PROLUSIONE
del Prof. Ing. Luigi Pascale
Sul tema
“I VENTICINQUE ANNI DELL’ERA SUPERSONICA”
tenuta a Pozzuoli, presso l'Accademia Aeronautica,
il 12 Dicembre 1973
in occasione
dell'Inaugurazione dell'Anno Accademico 1973-'74
e della Celebrazione del Cinquantenario dell'Accademia Aeronautica
Signor Ministro, Eccellenze, Signori,
Profonda è la mia commozione nel parlare in sì alta occasione che vede assieme l’inaugurazione dei
corsi e la celebrazione del cinquantenario di questa gloriosa Accademia.
Nella storia del progresso aeronautico cinquant’anni sono molti e ne sono testimoni i piloti, che
usciti da questa Scuola forse conseguendo il brevetto sul CA 100, oggi vedono i loro reparti
equipaggiati con macchine supersoniche nelle cui forme stentano a riconoscere l’oggetto che ancora
conserva il nome d’aeroplano.
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Sono venticinque anni che è iniziata la grande trasformazione e non è fuor di luogo denominarla
“era” giacché con questo termine si usa definire un tempo memorabile che prende inizio da un
avvenimento straordinario e di larga influenza per il futuro ed, infatti, memorabile e straordinario fu
il volo che il 14 ottobre 1947 compì Charles Yaeger con il velivolo sperimentale Bell X 1, nel corso
del quale superò per la prima volta la velocità del suono.
Da allora, in poco più di cinque lustri, il volo supersonico è divenuto per le aeronautiche militari
normale routine, per l’aviazione commerciale, una realtà tecnicamente acquisita. Ma quali furono le
tappe di quest'ennesima meravigliosa e drammatica avventura umana e quali i problemi tecnologici
che dovettero essere affrontati e superati?
Negli anni precedenti la seconda guerra mondiale e durante la prima fase del conflitto la tecnica
aeronautica aveva fatto registrare notevoli progressi consentendo di realizzare macchine, quali i
caccia dell’epoca, capaci di velocità dell’ordine dei 600 km/h e prima ancora macchine da primato
quale l’idrocorsa di Agello, il glorioso MC 72, che toccò i 709 km/h.
Una corretta impostazione dei problemi aerodinamici e lo sviluppo di adeguati motopropulsori era
all’epoca disponibile sulla base dell’evoluzione scientifica delle discipline relative in uno col
miglioramento delle attrezzature sperimentali. Tuttavia chi si fosse rivolto ai tecnici di allora per
chiedere quali previsioni si fossero potute avanzare sull’incremento della prestazione di velocità
massima dei velivoli, si sarebbe irrimediabilmente sentito rispondere che si era giunti pressoché al
limite delle possibilità e che una barriera insuperabile si frapponeva all’avanzata del progresso in
quel senso. Ed in effetti la risposta non era ingiustificata per le conoscenze scientifiche e tecniche di
quel tempo non tanto lontano.
Infatti, un aumento ulteriore della velocità incontrava da una parte un incremento della resistenza
che cresceva con legge ben superiore alla quadratica, peraltro non ben prevedibile, e dall’altra la
difficoltà di ottenere le trazioni necessarie per mezzo di un propulsore, l’elica, il cui rendimento
scadeva rapidamente al crescere delle velocità di volo. Ad esempio, i caccia della categoria del noto
MC 205 o dello SPITFIRE, che richiedevano alla velocità di 600 km/h potenze di circa 1500/1600
HP, avrebbero dovuto possedere, tenendo in conto gli effetti della compressibilità dell’aria, a cui era
dovuto sia il più rapido incremento della resistenza del velivolo che il calo del rendimento
dell’elica, non meno di 100.000 HP per raggiungere i 1200 km/h, cioè per sfiorare appena la
velocità del suono a quota zero. Ciò portava, data la potenza specifica dei motori alternativi, alla
assoluta impossibilità realizzativa dell’impresa. La risposta di allora sembrava quindi ben fondata,
se come spesso è avvenuto nel cammino tecnologico dell’umanità, non si fosse determinato un
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cambiamento di direzione, cioè l’abbandono di una strada per imboccare un’altra completamente
nuova. Mi riferisco all’avvento della propulsione a getto.
I primi concreti tentativi per un sistema propulsivo aereo che non utilizzasse l’elica furono effettuati
a poco tempo l’uno dall’altro intorno al 1939-1940, in Germania ed in Italia, ove l’Heinkel 178 ed il
Caproni-Campini CC2 furono, i primi velivoli a volare con successo. Il Caproni-Campini (Fig. 1),
collaudato dall’indimenticabile e valoroso Mario de Bernardi, utilizzava ancora un motore
alternativo per azionare il compressore dell’aria, che inviata in camera di combustione subiva un
aumento di temperatura prima dell’espansione nell’ugello di scarico. Nel 1941 volò l’inglese
Gloster E 28/39, potenziato dal turbogetto WHITTLE 1 capostitipe dei famosi Gobline, Nene e
Gost. Mentre in Italia le ricerche non proseguirono, in Germania furono portate avanti dando luogo
al primo turbogetto operativo lo Junkers-Jumo 109-004 che doveva poi equipaggiare il famoso Me
262. Ormai il nuovo mezzo propulsivo era nato ed andava prodigiosamente e rapidamente
perfezionandosi. Il suo comportamento, dal punto di vista dell’efficienza propulsiva era l’opposto
dell’elica nel senso che mentre il rendimento di questa cadeva rapidamente man mano che ci si
approssimava alle velocità soniche, il turbogetto offriva rendimenti che raggiungevano valori
eccellenti proprio nell’alto subsonico e nel supersonico. Il primo ostacolo verso il volo supersonico,
cioè quello costituito dall'impossibilità di ottenere adeguate spinte, era almeno in principio superato,
sebbene le modeste perfomances dei primi motori a getto non consentissero ancora di spingere un
velivolo attraverso la barriera sonica; fu necessario ricorrere al motore a razzo. Ma vediamo l’altra
faccia del problema: qual’era la resistenza che a quella velocità presentava il velivolo? Cosa
offrivano all’epoca le fonti scientifiche, dall’aerodinamica alla gasdinamica, per affrontare i relativi
problemi? Già negli anni '20 il prof. Ackeret a Zurigo sviluppò la teoria della portanza e della
resistenza di un’ala bidimensionale sottile in corrente supersonica e fu lo stesso Ackeret a
denominare il rapporto tra la velocità di un corpo e la velocità del suono nell’aria, Numero di Mach,
in onore di Ernest Mach, professore di fisica poi di filosofia a Vienna, che si era occupato per primo
di moti supersonici. Nel 1933 Adolf Busemann, presso l’Istituto di ricerche fluidodinamiche di
Gottingen, era riuscito a realizzare mediante un ugello Delaval una corrente di velocità pari a 1,5
volte quella del suono, Mach 1,5, potendo così sperimentare modelli di ali.
Nel 1935 in occasione del Congresso VOLTA in Roma, Busemann diede comunicazione delle sue
ricerche mettendo in evidenza sia le proprietà delle ali e freccia e sia la necessità di usare nel volo
supersonico profili alari di basso spessore relativo. Solo, però, nel 1939 il Prof. Alebrt Betz,
anch’egli dell’Università di Gottingen, dimostrò la benefica azione della freccia in pianta alare nel
dilazionare gli effetti della compressibilità dell’aria. Inoltre, in due memorie pubblicate nel ’28 e nel
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’30 rispettivamente da Prandtl e Glauert veniva proposto un metodo correttivo per tenere conto
degli effetti della compressibilità sulla portanza.
