polizia Tributaria della Guardia di Finanza
autonomo, reddito d'impresa delle persone fisiche. Identificazione del reddito dichiarato nell'ambito di
impresa individuale, impresa familiare, società di persone,
azienda coniugale.
Avv. Luciana Tullia Bertoli, Camera Tributaria di Milano
Il corso è riservato agli Avvocati, con un massimo di 80 partecipanti
Quota di partecipazione: euro 450,00 + IVA. Soci AIAF (in regola con la quota 2005): euro 350,00 + IVA
LE ISCRIZIONI DEVONO ESSERE EFFETTUATE ENTRO L’8 APRILE 2005 mediante bonifico bancario sul c/c 20899 intestato a
AIAF LOMBARDIA - Cin T - ABI 01005 - CAB 01603, e successiva comunicazione del bonifico e della scheda di iscrizione (da
richiedere via fax o scaricare dal sito internet www.aiaf-avvocati.it/lombardia), e da inviare alla segreteria AIAF LOMBARDIA via
fax al n. 02 29535945
Ai partecipanti verrà rilasciato un attestato di frequenza, purché presenti per l'intera durata del Corso
Galleria Buenos Aires 1, 20124 Milano - tel. 02.29531352 o fax 02.29ÿ535945
web: www.aiaf-avvocati.it/lombardia - email: [email protected]
131
FORMAZIONE E INIZIATIVE
AIAF RIVISTA 3/2004
AIAF ABRUZZO
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI PESCARA
FONDAZIONE "FORUM ATERNI"
LA TUTELA PENALE DEL MINORE
PESCARA, APRILE-MAGGIO 2005
TRIBUNALE DI PESCARA - SALA “E. ALESSANDRINI”
Sabato 2 aprile 2005
Introduzione:
Avv. Mariacarla Serafini, Presidente Regionale AIAF Abruzzo
1) Reati sessuali ed abuso: corruzione di minore, violenza sessuale, prostituzione minorile, pornografia minorile.
Dott. Nicola Trifuoggi, Procuratore della Repubblica di Pescara
Sabato 9 aprile 2005
2) Maltrattamenti, abuso dei mezzi di correzione, sottrazione di minore, abbandono di minore, violazione degli obblighi di
assistenza familiare.
Dott. Angelo Bozza, Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Pescara
Sabato 16 aprile 2005
3) Il procedimento penale:
Audizione protetta e incidente probatorio. Attività investigativa di riscontro. Tecniche di valutazione della attendibilità del
minore. Misure provvisorie nell’interesse del minore.
Dott.ssa Paola Ortolan, Procuratore della Repubblica di Milano
Sabato 30 aprile 2005
4) L’assistenza del minore e la difesa tecnica:
Il difensore e il curatore speciale del minore dopo la legge n. 77/2003. Rapporti tra difensore e servizi sociali. Mediazione
penale.
Avv. Ada Odino, Avvocato in Genova
Sabato 7 maggio 2005
5) Le misure di protezione del minore vittima di abusi familiari:
La misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare ex art. 282 c.p.p.
I provvedimenti di competenza del Tribunale dei minori.
Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari disposti dal giudice civile.
Avv. Franca Mina, Avvocato in Torino
Il presente corso è valido per l’iscrizione nell’Albo degli Avvocati d’Ufficio.
132
IN LIBRERIA
STEFANIA CREMA, FABIO ROIA
LA TUTELA DELL'INFANZIA
EDIZIONI UNICOPLI, OTTOBRE 2004
Parlare oggi di violenza ai minori, nelle sue varie tipologie di
maltrattamento fisico, psicologico, trascuratezza e abuso sessuale, significa perfezionare e affinare le conoscenze di diverse discipline, per garantire una efficace multi- e interdisciplinarietà nella tutela di bambini vittime di violenza. Significa
porre in campo una sinergia di interventi per attuare azioni di
prevenzione, di individuazione precoce delle situazioni a
rischio, di rapida ed efficace presa in carico delle situazioni
familiari difficili e di protezione del bambino.
L'esperienza, la sperimentazione di prassi di intervento, l'integrazione tra professionisti di ambito giuridico e psico-sociale applicata a numerosi casi giudiziari, sono alla base di questo volume che costituisce un utile strumento di lavoro per
coloro che intervengono nella vicenda familiare dell'abuso
sessuale e/o fisico commesso su un minore.
Il testo è suddiviso in due parti. La prima, ad opera di Stefania Crema, avvocato, criminologa e docente universitaria,
raccoglie la normativa nazionale e internazionale sulla tutela
dell'infanzia, che viene esposta e commentata dall'Autrice.
