Il Canto della Vita Lettura del Cantico dei Cantici di Alex Faggian 1 Prologo Il Canto d’amore di Dodì e Rahjatì Il Cantico dei Cantici è un componimento poetico che racconta dell’amore passionale ed esclusivo di due amanti: Dodì e Rahjatì. Dodì significa letteralmente “amore mio”, ma anche “preferito”, “prediletto”, guardando alla figura del figlio minore, di solito il più amato e coccolato in una famiglia. Così la donna chiama dolcemente il suo amante, perché lui è tutta la sua vita e lei lo ama di un amore tenerissimo, quale è quello che si dona a un bimbo indifeso. Lui le risponde con Rahjatì, “mia amata”, nome che ha anche il significato di “mia compagna”, “mia amica” e che mette in evidenza la grandezza dell’amore che l’uomo riceve dalla sua donna, poiché lei lo completa e lo soddisfa più di ogni altro bene al mondo 1. Nello sviluppo dell’opera questi appellativi divengono quasi i nomi propri degli amanti, mentre, svelandoci la loro anima, ci rivelano l’atteggiamento che ciascuno assume nei confronti dell’altro. Basandoci sui moderni studi letterari ed esegetici per comprendere il testo difficile e misterioso del Cantico dei Cantici, vogliamo scoprire chi sono Dodì e Rahjatì e immedesimarci nel loro rapporto amoroso, poiché il loro cammino è il cammino di ogni coppia di amanti e ciascuno di noi può leggere nella loro storia d’amore la propria e, soprattutto, trovarne il senso vero e definitivo. 1 Confronta con Gn 2,18-24. 2 Il tema Il Cantico dei Cantici è uno dei libri più misteriosi e affascinanti della Bibbia. Ebrei e Cristiani lo hanno incluso nel canone dei libri sacri, considerandolo ispirato da Dio stesso. L’opera non è né una compilazione scolastica di canti d’amore, né una collezione di testi disparati legati da un tema comune, è invece uno scritto unitario, composto in ebraico nei secoli prima di Cristo da un autore sconosciuto e ambientato nelle terre degli odierni Stati d’Israele, Libano e Giordania. Esso ci svela attraverso Dodì e Rahjatì i segreti più nascosti del cuore umano esprimendosi con un linguaggio suggestivo, carico di visioni esaltanti e ardite, mostrandoci una natura incontaminata e bellissima, specchio della bellezza dei due amanti, mentre le immagini naturali divengono simboli che essi usano per descriversi a vicenda. Ma il poema è anche un canto erotico nel quale l’amore viene presentato nel suo aspetto corporeo e unitivo, fonte per questo di piacere e di gioia, descritto inoltre come una passione ardente e ostinata, capace di raggiungere la stessa intensità e potenza della morte. Il tema è quindi quello dell’amore, o, meglio, la sua forza e il suo valore incomparabili, capaci di ridare nuova e vigorosa vita agli amanti, mentre il Creatore, autore di questo potere, si rende presente all’interno dell’amore stesso come sua fonte e sostegno. 3 Il "problema Cantico" Il Cantico dei Cantici non è un’opera facile da leggere e nemmeno gli studiosi ancora oggi riescono ad afferrarne pienamente il significato, anche se forse questo fa parte dello spirito con cui è stato scritto, il poema infatti è un’opera aperta, senza un completamento limpido e definito. Inoltre il Cantico si sviluppa secondo una struttura non ben definita, il testo è pieno di richiami, allusioni e simboli ormai lontani dalla nostra sensibilità e cultura, molti giochi di parole sono intraducibili, e, infine, parecchi versetti, a causa della presenza di termini rari e sconosciuti, sono di traduzione incerta o congetturale. È necessario perciò un notevole sforzo per penetrare nell’opera e capirla. Il poema è posto sotto il patronato di Salomone, considerato dalla tradizione biblica il re perfetto e il sapiente per eccellenza. Tuttavia lo studio del testo sembra escludere la possibilità che re Salomone sia il vero autore ed è persino difficile stabilire con certezza il periodo nel quale il Cantico fu scritto. Nel testo ci sono termini arcaici che rimanderebbero all’epoca della prima monarchia israelita (X sec. a.C., appunto il tempo di Salomone), elementi posteriori all’esilio babilonese2 (V sec. a.C.), forme aramaiche e termini persiani (IV sec. a.C.). Resta dunque aperto il problema se si tratti di un’opera antica sottoposta ad una revisione posteriore, oppure se fu scritta nei primi secoli avanti Cristo usando materiale più antico. La maggior parte degli studiosi propende per la seconda ipotesi. Tutto questo comunque ha fatto sì che coesistano un gran numero di interpretazioni del poema anche molto diverse tra loro. Ci si alterna tra interpretazioni antropologiche, riguardanti cioè il rapporto amoroso tra una donna e un uomo, e interpretazioni simboliche che vedono in Dodì e Rahjatì l’immagine di Dio e del suo popolo. Dobbiamo ammettere che è stata persa o dimenticata l’originaria chiave di lettura del Cantico e solo ai nostri giorni forse, esiste la possibilità di recuperarla. 2 Il regno di Israele creato da Davide, dopo la morte del successore, Salomone, si divise in due parti: il regno del Nord che fu conquistato e distrutto dagli Assiri nel 722 a.C. e il regno di Giuda che sopravvisse fino al 587 a.C. quando i Babilonesi lo occuparono, distrussero Gerusalemme e deportarono parte della popolazione a Babilonia. Gli esuli poterono tornare in patria quando l’impero babilonese fu conquistato dai Persiani nel 538 a.C. e i vincitori divennero anche i nuovi e più tolleranti occupanti della Palestina. 4 Le posizioni principali sull’interpretazione del Cantico Non abbiamo notizie riguardo all’interpretazione del Cantico nei secoli prima di Cristo. Solo alla fine del primo secolo dopo Cristo conosciamo alcuni interventi di dotti ebrei, i quali, a causa dell’abitudine popolare di leggere il Cantico durante le feste di nozze, la proibirono, onde evitare che il poema religioso venisse dissacrato. Sembra perciò che il testo fosse tenuto in grande considerazione, ma se ne ignorano i motivi, come non si sa perché sia stato incluso nel canone dei libri sacri ebraici. Rabbì Aqiba, grande rabbino del giudaismo, uno dei fautori dell’inclusione del poema nel canone, proclama al riguardo che: «Tutto il creato non vale il giorno in cui il Cantico dei Cantici fu dato a Israele. Tutta la Scrittura è santa, ma il Cantico dei Cantici è santissimo». Eppure già a quei tempi la chiave di lettura del Cantico sembra perduta. Le fonti dei secoli seguenti rivelano sempre una lettura simbolica, sia tra i Cristiani sia tra gli Ebrei, e oggi si mette in dubbio in modo fondato che la lettura simbolica sia quella giusta anche se ha prevalso per diciassette secoli. Solo con il sorgere della moderna esegesi biblica nel secolo scorso, cominciarono ad imporsi altre interpretazioni. Esse hanno avuto tutte la tendenza a rivalorizzare il senso letterale e antropologico dell’opera, a ricercare l’intenzione originaria dell’autore-redattore e ad analizzare i frammenti del testo smembrato e sezionato, visti come unità originarie e autonome. Nel corso dei secoli quindi i tentativi di dare alla composizione amorosa una corretta interpretazione sono stati molteplici ed esiste un gran numero di studi sull’argomento. Per semplificare potremmo classificare i più importanti secondo quattro posizioni principali, tenendo presente che la loro diversificazione prende origine dal genere letterario attribuito al Cantico: allegorico, drammatico, liturgico, o poetico. 5 L’interpretazione allegorica L’interpretazione letterale, in ambito religioso, è sembrata nei secoli troppo audace e si è ripiegato su di una lettura simbolica e allegorica3, interpretando la storia d’amore dei due amanti come la storia d’amore tra Dio e il suo popolo, simboleggiati rispettivamente dall’uomo e dalla donna. Presso gli Ebrei ci fu un grande sviluppo di questa interpretazione e tra il settimo e l’ottavo secolo comparvero dei commentari completi (Targum e Grande Midrash). Il Cantico era generalmente interpretato nei termini della storia d’Israele, dall’Esodo fino alla venuta del Messia, Dodì rappresentava Jahwè e Rahjatì Israele. Quando l’interpretazione allegorica passò nell’ambito cristiano ci fu un semplice lavoro di trasposizione: Dodì rappresentava ora Cristo e Rahjatì la Chiesa, il loro amore era l’amore di Cristo per la sua Chiesa, con uno sviluppo naturale nel passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento. Ricordiamo tra i grandi interpreti cristiani dell’allegoria del Cantico: Origene, S. Gregorio di Nissa, S. Ambrogio, che va citato per aver visto simboleggiato in Rahjatì la Vergine Maria, e San Bernardo da Chiaravalle. Nel nostro secolo ci sono pochi aderenti a questo tipo di interpretazione: due dei più significativi sono Paul Joüon4 e André Robert5; ambedue seguono l’interpretazione ebraica che vede Jahwè e Israele come principali protagonisti della storia d’amore. Per quanto sostenuta da una grande tradizione, ci sono alcuni motivi fondamentali di critica all’interpretazione allegorica: prima di tutto un’allegoria presuppone una struttura narrativa, una trama che si sviluppa e degli schemi fissi, ma il Cantico non ha lo sviluppo di una “storia”, non esiste nessuna trama definita. In secondo luogo ogniqualvolta nella Bibbia compare l’allegoria6 è il testo stesso che provvede alla sua interpretazione e questo non è il caso del Cantico, il quale per di più, a causa del primo versetto e della conclusione (8,514), mostra inequivocabilmente di appartenere alla tradizione sapienziale7, mentre l’allegoria è usata solo in ambito profetico. 3 L’allegoria è un racconto nel quale il vero significato del testo si ottiene traslando le persone, le azioni e gli eventi raccontati in altri che sono da questi simboleggiati 4 JOÜON P., Le Cantique des Cantiques: commentaire philologique et exégétique, Parigi, 1909. 5 ROBERT A., Le Cantique des Cantiques (Etudes Bibliques 43), Parigi, 1963. 6 Ez 16,23; Os 1-3; Is 5,1-7. 7 cfr. TROMP J. N., "Wisdom and the Canticle Ct 8,6c-7b, text, character, message and import", in Gilbert M., La sagesse de l’Ancient Testament, Gembloux - Leuven , 1979, 88-95. 6 A queste ragioni fondamentali potremmo aggiungerne altre di non minor validità: nel Cantico Rahjatì all’inizio non è fedele al suo amato (vedi 1,6), e questo viene spiegato dicendo che il popolo di Dio è peccatore, ma anche Dodì sembra non essere fedele, anzi ci sono addirittura dei passi che indicano la sua sospetta partecipazione a culti idolatri8! Nella parte conclusiva del Cantico è la donna che dice al suo amato di averlo fatto rinascere grazie al suo amore9, sarebbe come dire, se leggessimo allegoricamente, che il popolo israelita o cristiano ha fatto rinascere il suo Dio. Inoltre alcuni passaggi tradotti letteralmente mostrano una focosità erotica ed un ardore amoroso che è difficile attribuire a Dio10 anche traslandone le immagini. Infine, in base agli ultimi studi, sembra semmai possibile attribuire alla figura della donna una personificazione divina, anche se solo accennata, analogamente a quanto è accaduto per la Sapienza di Dio, rappresentata come donna Sapienza dalla letteratura sapienziale biblica. Ritorneremo comunque su questa importante possibilità. Detto questo potrebbe sembrare irrimediabilmente da rifiutare ogni lettura spirituale, ma è possibile gettar via una così grande tradizione interpretativa qual è quella allegorica? Torneremo nella conclusione di questo libro su questa questione per tentare una risposta a questa importante domanda. Vediamo ora brevemente in modo più approfondito le motivazioni che hanno portato alla scelta della lettura allegorica. Gli ebrei sono partiti da un criterio interpretativo molto preciso: la rivelazione biblica è essenzialmente connessa con la storia, per cui ogni testo sacro deve riferirsi ad un evento storico preciso e determinato, altrimenti bisogna forzarlo ad aderire a qualche avvenimento della storia della salvezza leggendolo simbolicamente. Invece le motivazioni che hanno portato gli antichi cristiani a scartare l’interpretazione letterale e antropologica a favore di quella allegorica sono più di tipo culturale. La cultura greca e la sua filosofia, tutte tese ad esaltare lo spirito a scapito della materia, a negare valore alla corporeità e alle realtà umane cosiddette "terrestri", hanno influenzato in maniera netta il pensiero cristiano dei 8 Si tratta di 6,11 dove si parla di un boschetto di noci; il Pope osserva: “Nonostante le difficoltà del testo (forse deliberatamente corrotto per mascherare le oscenità) il contenuto è chiaro. Qui ci sono gli elementi del culto della fertilità, sacrifici umani, riti sessuali orgiastici, profumi, libagioni, il tentativo di comunicare con l’aldilà”. POPE, Song of Songs, 580. 9 I commentatori classici cambiano, forzando il testo, il femminile con il maschile per attribuire all’amato, cioè a Dio, la prerogativa di ridare nuova vita. 10 Vedi ad esempio 7,9. 7 primi secoli e hanno portato autorevoli commentatori a seguire la via simbolica per ritrovare nei testi troppo "materiali" e "umani", secondo la mentalità allora corrente, solo significati spirituali e celesti. Basti come esempio Origene, che pure afferma di partire da un significato che lui chiama "letterale", ma per cercare solo quello spirituale. Questi commenti hanno in realtà un grandissimo valore non tanto per la comprensione del Cantico, quanto per la visione di fede globale che esprimono, essendo vicini alle fonti originarie. Con un giudizio un po’ drastico, ma che rende bene l’idea, potremmo dire che esprimono grandi contenuti di fede, ma non parlano del Cantico. Chi fosse interessato ad approfondire l’argomento troverà nell’appendice due esempi di interpretazione allegorica antica, il Targum ebraico e lo stesso Origene, così da poter verificare direttamente il loro metodo esegetico. . 8 L’interpretazione drammatica Con il declino dell’interpretazione allegorica sorse nel secolo scorso e occupò un posto preminente l’interpretazione drammatica, la quale suddivide l’opera in vari atti e scene, assegnando le parti di protagonista a due o più personaggi e cercando infine di ricostruire il filo dell’intreccio. Questa scuola si rifà alle antiche versioni greche del Codice Sinaitico (IV secolo d.C.) e del Codice Alessandrino (V secolo d.C.), che assegnano le parti a vari attori con note marginali. Uno dei problemi principali, sul quale non c’è consenso tra gli autori, è il numero degli attori principali: alcuni ne pongono due più un coro, altri tre o più sempre con un coro. Franz Delitzsch11 è il più rappresentativo tra coloro che scelgono due attori principali: Salomone e la Shulamit12, inseriti in un semplice dramma pastorale di sei atti, ciascuno composto di sei scene. L’amore cantato sarebbe quello coniugale e Salomone una specie di eroe. Coloro che scelgono tre personaggi aggiungono a Salomone e alla bella Shulamit un pastore innamorato di quest’ultima, con un intreccio più complicato. È il trionfo dell’amore genuino tra due giovani di povere e semplici origini nei confronti del ricco e potente re, che assume connotati invece negativi. Due famosi commentatori di questo filone sono Ginsburg13 e Renan14. Ma quanto è valido questo tipo di interpretazione? È evidente che se il contenuto narrativo è insufficiente per l’allegoria, questo vale ancor di più per il dramma. Troppo spesso questi autori hanno dovuto leggere tra le righe e aggiungere ciò che non c’era. Per verificarlo basta vedere l’infinità di soluzioni trovate. Altro punto dolente è che gli antichi Ebrei non conoscevano la forma drammatica. Quindi, nonostante i notevoli apporti dati alla comprensione del testo, possiamo ritenere decaduta questa posizione. 11 DELIZTSCH F., Hoheslied und Kohelet (Biblischer Commentar uber die poetischen Bucher des Alten Testament, IV), Leipzig, 1875. 12 Shulamit è il femminile di Salomone in ebraico. 13 GINSBURG D. C., The Song of Songs, Translated from the Original Hebrew with a Commentary, Historical and Critical, London, 1857. 14 RENAN E., Le Cantique des Cantiques Traduit de l’Hébreu avec une étude sur le plan, l’age, et le caractère du poème, Parigi, 1884. 