Pure di quegli anni è un lavoro di Karman e Moore per il calcolo della resistenza dei corpi affusolati
a velocità supersonica, che dette l’avvio alle ricerche teoriche sulla teoria tridimensionale
supersonica delle ali. Anche la teoria dell’onda d’urto, fenomeno fondamentale dei moti
supersonici, era disponibile da tempo ad opera dell’ingegnere inglese Rankine e del famoso
balistico francese Hugoniot nonché, successivamente, di Meyer. Dal lato sperimentale, impianti
adatti per prove ad alta velocità erano molto rari. Alcuni di tipo intermittente funzionavano negli
Stati Uniti ed in Germania. In Italia, su modello di un’analoga apparecchiatura, costruita in Svizzera
da Akeret, fu realizzato nel 1939 a Guidonia un tunnel supersonico a funzionamento continuo,
mediante il quale furono compiuti importanti esperimenti su ali di diverso profilo a Numeri di Mach
intorno a 2, mettendo in rilievo specialmente l’effetto della viscosità quale causa di alcune
divergenze rispetto alle previsioni teoriche. I risultati di queste esperienze furono molto apprezzati
tanto da essere riportati dopo la guerra in un Technical Memorandum della NACA.
Malgrado la scienza, come abbiamo visto, avesse già affrontato i problemi del volo supersonico,
proprio la porta d’ingresso ad esso rimaneva ignota, cioè il passaggio attraverso Mach 1.
Ciò appariva anche nelle formule della portanza secondo Akeret e secondo Glauert-Prandtl, che
conducono entrambe ad un valore non finito della portanza procedendo rispettivamente da velocità
supersonica e subsonica verso Mach 1. Anche per la resistenza e per il momento focale i valori non
sono prevedibili. Né i mezzi sperimentali potevano soccorrere, data la grande difficoltà di effettuare
misure in quel campo di velocità. Ci si trovava di fronte all’ignoto. Intanto proprio la zona
transonica, era quella in cui si dovevano cimentare i velivoli gradualmente più veloci.
I primi che sia pure involontariamente vi si avventuravano furono alcuni piloti da caccia nell’ultimo
conflitto, che, in affondata nel corso di combattimenti, raggiunsero con i loro velivoli velocità alle
quali insorgevano i fenomeni propri della fascia transonica.
I nostri caccia con motori in linea, i G 55, gli MC 202 e 205 erano velivoli di alte prestazioni, fini e
robusti. Iniziando una picchiata ad alta quota (9-10.000 m.) potevano raggiungere Mach dell’ordine
di 0,8 e dato lo spessore dei profili alari, incorrere nella formazione di onde d’urto. I piloti che
ritornavano dall’avventura parlavano di repentino imbarcamento del velivolo, inversione dello
sforzo di barra, grande irrigidimento dei comandi, sbandamento, intensi sbattimenti e vibrazioni.
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A che cosa ciò era dovuto? Per comprenderne le cause è necessario illustrare brevemente le
caratteristiche del deflusso su un profilo alare mano a mano che il Numero di Mach di volo
aumenta.
In Fig. 2 è riportato uno schema della corrente che si sviluppa su un profilo simmetrico ad
incidenza di 2°, con i relativi diagrammi che rappresentano l’andamento sul dorso e sul ventre del
profilo, lungo la corda, di una quantità proporzionale alla pressione.
Sugli stessi diagrammi è anche riportata la pressione, in corrispondenza della quale la velocità
locale è pari a quella del suono. I due diagrammi finali rappresentano poi l’andamento del
coefficiente di portanza CL e di resistenza CD in funzione del numero di Mach.
La figura 2a mostra la situazione a Mach 0,75 che non presenta grossa differenza rispetto a quella a
bassa velocità, eccetto per una maggiore ampiezza della scia. La portanza è tutta sviluppata nella
parte anteriore del profilo e per conseguenza il centro di pressione è molto avanti. Nel diagramma
del CL si nota un incremento di esso rispetto al valore iposonico ed il CD è all’inizio della sua
divergenza.
In figura 2b a Mach 0,81 appare sul dorso del profilo un’onda d’urto dovuta al fatto che il tratto di
flusso supersonico è aumentato espandendosi ad una maggiore velocità e quindi passando a velocità
subsonica mediante un fronte d’urto, caratterizzato appunto da un repentino aumento della
pressione.
L’area compresa tra le curve dorsali e ventrali della pressione è aumentata rispetto a prima e ciò
denuncia un incremento della portanza come si vede nel diagramma del CL. Il centro di pressione si
è spostato verso l’indietro e la resistenza è notevolmente cresciuta e ciò è da ascriversi, oltre che
all’incremento della scia, alla sopraggiunta resistenza d’onda, cioè la resistenza connessa con
l’energia dissipata sotto forma di calore durante l’urto.
La figura 2c è caratterizzata dall’apparizione di un’onda d’urto anche sul ventre e da un
rafforzamento ed un arretramento di quella dorsale, cosicché si determina un’intrecciarsi dei
diagrammi di pressione con conseguente caduta della portanza.
Il CD continua ad aumentare ed il centro di pressione si sposta in avanti.
Se il numero di Mach cresce a 0,98 le onde d’urto si spostano sul bordo d’uscita, nella maggior
parte del profilo il deflusso è supersonico, l’aerea del diagramma cresce, cioè si ha di nuovo un
incremento del CL, la resistenza tocca il suo valore massimo e, fatto di grande importanza per le
conseguenze che ha sull’equilibrio dell’aeroplano, il centro di pressione si è spostato quasi alla metà
della corda. Il capriccioso variare della portanza e soprattutto l’andamento del diagramma della
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resistenza con il suo rapido impennamento, giustificano in qualche maniera il termine di “barriera
sonica” tanto in voga in quegli anni.
Infatti, come vediamo dalla figura 2e a Mach 1,4 si ha una diminuzione del coefficiente di
resistenza che segue poi un andamento abbastanza pianeggiante. Anche il coefficiente di portanza
diminuisce rispetto al valore iposonico, ma abbandona il comportamento oscillatorio precedente. Il
flusso in questa fase è caratterizzato dall’apparizione di un’onda d’urto distaccata dal corpo. La
velocità di volo è ora supersonica: tranne che su una piccola porzione del bordo d’attacco, il flusso è
tutto supersonico, il centro di pressione è circa al 50% della corda. Siamo oltre la barriera in stabile
regime supersonico, i guai della regione transonica sono ormai terminati.
Quanto abbiamo visto ci permetterà di capire meglio i racconti dei nostri piloti che erano un po’
penetrati nella barriera e le esperienze dei primi velivoli a getto, tra di essi precursore il Me 163
Komet, per le innovazioni tecniche di cui era dotato. Esso era un velivolo senza coda ad ala a
freccia, progettato dal Prof. Lippish propulso da un motore a razzo che gli permise di raggiungere il
2 ottobre 1941 la velocità di 1000 km/h, circa Mach 0,82 (Fig. 3). A Mach 0,84 presentava però una
pericolosa tendenza ad imbarcarsi. Tale fenomeno si presentava quasi puntualmente ogni volta che
un velivolo si avvicinava alla barriera sonica come si evince da parecchi rapporti di volo. Ad
esempio, per un velivolo sperimentale inglese si legge: il velivolo compì parecchi voli durante i
quali fu incrementata gradualmente la velocità. Nell’ultimo di questi esperimenti il velivolo
subitaneamente assunse un assetto di picchiata quasi verticale senza più riprendersi da esso. Stessa
cosa accadde al bombardiere strategico Handley Page "Victor", che per un'avaria del pilota
automatico fu spinto oltre la sua massima velocità permessa, non riuscendo più a venir fuori dalla
picchiata. Incidenti del genere furono purtroppo numerosi in tutti i paesi, in cui si compivano
ricerche aeronautiche; anche oltre cortina ove, ad esempio, un MIG 9 accelerò accidentalmente oltre
Mach 0,83 passando in una picchiata a velocità crescente. Mentre il pilota, che applicava ogni
sforzo sui comandi pensava di essere perduto, l’aeroplano a bassa quota, ad un tratto, si riprese. Ciò
era accaduto anche in altre occasioni e la spiegazione è da ricercarsi nel fatto che siccome la
velocità del suono cresce al diminuire della quota, poteva verificarsi che il numero di Mach del
velivolo decrescesse durante la picchiata effettuata a velocità quasi costante, determinando quindi la
scomparsa dei fenomeni.
