Indice
Introduzione ................................................................................................ 3
1. Modelli e Politiche di Innovazione per il settore lattiero-caseario .. 5
1.1. I modelli di innovazione: un breve profilo evolutivo ................... 5
1.2. I fabbisogni di innovazione del settore agroalimentare
europeo.................................................................................................... 9
1.3. Horizon 2020 e il nuovo programma di sviluppo rurale .......... 12
2. Scenario competitivo ........................................................................... 17
2.1. L’evoluzione del settore lattiero caseario italiano nel contesto
europeo e mondiale ............................................................................. 17
2.2. Il settore lattiero caseario in Campania .................................... 34
2.3. I principali driver che influenzeranno le dinamiche del settore
lattiero-caseario .................................................................................... 40
2.3.1. Dinamica del mercato globale ............................................. 40
2.3.2. Dinamica dei consumi e caratterizzazione qualitativa ..... 42
2.3.3. Sistema degli scambi internazionali ................................... 45
2.3.4. Cambiamenti climatici .......................................................... 46
2.3.5. Eliminazione delle quote latte ............................................. 50
2.3.6. Rafforzamento delle politiche ambientali e del welfare
animale .............................................................................................. 53
3. I fattori di qualità dei formaggi............................................................ 57
3.1. Premessa....................................................................................... 57
3.2. I parametri della qualità ............................................................... 58
3.2.1. Qualità nutrizionale ............................................................... 58
1
3.2.2. Qualità aromatica .................................................................. 60
3.3. I fattori che influenzano la qualità .............................................. 61
3.3.1. Il sistema alimentare ............................................................. 61
3.3.2. La razza .................................................................................. 62
3.3.3. I trattamenti termici del latte ................................................ 63
3.3.4. Il caglio .................................................................................... 64
3.3.5. Le attrezzature impiegate .................................................... 64
3.3.6. I locali di stagionatura ........................................................... 65
3.4. I prodotti del progetto: la qualità aromatica e nutrizionale ..... 66
4. A proposito di CAGLIO VEGETALE ................................................. 71
4.1. Cosa è il caglio? ........................................................................... 71
4.2. Classificazione dei cagli .............................................................. 72
4.3. Il caglio animale ............................................................................ 73
4.4. I coagulanti microbici e da OGM ................................................ 74
4.5. Il caglio vegetale ........................................................................... 75
4.6. Perché caglio vegetale ................................................................ 76
4.7. Innovazione vegetale al passo coi tempi .................................. 76
5. I formaggi del progetto FORVEG ...................................................... 78
5.1. Giudizio dei consumatori ............................................................. 80
5.2 Schede tecnologiche dei formaggi Forveg ................................ 83
5.3. Principali fasi di produzione del caciocavallo ........................... 87
2
Introduzione
di Salvatore Claps1
L’idea del progetto FORVEG - Utilizzazione di cagli vegetali per
la produzione di tipologie casearie innovative a base di latte bovino –
finanziato nell’ambito del PSR Campania 2007-2013, Mis. 124, è
nata per rispondere ad una precisa richiesta di innovazione di alcuni
operatori del settore lattiero-caseario, per diversificare l’offerta delle
paste filate. Si è tenuto conto, inoltre, della crescente domanda di
prodotti caseari a caglio non animale o ricombinato (OGM). In
aggiunta alle tecnologie a pasta filata con coagulanti vegetali, il
progetto ha individuato la linea dei formaggi erborinati, che
rappresenta una novità per il settore campano.
Con la validazione di queste tecnologie casearie, il comparto
campano si candiderebbe per soddisfare la domanda proveniente da
consumatori con esigenze etiche o religiose tali da escludere i
prodotti comunemente disponibili sul mercato.
Il progetto è articolato in 3 linee di attività:
– Validazione di coagulanti a base vegetale;
– Validazione di tecnologie casearie innovative a base di
coagulanti vegetali (formaggi a pasta filata);
– Sviluppo di linee casearie erborinate.
Nelle linee di intervento dedicate alla tecnologie casearie
innovative, si è operato trasversalmente, valutando l’effetto della
stagionalità e dello stadio di lattazione, a parità di alimentazione
1
CREA – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria.
Unità di Ricerca per la zootecnia estensiva
3
degli animali, sulla qualità dei formaggi innovativi.
La diffusione e valorizzazione delle innovazioni è stata perseguita
con molteplici azioni: a) valutazione della qualità delle innovazioni,
mediante prove di assaggio con operatori del settore e consumatori;
b) sviluppo di attività di training degli operatori del settore; c)
organizzazione di seminari e convegni di divulgazione del progetto e
delle innovazioni; d) predisposizione di strategie di promozione delle
innovazioni presso i consumatori, creazione dell’immagine dei
prodotti. Il partenariato (CREA, già CRA-ZOE, Capofila;
Fondazione MEDES; due aziende zootecniche e un caseificio),
costituito da tutti gli attori della filiera, ha raggiunto gli obiettivi
prefissatisi: immettere elementi di innovazione a livello di
trasformazione, trasferimento e valorizzazione attraverso le tre linee
specifiche di intervento convergenti. Anzi, ha validato una tecnologia
non prevista fra gli obiettivi iniziali, quella del formaggio molle
erborinato a caglio vegetale.
Questo piccolo volume vuole presentare, in forma divulgativa e
sintetica, i principali risultati raggiunti. Il testo si articola in quattro
capitoli. Il primo affronta il tema del trasferimento delle innovazioni
nel settore lattiero-caseario e la strategia ed i relativi strumenti
delineati dall’Unione Europea per favorire tale processo. Il capitolo
successivo focalizza l’attenzione sulle caratteristiche strutturali ed
economiche del settore a scala europea, nazionale e regionale e la
identificazione dei principali driver che influenzeranno il comparto
nel prossimo futuro. Il terzo e quarto capitolo illustrano i fattori di
qualità dei formaggi, una breve introduzione sul caglio, ed in
particolare quello vegetale, infine gli elementi innovativi del
progetto, fra cui i due prodotti principali: il Caciocavallo a caglio
vegetale (Fiorveg) e un formaggio vaccino erborinato a caglio
vegetale (Verdefiore). Un piccolo reportage fotografico sulle fasi
principali di produzione del caciocavallo conclude il volume.
4
1. Modelli e Politiche di Innovazione per il settore
lattiero-caseario
di Giovanni Quaranta1
1.1. I modelli di innovazione: un breve profilo
evolutivo
Il
progressivo
riconoscimento
della
multifunzionalità
dell’agricoltura e delle aree rurali, svincolate dalla sola funzione
della produzione di cibo, sta modificando l’idea tradizionale di
agricoltura e con essa il ruolo degli agricoltori. Per rispondere a tali
cambiamenti la nuova Politica Agricola Comune (PAC) dell’Unione
Europea, sia all’interno del primo pilastro destinato alle misure di
mercato sia in riferimento al secondo pilastro, ossia alla Politica di
Sviluppo Rurale (SR), ha visto ridefinirsi i propri obiettivi. Gli
elementi centrali intorno a cui si sta rimodellando l’idea di sviluppo
rurale è quella che assegna alla diversificazione economica e alla
sostenibilità ambientale un ruolo sempre più centrale nella
definizione dei processi territoriali.
Per riallinearsi a queste nuove indicazioni, é necessario che gli
imprenditori agricoli ridefiniscano i propri compiti. In molte regioni
essi potrebbero, ad esempio, incrementare il proprio reddito
attraverso lo sviluppo di diversi servizi e l’esplorazione di nuovi
1
Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile del Mediterraneo – Fondazione MEDES
5
mercati, rispettando in ogni caso i principi di sostenibilità dello
sviluppo.
Tuttavia, in molti casi, esiste un gap tra l’esigenza di
cambiamento da parte degli agricoltori e la capacità delle istituzioni
di supportare tali cambiamenti attraverso le innovazioni.
Il modello predominante che ha regolato il trasferimento delle
innovazioni tende, infatti, a seguire la visione semplicistica di un
modello lineare “dalla creazione all’adozione”. Secondo questo
sistema l’innovazione è il risultato di una serie di conoscenze,
elaborate attraverso la ricerca scientifica, che vengono applicate ad
un processo di produzione e, se economicamente vincenti, diffuse
attraverso l’imitazione o attraverso iniziative di trasferimento attivo
delle conoscenze (Godin, 2005). Il problema di questo tipo di
interpretazione è che essa trascura tutta una serie di aspetti
importanti, quali: la specificità del singolo contesto, l’esistenza di
una rete di conoscenze molto più complessa di quella che si intende
trasferire, i processi di apprendimento e le interazioni sociali che si
attivano nella messa in campo di una nuova strategia. Questo spiega
perché, in molti casi, quando si applica un’innovazione, i risultati
non corrispondono quasi mai a quelli attesi.
Il trasferimento di un’innovazione, in effetti, significa che uno
strumento o un metodo vengono “distaccati” da una configurazione
socio-tecnica e “riattaccati” a una diversa. Non si tratta di un
processo semplice poiché le condizioni operative di un’innovazione
di successo non possono essere replicate in ambienti diversi. Il
trasferimento di un’innovazione implica, quindi, l’adattamento a
specifici contesti socio-tecnici.
Il concetto di “agricultural knowledge system” (AKIS) non
introduce cambiamenti significativi nella definizione di innovazione.
Questo fu elaborato negli anni 90 da una politica agricola
interventista basata sull’idea che, per accelerare il processo di
modernizzazione dell’agricoltura, il trasferimento dell’innovazione
dovesse essere fortemente coordinato e implementato da quattro
attori principali: ricerca, servizi di divulgazione, educazione e
training, sistemi di supporto/assistenza. Secondo questo paradigma è
necessario che tutti questi settori agiscano sulla conoscenza degli
6
agricoltori così da dare origine all’innovazione. Eppure, come
sottolinea Van der Ploeg (2003), se il sapere intorno all’agricoltura è
semplicemente il prodotto del lavoro di un team di esperti, quali
università, istituti di ricerca, o ministeri dell’agricoltura, esso sarà
sempre molto lontano dalla realtà e non potrà mai essere una esatta
rappresentazione della via da seguire. Secondo l’autore, infatti, il
sapere intorno all'agricoltura è costruito e organizzato in sistemi di
conoscenza sempre più frammentati che non hanno alcuna
connessione con le reali pratiche agricole quotidiane. Il risultato è
che le immagini elaborate dagli esperti del settore agricolo, descritti
da Van der Ploeg come “agricoltori virtuali”, non sono in grado di
interpretare le effettive esigenze degli attori rurali.
Perché gli attuali sistemi innovativi siano in grado di rispondere ai
bisogni reali degli agricoltori è necessario che essi prendano le
distanze dagli obiettivi della cosiddetta “era produttivista” (Wilson
and Rigg, 2003; Van der Ploeg et al. 2000; Knickel et al. 2005) e
aderiscano ai nuovi principi di sostenibilità economica, ambientale e
sociale, formulati dalle nuove politiche agricole europee. Perché ciò
sia possibile, è necessario che l’innovazione superi i concetti di
crescita e produzione e interessi soprattutto lo sviluppo rurale e
ambientale: dalla protezione dei paesaggi naturali alla fornitura di
nuovi servizi rurali. Da questo punto di vista l’innovazione implica
molto di più che la sola tecnologia e deve includere anche altri
aspetti, quali: strategia, marketing, organizzazione, progettazione,
partecipazione. Gli agricoltori alla ricerca di strategie alternative
all’agricoltura industriale non richiedono semplicemente “nuove
tecnologie” da applicare ma l’innovazione emerge soprattutto come
il risultato di “differenti modi di pensare e di agire” (Van der Ploeg et
al. 2004).
L’innovazione, ad esempio, potrebbe coinvolgere una pluralità di
soggetti e portare a una riconfigurazione dei modelli relazionali.
L’introduzione dello strumento del self-service per l’acquisto di
frutta e verdura nei supermercati è un semplice esempio di come sia
possibile riconfigurare il rapporto tra consumatori e rivenditori e
innescare processi di apprendimento che coinvolgano tutti i soggetti
interessati.
7
Il concetto di innovazione come processo di apprendimento è
sempre più presente negli studi sull’innovazione in agricoltura, dai
quali emerge il progressivo passaggio da una concezione 'lineare' e '
esogena ' di innovazione a un approccio “sistemico” e “endogeno”.
Sempre più studiosi, infatti, vedono l’innovazione in primo luogo
come un “cambiamento nella configurazione di reti ibride” (Brunori
et al. 2008). Se nella visione tradizionale l’innovazione si concretizza
in prodotti tecnologici (semi perfezionati, macchine, nuovi
fertilizzanti) e il successo dell’applicazione è legato alla capacità
degli utenti di “adottare” al meglio tali sistemi in base alle linee
guida e ai modelli proposti, secondo la nuova visione l’innovazione
si realizza quando la rete di produzione cambia il suo modo di
operare, così che l’innovazione è principalmente legata al modello
derivante dall’interazione tra le persone, gli strumenti e le risorse
naturali. La visione delle reti ibride vede la relazione e
l’apprendimento al centro dei processi innovativi, dal momento che
ogni cambiamento nell’organizzazione sociale ed economica,
migliorando un certo stato di cose, porta ad un cambiamento della
conoscenza disponibile. Si tratta innanzitutto di un “apprendimento
sociale” poiché interessa schemi cognitivi condivisi.
Per operare in coerenza con i bisogni espressi dalla nuova agenda
agricola, le politiche di innovazione rurale devono allora
abbandonare i vecchi modelli e adottare innovazioni di “secondo
ordine”, vale a dire innovazioni che implichino un approccio di tipo
sistemico basato su nuovi obiettivi e nuovi schemi. Se le innovazioni
di primo ordine sono sviluppate a partire da risultati esistenti e lungo
traiettorie già definite, le innovazioni di “secondo ordine” implicano
l’adozione di nuovi paradigmi e set di regole.
Più concretamente, i sistemi innovativi devono diventare più
efficaci nel far convergere interessi privati con quelli pubblici.
Affinché questo sia possibile, è importante che gli enti pubblici siano
in grado di indentificare gli obiettivi di comune interesse e di
stabilire ricerche e programmi coerenti con essi. Allo stesso tempo le
agenzie per l’innovazione avranno bisogno di adattarsi alle mutevoli
richieste della società e di rafforzare e mobilitare risorse endogene,
specialmente attraverso lo sviluppo di una migliore capacità di
8
apprendimento sociale. Bisogna riconoscere, infine, che le politiche
di innovazione saranno efficaci solo se verranno presi in
considerazione gli schemi cognitivi e le motivazioni di tutti i soggetti
coinvolti. Per la stessa ragione è importante che esse siano
accompagnate da un sistema di regole ben definito e da incentivi e
investimenti adeguati sia pubblici sia privati.
1.2. I fabbisogni di
agroalimentare europeo
innovazione
del
settore
L’industria agroalimentare è il più importante settore
manifatturiero dell’Unione Europea sia in termini di fatturato (circa €
965 Mld) sia per il numero di compagnie attive (circa 310.000), oltre
ad assorbire 4,4 milioni di addetti.
Tuttavia, il primato economico detenuto dalle imprese alimentari
in Europa non è supportato da sufficienti investimenti in Ricerca e
Sviluppo (R&S). Tali investimenti risultano, infatti, nettamente
inferiori rispetto a quelli realizzati dagli altri settori industriali.
Inoltre, le spese dei paesi europei per la Ricerca e lo Sviluppo nel
settore alimentare sono molto più basse rispetto a quelle effettuate
dalla maggior parte dei paesi sviluppati non europei (fig. 1).
Fig. 1 - Investimenti R&S in Europa e nei paesi non europei (€ miliardi)
Fonte: The 2009 EU Industrial R&D Investment Scoreboard, European
Commission, JRC and DG RTD
9
L’impresa agroalimentare in Europa si trova a dover affrontare
sfide sempre più difficili che riguardano sia la sua posizione nel
mercato europeo sia il suo grado di competitività all’interno degli
scambi globali. Il quadro diviene più complesso se si considera che il
continuo mutamento dei comportamenti della società e l’emergere di
nuove tendenze espresse dai consumatori richiedono un
rinnovamento costante dei prodotti alimentari e dello stesso concetto
di prodotto.
