NOESIS – BERGAMO
2008 - 2009
INCONTRI DI FILOSOFIA
EUGENIO BORGNA – NON C’E’ VERA CONOSCENZA DEL BENE E DEL MALE SENZA
SOFFERENZA
Eugenio Borgna1 – Psichiatra – Università degli Studi – Vercelli
Conferenza tenuta martedì 17 febbraio 2009
1.1 RELAZIONE2
I manoscritti perduti si salvano quando incontrano lettori/interpreti che ne scoprono nuovi
contenuti. I libri che nascono dal contatto con le persone sono ricchi, hanno contenuti che
eccedono la consapevolezza dell’autore stesso.
Sconfinati sono i temi e le possibilità di riflessione sulla dimensione del male, la più enigmatica.
Infinite sono le maschere con cui il male si presenta. Simone Weil3 ha vissuto in sé le spine più
laceranti del male, con perenne capacità di non perdere la speranza, e di affascinarci attraverso i
suoi scritti.
Borgna vuole percorrere un cammino ideale rivisitando l’itinerario di dolore di Simone Weil e di
Etty Hillesum4. Tale itinerario corre anche lungo abissi di disperazione, angoscia e speranza, dove
nella speranza si configura il bene e nell’angoscia il male.
La psichiatria si confronta con male e bene attraverso cammini meno alati rispetto a filosofia e
teologia. Lo psichiatra incontra gli aspetti più terreni del male.
Quello che si può dire nasce da improvvise schiarite, radure che si aprono nella foresta dei fili che
legano chi parla e chi ascolta. Bisognerebbe evitare che l’oblio divori il cammino di esperienza di
uno psichiatra che sia stato capace di ascoltare il silenzio con cui si esprimevano mille sofferenze.
Il male può essere definito in mille modi, la psichiatria ne dà una definizione secca, essenziale: il
male è sofferenza, violenza, dolore. Borgna vuole dire quanto più affievolita, nel male, ci arrivi la
luce della speranza (e per contrapposizione poi dirà del bene).
Il male di cui parlerà si compone delle possibili risonanze di sofferenza, dolore, violenza, e nasce in
noi sulla scia di malattie, sconfitte, sofferenze.
Se intendiamo il male come emblema della sofferenza, per decifrarlo andiamo a vedere la
sofferenza in noi, quella senza speranza. Quando si parla di bene e di male si sfiora l’arcipelago
delle passioni, la sofferenza è la prima passione.
C’è una sofferenza che nasce in noi autonomamente, indipendentemente da quello che fanno gli
altri. La sofferenza inutile é la più dolorosa.
Simone Weil si è consumata in trentatre tra le più vertiginose riflessioni su male e sofferenza.
Alcune persone sono accompagnate da malattie senza tregua né speranza. Ci sono anche malattie
non riconosciute che nascono da sofferenza psichica, dolorosa e incompresa.
Fatichiamo a
1
Vedi note bibliografiche.
Scrivere questa relazione è stato particolarmente impegnativo perché il messaggio del Borgna è affidato in gran parte
al suo personalissimo stile oratorio, difficilmente intercettabile mediante appunti. Mi scuso per le carenze.
3
1909-1943, Ebrea francese sotto il governo filonazista di Vichy, vita segnata da sofferenze ed impegno. Vedi note
bibliografiche.
4
Deceduta ad Auschwitz, ha lasciato importanti diari. Vedi note bibliografiche
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riconoscerla in chi ci sta vicino. Bisogna liberare la sofferenza (depressione, disperazione) che è in
noi. La sofferenza come metafora del male vive in noi come componente essenziale della vita, a
cui non si può sfuggire. Proviamo ad accettare questa definizione del male: sofferenza in noi senza
cause esterne. Poi c’è il male che generiamo negli altri, anche inconsciamente, con il nostro
linguaggio verbale e posturale, anche con i nostri silenzi.
In conclusione, il male, come sofferenza, fa parte della vita possibile di ciascuno di noi. Cita il
filosofo Levinas che si chiede quale sia il senso del male che ci colpisce sulla scia di malattie
incurabili. Anche il suicidio rientra nel circuito delle esperienze del male.
Borgna si dichiara lontano da premesse manichee, vede male e bene mischiati e coesistenti in noi.
Nella Bibbia la sofferenza in noi è simboleggiata dalla figura di Giobbe, che tra gli altri mali soffre
del silenzio di Dio. E’ una sofferenza individuale, personale, involontaria ed inutile.
Simone Weil a questo punto propone una sorta di rivoluzione copernicana, espressa nei suoi diari.
La sua vita è lacerata dal male, ma non ne è distrutta. Vive “la notte oscura dell’anima” 5. Borgna
citerà Weil per rendere più dialogico il suo discorso. Il discorso monologico allontana il parlante
dall’ascoltatore.
Silenzio e solitudine sono esperienze umane, e possono rendere meno disperata la metafora del
male.
La storia della psicologia è costellata di diserzioni terrificanti.
La rivoluzione copernicana espressa nelle pagine di Simone Weil, sommerse nella sofferenza più
atroce, consente di cogliere un senso nell’invisibile ed indicibile sofferenza individuale.