Che cosa in realtà succedeva perché questa incontrollabile tendenza all’imbarcamento? La
spiegazione la troviamo proprio nello spostamento del centro di pressione innanzi mostrato che
provoca una grave alterazione dell’equilibrio del velivolo facendolo picchiare.
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Per contrastare tale tendenza il pilota deve manovrare nel senso di aumentare la forza deportante in
coda, ma non vi riesce perché anche sulla coda si verificano i fenomeni visti sull’ala. La Figura 4
mostra l’effetto d’onda d’urto presente sul piano che impedisce sia la trasmissione delle variazioni
della pressione sulla parte anteriore del piano, sia per la scia dietro di essa, un’efficace risposta allo
spostamento della parte mobile.
Ciò comporta anche un incremento del momento di cerniera, per cui lo sforzo muscolare del pilota
non riesce a conferire gli elevati angoli di barra necessari.
Le prime caratteristiche architettoniche dei velivoli transonici sono dettate dalla necessità di
contrastare questi fenomeni: piano di coda tutto mobile, comandi potenziati, dislocazione del piano
lontano dalle zone di scia dell’ala amplificate dalla presenza delle onde d’urto, bassi spessori dei
profili alari.
Mentre in Germania ed in Inghilterra già volavano i velivoli a getto, negli USA si accusava un certo
ritardo, ma l’abilità proprio di quel paese di organizzare e dar vita a massicci programmi di ricerca e
sviluppo permise loro di portarsi in breve su posizioni d’avanguardia. Il primo aeroplano americano
a turbina fu il Bell Aircomet che però raggiunse soltanto i 660 km/h. Si noti che il Me 262 operativo
in combattimento, aveva superato già in volo livellato gli 860 km/h ed il Gloster Meteor inglese più
tardi i 900 km/h.
Non disponendo di turbogetti di adeguata spinta e desiderando farsi al più presto possibile
esperienze di volo ad alto Numero di Mach, l’USAAF decise di impiegare motori a razzo. Il Bell
XS-1, azionato appunto da un razzo a ossigeno liquido ed alcool da 2700 kg di spinta massima,
iniziò i voli nel dicembre del ’46. Veniva sganciato in quota da un B 29 ed indi azionava il motore.
Era stato progettato per raggiungere Mach 2,5 ma la potenza del motore e la durata di
funzionamento si rivelarono insufficienti. L’ala era diritta, cioè senza freccia ed il profilo alare
aveva uno spessore del 10%.
Il 14 ottobre 1947 sganciato alla quota di 7.500 m, con ai comandi YEAGER raggiunse e
superò di poco in volo livellato Mach 1, dando luogo al primo volo supersonico della storia.
In questo velivolo (Fig. 5) il passaggio attraverso la barriera avveniva rapidamente sotto la poderosa
spinta del razzo; la potenza di controllo della coda, munita di stabilizzatore mobile e comandi
potenziati risolvevano i problemi della variazione di equilibrio provocata dall’arretramento del
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centro di pressione. Si verificò però in un volo che alla brusca fine del funzionamento del motore a
razzo, mentre il velivolo era ancora in supersonico, la rapida decelerazione alla velocità subsonica
non diede tempo al pilota di correggere lo squilibrio questa volta provocato dallo spostamento in
avanti del centro di pressione, per cui il forte momento cabrante che ne risultò provocò
un’accelerazione normale di 11 g, che lasciò senza sensi il pilota per circa un minuto, mentre il
velivolo da 21.000 m precipitava a 6.000 m.
Successivamente questo velivolo con un motore più potente nella versione X-1A raggiunse nel
dicembre del ’53, Mach 2,5. Poco prima il Douglas Skyrocket versione ad ala a freccia del più
anziano Skystreack, con propulsore mista a turbogetto ed a razzo aveva superato Mach 1 in volo
livellato decollando con i propri mezzi. Lo stesso velivolo sganciato da una superfortezza,
raggiunse nel novembre del ’53 Mach 2.01 divenendo il primo velivolo pilotato ad andare oltre 2
volte la velocità del suono.
Nel mentre l’X-1 varcava la soglia misteriosa, si cercava di indagare sui fenomeni e trovare le
architetture e le tecniche atte a realizzare velivoli operativamente capaci di attingere quelle velocità.
Gli ultimi caccia prodotti nel mondo occidentale erano allora il Gloster El/44, il De Havilland
Vampire, l’Hawker Seahawk, il Supermarine Attacker e l’americano F-84 Thunderjet, tutti ad ala
dritta, ed è strano osservare come, malgrado la disponibilità dei lavori degli studiosi innanzi
menzionati, tranne che in Germania, non si fossero ancora adottate ali a freccia.
Questa, come aveva messo in evidenza Betz, costituiva un ottimo strumento per dilazionare a
Numeri di Mach più elevati quei fenomeni che abbiamo prima illustrato. Il principio è molto
semplice e si basa sulla considerazione che soltanto la componente della velocità normale ad un
certo asse coricato lungo l’apertura alare è efficace in ordine allo stabilirsi delle pressioni sull’ala.
Di conseguenza tutto ciò che si determina sull’ala, vale a dire tutti quei fenomeni di cui abbiamo
prima parlato, non si verificano in corrispondenza della velocità di volo, ma soltanto della sua
componente in direzione normale all’ala. In realtà, le cose non sono così semplici nel caso di un’ala
di apertura finita e per di più intersecata dalla fusoliera o dalle gondole dei motori e ciò porta ad una
notevole perdita del beneficio della freccia. I maggiori sforzi della ricerca negli ultimi anni si sono
concentrati nello studiare i mezzi che consentissero la maggiore estensione possibile del beneficio
della freccia a quelle zone dell’ala che sono critiche a questo riguardo: la radice e l’estremità. I
tecnici parlano di raddrizzamento delle isobare per significare che qualora l’effetto di freccia fosse
pienamente conseguito su tutta l’ala, le isobare anziché incurvarsi presso la radice e l’estremità
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dovrebbero correre parallele all’apertura alare. Si può dire che anche il progresso dei recenti Jet
commerciali è dovuto al progredire di queste tecniche che si avvalgono di sofisticati metodi di
calcolo numerico, resi possibili dall’uso di potenti elaboratori elettronici, per la previsione delle
pressioni su ali tridimensionali portanti, anche in presenza di fusoliera.
L’ala a freccia dilaziona quindi e riduce la severità dei fenomeni connessi con l’attraversamento
della zona transonica e consente in volo supersonico di ottenere che la componente della velocità
normale al bordo di attacco sia subsonica, cioè come suol dirsi, che si abbia un’ala a bordo
d’attacco subsonico, che ricada dunque all’interno del cono di Mach.
Ciò permette di adottare profili con bordo non aguzzo e quindi con curvatura che meglio si adattano
sia ad ottenere distribuzioni di pressioni favorevoli ad una bassa resistenza e ad un appropriato
momento focale, sia alle esigenze del comportamento alle basse velocità, per cui pur sempre deve
passare il velivolo supersonico.