Per affrontare tali sfide, l’industria del cibo ha bisogno di innovare
costantemente i suoi processi e i suoi prodotti attraverso l’adozione
di nuove tecnologie sviluppate attraverso la ricerca. Tuttavia, Il
settore alimentare Europeo è caratterizzato da medie e piccole
imprese (SMEs) che, nella maggior parte dei casi, non investono le
dovute risorse finanziarie e umane in Ricerca e Sviluppo. Il risultato
è che esse hanno una conoscenza molto limitata delle nuove
tecnologie disponibili e che, quindi, non siano in grado di innovarsi e
cogliere le nuove opportunità di crescita offerte dal mercato.
Per rilanciare lo sviluppo del settore alimentare e guidare le
comunità di stakeholders nel raggiungimento di obiettivi di ricerca
strategici, l’Unione Europea ha supportato lo sviluppo della
Piattaforma Tecnologica Europea “Food for Life”. Il progetto mira a
rafforzare i processi di innovazione europei, migliorare il
trasferimento delle conoscenze e stimolare la competitività in Europa
all’interno della catena alimentare2.
La piattaforma “Food for Life” ha individuato i principali bisogni
dei consumatori, del mondo della scienza e della società nel suo
complesso (tab. 1). Il compito dell’industria alimentare consiste nel
riuscire a interpretare tali esigenze per rispondervi in maniera
adeguata attraverso innovazioni sempre più efficaci.
La Piattaforma Tecnologica Europea “Food for Life” è stata creata nel 2005 sotto l’egida
della Confederazione dell’industria alimentare e delle bevande dell’Unione Europea,
http://etp.ciaa.eu/asp/index.asp
2
10
Tab. 1- Bisogni individuati dalla piattaforma tecnologica Europea “Food for Life”
BISOGNI DELLA
SOCIETA’
- Spese mediche basse
BISOGNI DEI
CONSUMATORI
- Maggiore Gusto e
piacere
BISOGNI DELLA
SCIENZA
- Biologia dei sistemi
nutrizionali
- Cibo a ridotto contenuto
di sale e di grassi
- Nuove misure per il
consumo di cibo e
sistemi di consegna
- Invecchiamento sano
- Migliore educazione sullo
stile di vita sano
- Inclusione nel
programma di educazione
superiore
dell’insegnamento
concernente la salute
alimentare
- Misure per aumentare il
grado di fiducia
- Migliore comunicazione
riguardo ai problemi legati
al cibo e alla salute
- Migliore
Confezionamento
- Nuove imaging e
tecniche meno invasive
- Cibi personalizzati
- Miglioramento della
salute intestinale e delle
ossa
- Miglioramento delle
funzioni immunitarie e
cognitive
- Connessione di
database e data mining
di componenti (non)
alimentari, parametri
sanitari e di consumo
- Funzione microbiota
intestinale e
metagenomica
- Alimenti adatti allo stile di
vita di ogni età
- Bisogni, approvazione
- Coinvolgimento delle
e preferenze del
piccole e medie imprese
- Prevenzione delle
consumatore
nel settore alimentare e
malattie dovute
della salute
all’invecchiamento
Fonte: European Technology Platform “Food for Life”, Strategic Research Agenda
2007-2020, http://etp.ciaa.be/documents/CIAAETP%20broch_LR.pdf
Rispetto alle tendenze che guidano l’innovazione alimentare in
Europa, si possono individuare 15 trends principali, raggruppati a
loro volta in 5 assi: Gradimento, Salute, Fisico, Comodità, Etica.
Nel panorama Europeo le tendenze più importanti riguardano la
raffinatezza e la varietà delle sensazioni.
11
Tab. 2 - Tendenze dell’innovazione alimentare in Europa
Assi
Tendenze
Salute
Medica
Naturale
Vegetale
Piacere
Raffinatezza
Esotismo
Varietà delle sensazioni
Divertimento
Fisico
Magrezza
Cosmetica
Energia, Benessere
Comodità
Consente di risparmiare tempo
Facile da gestire
Etica
Nomadismo
Ecologia
Solidarietà
Fonte: XTC world innovation 2008. Copyright XTC 2009
1.3. Horizon 2020 e il nuovo programma di sviluppo
rurale
L’implementazione di nuovi processi innovativi per l’agricoltura,
il trasferimento delle conoscenze e la promozione di sistemi di
cooperazione sono alcuni degli obiettivi al centro della nuova
strategia dell’Unione Europea “Europa 2020”. Il nuovo programma
decennale mira, infatti, a una crescita che sia: intelligente, grazie a
investimenti più efficaci nella ricerca e nell'innovazione; sostenibile,
grazie alla decisa scelta a favore di un'economia a basse emissioni di
CO2; e inclusiva, cioè focalizzata sulla creazione di nuove
opportunità di lavoro e sulla riduzione della povertà.
Come parte di questa strategia, l’Unione Europea ha lanciato
Horizon 2020, il suo nuovo programma di finanziamento integrato
12
destinato alle attività di ricerca per il periodo 2014-2020, che ruota
intorno a tre obiettivi principali: “eccellenza scientifica”, “leadership
industriale” e “sfide sociali”. Si tratta del più grande programma di
ricerca che l’Unione Europea abbia creato fino ad oggi, con più di 70
miliardi di euro da investire nei prossimi 7 anni e più di 4 miliardi da
destinare alla ricerca nel settore agricolo e alimentare.
Horizon 2020 oltre a prevedere un aumento delle risorse da
destinare all’European Research Council (ERC) e alle borse Marie
Skłodowska-Curie per la mobilità e il training dei ricercatori mira ad
assicurare che i progressi della scienza siano tradotti in effettivi
benefici socio-economici e che rispondano ai reali bisogni della
società.
Due parole chiave intendono rendere più semplice la
partecipazione al programma e più efficaci i risultati della ricerca: “la
semplificazione” delle regole d’accesso, che prevede l’applicazione
delle medesime regole per tutte le parti del programma, e la
“coerenza” dell’architettura, che riunisce i finanziamenti in un unico
quadro di riferimento, dalla ricerca scientifica allo sviluppo di
processi, servizi e prodotti innovativi.
Rispetto alla precedente programmazione, Horizon 2020 presenta
alcune novità, che riguardano:
 una politica meno prescrittiva circa i progetti che devono
essere realizzati e più esigente rispetto agli impatti che i
progetti devono avere;
 un approccio basato sulle sfide e più inclusivo, che mira ad
affrontare le principali questioni che l’attuale società impone sicurezza alimentare ed energetica, trasporti ecologici, salute
pubblica e sicurezza - in un’ottica di interdisciplinarietà e di
cooperazione. Attraverso la Partnership di Innovazione
Europea per la sostenibilità e la produttività agricola (EIPAGRI), Horizon 2020 intende coinvolgere un’ampia gamma di
settori tra loro collegati, al fine di consentire l’interazione tra
ricercatori, aziende, produttori, coltivatori e consumatori finali
e garantire un approccio trasversale coerente con le principali
politiche europee;
13
 progetti multi-attoriali indirizzati a soddisfare le esigenze degli
utilizzatori finali attraverso progetti pilota in cui i diversi
partecipanti avranno ruoli ben definiti, dalla pianificazione
all’applicazione;
 la costruzione di Partenariati Pubblici e Privati (PPPs) più
efficaci, per rafforzare la leadership dell’industria Europea,
accelerare l’innovazione e l’accesso al mercato dei prodotti
della ricerca e mobilitare fondi pubblici e privati per affrontare
le attuali sfide;
 il nuovo “SME Instrument” o strumento per le PMI. Si tratta di
una misura specifica dedicata alle piccole e medie imprese che
ha l'obiettivo di favorire la partecipazione delle PMI al nuovo
programma, rendendo i meccanismi di finanziamento più
semplici. Attraverso questo strumento si intende soprattutto
fornire un sostegno economico alle piccole imprese agricole
per le attività di guida e di training durante tutte le fasi del
progetto: dagli studi di fattibilità all’accesso ai finanziamenti
per lo sviluppo economico.
Per il settore dell’agricoltura Horizon 2020 prevede una specifica
priorità tematica: “Alimentazione, Agricoltura e Bioeconomia”, che
mira a supportare la sostenibilità in agricoltura e la ricerca e
l’innovazione nei settori della sicurezza alimentare e la bioeconomia.
Si tratta della seconda sfida sociale (Food security, sustainable
agriculture and forestry, marine and maritime and inland water
research, and the Bioeconomy) attraverso cui il programma intende
assicurare il rifornimento di prodotti alimentari di alta qualità e di
origine biologica. Tale sfida prevede, inoltre, lo sviluppo di sistemi
di produzione primaria più efficaci e sostenibili, basati su un uso
efficiente delle risorse, e dei servizi ecosistemici correlati,
congiuntamente a catene di approvvigionamento competitive e a
bassa emissione di carbonio. Le scienze umane e sociali saranno
trasversali a ogni attività poiché necessarie per la comprensione dei
mercati alimentari, delle economie rurali e degli aspetti sociali legati
all’alimentazione, all’agricoltura e alla pesca.
14
Il sostegno alla ricerca prevede quattro linee di finanziamento, che
riguardano:
1. agricoltura e silvicoltura sostenibili. Lo scopo è di rendere
l’agricoltura e i sistemi forestali più produttivi, efficienti e
resilienti al fine di garantire un livello sufficiente di scorte
alimentari di alta qualità e biomateriali senza compromettere le
risorse naturali;
2. settore agroalimentare sostenibile e competitivo per
un’alimentazione sana e sicura. L’obiettivo è di rispondere alle
esigenze del consumatore in merito a prodotti alimentari sani,
sicuri ed economicamente accessibili e a rendere le industrie
alimentari più sostenibili e più competitive;
3. sbloccare il potenziale delle risorse acquatiche viventi.
L’obiettivo è di massimizzare i benefici sociali ed economici
provenienti da oceani e mari europei attraverso lo sviluppo di
sistemi di pesca e di acquacoltura più sostenibili e rispettosi
dell’ambiente, e la promozione dell’innovazione marina
attraverso le biotecnologie per stimolare “la crescita blu”
intelligente;
4. bio-industrie sostenibili e competitive. Lo scopo è promuovere
la crescita delle bioindustrie europee a basse emissioni di
carbonio, sostenibili ed efficienti sotto il profilo delle risorse.
Horizon 2020 è attuato in modo complementare ad altri
programmi e politiche strutturali dell’Unione Europea compresi i
fondi strutturali e di investimento europei e la politica agricola
comune (PAC). Quest’ultima ha come obiettivi principali: il
rafforzamento del settore dell’innovazione all’interno della politica
di sviluppo rurale, il sostegno ai giovani imprenditori che intendono
dedicarsi all’agricoltura, il trasferimento dei risultati di ricerca
all’agricoltura e lo scambio di informazioni all’interno della
comunità agricola.
Nello specifico i piani di sviluppo rurale contengono misure
specifiche destinate alla promozione delle innovazioni nei territori
rurali.
15
Riferimenti bibliografici
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Construction of an Analytical Framework. Project on the History and Sociology of
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Wilson, G.; Rigg, J. (2003) 'Post-productivist' agricultural regimes and the South:
discordant concepts? Progress in Human Geography, 27 (6), 681-707
16
2. Scenario competitivo
di Rosanna Salvia1
2.1. L’evoluzione del settore lattiero caseario italiano
nel contesto europeo e mondiale
La produzione di latte dell’UE28 si attesta intorno ai 159 milioni di
tonnellate per anno2 ed è distribuita in modo diverso tra i paesi
membri (fig. 2).
Fig. 2 - Distribuzione della produzione per stato membro
Fonte: http://ec.europa.eu/agriculture/milk/index_en.htm
1
2
Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile del Mediterraneo – Fondazione MEDES
http://ec.europa.eu/agriculture/milk/index_en.htm
17
La produzione è prevalentemente concentrata in Germania,
Francia, Regno Unito, Polonia, Olanda e Italia che concorrono a
definirla per circa il 70%.
Nonostante le differenze esistenti tra i vari paesi, il settore lattiero
caseario è comunque considerato, da tutti gli stati membri, un settore
cruciale per l’importanza che ricopre per l’industria alimentare. Tale
settore è presente in tutti e 28 i paesi membri e contribuisce al 15%
del suo valore aggiunto agricolo (fig. 3).
Fig. 2 - Valore percentuale di ogni prodotto nella produzione agricola finale del
2013
Fonte: http://ec.europa.eu/agriculture/milk/index_en.htm
18
Il settore lattiero-caseario incide in modo più cospicuo sul valore
aggiunto agricolo in alcuni paesi del nord e dell’est Europa come
Irlanda e Svezia con il 24%, Finlandia con il 28% e l’Estonia con il
33%. Per alcuni grandi paesi come la Germania e il Regno Unito,
l’incidenza è invece del 19% e del 17% rispettivamente, e sotto la
media UE per Francia (12%), Italia (10%) e Spagna (6%) (Sckokai,
2008).
Come si può immaginare, i paesi che producono una maggiore
quantità di latte sono anche i paesi con il più grande numero di
allevamenti bovini. Tuttavia confrontando la figura 4 e la figura 5,
che fanno riferimento al 2011, si può vedere che la classifica dei
paesi in base alla produzione di latte non sempre coincide con quella
relativa alla grandezza degli allevamenti nei vari paesi. La Polonia,
ad esempio, è al terzo posto in termini di numero di capi, ma solo
sesta in termini di latte prodotto, evidenziando, quindi, una bassa
produttività. L’Italia, tuttavia, mantiene una posizione stabile con una
percentuale dell’8%, sia rispetto alla produzione di latte sia alla
grandezza degli allevamenti.
Fig. 3 - Produttori di latte bovino nell’Unione Europea nel 2011
Fonte: Eurostat, raccolta di latte vaccino (Indagini statistiche annuali di latte e
prodotti lattiero-caseari, come deciso dalla direttiva del Consiglio 96/16 / CE del 19
marzo 1996
19
Fig. 4 - Distribuzione di bovini da latte per stato membro nel 2011
Fonte: Eurostat (Farm Structure Survey)
Dal 2010 si è registrato a livello europeo un incremento della
produzione di latte vaccino (figura 6). Secondo uno studio condotto
dalla Commissione Europea3 ciò è dipeso da un insieme di fattori
favorevoli quali: buone condizioni climatiche, dinamicità della
domanda e prezzi del latte vantaggiosi. Ciò ha fatto si che la media
annuale del prezzo pagato ai produttori nel 2010 fosse superiore del
15% alla media del prezzo pagato nel 2009. Inoltre, il programmato
aumento delle quote annuali ha ulteriormente incrementato la
produzione.
Relazione trimestrale sul mercato lattiero-caseario pubblicato dalla Commissione europea
nel marzo 2011.
3
20
Fig. - 5 Sviluppo della produzione di latte vaccino in UE-27 dal 2000 al 2011
Fonte: Eurostat, raccolta latte vaccino (Indagini statistiche annuali di latte e prodotti
lattiero-caseari, come deciso dalla direttiva del Consiglio 96/16 / CE del 19 marzo
1996)
La produzione di latte è abbastanza eterogenea tra gli stati
membri. Questa varia da un volume medio di 1 t/animale in Romania
all’anno a 8 t/animale nel Nord Europa (Danimarca, Svezia e
Finlandia). L’Italia si colloca, invece, in una posizione intermedia
con più di 5 t/animale all’anno, con una variazione percentuale
positiva del 6% nel periodo 2000-2011 (tab. 3).
Tab. 3- Cambiamenti nella produzione di latte in Italia (in t per animale all'anno)
Ital
ia
2000
2002
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
%
cres
cita
2000
2011
5.69
5.22
5.44
5.55
5.62
5.58
5.73
5.59
6.01
5.97
6
Fonte: Eurostat, calcoli basati sul numero di bovini da latte e raccolta di latte
vaccino
Tuttavia, l’aumento della produzione di latte contrasta con i dati
che indicano una diminuzione del numero di bovini in Europa.
Mentre la produzione è aumentata, gli allevamenti bovini sono
fortemente diminuiti negli ultimi anni. La diminuzione media è
21
superiore al 2.5% per anno, con una riduzione totale del 15.2% tra il
2001 e il 2011 (fig. 7).