Il discorso di uno psichiatra è molto frammentato, ma dalle parole dette nascono anche quelle non
dette, contraddittorie.
Il male, anche il più estremo, ha in sé qualcosa da donare: non c’è conoscenza senza sofferenza.
Parlando di male e di bene dovremmo avere la percezione di essere portatori di verità, mentre la
dimensione delle certezze ci blocca. Se non c’è conoscenza senza sofferenza, come già proclamato
da Eschilo6, speriamo almeno che anche la sofferenza inutile, psichica, la più lacerante abbia la
possibilità di generare metamorfosi come quella di Simone Weil, sempre che il drago dell’oblio non
divori le sue parole.
Cita da S. Paolo: “la nostra debolezza può essere la nostra forza”. Seguendo sentieri interrotti, non
indirizzati verso mete programmate, possiamo trovare brandelli di comprensione.
Esperienze dicibili ed indicibili non possono fare a meno dell’oscurità.
La psichiatria è frammentata di fronte a scienze trionfanti che si pongono lo scopo di dimostrare
l’assoluta insignificanza della psichiatria stessa come disciplina e come scienza. La psichiatria che
si confronta con il dolore sta per essere relegata tra le vestigia del passato. Sta per essere relegata
come epifania7, metafora del male, mentre invece tentava di trovare varchi nel male stesso. La
psichiatria che tenta disperatamente di togliere la maschera al male, smascherare il male, ed
evitarlo, sembra recedere di fronte alle neuroscienze.
5
Juan de la Cruz, vedi note bibliografiche
Drammaturgo Greco, vedi note bibliografiche
7
Il termine epifania deriva dal greco επιφάνεια, epifaneia, che può significare manifestazione, apparizione, venuta,
presenza divina
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“Ogni essere grida in silenzio la sua disperazione” (da Simone Weil). Il dolore non parla.
Simone Weil ha scritto quattro quaderni8. Era coltissima, scriveva anche in Greco. Dopo una
adolescenza aperta alle speranze più luminose, ha incontrato plurime metafore del male, tra cui
anche l’anoressia, ed altre come parole gesti sguardi silenzi
sorrisi involontariamente portatori di male.
Borgna riconosce di porgere un discorso non lineare. A
proposito di alcuni poeti tedeschi9, morti suicidi, dice che
scrissero parole da ascoltare con il cuore prima che con la
mente. C’è una intelligenza delle emozioni. Cita l’urlo
silenzioso di Munch.
“Il pensiero della sofferenza non è discorsivo, non corre lungo
binari lineari. Il pensiero urta contro il dolore fisico, contro la
sventura”.
“Un mal di denti può far disperare, ma quando è passato lo si
dimentica. Una sventura è assai più complessa e colma di
indicibilità”, per penetrarla si deve passare dalla ragione
all’intuizione. L’intuizione è forse un dono innato
Scrive Simone Weil: “Il pensiero urta contro il dolore fisico e
contro la sventura come una mosca urta insensatamente
contro i vetri. Il dolore annienta la parola e, ...”. Weil mostra genio femminile con aperture ad
abissi di intuizione.
Il pensiero filosofico non ci può difendere dalle lacerazioni del male, che però talvolta ci aprono
all’intuizione.
Dante: “.. gli occhi mi percosse10”, importanza del vedere rispetto all’argomentare. Anche queste
immagini sono sorgenti di interpretazioni senza fine in cui si salvano immagini e metafore, e nessun
discorso razionale.
“mediante la sofferenza, la conoscenza”, non c’è conoscenza vera, intuitiva, che non sorga dalla
sofferenza, quindi dal male. Auspicabile fare della sofferenza un’offerta ed una occasione.
I modi in cui viviamo il nostro male trasformano il male stesso e possono farne una sorgente di
trasformazione per noi.
“Non dobbiamo attribuire alla sofferenza la connotazione di una punizione11”, intuizione importante
che nasce dalla forza di guardare in noi senza farci distrarre dall’azione.
“Bisogna amare la sofferenza nella sua più profonda essenza che è assenza di significato, altrimenti
non si ama Dio”
Simone Weil si è avvicinata al Cristianesimo, ma ha rifiutato il battesimo per rispetto all Shoa.
Il Borgna si augura di avere ancora tempo prima che la noia trasformi le sue parole in pietre.
Consiglia la lettura di S. Agostino, specialmente in relazione ai concetti di male e di tempo.
8
Pubblicati in Italia da Adelphi
Qui gli appunti sono carenti. Si può consultare il sito http://www.associazioneasia.it/adon.pl?act=doc&doc=501
10
Dante, Paradiso
11
Questo ed altri virgolettati che seguiranno sono tratti dai quaderni di Simone Weil. Essendo stati trascritti come
appunti durante la conferenza non sono citazioni letterali.
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Con parole, gesti, sguardi offerti o negati diventiamo portatori di quella sofferenza che è metafora
del male inutile.
A chi soffre diamo tante parole vuote ed inutili per la nostra incapacità a vivere la sofferenza degli
altri.
Cita le poesie di Emily Dickinson12, evocatrici di tempeste, silenzi, angosce, diserzioni.