Il Me 163, innanzi mostrato, ed il Me 262 entrambi con ali a freccia furono la prima prova della
bontà di questa tecnologia. Racconta Von Karman in un suo libro che, quando andò in Germania nel
1945 con un gruppo di scienziati e ingegneri alleati, trovò nell’abbandonato laboratorio di
Volknrode, vicino a Braunschweig, modelli per prove al tunnel di velivoli con ali a freccia insieme
ai risultati delle prove ad alti Numeri di Mach. Il direttore tecnico della Boeing, George Shairer, che
faceva parte del gruppo, rimase molto impressionato di quelle prove, che tra l’altro confermavano
anche le teorie di Robert Jones, uno studioso della NACA che si stava occupando della teoria
dell’ala a freccia. Pare che Shairer abbia immediatamente telegrafato al suo ufficio ordinando di
sospendere un progetto in corso e che questo abbia portato alla nascita del B 47 primo bombardiere
ad ala a freccia. Nello stesso periodo presso la North American era allo studio il caccia XP-86:
anche per esso il progetto originale, che prevedeva un’ala diritta, venne immediatamente
trasformato in ala a freccia. Questa era più marcata di quella del Me 262, raggiungendo i 35° e
come quest’ultima era dotata di aletta anteriore automatica.
Il prototipo di questo velivolo volò per la prima volta il 1° ottobre 1947 e subito dimostrò eccellenti
caratteristiche: raggiungeva i 1.100 km/h a livello del mare, saliva ad un rateo di 7.500 ft/min
(2280 m/min ) ed aveva una tangenza di 15.000 m. Sei mesi dopo il primo volo, l’XP 86 superò la
barriera del suono in picchiata e ciò costituiva un grande successo se si pensa che tale impresa era
stata compiuta solo poco tempo prima da uno specialissimo velivolo a razzo.
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L’XP 86 divenne operativo poco dopo con la sigla F-86 A Sabre, combattendo egregiamente in
Korea. Il Sabre equipaggiò alcuni stormi da caccia della nostra Aeronautica Militare, riscuotendo
grande popolarità tra i nostri piloti (Fig. 6). La controparte Sovietica fu il MIG 15, anch’esso con
ala a freccia. Il successo dell’F 86 declassò immediatamente i velivoli ad ala diritta quale l’F-90, i
Meteor, etc.. Forti dell’esperienza acquisita con questo apparecchio, i tecnici della North American
diedero vita all’F-100 Super-Sabre (Fig. 7) che nel 1953 superò la velocità del suono in volo
orizzontale divenendo il primo caccia supersonico nel vero senso della parola. Esso aveva ancora
maggior freccia in pianta del suo predecessore ed il profilo alare ancor più sottile raggiungendo
appena il 7%. Racchiudeva inoltre altre caratteristiche architettoniche divenute peculiari dei
supersonici, quali il piano di coda tutto mobile, alettoni interni onde ridurre i carichi torcenti ed era
dotato di post-bruciatore per una rapida accelerazione durante l’attraversamento della zona critica.
L’F-100 fu anche il primo velivolo ad incappare in quei particolari fenomeni di instabilità che
prendono il nome di “inertia coupling”, causando la perdita del valoroso pilota collaudatore George
Welch, che aveva tenuto a battesimo anche l’XP 86.
Fino ad allora nell’analisi del moto laterale del velivolo si assumeva che gli effetti indotti dal
beccheggio potessero essere trascurati, date le piccole forze d’inerzia in gioco (se ne teneva conto
solo nel caso della vite). Nelle equazioni del moto nella loro forma più generale compaiono però dei
termini che collegano i moti longitudinali e laterali con la conseguenza che quando i momenti
d’inerzia attorno all’asse trasversale e verticale sono grandi rispetto a quello longitudinale,
nell’esecuzione di manovre con forte velocità di rollio, le notevoli forze di inerzia risultanti possono
provocare la perdita di controllo del velivolo. In sostanza può accadere che il velivolo si disponga
ad assetti tali da comportare carichi aerodinamici al di là dei limiti di robustezza statica della
struttura.
Le ragioni della sopraggiunta apparizione di tale fenomeno risiedono nella grande differenza di
forma che si andava determinando nei velivoli caratterizzati da ali sottili e di piccola apertura,
fusoliere lunghe, in cui, per mancanza di spazio nell’ala, si tende a concentrare ogni massa. Ciò
porta allo squilibrio dei momenti d’inerzia innanzi detto. In aggiunta, i momenti aerodinamici,
ristoratori dell’equilibrio sia longitudinale che laterale, decrescono nelle condizioni di velocità
supersoniche, quote molto elevate, forti angoli di incidenza e di derapata. Secondo la teoria di
Ackeret, in accordo anche con i dati sperimentali, la variazione della portanza con l’angolo
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diminuisce con l’aumentare del numero di Mach, il che significa che l’efficacia dell’impennaggio
verticale viene grandemente a diminuire agli elevati numeri di Mach.
Questo è il motivo delle grandi superfici verticali, caratteristiche dei velivoli supersonici e
dell’aggiunta di pinne ventrali o di derive inferiori ripiegabili.
È interessante sotto questi aspetti paragonare i dati relativi ad un velivolo come l’F-104 con un
caccia della ultima guerra, ad es. l’MC 205. le cifre della tabella e le viste in pianta danno una
significativa idea delle enormi differenze (Fig. 8).
La forma dei velivoli subsonici, così come era andata autorevolmente affermandosi dal velivolo dei
Wright e come del resto la ritroviamo in natura negli uccelli risponde all’esigenza di provvedere
alla necessaria forza sostentatrice minimizzando le resistenze aerodinamiche presenti. Esse sono la
resistenza dovuta all’attrito ed alla scia e quella dovuta alla generazione della portanza.
Quest’ultima dipende dal carico d’apertura alare, talché per ottenere velivoli di adeguata efficienza
è necessario conferire ad essi una certa apertura alare.
In campo supersonico il bilancio viene grandemente alterato dall’apparire della resistenza d’onda, il
cui valore dipende dal volume del velivolo e dalla sua portanza, in funzione della lunghezza del
corpo e dell’ala. In altri termini a parità di volume un’ala ed una fusoliera offrono una minor
resistenza d’onda quanto più esse saranno allungate ed in dipendenza naturalmente della loro forma.
Così anche la resistenza d’onda dovuta alla portanza sarà a parità di quest’ultima e di superficie
alare tanto minore, quanto maggiore sarà la corda alare.
Ciò porta ad un’evoluzione della forma del velivolo per il fatto che, mentre in subsonico la
necessità di diminuire la resistenza indotta spinge nel senso di aumentare l’apertura alare, in
supersonico la necessità di minimizzare la resistenza d’onda spinge nel senso di aumentare
l’estensione in corda dell’ala. Queste e numerose altre esigenze connesse con problemi di stabilità e
manovrabilità strutturali, etc., portano alla grande differenza di forma dei velivoli attuali.
Mentre in America si era giunti all’F-100, in Europa occidentale le cose non procedevano con la
stessa concretezza di risultati. In Inghilterra, il primo volo supersonico viene compiuto nel
settembre del ’49 con il velivolo senza coda DH 108, che aveva il compito di investigare le
possibilità di questa formula in vista anche di applicazione al trasporto commerciale.
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Purtroppo dei tre prototipi costruiti due andarono distrutti. Ciò provocò disorientamento e qualche
anno dopo, anche a causa del non buon risultato ottenuto con gli Swifts e con gli Hunters, anche la
RAF finì per adottare gli F 86.