9 L’interpretazione liturgica L’interpretazione liturgica o cultica, ha preso origine dalla scoperta e dalla traduzione di testi egizi, mesopotamici e cananei, prima sconosciuti, avvenuta all’inizio di questo secolo. Si sono così approfondite le conoscenze sulle antiche culture e si sono trovati dei parallelismi tra i testi cultuali antichi del Medio Oriente e il nostro testo, soprattutto riguardo al vocabolario. In base a questa interpretazione il cammino di sviluppo del testo del Cantico passerebbe attraverso due fasi: la formazione di un libro di canti cultuali, legati a primitivi culti della fertilità, particolarmente quelli degli dei Tammuz e Ishtar, seguiti da una successiva "laicizzazione", che ha trasformato queste figure in quelle di Salomone e della Shulamit. Il primo che scrisse un commentario intero sul Cantico secondo questa interpretazione fu Wilhelm Wittekindt15; un altro autore importante fu Harmut Schmokel16. Essi parlano di un matrimonio sacro liturgico tra Salomone e la Shulamit, in realtà derivato da una liturgia celebrante il matrimonio di Ishtar e Tammuz. Una secondo sviluppo per questa posizione si ebbe con la successiva scoperta, traduzione e pubblicazione di testi sumeri, che approfondivano e chiarivano aspetti del culto degli dei Dumuzi e Inanna, nomi sumeri di Tammuz ed Ishtar, specialmente riguardo ai riti del matrimonio sacro. Il più recente rappresentante di questo tipo di interpretazione è il Pope17, al cui commentario facciamo spesso riferimento, il quale come sfondo del Cantico propone un rito funerario visto come affermazione della vita sulla morte tramite un banchetto sacro con riti orgiastici sessuali. Questo tipo di interpretazione ha avuto un notevole successo nell’evidenziare il sostrato del Cantico, il linguaggio e l’ambito culturale dal quale l’autore sembra avere attinto i singoli brani, ma non riesce a dimostrare come la liturgia possa essere il principio organizzativo del testo nella forma attuale: un testo cultuale deve essere per forza ordinato e strutturato, ma questo ancora una volta manca nel Cantico, come abbiamo già visto per le altre due posizioni. 15 16 WITTEKINDT W., Das Hohe Lied und seine Beziehungen zum Istarkult, Hannover, 1926. SCHMOKEL H., Heilige Hochzeit und Hoheslied (Abhandlungen fur die Kunde des Morgenlandes 32/1), Wiesbaden, 1956. 17 POPE M. H., Song of Songs, The Anchor Bible, New York 1982. 10 L’interpretazione poetica L’interpretazione poetica, o lirica, legge il Cantico in una sfera più letterale e antropologica, abbandonando l’approccio spirituale o figurativo delle precedenti interpretazioni. Questo tipo di posizione è molto recente e i suoi fautori definiscono unanimemente il genere letterario del Cantico: poesia lirica. Il grande vantaggio di questo tipo di interpretazione è quello di avvicinarsi al testo senza presupposti riguardo alla struttura, esaminandolo attentamente nella sua forma presente, senza la necessità di leggere tra le righe quello che non figura, senza riordinare né aggiungere nulla. L’amore di cui si narra nel Cantico è perciò l’amore tra un uomo e una donna, piuttosto che tra il popolo e Dio. Anche qui, come per la posizione precedente, gli autori hanno proceduto ad una comparazione con i testi antichi, questa volta nell’ambito poetico, con le antiche poesie d’amore del Medio Oriente e soprattutto con la poesia d’amore egiziana, con la quale si sono trovati fortissimi paralleli. In base a questa letteratura qualcuno ha anche tentato di dare uno schema al testo, ad esempio Bousset parla della teoria della "settimana nuziale"18: il poema tratterebbe del matrimonio tra Salomone e la figlia del Faraone, per cui ci sarebbero sette divisioni nel testo, ciascuna corrispondente ad un giorno della settimana, ma come al solito viene imposta una strutturazione che il testo non ha. Questo tipo di interpretazione è oggi quella che va per la maggiore ed è accettata dalla stragrande maggioranza degli studiosi. Restano però ancora molte cose da capire e definire. 18 BOUSSET J. B., Praefatio in Canticum Canticorum in Oeuvres Complètes de Bousset, Vol. II, Parigi, 1897. 11 Recenti sviluppi Un valido aiuto nella complessa problematica dell’interpretazione del Cantico è venuto recentemente da uno studio della Elliot19, la quale, oltre a determinare il genere letterario del Cantico, ne ha dimostrato l’unità letteraria interna, organicamente strutturata dalla mente di un unico autore, anche se questo non esclude che egli abbia lavorato su materiale precedente. Il Cantico è una "unità poetica" di carattere lirico. Per questo genere letterario non funziona il modello aristotelico della progressione tematica, il quale pone come fondamentale la trama del racconto con un inizio, una fine ed un corpo centrale nella quale gli eventi sono correlati l’un l’altro dalla causalità o necessità. Piuttosto si applica il modello dell’"unità organica", nel quale ogni parte funziona in virtù dell’intero corpo letterario; esiste cioè una organizzazione altamente complessa nella quale molti componenti sono correlati in un modo tale che essi si supportano e spiegano l’un l’altro; la struttura include l’intero lavoro letterario, in altre parole non solo il poema ha una struttura, ma è una struttura. Semplificando potremmo dire che il Cantico è pieno di collegamenti e richiami non tanto basati sullo sviluppo di una trama, ma, secondo una sensibilità tutta orientale, legati ad assonanze tra parole, ripetizione di ritornelli e frasi, immagini e simboli che ritornano continuamente, allargandosi e approfondendosi. La struttura del Cantico è costituita quindi dai suoni e dalle immagini in esso contenuti: canto e poesia Il poema tratta perciò di una singola coppia di amanti e della loro mutua relazione di amore. Questa visione è in armonia con quanto è scritto nel libro della Genesi riguardo alla creazione della donna [Genesi 2,18-25] Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile». ... Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna. 19 ELLIOT M. T., The literary unity of the Canticle (Europaeische Hochschulschrif-ten 23), Frankfurt am Main, 1989. 12 La stessa visione positiva è presentata nel libro dei Proverbi: [Proverbi 5,15-20] Bevi l’acqua della tua cisterna e quella che zampilla dal tuo pozzo, perché le tue sorgenti non scorrano al di fuori, i tuoi ruscelli nelle pubbliche piazze, ma siano per te solo e non per degli estranei insieme a te. Sia benedetta la tua sorgente; trova gioia nella donna della tua giovinezza: cerva amabile, gazzella graziosa, essa s’intrattenga con te; le sue tenerezze ti inebrino sempre; sii tu sempre invaghito del suo amore! Perché, figlio mio, invaghirti d’una straniera e stringerti al petto di un’estranea? Il Cantico presenta allora la bontà di tutta la creazione e dell’amore umano il quale porta alla trascendente esperienza di un Dio che è Amore. Ma entriamo ora a considerare il testo. 13 La struttura del Cantico La strutturazione del Cantico si basa sulle ripetizioni e le assonanze linguistiche. Le prime segnano il passaggio alle varie sezioni, mentre le seconde costituiscono un collegamento tra le varie parti. Ci sono quattro tipi di ripetizioni particolarmente importanti: parole esattamente ripetute in stretta vicinanza le une alle altre: 4,8 Con me dal Libano, sposa, vieni con me dal Libano! 4,9 Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo, coppie di parole, di solito epiteti, che compaiono molte volte: 3,1 «Sul mio letto, di notte, ho cercato colui che amo, ‘ho cercato, ma non l’ho trovato. 3,2 Mi alzerò e vagherò per la città, cercherò colui che amo, nelle strade e nelle vie. L’ho cercato, ma non l’ho trovato. 3,3 Mi hanno trovato le guardie di ronda nella città “Avete visto colui che amo?”. 3,4 Non appena li oltrepassai, trovai colui che amo. frasi o mezzi versetti che riappaiono in diversi contesti : 2,16 «Il mio Dodì è mio e io sono sua, egli pascola tra i gigli. 4,5 I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di una gazzella, che pascolano fra i gigli. 6,3 «Io sono del mio Amato e il mio Amato è mio, egli pascola tra i gigli». infine ripetizioni di interi versetti: 2,6 e 8,3 «La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia». 14 Possiamo suddividere il Cantico in base a queste ripetizioni e ritornelli in sei parti. Ogni parte comincia con una situazione nella quale gli amanti sono separati l’uno dall’altro e termina con una rinnovata unione. I ritornelli dividono strutturalmente e allo stesso tempo fanno da transizione legando tra loro le diverse parti: 1,2-2,5 Prologo: introduzione dei temi principali 2,6 «La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia. 2,7 Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle o per le cerve della steppa, non incitate né eccitate l’amore, finché non voglia». 2,8-3,4 Prima parte: la voce dell’amato e il suo avvicinarsi, ricerca e ritrovamento 3,5 «Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle e per le cerve della steppa, non incitate né eccitate l’amore finché non voglia». 3,6-5,1 Seconda parte: motivo nuziale, descrizione della sposa, desiderio dell’uomo per la donna senso del testo che cambia 5,2-6,2 Terza parte: ricerca e ritrovamento, descrizione dell’amato 6,3 «Io sono del mio Dodì e il mio Dodì è mio, egli pascola tra i gigli». 6,4-8,2 Quarta parte: canto d’amore per l’amata, tema del giardino 8,3 «La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia. 8,4 Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, non incitate e non eccitate l’amore finché lo voglia». 8,5-14 Epilogo: la forza dell’Amore. 15 TITOLO 1,1 L’attribuzione del poema a Salomone è solo un artificio letterario, secondo un procedimento normale nei tempi antichi per dare autorevolezza e valore all’opera. Letteralmente tradotto il titolo è “Cantico dei Cantici che20 è di Salomone”. La ripetizione della parola al genitivo plurale indica in ebraico il superlativo assoluto, si dovrebbe perciò dire il “Canticissimo”, il “Cantico per eccellenza”, anche se è più appropriato mettere in rilievo l’aspetto poetico: il “Cantico sublime”. 1,1 Cantico sublime, di Salomone. PROLOGO 1,2-2,5 Il prologo è la parte iniziale del poema e serve da introduzione. Vengono presentati i temi dell’intero Cantico, ciascuno appena accennato, senza approfondimento. Sono introdotti inoltre i motivi dominanti, le immagini e il vocabolario che caratterizzeranno tutta l’opera. Si crea il clima, cosicché il lettore è preparato a ciò che segue. A causa di questa funzione preparatoria introduttiva esiste una unità interna, una coerenza tematica del prologo con l’intero Cantico. Si annunciano i protagonisti principali: i due amanti Il tema principale: l’amore I protagonisti secondari: le figlie di Gerusalemme, i compagni dell’amato, la madre dell’amata. 20 Il che relativo traduce il termine ebraico asher, mentre in tutto il resto dell’opera è usato il termine she- congiunto con la parola che segue, quest’ultimo è grammaticalmente più antico e indica l’aggiunta posteriore del titolo, scritto probabilmente da una mano diversa dall’autore. 16 Il poema inizia con un grido di passione amorosa della donna. Ella ha visto il suo Dodì, lo desidera ardentemente e ne tesse le lodi. L’iniziativa nella ricerca amorosa è della donna che dimostra una sconcertante libertà e spregiudicatezza. Vengono introdotti i temi del vino, del condurre nelle stanze interne e nella casa del vino. Il termine “amano te”, una sola parola in ebraico (ahevùka), in 1,3 e in chiusura di questo primo brano del prologo annuncia il tema del cantico: l’amore tra uomo e donna. Questo primo brano nella traduzione risulta poco scorrevole a causa dei continui cambi di soggetto, ma in ebraico è scorrevolissimo, musicale, con continui giochi di parole. 1,2 1,3 1,4 «Mi baciasse con i baci della sua bocca! Veramente il tuo amore è migliore del vino, del profumo del tuo buon olio. 21 Un olio profumato 22 tu sei, 23 per questo le ragazze ti amano. Conducimi 24 dietro a te, corriamo! Il re 25 mi fa entrare nelle sue stanze: esultiamo e gioiamo in te, assaporiamo il tuo amore più del vino, giustamente ti amano! Questo primo brano risulta poco scorrevole nella traduzione a causa dei continui cambi di soggetto, ma in ebraico è scorrevolissimo, quasi musicale, con i continui giochi di parole e addirittura dei suoni onomatopeici che fanno ad esempio atteggiare la bocca a bacio quando di baci si parla. Ricordiamo, e vale per tutto il Cantico, che è poesia basata sul suono, non un romanzo. 21 I versetti 1,2b e 1,3a sono costruiti secondo un parallelismo che si evidenzia traducendo letteralmente: “poiché BUONO è il tuo AMORE più che il VINO che il PROFUMO del tuo OLIO BUONO” i due BUONO formano una inclusione, esiste inoltre la corrispondenza tra VINO e PROFUMO e tra AMORE ed OLIO, ma l’olio è l’amato stesso come viene affermato subito dopo in 1,3b. 22 In ebraico parola sconosciuta: TURAQ. È tradotto come nome proprio che indica una varietà di olio: olio di Turaq, oppure con il termine “effuso” nel senso che si spande nell’aria e profuma. 23 Il versetto 1,3b letteralmente suona: “un OLIO profumato il tuo NOME” giocando sulla somiglianza tra SCÉMEN (olio) e SCÈM (nome). 24 Verbo che indica nel Cantico un movimento verso l’unione degli amanti. 25 Il re di cui si parla è sempre Dodì. 17 Inizia l’autodescrizione di Rahjatì e vengono introdotti i personaggi delle Figlie di Gerusalemme, della madre e dei fratelli della donna; questi ultimi avevano nell’antico Oriente una vera e propria funzione di sorveglianza e di dominio sulle sorelle. Il compito ingrato che le è stato affidato, quello di guardare le vigne, ha rovinato in parte la sua bellezza e di questo Rahjatì si lamenta, invitando a non badare alle bruciature del sole. Ma l’amore è più forte di ogni obbligo e l’innamorata ha lasciato il suo incarico, trascinata dal desiderio di ritrovare il suo Dodì. Viene introdotto il tema della vigna che simboleggia anche l’organo genitale femminile, in dipendenza probabilmente dei rituali di accoppiamento che avevano luogo nei campi coltivati o nelle vigne per assicurare e incoraggiare la fertilità. C’è un uso prima letterale del temine, la guardia delle vigne, e poi figurato, la mia vigna, che indica la donna stessa. Viene perciò proclamata una sconcertante libertà della donna che dichiara di aver avuto rapporti sessuali, vantandosi di essere venuta meno alla custodia del suo corpo e pronunciando una dichiarazione di autonomia nei confronti di se stessa e del suo destino. 1,5 1,6 Nera sono e 26 bella, figlie di Gerusalemme 27, come le tende di Kedàr 28, come i padiglioni di Salomone. Non guardatemi se sono abbronzata, poiché mi ha bruciacchiato 29 il sole. I figli di mia madre si sono arrabbiati 30 con me, mi hanno posto (come) guardiana delle vigne; la mia vigna, proprio la mia, non l’ho guardata. 26 In ebraico si può tradurre sia con una "e" congiunzione sia con un "ma" avversativo. Nelle traduzioni tradizionali si è spesso preferito l’avversativo a causa del preconcetto che il "nero" non possa essere bello. Il testo suggerisce però il parallelismo NERO --> TENDE DI KEDAR = tribù beduina dalle tipiche tende scure BELLO --> TENDE DI SALOMONE = immagine di grande bellezza e ricchezza e impone la scelta della congiunzione "e". 27 È la popolazione di Gerusalemme, in questo modo viene personificata la città stessa. C’è un passaggio dal monologo al dialogo che approfondisce il discorso. 28 Tribù beduina del nord dell’Arabia dalle tipiche tende nere perché tessute con lana di capra dal vello scuro. 29 C’è un gioco di parole nel testo ebraico: il verbo bruciacchiare ha anche il secondo significato di “guardare per traverso”, per cui l’Amata prega le Figlie di Gerusalemme di non guardarla intensamente, di non fissarla, perché già il sole l’ha guardata di traverso. 30 Il verbo può significare anche "perforare" col significato di penetrare, violare sessualmente. Questo significato resta comunque ambiguamente presente. 18 È ancora la donna che parla rivolgendo una domanda direttamente all’amato che ella desidera; la risposta seguirà in 2,6 e 6,3. Viene introdotto l’importante tema della ricerca che accompagnerà il movimento di tutto il poema. 1,7 Dimmi, amore mio, dove fai pascolare (il gregge), dove (lo) fai riposare a mezzogiorno, perché io non sia come una prostituta 31, dietro i greggi dei tuoi compagni 32». Cambia il soggetto parlante, sono i compagni dell’amato che danno le indicazioni perché la donna raggiunga colui che cerca. 1,8 «Se non lo sai, o bella tra le donne, segui le orme del gregge e conduci le tue caprette 33 presso le tende dei pastori». Finalmente parla Dodì che descrive l’ardente passione di Rahjatì paragonandola ad una giovenca tra un gruppo di stalloni. Egli ammira poi, in un quadro tutto dedicato al mondo equestre, la donna bellissima ornata di gioielli e monili che ricordano i finimenti del cavallo. 