Sofferenza come sorgente di conoscenza, premessa per cui noi si diventa portatori di bene.
Cita Antonia Pozzi13, poetessa italiana poco nota: “se stiamo male, quali voci possiamo ascoltare?
Solo quelle voci che vengono da persone che hanno altrettanto sofferto.
Ciascuno di noi può essere portatore di bene mediante parole, gesti, sguardi che sono zattere di
salvezza che non vengono da astratte architetture razionali.
Sbagliare una parola è una delle esperienze più terribili del medico.
Sempre più ardua e sconfitta l’aspirazione del medico ad aiutare l’altro ad uscire dall’abisso del
dolore.
Anche il bene ha infinite metafore. Scegli la metafora della speranza che può arrivare dalle parole
di chi ha conosciuto il dolore.
Il Borgna si avvia alla conclusione, che dichiara essere nello stile di Etty Hillesum che, in campo di
concentramento, scriveva: “credete che non veda il filo spinato, i forni crematori, i simboli di
morte? Ma vedo anche uno spicchio di cielo”. Scrive sotto la violenza del male, e trova spiragli di
bene in una percezione ai limiti della follia.
Il Borgna si considera provvidenzialmente confusionario, rifugge dall’organizzare razionalmente il
materiale che propone.
Ha fatto esperienza in manicomio, per i cui cuori aperti esprime nostalgia.
femminile come sorella sfotunata della poesia.
Vede la follia
La speranza è la stella del mattino a cui guardare quando abbiamo l’intuizione che le persone con
cui ci relazioniamo abbaino esperienza di dolore.
La sofferenza inutile è ciò che ci confronta con noi stessi. Se la riconosciamo negli altri, e ne
siamo riconosciuti, si passa da una esperienza solitaria ad una dialogica che propone brandelli di
speranza.
C’è stato un olocausto di pazienti psichici tedeschi.
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13
Poetessa inglese (1830-1886). Vedi note bibliografiche.
Poetessa italiana (1912-1938). Vedi note bibliografiche
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1.2 DIBATTITO
Paninforni: le parole del relatore ci hanno infuso un senso di speranza.
Intervento 1 – Dice di leggere nel corpo del Borgna le sofferenze di coloro a cui ha alleviato il male.
Cita da Levinas come il male stia nella incapacità di farci carico delle sofferenze altrui.
Risposta 1 – Un commento radicale come questo apre sentieri inaspettati che possono
portare lontano. In psichiatria la diagnosi (depressione, suicidio incombente, esperienze
psicotiche) richiede di toglierci un po’ di maschere e di cogliere il senso di una persona
(concetto formulato in termini filosofici da Levinas, a sua volta finito in campo di
concentramento). Distingue tra memoria cronologica e memoria emozionale. Sono due
modi di apparire del nostro corpo. Un chirurgo mi opera come se fossi un oggetto, poi,
miracolosamente, la sua mano, oggetteo fisico, improvvisamente si mette a comunicare. Le
parole che parlano a volte portano meno significati dei gesti (cita Husserl14). Il corpo come
unica possibilità di comunicare quello che c’è in noi. Se il cuore è di pietra le parole più
alate non comunicano niente. Cita un direttore d’orchestra i cui gesti danno alla musica
risonanze particolari. Possiamo portare speranza o smorzare dolore (o meno) con una
stretta di mano15. Quelli che soffrono sono più rabdomantici rispetto alla comunicazione
non verbale. Cita un poeta rumeno che scriveva in Tedesco: “avrebbe dato tutte le sue
poesie in cambio di una stretta di mano capace di arrecargli gioia metafisica” (sarebbe a sua
volta finito suicida). Cita ancora Levinas, parla di tesori sconfinati nei volti, zattere di
salvataggio nel deserto della vita e delle emozioni (Nietsche). Nelle parole di Levinas la
metafora di quegli squarci improvvisi che talvolta ci aprono [alle metafore del bene].
Cita da Rilke16: “Così noi viviamo e così noi da questa vita prendiamo commiato”.
Cita da Bernanos17: “Forse l’anima si nasconde nella nostra disperazione, angoscia,
malinconia.”
14
Filosofo e matematico austriaco (1859-1938) – A proposito della sua posizione sull’importanza della comunicazione
gestuale, si vedano i riferimenti bibliografici.
15
Citazione da uno psichiatra svizzero di cui mi è sfuggito il nome.
16
Poeta austriaco di origine boema (1875-1926) - Vedi note bibliografiche
17
Scrittore francese (1888-1948) - Vedi note bibliografiche
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1.3
RIFERIMENTI
1.3.1
EUGENIO BORGNA
Si veda, ad esempio, il sito:
http://www.associazioneasia.it/adon.pl?act=doc&doc=476
Biografia essenziale
Eugenio Borgna è nato il 22 luglio 1930 a Borgomanero. Si è laureato in Medicina e Chirurgia nel 1954 presso
l’Università di Torino, conseguendo la specializzazione in Malattie nervose e mentali nel 1957. È libero docente in
Clinica delle malattie nervose e mentali dell’Università di Milano dal 1962. Dal 1970 al 1978 è stato direttore
dell’Ospedale psichiatrico di Novara, mentre dal 1978 è responsabile del Servizio di Psichiatria dell’Ospedale Maggiore
di Novara.