Fig. 6 - Bovini per il settore lattiero-caseario (UE-27) in milioni di animali
Fonte: Eurostat (Animal Production Statistics)
Anche il numero di aziende lattiero-casearie è diminuito negli
anni. Tra il 2003 e il 2010, il numero di aziende agricole nell'UE-27 è
sceso del 47% (da 3.199420 a 1.701.790 aziende).
La riduzione del numero degli allevamenti e delle aziende
produttrici di latte è stata accompagnata, da un lato, da un forte
incremento del numero di capi per azienda e dall’altro da un aumento
molto consistente delle rese medie per capo. Questa situazione è
dovuta a un processo di concentrazione della produzione che ha
determinato, nel tempo, una continua esclusione di aziende agricole
dal sistema produttivo e un incremento della dimensione media
aziendale.
In effetti, sebbene il numero di bovini da latte per azienda vari
molto da paese a paese, dal 2000 al 2012, si registra una tendenza
comune alla crescita. In Europa, il numero medio di capi bovini per
azienda è aumentato in media da 30 capi per azienda nel 2003 a 42
nel 2010.
L’Italia segue questo andamento, con 36 capi per azienda nel 2012
rispetto ai 23 del 2000 (tabella 4); mentre i paesi con il più alto
22
numero di capi per azienda (più di 100) sono la Danimarca, la
Repubblica Ceca e Cipro.
Tab. 4 - Numero di capi bovini da latte per azienda in Italia (2000 – 2012)
Italia
2000
2003
2005
2007
2010
2012
(*)
23
28
30
30
35
36
Fonte: Eurostat (Farm Structure Survey)
(*): Per il 2012, I dati disponibili provengono dal IFCN. I dati sono una media
statistica di bovini per azienda.
Il processo di concentrazione aziendale ha subito un rallentamento
solo nei primi anni di attuazione del regime delle quote latte mentre
negli anni successivi è andato riprendendo vigore (Sorrentino, 2001).
Per quanto riguarda le quote latte individuali assegnate ai diversi
Stati Membri, la maggior parte ha rispettato i limiti stabiliti dal
regime. Fa eccezione l’Italia, che ha superato la quota annuale per
cinque anni consecutivi4 (dal 2001 al 2006); e altri stati quali Cipro
(+ 1,4%), Paesi Bassi (+ 1,2%), Lussemburgo (+ 1,3%), Austria (+
0,7%) e Danimarca (+0,6%).
L’Italia dopo il 2006 è rientrata nei limiti assegnati con un isolato incremento della
produzione del 5% nell’Aprile 2009.
4
23
Fig. 7 - Eccesso o deficit nella produzione di latte rispetto alla quota di latte
assegnata agli Stati Membri (in 1000 t)
Fonte: DG AGRI (ultima pubblicazione Settembre 2012)
Anche la percentuale di latte inviato alle aziende di lavorazione
varia nei paesi membri. In Italia si registra una variazione minima
negli anni con una percentuale che va dal 92.8% nel 2006 a 92.1%
nel 2010. La percentuale è più bassa nei nuovi Stati Membri, in
particolare in Romania, dove circa l’80% del latte prodotto non viene
consegnato ai caseifici. In UE-15, il volume di latte raccolto è vicino
a quello prodotto, con oltre il 90% del totale, senza notevoli
variazioni tra il 2006 e il 2010.
La tabella 5 mostra la percentuale di latte vaccino raccolto rispetto
alla produzione totale di latte vaccino prodotto.
24
Tab. 5- Percentuale di latte vaccino raccolto rispetto al latte vaccino prodotto dal
2006 al 2010 (in percentuale)
2006
2007
Italia
92.8
92.8
UE-27
91.8
90.3
UE-25
94.7
92.9
UE-15
95.5
96.1
Fonte: DG AGRI (Ottobre 2011)
2008
2009
2010
92.9
90.5
93
96.2
92.4
90.3
92.8
95.7
92.1
91.3
93.8
96.8
Esistono delle variazioni significative tra i paesi Europei anche in
termini di qualità del latte prodotto. Nel 2011 l’Italia si colloca tra i
paesi che producono latte con il minor contenuto di grassi, con una
media del 3.6%. Una percentuale simile di grassi è stata riscontrata
nel latte prodotto da Bulgaria, Cipro, Ungheria, Malta e Slovacchia,
con minimi cambiamenti lungo il periodo di osservazione; mentre i
paesi con latte a più alto contenuto di grassi sono i Paesi Bassi
(4.4%), la Danimarca (4.3%), la Finlandia (4.3%) e la Svezia (4.2%).
Tendenzialmente gli stati che producono latte a più alto contenuto
di grassi sono gli stessi che vantano un’alta percentuale di
produzione di latte, in particolare Danimarca e Finlandia (fig. 9).
25
Fig. 8 - Distribuzione degli Stati membri in base al contenuto di grassi (in
percentuale) e resa (in t pro capite) nel 2011
Fonte: Eurostat (Indagini statistiche annuali di latte e prodotti lattiero-caseari, come
deciso dalla direttiva del Consiglio 96/16 / CE del 19 marzo 1996)
La produzione di prodotti lattiero-caseari è molto diversificata in
Europa. Tra i vari prodotti lavorati troviamo: formaggi, burro, latte
intero in polvere (WMP), latte scremato in polvere (SMP) e siero (in
stato liquido, concentrato, in polvere, ecc.).
L’Italia è, insieme alla Germania e alla Francia, uno dei più grandi
produttori di formaggio. I tre paesi producono, infatti,
complessivamente circa il 60% della produzione di formaggio
europeo.
Ciò è dovuto, in parte, al fatto che tali paesi sono tra i più grandi
produttori di latte e posseggono il più grande numero di allevamenti
in Europa. In misura minore, i Paesi Bassi e la Polonia
contribuiscono con il 16% alla produzione totale di latte nell’UE.
I due maggiori produttori di latte, la Germania e la Francia, sono
anche i maggiori produttori di burro, fornendo il 60% del burro
prodotto in Europa. La Francia, inoltre, insieme alla Danimarca
domina la produzione di WMP in Europa con una percentuale del
26
56%; mentre tre quarti della produzione di SMP sono prodotti da
Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo e Polonia.
L’Italia rappresenta, tuttavia, uno dei maggiori produttori di siero,
insieme a Germania, Paesi Bassi, Inghilterra e Polonia.
La tabella 6 riporta i dati della produzione di prodotti lattierocaseari in Italia nel 2011. La definizione “latte disponibile” indica il
latte raccolto da bovini, ovini caprini e latte di bufala, mentre i dati
riportati per il siero si riferiscono al totale della produzione di siero.
Tab. 6 - Produzione di prodotti lattiero-caseari in Italia nel 2011
Prodotti
(1000 t)
Latte
disponibile
Formaggio
Burro
WMP
SMP
Siero
Italia
11 115
1 171
0
-
-
3 322
Fonte: Eurostat (indagini statistiche annuali del latte e dei prodotti lattiero-caseari,
come deciso dalla direttiva del Consiglio 96/16 / CE del 19 marzo 1996).5
Per quanto riguarda le esportazioni, nel periodo compreso tra il
2000 e il 2011, l’Europa ha visto un generale incremento delle
esportazioni di prodotti lattiero-caseari (23%), con variazioni durante
il periodo considerato. In equivalente latte, il formaggio, SMP, WMP
sono i prodotti più esportati.
L’Italia fa parte del gruppo di paesi che registrano bassi livelli di
esportazioni; tuttavia, in tale gruppo occupa una posizione
preminente con circa 2 000 milioni di entrate e più di 500 000 t di
prodotti esportate nel 2011. Il posto di leader in Europa nel
commercio di prodotti lattiero-caseari spetta alla Germania, che
registra circa 7 500 milioni di entrate e più di 5 000 000 t esportate
nel 2011 (fig. 10).
Per alcuni SM i dati Eurostat non sono disponibili. (*): Latte proveniente da bovini
sostituisce il latte disponibile dal momento che i dati non sono stati divulgati.
5
27
Fig. 9 - Esportazioni di prodotti lattiero-caseari in Europa nel 2011 (in milioni di €)
Fonte: Comext
Le importazioni di prodotti lattiero-caseari in Europa sono
modeste rispetto alle esportazioni. Basti considerare che nel 2001,
l’anno in cui è stata esportata la più bassa quantità di prodotti
lattiero-caseari, l’Europa ha esportato quattro volte i prodotti che ha
importato, e questo è stato l’anno in cui l’Europa ha importato di più.
Inoltre, l’ammontare totale dei prodotti lattiero-caseari importati è
diminuito più della metà tra il 2000 e il 2011.
Tale decrescita riguarda principalmente formaggi, burro e SMP.
In particolare, la discesa è diventata più acuta dal 2004, dopo
l’ingresso di altri paesi nell’Unione Europea.
Nella classifica delle importazioni l’Italia occupa il secondo posto
e, insieme alla Germania, rappresenta uno dei più grandi importatori
di prodotti lattiero-caseari, con più di 3 000 000 t registrate nel 2011.
Eppure, i due paesi hanno diversi profili rispetto ai prodotti
importati, la Germania ha un prezzo di importazione per-volume più
alto rispetto alla media Europea, al contrario, per l’Italia è più basso.
28
In una certa misura questo può essere spiegato dal fatto che la
Germania importa più formaggio, burro e siero rispetto all’Italia, la
quale importa più latte grezzo e panna.
Fig. 10 - Importazioni di prodotti lattiero-caseari dei paesi dell’UE nel 2011 (in 1000
t e milioni di euro)
Fonte: Comext
Se si guarda all’importazione pro-capite, il quadro cambia, in
quanto esiste un’importante effetto di scala nelle importazioni dovuto
al fatto che i volumi sono connessi alla popolazione dei vari paesi.
Così l’Italia, che occupava una delle prime posizioni nella
precedente classifica, si qualifica nel 2011 come uno degli ultimi
paesi, sia in termini di volume delle importazioni, poco più di 50 kg
pro-capite, sia di valore monetario, con meno di 100 euro pro-capite
(fig. 12).
29
Fig. 11 - Importazioni di prodotti lattiero-caseari pro-capite dei paesi dell’UE nel
2011 (in kg e euro pro capite)
Fonte: Comext
Tra i vari paesi europei vi sono molte disparità rispetto al prezzo
del latte pagato alle aziende produttrici.
Dal 2000 l’Italia fa parte, insieme alla Finlandia e alla Grecia, del
gruppo di paesi in cui il prezzo del latte è stato sempre molto alto. Il
prezzo medio del latte vaccino italiano oscilla, infatti, intorno a una
media di 35.8 euro per 100 kg nel periodo dal 2000 al 2011 (tabella
7), mentre il prezzo medio del latte vaccino europeo si aggira intorno
a una media di 30.7 euro per 100 kg nello stesso periodo. Per
l’Europa questa oscillazione è stata più forte a partire da Settembre
2007 con un deciso aumento del prezzo medio (39.2 EUR per 100
kg) mentre il prezzo medio più basso è stato registrato a maggio
2009 (24.4 EUR per 100 kg), con una diminuzione del 38% in 18
mesi (fig. 13).
Gli stati che hanno registrato il prezzo di latte vaccino grezzo più
basso si sono sostituiti nel corso degli anni, mentre tra il 2000 e il
2003 erano Spagna, Inghilterra, e Irlanda, nel 2004 i nuovi paesi
30
entranti Lituania, Lettonia, Slovenia e Ungheria sono i paesi con i
prezzi più bassi, ai quali si è aggiunta anche la Romania nel 2009.
La tabella 7 riassume i prezzi pagati alle aziende produttrici in
Italia dal 2000 al 2011.
Tab. 7 - Prezzi di latte vaccino grezzo in Italia in € / 100 kg
Ital
ia
2000
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
34
39
35
35
34
32
34
37
31
34
38
Fonte: Eurostat (ultimo aggiornamento Novembre 2012)
Fig. 12 - Media ponderata del prezzo del latte vaccino grezzo in Europa ( in € / 100
kg )
Fonte: Eurostat (ultimo aggiornamento Novembre 2012)
Il consumo di latte alimentare in Europa è rimasto piuttosto stabile
negli anni. Nel 2011 si registra una media di 64 kg di latte consumato
per persona.
Sebbene il consumo pro-capite non abbia subito importanti
oscillazioni, gli stati membri hanno indici di consumo molto
eterogenei. In Italia, ad esempio, si registra nel 2011 un consumo di
31
latte di 57 kg pro-capite, rispetto ai 140 kg pro-capite registrati in
Estonia (paese con il più alto consumo di latte pro-capite) e gli 8 kg
della Bulgaria (paese con il consumo pro-capite più basso).
Anche il consumo di formaggi varia tra gli stati membri. L’Italia è
uno dei più grandi consumatori di formaggio insieme a Grecia,
Lussemburgo, Francia e Germania, con più di 22 Kg di consumo procapite registrato nel 2011.
Il consumo di formaggio in Europa sta crescendo in maniera lenta
ma costante. Il consumo di formaggio in UE-27 ha seguito una
leggera crescita tra il 2007 e il 2011, raggiungendo 17,1 kg di
formaggio consumato per persona nel 2011.
Nello stesso anno, in Romania, Bulgaria, Irlanda, Spagna, Malta,
Portogallo, Slovenia e Slovacchia si registra un consumo inferiore
ai10 kg pro-capite.
Minore e stabile è invece il consumo di burro. Dal 2007 il
consumo di burro europeo è stato di circa 3,6 kg / pro capite. In Italia
il consumo di burro è molto basso con una media di 2.4 kg pro-capite
nel periodo 2007-2011. Tuttavia, paesi come la Francia, Germania,
Lussemburgo, Estonia e Austria registrano nel 2001 un consumo
importante di burro superiore a 5 kg pro-capite.
Tab. 8 - Consumo pro-capite latte liquido, formaggio (da latte vaccino) e burro in kg
Latte
Formaggio
Burro
2007
2008
2009
2010
2011
UE -27
66
65
65
65
64
Italia
55
55
57
57
57
UE -27
16.7
16.7
16.9
17.1
17.1
Italia
20.9
20.7
21.1
22.0
22.0
UE -27
3.7
3.6
3.7
3.6
3.6
Italia
2.5
2.4
2.5
2.3
2.3
Fonte: Productschap Zuivel
Per garantire una maggiore stabilità dei redditi agli agricoltori, dal
2004 l’Europa ha assicurato agli stati membri i cosiddetti “aiuti
32
disaccoppiati”, vale a dire premi comunitari erogati
indipendentemente dalla produzione.
Gli aiuti disaccoppiati sono aumentati dal 2004, a velocità diverse
tra gli Stati membri.
In Italia, come nell’UE-15, gli aiuti sono stati concessi a partire dal
2005. Il loro importo ha avuto una forte crescita nel 2006 ed è salito
in maniera minore in seguito.
Tab. 9 - Aiuti disaccoppiati per le aziende specializzate nel settore del latte (in EUR
/ ULA)
2004
2005
2006
2007
2008
2009
Media
Italia
-
3 318
7 924
6 576
7 225
6 260
6 261
UE-15
-
5 005
9 825
10 467
10 496
10 310
9 221
UE-27
-
-
-
5 431
6 107
6 027
5 855
Fonte: EU Dairy farms report 2012
L’Italia è uno dei maggiori attori anche in termini di numero di
imprese che producono formaggio, seguita in misura minore da
Francia, Grecia e Spagna. In Italia il numero si aggira intorno alle
2000 imprese mentre per gli altri tre paesi il numero è intorno a 500,
per i paesi restanti la media è di circa 75 imprese. L’Italia ha anche il
più alto numero di imprese che producono burro con circa 600
imprese nel 2009. La differenza nel numero di imprese che
producono prodotti lattiero-caseari in polvere nei diversi stati
membri è poco significativa rispetto agli altri prodotti lattierocaseari. In generale ci sono poche imprese che producono latte in
polvere rispetto agli altri prodotti da latte. Germania, Francia e
Polonia sono i paesi più importanti in questo settore con più di 30
imprese per paese, mentre l’Italia rientra nel gruppo dei paesi con
meno di 10 imprese.