1,9 1,10 1,11 «A una cavalla tra i carri del faraone assomigli, mia Rahjatì. Sono belle le tue guance tra i pendenti, il tuo collo con un vezzo di perle. Faremo per te pendenti d’oro, con dischi d’argento». 31 Letteralmente "velata". Nell’antichità biblica le prostitute si coprivano il volto mentre attendevano nelle strade, questo gesto era legato anche alla prostituzione sacra. 32 I compagni ritorneranno alla chiusura del Cantico in 8,13. 33 Emblema più vicino alla sfera erotico-sessuale che non le pecore. 19 Risponde Rahjatì che ci annuncia l’intimità raggiunta dai due amanti: l’amato, che è detto essere “il re”, appare sdraiato, poi giace tra i suoi seni, proprio sul cuore di Rahjatì e infine, paragonato a succosi e dolci datteri, viene gustato dalla donna nell’amplesso. Ora sono insieme, non c’è più la ricerca. Compaiono la mirra e i datteri che rappresentano Dodì stesso. 1,12 1,13 1,14 «Mentre il re è sul suo divano 34, il mio nardo spande il suo profumo 35. Il mio Dodì è per me un sacchetto di mirra, trascorre la notte tra i miei seni. Il mio Dodì è per me un grappolo di datteri nei giardini di En Ghedi 36». Gli amanti si guardano l’un l’altro, contemplando la reciproca bellezza. Continua ora a risuonare il pronome “nostro”, segno del mutuo possesso raggiunto. 1,15 1,16 1,17 «Come sei bella, mia Rahjatì, sei veramente bella! I tuoi occhi sono colombe». «Come sei bello, mio Dodì, quanto grazioso! Anche il nostro letto è lussureggiante. Colonne della nostra casa sono i cedri, nostro soffitto sono i cipressi. Lo sguardo si allarga all’intorno e descrive l’ambiente che circonda gli amanti. La donna si paragona a un semplice e umile giglio acquatico (o loto), ma il suo amato riprende l’immagine floreale esaltandone la bellezza. La donna è un giglio, l’uomo è un melo e questi simboli torneranno continuamente nel Cantico richiamando e indicando le persone stesse degli amanti. 2,1 2,2 2,3 Io sono un narciso della pianura, un giglio delle valli». «Come un giglio fra i rovi, così la mia Rahjatì tra le fanciulle». «Come un melo tra gli alberi della foresta, così il mio Dodì fra i giovani. Alla sua ombra desidero sedermi, e il suo frutto è dolce al mio palato 37. 34 35 Il termine indica un divano basso su cui ci si adagiava su di un fianco durante i banchetti. Viene esercitata la seduzione da parte della donna nei confronti del suo re! Il significato è sessuale e indica l’odore della donna e dei suoi umori che eccitano il compagno. 36 Oasi sul lato occidentale del Mar Morto, posta in un anfiteatro di rocce inaccessibili. Una ricca sorgente e il clima caldo creano le condizioni per una eccezionale fertilità. 37 È l’amata che si gusta il frutto del melo, ma il senso è anche sessuale. 20 Siamo verso la conclusione del prologo, ritornano perciò due volte come all’inizio il termine "amore" e la parola "vino" che richiama 1,2. Rahjatì chiede di essere sorretta e, dichiarandosi malata, sperimenta che l’amore non è mai soddisfatto, chiede continuamente di ripetersi e di rinnovarsi. Anche questo è uno sviluppo importante che accompagnerà tutto il cammino dei due amanti con un continuo allontanarsi e ritrovarsi che culminerà nel capitolo ottavo nella affermazione della potenza dell’amore. 2,4 2,5 Egli mi ha condotto alla casa del vino e il suo intento su di me è: amore. Sostenetemi con dolci d’uva passa, sorreggetemi con mele, perché sono malata d’amore, io». In risposta al grido della donna ecco che il suo amante la prende tra le braccia, la sorregge e la protegge. In questo abbraccio gli amanti chiedono di non essere disturbati. Il ritornello finale del prologo, usato anche in 3,5 e 8,3-4, ha un significato ambiguo, sembra quasi indicare che la forza dell’amore non sia ancora matura per manifestarsi nella sua pienezza, ma più avanti nel poema ci saranno importanti sviluppi. 2,6 2,7 «La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia 38. Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle o per le cerve della steppa, non incitate né eccitate l’amore, finché non voglia». La frase “per le gazzelle o per le cerve della steppa” ha poco senso in italiano, ma in ebraico le gazzelle e le cerve suonano molto vicine alla invocazione del nome divino: gazzelle = tze’vaot che ricorda Jahvéh tzevaot, il Signore degli eserciti cerve delle steppe = ‘aylot hassadeh (consonanti: ‘lt sdh) che ricorda ‘el shaday (consonanti: ‘l sdy) = Dio onnipotente si tratta perciò di una frase di un giuramento solenne, corrotta per non nominare direttamente il nome di Dio, ma per farlo comunque apparire tra le righe. 38 Preminente il significato sessuale dell’abbraccio. 21 PARTE PRIMA 2,8-3,4 La prima parte si divide in due sezioni nettamente. La prima sezione, che comprende 2,8-17, potremmo intitolarla “la voce dell’amato e il suo avvicinarsi”. Siamo di giorno e in primavera. La donna chiama l’uomo con l’epiteto “Dodì”. Gli amanti sono separati e c’è un movimento di avvicinamento . La seconda divisione si estende su 3,1-4 ed è caratterizzata dallo svolgersi di notte. Gli amanti sono separati e c’è la ricerca notturna di Rahjatì. La donna chiama l’uomo con l’epiteto “colui che amo”. La prima parte termina infine con l’unione degli amanti. Collegandosi al ritornello precedente, la voce di Dodì sveglia Rahjatì che era in uno stato di riposo. C’è un passaggio dal verbo “viene” di 2,8 al verbo “sta” di 2,9. 2,8 2,9 2,10 «La voce del mio Dodì! Eccolo che viene saltando sui monti, balzando sulle colline. Ricorda Dodì una gazzella o un cerbiatto 39. Eccolo! Sta dietro il nostro muro, scruta attraverso la finestra, sbircia tra i graticci. Risponde Dodì e mi dice: “Alzati, Rahjatì, mia bella, e vieni! Inizia la descrizione della primavera (confronta con 7,12-14) 2,11 2,12 2,13 39 Perché, ecco, l’inverno è passato, è finita la stagione delle piogge, i fiori sono apparsi sulla terra, il tempo del canto è arrivato e si ode nella nostra terra la voce della tortora. Il fico ha maturato i suoi frutti e la vite in fiore spande fragranza. Alzati, Rahjatì, mia bella, e vieni! Ritornano le immagini del giuramento di 2,7. 22 Dodì guardando la sua amata, mentre è nascosto dietro i graticci della casa di lei, la vede come una colomba nascosta nei dirupi di montagne inaccessibili. La situazione è sempre di separazione. 2,14 Mia colomba 40, dalle fessure del dirupo, dal rifugio inaccessibile, mostrami il tuo aspetto, fammi udire la tua voce, perché la tua voce è piacevole 41, il tuo aspetto meraviglioso”». La donna acconsente alla richiesta e si ode la sua voce. Il suo parlare prosegue fino a 3,5. Ella esprime disappunto per gli impedimenti alla unione reciproca, l’allusione forse è ancora per i fratelli della donna che ostacolano l’incontro mentre tutto invita a lasciarsi andare alla passione amorosa. 2,15 «Prendeteci le volpi, le piccole volpi che distruggono le vigne e le nostre vigne sono in fiore. Ecco ora un ritornello che incontreremo anche in 6,3 e 7,11. Esprime l’unione e il mutuo possesso degli amanti. Risponde alla domanda di 1,7: “Dove vai a pascolare?”. L’immagine dei gigli è Rahjatì stessa come ella afferma in 2,1: “Io sono un giglio”. Gli ostacoli all’unione sono stati superati, le “piccole volpi” sono state prese e rese inoffensive. 2,16 Il mio Dodì è mio e io sono sua, egli pascola tra i gigli . Questo versetto è di passaggio alla seconda suddivisione della prima parte. Sta per giungere la sera, si passa dal giorno e dall’unione alla notte e all’assenza. 2,17 Mentre declina il giorno e fuggono le ombre, ritorna, Dodì, somigliante a una gazzella o a un cerbiatto, sulle montagne di Beter 42». 40 41 42 Nuovo nome dell’Amata che stabilisce l’immagine prevalente in questi versetti. La voce dell’Amato invita alla risposta, vuole che si oda anche la voce di lei. Beter ha un significato letterale di “fessura”, “spaccatura”, “divisione”. “Monte della fessura” indicherebbe l’organo genitale femminile. La frase è perciò un invito all’unione sessuale tra gli amanti. Si noti che è sempre la donna che invita. 23 Ritorna la situazione di ricerca già vista in 1,7. I due amanti sono ancora una volta separati. La donna è sdraiata in casa. Poi si alza e vaga per la città. C’è un insuccesso nella ricerca, ma alla fine avviene il ritrovamento del suo amato e il ritorno nella casa da dove è partita l’azione. 3,1 3,2 3,3 3,4 «Sul mio letto, di notte, ho cercato 43 colui che amo, l’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi alzerò e vagherò per la città, cercherò colui che amo, nelle strade e nelle vie. L’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi hanno trovato 44 le guardie di ronda nella città “Avete visto colui che amo?”. Non appena li oltrepassai, trovai colui che amo 45. L’ho afferrato e non lo lascerò finché non l’abbia fatto entrare nella casa di mia madre, nella stanza di lei che mi concepì». 46 Ritroviamo il ritornello che divideva il prologo dalla prima parte. Ora segna il passaggio dalla prima alla seconda parte. Ma, diversamente dal ritornello di 2,7, non è presente l’immagine dell’uomo che abbraccia la donna, è espresso comunque il mutuo possesso realizzato dagli amanti dopo la ricerca e il ritrovamento. 3,5 «Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle e per le cerve della steppa, non incitate né eccitate l’amore finché non voglia». 43 Cercare ricorre ben 4 volte nei versetti seguenti, 2 volte il "non trovato". Queste ripetizioni quasi assillanti rendono l’idea della ricerca affannosa. 44 Cambia il registro: trovare. 45 Dopo il ritrovamento il seguito tratta del muto possesso degli amanti. 46 Ritroveremo questa importantissima scena del “condurre alla casa della madre nell’epilogo del cantico (8,5) e scopriremo il suo significato importantissimo. 24 PARTE SECONDA 3,6-5,1 La seconda parte si estende da 3,6 a 5,1 con tre sezioni. Viene introdotto l’importante motivo nuziale, la donna è chiamata “sposa” e “sorella mia, sposa”. Viene introdotto anche il tema “militare”: i guerrieri che proteggono la sposa, la quale diventa poi lei stessa un’armeria e una torre. La prima suddivisione comprende 3,6-11. Appare la lettiga del re Salomone con la sposa che in processione si avvicina al suo sposo in attesa e il re-sposo esce per riceverla e accoglierla 3,6 3,7 3,8 «Chi è colei che sale dal deserto come colonna di fumo, profumata di mirra e d’incenso e d’ogni spezia dei mercanti?» «Ecco la lettiga di Salomone, sessanta guerrieri intorno ad essa, scelti tra i prodi d’Israele 47. Tutti armati di spada, veterani della battaglia, ciascuno la sua spada al suo fianco contro i terrori della notte. L’immagine della donna simile a colonna di fumo è simile a quella mostrata nel libro dell’Esodo: la colonna di nube che guida il popolo di giorno nella fuga dall’Egitto48. La donna viene mostrata in parallelo con l’azione divina di salvezza, il riferimento è però sfumato e volutamente ambiguo: Dio si rende presente nella donna che si reca dal suo sposo. C’è un collegamento anche col libro del profeta Gioele49 dove si parla dei portenti terribili del giorno di Jahvè e della colonna di fumo della sua presenza. L’immagine è grandiosa e possente: Rahjatì è la regina del suo Dodì. 47 L’immagine è quella della protezione, la sposa che si trova nella lettiga appare rinchiusa e custodita. 48 Esodo 13,21-22: “Il Signore marciava alla loro testa di giorno con una colonna di nube, per guidarli sulla via da percorrere, e di notte con una colonna di fuoco per far loro luce, così che potessero viaggiare giorno e notte. Di giorno la colonna di nube non si ritirava mai dalla vista del popolo, né la colonna di fuoco durante la notte”. 49 Gioele 3,3-4: “Farò prodigi nel cielo e sulla terra, sangue e fuoco e colonne di fumo. Il sole si cambierà in tenebre e la luna in sangue, prima che venga il giorno del Signore, grande e terribile”. 25 Inizia la descrizione della lettiga elencando i materiali preziosi con cui è costruita: legno del Libano, argento, oro, porpora e infine il più prezioso “amore”, giocando volutamente sul secondo significato di ahavàh che oltre ad “amore” significa anche “cuoio”, questi può quindi a tutto diritto essere incluso nell’elenco. La trasposizione pone però al vertice l’amore. Notiamo nel finale il passaggio al giorno e alla gioia contrapposto ai terrori della notte 50 del versetto precedente. 3,9 3,10 3,11 Una lettiga s’è fatta per sé il re Salomone, con legno del Libano. Le sue colonne le ha fatte d’argento, d’oro la sua spalliera, il suo sedile di porpora, al suo interno è intarsiato: amore. Figlie di Gerusalemme, uscite! Venite a vedere, figlie di Sion, il re Salomone con la corona che gli diede sua madre, nel giorno delle sue nozze e nel giorno della gioia del suo cuore!» Dodì è al colmo della gioia per l’arrivo della sua amata ed è questa gioia che lo rende un re coronato e splendido come Salomone. Il riferimento alla madre è in relazione alla generazione, al donare la vita. come sarà proclamato nel finale. 50 Si tratta dei demoni che percorrono il deserto uccidendo gli uomini che incontrano. Per questo sono necessari i guerrieri a protezione. 26 La seconda suddivisione comprende 4,1-7. Lo sposo che ha accolto la sposa contempla e descrive la sua bellezza. La descrizione è in senso discendente cominciando dal capo verso i piedi. Il brano inizia dichiarando la bellezza della donna e si chiude in egual modo al versetto 7, formando una inclusione. Viene nominata prima la parte del corpo e poi la corrispondente immagine di un animale: occhi->colombe, capelli->gregge di capre, denti->gregge di pecore. La fine di 4,2 funge da transizione. 4,1 4,2 «Come sei bella, mia Rahjatì, come sei bella! I tuoi occhi sono colombe, dietro il tuo velo. I tuoi capelli sono come un gregge di capre 51, che scendono dal monte Ghilad 52. I tuoi denti sono come un gregge di pecore, che salgono dal bagno e tutte sono appaiate, non ne manca nessuna. Ora viene prima la descrizione e poi la parte del corpo. La fine di 4,4 funge di nuovo da transizione. La torre di Davide è immagine di inaccessibilità. 4,3 4,4 Sono come un filo scarlatto le tue labbra e incantevole è la tua bocca, come spicchio di melagrana il tuo sopracciglio dietro il tuo velo. Come la torre di Davide il tuo collo, costruito come un’armeria. Mille scudi vi sono appesi, tutti scudi di eroi. Le immagini di bellezza non sono certo secondo i gusti e la sensibilità occidentali, ma andando oltre l’aspetto estetico, vogliono principalmente fare un parallelo tra le varie parti del corpo della donna e alcune immagini naturali del paesaggio mediorientale. Così come le immagini militari vogliono esprimere la fedeltà della donna protetta da mura pur essendo ammirata da mille guerrieri. 51 52 Neri, perché in Oriente le capre sono nere. Ghilad o Galaad è una regione ad est del fiume Giordano. 27 La contemplazione di Rahjatì ha generato nell’uomo il desiderio dell’unione. Il monte della mirra e la collina dell’incenso sono simboli dell’organo genitale femminile secondo due sue proprietà: l’umore femminile e il suo profumo. 4,5 4,6 4,7 I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di una gazzella, che pascolano fra i gigli. Mentre declina il giorno e fuggono le ombre, andrò al monte della mirra e alla collina dell’incenso. Tutta bella tu sei, mia Rahjatì, non hai nessun difetto. La terza suddivisione comprende 4,8-5,1. È ancora la voce di Dodì che parla sempre sulla scia di 2,8. usando il parallelismo ripetitivo. Il brano inizia e si chiude con l’immagine del Libano. Nello sviluppo del testo cresce il desiderio dell’amato di possedere Rahjatì come già annunciato in 4,6. In 4,10 c’è una descrizione speculare: l’uomo descrive la donna usando le immagini di 1,2-3 con cui lui stesso era stato descritto. 4,8 4,9 4,10 4,11 Con me dal Libano, sposa, vieni con me dal Libano! Giungi dalla cima dell’Amanàh 53, dalla cima del Senìr e dell’Ermon 54, dalle tane dei leoni, dai nascondigli dei leopardi. Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo, con una sola gemma della tua collana. Come è meraviglioso il tuo amore, sorella mia, sposa, il tuo amore è migliore del vino, e il profumo del tuo olio più di tutti gli aromi. Le tue labbra stillano miele liquido, sposa, c’è miele e latte sotto la tua lingua e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano. 53 Fiume che sgorga ai piedi dei monti dell’Antilibano e scorre verso Damasco. Il suo nome moderno è Baradà. Vedi anche 2 Re 5,12. Qui il nome indica il monte da cui sgorgano le sorgenti. 