Si è occupato, in particolare, di psicopatologia delle depressioni e delle schizofrenie in numerosi lavori. Egli stesso
spiega sulla rivista Studi di psichiatria come la passione per «la soggettività, per l’interiorità dei pazienti» lo abbia
spinto a occuparsi solo di psichiatria, tralasciando il suo interesse iniziale per la neurologia. «Mi sembra di poter dire
che, solo occupandomi di psichiatria, abbia potuto riconoscere e, almeno in parte, cercare di realizzare il mio destino
(…): quello, cioè, di seguire il cammino misterioso che va verso l’interno e che è la premessa ad avvicinarsi
all’interiorità, alla soggettività degli altri-da-noi; al fine di comprenderne le sofferenze e alleviarle».
Biografia di Benedetta Villani tratta da Tracce.it
Bibliografia:
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1.3.2
Come in uno specchio oscuramente, edizione Campi del sapere
Le figure dell'ansia, edizione Universale Economica Saggi (economica) e Campi del sapere
L’attesa e la speranza, edizione Campi del sapere
Le intermittenze del cuore, edizione Campi del sapere
Come se finisse il mondo, edizione Universale Economica Saggi(economica) e Campi del sapere
L'arcipelago delle emozioni, edizione Campi del sapere psiche
Malinconia, edizione Universale Economica Saggi(economica) e Campi del sapere
Noi siamo un colloquio, edizione Campi del sapere
I conflitti del conoscere, edizione Campi del sapere
SIMONE WEIL
Si veda ad esempio il sito:
http://www.filosofico.net/weil.htm
Da tale sito è tratto il seguente stralcio biografico.
Simone Weil nacque a Parigi nel 1909 da una famiglia ebrea. Fu studentessa all'Ecole Normale e insegnante di filosofia
in vari licei. Militante dell'estrema sinistra rivoluzionaria, nel 1934, spinta dall'inderogabile esigenza interiore di
conoscere direttamente le peggiori condizioni di vita dei lavoratori, troncò la professione e gli studi puramente teorici
per lavorare come operaia alla Renault di Parigi: fu un duro ma per lei entusiasmante inserimento nella vita.
Ammalatasi di pleurite, fu costretta a lasciare l'officina, iniziando un periodo cruciale di intimo ripensamento. Nel 1936
partecipò come volontaria repubblicana alla guerra civile spagnola arruolandosi nelle file anarchiche della famosa
Colonna Durruti, accettando anche i servizi della cucina; ma in seguito ad una grave ustione a un piede dovette rientrare
in Francia. Al 1937 risale la svolta mistica, che si traduce in una fede vissuta con grandissima intensità. Esclusa
dall'insegnamento in seguito alle leggi razziali durante il regime di Vichy, fece la contadina fino al 1942, quando si
rifugiò con la famiglia negli Stati Uniti dove fu molto vicina ai poveri di Harlem. Poco dopo, però, richiamata
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dall'impegno contro il totalitarismo, tornò in Europa ma nel 1943 morì a soli 34 anni nel sanatorio di Ashford in
Inghilterra.
1.3.3
ETTY HILLESUM
Per una informazione piùcompleta si veda, ad esempio, il sito:
http://www.giovaniemissione.it/testimoni/mantsmhillesum.htm
Nel seguito una breve biografia.
Nata nel 1914 in Olanda da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica, Etty Hillesum muore ad Auschwitz nel
novembre del 1943.
Ragazza brillante, intensa, con la passione della letteratura e della filosofia, si laurea in giurisprudenza e si iscrive
quindi alla facoltà di lingue slave; quando intraprende lo studio della psicologia, divampa la seconda guerra mondiale e
con essa la persecuzione del popolo ebraico.
Durante gli ultimi due anni della sua vita, scrive un diario personale: undici quaderni fittamente ricoperti da una
scrittura minuta e quasi indecifrabile, che abbracciano tutto il 1941 e il 1942, anni di guerra e di oppressione per
l’Olanda, ma per Etty un periodo di crescita e, paradossalmente, di liberazione individuale.
Sotto l’aspetto vivace e spontaneo, Etty è profondamente infelice: in preda a sfibranti malesseri fisici, scopre a poco a
poco che questi sono in relazione con tensioni di ordine spirituale.
Forse anche a seguito di carenze educative e vuoti affettivi dovuti al burrascoso matrimonio dei suoi genitori, in quel
periodo Etty vive relazioni sentimentali complicate, che la lasciano “lacerata interiormente e mortalmente infelice”.
Dopo tanti errori, finalmente l’incontro decisivo con uno psicologo ebreo tedesco, Spier, molti anni più anziano di lei,
che si rivela ben più di un terapeuta: attraverso le contraddizioni di una relazione complessa, inizialmente anche
ambigua, egli la guida in un percorso di realizzazione umana e spirituale. L’aiuta a conoscere e ad amare la Bibbia, le
insegna a pregare, le fa conoscere S. Agostino ed altri autori fondamentali della tradizione cristiana: sarà per Etty un
mediatore fra lei e Dio.