33
Tab. 10 - Numero di imprese in Italia
2000
2003
2006
2009
Raccolta del
latte
1 734
1707
1601
-
Produzione
di formaggio
1 977
2 066
2 026
1 839
Produzione
di burro
-
976
859
Produzione
di prodotti
lattierocaseari in
polvere
-
2
-
582
3
Fonte: Eurostat (Farm Structure Survey)
2.2. Il settore lattiero caseario in Campania
Negli ultimi decenni il comparto lattiero-caseario campano ha
manifestato le stesse tendenze in atto nel resto del territorio nazionale
ed europeo. Si sono registrati, infatti, tanto processi di
concentrazione e specializzazione, prevalentemente nelle aree di
pianura, determinati dalla ricerca da parte delle imprese di maggiori
rendimenti attraverso economie di scala e investimenti in
innovazione (nuovi impianti, nuove tecniche di conduzione,
miglioramento genetico). Nelle aree montane, invece, il processo di
ristrutturazione del comparto, che comunque è in corso, trova
ostacoli di natura tecnica, legata ai vincoli di tipo territoriale,
climatico e ambientale del territorio, che non consentono di ottenere
incrementi di produttività e un abbattimento dei costi pari a quelli
delle aree di pianura. Inoltre, le problematiche sono anche di natura
socioeconomica, legate alla fragilità del tessuto produttivo locale,
34
alle caratteristiche della base demografica e alla disponibilità di
manodopera disposta a operare nel settore.
I dati sulla consistenza del bestiame da latte nel periodo 20022011, riportati in figura 14, delineano le caratteristiche del sistema
produttivo lattiero-caseario, differenziandolo rispetto alla specie
allevata.
Fig. 13 - Allevamento del bestiame da latte in Campania
Fonte: ns elaborazione su dati Istat (numero di capi)
In Campania, gli allevamenti bufalino, caprino e ovino registrano
un incremento rispettivamente del 54,02%, 4,01% e 4,99%, a fronte
di una diminuzione dell’allevamento bovino (-13,77%). I dati
regionali confermano l’andamento nazionale per quanto concerne
l’allevamento bovino (-8,16%) e bufalino (+46,95%) mentre si
rivelano in controtendenza relativamente a caprini e ovini (per i
quali, a livello nazionale, si registrano decrementi, nello stesso
periodo, rispettivamente del 2,87% e del 2,29%).
La consistenza del tessuto produttivo lattiero-caseario regionale è
sintetizzata nella tabella 11, da cui emerge l’elevata concentrazione
territoriale dell’industria della trasformazione nelle province di
Napoli, Salerno e Caserta.
35
Tab. 11 - Caseifici presenti in Campania
Caseifici della Campania
Provincia
Avellino
Benevento
Caserta
Napoli
Salerno
Totale
Fonte: ns elaborazioni su dati CCIAA
Numero attività
70
38
354
440
308
1210
La produzione regionale di formaggi, considerata nel decennio
2002-2013, (fig. 15) mostra incrementi significativi, nell’ordine del
56%. Nello stesso periodo la produzione di formaggi, a livello
nazionale, è cresciuta dell’8% complessivamente.
Fig. 14 - Produzione di formaggi in Campania
Fonte: ns elaborazioni su dati Istat (quantità in quintali)
L’incremento della produzione regionale conferma, dunque, la
rilevanza del settore lattiero-caseario nel tessuto produttivo campano,
con incrementi superiori di quasi sette volte rispetto alle medie
nazionali.
La composizione del paniere produttivo lattiero-caseario regionale
è sostanzialmente segnato dalle consistenze dei formaggi freschi.
36
Questi ultimi, infatti, rappresentano la parte preponderante della
produzione regionale, oscillando tra l’85 ed il 90% del totale
prodotto, nel periodo considerato (fig. 16). Seguono per importanza i
formaggi a pasta semidura che contribuiscono con valori che vanno
dall’8 al 13%. Il concorso delle altre due categorie, formaggi a pasta
dura e semidura, alla definizione della produzione casearia regionale
sono estremamente limitati.
Fig. 15 - Produzione delle principali tipologie di formaggi in Campania (% sul totale
della produzione di formaggi)
Fonte: ns elaborazioni su dati Istat 2013
La produzione, in valore assoluto, di formaggi a pasta dura,
semidura, molle e di freschi, nel 2013, è riportata in figura 17. I
formaggi freschi, con 737.279 quintali rappresentano il 15% della
produzione nazionale mentre i formaggi a pasta semidura, con poco
meno di 78 mila quintali, incidono per l’8% sulla produzione
nazionale della stessa categoria.
37
Fig. 16- Produzione delle principali tipologie di formaggi in Campania (quintali, anno
2013)
Fonte: ns elaborazioni su dati Istat (quintali)
La produzione campana in valore dei prodotti lattiero-caseari
corrisponde, nel 2007, a 181 milioni di euro pari al 4,14% della
produzione nazionale ed al 21,32% del valore della produzione
meridionale (Ismea, 2008).
L’andamento storico dei prezzi (1993-2012) sul mercato nazionale
all’origine dei formaggi per tipologia, è riassunto nella figura 18. Il
trend dei prezzi risulta essere crescente per tutte le varietà, ma si può
constatare un incremento più consistente per le tipologie formaggi
freschi e latticini (+85,01%) ed a pasta dura (+56,62%).
38
Fig. 17 - Trend dei prezzi dei formaggi in Italia (mercato di origine)
Fonte: ns elaborazione su dati Ismea (prezzi in €/Kg)
L’andamento dei prezzi relativi al mercato d’origine per la
Campania, relativi al periodo 2007-2012, evidenziano una
diminuzione in valore dei prezzi di Caciocavallo (-14,87%),
Scamorza (-1,51%) e Mozzarella di bufala (- 2,49%), cui si affianca
un incremento dei prezzi del formaggio Silano (+5,41%).
A titolo di esempio dell’andamento del mercato all’ingrosso
regionale, si possono considerare i dati rilevati dalla Camera di
Commercio di Salerno, relativi al periodo 2003-2010. La mozzarella
di bufala mostra andamenti quasi costanti dei prezzi, che si attestano
su un valore di 769 €/quintale. Il caciocavallo stagionato e le provole
affumicate bufaline mostrano, invece, incrementi rispettivamente
dello 0,25% (789 €/quintale) e del 2,60% (800 €/quintale) a fine
periodo. I prezzi delle scamorze (692 €/quintale) e del caciocavallo
fresco (596 €/quintale) restano, invece, invariati nel tempo.
Sotto il profilo dell’import/export, la situazione campana è inversa
rispetto all’Italia ed evidenzia saldi normalizzati positivi, indicativi,
39
al netto di variazioni congiunturali, di esportazioni superiori alle
importazioni.
2.3. I principali driver che influenzeranno le dinamiche
del settore lattiero-caseario
2.3.1. Dinamica del mercato globale
Nel prossimo decennio, la crescita mondiale della produzione di
latte è destinata a rallentare, passando dal 2,2% all’1,9 % per anno.
Quattro su cinque dei litri in più di latte saranno prodotti da paesi in
via di sviluppo, dove la maggior parte della crescita della produzione
deriva da un aumento del bestiame da latte. L’India, ad esempio, è
destinata a superare l'UE e a diventare il più grande produttore di
latte mondiale (figura 18).
Nelle sue previsioni per l'agricoltura, l’OCSE - FAO vede un
rallentamento della crescita della produzione di latte nell'UE nel
prossimo decennio (0,5 % annuo). Secondo l'OCSE - FAO,
l'abolizione delle quote latte potrebbe avere un impatto sulla
produzione di latte complessiva dell'Unione Europea, accompagnata
da processi di concentrazione regionale delle produzioni. La lenta
crescita della produzione dell'UE è principalmente legata alla bassa
crescita della domanda interna dell'UE e agli elevati costi di
produzione. Quest'ultimo fattore vincola la capacità dell'UE di
partecipare alla rapida crescita dei mercati di esportazione.
40
Fig. 18 - Previsioni per la produzione di latte
Fonte: OECD, Agricultural Outlook, 2014-2023
Considerando il passato recente, OCSE- FAO osserva che i prezzi
del latte e dei prodotti lattiero-caseari sul mercato globale sono
aumentati nel 2013 a causa di un grande deficit di produzione in Cina
e dell'aumento dei costi dei mangimi. Persino i maggiori esportatori
di formaggio, burro e latte in polvere per il mercato lattiero-caseario
– Stati Uniti, EU, Nuova Zelanda e Australia – producono meno latte
che nel 2012.
Tuttavia, nella seconda metà del 2013, nei principali paesi di
esportazione, la produzione ha iniziato a reagire ai segnali di prezzo,
anche perché il prezzo dei cereali da foraggio è diminuito
considerevolmente dalla metà del 2013. Secondo le previsioni
dell'OCSE – FAO, questi fattori, insieme all’attesa ripresa della
produzione interna in Cina, porteranno a un probabile abbassamento
dei prezzi del latte e dei prodotti lattiero-caseari nel prossimo futuro.
41
2.3.2. Dinamica dei consumi e caratterizzazione
qualitativa
L'OCSE - FAO Outlook indica che il consumo alimentare globale
continua a crescere, ma a un ritmo più lento rispetto al decennio
precedente. La crescita dei redditi e l’urbanizzazione si
accompagnano ad un cambiamento nel regime alimentare che vede il
passaggio da una dieta a base di cereali a una dieta ricca di proteine,
con alimenti già pronti e più elaborati.
La crescita della popolazione e il continuo mutamento delle
preferenze alimentari influenzano la domanda di prodotti lattierocaseari (e della carne), richiedendo un ampliamento della produzione
zootecnica. Ciò implica, inoltre, una maggiore domanda di cereali da
foraggio e semi oleosi.
Il tasso di crescita della produzione è limitato da diversi fattori, tra
cui l'aumento dei costi di produzione, la limitata estensione dei
terreni agricoli, i problemi ambientali e i cambiamenti all’interno del
panorama politico. Questi fattori sono importanti in molti paesi ma
hanno un differente peso e diversi impatti su un paese o su scala
regionale.
Nel periodo considerato dall’Outlook, la crescita della produzione
sarà guidata, come negli ultimi dieci anni, da America Latina, Africa
sub-sahariana, Europa orientale e parte dell'Asia, con un incremento
marginale della crescita della produzione in Europa Occidentale.
Le regioni in via di sviluppo esprimeranno oltre il 75% della
produzione agricola aggiuntiva nel prossimo decennio. In questi
paesi i prodotti lattiero-caseari sono per lo più consumati in forma
fresca, ma il consumo di formaggi e latte in polvere è destinato ad
aumentare (rispettivamente una media dell'1,9 % p.a. e 1,2 % su base
annua).
L’aumento della domanda riflette la robusta crescita dei redditi,
l’espansione della popolazione e una maggiore globalizzazione degli
stili alimentari.
I dati di crescita dei consumi sono molto più bassi nei paesi
sviluppati, ma il consumo complessivo di prodotti lattiero-caseari in
equivalente latte è ancora notevolmente superiore a quello dei paesi
42
in via di sviluppo. La differenza deriva in gran parte dal consumo pro
capite di formaggio che nei paesi sviluppati è più di dieci volte il
consumo pro capite dei paesi in via di sviluppo. La figura 20
seguente riassume gli sviluppi attesi di consumo pro capite di
prodotti lattiero-caseari.
Fig. 19 - Proiezioni del consumo dei prodotti lattiero-caseari nel mondo, per regione
Fonte: OECD, Agricultural Outlook, 2014-2023
Si prevede che, nel medio termine, l'aumento dei redditi e la
globalizzazione degli stili alimentari porteranno a un aumento della
domanda di latte e derivati nei paesi in via di sviluppo.
La maggior parte della crescita della domanda sarà soddisfatta a
livello nazionale attraverso l’espansione degli allevamenti da latte e
l'aumento delle rese. L'aumento della domanda di importazione,
soprattutto dei paesi in Asia e Africa, sosterrà i prezzi dei prodotti
lattiero-caseari nel corso del prossimo decennio. I prezzi dei
formaggi tenderanno a crescere nel periodo previsto. D'altra parte, i
prezzi del burro tenderanno a rimanere al di sotto dei prezzi SMP nel
prossimo decennio (fig. 21).
43
Fig. 20- Prezzo dei prodotti lattiero-caseari
Fonte: OECD, Agricultural Outlook, 2014-2023
La crescita della domanda di prodotti lattiero-caseari implica
anche l’emergere da parte dei consumatori di nuove esigenze in
campo alimentare, esigenze che l’industria del latte deve tener
presente e alle quali è chiamata a rispondere attraverso la ricerca e
l’innovazione.
La Piattaforma Tecnologica Europea Food For Life ha rilevato
che, negli ultimi tempi, i consumatori tendono a preferire alimenti
più sani e di qualità. In particolare la domanda si dirige verso
alimenti a ridotto contenuto di sale e di grassi, che favoriscono la
salute intestinale e delle ossa o alimenti personalizzati che
rispondano alle esigenze specifiche di ogni età. Accanto alla ricerca
del benessere fisico vi è anche quella del gusto che spinge i
consumatori a ricercare cibi che sappiano soddisfare anche il palato.
Inoltre, recenti studi dimostrano che anche la presentazione
condiziona in maniera importante le scelte del consumatore, il quale
è portato a preferire prodotti con un packaging originale,
esteticamente ricercato e sul quale sono riportate chiaramente le
materie prime utilizzate per la preparazione degli alimenti.
44
2.3.3. Sistema degli scambi internazionali
La quarta conferenza ministeriale del WTO6 (World Trade
Organization), che si è svolta a Doha nel 2001, ha dato avvio ai Doha
Round, gli ultimi negoziati commerciali sui temi dell’agricoltura,
degli scambi commerciali e dell’economia in generale. Tali negoziati
sono terminati con l’accordo sulla liberalizzazione del commercio
internazionale siglato nel 2013 in Indonesia da tutti i paesi aderenti
all’Organizzazione. La realizzazione di tale obiettivo prevede, tra le
varie misure, la riduzione delle tariffe (dazi alle importazioni) in base
a una formula che prevede riduzioni più consistenti per i dazi elevati:
per i paesi sviluppati, le riduzioni si attesteranno al 50% per le tariffe
inferiori al 20%, e al 66-73% per le tariffe superiori al 75%; mentre i
paesi meno avanzati (PMA) saranno esenti da qualsiasi riduzione.
L’accordo non implica solamente una maggiore apertura dei
mercati e una politica di sostegno più efficace da parte dei paesi
sviluppati, ma comporta anche delle restrizioni per tutti i paesi,
sviluppati e in via di sviluppo, che dovranno rispettare le nuove
regole sancite dal negoziato. Paesi come L’India, l’Argentina e la
Cina i quali, negli ultimi anni, hanno introdotto speciali restrizioni
alle esportazioni per limitare il fenomeno dell’inflazione alimentare”,
dovranno adeguarsi alle ultime direttive.
Il WTO organizza le misure di sostegno interno in base al grado di
distorsione che esse provocano sugli scambi internazionali. Se alcune
hanno un forte impatto, altre non modificano per nulla la direzione
degli scambi o hanno una scarsa influenza su di essi.
L’Unione Europea, grazie alle ultime riforme della PAC, ha
diretto la maggior parte del sostegno verso gli strumenti a basso
impatto conformandosi alle nuove regole WTO.
La proposta presentata dall’EU nell’ambito del Doha Round
prevede l’eliminazione graduale delle restituzioni alle esportazioni,
considerate dai paesi in via di sviluppo una forma di sostegno che ha
una forte influenza sugli scambi. Negli ultimi anni l’EU ha
Il World Trade Organization (WTO) è un’organizzazione internazionale che ha il compito
di favorire le negoziazioni commerciali e stabilire le regole di commercio multilaterale.
6
45
fortemente ridotto i finanziamenti per gli aiuti all’esportazione fino
alla loro definitiva eliminazione sebbene, nel 2009, per superare la
crisi di mercato, l’Europa abbia, di fatto, utilizzato le restituzioni a
favore dei prodotti lattiero-caseari per favorire la ripresa economica.