54 Monti molto alti a nord d’Israele al confine con il Libano. Indicano l’inaccessibilità dell’Amata. Senir è il nome amorrita dell’Ermon. 28 Il brano 4,12-5,1 inizia e termina con il termine giardino che fa da inclusione. Segue la descrizione di Rahjatì secondo l’immagine di un giardino. La donna è sia il giardino sia l’acqua che lo abbevera. 4,12 4,13 4,14 4,15 Tu sei un giardino recintato, sorella mia, sposa, una piscina proibita, una fontana che non si può raggiungere. I tuoi germogli 55 sono un boschetto di melograni con frutti desiderabili, cipressi con nardo, nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo con ogni specie di pianta profumata; mirra e aloe con tutti i migliori aromi. 56 Fontana tra i giardini, pozza d’acqua corrente che scende dal Libano». Il giardino all’inizio è chiuso, recintato e inaccessibile, ma poi la donna apre il suo giardino e invita Dodì all’incontro e al mutuo possesso. Rahjatì assume l’identità del giardino e invita il suo amato ad entrarvi. Le piante profumate elencate nei versetti precedenti descrivono la donna stessa e attireranno l’amante grazie al vento. 4,16 «Levati, vento del nord, e tu, vento del sud, vieni 57, soffia sul mio giardino, si spargano i suoi profumi. Verrà il mio Dodì nel suo giardino e mangerà i suoi frutti squisiti 58». Progressione dell’azione di Dodì: entra, raccoglie, mangia e beve, è la consumazione dell’unione. Segue un invito generico che costituisce una frase di passaggio alla terza parte. 5,1 «Son venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa, ho raccolto la mia mirra con spezie, ho mangiato il mio favo con il miele, ho bevuto il mio vino con il latte. Mangiate, amici, bevete, ubriacatevi d’amore!» 55 Termine che indica i rami o le radici che un albero fa crescere e germogliare; il significato traslato è quello dell’organo genitale femminile. 56 Elenco di piante la cui caratteristica è l’essere profumate. 57 “Venire”: verbo tipico che annuncia l’unione degli amanti. 58 Invito al rapporto sessuale. 29 PARTE TERZA 5,2-6,3 La terza parte si sviluppa secondo quattro passaggi: 5,2-8 ricerca notturna 5,9 domanda delle Figlie di Gerusalemme 5,10-16 descrizione dell’amato 6,1-3. domanda e risposta Si inizia con una pausa, si è passati da una ardente unione al silenzio, alla notte e al sonno. Soggetto parlante di questa parte è la donna. Si ripete in 5,2-8 la situazione di 3,1-5: la ricerca dell’amato di notte per le vie della città. Ma ci sono importanti variazioni. 3,1-5 notte a letto assenza dell’amato alzarsi 5,2-8 notte ricerca senza ritrovamento ritrovamento incontro con le guardie domanda alle guardie ritrovamento (chiusura) 5,2 5,3 59 60 a letto presenza dell’amato alzarsi allontanamento dell’amato ricerca senza ritrovamento chiamata senza risposta incontro con le guardie picchiata e ferita dalle guardie guardiani dei muri (impediscono la ricerca) «Io dormo, ma il mio cuore è sveglio. Un rumore! Il mio diletto bussa: “Aprimi 59, sorella mia, mia Rahjatì, mia colomba, perfetta mia, perché il mio capo è bagnato di rugiada, i miei capelli sono umidi per la notte”. Mi sono tolta la tunica, come l’indosserò? Ho lavato i miei piedi 60, come li sporcherò? Apertura in contrasto con la chiusura del brano precedente; lo stesso in 5,5-6. Indica i genitali della donna. 30 All’azione dell’amante corrisponde la reazione passionale di Rahjatì. I versetti seguenti raccontano di un rapporto sessuale nascosto e velato dalle immagini della porta. Rahjatì è infatti rappresentata dalla porta che viene forzata dalla “mano” dell’uomo. 5,4 5,5 Il mio Dodì ha introdotto la mano nell’apertura 61 e i miei visceri si sono eccitati 62 per lui. Mi sono alzata per aprire al mio Dodì e la mia mano gocciolava mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello. Inizia il tema della ricerca. I guardiani che impediscono la ricerca hanno lo stesso atteggiamento dei fratelli della donna che fungono da protettori e custodi. 5,6 5,7 Ho aperto al mio Dodì, ma il mio Dodì se n’era andato. Io venni meno quando egli se ne andò. L’ho cercato, ma non l’ho trovato, l’ho chiamato, ma non mi ha risposto. Mi hanno trovato le guardie che giravano per la città, mi hanno colpito, mi hanno ferito, mi hanno tolto il velo, i guardiani delle mura. Impedita nella ricerca, Rahjatì si rivolge alle Figlie di Gerusalemme scongiurandole di continuare loro la ricerca. 5,8 Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate il mio Dodì, che cosa gli direte? Che sono malata d’amore!» 61 La mano indica l’organo genitale maschile (vedi ad esempio Is 57,8-10), mentre il termine tradotto con apertura significa letteralmente “buco”. 62 Il verbo ebraico è un termine tecnico per indicare l’eccitazione sessuale. I visceri sono la sede delle emozioni e in senso erotico hanno anche il significato di “utero”. 31 La domanda seguente funge da transizione alla seconda suddivisione e provoca la descrizione dell’uomo da parte della donna sulla falsariga di 4,1-7. 5,9 «Che cos’ha il tuo Dodì più di un altro, o bella fra le donne? Che cos’ha il tuo Dodì più di un altro, perché così ci scongiuri?» La descrizione procede dall’alto verso il basso, dalla testa ai piedi. Rahjatì usa per l’amato immagini prima applicate a lei stessa, secondo un “effetto specchio”: i due amanti si contemplano, si scoprono e si conoscono guardandosi l’un l’altro. Questo è uno dei messaggi importanti del Cantico. 5,10 5,11 5,12 5,13 5,14 5,15 5,16 «Il mio Dodì è colorito e rosso, si distingue fra mille. Il suo capo è oro fino, i suoi riccioli sono mossi, neri come il corvo. I suoi occhi sono come colombe presso ruscelli d’acqua, che si bagnano nel latte, sedute sul bordo 63. Le sue guance sono come un letto di aromi, erbe profumate che germogliano; le sue labbra sono come gigli, che gocciolano mirra liquida. Le sue braccia sono verghe d’oro, piene di gemme preziose. Il suo tronco tornito è d’avorio, tempestato di lapislazzuli. Le sue gambe, colonne di alabastro, sono poste su piedistalli d’oro. Il suo aspetto è quello del Libano, pregiato come i cedri. Il suo palato è dolcissimo e tutto in lui è desiderabile Questo è il mio Dodì e questo è il mio compagno, figlie di Gerusalemme». 63 L’immagine è quella di due colombe che si stagliano scure nel latte nel quale si bagnano, ricordando per questo le pupille scure nel bianco dell’occhio. 32 La descrizione di quest’uomo meraviglioso desta interesse nelle Figlie di Gerusalemme che si affrettano a chiedere altre notizie per ritrovare l’amato. 6,1 «Dov’è andato il tuo diletto, o bella fra le donne? Dove se n’è andato il tuo Dodì, perché lo cerchiamo con te?» Ritorna l’immagine del giardino e del mutuo possesso degli amanti, ma non è solo una ripetizione perché l’unione è scesa ad un livello più profondo. Entrambi si conoscono meglio e conoscono meglio se stessi. La terza parte si chiude ancora una volta con il ricongiungimento degli amanti dopo la ricerca. 6,2 «Il mio Dodì è sceso nel suo giardino 64, fra le aiuole dei profumi, per pascolare nei giardini e raccogliere gigli». 6,3 «Io sono del mio Dodì e il mio Dodì è mio, egli pascola tra i gigli». 64 Il giardino è l’amata stessa come in 4,12 e 5,1. 33 PARTE QUARTA 6,4-8,2 La quarta e ultima parte si sviluppa secondo quattro passaggi: 6,4-10 canto d’amore per Rahjatì 6,11-7,1 transizione 7,2-10 canto d’amore per Rahjatì 7,12-8,2 tema del giardino e della ricerca. Nella prima suddivisione Dodì canta la sua Rahjatì in quanto suscitatrice di timore e meraviglia. Importante è il tema dell’unicità e della preminenza dell’amata su tutte le altre donne. I versetti da 5 a 7 descrivono solamente il capo della donna. La suddivisione inizia con la frase “splendida come trofei di guerra” e termina con la stessa frase al versetto 10 costituendo il confine, l’inclusione del brano. 6,4 6,5 6,6 6,7 6,8 6,9 «Tu sei bella, mia Rahjatì, come Tirza 65, bella come Gerusalemme, splendida come trofei di guerra 66. Volgi a me i tuoi occhi, perché mi eccitano. I tuoi capelli sono come un gregge di capre che scendono da Ghilad. I tuoi denti come un gregge di pecore che salgono dal bagno e sono tutte appaiate non ne manca nessuna. Come uno spicchio di melagrana il tuo sopracciglio, dietro il tuo velo. Sessanta sono le regine, ottanta le concubine e le fanciulle sono senza numero. Unica 67 è la mia colomba, la mia perfetta, ella è l’unica di sua madre, la preferita della sua genitrice. L’hanno vista le ragazze e l’hanno detta beata, l’hanno lodata regine e concubine». 65 Tirza: città cananea dove Geroboamo fissò la sua capitale (1 Re 14-16). Vengono citate le capitali del regno del nord, Tirza, e del sud, Gerusalemme, subito dopo lo scisma di Israele avvenuto nel 931 a.C., mentre non è citata Samaria, la capitale successiva del regno del nord edificata durante il regno del re Omri (885-874 a.C.; vedi 1 Re 16,23-24). 66 Letteralmente: oggetti spettacolari a vedersi, che provocano per questo meraviglia. 67 L’unicità dell’Amata è accentuata dallo sviluppo dei versetti 8 e 9: Regine, concubine, fanciulle -> UNICA, unica di sua madre -> ragazze, regine e concubine. 34 6,10 «Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come “la bianca” 68, fulgida come “il rovente”, splendida come trofei di guerra?». Vediamo che Rahjatì è ancora rappresentata come una dea per la sua bellezza, ma anche per le immagini che le sono attribuite: luna e sole, dei per molti popoli, e “splendida come trofei di guerra”, immagine ispirata forse dall’aspetto bello e terribile delle dee femminili come Ishtar, Inanna, Anat, Atena, Kalì con trofei di resti umani, che ogni civiltà antica ha rappresentato. Seguono ora dei versetti di transizione tra i due canti d’amore dedicati a Rahjatì. È l’uomo che parla all’inizio, egli è sempre il soggetto nei verbi di moto. L’immagine del boschetto e della vegetazione raffigura ancora una volta la donna. L’amato scende ad incontrarla, ma lei inizia a danzare per la gioia di averlo incontrato di nuovo, sale perciò su un rialzo (sul carro del suo principeDodì) e inizia la danza; gli amanti vengono raggiunti dai compagni che ne condividono la gioia e ammirano la donna. 6,11 6,12 7,1 «Sono sceso nel boschetto dei noci 69, per vedere il verdeggiare della valle, per vedere germogliare la vite, fiorire i melograni». «Prima che me ne rendessi conto il mio desiderio mi ha fatto salire sul carro con un principe 70». «Volgiti, volgiti, Shulamit, volgiti, volgiti: vogliamo ammirarti». «Che cosa ammirate della Shulamit 71 nella danza dei due accampamenti? 72». 68 69 È la luna, mentre nella riga seguente si parla del sole. Frase ambigua che sembra indicare che l’amato si reca in uno dei boschetti sacri di noci dove si svolgevano i riti pagani della fertilità. 70 Versetto incomprensibile, letteralmente suona: “non so - la mia anima mi ha posto i carri del mio popolo principe”, la traduzione usata è congetturale e si basa sul contesto del brano. 71 Shulamit è in ebraico il femminile di Salomone, nome che sighifica “pace”. Si tratta ancora dell’immagine speculare di un amante riflessa nell’altro: l’amato è Salomone ma ora è l’amata che diventa la Shulamit. 72 Tipo di danza orientale nella quale la donna si esibisce di fronte agli uomini e alle donne divisi in due gruppi. Il testo ebraico scandisce con il ritmo delle parole i passi della danza, descritti con parole il cui suono imita il colpo del piede per terra. 35 Provocata dalla domanda precedente, inizia la nuova contemplazione di Rahjatì, descritta iniziando dai piedi e salendo verso l’alto, diversamente da 4,1-7 dove la descrizione iniziava dal capo verso il basso. Il versetto 7,5 ci mostra l’immagine della “donna-città”. 7,2 7,3 7,4 7,5 7,6 «Come sei bella, i tuoi piedi calzàti, figlia di principe! Le curve dei tuoi fianchi sono come monili, opera di mani d’artista. I tuoi genitali 73 come un vaso profondo (che) non manca mai di vino drogato. Il tuo ventre è un mucchio di grano, circondato da gigli. I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di gazzella. Il tuo collo come una torre d’avorio; i tuoi occhi sono come le piscine di Chesbòn 74, presso la porta di Bat-Rabbìm 75; il tuo naso come la torre del Libano che guarda verso Damasco 76. Il tuo capo si erge come il Carmelo77 i lunghi capelli del tuo capo sono come la porpora 78, un re è catturato dall’ondeggiare dei capelli. 73 Letteralmente è “ombelico” usato però per intendere la vagina della donna in quanto anche il termine ebraico che segue descrive un vaso di forma cilindrica che ricorda appunto la forma della vagina. Inoltre poiché la descrizione procede dal basso verso l’alto se si trattasse dell’ombelico questo starebbe più in alto del basso ventre che segue. 74 Città amorrita (Nm 21,26-34) situata tra l’odierna Amman e Màdaba in Giordania. 75 Riferimento sconosciuto, letteralmente significa: “figlia di una moltitudine”. 76 Nel senso che fa la guardia, è di sentinella. 77 Monte che taglia di traverso Israele dal mare, presso l’odierna Haifa, verso l’interno, delimitando a nord la pianura di Esdrelon. Ë citato nella Bibbia per la sfida del profeta Elia contro i profeti di Baal svoltasi appunto alle pendici di questo monte. 78 La porpora era usata per tingersi i capelli. 36 Il movimento della descrizione dal basso verso l’alto diventa la comparazione della donna con un’alta pianta. Si tratta ancora dell’immagine speculare di un amante riflessa nell’altro: prima Dodì è stato descritto come un albero di mele e un cedro del Libano, ora la donna è un’alta palma. Il desiderio dell’uomo verso la donna viene ora espresso esplicitamente con una forte immagine erotica: Dodì vuole possedere Rahjatì afferrandola per i seni, mentre vengono descritti fisicamente i baci ardenti. 7,7 7,8 7,9 7,10 Come sei bella e come sei graziosa, amore, figlia di delizie! La tua statura ricorda una palma e i tuoi seni i grappoli. Ho detto: “Salirò sulla palma, afferrerò con forza i suoi frutti!” Siano i tuoi seni come grappoli d’uva e il profumo del tuo respiro come di mele». «Il tuo palato sia come vino squisito, che scorre dritto verso il mio Dodì e fluisce sulle labbra e sui denti! Un ritornello di passaggio riassume il desiderio degli amanti e richiama anche Gn 3,16 e 4,7: il desiderio della donna è verso l’uomo che la domina. 7,11 Io sono del mio Dodì e il suo desiderio è per me. Viene descritto ora il giardino nel quale gli amanti si recano e dove consumeranno ancora una volta l’unione; il desiderio espresso nei versetti precedenti trova la sua realizzazione. Gli amanti quasi si confondono con la natura bellissima che contemplano e si identificano con il fiorire degli alberi. 7,12 7,13 7,14 79 Vieni, mio Dodì, andiamo in campagna, passiamo la notte tra i cipressi. Andremo nelle vigne; vedremo se fiorisce la vite, sbocciano i fiori, fioriscono i melograni: là ti darò il mio amore! Le mandragole 79 spandono profumo e sulle nostre porte ogni delizia, nuova e antica, mio Dodì l’ho serbata per te. Pianta collegata con la fertilità, è ritenuta afrodisiaca. 37 Continua il movimento verso l’unione iniziato con l’invito ad andare nei campi. Ritornano i desideri di 1,2: baciare Dodì e gustare il vino. C’è un movimento dall’esterno all’interno e troviamo ancora una volta il riferimento alla casa della madre che troverà il suo apice nell’epilogo ora prossimo. Notiamo che è sempre la donna che invita l’uomo a recarsi nella casa di sua madre per ripetere quasi ritualmente l’amplesso che sua madre ebbe per concepire lei. 8,10 8,2 Oh se tu fossi un mio fratello 80, allattato al seno di mia madre! Trovandoti all’esterno ti bacerei senza che alcuno mi disprezzi. Ti porterò e condurrò alla casa di mia madre, colei che mi concepì. Ti farò bere del vino drogato, del succo della mia melagrana 81». Si conclude la parte quarta con il possesso degli amanti espresso tramite il ritornello che ormai conosciamo. Qui però il senso non è più quello di non essere disturbati, ma si vuole indicare un approfondimento dell’incontro e del possesso. 8,3 8,4 «La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia. Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, non incitate e non eccitate l’amore finché lo voglia». Notiamo lo sviluppo del tema naturale: 1. Gli amanti sono equiparati ad un elemento naturale (giglio, melo...) 2. Essi scoprono l’uno nell’altro la rassomiglianza a vari elementi della creazione (i tuoi occhi sono colombe...) 