Seguendo quindi un proprio itinerario, Etty matura una sensibilità religiosa che da’ ai suoi scritti una grande dimensione
spirituale.
La parola “Dio” compare anche nelle prime pagine del diario, usata però quasi inconsapevolmente, come spesso accade
nel linguaggio quotidiano. A poco a poco però Etty va verso un dialogo molto più intenso con il divino, che percepisce
intimo a se stessa: “Quella parte di me, la più profonda e la più ricca in cui riposo, è ciò che io chiamo Dio”.
Ormai libera dagli errori del passato, si avvia sulla strada del dono di sé a Dio ed ai fratelli, nel suo caso il popolo
ebraico, la cui sorte sceglie di condividere pienamente.
Nel 1942, lavorando come dattilografa presso una sezione del Consiglio Ebraico, avrebbe la possibilità di aver salva la
vita, invece sceglie di non sottrarsi al destino del suo popolo e nella prima grande retata ad Amsterdam si avvia al
campo di sterminio con gli altri ebrei prigionieri: è infatti convinta che l’unico modo per render giustizia alla vita sia
quello di non abbandonare delle persone in pericolo e di usare la propria forza interiore per portare luce nella vita altrui.
I sopravvissuti del campo hanno confermato che Etty fu fino all’ultimo una persona “luminosa”.
Al momento della sua partenza definitiva per il campo di sterminio Etty, che presagisce la fine, chiede ad un’amica
olandese di nascondere i suoi quaderni e di farli avere ad uno scrittore di sua conoscenza, a guerra finita.
I manoscritti, così difficili da decifrare a causa della grafia, passano così per anni da un editore all’altro, senza che
nessuno ne intuisca l’importanza, fino a che nel 1981 giungono nelle mani dell’editore De Haan che, pubblicandoli,
finalmente riporta alla luce la storia di Etty Hillesum, permettendo così ai lettori di tutto il mondo di conoscere la
ricchezza di un’esperienza interiore che, anche di fronte alla sofferenza estrema, sa lodare la vita e viverla con pienezza
di senso
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1.3.4
EMMANUEL LEVINAS
Si veda, ad esempio, il sito: http://www.filosofico.net/levinas.htm
Nel seguito alcune note bibliografiche
Emmanuel Lévinas è nato a Kaunas (Lituania) nel 1905 da una famiglia ebrea e ha vissuto la rivoluzione russa in
Ucraina. Nel 1923 si trasferisce in Francia a Strasburgo, dove inizia gli studi universitari, seguendo i corsi di Blondel e
di Halbwachs. Nel 1928-1929 si reca a Friburgo, dove assiste alle ultime lezioni di Husserl e conosce Heidegger di cui
rimase affascinato. L' " apprendistato della fenomenologia ", come egli lo ha definito, orienterà poi la sua ricerca
personale. Dal 1930 fino alla guerra occupa diverse funzioni nella "École normale israélite di Auteuil", che forma gli
insegnanti dell'Alliance Israélite Universelle e stringe amicizia con Henri Nerson, cui dedicherà il suo primo libro di
scritti giudaici " Difficile Liberté ". Emmanuel Lévinas rievoca spesso gli anni dei suoi studi universitari a Friburgo,
dove si recò prima che " Hitler diventasse Hitler ". Fa poi ritorno in Francia prima che Hitler salisse al potere, nel 1932.
E in seguito, per giustificare il fatto che Heidegger si era compromesso con il nazismo, il filosofo francese adduce la
genialità del maestro tedesco. Prima della sua permanenza a Friburgo, in Francia, Lévinas aveva conosciuto Jean-Paul
Sartre di cui apprezzava il " pensiero audace e regolare ". La sua formazione filosofica inizia con Blondel che
incarnava la " luminosità dello spirito francese ", la "clarté", l'ordine. Accanto all'incontro con Heidegger e Husserl,
Lévinas ricorda l'altro grande evento della sua vita: il rapporto con Monsieur Chouchani, un genio talmudico, che aveva
il Talmud dentro, incarnato, vivente. Questo sapiente ebreo gli trasmette " il vigore intellettuale nella crudezza della
potenza del Talmud " (ebraico: disciplina), raccolta di norme religiose e legali, Mishna, e di sentenze rabbiniche,
Gemara. Ve ne sono due redazioni: quella di Babilonia e quella di Gerusalemme, e molti commenti. Il Talmud contiene,
tra l'altro, il credo ebraico, di 13 articoli) . La sua tradizione familiare ebraica viene alimentata, dopo questo incontro
decisivo, da un giudaismo vivente. Husserl viene descritto come splendido genio che rappresenta il filosofo tedesco
tradizionale, legato a doppio filo con la fenomenologia. Lévinas parla del suo incontro con Jacques Derridà, anche lui
passato attraverso Heidegger e Husserl. Poi accenna alla sua lingua madre, il russo, che però non ha utilizzato per le sue
opere filosofiche che ha scritto in francese o in tedesco, infarcendole di riferimenti in greco e latino. Mobilitato nel
1939, viene fatto prigioniero e sarà liberato solo nel 1945. Nell' immediato dopoguerra riprende il suo posto all' "École
normale israélite", questa volta come direttore, e partecipa alle riunioni settimanali di Gabriel Marcel e al "Collège
philosophique" di Jean Wahl, sotto la cui direzione prepara la tesi di Stato, pubblicata nel 1961 sotto il titolo di "
Totalité et infini " che gli apre le porte dell'insegnamento universitario. Nel 1957 inizia anche l'attività di lettura e
commento del Talmud ai " Colloques des Intellectuels Juifs de Langue Française ". Nel 1964 viene chiamato
all'Università di Poitiers, nel 1967 passa a Paris-Nanterre e nel 1973 alla Sorbonne. Muore nel 1995. Le due opere
fondamentali di Levinas sono " Totalità ed infinito " e " Altrimenti che essere o al di là dell'essenza ". Da ricordare
anche " Nomi propri ".Il tema dell'ebraismo viene svolto nelle " Quattro lettere talmudiche ". Un'utile lettura
preliminare può essere " Dall'esistenza all'esistente ", in cui viene posto il legame con il pensiero di Husserl e di
Heidegger.