Bisogna considerare che il comparto zootecnico è uno dei settori
più vulnerabili in Europa e la rinuncia alle restituzioni priva l’EU di
un utile strumento per stabilizzare il mercato del latte e dei suoi
derivati. Per evitare la forte riduzione delle tariffe e un’eccessiva
penetrazione di merce di importazione sul mercato, i prodotti
lattiero-caseari dovrebbero quindi ricevere maggiore protezione.
Una delle questioni più importanti per l’Europa, e per molti altri
paesi, riguarda la tutela delle indicazioni geografiche a livello
globale. Rispetto a questo tema è stata avanzata la proposta di
introdurre misure di protezione, che riguardano: l’estensione ai
prodotti agricoli e alimentari della protezione garantita ai vini e alle
bevande alcoliche, che impedisce l’uso dell’indicazione geografica
per un prodotto che non proviene dalla regione indicata;
l’introduzione di un registro internazionale delle denominazioni
geografiche. Le norme sulle indicazioni geografiche sono essenziali
anche per il mercato lattiero-caseario dell’EU poiché consentono di
valorizzare i prodotti di qualità, dare valore alle tradizioni alimentari
e contrastare i fenomeni della contraffazione e dell’agro-pirateria.
2.3.4. Cambiamenti climatici
Il cambiamento climatico è una delle questioni più urgenti del
nostro tempo ed è, per questo, al centro del dibattito politico
internazionale.
Una delle maggiori cause di tale problema è l’eccessiva
concentrazione di gas a effetto serra che determina un innalzamento
della temperatura della terra con il conseguente aumento della
frequenza di eventi atmosferici estremi (temperature elevate,
alluvioni, siccità).
46
Il Libro Verde dell’Unione Europea sull’adattamento ai
cambiamenti climatici prevede due risoluzioni in grado di contrastare
tale fenomeno: la riduzione delle emissioni di gas responsabili
dell’effetto serra e misure di adattamento ai cambiamenti climatici
per attenuarne gli effetti negativi.
Queste misure chiamano in causa il settore agricolo, le cui
emissioni di gas serra, in particolare nella filiera zootecnica, non
sono trascurabili. Un recente lavoro pubblicato sul World Watch
Magazine fisserebbe tali emissioni al 51%, un valore che include
voci non considerate dai precedenti studi o attribuite erroneamente ad
altri settori economici.
La concentrazione dei gas effetto serra e il conseguente aumento
delle temperature, influisce in maniera significativa sui sistemi fisici
e biologici.
I principali sistemi condizionati dal cambiamento climatico sono:
 acqua; i cambiamenti climatici determinano la riduzione
dell’acqua potabile sicura e l’aumento della siccità. La mancata
disponibilità di acqua potrebbe costringere le popolazioni a
migrare verso altre regioni del pianeta causando una situazione
di instabilità a livello mondiale. L’Europa meridionale e
l’intero bacino del Mediterraneo saranno le zone più colpite
dalla siccità, dove si prevede un calo delle precipitazioni
annuali fino al 40% rispetto ai livelli del 1990 entro il decennio
2080, mentre le temperature supereranno di 4-5°C in media
quelle attuali.
 ecosistemi e biodiversità; l’aumento delle temperature potrebbe
aumentare il rischio di estinzione per molte specie vegetali e
animali;
 cibo; i cambiamenti climatici potrebbero determinare un calo
della produttività agricola e il conseguente pericolo di carestie;
 coste; l’innalzamento del livello dei mari metterà in pericolo
molte zone costiere. Nelle regioni del delta del Nilo, del
Gange/Bramaputra e del Mekong più di un milione di persone
potrebbe essere costretto ad abbandonare il territorio entro il
2050;
47
 salute; il mutamento del clima avrà conseguenze dirette e
indirette sulla salute umana e animale. Tra i rischi principali da
valutare vi sono gli effetti di fenomeni meteorologici estremi e
l’aumento delle malattie infettive.
Il riscaldamento globale e fenomeni ambientali estremi avranno
un forte impatto sulla salute degli animali e sulla produzione
zootecnica in generale. Se nelle zone umide nord-occidentali il
riscaldamento moderato porterà a un aumento della produttività dei
pascoli, nelle zone mediterranee temperature elevate e scarsità delle
precipitazioni abbrevieranno sia il periodo di pascolamento sia la
qualità e la quantità di foraggio disponibile. Gli allevamenti estensivi
al pascolo saranno quelli più a rischio, poiché le condizioni
climatiche influenzeranno direttamente la quantità di foraggio
disponibile e la possibilità di riparo per gli animali.
Una delle principali minacce per l’allevamento zootecnico
riguarda, inoltre, la competizione food-feed-fuel, vale a dire la
contesa sul prodotto agricolo fra consumo umano degli alimenti, uso
come mangime in zootecnia e carburante per le automobili, che
potrebbe portare a una riduzione della disponibilità di alimenti
zootecnici; a questa si accompagna il problema della feed miles, vale
a dire la distanza tra sito di produzione e sito di impiego delle
materie prime ad uso zootecnico.
L’adattamento delle bovine a un clima più caldo implicherà,
inoltre, una modificazione del loro ritmo metabolico con enormi
rischi per la salute nonché una maggiore incidenza di malattie dovute
all’incremento della diffusione di insetti, principali vettori di diversi
virus (per esempio, blue tongue), all’aumento della sopravvivenza di
virus e al miglioramento delle condizioni di vita per nuovi insetti
vettori.
Altri possibili effetti dell’aumento delle temperature saranno la
riduzione dell’assunzione volontaria di alimenti lattiero-caseari, che
porterà a un calo consistente della produzione lattea, e il
peggioramento qualitativo del latte (tenore in proteine, tenore in
grasso, acidità, ecc.), che, nei casi più gravi, vedrà un’alterazione
delle sue caratteristiche chimico-fisiche tale da pregiudicarne la
caseificabilità.
48
In quanto principali responsabili degli effetti causati dai
cambiamenti climatici, l’agricoltura e la zootecnia sono chiamate a
fornire un concreto contributo per contrastare tali fenomeni. I
principali interventi dovranno riguardare:
- la riduzione delle emissioni di CO2. Questa può essere ottenuta
mediante specifiche strategie nutrizionali, un’attenta gestione
degli effluenti zootecnici e specifiche tecniche di stabulazione
per i bovini da latte;
- l’abbassamento dello stress termico. Lo stress da calore
determina dei cali produttivi importanti e i cicli riproduttivi
degli animali ne risultano alterati. Per ridurre gli effetti
dell’incremento termico, gli allevamenti dovranno dotarsi di
strutture ben coibentate e sistemi di ventilazione e
raffrescamento sempre più efficienti. Un’altra misura potrebbe
prevedere la selezione di bovini con maggiori capacità di
adattamento ai climi caldi;
- l’ottimizzazione delle risorse idriche. L’allevamento da latte
comporta un alto consumo idrico. Per limitare tali consumi è
necessario introdurre nuove tecniche colturali che tengano
conto del risparmio idrico e nuove colture che potrebbero
sostituire quelle ad alti fabbisogni idrici oggi alla base
dell’alimentazione delle bovine da latte (ad esempio il mais da
insilato);
- il contenimento dell’impatto dei fenomeni climatici improvvisi
e distruttivi. L’aumento della frequenza e dell’intensità di
fenomeni ambientali estremi, quali alluvioni, tempeste,
fenomeni di siccità e incendi ha un forte impatto sulle
coltivazioni nonché sulle infrastrutture industriali, causando
ingenti danni economici alle aziende da latte. Per fronteggiare
tali eventi gli allevamenti dovranno dotarsi di strutture edilizie
idonee e più resistenti e far ricorso a prodotti assicurativi
specifici;
- l’inibizione dello sviluppo e della diffusione di malattie
infettive. Il persistere dei cambiamenti climatici favorisce in
determinati ambienti la diffusione di nuove forme patogene.
49
Per evitare la proliferazione di nuove malattie è necessario che
il servizio sanitario nazionale preveda per il settore zootecnico
interventi mirati e che gli stessi allevamenti mettano in campo
un efficace sistema di prevenzione.
2.3.5. Eliminazione delle quote latte
Il 31 Marzo del 1984 la Comunità Europea introdusse per la prima
volta il regime delle quote latte, un sistema che imponeva agli
allevatori un prelievo supplementare per ogni chilo di latte prodotto
oltre il limite stabilito (quota).
La nuova regola fu pensata per limitare le eccedenze produttive
registrate nella produzione del latte che causavano un calo dei prezzi
di mercato e la conseguente lievitazione dei costi che la Comunità
Europea era costretta a sostenere a sostegno delle aziende da latte,
con una spesa di oltre il 30% del proprio bilancio agricolo.
La fine del regime delle quote da latte (1 aprile 2015) segna anche
il termine degli effetti negativi della sua applicazione in Italia, che
riguardano soprattutto la disgregazione del mondo produttivo e
associativo che in questi anni si è diviso sulla responsabilità delle
soluzioni da adottare per superare i problemi dovuti alla cattiva
applicazione e gestione del sistema delle quote.
Tuttavia, l’eliminazione delle quote latte non porta con se’ solo
dei vantaggi ma anche molte difficoltà dovute alla mancanza di un
meccanismo di regolazione dell’offerta e al possibile aumento della
volatilità del mercato. Un altro possibile rischio è che, in assenza di
strumenti correttivi, la produzione si concentri solo nelle zone
maggiormente vocate alla produzione di latte impedendo la sua
diffusione su tutto il territorio.
Per mitigare l’impatto dovuto all’abolizione delle quote da latte e
favorire il cosiddetto “atterraggio morbido”, ossia l’uscita indolore
dal sistema delle quote, la PAC ha fissato negli ultimi anni alcune
misure. Queste si articolano in:
50
- misure di mercato, (quote di produzione, prezzi di intervento,
acquisto e stoccaggio delle eccedenze, protezione delle
frontiere) il cui fine è di sostenere il prezzo sul mercato
europeo al di sopra di quello che si determinerebbe in una
situazione di equilibrio di piena concorrenza;
- pagamenti diretti annuali per sostenere il reddito dei
produttori; si tratta di pagamenti diretti che sono per la
maggior parte disaccoppiati, vale a dire calcolati sulla base di
dati storici di riferimento individuali e concessi ai beneficiari a
prescindere dal livello produttivo corrente;
- interventi nell’ambito dei PSR (Piani di Sviluppo Rurale);
questi si traducono in aiuti per le aziende zootecniche destinati
a progetti di investimento (strutture, attrezzature, macchinari,
ecc.), in indennità compensative per le aziende di montagna o
che si trovano in aree svantaggiate, e in premi per la messa a
punto di programmi di almeno cinque anni che interessano
l’agricoltura, l’ambiente e il benessere degli animali;
- altre disposizioni europee; vale a dire politiche in materia di
qualità, trasparenza ed equilibrio del potere negoziale della
filiera. Tali misure non rientrano nella PAC ma incidono
comunque sulle performance delle aziende da latte.
Le nuove regole stabilitile dalla PAC, in particolare le misure di
mercato, sono in realtà già state oggetto di una sostanziale riduzione
negli ultimi anni e per la maggior parte di esse se ne è prevista la
definitiva abolizione nel lungo periodo (PAC 2014-2020).
Il venir meno del sostegno pubblico richiederà l’adozione di una
serie di provvedimenti utili alla gestione del rischio, che può essere
di natura tecnica, vale a dire legato ai disastri naturali e alle malattie
degli animali; o di mercato, dovuto cioè alla volatilità del prezzo e al
conseguente impatto sul reddito.
Sebbene la Commissione Europea ritenga che l’eliminazione delle
quote latte e l’introduzione delle nuove regole costituiscano una
risposta appropriata ai bisogni del settore zootecnico, poiché
consentono ai produttori di reagire liberamente ai segnali provenienti
dal mercato in assenza di restrizioni, non tutti hanno lo stesso parere.
51
Molti studiosi, infatti, sono d’accordo nel ritenere che l’insieme
delle riforme della PAC, tra cui il regolamento “pacchetto latte”, non
possono rappresentare un’efficace alternativa all’eliminazione delle
quote latte dal momento che esse sono ancore inscritte all’interno
della logica dominante della modernizzazione. Tale logica spinge
alla ristrutturazione del sistema non tanto per sostenere forme di
sviluppo dal basso quanto per favorire l’incremento della produttività
e la liberalizzazione del mercato europeo (Ploeg van der et al., 2000;
Ploeg van der, 2006; Sivini, 2006; Vitale, 2006; McMichael, 2008).
Secondo questa prospettiva un modello orientato alla produttività
non tiene conto dei costi sociali, economici e ambientali che produce,
poiché questi sono riversati interamente sulla collettività. Ad
esempio, non considera i fenomeni di squilibrio dovuti al
rafforzamento degli allevamenti intensivi che mettono a rischio
quelli praticati nelle aree marginali, i quali, in mancanza di
alternative produttive, vengono abbandonati con gravi ripercussioni
per il loro sviluppo economico e sociale. Come pure trascura i
benefici derivanti dalla zootecnia tradizionale, vale a dire estensiva,
considerata meno produttiva ma in ogni caso fondamentale nel
mantenere gli equilibri ambientali e la gestione sostenibile del
territorio.
In quest’ottica l’eliminazione del sistema delle quote, con la
conseguente totale liberalizzazione del settore, potrebbe segnare la
fine della possibilità di uno sviluppo sostenibile della zootecnia. La
deregolamentazione del mercato, infatti, costringerebbe i piccoli
produttori a subire il potere di mercato delle aziende più grandi, le
quali diventano le uniche a poter competere sul mercato grazie alla
possibilità di intensificare la loro produzione e di imporre un costante
“calo dei prezzi”.
Per evitare che tale situazione si verifichi, i movimenti europei per
la sovranità alimentare sostengono la necessità di ripensare una
nuova politica lattiero-casearia fondata su un sistema di regolazione e
governo della produzione, attraverso diritti a produrre assegnati ai
produttori per garantire un equilibrio fra l’offerta e la domanda. Su
questa linea si colloca la richiesta della Coordinazione Europea di
Via Campesina di abolire il valore commerciale del diritto a produrre
52
e adattare le quote latte alla domanda, ripartirle meglio tra le regioni,
i paesi e i produttori al fine di ottenere un prezzo del latte redditizio e
di sviluppare una produzione agricola duratura, economica e
multifunzionale (ECVC, 2009).
Le istituzioni europee e gli stati membri sono oggi chiamati a
decidere che orientamento dare alle nuove politiche sia per quanto
riguarda il settore lattiero-caseario che il sistema agro-alimentare
europeo nel suo insieme. Affinché siano in grado di rispondere alle
attuali sfide ambientali e sociali è fondamentale che esse includano
nuove strategie tese a favorire l’innovazione in agricoltura e nuove
relazioni tra produttori e consumatori per la costruzione di mercati
locali e reti alimentari per la distribuzione di alimenti sani e di
qualità.
2.3.6. Rafforzamento delle politiche ambientali e del
welfare animale
La politica Europea in materia di ambiente ha visto negli ultimi anni
un rafforzamento dovuto alle nuove sfide imposte dal cambiamento
climatico e ai problemi legati all’inquinamento ambientale. Uno
degli strumenti più incisivi degli ultimi anni è la cosiddetta Direttiva
Nitrati, nome con cui si indica la direttiva comunitaria 91/676/Cee.
Tale regolamento, recepito in Italia con il Decreto legislativo dell’11
maggio 1999 (n. 152) e riconfermato dal D.lgs. del 3 aprile 2006 (n.
152) prevede tre obiettivi principali:
- monitoraggio delle acque;
- identificazione delle zone vulnerabili da nitrati di origine
agricola, nelle quali è introdotto il divieto di spargimento di
reflui;
- regolamentazione dell’uso in agricoltura dei reflui zootecnici.
53
La normativa italiana affida alle Regioni le competenze per
l’attuazione della direttiva sulla base di parametri e regole tecniche
stabiliti a livello nazionale.
Un'altra questione centrale nel campo delle politiche ambientali
riguarda la gestione delle risorse idriche. Studi recenti hanno rilevato
che l’equilibro tra la domanda di acqua e la disponibilità delle risorse
idriche ha raggiunto un punto critico. La scarsa disponibilità di acqua
e l’incremento di periodi di siccità rappresentano sfide cruciali che
richiedono una risposta immediata da parte delle istituzioni.