3. Un aspetto della creazione diventa il significato per esprimere se stessi e il proprio amore (il campo, la vigna...) 4. Tutta la creazione converge in essi ed essi abitano i campi e le vigne e sono a loro volta identificati con essi, in essi si confondono e fondono. 80 81 Immagine tipica della poesia amorosa orientale e soprattutto egiziana. Riferimento erotico ancora all’organo genitale femminile. 38 EPILOGO 8,5-14 L’epilogo è un poema corto che serve a completare il piano dell’opera, infatti mentre il prologo consisteva di ben 22 versetti, l’epilogo ne conta solo una decina; in esso sono ricapitolati i temi principali del Cantico. È particolarmente collegato al prologo, ben 26 termini sono comuni ad entrambi, e ci sono molte ripetizioni anche in contesti paralleli, come ad esempio in 1,5-6 e 8,11-12. L’effetto complessivo di questi richiami fa si che prologo ed epilogo formino una inclusione che abbraccia le quattro parti interne della struttura. Inoltre l’epilogo completa il Cantico riproponendo il tema principale e lasciando gli uditori con una forte ed emotiva impressione sulla natura e il potere dell’Amore. L’epilogo costituisce una unità letteraria il cui fattore unificante principale è la persona della donna: è lei che parla (versetti 5-7, 12 e 14), alla quale parlano (versetto 14) e della quale parlano (versetti 5, 8 e 9); altro fattore unificante è una serie di immagini di chiusura: l’abbraccio, un sigillo, una città fortificata, una vigna, un giardino. Il brano finale si apre con l’immagine del deserto e un grido di meraviglia che ci riconducono a 3,6ss: l’apparizione della lettiga di Salomone che porta la sposa. Entrambi costituiscono una transizione, un cambio di immagine e di contesto, è chiaro quindi il passaggio ad una nuova sezione, quella finale. Viene presentato un movimento di salita rispetto allo “stare”, al “riposo” del ritornello precedente. Siamo all’aperto e il brano si apre con un grido che annuncia l’arrivo della donna, l’interesse si concentra sulla coppia che entra in scena, ma il soggetto che agisce e parla è sempre Rahjatì. Segue un importante annuncio della donna: finalmente l’Amore si è svegliato! Rahjatì ha risvegliato il suo Dodì attraverso l’esperienza amorosa e per questo è paragonata alla madre che lo ha generato, che gli ha dato la vita (amore = vita): Dodì è rinato grazie all’amore della sua Rahjatì. I ripetuti inviti a non svegliare l’amore che hanno accompagnato tutto il poema (2,7; 3,5; 8,4) sono in realtà l’invito a non banalizzarlo, a non svilire la sua forza capace di dare inizio ad una nuova creazione. Una relazione d’amore è definita come una forza creativa che richiede un legame indissolubile di mutuo impegno. 8,5 «Chi è colei che sale dal deserto, appoggiata al suo Dodì?» 82 «Sotto il melo ti ho risvegliato, là, dove ti concepì tua madre, là, dove ebbe il travaglio e ti partorì. 83 82 83 Il soggetto di questo grido sembra essere un coro, forse le Figlie di Gerusalemme. Molti autori, è già stato accennato, preferiscono cambiare il testo ebraico di 8,5 trasformando i suffissi al femminile, rifacendosi alla vocalizzazione operata dalle traduzioni antiche. L’attore e il soggetto parlante diverrebbe allora l’uomo, in contrasto con il testo originale ebraico e il contenuto di tutto il Cantico, che mostra una preminenza dell’iniziativa da parte della donna. 39 I due versetti che seguono sono considerati dai commentatori moderni il vertice del Cantico ed anche la chiave di lettura di questo, in quanto affermano il significato dell’Amore, permettendo di rileggere il rapporto uomo-donna inserito nella creazione e quindi considerarlo vitale, buono e positivo. Questi versetti dimostrano che l’interpretazione letterale del testo in chiave antropologica è non solo possibile, ma rispecchia le intenzioni dell’autore del Cantico e si ricollega alla letteratura sapienziale. Per di più il versetto 8,6c-7b costituisce una unità e usa il vivido e terso stile sapienziale del mashal84. L’unione raggiunge ora il suo livello più profondo. Come l’Amore crea una nuova vita, così contende con il potere distruttivo della Morte e degli Inferi. L’uso dell’articolo definito e insieme l’attribuzione di forza, indica una personificazione della Morte e poiché l’Amore vi è paragonato, è pure personificato. L’Amore è qui trasformato in una grande e potente realtà. Dopo aver proclamato la nuova vita che viene dall’amore ecco che viene affermata la sua forza e la sua tenacia, capace di vincere il mondo del male e del caos rappresentati da Morte, Inferno e Dardo, personificazione degli dei degli inferi cananei: Mawet (morte), Sheol (inferno), Réshep (freccia, dardo). C’è un crescendo da Amore a Passione, da Morte a Inferno, e infine compare nel climax il nome divino di Dio: shalhébet jàh, la fiamma di Dio o anche il fulmine, restando volutamente ambiguo il riferimento, quasi che questa presenza del creatore nell’amore tra l’uomo e la donna debba essere discreto per non togliere la libertà dell’incontro. 8,6 Mettimi come sigillo 85 sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio, poiché l’Amore è forte come la Morte, la Passione 86 potente come l’Inferno, le sue frecce 87 sono frecce di fuoco, fiamma di Jahvè! 84 Il mashal è l’”unità base” della meditazione sapienziale, una breve e incisiva riflessione sul mondo e sulla vita in base al messaggio della Torah,. Il mashal è espresso attraverso due stichi paralleli nel significato. 85 Un sigillo era fatto di metallo o pietra ed era appeso ad una corda legata al collo, oppure era un anello portato sulla mano destra. Segno legale di identificazione, spesso era di materiale prezioso o semi prezioso ed era tra i possessi di valore di una persona, il sigillo autentificava (1 Re 21,8), univa (Gb 41,7), definiva la persona (Ger 22,24). L’Amata vuole dunque essere lo stesso “io” del Diletto, la sua “carta d’identità”, la sua stessa persona; chiede che l’intelligenza, la volontà, l’affettività e l’intera personalità dell’uno, si trasfondano, si leghino all’altro in una piena simbiosi. 86 Il termine ebraico qinàh designa una varietà di forti emozioni, rabbia, invidia, gelosia, furia e qui, in parallelo con Amore, l’istinto sessuale che è una delle più forti tendenze dell’uomo; la miglior traduzione sembra dunque “passione”. 87 Il termine ebraico réshep, tradotto con dardo, freccia, evoca il nome di un Dio cananeo sotterraneo, che si pensava riuscisse ad emettere “scariche” infiammanti la superficie della terra, causando epidemie e stragi. 40 Il versetto che segue conferma la personificazione divina tramite l’immagine delle “grandi acque” che “non possono spegnere l’Amore” ed il suo parallelo “né possono i fiumi spazzarlo via”. Esse appartengono al linguaggio mitico di Israele, il loro riferimento primario è alla battaglia di Yahweh contro i mostri marini Rahav o Leviatan; l’immagine è quella delle acque del caos che Dio deve mettere in ordine nella creazione. Gli dei della morte, secondo i miti cananei, hanno il loro regno nelle profondità e nel caos delle grandi acque. Il potere dell’Amore è comparato agli elementi primordiali del fuoco e dell’acqua; la vittoria dell’Amore sulle “grandi acque” è perciò ancora la vittoria di una forza positiva sul male cosmico. 8,7 Le grandi acque non possono spegnere l’amore, né i fiumi spazzarlo via. Se un uomo desse tutte le ricchezze della sua casa per l’amore, sarebbe disprezzato?» Questi tre versetti del Cantico che abbiamo analizzato mostrano di che genere di amore si sta trattando: una forza dinamica e vitale, un fattore irresistibile, un potere divino che unisce un uomo ed una donna in una relazione esclusiva e durevole. Il Cantico non dipinge l’amore in vista della procreazione o del matrimonio, ma approfondisce la relazione d’amore tra uomo e donna in sé e per sé, presentandola fine a se stessa e positiva, tanto da attribuirle il “marchio di garanzia" di Dio stesso. Il Cantico mostra come i due amanti si rapportano l’un l’altro: si chiamano, rispondono, si scoprono con un movimento a spirale che si approfondisce piano piano. Segno di questo approfondimento è lo specchiarsi l’uno nell’altro, attraverso immagini attribuite ora all’uno ora all’altro e indicanti una unione che scende a livelli sempre più profondi. L’aspetto fisico è sempre presente e forte, indispensabile, anche se è solo parte di un rapporto più ricco. Il termine “erotico” frequentemente usato per descrivere il Cantico, significa appunto il rapporto amoroso compreso in tutti i suoi aspetti, fisici e spirituali, passionali e di donazione reciproca, e in quanto fautori di piacere e di gioia. Questo breve, ma intenso poema è perciò un inno che celebra la potenza e la gioia dell’Amore, la realtà più grande che l’uomo possegga: “nell’aldiqua dell’amore umano si gusta la primizia della vita intangibile ed indistruttibile di Dio stesso” 88. 88 RAVASI, Cantico, 149. 41 Ritornano i fratelli che devono custodire la donna e pronunciano una frase di disprezzo nei suoi confronti: è troppo giovane e quando ci saranno le trattative matrimoniali (si parlerà di lei) non ci saranno molte possibilità che ella trovi marito: qui c’è l’allusione anche ai suoi trascorsi e alla sua estrema libertà nel rapporto amoroso. Tornano le immagini di chiusura (muro, recinto, porta, tavole di cedro). 8,8 8,9 «Nostra sorella è giovane, non ha seni. Che faremo di nostra sorella, nel giorno in cui si parlerà di lei? Se fosse un muro, le costruiremmo intorno un recinto d’argento; se fosse una porta, la chiuderemmo con tavole di cedro». La donna risponde volgendo a proprio favore le immagini di chiusura e militari dei versetti precedenti poi risolve la tensione tra sé e i fratelli ponendosi come portatrice di pace e colei che trova pace (entrambi i significati sono ugualmente e volutamente possibili). Inoltre la parola pace, shalòm, si collega con il Salomone (shlomòh in ebraico) del seguito. 8,10 «Io sono un muro 89 e i miei seni sono come torri! Così ero ai suoi occhi: colei che dà pace! Viene ripreso il tema della vigna dell’introduzione, ma si passa dal “la mia vigna non l’ho guardata” di 1,6 al “la mia vigna è per me” di 8,12. La donna è ora valorizzata e il cammino amoroso che ha percorso è servito a donarle la consapevolezza del suo valore, l’essere posseduta dal suo amante ha significato raggiungere l’autopossesso e il rifiuto di ogni compromesso. 8,11 8,12 Una vigna aveva Salomone in Baal-Hamòn 90, affidò la vigna ai guardiani, ciascuno gli doveva portare per il suo frutto mille pezzi d’argento. La mia vigna, proprio la mia, è per me, a te, Salomone, i mille pezzi e duecento ai guardiani del suo frutto!» 89 90 È anche affermazione di verginità. Significa "signore (o marito) di una moltitudine" e si collega con il Bat-Rabbim della donna in 7,5. 42 Si passa dalla vigna ai giardini, entrano in gioco come nell’introduzione i compagni dell’amato e viene fatto un invito alla donna perché lanci il suo messaggio che chiuda il poema, così come il suo grido di desiderio l’aveva aperto (colei che giace nei giardini è evidentemente la donna). 8,13 «Tu che giaci nei giardini, i compagni stanno ascoltando, fammi sentire la tua voce!» La donna invita il suo Dodì ad andare ancora una volta da lei lasciando i compagni. Viene riproposto l’allontanamento a cui seguirà il ritorno secondo la dinamica dei loro rapporti amorosi: lontananza, incontro, intimità, crescita. Non esiste un punto di arrivo nel cammino di due amanti. 8,14 «Scappa, mio Dodì, sii come una gazzella o un cerbiatto, sui monti degli aromi!». 43 Interpretazione Prima di ripercorrere i tratti principali di questo meraviglioso poema per comprenderne appieno lo sviluppo e il messaggio, è necessario ricordare lo stretto legame che il Cantico ha con la letteratura sapienziale. È in questo ambito che il nostro poema è stato scritto, lo dimostrano il mashal del capitolo ottavo (8,6), considerato la chiave di lettura del Cantico, l’attribuzione dell’opera a Salomone e i parallelismi con altri testi sapienziali biblici ed extrabiblici, soprattutto con i libri della Genesi e dei Proverbi. In questi ultimi due testi l’amore uomo-donna è presentato come una realtà buona e positiva, inserita in una creazione che è dono stupendo di Dio, così come il Cantico esalta l’amore umano donandoci alcune tra le più belle immagini naturali di tutta la Bibbia91. Dodì e Rahjatì si muovono in un giardino dell’Eden dove si contemplano, descrivendosi a vicenda con paragoni che traggono dal mondo meraviglioso intorno a loro. Esiste un forte legame tra gli amanti e la natura che li circonda, non tanto per l’utilità della natura stessa in vista della sopravvivenza, ma in quanto fonte di ispirazione amorosa, di contemplazione estetica appagante. La bella e focosa Rahjatì ci sconcerta a causa del suo comportamento libero ed emancipato, considerando soprattutto la cultura mediorientale da cui proviene il poema e nella quale una donna aveva pochissima libertà e autonomia, essendo ritenuta più che altro proprietà privata del marito e degli altri maschi della famiglia. Eppure Rahjatì ha sempre l’iniziativa in tutto lo sviluppo del rapporto amoroso, è lei al centro dell’attenzione all’inizio del poema, nel finale e nei passaggi principali, lei sblocca le situazioni di separazione e porta al culmine gli amplessi, arrogandosi infine il merito di aver ridato nuova vita al suo amante. I fratelli che cercano di controllarla e dominarla sono scavalcati e ignorati dalla donna. È evidente che non è possibile una interpretazione banale di questo comportamento, non si tratta cioè di una donna eccezionalmente autonoma ma, attraverso la libertà di Rahjatì, l’autore ci vuole comunicare un importante messaggio e proprio il legame con i libri sapienziali ci aiuta a capire quale esso sia. Nel libro dei Proverbi e nel libro di Giobbe92 la sapienza, che l’uomo deve cercare di acquisire e possedere, viene personificata e diventa la “donna Sapienza” che chiama agli angoli delle strade coloro che vogliono ascoltarla e prepara banchetti per gli uomini che aderiscono alla sua chiamata, ma questa stessa “donna Sapienza” viene mostrata presente accanto a Dio quando veniva 91 92 Si pensi soltanto a Ct 2,10-14. Prov 8,22-31; Gb 28,23-28 per citare solo i due più famosi. 