Nel mentre, la tecnologia dell’alto subsonico e del transonico faceva progressi, indagando sui
problemi propri delle ali a freccia ai forti assetti, che costituivano il punto critico nel
comportamento alle basse velocità. Infatti la particolare distribuzione della portanza, e gli effetti
della viscosità, concorrono a far sì che nell’ala a freccia lo stallo parte dall’estremità con
conseguente pernicioso momento cabrante, il "pitch-up" ben noto ai piloti. Per mitigare tali effetti e
per migliorarne o correggerne il comportamento nel transonico le ali si adornano, o forse è più
corretto dire si imbrattono, di deflettori o fences, di denti di sega e generatori di vortici.
Quest’ultimi immettendo aria ad alta energia nello strato limite stagnante dietro l’onda d’urto,
riescono a far riguadagnare efficacia alle superfici di comando.
Inoltre Richard Whitcomb nel 1951 a Langley perviene alla regola delle aree, che consiste nel
distribuire le aree della sezione del velivolo in maniera simile a quelle del corpo di rivoluzione di
minima resistenza d’onda. Ciò porta a forme di fusoliera che presentano un restringimento in
corrispondenza della compenetrazione con l’ala.
Incoraggiato da Busemann, trasferitosi a Langley alla fine della guerra, Whitcomb applicò la sua
teoria al Convair YF-102.
Questo velivolo nella sua prima versione non riusciva ad oltrepassare Mach 0,9 in volo livellato.
Dopo che si provvide a ridisegnare la fusoliera secondo la regola delle aree, esso risultò
supersonico anche in salita. Dopo questo successo la regola delle aree venne usata ogni qualvolta
era possibile. I lavori di Whitcomb proseguono tuttora nel campo delle ali supercritiche con
aspettative per un ulteriore passo in avanti dell’attuale velocità dei jet commerciali subsonici che
potrebbero passare dagli attuali Mach 0,8 ÷ 0,85 a 0,9 ÷ 0,95.
Negli Stati Uniti dopo i successi dell’X-1 e dello Skyrochet il programma sperimentale continuava
con versioni diverse dell’X-1, come l’X1B e l’X1E, dotati di ali a spessore percentuale sempre
minore seguito poi dall’X-2 trisonico e dall’X-3.
Ma il più formidabile velivolo sperimentale fu senza dubbio il North American X-15. facendo
seguito a degli studi preliminari della NACA ed in seguito ad un bando di concorso dell’USAAF,
USN e NACA a cui parteciparono le maggiori industrie statunitensi, la North American si
12
aggiudicò nel dicembre ’55 il contratto per la realizzazione di tre prototipi di un velivolo
sperimentale capace di raggiungere velocità di Mach 7 e altitudini di 161.000 m. (528.000 ft).
Denominato X-15 questo velivolo doveva servire ad ottenere dati sul riscaldamento cinetico, sulla
stabilità ed il controllo alle velocità ipersoniche.
Tutti i dettagli di progetto ed i problemi incontrati durante la costruzione, nonché i risultati delle
prove, sarebbero stati immediatamente messi a disposizione di tutta l’industria nazionale.
Nel ’59 l’X-15 era pronto per il rool-out. La foto mostra la configurazione di questo apparecchio,
anello di congiunzione tra i veicoli aeronautici e quelli spaziali (Fig. 9). La controllabilità era
ottenuta mediante un piano verticale tutto mobile con profilo a cuneo e due semipiani con dietro
negativo che provvedevano sia all’azione di beccheggio che, con movimento differenziale, a quella
di rollio. Si nota la esaltata necessità di avere superfici di coda sempre maggiori, ormai poco
differenti in apertura ed estensione a quella alare. Alle estreme altitudini la controllabilità veniva
trasferita all’azione di 12 piccoli getti collocati all’estremità alare ed in fusoliera. Il primo volo
senza accensione del motore ebbe luogo nel giugno del ’59, dopo che il pilota si era allenato con un
F 104, che con motore al minimo e freni aerodinamici estesi simulava abbastanza bene la
configurazione di approccio dell’X-15. il rapporto di planata di entrambi i velivoli era 3:1 a 300
Kts. Il rateo di discesa era di 54 m/sec..
Nel settembre dello stesso anno avvenne il primo volo con accensione dei motori a razzo in numero
di due, ciascuno da 2720 Kg di spinta.
Il 12/08/60 fu raggiunta la quota massima di 136.000 ft (41.000 m.) e sette anni dopo con un motore
da 27.000 Kg di spinta la velocità di Mach 6,72, circa 7.300 km/h, che costituisce tuttora la più alta
velocità toccata da un velivolo pilotato. L’intera superficie esterna di quest’apparecchio era rivestita
di lamiera di acciaio al nichel, Inconel X, onde resistere a temperature che potevano raggiungere i
650°C.
L’X 15 permise l’acquisizione di un’enorme messe di dati la cui utilizzazione fu preziosa nella
progettazione delle future macchine di punta dell’industria statunitense.
Lo sviluppo dei velivoli da combattimento puntava intanto a velocità dell’ordine di Mach 2 la
varietà delle possibili configurazioni è ben illustrata dai tre velivoli mostrati in figura: l’F 104
(primo volo 07/02/54), il Mirage III (primo volo nov. 56) e l’English Electric Lightning (primo volo
ottobre 1959) (Fig. 10).
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Si tratta di tre filosofie diverse che sono ben evidenziate principalmente dalla forma in pianta
dell’ala. L’F 104 adotta un’ala senza freccia, gli altri due ali con forte freccia, in particolare a delta,
il Mirage. Cioè l’F-104 adotta un’ala a bordo supersonico, mentre negli altri due sono state preferite
ali i cui bordi d’attacco rientrino nel cono di Mach. Questa soluzione comporta minor resistenza
d’onda oltre Mach 1,5 ÷ 1,7, mentre nella zona transonica risulta migliore l’ala a freccia.
L’ala dritta deve possedere un bordo d’attacco molto aguzzo, quasi tagliente, per tenere attaccata
l’onda d’urto e non avendosi sulla parte anteriore del profilo alcun deflusso subsonico non è
possibile conferire ad esso particolari curvature benefiche sia per limitare lo spostamento del centro
di pressione sia per il buon comportamento alle basse velocità. D’altra parte nell’F 104 il bordo
d’attacco abbassabile ed il controllo dello strato limite associato all’abbassamento dei flaps
permettono di conseguire accettabili velocità di atterraggio e di decollo, mentre la superficie alare
che è circa la metà delle altre due, comporta in generale un'apprezzabile bassa resistenza.
Anche per quanto riguarda il piano orizzontale di coda vi è grande differenza di soluzioni: l’F-104
lo ha posizionato in alto, il Lightning in basso ed assente nel Mirage. Ciò dipende, per i primi due,
dalla diversità del campo aerodinamico indotto dall’ala e, per il terzo, dal fatto che le elevate corde
presenti alla radice dell’ala consentono di ottenere l’equilibrio e la manovrabilità del velivolo
variando, mediante parti mobili, la geometria di quella porzione dell’ala. Quest’ultima soluzione
suggestiva per la sua compattezza presenta più alta resistenza di trimaggio e fa diminuire la
portanza massima ai forti assetti. Rimedio a ciò si ottiene con la formula Canard adottata dagli
svedesi con i velivoli Viggen. Una sofisticata derivazione della formula Canard è costituita dai
cosiddetti mustacci che troviamo nel Dassault Milan e nel TU-144, ultima versione (Fig. 11).
Negli anni ’60 altri due velivoli supersonici di grande interesse appaiono sulla scena, essi sono il
Lockeed YF-12 A ed il North American XB 70 Valkyre.