Fabio Roia, magistrato, pubblico ministero della Procura di
Milano, che da anni si occupa di reati di abuso, sfruttamento
e maltrattamenti commessi in danno di minori, è invece l'autore della seconda parte, che approfondisce il tema della violenza domestica sotto il profilo sostanziale e processuale. Particolarmente interessante e utile risulta la parte pratica dedicata alle tecniche di investigazione per riconoscere i segnali
di disagio del minore abusato e alle varie fasi delle indagini
(audizione del minore in sede di incidente probatorio, consulenza tecnica medico-legale-ginecologica, accertamento psicologico-psichiatrico), da cui emerge l'esperienza, la competenza e la sensibilità di Roia nella trattazione di questi casi
giudiziari.
133
AIAF RIVISTA 3/2004
Adriana Ciciliani,
48 anni
Le finestre del
cuore
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recuperati di
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134
AIAF
COME ADERIRE ALL’AIAF ED ABBONARSI ALLA RIVISTA
Potranno essere soci dell’AIAF tutti gli avvocati, regolarmente iscritti all’ordine di appartenenza, che esercitano la professione con continuità o prevalentemente nel settore del diritto di famiglia e dei minori.
[Statuto, art. 3]
La quota associativa per l’anno 2005 è di Euro 130,00 e dà diritto a partecipare alle iniziative
AIAF oltre che a ricevere annualmente:
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numeri di
AIAF - Rivista dell’Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori
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AIAF - Quaderni, un ampio e qualificato approfondimento sui temi più attuali.
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nuovi quaderni con i testi completi dei vari contributi, nonché gli indici per numero, per
autore, per tipologia.
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I soci riceveranno tutti i prodotti a partire dalla data di iscrizione e fino al n° 1 della rivista dell’anno successivo.
La richiesta di iscrizione va presentata contattando il responsabile regionale o distrettuale competente per territorio (l’elenco completo è riportato in fondo).
Ora anche chi non è socio può ordinare i nostri prodotti editoriali:
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Famiglia e per i minori (3 numeri della rivista + 2 numeri dei quaderni + 1 CD-ROM AIAF)
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(spese di spedizione incluse)
Si può sottoscrivere l’abbonamento oppure ordinare il CD-ROM:
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Z Compilando il modulo in calce ed inviandolo via fax alla redazione della rivista
È possibile effettuare il pagamento mediante bonifico bancario sul conto corrente bancario
dell’AIAF Nazionale (indicato in calce).
Per dettagli e
aggiornamenti sulle
proposte:
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Modulo di sottoscrizione/prenotazione - riservato ai non-soci
da inoltrare a: Redazione AIAF (Direttore avv. Milena Pini - fax: 02.29535945)
[il modulo può essere anche compilato online sul sito www.aiaf-avvocati.it]
Cognome e Nome / Nome Ente _____________________________________________________________________
Indirizzo ______________________________________________________________________________________
CAP___________ Città __________________________________________________________________________
Professione ____________________________________________________________________________________
Dati per l’eventuale fatturazione:
Intestazione ____________________________________________________________________________________
Indirizzo ______________________________________________________________________________________
CAP___________ Città _____________________________________ p.IVA _______________________________
Ho effettuato il pagamento complessivo di Euro _____ mediante bonifico bancario (di cui allego copia) a favore dell’AIAF sul conto corrente: BBAN F 03002 03390 000001195930
AIAF
AIAF
AIAF RIVISTA 3/2004
AIAF - ORGANI STATUTARI
Consiglio di Presidenza
Marino Marina (rappresentante legale)