Per incoraggiare l’uso efficiente delle risorse idriche, l’Unione
Europea ha emanato una serie di norme comunitarie. Tra le più
importanti vi è la Direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE, la quale
introduce un approccio innovativo nella legislazione europea in
materia di acqua. Questa persegue, infatti, obiettivi ambiziosi quali il
miglioramento dello stato delle acque e la sostenibilità ambientale
attraverso la protezione delle risorse idriche disponibili e la messa a
punto di politiche dei prezzi atte a incoraggiare un uso razionale della
risorsa.
Nel dibattito più ampio della protezione dell’ambiente rientra la
tutela della biodiversità e del benessere delle specie animali, in
particolare di quelle allevate.
La crescente attenzione dell’opinione pubblica e degli animalisti per
il benessere animale ha portato l’Unione Europea all’elaborazione di
diverse regole in materia.
La normativa generale sul benessere degli animali è definita dalla
Direttiva 98/58/CE (recepita con il D.lgs. n.146 del 26 marzo 2001)
la quale stabilisce le norme minime per la protezione di tutti gli
animali in allevamento. Alcune direttive specifiche sono state fissate
per i vitelli e per il settore suinicolo e avicolo, mentre per tutti i
bovini di età maggiore o uguale a sei mesi (bovini da rimonta, vacche
da latte e da carne, bovini da ingrasso) bisogna attenersi alle regole
generali.
54
Altre misure importanti in materia di protezione della salute animale
sono le cosiddette Buone Pratiche Zootecniche (BPZ) le quali si
riferiscono alla normativa vigente e a buone pratiche non vincolanti
che forniscono delle direttive rispetto a come orientare la produzione,
sia sul piano tecnico che gestionale, per garantire il benessere degli
animali in allevamento. Tali pratiche si riferiscono alle tematiche più
rilevanti in materia di benessere animale in allevamento:
management aziendale e personale; sistemi di allevamento e
stabulazione; controllo ambientale; alimentazione e acqua di
bevanda; igiene, sanità e aspetti e comportamenti.
Negli ultimi anni anche l’EFSA (European Food Safety Agency) ha
espresso una serie di “opinioni” sul benessere dei bovini in
allevamento. Nel 2012 l’Agenzia ha pubblicato una serie di linee
guida per la valutazione degli effetti prodotti dai sistemi di
allevamento sulla salute dei bovini e sulle possibili malattie
connesse.
L’insieme delle norme attuali costituisce il punto di partenza per una
riflessione più ampia sul tema del benessere animale che interessa
sempre di più l’opinione pubblica. Una delle questioni più dibattute
riguarda il legame tra la salute animale e l’alimentazione. Gli
allevamenti che adottano un sistema di tipo intensivo sono, infatti, un
fattore di stress per gli animali che si riflette sulla loro salute e di
conseguenza sulla qualità degli alimenti.
Un’alternativa al modello intensivo è rappresentata dai piccoli
allevamenti estensivi i cui punti di forza riguardano condizioni
generali di minore stress metabolico per gli animali dovuti a ritmi
produttivi più lenti. Tuttavia, la stabulazione degli animali nelle
vecchie stalle tradizionali presenta talvolta delle condizioni che
rendono il sistema inaccettabile. Da questo punto di vista il ritorno
ad antiche pratiche, quali il pascolamento e la transumanza estiva
costituisce un passaggio essenziale. Per fare fronte alle integrazioni
alimentari dovute alle elevate prestazioni degli animali, sarebbe
55
opportuno favorire razze poco esigenti come le razze rustiche locali
(Grigia Alpina, Pezzata Rossa d’Oropa, Frisona, Bruna e Pezzata
Rossa Italiana) le quali sono in grado di mantenere alti livelli di
benessere non solo al pascolo ma anche nel periodo di stabulazione.
Ad ogni modo tali accorgimenti non esauriscono le necessità di
benessere animale negli allevamenti. Per garantire standard
eticamente accettabili e in linea con le esigenze del consumatore è
necessario che la ricerca sviluppi per il settore zootecnico elementi di
innovazione sia in campo costruttivo sia gestionale.
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modernizzazione neoliberista? in (a cura di) Cavazzani A., Gaudio G., Sivini S.,
“Politiche, governance e innovazione per le aree rurali”, ESI, Napoli.
56
3. I fattori di qualità dei formaggi
di Salvatore Claps, Lucia Sepe, Anna
Mariantonietta Di Napoli, Giuseppe Morone1
R.
Caputo,
3.1. Premessa
La qualità dei formaggi, come di qualsiasi altro prodotto
alimentare, è influenzata da numerosi fattori. Un formaggio non è
costituito da solo latte, caglio e sale, così come riportato nelle
etichette, ma da un complesso di sostanze ad elevato valore
alimentare e nutrizionale. Il consumatore deve e vuole conoscere con
certezza se quel formaggio lo protegge da alcune malattie o meno,
quali odori e sapori può trovare acquistando quello piuttosto che un
altro. Se si tratta di formaggi ottenuti impiegando latte di una sola
specie e/o razza o se trattasi di latti di miscela. Se per la produzione
vengono impiegate tecniche tradizionali e/o industriali, ecc. Il tutto al
fine di poter fornire al produttore e al consumatore, oltre a una
descrizione completa del prodotto, gli elementi per promuovere
l’immagine del proprio territorio. Le conoscenze acquisite, in un
certo qual modo, permetteranno di riempire di contenuti il termine
diversità.
1
CREA – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria.
Unità di Ricerca per la zootecnia estensiva
57
Oggi il consumatore è sempre più attento alla qualità, per la quale
è disponibile a pagare prezzi adeguati. Ma questa qualità, non solo
deve essere intrinseca ai prodotti, ma deve essere facilmente
leggibile. Nei paragrafi seguenti, oltre a mettere in evidenza il ruolo
dei principali fattori che influiscono sulla qualità dei prodotti caseari
(alimentazione, specie e/o razza, locali di stagionatura, attrezzature
ecc.), vedremo anche i principali parametri indicativi della qualità e
come questi variano in funzione dei diversi fattori. Vedremo, e in un
certo qual modo dimostreremo, che l’opinione diffusa “da qualsiasi
tipo di latte è possibile ottenere sempre lo stesso formaggio” non è
esatta, o almeno non sempre, in quanto la qualità del latte di
partenza, oltre a influire sul tipo di tecnica di trasformazione da
adottare, influenza in maniera determinante la qualità del prodotto
finale.
Tratteremo, essendo sufficientemente noti gli effetti sui macrocomponenti (proteine, grasso, ecc.), soprattutto l’effetto dei fattori
della qualità su alcuni parametri, a torto poco considerati, importanti
circa la qualità nutrizionale e organolettico-sensoriale.
3.2. I parametri della qualità
3.2.1. Qualità nutrizionale
Il latte è un alimento multifunzionale; alle sue già note qualità,
come costituente della dieta, ricco di proteine ad elevato valore
biologico (lipidi, vitamine e sali minerali), si associano importanti
proprietà funzionali dovute alla presenza di numerose molecole
bioattive, la cui azione benefica è esplicitata attraverso il suo
consumo diretto e dei suoi derivati. Infatti, nel latte sono presenti la
vitamina A, gli antiossidanti come la vitamina E ed il ß-carotene, la
sfingomielina, l’acido butirrico ed il CLA, sostanze che da alcuni
anni sono studiate più attentamente per le loro proprietà benefiche
per la salute (attività antitumorale).
58
Gli alimenti che presentano tali proprietà sono denominati
“alimenti funzionali” o Functional Food, vale a dire “cibo o
costituente di questo, che, in aggiunta al proprio intrinseco valore
nutritivo, sia in grado di migliorare lo stato di salute individuale ed il
benessere fisico e mentale” (Goldberg, 1994). In generale, anche se
non esiste una definizione universale, possiamo dire che trattasi di
alimenti dotati di particolari e ben definite attività su organi o
apparati con un miglioramento dello stato di salute dell’individuo.
I parametri più importanti della qualità nutrizionale
Tra i parametri più importanti ai fini della qualità nutrizionale, un
ruolo molto importante è svolto dall’Acido alfa-linolenico (ALA) e
dal CLA.
ALA: appartiene alla classe degli acidi grassi polinsaturi omega-3;
essenziale per l’organismo umano, fra le tante funzioni, contribuisce
alla prevenzione delle malattie cardio-vascolari (azione vasoprotettiva e anti-trombotica).
L’acronimo CLA (Conjugated Linoleic Acid) è utilizzato per
indicare una miscela di isomeri dell’acido linoleico con doppi legami
coniugati, localizzati, soprattutto, sugli atomi di carbonio 9 e 11.
L’attività biologica è attribuita principalmente all’acido rumenico
(C18:2 cis 9, trans 11) che costituisce circa il 90% del totale degli
isomeri presenti nel grasso del latte dei ruminanti. L’origine del CLA
nel latte è duplice. Si ottiene, infatti, sia dalla bioidrogenazione
ruminale degli acidi grassi insaturi, rappresentati in larga parte nei
foraggi verdi, sia dalla sintesi nei tessuti animali, principalmente
ghiandola mammaria tessuto adiposo, a partire dall’acido vaccenico
in seguito all’azione dell’enzima delta9-desaturasi. Gli studi
effettuati finora, soprattutto su modelli animali, hanno dimostrato che
per il CLA un ruolo importante è svolto dal sistema alimentare e
dalla stagione. Nell’ambito della stagione e del sistema alimentare
(pascolo e tipo di integrazione) svolge, inoltre, un ruolo importante
lo stadio vegetativo delle essenze vegetali.
Sempre il sistema alimentare influenza in maniera significativa il
contenuto di vitamina A e di Vitamina E. Queste sostanze, molto
importanti sia per la specifica azione vitaminica e sia per le proprietà
59
antiossidanti, sono influenzate dal sistema alimentare (pascolo e tipo
di integrazione)
3.2.2. Qualità aromatica
Il sapore e l’aroma di un formaggio sono il risultato di una
combinazione di fattori, come la specie, la razza, la dieta, la stagione,
la tecnica di trasformazione, le attrezzature utilizzate…. e di
complesse trasformazioni in cui entrano in “gioco” i batteri, di
origine lattica e/o cosiddetti caseari, che “effettuano” complesse
trasformazioni in grado di influire sia sul profilo nutrizionale e sia su
quello organolettico di un formaggio. Ciascun odore e sapore di un
formaggio, come di qualsiasi altro alimento, pur venendo, in parte,
percepito in maniera diversa a seconda della sensibilità soggettiva,
svolge un ruolo determinante circa la scelta e il relativo consumo di
un formaggio. Sin da bambini, infatti, prima di assaggiare e,
eventualmente, rifiutare un alimento (in particolare un formaggio), la
prima mossa istintiva è quella di dare una “annusata”.
Per poter valutare oggettivamente l’aroma di un formaggio, in
maniera oggettiva, si può procedere con l’analisi delle componenti
aromatiche volatili (VOC: esteri, aldeidi, alcoli, chetoni, idrocarburi
aromatici, terpeni). Si tratta, poi, di mettere in relazione quanto
rilevato, a livello strumentale, con la reale percezione del
consumatore. Gli studi effettuati, finora, hanno comunque dimostrato
che esiste una elevata correlazione tra quanto rilevato a livello
strumentale e quanto percepito da un panel di assaggiatori (esperti e
non). Fra le classi di componenti volatili, vi sono alcune che
presentano un legame diretto, in modo particolare, con la dieta degli
animali: sono i terpeni (mono e sesquiterpeni), responsabili di odori
quali erba appena tagliata, geranio, limone. In generale, è stato
dimostrato che il loro contenuto nel latte e di conseguenza, almeno in
parte, nel formaggio è direttamente proporzionale al contenuto nella
dieta di essenze appartenenti alle dicotiledoni e “altre famiglie”.
Altre classi, invece, sono maggiormente legate all’azione dei batteri.
60
La microflora del latte e dei formaggi, infatti, è in grado,
attraverso complesse trasformazioni, di influire sul profilo
nutrizionale e aromatico di un formaggio. Si tratta dei processi di
glicolisi (scissione degli zuccheri), proteolisi e lipolisi. Nel primo
caso si avranno composti aromatici (diacetile e acetaldeide) e
anidride carbonica; attraverso la proteolisi si producono aldeidi (erba
verde, fruttato), esteri (aroma floreale e di burro) e alcoli (formaggio
fresco, fungo, ecc.); infine dalla lipolisi si ottengono acidi grassi,
alcuni chetoni (aroma di burro, nocciola, fruttato), aldeidi ed alcoli.
3.3. I fattori che influenzano la qualità
3.3.1. Il sistema alimentare
Tra l’alimentazione degli animali e la qualità del latte e dei relativi
derivati esistono relazioni di tipo diretto: passaggio di molecole
dall’alimento al latte e ai formaggi (come ad esempio il carotene e il
conseguente colore del formaggio); di tipo indiretto: effetto
dell’alimento ingerito sui processi che avvengono a livello ruminale
e sulla disponibilità di precursori per la sintesi dei componenti del
latte.
L’elemento che più fa la differenza è senza dubbio il pascolo
(Claps et al., 2011), o meglio, l’acquisizione diretta dell’erba da parte
dell’animale che può decidere quando e cosa mangiare. Animali di
differenti razze che pascolano lo stesso prato danno un latte diverso,
perché selezionano le erbe in maniera diversa; ovviamente sempre
che il prato sia ricco di essenze. Il fatto che l’animale si muova, che
può regolare la propria dieta in relazione alle proprie esigenze,
permette di dare un latte non solo più aromatico ma anche con una
componente nutrizionale molto più importante rispetto al latte
prodotto con animali alla stalla. Anche se questi animali fossero
alimentati con il fieno prodotto dalla stessa erba. Perché, di per sé,
61
l’affienamento o l’insilamento determinano nell’erba una forte
riduzione dei metaboliti secondari, responsabili dell’aroma, e delle
molecole di importanza nutrizionale.
Passando dall’erba verde allo stato secco (erba affienata) si ha
una perdita di “molecole della qualità”, in percentuale diversa. Si
stima, ad esempio, una perdita del 65-75% delle vitamine e un calo
pari a circa il 50-60% dei composti volatili.
Nell’ambito del progetto FORVEG “Utilizzazione di cagli
vegetali per la produzione di tipologie casearie innovative a base di
latte bovino”, dato che lo scopo principale era quello di collaudare
differenti tipologie di cagli vegetali per la produzione di formaggi a
pasta filata, l’alimentazione degli animali è stata mantenuta costante
per tutta la durata del progetto (stessi alimenti con quantità differenti
in rapporto allo stadio di lattazione degli animali).
3.3.2. La razza
L’effetto della razza sulla qualità del latte e dei relativi prodotti
caseari, a prescindere dai polimorfismi genetici, come ad esempio nel
caso del Grana-Padano con la vacca Reggiana, è sufficientemente
noto.
62
La diversa composizione del latte, già ad esempio, in termini di
contenuto in grasso e di dimensioni del relativo globulo, giustificano
le differenze nella qualità dei formaggi. Ricordiamo, come già
espresso in precedenza, che le caratteristiche organolettiche sono
dovute, in parte, alle attività di proteolisi e lipolisi. Le diverse
quantità di grasso determineranno differenti quantità di acidi grassi,
chetoni, ecc., che vanno ad influenzare il maniera differente il profilo
aromatico.
Se le razze vivono al pascolo, vi sono molte probabilità che il latte
sia diverso e non tanto o non solo perché possono avere livelli
produttivi diversi quanto perché utilizzano il pascolo in maniera
differente. Diversità che ritroveremo nell’aroma e nel valore
nutrizionale del latte e del formaggio. Spesso, o quasi sempre, è
difficile scindere l’effetto della razza dall’effetto interazione razzaambiente.
Se gli animali, invece, sono allevati in stalla e sono alimentati con
unifeed, se diversità c’è, questa non può essere attribuita
all’alimentazione. Restano, in questo caso, il diverso livello
produttivo, o meglio la diversa composizione chimico-fisica del latte,
e, come dimostrato, in diversa bibliografia, il polimorfismo delle
caseine (ad esempio influenzano in maniera differente la capacità di
coagulazione del latte, la consistenza del coagulo e la relativa
capacità di ritenzione dell’acqua).