44 creato il mondo. Infatti questa personificazione introduce una mediazione tra la creazione e Dio, del quale si vuole salvaguardare la trascendenza e santità. Il Dio della Bibbia, secondo la letteratura sapienziale, non è entrato direttamente in contatto col mondo materiale, ma si è servito della Sapienza come di uno strumento per ordinare il creato. Attraverso di essa Dio ha impresso il suo marchio nel mondo e l’uomo può riconoscere in esso i segni che svelano chi è il vero autore del creato e, con una implicazione etica, apprende come vivere e comportarsi. Il libro del Siracide, al capitolo 24 esprime molto chiaramente questa visione e notiamo anche come appaiono immagini naturali che ricordano quelle del Cantico (Sir 24,1-21): [1] La sapienza loda se stessa, si vanta in mezzo al suo popolo. ... [3] «Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo e ho ricoperto come nube la terra. [4] Ho posto la mia dimora lassù, il mio trono era su una colonna di nubi. ... [9] Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi creò; per tutta l’eternità non verrò meno. ... [13] Sono cresciuta come un cedro sul Libano, come un cipresso sui monti dell’Ermon. [14] Sono cresciuta come una palma in Engaddi, come le piante di rose in Gerico, come un ulivo maestoso nella pianura; sono cresciuta come un platano. [15] Come cinnamòmo e balsamo ho diffuso profumo; come mirra scelta ho sparso buon odore; come gàlbano, ònice e storàce, come nuvola di incenso nella tenda. [16] Come un terebinto ho esteso i rami e i miei rami son rami di maestà e di bellezza. [17] Io come una vite ho prodotto germogli graziosi e i miei fiori, frutti di gloria e ricchezza. [18] Avvicinatevi a me, voi che mi desiderate, e saziatevi dei miei prodotti. [19] Poiché il ricordo di me è più dolce del miele, il possedermi è più dolce del favo di miele. [20] Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me, avranno ancora sete. [21] Chi mi obbedisce non si vergognerà, chi compie le mie opere non peccherà». Per noi è importante verificare che esiste una stretta somiglianza tra la personificazione della Sapienza a cui abbiamo appena accennato e la personificazione dell’Amore come appare nel Cantico. Da questa si deduce che 45 il Creatore ha lasciato il suo segno o meglio il suo “sigillo”, usando il linguaggio del poema, anche nell’amore uomo-donna e attraverso di esso è possibile risalire all’Amore sommo, fonte di ogni altro. L’iniziativa 93 nei libri sapienziali biblici è sempre di “donna Sapienza”, proprio come nel Cantico è sempre l’amata che guida il gioco dell’amore. Possiamo dire perciò che Rahjatì è segno e garanzia della presenza di Dio nella manifestazione dell’amore umano, lei è lo strumento privilegiato dell’azione di Dio nel cammino degli amanti, mentre non simboleggia, come avverrebbe nella interpretazione allegorica, Dio stesso o il popolo. Anche se Dio è nominato espressamente solo in 8,6, egli è presente in tutto lo svolgimento del poema, basti pensare ai giuramenti che velano il suo nome, e il culmine dell’opera è la scoperta del potere vitale dell’amore che non può che provenire dal Creatore stesso. Ecco perché possiamo chiamare il Cantico sublime: “il Canto della vita”. Nel prologo si racconta dell’innamoramento della coppia. L’inizio è repentino: Rahjatì grida di desiderio per il suo amato e pronuncia una passionale dichiarazione d’amore nei suoi confronti. Presenta poi se stessa e si proclama libera di scegliere il proprio destino nonostante le costrizioni dei fratelli. Quindi parte alla ricerca dell’amato e lo trova grazie ai compagni di lui. Dodì resta sorpreso e rapito dalla bellezza e dalla passionalità della donna. I due amanti entrano allora nell’intimità e si dichiarano vicendevolmente la propria ammirazione per la reciproca bellezza, mentre l’amplesso viene consumato nella casa del vino, luogo usuale per l’intimità nell’ambiente pagano mediorientale nel quale la sessualità era vissuta come affermazione della vita sulla morte e quindi anche attraverso libazioni e banchetti sacri, anche se la citazione nel Cantico tocca solo l’aspetto ambientale. Il prologo si chiude con i due amanti uniti. I rapporti sessuali costituiscono in tutto il poema il vertice del cammino amoroso, il punto verso cui tutto tende e dal quale si riparte con una nuova consapevolezza e maturità. Il rapporto dei due amanti comunque, anche se passionale e intenso, è ancora incerto, l’uomo e la donna cominciano soltanto a conoscersi e, anche se già si giunge all’intimità, si sente la mancanza della piena soddisfazione del desiderio amoroso. 93 ad esempio Prov 8,1ss; 9,3-6. 46 L la prima parte si apre con l’arrivo di Dodì presso la casa dell’amata. Viene descritto l’ambiente nel quale si svolge la storia d’amore, cioè la bellissima natura che circonda gli amanti. La donna viene vista come una colomba custodita e nascosta nella casa e Dodì la invita ad andare da lui. Qualcosa però disturba la realizzazione del desiderio dell’uomo e, dopo un fuggevole incontro, c’è una nuova separazione. La donna è difficilmente raggiungibile, non per sua volontà, ma a causa di qualcuno che la tiene rinchiusa. Ma la stessa Rahjatì desidera il ricongiungimento e inizia la ricerca dell’amato perduto. Alla fine, dopo l’incontro con i guardiani della città, avviene il ritrovamento. È l’iniziativa della donna che esce dalla sua prigionia e affronta la città e i suoi guardiani a permettere il ricongiungimento. Ella porta l’amato nella casa di sua madre per consumare l’amplesso. Da notare che ancora una volta l’intimità viene raggiunta in un luogo fissato dalla donna, verso il quale lei porta il suo amante. Il susseguirsi delle situazioni è complesso e tortuoso, quasi per rappresentare letterariamente la difficoltà del cammino amoroso. La seconda parte inizia con una immagine spettacolare: Rahjatì arriva dal deserto quasi fosse una dea ed è possibile vedere in lei l’immagine del Dio dell’Esodo che porta in salvo il suo popolo. Ella è la sposa e la regina che raggiunge il suo re Salomone. Lo sposo accoglie nella gioia la sua sposa che è stata protetta e custodita da valorosi guerrieri e ne contempla la bellezza. Quindi la donna viene descritta usando immagini del mondo naturale e militare. Si ode ancora come nella prima parte la voce dello sposo-Dodì, mentre cresce il suo desiderio di possedere la donna, la quale appare ora irraggiungibile, ora sorgente inesauribile di doni. Rahjatì rompe ancora una volta gli indugi e invita il suo amato a possederla. L’amplesso avviene questa volta in un giardino. Siamo ormai nel cuore del poema. Dodì descrive la sua sposa con immagini possenti, mentre cresce l’intensità e la qualità del desiderio. Il cammino si sta approfondendo e il possesso finale della seconda parte è grandioso, degno di una festa di nozze ben riuscita, ma non siamo ancora alla fine. Con una transizione sfumata entriamo nella terza parte. Siamo di notte e a letto, arriva Dodì che chiama la sua Rahjatì, ma a causa dell’indecisione della donna lui si allontana. Ella inizia allora ancora una volta la ricerca, ma senza trovare il suo amato in quanto i guardiani glielo impediscono e la maltrattano. Rahjatì supplica allora le figlie di Gerusalemme perché proseguano loro nella ricerca e descrive il suo amato per invogliarle a trovarlo. Segue il ricongiungimento e l’unione che viene consumata ancora, come nella parte precedente, nel giardino. La terza parte ricalca nella struttura la prima. Dopo un primo fugace ma ardente 47 incontro assistiamo alla ricerca disperata dell’amato da parte della donna. Affiorano ancora una volta gli ostacoli che impediscono il ricongiungimento, ma ora sembrano provenire da incertezze degli amanti stessi, una specie di crisi interna dopo le grandi gioie della seconda parte, affiora perciò la necessità di costruire in profondità il rapporto. La donna descrive a lungo il suo Dodì, mentre l’incontro finale è raccontato sinteticamente, quasi fosse senza importanza, per indicare il subitaneo passaggio alla tappa successiva che risulta per questo maggiormente unita alla terza. Lo sviluppo tematico prosegue ancora, ma ora si entra nella parte finale, la quarta, e giunge l’affermazione dell’unicità e dell’esclusività dell’amore tra gli amanti. Siamo passati dalle incertezze dell’inizio alla chiarezza degli intenti. Gli ostacoli sono quasi scomparsi. La crisi della parte precedente si sta risolvendo e ha portato a pienezza il rapporto. In questa ultima parte gli amanti sono sempre insieme e la donna mostra la sua bellezza a tutti. Ella appare grandiosa e terribile iniziando poi a danzare. Dodì, contemplando la sua donna, intona un nuovo canto d’amore. Si susseguono gli inviti reciproci al possesso, mentre cresce smisuratamente la passione e l’erotismo delle immagini diventa estremamente intenso. La sessualità è un elemento fondamentale del Cantico, anche l’erotismo è forte e sempre presente in tutto il poema, ma mai volgare, sempre velato e subordinato alla tenerezza dell’amore, spesso i termini sono ambigui per non fare emergere apertamente I rapporti fisici. Come già detto, l’amplesso rappresenta il vertice verso il quale tende il desiderio ed è la fonte di una più profonda consapevolezza dell’amore reciproco, la calamita della dinamica amorosa e allo stesso tempo la fonte del suo approfondimento. Siamo vicini al culmine: l’uomo e la donna vogliono ora amarsi come mai hanno fatto e stanno per scoprire il significato del loro amore così forte. La donna invita Dodì a recarsi in mezzo ai campi per possedersi a vicenda. Ma prosegue poi con l’invito a recarsi nella casa di sua madre ripetendo quanto avvenne nella prima parte. La quarta parte si chiude con la consumazione dell’unione. Nell’epilogo appare la donna sorretta dal sua amato, stretta intimamente a lui. Viene spiegato il valore della casa della madre: lì è avvenuto il concepimento perché l’amore dona nuova vita. Gli amanti vogliono ora fondersi in una sola persona. L’amore è potente quanto la morte, in esso è presente Dio stesso. I fratelli vogliono per l’ultima volta riprendere la custodia della donna, ma ella afferma la sua libertà e maturità: ora Rahjatì ha capito il suo valore e il valore 48 dell’amore. Il poema si chiude con l’invito a riprendere la dinamica allontanamento-avvicinamento-possesso che ha fatto crescere e maturare i due amanti. Il cammino ha raggiunto la meta, l’uomo e la donna hanno compreso il valore immenso del loro amore e la sua potenza inaudita. Ora essi sono fedeli l’uno all’altra e si amano di un amore esclusivo e tenace, per cui le immagini di chiusura che hanno accompagnato tutto il poema, nel finale assumono il significato di custodia e di protezione dell’amore così faticosamente costruito. Ma i due amanti non possono accontentarsi di quanto hanno raggiunto, perché fa parte dell’amore stesso non essere mai soddisfatto, di alimentarsi nel continuo incontro-allontanamento della vita di una coppia, del cercarsi, trovarsi e riperdersi in un cammino costellato di impareggiabili momenti di intimità nei quali sembra di raggiungere l’immortalità per brevissimi istanti. Si assiste nello sviluppo del poema ad un approfondimento del rapporto tra gli amanti e si passa dalla libertà alla fedeltà, dall’incertezza alla sicurezza. È l’esperienza amorosa che fa da maestra, soprattutto la ricerca e gli amplessi costituiscono la dinamica più costruttiva. Assai importante è anche l’effetto specchio: attraverso la persona amata ciascuno conosce e capisce meglio se stesso. Esiste perciò la crescita dell’autocoscienza mentre ci si apre all’altro e potremmo qui vedere il prototipo e la chiarificazione della frase evangelica: “ama il prossimo tuo come te stesso”: non si può amare se non ci si conosce nel profondo, se non si comprendono le intime aspirazioni del cuore umano, mentre a sua volta l’esperienza dell’amare aiuta in questa autocomprensione e l’effetto principale di questa dinamica è la scoperta esaltante che ciascun uomo è fatto per amare: è questa la rivelazione fondamentale, la pietra angolare della sapienza umana.L’amore uomo-donna assume dunque un valore assoluto nei confronti del destino dell’uomo. È un dono che l’uomo ha ricevuto dall’alto e che lo fa partecipe delle prerogative divine. L’amore di cui parla il Cantico è dunque inteso come amore totale, comprendente anche l’aspetto fisico, erotico e passionale, oltre che emotivo e spirituale. Non esiste un amore sacro contrapposto a un amore profano, cioè un amore verso Dio, puro e di alto valore, e un amore umano di qualità inferiore, ma c’è un solo Amore con la A maiuscola nel quale è inserito l’amore uomodonna. Non solo. L’amore di ogni coppia uomo-donna è così forte da riuscire a vincere le più grandi forze negative del cosmo, quali la Morte ed il Male. Questo potere ci sembra sconcertante e lontano dalla nostra esperienza amorosa. Ma è il legame con il Dio-Amore, fonte della vita, che ci permette di attingere all’unica 49 sorgente che può vincere ogni forza negativa: è il potere dell’amore di sottomettere il male. Nella prospettiva cristiana ciò si realizza pienamente in Gesù Cristo, morto per amore e risuscitato dalla sorgente della vita: Dio Padre. Resta un ultimo passaggio da compiere ora che il messaggio del Cantico è stato chiarito, dobbiamo di nuovo prendere in considerazione la lettura simbolica dei padri antichi e vedere la sua validità odierna. Come abbiamo visto all’inizio gli autori cristiani interpretavano allegoricamente perché vedevano nelle realtà umane terrestri soltanto la prefigurazione di quelle celesti realmente perfette. Gli ebrei invece riconducevano tutto alla storia e dovevano per questo forzare l’interpretazione traslandola nel simbolo. Ora è possibile sintetizzare le due posizioni spostando l’interpretazione sul piano esistenziale umano: l’amore perfetto e pieno è quello di Dio, mentre l’amore tra un uomo e una donna è un riflesso di quello, sua allegoria e pallido riflesso, compimento verso cui tende, pur partecipando della sua forza e del suo potere inimmaginabile. La poesia inoltre si situa nella storia in quanto l’amore cantato permette di giungere attraverso l’esperienza dell’uomo, la sua vita, il suo amore, a conoscere l’amore di Dio, rinnovando a livello personale la storia della salvezza di Dio con l’uomo. Possiamo perciò recuperare le interpretazioni antiche e sublimarle in una nuova e potente lettura di questo messaggio di salvezza che il poema ci consegna. Possiamo concludere questo nostro cammino di ricerca con l’invito a leggere il Cantico sublime, a meditarlo e a viverlo, cercandovi l’ispirazione amorosa e il significato della propria vita. Questo invito si concretizza nelle pagine seguenti nelle quali viene ripresentata la traduzione del Cantico eseguita dall’autore in sinossi con la traduzione della Conferenza Episcopale Italiana. Il Cantico sublime è l’inno eccelso dell’Amore e della Vita di ogni uomo che ricerca la felicità. 50 Traduzione dell'autore, 1998 Traduzione CEI [1,1] Cantico sublime, di Salomone. [1,1] Cantico dei cantici, che è di Salomone. [1,2] «Mi baciasse con i baci della sua bocca! Veramente il tuo amore è migliore del vino, [1,3] del profumo del tuo buon olio. Un olio profumato tu sei, per questo le ragazze ti amano. [1,4] Conducimi dietro a te, corriamo! Il re mi fa entrare nelle sue stanze: esultiamo e gioiamo in te, assaporiamo il tuo amore più del vino, giustamente ti amano! [1,5] Nera sono e bella, figlie di Gerusalemme, come le tende di Kedàr, come i padiglioni di Salomone. [1,6] Non guardatemi se sono abbronzata, poiché mi ha bruciacchiato il sole. I figli di mia madre si sono arrabbiati con me, mi hanno posto (come) guardiana delle vigne; la mia vigna, proprio la mia, non l’ho guardata. [1,7] Dimmi, amore mio, dove fai pascolare (il gregge), dove (lo) fai riposare a mezzogiorno, perché io non sia come una prostituta, dietro i greggi dei tuoi compagni». [1,8] «Se non lo sai, o bella tra le donne, segui le orme del gregge e conduci le tue caprette presso le tende dei pastori». [1,9] «A una cavalla tra i carri del faraone assomigli, mia Rahjatì. [1,10] Sono belle le tue guance tra i pendenti, il tuo collo con un vezzo di perle. [1,11] Faremo per te pendenti d’oro, con dischi d’argento». [1,12] «Mentre il re è sul suo divano, il mio nardo spande il suo profumo. [1,13] Il mio Dodì è per me un sacchetto di mirra, trascorre la notte tra i miei seni. [1,14] Il mio Dodì è per me un grappolo di datteri nei giardini di En Ghedi». [1,15] «Come sei bella, mia Rahjatì, sei veramente bella! I tuoi occhi sono colombe». [1,16] «Come sei bello, mio Dodì, quanto grazioso! Anche il nostro letto è lussureggiante. [2] Mi baci con i baci della sua bocca! Sì, le tue tenerezze sono più dolci del vino. [3] Per la fragranza sono inebrianti i tuoi profumi, profumo olezzante è il tuo nome, per questo le giovinette ti amano. [4] Attirami dietro a te, corriamo! M’introduca il re nelle sue stanze: gioiremo e ci rallegreremo per te, ricorderemo le tue tenerezze più del vino. A ragione ti amano! [5] Bruna sono ma bella, o figlie di Gerusalemme, come le tende di Kedar, come i padiglioni di Salmah. [6] Non state a guardare che sono bruna, poiché mi ha abbronzato il sole. I figli di mia madre si sono sdegnati con me: mi hanno messo a guardia delle vigne; la mia vigna, la mia, non l’ho custodita. [7] Dimmi, o amore dell’anima mia, dove vai a pascolare il gregge, dove lo fai riposare al meriggio, perché io non sia come vagabonda dietro i greggi dei tuoi compagni. [8] Se non lo sai, o bellissima tra le donne, segui le orme del gregge e mena a pascolare le tue caprette presso le dimore dei pastori. [9] Alla cavalla del cocchio del faraone io ti assomiglio, amica mia. [10] Belle sono le tue guance fra i pendenti, il tuo collo fra i vezzi di perle. [11] Faremo per te pendenti d’oro, con grani d’argento. [12] Mentre il re è nel suo recinto, il mio nardo spande il suo profumo. [13] Il mio diletto è per me un sacchetto di mirra, riposa sul mio petto. [14] Il mio diletto è per me un grappolo di cipro nelle vigne di Engàddi. [15] Come sei bella, amica mia, come sei bella! I tuoi occhi sono colombe. [16] Come sei bello, mio diletto, quanto grazioso! Anche il nostro letto è verdeggiante. 