Fanni Luisella
Dionisio Antonio
Comitato Direttivo Centrale
Presidenti delle sezioni regionali:
Abruzzo:
Calabria:
Campania - Napoli:
Campania - Salerno:
Emilia Romagna:
Friuli Venezia Giulia:
Lazio:
Liguria:
Lombardia:
Marche:
Piemonte:
Sardegna:
Sicilia:
Toscana:
Umbria:
Veneto:
Serafini Maria Carla
Mendicino Stefania
Delcogliano Erminia
Gassani Gian Ettore
Fabj Ada Valeria
Montemurro Maria
Marino Marina
Figone Alberto
Pini Milena
Pelamatti Cagnoni Anna
Scolaro Antonina
Fanni Luisella
D’Agata Remigia
Cecchi Manuela
Tiburzi Maria Rita
Sartori Alessandro
viale Leopoldo Muzii 100, 65123, Pescara; tel 085.4214275, fax 085.4229715; [email protected]
via del mare, 88040, Lamezia Terme (CZ); tel. 0968.51003; [email protected]
via Scipione Capece 3/c, 80121, Napoli; tel. 081.640726 - 0824.312909
corso Vittorio Emanuele 203, 84122 Salerno; tel. e fax 089.220254; [email protected]
via Garibaldi 5, 40124, Bologna; tel 051.581706, fax 051.581329; [email protected]
via Nazario Sauro 3, 33100, Udine; [email protected]
viale Mazzini 9 -11, 00195, Roma; tel 06.3202351, fax 06.3202345; [email protected]
piazza Leonardo da Vinci, 2/3, 16146 Genova; tel 010.367908, fax 010.367908
Galleria Buenos Aires 1, 20124, Milano; tel 02.29525195, fax 02.29531352; [email protected]
via Calatafimi 2, 60121, Ancona; tel 071.202108, fax 071.200972; [email protected]
corso Re Umberto 28, 10128, Torino; tel 011.5617102, fax 011.5617188; [email protected]
via Deledda 39, 09127, Cagliari; tel.070.663904, fax 070.663904; [email protected]
via Eleonora d’Angiò 2, 95125, Catania; tel 095.505305, fax 095.508660; [email protected]
via Bonifacio Lupi 14, 50129, Firenze; tel 055.494284, fax 055.486912; [email protected]
viale Indipendenza, 06124, Perugia; tel 075.5726151, fax 075.5726151; [email protected]
via Dominutti 20, 37135, Verona; tel 045.8011711, fax 045.8002752; [email protected]
Componenti eletti:
Abram Daniela
Alessio Franca
Bet Enrico
Bond Lorenza
Cacco Maria Paola
Dama Rosanna
De Strobel Gabriella
Dionisio Antonio
Geraci Diego
Macis Valentina
Maggiano Liana
Marcucci Carla
Marinucci Anna
Mirto Caterina
Montano Maria Gigliola
Morandi Nicoletta
Pacciarini Anna Maria
Pomarici Costanza
Quattrone Mirella
via Barberia 14, 40100 Bologna; tel. 051.583338
via Roma 45, 22053, Lecco; tel 0341.282181, fax 0341.286164; [email protected]
p.zza della Vittoria 11/16, 16121, Genova; tel 010.5959159-010.580117, fax 010.5760014; [email protected]
via D’Azeglio 27, 40123, Bologna; tel 051.6486123, fax 051.6565579
via Longhin 121, 35129, Padova; tel 049.774276, fax 049.776909; [email protected]
viale Costituzione Is.G/1, 80143, Napoli; tel 081.7879271, fax 081.7879274
via Santa Chiara 15, 37129, Verona; tel 045.594301, fax 045.8011023
c.so Vittorio Emanuele 92, 10121 Torino; tel. 011.5613742, fax 011.5613982; [email protected]
via D’Annunzio 62, 95129 Catania; tel. 095.552183, fax 095.445011; [email protected]
via Rossini 61, 09128, Cagliari; tel.070.41082, fax 070.485101; [email protected]
via Assarotti 10/18, 16122 Genova; tel. 010.8313041, fax 010.816805; [email protected]
via Francesco Carrara 28, 55100 Lucca; tel. 0583.495616, fax 0583.490484; [email protected]
piazza Duomo 11 / B, 07100, Sassari; tel e fax 079.235548; [email protected]
via Agrigento 61, 90141, Palermo; [email protected]
piazza Benamozegh 17, 57123, Livorno; tel 0586.891084, fax 0586.899857; [email protected]
viale Carso 51, 00195, Roma; tel. 06.3720292, fax 06.37352806; [email protected]
via Marconi 3, 06012 Città di Castello (PG); tel. 075.8554434, fax 075.8554434; [email protected]
via Lucrezio Caro 38, 00193, Roma; tel 06.3244839, fax 06.32609700
via Varese 67, 22100, Como; tel 031.272461, fax 031.271647; [email protected]
Collegio dei probiviri
Ferraris Giovanna
Lupo Marina
Pozzi Angela
136
via Manzoni 3, 21100, Varese; tel 0332.234601, fax 0332.835255; email [email protected]
corso Italia 29, 50123 Firenze; tel. 055.286207, fax 055.2645821; [email protected]
via Rubbiani 1, 40124, Bologna;tel 051.580096, fax 051.580759
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