Nell’ambito del progetto FORVEG, proprio per annullare le
differenze dovute alla razza, in entrambe le aziende, sia per la
produzione dei “caciocavalli” a caglio vegetale e sia per la
produzione del formaggio “erborinato”, gli animali appartenevano,
sia per il gruppo di collaudo e sia per il gruppo testimone
(tradizionale) alla stessa razza.
3.3.3. I trattamenti termici del latte
Per la produzione dei formaggi, soprattutto tipici, il dibattito è
stato sempre aperto, in alcuni casi con toni accesi, tra i fautori del
“latte crudo” e quelli del pastorizzato e/o termizzato. La verità, come
63
sempre, sta nel mezzo. Il trattamento termico, come ben noto,
determina alcune modifiche nella composizione del latte. Il
trattamento termico, infatti, determina la riduzione o distruzione
totale della microflora autoctona (batteri lattici) con relative
ripercussioni sul flavour e sulle caratteristiche finali del formaggio.
Determina, inoltre, notevoli cambiamenti nella struttura della micella
caseinica con problemi di coagulazione (maggior tempo di
coagulazione e minore consistenza della cagliata), rischio di
formazione di gruppi sulfurei, denaturazione delle sieroproteine, e
conseguente flavour di “cotto”. Possiamo continuare, volendo, ad
elencare le problematiche relative ai trattamenti termici. Sorge, in
questo caso, spontanea la domanda sul perché produrre un buon latte
se poi alcune caratteristiche vengono annullate dal trattamento
termico e dall’impiego, per garantire comunque l’acidificazione, dei
fermenti
Il latte crudo, d’altro canto, pone problematiche di altro tipo e
soprattutto di tipo sanitario. In linea generale, almeno per i formaggi
prodotti a livello aziendale, adottando opportuni accorgimenti, il latte
crudo non rappresenta un rischio igienico-sanitario.
3.3.4. Il caglio
Il caglio tra i fattori della qualità, per i formaggi a coagulazione
presamica, occupa un ruolo fondamentale. In questo caso lo citiamo
per sottolinearne l’importanza. Non ne parliamo perché sarà trattato,
in maniera esauriente, in un successivo capitolo.
3.3.5. Le attrezzature impiegate
Nell’ambito della produzione di qualunque derrata alimentare e
dei formaggi, in particolare, dopo aver seguito tutti gli accorgimenti
possibili per ottenere una buona qualità della materia prima (latte), le
caratteristiche del prodotto finale, non rispettano sempre i
64
“desiderata”. Un esempio classico riguarda l’impiego delle
attrezzature in legno proprio nella produzione del caciocavallo. Non
sono rari i casi, infatti, in cui i produttori, dopo aver introdotto
l’acciaio per rispettare le normative igienico-sanitarie, hanno avuto
problemi relativi alla coagulazione e alla acidificazione della pasta.
Il ritorno alla “tina”, in legno, ha risolto il problema. Il legno,
grazie alla sua porosità, permette la formazione di un film batterico
che contribuisce ad arricchire la flora lattica ed agevola
l’acidificazione della pasta. In pratica, la soluzione più semplice, più
naturale ed economica per fornire al latte la necessaria flora lattica è
quella di ritornare all’uso del legno in caseificio.
L’impiego di differenti attrezzature, inoltre, come dimostrato da
numerosa bibliografia, influenza le caratteristiche organolettiche dei
prodotti.
3.3.6. I locali di stagionatura
La maturazione è una fase molto delicata e strategica nella vita di
un formaggio. Le caratteristiche di tipicità sono legate, infatti, oltre
alla composizione iniziale della cagliata, ai metodi di produzione e,
soprattutto, alle trasformazioni chimiche e biochimiche che si
verificano durante il processo di maturazione.
65
Il locale di stagionatura svolge un ruolo importante perché tutti i
fenomeni della maturazione (proteolisi e lipolisi: ovvero scissione
delle proteine e dei grassi) sono influenzati dalle condizioni
ambientali dei locali di stagionatura (temperatura, umidità e
ossigenazione dell’atmosfera). I fattori ambientali regolano e
condizionano i processi di maturazione, oltre che lo sviluppo
eventuale di microflora aerobica di superficie, l’ispessimento della
crosta e le perdite di umidità. Il locale di stagionatura ha sempre
rappresentato e rappresenta un elemento fondamentale nella vita e
per l’espressione di determinate caratteristiche di un formaggio.
Nelle condizioni naturali o prevalentemente naturali di stagionatura
si creano degli ecosistemi biologici non sempre perfetti sotto il
profilo di una razionale maturazione dei formaggi, ma che hanno il
pregio di essere irriproducibili.
Nel progetto FORVEG, proprio per annullare le differenze legate
ai diversi locali di stagionatura, i “caciocavalli”, sia tradizionali e sia
innovativi, sono stati stagionati nello stesso locale.
3.4. I prodotti del progetto: la qualità aromatica e
nutrizionale
I due prodotti principali del progetto sono il Caciocavallo a caglio
vegetale (Fiorveg) e un formaggio vaccino erborinato. Sono in corso,
su entrambe le tipologie di formaggi, le valutazioni di tipo chimicofisico e le valutazioni organolettico-sensoriali (panel di degustazioni
con esperti, con operatori del settore e con consumatori).
Il profilo aromatico del Caciocavallo Fiorveg (fig. 1), a 3 mesi di
stagionatura, rispetto a quello ottenuto con caglio tradizionale, è
risultato sostanzialmente differente per alcune classi di componenti
aromatiche. In quelli a caglio vegetale (I), rispetto a quelli a caglio
tradizionale (T), in particolare, sono stati rilevati esteri e alcoli. Non
sono stati rilevati, invece, acidi.
66
Fig. 1 – Profilo aromatico del Caciocavallo a tre mesi di stagionatura – Tradizionale
(T) vs. Innovativo (I)
I
T
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Classi aromatiche in %
Aldeidi
Chetoni
Acidi
Esteri
Fenoli
Idrocarburi
Alcoli
Terpeni
A livello di profilo aromatico, a 6 mesi di stagionatura (fig. 2), il
caciocavallo Fiorveg (I) è risultato caratterizzato, al contrario del
tradizionale (T) dalla presenza dei composti solforati.
67
Fig. 2 – Profilo aromatico del Caciocavallo a 6 mesi di stagionatura - Tradizionale
(T) vs. Innovativo (I)
I
T
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Classi aromatiche in %
Aldeidi
Chetoni
Esteri
Idrocarburi
Alcoli
Terpeni
Composti solforati
A livello di caratteristiche nutrizionali (fig. 3), per i parametri
presi in considerazione (PUFA, LA, ALA e CLA), sia a 3 e sia a 6
mesi di stagionatura, non sono state osservate differenze
significative. Questo è da mettere in relazione sia alla scelta di
mantenere gli animali con alimentazione costante e sia al maggior
effetto del caglio vegetale, non tanto sulla lipolisi quanto sulla
proteolisi e quindi sulla struttura del formaggio.
68
Fig. 3 – Profilo acidico del Caciocavallo - Tradizionale (T) vs. Innovativo (I)
7,000
PUFA
LA
ALA
CLA
6,000
%FAME
5,000
4,000
3,000
2,000
1,000
0,000
T
I
T
Stagionatura 3 Mesi
I
Stagionatura 6 Mesi
La migliore verifica dei risultati di una ricerca è data dal giudizio
del consumatore. Il caciocavallo “Fiorveg”, pur presentando
caratteristiche particolari (questo era uno degli obiettivi del progetto
e delle attività di collaudo), si caratterizza per una “identità” precisa,
sia in termini di sapore e di odore e con una accettabilità superiore
alla media. Lo stesso discorso vale nel caso dell’erborinato a
coagulante vegetale che, pur rappresentando una novità assoluta per
formaggi a latte bovino della regione Campania, ha riscosso,
soprattutto presso gli operatori del settore, e non solo, un elevato
grado di accettabilità. Maggiori dettagli sono riportati in un capitolo
successivo.
Riferimenti Bibliografici
Claps S., Pizzillo M., Rubino R.2011. Dalle stalle alle stelle. Consigli per
migliorare la qualità del latte e del formaggio. Ed. Caseus, Potenza.
Claps S., Sepe L., Annicchiarico G., Fedele V. 2011. Prodotti caseari migliori da
ovicaprini al pascolo, Informatore Agrario, 48, 55-59.
69
Goldberg I. 1994. Functional Foods. Food Science and Nutrition, Springer.
Sepe L., Claps S., Caputo A.R., Di Napoli M.A., Rufrano D., Paladino F., Fedele
V. 2013. Use of extruded linseed in cow diet to improve cheese nutritional quality.
It. J. of Anim. Sci., 12:1 (suppl.), 60.
70
4. A proposito di CAGLIO VEGETALE
di Lucia Sepe1
4.1. Cosa è il caglio?
Il latte si presenta allo stato liquido appena punto e fino a quando
mantiene un certo pH (4,6). In queste condizioni le caseine, le
principali proteine del latte, si presentano come globuli, circondati
dalle sottili k-caseine che li mantengono sospesi nella fase liquida, e
vengono detti “micelle” di caseina. Quando il pH si abbassa al valore
4,6 (per acidificazione naturale o accelerata), le catene delle kappa
caseine si spezzano perdendo una “coda” in un punto ben preciso
(legame fra l’amminoacido 105 e 106), privando le micelle della
capacità di stare in sospensione e permettendo la loro aggregazione e
avviando la formazione di legami forti in presenza di calcio, con la
conseguente produzione di un reticolo che intrappola il liquido, i sali
e i grassi disciolti in esso (coagulazione). Tagliando questa massa
gelatinosa, simile ad uno yogurt molto compatto, si causa la
liberazione del liquido e di parte delle sostanze in esso diffuse (siero)
e l’ammassamento della parte solida, che diventa “cagliata”.
Un modo per accelerare la coagulazione è aggiungere una
sostanza in grado di indurre la trasformazione delle caseine ad un pH
più alto (5,4), riducendo i tempi: il coagulante.
CREA – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria. Unità di
Ricerca per la zootecnia estensiva, Capofila progetto FORVEG
1
71
Il coagulante in caseificazione, detto comunemente CAGLIO, è
una sostanza ricca di enzimi. Gli enzimi (principio attivo dei
coagulanti) partecipano alla reazione chimica di trasformazione di
proteine e grassi, pur non entrando a far parte delle nuove molecole.
Ogni enzima è formato come una “chiave” in grado di indurre una
specifica reazione, essendo adatta ad una specifica “serratura”. Gli
enzimi in grado di scindere le proteine in molecole più piccole sono
detti proteolitici (chimosina, pepsina, proteasi acida); quelli che
scindono i grassi sono detti lipolitici, e liberano gli acidi grassi
(Salvadori del Prato, 1998).
La capacità del caglio di far coagulare il latte in determinate
condizioni di pH e temperatura si definisce forza o titolo del caglio, e
si esprime come “il numero di unità di latte che vengono coagulate a
35°C in 40 minuti da 1 unità di caglio”. Ad esempio: 1:10.000 indica
che 1 ml di caglio (liquido) fa coagulare 10.000 ml di latte, ossia 10
litri. Se utilizziamo caglio in pasta, allora avremo che 1 grammo di
caglio fa coagulare 10.000 g di latte, ossia circa 10 kg.
4.2. Classificazione dei cagli
Esistono diversi tipi di caglio, ottenuti da matrice diversa
(animale, vegetale, microbica) e venduti in forma diversa (liquida,
polvere o in pasta). Nella tabella seguente sono riportati i più diffusi:
72
Tab. 1 - Classificazione dei cagli in base all’origine
ORIGINE
- animale
- fungina
(muffe)
- da DNA
ricombinato
(OGM)
- vegetale
TIPO
- Caglio bovino
- C. caprino e ovino
- Pepsina bovina, suina, di
pollo
da Mucor miehei
da Mucor pusillis
da Endothia parasitica
- di batteri (E. coli)
- di lieviti (K. lactis)
- di funghi (A. nidulans)
Estratto di cardo, gallio,
fico, papaia, etc.
PRINCIPIO
ATTIVO
- Enzimi proteolitici
- Enzimi proteolitici
e lipasi
- Pepsina
Proteasi acida
- Chimosina A
- Chimosina B
- Chimosina B
Miscela di enzimi
proteolitici
Vediamo ora una breve descrizione dei cagli più utilizzati.
4.3. Il caglio animale
Il più diffuso e conosciuto è quello liquido ottenuto dallo stomaco
(abomaso) del vitello. È disponibile anche in polvere e in pasta,
prodotto industrialmente. I suoi enzimi (pepsina e chimosina) sono
attivati in funzione del grado di acidità e della temperatura del latte.
In ambiente con pH acido e temperatura ottimale (40°C) la presa
avviene in 15 minuti, la coagulazione in 20-25’. La pepsina è 45
volte più potente della chimosina nell’attività proteolitica. Anche se
in ambiente acido, questi due enzimi non sono attivi a 52-59°C, e
vengono parzialmente disattivati. Raffreddando il latte, una parte
recupera le sue proprietà, avviando la coagulazione. I formaggi
freschi ottenuti con questo caglio sono caratterizzati da una pasta
dolce-lattica, tendenzialmente dolce e sapida ma mai piccante in
quelli stagionati.
73
Per alcuni formaggi tradizionali, a pasta dura e semidura, e
soprattutto quelli dell’Italia Centro Meridionale, sono utilizzati il
caglio di agnello e di capretto (in pasta o in polvere), industriali o
aziendali. Questi cagli sono composti, oltre che da chimosina e
pepsina, anche da quantità variabili di un altro enzima, la lipasi,
responsabile del gusto piccante del formaggio, a prescindere dal tipo
di latte (bovino, ovino o caprino). Miscelando il caglio ovi-caprino
con quello bovino in percentuali differenti, si può creare una vasta
gamma di formaggi dal carattere deciso, come il provolone piccante.
Il titolo varia da quello liquido (1:8.000 – 1:20.000), a quello in
pasta (1:8.000 – 1:15.000) infine a quello in polvere, il più potente e
utilizzato per “standardizzare” cagli poco costanti (1:80.000 –
1:150.000).
4.4. I coagulanti microbici e da OGM
I coagulanti microbici (disponibili in forma liquida, venduti
anche in piccole bottiglie in farmacia, e in polvere) si ottengono dalla
coltivazione di muffe (come il Mucor miehei citato nella precedente
tabella 1) e sono resistenti a pH e temperature elevati. Per questa
caratteristica potrebbero sembrare preferibili a quelli animali, ma si
deve considerare il meccanismo di rassodamento della cagliata, più
lento all’inizio e più rapido alla fine del processo, con maggiore
velocità di acidificazione e di spurgo della cagliata rispetto al caglio
di origine animale, che portano a un formaggio dalla struttura e dal
sapore che si discostano dal “tipo” prodotto con caglio animale. È
infatti importante accelerare il processo, per evitare un’acidificazione
o un’asciugatura eccessiva della cagliata, che comportano una perdita
di prodotto e quindi economica. Il titolo varia da 1:11.000 – 46.000
in quelli liquidi fino a 1:150.000 per quelli in polvere.
I coagulanti da organismi geneticamente modificati (OGM)
sono composti solo da chimosina. Il codice genetico responsabile
della produzione di questo enzima è “copiato” da quello bovino e la
“copia” viene “trapiantata” in microrganismi (batteri); questi si
74
moltiplicano e producono l’enzima, che viene raccolto e venduto in
forma liquida. Per la legislazione italiana, per poterli usare si deve
ottenere un’autorizzazione specifica, sono vietati per la produzione di
formaggi DOP o IGP. Essendo a base di sola chimosina, non portano
alla produzione di una cagliata con le medesime caratteristiche di
quella ottenuta da miscele presenti negli altri cagli.
4.5. Il caglio vegetale
Come abbiamo visto nella tabella 1, più di una specie vegetale
presenta un’azione coagulante.