51 [1,17] Colonne della nostra casa sono i cedri, nostro soffitto sono i cipressi. [2,1] Io sono un narciso della pianura, un giglio delle valli». [2,2] «Come un giglio fra i rovi, così la mia Rahjatì tra le fanciulle». [2,3] «Come un melo tra gli alberi della foresta, così il mio Dodì fra i giovani. Alla sua ombra desidero sedermi, e il suo frutto è dolce al mio palato. [2,4] Egli mi ha condotto alla casa del vino e il suo intento su di me è: amore. [2,5] Sostenetemi con dolci d’uva passa, sorreggetemi con mele, perché sono malata d’amore, io». [17] Le travi della nostra casa sono i cedri, nostro soffitto sono i cipressi. [2,1] Io sono un narciso di Saron, un giglio delle valli. [2] Come un giglio fra i cardi, così la mia amata tra le fanciulle. [3] Come un melo tra gli alberi del bosco, il mio diletto fra i giovani. Alla sua ombra, cui anelavo, mi siedo e dolce è il suo frutto al mio palato. [4] Mi ha introdotto nella cella del vino e il suo vessillo su di me è amore. [5] Sostenetemi con focacce d’uva passa, rinfrancatemi con pomi, perché io sono malata d’amore. [2,6] «La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia. [2,7] Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle o per le cerve della steppa, non incitate né eccitate l’amore, finché non voglia». [6] La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia. [7] Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle o per le cerve dei campi: non destate, non scuotete dal sonno l’amata, finché essa non lo voglia. [2,8] «La voce del mio Dodì! Eccolo che viene saltando sui monti, balzando sulle colline. [2,9] Ricorda Dodì una gazzella o un cerbiatto. Eccolo! Sta dietro il nostro muro, scruta attraverso la finestra, sbircia tra i graticci. [2,10] Risponde Dodì e mi dice: “Alzati, Rahjatì, mia bella, e vieni! [2,11] Perché, ecco, l’inverno è passato, è finita la stagione delle piogge, [2,12] i fiori sono apparsi sulla terra, il tempo del canto è arrivato e si ode nella nostra terra la voce della tortora. [2,13] Il fico ha maturato i suoi frutti e la vite in fiore spande fragranza. Alzati, Rahjatì, mia bella, e vieni! [2,14] Mia colomba, dalle fessure del dirupo, dal rifugio inaccessibile, mostrami il tuo aspetto, fammi udire la tua voce, perché la tua voce è piacevole, il tuo aspetto meraviglioso”». [2,15] «Prendeteci le volpi, le piccole volpi che distruggono le vigne [8] Una voce! Il mio diletto! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline. [9] Somiglia il mio diletto a un capriolo o ad un cerbiatto. Eccolo, egli sta dietro il nostro muro; guarda dalla finestra, spia attraverso le inferriate. [10] Ora parla il mio diletto e mi dice: «Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! [11] Perché, ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata; [12] i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna. [13] Il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite spandono fragranza. Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! [14] O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro». [15] Prendeteci le volpi, le volpi piccoline che guastano le vigne, 52 e le nostre vigne sono in fiore». [2,16] «Il mio Dodì è mio e io sono sua, egli pascola tra i gigli. [2,17] Mentre declina il giorno e scompaiono le ombre, ritorna, Dodì, somigliante a una gazzella o a un cerbiatto, sulle montagne di Béter». perché le nostre vigne sono in fiore. [16] Il mio diletto è per me e io per lui. Egli pascola il gregge fra i figli. [17] Prima che spiri la brezza del giorno e si allunghino le ombre, ritorna, o mio diletto, somigliante alla gazzella o al cerbiatto, sopra i monti degli aromi. [3,1] «Sul mio letto, di notte, ho cercato colui che amo, l’ho cercato, ma non l’ho trovato. [3,2] Mi alzerò e vagherò per la città, cercherò colui che amo, nelle strade e nelle vie. L’ho cercato, ma non l’ho trovato. [3,3] Mi hanno trovato le guardie di ronda nella città “Avete visto colui che amo?”. [3,4] Non appena li oltrepassai, trovai colui che amo. L’ho afferrato e non lo lascerò finché non l’abbia fatto entrare nella casa di mia madre, nella stanza di lei che mi concepì». [3,5] «Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle e per le cerve della steppa, non incitate né eccitate l’amore finché non voglia». [3,1] Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amato del mio cuore; l’ho cercato, ma non l’ho trovato. [2] «Mi alzerò e farò il giro della città; per le strade e per le piazze; voglio cercare l’amato del mio cuore». L’ho cercato, ma non l’ho trovato. [3] Mi hanno incontrato le guardie che fanno la ronda: «Avete visto l’amato del mio cuore?». [4] Da poco le avevo oltrepassate, quando trovai l’amato del mio cuore. Lo strinsi fortemente e non lo lascerò finché non l’abbia condotto in casa di mia madre, nella stanza della mia genitrice. [5] Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle e per le cerve dei campi: non destate, non scuotete dal sonno l’amata finché essa non lo voglia. [3,6] «Chi è colei che sale dal deserto come colonna di fumo, profumata di mirra e d’incenso e d’ogni spezia dei mercanti?» [3,7] «Ecco la lettiga di Salomone, sessanta guerrieri intorno ad essa, scelti tra i prodi d’Israele. [3,8] Tutti armati di spada, veterani della battaglia, ciascuno la sua spada al suo fianco contro i terrori della notte. [3,9] Una lettiga s’è fatta per sé il re Salomone, con legno del Libano. [3,10] Le sue colonne le ha fatte d’argento, d’oro la sua spalliera, il suo sedile di porpora, al suo interno è intarsiato: amore. Figlie di Gerusalemme, uscite! [3,11] Venite a vedere, figlie di Sion, il re Salomone con la corona che gli diede sua madre, nel giorno delle sue nozze e nel giorno della gioia del suo cuore!» [4,1] «Come sei bella, mia Rahjatì, come sei bella! [6] Che cos’è che sale dal deserto come una colonna di fumo, esalando profumo di mirra e d’incenso e d’ogni polvere aromatica? [7] Ecco, la lettiga di Salomone: sessanta prodi le stanno intorno, tra i più valorosi d’Israele. [8] Tutti sanno maneggiare la spada, sono esperti nella guerra; ognuno porta la spada al fianco contro i pericoli della notte. [9] Un baldacchino s’è fatto il re Salomone, con legno del Libano. [10] Le sue colonne le ha fatte d’argento, d’oro la sua spalliera; il suo seggio di porpora, il centro è un ricamo d’amore delle fanciulle di Gerusalemme. [11] Uscite figlie di Sion, guardate il re Salomone con la corona che gli pose sua madre, nel giorno delle sue nozze, nel giorno della gioia del suo cuore. [4,1] Come sei bella, amica mia, come sei bella! 53 I tuoi occhi sono colombe, dietro il tuo velo. I tuoi capelli sono come un gregge di capre, che scendono dal monte Ghilad. [4,2] I tuoi denti sono come un gregge di pecore, che salgono dal bagno e tutte sono appaiate, non ne manca nessuna. [4,3] Sono un filo scarlatto le tue labbra e incantevole è la tua bocca, come spicchio di melagrana il tuo sopracciglio dietro il tuo velo. [4,4] Come la torre di Davide il tuo collo, costruito come un’armeria. Mille scudi vi sono appesi, tutti scudi di eroi. [4,5] I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di una gazzella, che pascolano fra i gigli. [4,6] Mentre declina il giorno e fuggono le ombre, andrò al monte della mirra e alla collina dell’incenso. [4,7] Tutta bella tu sei, mia Rahjatì, non hai nessun difetto. [4,8] Con me dal Libano, sposa, vieni con me dal Libano! Giungi dalla cima dell’Amanàh, dalla cima del Senìr e dell’Ermon, dalle tane dei leoni, dai nascondigli dei leopardi. [4,9] Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo, con una sola gemma della tua collana. [4,10] Come è meraviglioso il tuo amore, sorella mia, sposa, il tuo amore è migliore del vino, e il profumo del tuo olio più di tutti gli aromi. [4,11] Le tue labbra stillano miele liquido, sposa, c’è miele e latte sotto la tua lingua e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano. [4,12] Tu sei un giardino recintato, sorella mia, sposa, una piscina proibita, una fontana che non si può raggiungere. [4,13] I tuoi germogli sono un boschetto di melograni con frutti desiderabili, cipressi con nardo, [4,14] nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo con ogni specie di pianta profumata; mirra e aloe con tutti i migliori aromi. Gli occhi tuoi sono colombe, dietro il tuo velo. Le tue chiome sono un gregge di capre, che scendono dalle pendici del Gàlaad. [2] I tuoi denti come un gregge di pecore tosate, che risalgono dal bagno; tutte procedono appaiate, e nessuna è senza compagna. [3] Come un nastro di porpora le tue labbra e la tua bocca è soffusa di grazia; come spicchio di melagrana la tua gota attraverso il tuo velo. [4] Come la torre di Davide il tuo collo, costruita a guisa di fortezza. Mille scudi vi sono appesi, tutte armature di prodi. [5] I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di una gazzella, che pascolano fra i gigli. [6] Prima che spiri la brezza del giorno e si allunghino le ombre, me ne andrò al monte della mirra e alla collina dell’incenso. [7] Tutta bella tu sei, amica mia, in te nessuna macchia. [8] Vieni con me dal Libano, o sposa, con me dal Libano, vieni! Osserva dalla cima dell’Amana, dalla cima del Senìr e dell’E`rmon, dalle tane dei leoni, dai monti dei leopardi. [9] Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo, con una perla sola della tua collana! [10] Quanto sono soavi le tue carezze, sorella mia, sposa, quanto più deliziose del vino le tue carezze. L’odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi. [11] Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa, c’è miele e latte sotto la tua lingua e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano. [12] Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata. [13] I tuoi germogli sono un giardino di melagrane, con i frutti più squisiti, alberi di cipro con nardo, [14] nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo con ogni specie d’alberi da incenso; mirra e aloe con tutti i migliori aromi. 54 [4,15] Fontana tra i giardini, pozza d’acqua corrente che scende dal Libano». [4,16] «Lèvati, vento del nord, e tu, vento del sud, vieni, soffia sul mio giardino, si spargeranno i suoi profumi. Verrà il mio Dodì nel suo giardino e mangerà i suoi frutti squisiti». [5,1] «Son venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa, ho raccolto la mia mirra con spezie, ho mangiato il mio favo con il miele, ho bevuto il mio vino con il latte. Mangiate, amici, bevete, ubriacatevi d’amore!» [15] Fontana che irrora i giardini, pozzo d’acque vive e ruscelli sgorganti dal Libano. [16] Lèvati, aquilone, e tu, austro, vieni, soffia nel mio giardino, si effondano i suoi aromi. Venga il mio diletto nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti. [1] Son venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa, e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo; mangio il mio favo e il mio miele, bevo il mio vino e il mio latte. Mangiate, amici, bevete; inebriatevi, o cari. [5,2] «Io dormo, ma il mio cuore è sveglio. Un rumore! Il mio diletto bussa: “Aprimi, sorella mia, mia Rahjatì, mia colomba, perfetta mia, perché il mio capo è bagnato di rugiada, i miei capelli sono umidi per la notte”. [5,3] Mi sono tolta la tunica, come l’indosserò? Ho lavato i miei piedi, come li sporcherò? [5,4] Il mio Dodì ha introdotto la mano nell’apertura e i miei visceri si sono eccitati per lui. [5,5] Mi sono alzata per aprire al mio Dodì e la mia mano gocciolava mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello. [5,6] Ho aperto al mio Dodì, ma il mio Dodì se n’era andato. Io venni meno quando egli se ne andò. L’ho cercato, ma non l’ho trovato, l’ho chiamato, ma non m’ha risposto. [5,7] Mi hanno trovato le guardie che giravano per la città, mi hanno colpito, mi hanno ferito, mi hanno tolto il velo, i guardiani delle mura. [5,8] Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate il mio Dodì, che cosa gli direte? Che sono malata d’amore!» [5,9] «Che cos’ha il tuo Dodì più di un altro, o bella fra le donne? Che cos’ha il tuo Dodì più di un altro, perché così ci scongiuri?» [5,10] «Il mio Dodì è colorito e rosso, si distingue fra mille. [2] Io dormo, ma il mio cuore veglia. Un rumore! E` il mio diletto che bussa: «Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia; perché il mio capo è bagnato di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne». [3] «Mi sono tolta la veste; come indossarla ancora? Mi sono lavata i piedi; come ancora sporcarli?». [4] Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio e un fremito mi ha sconvolta. [5] Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello. [6] Ho aperto allora al mio diletto, ma il mio diletto gia se n’era andato, era scomparso. Io venni meno, per la sua scomparsa. L’ho cercato, ma non l’ho trovato, l’ho chiamato, ma non m’ha risposto. [7] Mi han trovato le guardie che perlustrano la città; mi han percosso, mi hanno ferito, mi han tolto il mantello le guardie delle mura. [8] Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate il mio diletto, che cosa gli racconterete? Che sono malata d’amore! [9] Che ha il tuo diletto di diverso da un altro, o tu, la più bella fra le donne? Che ha il tuo diletto di diverso da un altro, perché così ci scongiuri? [10] Il mio diletto è bianco e vermiglio, riconoscibile fra mille e mille. 55 [5,11] Il suo capo è oro fino, i suoi riccioli sono mossi, neri come il corvo. [5,12] I suoi occhi sono come colombe presso ruscelli d’acqua, che si bagnano nel latte, sedute sul bordo. [5,13] Le sue guance sono come un letto di aromi, erbe profumate che germogliano; le sue labbra sono come gigli, che gocciolano mirra liquida. [5,14] Le sue braccia sono verghe d’oro, piene di gemme preziose. Il suo tronco tornito è d’avorio, tempestato di lapislazzuli. [5,15] Le sue gambe, colonne di alabastro, sono poste su piedestalli d’oro. Il suo aspetto è quello del Libano, pregiato come i cedri. [5,16] Il suo palato è dolcissimo e tutto in lui è desiderabile Questo è il mio Dodì e questo è il mio compagno, figlie di Gerusalemme». [6,1] «Dov’è andato il tuo diletto, o bella fra le donne? Dove se n’è andato il tuo Dodì, perché lo cerchiamo con te?» [6,2] «Il mio Dodì è sceso nel suo giardino, fra le aiuole dei profumi, per pascolare nei giardini e raccogliere gigli». [11] Il suo capo è oro, oro puro, i suoi riccioli grappoli di palma, neri come il corvo. [12] I suoi occhi, come colombe su ruscelli di acqua; i suoi denti bagnati nel latte, posti in un castone. [13] Le sue guance, come aiuole di balsamo, aiuole di erbe profumate; le sue labbra sono gigli, che stillano fluida mirra. [14] Le sue mani sono anelli d’oro, incastonati di gemme di Tarsis. Il suo petto è tutto d’avorio, tempestato di zaffiri. [15] Le sue gambe, colonne di alabastro, posate su basi d’oro puro. Il suo aspetto è quello del Libano, magnifico come i cedri. [16] Dolcezza è il suo palato; egli è tutto delizie! Questo è il mio diletto, questo è il mio amico, o figlie di Gerusalemme. [1] Dov’è andato il tuo diletto, o bella fra le donne? Dove si è recato il tuo diletto, perché noi lo possiamo cercare con te? [2] Il mio diletto era sceso nel suo giardino fra le aiuole del balsamo a pascolare il gregge nei giardini e a cogliere gigli. [6,3] «Io sono del mio Dodì e il mio Dodì è mio, egli pascola tra i gigli». [3] Io sono per il mio diletto e il mio diletto è per me; egli pascola il gregge tra i gigli. [6,4] «Tu sei bella, mia Rahjatì, come Tirza, bella come Gerusalemme, splendida come trofei di guerra. [6,5] Volgi a me i tuoi occhi, perché mi eccitano. I tuoi capelli sono come un gregge di capre che scendono da Ghilad. [6,6] I tuoi denti come un gregge di pecore che salgono dal bagno e sono tutte appaiate non ne manca nessuna. [6,7] Come uno spicchio di melagrana il tuo sopracciglio, dietro il tuo velo. [6,8] Sessanta sono le regine, ottanta le concubine e le fanciulle sono senza numero. [6,9] Unica è la mia colomba, la mia perfetta, ella è l’unica di sua madre, [4] Tu sei bella, amica mia, come Tirza,, leggiadra come Gerusalemme, terribile come schiere a vessilli spiegati. [5] Distogli da me i tuoi occhi: il loro sguardo mi turba. Le tue chiome sono come un gregge di capre che scendono dal Gàlaad. [6] I tuoi denti come un gregge di pecore che risalgono dal bagno. Tutte procedono appaiate e nessuna è senza compagna. [7] Come spicchio di melagrana la tua gota, attraverso il tuo velo. [8] Sessanta sono le regine, ottanta le altre spose, le fanciulle senza numero. [9] Ma unica è la mia colomba la mia perfetta, ella è l’unica di sua madre, 56 la preferita della sua genitrice. L’hanno vista le ragazze e l’hanno detta beata, l’hanno lodata regine e concubine». [6,10] «Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come “la bianca”, fulgida come “il rovente”, splendida come trofei di