Il primo realizzato in segreto dalla Lockeed è capace di velocità max di oltre Mach 3 e di crociera a
Mach 2,5, a quota tra gli 80.000 e 100.000 ft. con raggi d’azione di 6.000 km. Venne presentato
ufficialmente nel settembre del ’64 ma il suo primo volo pare risalga al 1961 (Fig. 12). Si tratta di
un bireattore con l’ala a delta allungata, con doppia deriva più una terza ripiegabile in mezzeria.
Anche in questo caso si nota la necessità del forte incremento delle superfici verticali con
l’aumentare della velocità di volo. I due prolungamenti dell’ala lungo i fianchi della fusoliera sono
benefici ad un minor spostamento del centro di pressione e per il buon comportamento ai forti
angoli di attacco.
14
L’uso della doppia deriva è probabilmente dovuto alla necessità di sottrarre le superfici verticali
all'interferenza con la fusoliera ai forti assetti. Ritroviamo questa soluzione nell’F 14, nell’F 15 e
nel sovietico MIG 23. L’inclinazione dei piani è adottata per ridurre la risposta in rollio. Infatti le
componenti verticali delle forze portanti di ciascun piano, opposte in segno danno luogo ad un
momento di segno contrario al rollio indotto dall’azionamento del comando.
La struttura è al 95% realizzata in titanio per resistere alle alte temperature del riscaldamento
cinetico.
Il bombardiere strategico North American XB-70 Valkyre esareattore trisonico è un classico
esempio di configurazione a delta con piano di equilibramento anteriore, tipo canard, che come si è
accennato rappresenta un compromesso tra una ragionevole efficienza in crociera con un’accettabile
manovrabilità alle basse velocità.
Notevole è l’artifizio escogitato per ridurre i problemi di trimaggio e nello stesso tempo migliorare
la stabilità direzionale in regime supersonico. Esso consiste nella possibilità di deflettere verso il
basso le due estremità dell’ala. In tal modo esse fungono da piani di deriva, mentre la perdita della
loro azione portante provoca uno spostamento in avanti del centro di pressione (Fig. 13).
Troviamo anche per la prima volta in questo velivolo la disposizione dei motori che poi si vedrà sul
TU-144 e sul Concord in un comparto inferiormente all’ala con due prese d’aria, la cui geometria
variabile dà luogo ad un sistema di onde d’urto che assicura la compressione della corrente con il
minimo di perdita. Altre novità: l’utilizzazione del carburante per il raffreddamento del posto di
pilotaggio e degli equipaggiamenti elettronici e idraulici ed il parabrezza a geometria variabile.
Furono costruiti due XB-70, il primo dei quali volò nel 1964. i problemi di realizzazione furono
enormi in quanto il 45% della struttura era composta da pannelli sandwich a nido d’ape in acciaio
inossidabile di particolare difficoltà costruttiva specie per i processi di saldatura che dovevano poi
essere minuziosamente controllati mediante raggi X.
Il programma XB-70 non fu completato e dopo tre anni di utilizzazione quale velivolo di ricerca fu
definitivamente abbandonato.
Sotto la spinta delle diversificate esigenze necessarie ad assolvere i molteplici compiti affidati alle
aeronautiche militari e dei vantaggi economici e tecnici connessi con la possibile unificazione dei
tipi, si fa strada nel 1960 l’idea di realizzare velivoli dotati di ali ad angolo di freccia variabile.
15
Già nel 1944 un progetto Messerchmitt, il P 1101, includeva tale dispositivo, seguito nel 1951 dal
Bell X 5 con il quale venne effettuato un notevole lavoro di ricerca. Fu poi la volta del Grumman
Jaguar, che si prefiggeva scopi operativi, ma che non ebbe successo.
Dopo una pausa di circa 10 anni tale impostazione torna alla ribalta con uno dei più discussi
velivoli, spesso al centro di accese polemiche, il General Dynamics – Grumman F 111 costruito per
l’USAAF e l’US-NAVY. Questa macchina, che avrebbe dovuto costruire il velivolo da
combattimento unificato delle forze armate statunitensi, ordinato e rifiutato poi da Gran Bretagna e
Australia, malgrado l’enorme quantità di denaro profusa nell’impresa, si rivelò un pesante
insuccesso per varie deficienze anche di carattere strutturale e meccanico.
Ma i potenziali vantaggi della formula richiamano anche l’attenzione dei progettisti che vedono in
essa spesso l’unica soluzione dei problemi posti dalle complesse specifiche militari. Appare quindi
alla ribalta il Mirage G, il Grumman F 14 e l’MRCA italo-tedesco-inglese, Panavia 200, che vede
impegnata la nostra industria in questo progetto di elevata tecnologia, nonché i sovietici Mikoyan
(codice Nato Flogger) ed il Sukhoi SU-7. Ma vediamo rapidamente quali sono i vantaggi della
freccia variabile.
Vi sono dunque dei requisiti richiesti dalle specifiche militari che possono sinteticamente elencarsi
così: crociera subsonica di lunga autonomia, crociera supersonica, buon comportamento a bassa
velocità con caratteristiche di decollo e atterraggi corti, elevata manovrabilità ad alta velocità,
accettabile comportamento in turbolenza nel volo transonico a bassa quota.
Appare chiaro che senza la possibilità di un’ampia variazione della geometria alare è praticamente
impossibile soddisfarli. Infatti le prestazioni STOL e di Long Range, richiedono bassi carichi alari
sia di apertura che di superficie ed ali dritte, mentre le altre prestazioni esigono elevati carichi e forti
frecce.
Nei diagrammi della Figura 14 sono sinteticamente mostrati i vantaggi della freccia variabile. Nel
primo è presentato il paragone con un velivolo ad ala a delta in relazione all’efficienza
aerodinamica al variare del numero di Mach. Si vede che mentre in supersonico i due aeroplani si
equivalgono, nel subsonico la freccia variabile consente un largo guadagno. Siccome l’autonomia di
distanza, a parità di consumo specifico e di rapporto tra peso iniziale e finale dipende dal prodotto
dell’efficienza per il numero di Mach, è evidente la possibilità di ottenere grandi autonomie in
regime subsonico senza compromettere le prestazioni in supersonico. Nell’altro diagramma
vediamo come varia il coefficiente di portanza massima con l’angolo di freccia. L’alto valore del
CLMAX competente all’ala dritta, anche per la possibilità di efficace ipersostentazione sul bordo di
attacco e sul bordo d’uscita, permette basse velocità d’atterraggio ad assetti che non compromettono
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la visibilità, mentre la bassa pendenza della retta di portanza delle ali a forte freccia consente valori
accettabili dell’accelerazione normale nel volo veloce in aria turbolente. Così pure la distanza di
decollo su ostacolo è ridotta dall’alta efficienza che l’ala dritta consente.
Questi sono i suggestivi vantaggi che però sono bilanciati da una molto maggiore complessità
strutturale e meccanica, incremento di pesi e di costi, difficoltà di allocazione del combustibile.
Inoltre, sia per l’istallazione dei motori che per la dislocazione dei carichi esterni sussistono
maggiori inconvenienti. Uno dei problemi basilari consiste nella variazione del centro di pressione
dell’ala dovuto, sia alla transizione in supersonico sia all’arretramento dell’ala. L’effetto è mostrato
nella Figura 15, che indica la possibilità di ovviare a questo inconveniente con l’adozione del
cosiddetto "guanto", che consente un’opportuna dislocazione dell’asse di cerniera. I problemi sono
molto complessi anche dal punto di vista strutturale: nell’F 14 e nel Panavia 200 il cassone centrale
dell’ala, che sostiene le due cerniere, è realizzato in titanio con un particolare e sofisticato processo
di saldatura a raggio elettronico. Si può affermare che la possibilità di successo di questa formula,
risiede molto nei progressi della tecnologia strutturale che tende a limitare gli aggravi di peso.