La prima specie di cui si abbia traccia storica è il cardo selvatico,
Cynara cardunculus, citato da Lucio Columella nel 50 d.C. (“De Re
Rustica”), per la produzione di un formaggio con latte ovino. Ancora
oggi si produce il Caciofiore nel Lazio, con la medesima tecnica.
Un’altra specie, il Galium, è riportata dallo stesso Columella, da cui
deriva il nome appunto Caglio, ma ad oggi nessun formaggio risulta
prodotto con questa pianta come fonte di caglio.
In altri paesi europei, come la Spagna e il Portogallo, si producono
formaggi tradizionali e DOP con estratto di cardo selvatico,
presumibilmente a seguito della dominazione romana: Queso de la
Serena, Torta del Casar, Ibores in Spagna; il Serpa e il Serra da
Estrela in Portogallo, solo per citare qualche nome, tutti prodotti con
latte ovino, a livello aziendale, artigianale o in piccoli caseifici.
I principi attivi coagulanti sono contenuti nel fiore del cardo, e la
miscela di enzimi tutt’oggi non è completamente nota bensì è molto
studiata a livello internazionale. Sono state individuate due proteasi
principali (la cynarasi e la cardosina), presenti in forme e percentuali
diverse. La conseguenza di questa variabilità è che il potere
coagulante dell’estratto non è costante. Il titolo varia da 1:2.000 a
1:15.000.
Altri fattori influiscono sul potere coagulante, come le modalità di
preparazione della materia prima e di estrazione. In genere la
coagulazione avviene fra i 27° e i 30°C; la miscela di enzimi presenta
75
la massima attività in un latte a pH 5,1 e un’intensa attività
proteolitica: questi formaggi, tutti prodotti con latte ovino,
presentano una pasta “molle”, burrosa, che tende a perdere
completamente la struttura e presentarsi fusa a temperatura ambiente,
tanto da prendersi “al cucchiaio”. Si presentano, inoltre, a volte
piccanti e con una lieve nota amara, caratteristica specifica e non
difetto, dovuta a proteolisi secondarie, che portano alla formazione di
peptoni amari.
4.6. Perché caglio vegetale
La società italiana si sta evolvendo, sia sotto la spinta di una
crescente globalizzazione e multietnia, sia sotto l’influenza di
processi storico-culturali. Di fatto sta cambiando il nostro modo di
mangiare, la nostra dieta, e il consumatore è sempre più attento a ciò
che mangia, alla qualità, agli ingredienti, oltre che all’origine, merito
anche della regolazione europea a tutela della salute del cittadino.
A ciò si aggiunge l’aumento di una quota di popolazione che
rifiuta prodotti di origine animale ottenuti con il sacrificio dello
stesso, come carne, pellami, ecc., ma anche la maggior parte dei
formaggi, perché prodotti con caglio animale. Mentre in paesi
europei come la Gran Bretagna sono abbastanza diffusi formaggi
riconosciuti per VEG (vegetariani), in altri Paesi europei il mercato
offre ancora poche alternative.
4.7. Innovazione vegetale al passo coi tempi
Il gruppo di ricerca del CRA-ZOE (oggi assunto a nuova identità,
il CREA) nel corso di un decennio ha voluto studiare e mettere a
punto coagulanti vegetali per rispondere alla richiesta di un mercato
in continua espansione, quello che non accetta il caglio animale
perché ottenuto dal “sacrificio” di animali lattanti.
76
Nell’ambito del progetto FORVEG sono stati validati diversi
formaggi, a pasta filata ed erborinata (tipo bleu), ampliando così la
potenziale offerta di formaggi a caglio vegetale. I formaggi sono stati
ottenuti lavorando latte vaccino di Frisone e di Pezzate Rosse,
alimentate in un sistema meno intensivo e particolarmente attento ai
fabbisogni nutrizionali e al benessere animale. I formaggi presentano
un profilo organolettico unico perché nati dall’uso di un caglio
vegetale e della tecnologia tradizionale a caglio animale.
Vediamo ora nel dettaglio le tecnologie a caglio vegetale validate
nell’ambito del progetto FORVEG.
Riferimenti Bibliografici
Salvadori del Prato O. (1998), Trattato di tecnologia casearia, Edagricole,
Bologna.
77
5. I formaggi del progetto FORVEG
di Lucia Sepe1 e Francesco Paladino1
Nell’ambito del progetto FORVEG sono state validate per l’uso
del coagulante vegetale due tipologie principali di formaggio: a) a
pasta filata (fresco, tipo fiordilatte, a breve stagionatura, tipo
scamorza, e a medio-lunga stagionatura tipo caciocavallo); b)
erborinato, con pasta compatta e inoculo di muffe di Penicillium
roqueforti.
Di seguito vengono descritte brevemente queste quattro tipologie
di formaggi a latte vaccino.
FIORDILATTE
È un formaggio a pasta filata, succosa di
latte, di forma sferica e pezzatura dai 100
ai 250 g, consumato entro pochi giorni
dalla data di produzione.
CREA – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria. Unità di
Ricerca per la zootecnia estensiva, Capofila progetto FORVEG.
Foto F. Paladino, L. Sepe
1
78
SCAMORZA
È un formaggio a pasta filata più asciutta del
fiordilatte, piriforme più o meno allungato,
con “testa”, che può arrivare ad un mese di
stagionatura (a seconda della pezzatura).
Generalmente può essere consumato già dopo
5-6 giorni.
CACIOCAVALLO
È un formaggio a pasta filata di
media stagionatura (minimo 3
mesi, ma che può spingersi
tranquillamente ai sei mesi), di
pezzatura variabile (da 1 a 2,5
kg), porzionabile con facilità;
presenta una shelf-life maggiore
rispetto a formaggi appena
descritti e si presta al
confezionamento sottovuoto. Può arrivare ad un anno di stagionatura
e anche oltre. È gradito dal consumatore più “maturo”, che ama un
gusto più pronunciato, senza tuttavia rinunciare alla delicatezza del
latte vaccino.
ERBORINATO
È un formaggio a pasta molle o semidura, che presenta uno sviluppo di
muffe edibili all’interno della pasta, e
che contribuiscono alla maturazione del
formaggio con la formazione dei
caratteristici aromi e sapori; può essere
79
consumato dopo almeno 45-50 giorni di stagionatura.
Nel corso del progetto sono stati sottoposti a gruppi di
consumatori e operatori del settore caseario e zootecnico, per prove
di assaggio, e il giudizio complessivo di accettabilità ha consolidato
la validazione dell’innovazione.
5.1. Giudizio dei consumatori
Il Caciocavallo è stato presentato in un confronto fra tipo di caglio
utilizzato, a parità di tutti gli altri fattori (razza, alimentazione, luogo
e data di produzione, casaro, e altri fattori visti nel capitolo 3. I
consumatori hanno potuto così valutare solo le differenze attribuibili
al caglio (struttura, odore, sapore).
I dati raccolti nel corso di tre eventi, ad esempio, hanno mostrato
una buona accettabilità media del caciocavallo VEG, ed in particolar
modo i consumatori “informati” che partecipavano al Salone del
Gusto di Torino (23 ottobre 2014) hanno valutato più che bene il
caciocavallo innovativo, apprezzando il buon equilibrio aromatico, la
leggera persistenza dell'amaro finale che lo caratterizza, oltre alla
consistenza.
80
Fig. 1- Giudizi di accettabilità su Caciocavallo, espressi da consumatori nel corso di
eventi nazionali ed internazionali.
8
Accettabilità totale
7,8
7,6
7,4
7,2
tradizionale
vegetale
7
6,8
6,6
6,4
Ispra
Torino
Controne
Evento
Scendendo nel dettaglio della tipologia di consumatore,
osserviamo come il gusto dei consumatori maschili si avvicina al
profilo del caciocavallo a caglio vegetale, al contrario di quello
femminile, che ha comunque apprezzato l’originalità della struttura e
la nota erbacea e amara finale.
81
Fig. 2 - Giudizi di accettabilità su Caciocavallo, distinti fra consumatori maschili e
femminili.
7,6
Accettabilità totale
7,4
7,2
M
F
7,0
6,8
6,6
Tradizionale
Vegetale
Caglio
Oltre al caglio ottenuto dal carciofo, sono stati studiati altri
coagulanti, per i quali però è necessaria una ulteriore fase di studio,
per giungere ad uno stadio compatibile con la validazione.
Seguono le schede tecnologiche dei formaggi a caglio vegetale
validati nel corso del progetto FORVEG, presentati nel corso di
eventi nazionali e internazionali, nonché di training con gli operatori
del settore. Al termine del capitolo viene presentata una sequenza di
immagini delle fasi di produzione del caciocavallo.
82
5.2 Schede tecnologiche dei formaggi Forveg
Tecnologia del fiordilatte Fiorfior
Ingredienti: Latte vaccino crudo, caglio
vegetale (80-100g/hl), all’occorrenza fermento
liofilizzato tipo S. thermophilus e L. bulgaricus
per inoculo diretto in caldaia, preincubato in latte
a 42°C, sale.
Attrezzature: caldaia a doppio fondo, tino per
l’acidificazione, tagliatrice o coltello, bastone per la filatura o filatrice,
eventuale formatrice, tino per il raffreddamento.
Attività (per 100 litri latte)
Fermento liofilizzato nel secchio di latte a 42°C
latte + fermento del secchio in caldaia a 37°C
aggiunta del caglio e mescolamento lento e omogeneo
presa (40 minuti)
Completamento coagulazione
taglio con lira fino a grossezza di una noce, poi riposo per pochi
minuti (10 ca.)
02.20
agitazione della cagliata con la rotella
02.30
cagliata sottosiero, temperatura cagliata 37°, inizio acidificazione
della cagliata
05.30
al termine dell’acidificazione, il pH deve aggirarsi sul valore 5,05,1
Taglio e prova di filatura
05.40
05.45
Taglio e immersione della cagliata in acqua a 85-90°C, partendo
dai bordi
06.15
Mescolamento con il ruotolo e filatura, aggiungendo sale in dose
massima pari al 4% in peso
06.30
Formatura e mozzatura del fiordilatte e immersione immediata in
acqua fredda
Cura: mantenimento in liquido fino alla vendita.
Caratteristiche: assenza di crosta, pelle liscia, colore bianco latte, pasta
tenera, succosa e delicatamente fibrosa, sapore dolce, fresco, lattico e
caratteristicamente acidulo. Nessun retrogusto particolare. Resa: 13-15%.
Tempo
00.00
00.25
00.45
01.25
02.05
02.10
83
Tecnologia della scamorza VEG
Ingredienti: Latte vaccino crudo, caglio
vegetale (80-100 g/hl), sale.
Attrezzature: caldaia a doppio fondo,
tavoli spersori in acciaio, tino per la
filatura, tino per il raffreddamento, vasche
di salamoia, celle di stagionatura.
Tempo
00.00
00.30
01.10
01.50
02.00
02.10
Attività (per 100 litri latte)
Latte crudo in caldaia a 38°C
Aggiunta caglio
Presa (in circa 40 minuti)
Coagulazione. Taglio del coagulo in quadrati con lira a 5 cm
Rivoltamento cagliata e riposo cagliata
Rottura a nocciola e breve riposo
02.40
03.00
06.00
06.15
06.40
07.00
Riscaldamento a 42°C
Inizio acidificazione sottosiero della cagliata fino a pH 5,1
Prova di filatura con pezzetto di cagliata
Estrazione della cagliata con allontanamento del siero
Taglio e sminuzzamento, copertura con acqua a 85°C, e filatura
Formatura della scamorza e della testa
Immersione in acqua fredda, legato ad un laccio e sospeso ad un
sostegno
Immersione in salamoia al 20% per 3-4 h/kg
07.15
Sgocciolatura (2-4 ore)
Maturazione appeso in cella a 10-12°C e UR 80%, per 5-30
giorni,
Caratteristiche: crosta assente, pasta tendenzialmente fibrosa ma
morbida, di colore bianco tendente ad avorio; odore e sapore tipico,
delicato di latte e fermentato, dolce e sapido al contempo, lieve
sentore erbaceo. Resa: 11%.
84
Tecnologia del caciocavallo Fiorveg
Ingredienti: Latte vaccino crudo, caglio
liquido vegetale (80-100 g/hl), sale.
Attrezzature: caldaia a doppio fondo, spino
a palla, tavoli spersori in acciaio, tino per la
filatura, tino per il raffreddamento, vasche di
salamoia, celle di stagionatura o grotte.
Tempo Attività (per 100 litri latte)
00.00
Latte crudo in caldaia a 38°C, aggiunta di siero innesto 10% o
fermenti lattici termofili
00.30
Aggiunta caglio
01.10
Presa (in circa 40 minuti)
01.50
Coagulazione. Taglio del coagulo in quadrati con lira a 5 cm
02.00
Rivoltamento cagliata e riposo cagliata
02.10
Rottura a chicchi di mais e breve riposo
02.40
03.00
06.00
06.15
06.40
07.00
07.15
19.15
Riscaldamento a 45-46°C
Inizio acidificazione sottosiero della cagliata fino a pH 5,2
Prova di filatura con pezzetto di cagliata
Estrazione della cagliata con allontanamento del siero
Taglio e sminuzzamento, copertura con acqua a 85°C, e filatura
Formatura del caciocavallo e della testa
Immersione in acqua fredda, legato ad un laccio e sospeso ad un
sostegno
Immersione in salamoia 12h/kg
Sgocciolatura (2-4 ore)
Maturazione appeso in cella a 10-12°C e UR 80%, per 3-12 mesi,
con eventuale pulizia dalle muffe, con acqua e sale.
Caratteristiche: crosta giallo-dorata, pasta tendenzialmente fibrosa
ma morbida, eventuale occhiatura irregolare; facile al palato per
l’ottima consistenza, aromi persistenti, odore burroso, intenso sentore
erbaceo. È caratterizzato da una piacevole acidità con note di amaro
dalla leggera persistenza, dolce e sapido al contempo. Resa: 10%
85
Tecnologia dell’erborinato Verdefiore
Ingredienti: Latte vaccino
pastorizzato o termizzato,
sieroinnesto o lattocoltura di S.
thermophilus preincubata in
latte, spore di P. roqueforti,
caglio vegetale 80-100 g/hl, sale.
Attrezzature: caldaia a doppio fondo, spino a lira, stampi cilindrici
in plastica da 2 kg, tavoli di drenaggio, bancone di stufatura, cella
fredda e cella di stagionatura.
Tempo Attività (per 100 litri latte)
00.00
Latte pastorizzato temp. 37°C + fermenti termofili 1:1 + P.
roqueforti
00.30
Aggiunta caglio
01.10
01.50
02.00
02.10
Presa (40 min)
Coagulazione. Taglio del coagulo in quadrati con lira a 5 cm
Rottura della cagliata in dimensioni di una nocciola e breve
riposo
Estrazione di una parte di siero
02.20
Estrazione della cagliata e messa in forma senza pressare
05.20
Stufatura a 37°C per circa 3 h e fino a ph 5,4, dopo di che
passaggio in cella fredda a 4-6 °C
Salatura a secco per 4 giorni
17.20
Stagionatura in cella per 45-50 giorni a 6-7 °C e U.R. 85-90%,
dopo una settimana bucatura delle facce con aghi di acciaio per
favorire l’areazione della pasta e lo sviluppo delle muffe
Caratteristiche: crosta a superficie irregolare, unghia evidente, pasta senza
occhiature con evidenti scanalature verdi per sviluppo di muffe edibili, colore
avorio carico, texture mediamente solubile e adesiva, fondente, odore
caratteristico del formaggio tipo bleu, sapido, burroso, intenso e lievemente
pungente nel più stagionato, mai piccante. Resa: 12%
86
5.3. Principali fasi di produzione del caciocavallo
1. Riscaldamento del latte
2. Aggiunta del caglio
3. Presa
87
4. Primo taglio con lo
spino a palla
5. Rottura a chicco di
mais e agitazione
6. Prova di filatura
88
7. Estrazione della
cagliata con
allontanamento del
siero
8. Taglio e sminuzzamento
9. Copertura con
acqua a 85-90°C
89
10. Filatura
90
11. Formatura del caciocavallo
12. Immersione in acqua
fredda in sospensione
13. Maturazione in cella o in
grotta, appesi con corda o in
retino
91
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