1.3.5
JUAN DE LA CRUZ
Si veda, ad esempio, il sito:
http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_della_Croce
da cui sono tratte le seguenti note.
Giovanni della Croce, al secolo 'Juan de Yepes Álvarez (Fontiveros, 24 giugno 1542 – Úbeda, 14 dicembre 1591), è
stato un sacerdote spagnolo, fondatore dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi.
I suoi scritti vennero pubblicati per la prima volta 1618, fu beatificato nel 1675, proclamato santo da papa Benedetto
XIII nel 1726 e dichiarato dottore della Chiesa da Pio XI nel 1926. La sua memoria è celebrata il 14 dicembre.
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EUGENIO BORGNA – NON C’E’ VERA CONOSCENZA DEL BENE E DEL MALE SENZA
SOFFERENZA
La Chiesa cattolica lo ha soprannominato Doctor Mysticus, mentre la Chiesa anglicana lo ricorda come un "Maestro
della fede".
Tra le poesie si ricorda la Notte oscura dell'anima (da cui l'omonimo concetto spirituale prende il nome) narra il viaggio
dell'anima dalla propria sede corporea verso l'unione con Dio. Esso avviene durante la "notte", che rappresenta le
"avversità" e gli "ostacoli" che ella incontra nello staccarsi dal "mondo sensibile" per raggiungere la "luce" dell'unione
con il Creatore. Vi sono diversi gradi in questa notte, che sono raccontati e descritti in strofe successive.
1.3.6
ESCHILO
Si veda il sito seguente, da cui si desumono contemporaneamente informazioni dirette sulle tragedie di Eschilo ed una
testimonianza indiretta della sua attualità:
http://www.camplus.it/collegi-e-residenze/collegio-daragona/aragona-materiale/XLIV%20Ciclo%20di
%20Rappresentazioni%20Classiche.pdf
Per un approfondimento della “conoscenza attraverso il dolore”, si veda la lezione nel sito:
http://www.ivanomugnaini.splinder.com/post/17991099
da cui è tratta la seguente citazione:
“… che conduce al verso centrale dell'Inno a Zeus nell’Agamennone (177) di Eschilo, il celebre e splendido «tò pàthei
màthos» (attraverso la sofferenza la conoscenza, letteralmente «l'insegnamento») che è proclamato «valida legge» e
chiosato «e pur a chi non voglia / giunge saggezza».”
1.3.7
EMILY DICKINSON
Si veda, ad esempio, il sito:
http://it.wikipedia.org/wiki/Emily_Dickinson
da cui è tratta la seguente nota biografica.
Emily Dickinson scoprì la propria vocazione poetica durante il periodo di revival religioso che, nei decenni 1840-50, si
diffuse rapidamente nella regione occidentale del Massachusetts. Uno dei suoi biografi ha affermato che concepì l'idea
di diventare poetessa avendo come riferimento - in termini biblici - la lotta di Giacobbe con l'angelo.
Emily Dickinson visse la maggior parte della propria vita nella casa dove era nata, ebbe modo di fare solo rare visite ai
parenti di Boston, di Cambridge e nel Connecticut. La giovane donna pensava alla natura essendo però costantemente
ossessionata dalla morte, vestendo solo di bianco in segno di purezza e poi senza aver mai avuto serie storie d'amore.