Furono infatti questi tipi di inconvenienti che fecero cadere il progetto del supersonico commerciale
americano, il Boing 733.
I velivoli a geometria variabile hanno sofisticate apparecchiature di controllo, come ad esempio nel
caso dell’F-14 (Fig. 16), ove l’ala assume automaticamente l’angolo di freccia più opportuno
comandata dall’”Air Data Computer” in funzione del numero di Mach di volo. Inoltre uno speciale
sensore impedisce che l’angolo di freccia possa assumere valori che comportino eccessivi carichi
strutturali.
L’impegno finanziario necessario alla realizzazione di queste macchine è elevatissimo. La
Grumman ha rischiato nel programma dell’F-14 il fallimento e pur con una perdita della ditta di 208
milioni di dollari, il prezzo di ogni velivolo pare raggiunga i 14 milioni di dollari.
Sempre negli anni 60, ciascuno dei centri mondiali di tecnologia aerospaziale, l’Europa occidentale,
gli Stati Uniti e l’URSS, si lanciano nell’impresa di affrontare la realizzazione di un trasporto
commerciale supersonico. La FAA in America bandisce un concorso al quale partecipano la
Boeing, la Lockheed e la Noth American. Lo vince la Boeing con il 733 a geometria variabile, ma
nonostante la lunga messe di studi e di ricerche fatte in sede di concorso, durante l’avvio del
programma industriale ci si avvede dell’eccessivo peso e delle complicazioni strutturali e
impiantistiche che il sistema comporta e ne viene deciso l’abbandono. La Boeing stessa ripropone
17
un altro velivolo a freccia non variabile il 2707, ma il Congresso non autorizza la spesa per la sua
realizzazione.
Invece in Russia ed in Europa occidentale, i programmi vanno avanti ed i rispettivi velivoli
effettuano il primo volo il 31/12/1968 ed il 02/03/1969.
Nel ’61 in Inghilterra, dopo cinque anni di studi, una commissione mista del governo e
dell’industria aveva preso in esame due progetti, uno da Mach 3 con struttura in titanio ed acciaio, il
Bristol 293, ed un altro da Mach 2, in alluminio, il Bristol 198. La commissione scelse quest’ultimo
per evitare i problemi tecnologici connessi con l’uso del titanio, e quindi gli ulteriori sviluppi furono
concentrati su questo apparecchio ad ala a delta allungato (slender delta) propulso da 6 turbogetti
Olympus.
Nello stesso periodo in Francia, la Sud Aviation stava studiando il successore del famoso Caravelle,
orientandosi su un velivolo supersonico quadrigetto con configurazione a delta e piano anteriore
(canard) o in alternativa a doppio delta o delta gotico, così chiamato per la caratteristica forma
ogivale di questo tipo d’ala.
I due progetti erano all’inizio molto differenti tra loro, ma proseguendo nello studio essi si
accostavano l’uno all’altro, sia come dimensioni e pesi, che come motorizzazione. Cosicché la
Bristol nella B.A.C. e la Sud Aviation poi divenuta Aerospatiale, considerarono seriamente di
riunire i loro sforzi adottando un comune progetto di base, il che accadde nel novembre del ’62,
data in cui fu firmato l’accordo.
Il nome scelto per il velivolo, denso di significato, fu “Concord”.
All’epoca dell’inizio del programma vi era già come abbiamo visto una notevole esperienza di
velivoli militari che operavano a Mach 2, ma i problemi da affrontare per un velivolo da trasporto
supersonico erano molto più complessi, alcuni nuovi, rispetto ad un velivolo militare da
combattimento:
-
il carico pagante richiesto implicava un volume molto maggiore;
-
il prezzo d’acquisto doveva essere competitivo sul mercato;
-
la vita in ore di volo doveva essere molto più lunga;
-
doveva offrire maggiore sicurezza;
-
il ritmo operativo imposto dall’economia della gestione presupponeva un alto grado di
disponibilità e di indipendenza.
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L’analisi di questi requisiti comportava che:
-
le dimensioni di un aeroplano del genere risultavano notevolmente superiori a quelle dei
velivoli militari da Mach 2;
-
per ottenere una vita lunga era necessario affrontare una impegnativa serie di complesse prove
a fatica;
-
per la maggiore sicurezza si doveva ricorrere alla duplicazione o in taluni casi alla triplicazione
di certi impianti con grande complessità di installazione.
Inoltre la durata del volo in regime supersonico era prevista in più di due ore e mezza, mentre i
velivoli militari prevedevano tratti in supersonico intorno ai 30 minuti. Ciò significava risolvere
quei problemi connessi con il prolungato riscaldamento delle strutture e dei motori.
Questi ed una moltitudine di altri problemi rendevano il progetto estremamente ambizioso ed
imponevano un grandioso sforzo finanziario, tuttora in corso. Alla fine del ’70 le spese
assommavano a circa 1250 miliardi di lire.
Le caratteristiche tecniche del progetto partivano innanzitutto dalla scelta del materiale per la
costruzione della cellula che non si discostava da leghe d’alluminio convenzionali, eccetto per
alcune parti esposte alle temperature di ristagno o vicino ad altre sorgenti di calore, come i motori,
in cui si impegnava acciaio o titanio. Tale scelta fissava automaticamente il limite della velocità
massima di crociera a Mach 2,2. In tali condizioni la temperatura di ristagno sul bordo di entrata e
sull’estremità della prua raggiunge i 150/130 gradi centigradi, mentre negli altri punti non supera di
molto i 100 gradi e ciò rientra bene nelle possibilità delle leghe di alluminio-rame diffusamente
usate.
La configurazione scelta per il Concord è, come mostra la Figura 17, basata su un’ala a delta gotico
od ogivale che consiste in un doppio delta con raccordi curvilinei.
I vantaggi di questa geometria sono i seguenti:
innanzi tutto ricordiamo quanto sopra detto che, sia la resistenza d’onda dovuta alla portanza che al
volume dell’ala, dipendono rispettivamente dall’inverso della seconda e della quarta potenza della
corda massima, quindi un’ala del genere comporta, a parità di portanza e di volume, minor
resistenza d’onda. Le grandi corde alla radice dell’ala (27 m circa) pur con uno spessore relativo
appena del 3%, danno luogo ad un’altezza tale da consentire strutture leggere e più spazio per il
combustibile, retrazione del carrello, ecc.. Inoltre il forte angolo di freccia sia nella zona di radice
che in quella di estremità consente di applicare curvature e svergolamenti necessari a migliorare
l’efficienza in crociera supersonica.
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Anche il comportamento dal punto di vista della variazione d’equilibrio nella transizione da
subsonico a supersonico è eccellente. Infatti in un’ala a doppio delta lo spostamento del centro di
pressione è contenuto nel 7,8% della corda media e ciò per il fatto che, mentre in supersonico la
parte anteriore dell’ala, quella a freccia più elevata, dà un’apprezzabile contributo alla portanza, in
volo subsonico il suo apporto è minimo, riducendo in tal modo lo spostamento all’indietro della
risultante. Ciò nonostante nel Concord si è preferito eliminare lo sbilanciamento residuo, che
avrebbe comportato per la conseguente compensazione ottenuta azionando i piani di comando
ancora un apprezzabile incremento di resistenza, ricorrendo al travaso del combustibile dai serbatoi
anteriori e centrali ad uno posteriore. Si ottiene in tal modo lo spostamento del centro di gravità
verso il centro di pressione.