Gran parte della sua produzione poetica riflette e coglie non solo i piccoli momenti di vita quotidiana, ma anche i temi e
le battaglie più importanti che coinvolgevano il resto della società. Per esempio, più della metà delle sue poesie furono
scritte durante gli anni della Guerra di secessione americana. Per citare alcuni tra i suoi versi più memorabili, le poesie
della Dickinson dicono tutta la verità, ma la dicono indirettamente:
Dì tutta la verità ma dilla obliqua Il successo sta in un Circuito
Troppo brillante per la nostra malferma Delizia
La superba sorpresa della Verità
Come un Fulmine ai Bambini chiarito
Con tenere spiegazioni
La Verità deve abbagliare gradualmente
O tutti sarebbero ciechi Emily Dickinson verso i suoi 25 anni di vita volle rifugiarsi cioè rinchiudersi in sé, infatti si rinchiuse nella sua camera
al piano superiore della sua casa e non uscì di lì neanche il giorno della morte dei suoi genitori. Lei credeva che con la
fantasia si riuscisse ad ottenere tutto infatti lei nella sua camera si sentiva in un 'isola felice'. Al momento della sua
morte la sorella scopre nella camera di Emily Dickinson 1775 poesie scritte su foglietti e ripiegati e cuciti con ago e filo
tutti in un raccoglitore. Oggi, Emily Dickinson viene considerata non solo una dei poeti più sensibili di tutti i tempi, ma
anche una dei più rappresentativi. Alcune caratteristiche delle sue opere, all'epoca ritenute 'stranezze', sono considerate
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Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
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adesso aspetti particolari e inconfondibili del suo stile. Le digressioni enfatiche, l'uso poco convenzionale delle
maiuscole, le lineette telegrafiche, i ritmi salmodianti, le rime asimmetriche, le voci multiple e le elaborate metafore
sono diventati dei marchi di riconoscimento per i lettori, durante gli anni e nelle varie traduzioni del suo lavoro.
Emily Dickinson morì di nefrite nello stesso posto dove era nata, ad Amherst, nel Massachusetts, il 15 maggio 1866
all'eta di cinquantasei anni.
ANTONIA POZZI
Poetessa Italiana (1912-1938), trascurata dalla pubblicistica, ma apprezzata e non completamente dimenticata, tanto che
le è stato dedicato un sito a cura dell’Università Statale di Milano:
http://www.antoniapozzi.it/
« Triste orto abbandonato l’anima
si cinge di selvaggi siepi
di amori:
morire è questo
ricoprirsi di rovi
nati in noi »
(Antonia Pozzi, da Naufraghi)
1.3.8
I GESTI IN HUSSERL
Si trova una presentazione della posizione di Husserl a proposito dell’importanza dei gesti nella comunicazione tra
mamma e bambino alla pagina 146 dell’anteprima libraria scaricabile dal sito seguente:
http://books.google.it/books?
id=CSafJhsoFugC&pg=PA146&lpg=PA146&dq=Husserl+i+gesti&source=bl&ots=mAEB65X93R&sig=8gN9eURMd
3WJXU7EZvcTiY6NKwc
Più semplicemente il sito si trova sul motore di ricerca web di Google, alla voce “Husserl i gesti”.
1.3.9
RILKE
Si veda, ad esempio, il sito:
http://www.la-poesia.it/stranieri/tedeschi/rilke/rilke-index.htm
Rainer Maria Rilke nasce a Praga nel 1875 da modesta famiglia. Rivelatosi precocemente dotato di elevata sensibilità
artistica, è incoraggiato dalla madre a proseguire nella sua vocazione. La prima raccolta di poesie è Vita e canti del
1894, cui seguono. Sacrificio ai lari(1895), Incoronato di sogno (1896), Avvento (1897).
Dall'incontro con Lou Andreas-Salomé (già amica di Nietzsche e in seguito collaboratrice di Freud) risulta confermato
il suo impegno artistico. A lei dedica un diario composto a Firenze nel 1898 (Florenzer Tagebuch) da cui emerge
l'influsso del pensiero di Nietzsche.
Il racconto Il canto di amore e di morte dell'affiere Cristoforo Rilke del 1899 lo pone al centro della scena letteraria
europea.
Decisivo per il suo lirismo religioso successivo fu il viaggio in Russia e l'incontro con Tolstoj (1899-1900).
Pubblica fra il 1899 e il 1900 le tre parti del Libro d'ore (Il libro della vita monastica, Il libro del pellegrinaggio, Il
libro della povertà e della morte).
Le deliziose Storie del buon Dio sono scritte fra il 1900 e il 1904; nel 1902 appare anche Il libro delle immagini.
L'incontro, a Parigi, con Rodin, di cui fu segretario, e con Cézanne segna una trasformazione profonda della sua
personalità ormai avviantasi verso un intimismo esistenziale cui non è estraneo l'influsso di Kierkegaard. (Nuove
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Poesie, 1907-08, I quaderni di Malte Laurids Brigge, 1910).
Le Elegie Duinesi (1911-23), insieme ai Sonetti a Orfeo (1923) e alle postume Poesie estreme segnano il culmine della
sua produzione poetica interrotta dalla morte per leucemia sopravvenuta nel 1926 nel sanatorio svizzero di Montreux.
1.3.10 BERNANOS
Note tratte dal sito
http://it.encarta.msn.com/encyclopedia_761567728/Bernanos_Georges.html
Bernanos, Georges (Parigi 1888 - Neuilly-sur-Seine, Parigi 1948), scrittore francese. Nei suoi romanzi rappresentò la
tensione tra il bene e il male racchiusa nell’animo umano. Il suo profondo spirito cattolico e il suo afflato mistico sono
espressi chiaramente nel romanzo Diario di un curato di campagna (1936), la storia della lotta di un giovane prete
contro il peccato, alla quale si ispirò il regista Robert Bresson per la sua versione cinematografica del 1950.
Dalla sua unica pièce teatrale, Dialoghi delle carmelitane (1949), Francis Poulenc trasse una fortunata opera nel 1957;
del 1960 è la trasposizione cinematografica per la regia di Philippe Agostini. Nel 1938 Bernanos pubblicò I grandi
cimiteri sotto la luna, violento attacco contro le repressioni franchiste durante la guerra civile spagnola. Altre opere
degne di nota sono Sotto il sole di Satana (1926), La gioia (1929), Mouchette (1937) e Il signor Ouine (1943).
Dal sito
http://www.zam.it/lenews.php?articolo_id=1482
è tratto il seguente articolo a firma Silvia Iannello:
Centoventi anni addietro nasceva (20/2/1888), e sessant’anni addietro (5/7/1948) moriva a Parigi Georges Bernanos,
scrittore cattolico dalla forte tensione spirituale, un polemico originale e disobbediente dinanzi ai compromessi della
gerarchia ecclesiastica. Il suo capolavoro “Diario di un curato di campagna” (1936) è la toccante storia di un’anima:
quella di un giovane e sensibile curato (appena uscito dal seminario), chiamato da Dio e diverso da tutti gli altri preti,
senza vanità e senza ambizioni, povero e solo, stanco e malato di cancro (riesce a mangiare soltanto pane raffermo
inzuppato nel vino ed è così magro da essere soprannominato «triste a vedere»), con «la forza dei deboli, dei fanciulli…
della razza di chi tien duro, che sta ritta». Nella sua «prima ed ultima parrocchia» in un «villaggio miserabile… divorato
dalla noia», pieno di pietà e sete di giustizia, deve lottare contro l’ipocrita ostilità dei parrocchiani - che odiano la sua
semplicità e che fingono d’ignorarlo, spargendo calunnie e nascondendo atroci rivalità, profonde angosce e «spaventosi
segreti» - ai quali egli non può far altro che opporre le sue tremende sofferenze. Per la volontà di veder chiaro in se
stesso, decide di appuntare su «un quaderno da scolaro… il tesoro nascosto» il suo dialogare col buon Dio, i suoi
prolungamenti di preghiera e le riflessioni sulla sua «solitudine profonda… inumana» e sui «momenti di confusione, di
affanno». Salgono così a galla debolezze e inettitudini, turbamenti psichici e dolori fisici. Egli è lacerato soprattutto dal
timore di perdere la fede («No. Non ho perso la fede!... La fede non si perde… cessa d’informare la vita, ecco tutto…
Dio s’era ritirato da me… L’anima tace. Dio tace. Silenzio») e di peccare contro la speranza, in preda a «una
rassegnazione tenebrosa, più spaventevole dei grandi soprassalti di disperazione e delle sue immense cadute…» e a una
«sorda ribellione… uno stizzoso silenzio dell’anima, quasi pieno di odio…». Subito dopo l’infausta diagnosi, il curatofanciullo muore per un’emorragia gastrica, lontano dalla parrocchia in casa di un amico, sacerdote spretato, anch’egli
lambito dalla morte (che grazie a lui si riconcilia forse con Dio), al quale dice le sue ultime sublimi parole: «Che cosa
importa? Tutto è grazia.». Nel 1951 Robert Bresson, il grande maestro francese che ha usato il cinema come una via per
la ricerca della Grazia, ha ricavato dal suddetto romanzo uno struggente film, Leone d’oro a Venezia.
Pur essendo in apparenza uomo di destra e cattolico ancorato alle tradizioni e ai temi del peccato e della colpa, del
perdono e della santità, della carità e della grazia, Bernanos manifesta un pensiero che non è né di destra né di sinistra
ma si innalza a descrivere in forma universale il dramma dell’uomo solo davanti al mistero di Dio (e solo in faccia alla
morte), in una visione della vita pessimistica (quando non addirittura apocalittica) che guarda indietro a Blaise Pascal e
al suo uomo angosciato, perché prigioniero della sua finitezza, che spasima però per essere felice nonostante le
umiliazioni e l’infelicità.
Georges Bernanos racconta non i fastosi personaggi dell’“establishment” cattolico istituzionale (forti e senza dubbi) ma
i rappresentati più umili e fragili, individui in bilico tra spiritualità e tentazioni, tra purezza d’animo e comportamenti di
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EUGENIO BORGNA – NON C’E’ VERA CONOSCENZA DEL BENE E DEL MALE SENZA
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degradazione. Adriano Grande (il sensibile traduttore del grande autore francese) ha scritto che i suoi personaggi «come
quelli di Dostoevskij ci sono fratelli, sono esseri che abbiamo veramente conosciuto, diventan parte della nostra
umanità. A loro ripensiamo sovente come figure della nostra povera e umiliata e tragica realtà quotidiana.». Gli “eroi
perdenti e quasi perduti” di Bernanos però, quando la lotta è finalmente giunta al suo termine - pur soffocati da fardelli,
vizi e sofferenze inaudite, pur tentati dalla disperazione di non poter salvare né la loro anima né quella degli altri
secondo l’immensa missione loro affidata da Dio (sempre e comunque volti nella direzione del Divino) - riescono a
conquistare quella Grazia e quella Santità, tanto ansiosamente ricercate.
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