Ma un’altra caratteristica di questo tipo di ala consiste nel particolare comportamento ai forti angoli
di attacco. Come si vede dalla visualizzazione della corrente mostrata in figura, lungo il bordo
d’attacco si liberano dei vortici che hanno per effetto di stabilizzare il flusso ed incrementare la
portanza, dilazionando lo stallo, praticamente oltre il limite degli assetti usabili in atterraggio. Si
determina il cosiddetto andamento non lineare della curva CL f (a ) , che invece di accusare una
diminuzione di pendenza ai forti angoli d’attacco, mostra un aumento oltre una certa incidenza (Fig.
18).
Ciò dipende dalla forte zona di depressione indotta dalla presenza dei vortici. Viene così a rendersi
disponibile, pur senza ricorso a nessun dispositivo di ipersostentazione, un discreto coefficiente di
portanza che consente ragionevoli velocità di atterraggio e decollo.
L’assetto in tali condizioni è però molto elevato, e ciò comporta degli inconvenienti di stabilità
laterale e di controllo longitudinale che si sono potuti superare mediante apparecchiature di
stabilizzazione automatica. La tendenza al pitch-up connessa con la parte non lineare della curva di
portanza viene alleviata anche con la particolare sagomatura conferita all’estremità alari.
I problemi di visibilità sono ovviati mediante la geometria variabile del muso. D’altra parte essa non
si sarebbe potuta evitare in quanto l’incremento di resistenza di un parabrezza convenzionale in
volo supersonico sarebbe stato inaccettabile.
L’Aerospatiale afferma che il Concord raggiunge un’efficienza di 7,7 in volo supersonico e di 12,8
in volo subsonico. Mentre la prima costituisce senz’altro un notevole risultato, la seconda è appena
accettabile se paragonata con quella di un qualsiasi Jet commerciale. Uno dei vantaggi che l’SST
americano si riprometteva dall’adozione della freccia variabile consisteva proprio nell’incrementare
per lo meno del 30% questo valore. Infatti il forte tratto di percorrenza in subsonico, a cui questi
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velivoli saranno costretti per effetto del bang sonico, fa assumere a tale aspetto una notevole
importanza.
Il supersonico russo, il TU-144, presenta nel complesso la stessa aerodinamica del Concord e questa
convergenza dimostra che quei requisiti di specifica portano abbastanza univocamente a quelle
soluzioni. Il TU-144 ha subito un gran numero di modifiche dalla sua apparizione.
Chi ha avuto modo di vederlo durante l’ultimo salone del Bourget avrà notato la diversa
disposizione dei motori, ora simile al Concord, e la maggior sofisticazione nella campatura dell’ala.
Ma la maggiore novità è consistita nell’apparizione di alcune superfici retrattili in prua, altamente
ipersostentate, che ne migliorano le caratteristiche alle basse velocità. Infatti ai forti assetti
l’equilibrio deve essere ottenuto con una forza verso il basso generata dall’azionamento degli
elevatori, che quindi viene sottratta dalla portanza totale. Mediante il piano anteriore l’equilibrio dei
momenti viene ottenuto con una forza portante. Tale dispositivo, la cui retrazione ne elimina la
passività in supersonico, era stato anche adottato sul Dassault-Milan, come si è accennato innanzi
(Fig. 19).
Molte controversie e molte polemiche si sono in questi anni sviluppate attorno all’SST, ed ancora
ne seguiranno specie ora che l’energia dopo l’ecologia sembra destare perplessità su ogni
successivo sviluppo.
Dobbiamo rilevare infatti, che assumendo un riempimento del 100%, il Concord trasporta solo 12
passeggeri-chilometro per litro di combustibile, contro i 25 del Jumbo, ma ricordiamo anche che
un’automobile con un solo occupante raggiunge appena gli 8 pass-chilometro.
In ogni caso il Concord rappresenta una grande e meravigliosa opera di avanzatissima tecnologia
aerospaziale ed al di là dell’immediata redditività dell’impresa vi è l’acquisizione del vastissimo
patrimonio di nuove conoscenze, che essa ha comportato, e le cui ripercussioni su tutto il tessuto
industriale di quelle nazioni daranno certamente i loro frutti. Circa le preoccupazioni di carattere
ecologico che l’entrate in servizio dei supersonici ha destato alcune sono infondate, altre esagerate.
È stato detto, ad esempio, che il Concord brucerà troppo ossigeno, è un fatto acquisito che se fosse
bruciato contemporaneamente nell’atmosfera tutto il carbone e gli idrocarburi della terra la
percentuale di ossigeno nell’atmosfera scenderebbe soltanto dal 20,95 al 20,32%.
Si è detto anche che il vapore prodotto dal Concord dissolverà lo strato di ozono, che ad un’altezza
di 20.000 m ci difende dai raggi ultravioletti, assorbendoli. Anche questa preoccupazione è
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infondata, in quanto il Concord volerà a quota più bassa ed inoltre gli strati densi dell’atmosfera
consentono soltanto il passaggio del 5% dei raggi ultravioletti non fermati dall’ozono.
Si può invero affermare che i velivoli a reazione in genere restano il mezzo di trasporto meno
inquinante. I transatlantici e le automobili emettono più di 1.0 Kg di materiale inquinante per ogni
mille passeggeri-Kilometro, gli aeroplani a pistone circa 3 Kg, i mezzi stradali e ferroviari a motore
diesel 2 kg, mentre i getti soltanto poco più di mezzo chilo e l’SST meno di 500 grammi.
Anche per quanto riguarda il rumore nelle fasi di approccio e di decollo, misurazioni effettuate
forniscono risultati pari o poco inferiori a quelli degli attuali Jets. Il problema del Bang sonico
costituisce ancora l’aspetto meno chiaro, necessitando di ulteriori più estese esperienze.
Questa la rapida e incompleta carrellata attraverso i cinque lustri dell’era supersonica, le cui
realizzazioni appaiono ancora più eccezionali, se si pensa che soltanto 70 anni fa a Kitty Hawak si
sollevava da terra solo di qualche metro il fragile velivolo di legno e tela dei fratelli Wright.
Ma la grandiosità di questo formidabile progresso tecnologico e la gioia che esso suscita in noi
cultori e appassionati dell’aeronautica viene turbata dall’incertezza e dai ripensamenti che
avvenimenti incalzanti procurano in noi.
Allievi dell’Accademia, mai come in questi giorni, angosciosi problemi si sono posti innanzi a noi
tutti, ancora una volta a testimoniare della umana imprevidenza di fronte alla sfrenata corsa verso
un disordinato sviluppo per il quale ora, ad un tratto, risulta insufficiente il principale ed
indispensabile supporto: l’energia. Il grido di allarme di eminenti scienziati avverte che esiste un
limite allo sviluppo, che è necessario far evolvere nel senso della qualità piuttosto che della
quantità.
Forse mai in maniera così drammatica l’umanità era stata messa di fronte alla responsabilità
imminente di scegliere del proprio destino: il rinsavimento o la crisi a breve scadenza.
Per vincere la prova bisogna soprattutto essere coscienti dell’importanza che gli atti di ognuno
hanno nella vita della collettività, specie per chi ha responsabilità di comando e voi più degli altri,
per l’educazione improntata ai più alti valori dello spirito che questa gloriosa Scuola vi impartisce,
siete in grado di comprenderlo.
Abbiamo parlato di tecnologia e per la maggior parte dei vostri studi se ne tratta. Se essa è stata
indicata spesso come la responsabile degli attuali mali, in quanto ritenuta causa dell’inquinamento
materiale e morale, già comincia a intravedersi che essa stessa nelle mani di un’umanità meno
incolta ed egoista potrà essere valido e insostituibile strumento per la risoluzione dei problemi del
mondo. Perciò coltivatela senza perplessità ed amatela serenamente.
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I VENTICINQUE ANNI DELL`ERA SUPERSONICA