guerra?». [6,11] «Sono sceso nel boschetto dei noci, per vedere il verdeggiare della valle, per vedere germogliare la vite, fiorire i melograni». [6,12] «Prima che me ne rendessi conto il mio desiderio mi ha fatto salire sul carro con un principe». [7,1] «Volgiti, volgiti, Shulamit, volgiti, volgiti: vogliamo ammirarti». «Che cosa ammirate della Shulamit nella danza dei due accampamenti?». [7,2] «Come sei bella, i tuoi piedi calzàti, figlia di principe! Le curve dei tuoi fianchi sono come monili, opera di mani d’artista. [7,3] I tuoi genitali come un vaso profondo (che) non manca mai di vino drogato. Il tuo ventre è un mucchio di grano, circondato da gigli. [7,4] I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di gazzella. [7,5] Il tuo collo come una torre d’avorio; i tuoi occhi sono come le piscine di Chesbòn, presso la porta di Bat-Rabbìm; il tuo naso come la torre del Libano che guarda verso Damasco. [7,6] Il tuo capo si erge come il Carmelo i lunghi capelli del tuo capo sono come la porpora, un re è catturato dall’ondeggiare dei capelli. [7,7] Come sei bella e come sei graziosa, amore, figlia di delizie! [7,8] La tua statura ricorda una palma e i tuoi seni i grappoli. [7,9] Ho detto: “Salirò sulla palma, afferrerò con forza i suoi frutti!” Siano i tuoi seni come grappoli d’uva e il profumo del tuo respiro come di mele». [7,10] «Il tuo palato sia come vino squisito, che scorre dritto verso il mio Dodì e fluisce sulle labbra e sui denti! [7,11] Io sono del mio Dodì e il suo desiderio è per me. [7,12] Vieni, mio Dodì, andiamo in campagna, passiamo la notte tra i cipressi. [7,13] Andremo nelle vigne; vedremo se fiorisce la vite, la preferita della sua genitrice. L’hanno vista le giovani e l’hanno detta beata, le regine e le altre spose ne hanno intessuto le lodi. [10] «Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere a vessilli spiegati?». [11] Nel giardino dei noci io sono sceso, per vedere il verdeggiare della valle, per vedere se la vite metteva germogli, se fiorivano i melograni. [12] Non lo so, ma il mio desiderio mi ha posto sui carri di Ammi-nadìb. [1] «Volgiti, volgiti, Sulammita, volgiti, volgiti: vogliamo ammirarti». «Che ammirate nella Sulammita durante la danza a due schiere?». [2] «Come son belli i tuoi piedi nei sandali, figlia di principe! Le curve dei tuoi fianchi sono come monili, opera di mani d’artista. [3] Il tuo ombelico è una coppa rotonda che non manca mai di vino drogato. Il tuo ventre è un mucchio di grano, circondato da gigli. [4] I tuoi seni come due cerbiatti, gemelli di gazzella. [5] Il tuo collo come una torre d’avorio; i tuoi occhi sono come i laghetti di Chesbòn, presso la porta di Bat-Rabbìm; il tuo naso come la torre del Libano che fa la guardia verso Damasco. [6] Il tuo capo si erge su di te come il Carmelo e la chioma del tuo capo è come la porpora; un re è stato preso dalle tue trecce». [7] Quanto sei bella e quanto sei graziosa, o amore, figlia di delizie! [8] La tua statura rassomiglia a una palma e i tuoi seni ai grappoli. [9] Ho detto: «Salirò sulla palma, coglierò i grappoli di datteri; mi siano i tuoi seni come grappoli d’uva e il profumo del tuo respiro come di pomi». [10] «Il tuo palato è come vino squisito, che scorre dritto verso il mio diletto e fluisce sulle labbra e sui denti! [11] Io sono per il mio diletto e la sua brama è verso di me. [12] Vieni, mio diletto, andiamo nei campi, passiamo la notte nei villaggi. [13] Di buon mattino andremo alle vigne; vedremo se mette gemme la vite, 57 sbocciano i fiori, fioriscono i melograni: là ti darò il mio amore! [7,14] Le mandragore spandono profumo e sulle nostre porte ogni delizia, nuova e antica, mio Dodì l’ho serbata per te. [8,1] Oh se tu fossi un mio fratello, allattato al seno di mia madre! Trovandoti all’esterno ti bacerei senza che alcuno mi disprezzi. [8,2] Ti porterò e condurrò alla casa di mia madre, colei che mi concepì. Ti farò bere del vino drogato, del succo della mia melagrana». se sbocciano i fiori, se fioriscono i melograni: là ti darò le mie carezze! [14] Le mandragore mandano profumo; alle nostre porte c’è ogni specie di frutti squisiti, freschi e secchi; mio diletto, li ho serbati per te». [1] Oh se tu fossi un mio fratello, allattato al seno di mia madre! Trovandoti fuori ti potrei baciare e nessuno potrebbe disprezzarmi. [2] Ti condurrei, ti introdurrei nella casa di mia madre; m’insegneresti l’arte dell’amore. Ti farei bere vino aromatico, del succo del mio melograno. [8,3] «La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia. [8,4] Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, non incitate e non eccitate l’amore finché lo voglia». [3] La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia. [4] Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, non destate, non scuotete dal sonno l’amata, finché non lo voglia. [8,5] «Chi è colei che sale dal deserto, appoggiata al suo Dodì?» «Sotto il melo ti ho risvegliato, là, dove ti concepì tua madre, là, dove ebbe il travaglio e ti partorì. [8,6] Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio, poiché l’Amore è forte come la Morte, la Passione potente come l’Inferno, le sue frecce sono frecce di fuoco, fiamma di Jahvè! [8,7] Le grandi acque non possono spegnere l’amore, né i fiumi spazzarlo via. Se un uomo desse tutte le ricchezze della sua casa per l’amore, sarebbe disprezzato?» [8,8] «Nostra sorella è giovane, non ha seni. Che faremo di nostra sorella, nel giorno in cui si parlerà di lei? [8,9] Se fosse un muro, le costruiremmo intorno un recinto d’argento; se fosse una porta, la chiuderemmo con tavole di cedro». [8,10] «Io sono un muro e i miei seni sono come torri! Così ero ai suoi occhi: colei che dà pace! [8,11] Una vigna aveva Salomone in Baal-Hamòn, affidò la vigna ai guardiani, [5] Chi è colei che sale dal deserto, appoggiata al suo diletto? Sotto il melo ti ho svegliata; là, dove ti concepì tua madre, là, dove la tua genitrice ti partorì. [6] Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe son vampe di fuoco, una fiamma del Signore! [7] Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio. [8] Una sorella piccola abbiamo, e ancora non ha seni. Che faremo per la nostra sorella, nel giorno in cui se ne parlerà? [9] Se fosse un muro, le costruiremmo sopra un recinto d’argento; se fosse una porta, la rafforzeremmo con tavole di cedro. [10] Io sono un muro e i miei seni sono come torri! Così sono ai suoi occhi come colei che ha trovato pace! [11] Una vigna aveva Salomone in Baal-Hamòn; egli affidò la vigna ai custodi; 58 ciascuno gli doveva portare per il suo frutto mille pezzi d’argento. [8,12] La mia vigna, proprio la mia, è per me, a te, Salomone, i mille pezzi e duecento ai guardiani del suo frutto!» [8,13] «Tu che giaci nei giardini, i compagni stanno ascoltando, fammi sentire la tua voce!» [8,14] «Scappa, mio Dodì, sii come una gazzella o un cerbiatto, sui monti degli aromi!». ciascuno gli doveva portare come suo frutto mille sicli d’argento. [12] La vigna mia, proprio mia, mi sta davanti: a te, Salomone, i mille sicli e duecento per i custodi del suo frutto! [13] Tu che abiti nei giardini - i compagni stanno in ascolto fammi sentire la tua voce. [14] «Fuggi, mio diletto, simile a gazzella o ad un cerbiatto, sopra i monti degli aromi!». 59 APPENDICE 60 Esempi antichi di esegesi del testo Vogliamo in questa appendice verificare direttamente come traducono e commentano il Cantico dei Cantici gli autori antichi. Prenderemo in considerazione due diverse e importanti scuole: l’interpretazione ebraica antica, attraverso il Targum del Cantico dei Cantici e l’esegesi patristica, attraverso uno dei suoi più grandi rappresentanti: Origene. Vedremo prima i presupposti dai quali partono questi interpreti e verificheremo qual è il loro punto di arrivo. Naturalmente non prendiamo in considerazione tutto il testo del Cantico, sceglieremo invece due gruppi di versetti significativi: Ct 1,5-6, situato nel prologo ed interessante per alcuni problemi di traduzione che bene evidenziano i presupposti interpretativi e Ct 8,5-7, situato nell’epilogo e considerato dalla maggioranza degli autori moderni la chiave di lettura del Cantico ed il suo vertice. Attraverso la sua esegesi perciò si riassume un po’ tutta l’interpretazione del poema. 61 IL TARGUM DEL CANTICO DEI CANTICI Il Targum del Cantico dei Cantici ha una datazione e un’origine ancora molto incerte e discusse. La sua composizione è comunque situata tra il V e l’VIII secolo dopo Cristo, con probabile origine Babilonese ed è un misto di materiale antichissimo e recente, anche con tracce di influenza araba. Il termine targum significa semplicemente “traduzione”, oppure “interpretazione” e designa le antiche versioni e parafrasi dei testi sacri composte in aramaico, con l’intento di far comprendere il testo della Sacra Scrittura al popolo d’Israele, che, dopo l’esilio, parlava soprattutto l’aramaico94 e non più la lingua ebraica originale. Queste traduzioni, orali ed improvvisate all’inizio, successivamente scritte, si sviluppano soprattutto in ambito sinagogale come letteratura anonima. Un targum non è mai una semplice traduzione del testo sacro, anzi deve distaccarsi dal testo per non inserirsi in esso, perciò è consapevolmente uno scritto diverso. Appartiene alla tradizione orale e per questo si mantiene sempre distinto dalla Scrittura, tanto è vero che nella liturgia sinagogale la lettura del testo sacro in ebraico doveva sempre precedere la sua traduzione e spiegazione in aramaico. Il targum è quindi un elemento sussidiario in ordine alla parola di Dio: è una sua interpretazione. Da interpreti quali sono, i targumisti non si prefiggono una fedeltà al testo tradotto, ma ambiscono solo non falsarne il senso e rendere comprensibile ciò che esso vuole dire. Attraverso il targum il testo biblico manifesta i suoi contenuti nascosti e si lascia penetrare nelle sue intenzionalità più profonde, è quanto di meglio si possa avere quindi per comprendere l’interpretazione ebraica del testo della Scrittura e nel nostro caso del Cantico di Cantici. La teologia del Targum I targum sono fedelissimi al criterio interpretativo che vede la rivelazione biblica essenzialmente connessa con la storia, per cui anche dove un testo sembra non riferirsi ad un evento storico determinato, essi cercano per forza un fatto al quale esso possa adattarsi. Questo vale anche per il nostro targum del Cantico, il quale non viene letto come la celebrazione dell’amore uomo-donna, ma come la rievocazione concreta della storia d’amore tra Dio ed il suo popolo, Israele, 94 L’aramaico è una lingua assai affine all’ebraico e dello stesso ceppo semitico, una specie di lingua internazionale del Medio Oriente dal V secolo avanti Cristo. 62 precisando sempre il “quando”, cioè il momento storico al quale si addicono le parole del Cantico. Uguale importanza ha l’accurata determinazione di chi pronuncia quelle parole, o a chi sono rivolte, o a chi si attribuiscono i fatti dei quali si parla. Ultima importante caratteristica del targum è la speranza messianica: essendo questa letteratura fiorita dopo la grande tribolazione dell’esilio, l’attesa di un redentore è sempre espressa con grande rilievo, ogni volta che il testo biblico ne presenta l’occasione. Nell’interpretazione targumica perciò, il Cantico riprende, passo dopo passo, tutta la storia d’Israele, passata e futura, dall’esodo fino alla risurrezione finale dei morti. In tale modo, tutta la storia d’Israele è trasformata in canto e letta allegoricamente come un dialogo d’amore tra Dio ed il suo Popolo. 63 Interpretazione di Ct 1,5-6 Riportiamo il testo del targum tradotto da Umberto Neri95: 1,5 Nera io sono, e bella, figlie di Gerusalemme: come le tende di Kedàr, come le cortine di Salomone. Quando i figli della casa di Israele fecero il vitello, i loro volti divennero neri come quelli dei figli di Kush, che abitano nelle tende di Kedàr. Quando invece si pentirono e si convertirono, e fu loro perdonato, lo splendore della gloria del loro volto divenne come quello degli angeli: poiché essi fecero la cortina del tabernacolo, e abitò fra loro la Dimora del Signore, e Mosè loro maestro salì al firmamento, e fece pace fra loro ed il loro re. È evidente nel commento a questo versetto la collocazione storica: i quarant’anni nel deserto del popolo d’Israele, più precisamente l’episodio del vitello d’oro96, col quale ci si collega tramite il vocabolo “nero”, simbolo di peccato; la costruzione della dimora del Signore e del tabernacolo97, collegata tramite i termini “tenda” e “cortina”; infine l’episodio dell’intercessione di Mosè98 che ottiene il perdono al popolo, legato al termine “Salomone”, che significa “pace”. È chiara la conferma dei principi ermeneutici enunciati precedentemente: non si parla nemmeno dell’Amata e non viene presa in considerazione una lettura letterale, ma soltanto la ricerca assidua, attraverso agganci di singole parole, alla descrizione progressiva della storia d’Israele. È interessante notare, per inciso, che anche qui come per molti commentatori cristiani, antichi e moderni, il nero viene associato all’idea di peccato e di male; questo è uno sbocco normale quando la lettura è allegorica: l’interpretazione 95 NERI U., Cantico dei Cantici e antiche traduzioni ebraiche, Città Nuova, Roma 1987, pag. 84-86. 96 Es 32,1-6. 97 Es 36,8-19. 98 Es 34,4-9. 64 tende allora a verificare la semplice accezione simbolica del termine slegato dal contesto. 1,6 Non guardatemi che sono bruna, che mi ha abbronzato il sole: i figli di mia madre si irritarono con me, mi posero custode delle vigne: la mia vigna, quella mia, non custodii. Disse l’assemblea d’Israele: ma voi, o nazioni, non disprezzatemi perché io sono più nera di voi: poiché io ho adorato ciò che voi adorate, e mi sono prostrata al sole e alla luna. Poiché profeti di menzogna hanno provocato contro di me l’ardore dell’ira del Signore, e mi hanno insegnato a servire alle vostre iniquità e a camminare nelle vostre leggi: e non ho servito al sovrano del mondo, lui che è il mio Dio, e non ho camminato nelle sue leggi, e non ho custodito i suoi precetti e i suoi insegnamenti. Continua lo sviluppo del tema del peccato dovuto all’idolatria del popolo in collegamento con i termini: nero, scuro, anche se qui è più genericamente determinato. I riferimenti sono con dei passi del libro del Deuteronomio: prostrarsi al sole e alla luna99, camminare nelle sue leggi 100, custodire i suoi precetti e insegnamenti101. È praticamente la continuazione del commento precedente, quasi una riflessione ed una esplicitazione del male commesso. 99 Dt 4,19.17,3. 100 Dt 13,2ss. 101 Dt 11,1. 65 Interpretazione di Ct 8,5-7 8,5 Chi è costei che sale dal deserto appoggiata al suo amato? Sotto il melo ti ho svegliata: là ti ha concepito tua madre, là ti ha partorito la tua genitrice. Disse il profeta Salomone: Quando i morti rivivranno, il monte degli Ulivi si squarcerà: e tutti i giusti di Israele saliranno di sotto ad esso, e anche i giusti che saranno morti in esilio verranno per la via delle caverne sotto terra, e saliranno di sotto al monte degli Ulivi. Invece gli empi morti e sepolti in terra d’Israele saranno gettati via come si getta un sasso con un bastone. Allora tutti gli abitanti della terra diranno: Quale è il merito di questo popolo, che sale dalla terra a miriadi di miriadi, come il giorno che salì dal deserto alla terra d’Israele, e che si delizia dell’amore del suo Signore, come il giorno in cui si presentò a lui sotto il monte Sinai per ricevere la legge? E in quell’ora Sion, che è la madre di Israele, partorirà i suoi figli, e Gerusalemme accoglierà gli esiliati. La collocazione storica della parte finale del Cantico è logicamente il finale della storia di Israele, cioè gli ultimi giorni e la risurrezione. I versetti considerati la chiave di lettura del Cantico (8,5-7), non costituiscono per il targum nessuna chiave di lettura, ma raccontano il vertice della storia. I riferimenti ai testi della scrittura sono vari102, ma il più importante è il ritorno all’esperienza del Sinai, per cui la risurrezione è presentata come il grande e ultimo esodo: salire dal deserto; l’aggancio è costituito dal termine “melo”, che simboleggia il Monte Sinai, perché il melo fruttifica nello stesso mese nel quale, secondo la tradizione, è stata data la legge. Anche nella descrizione di un evento nel quale la storia avrà fine, si usa la storia per descriverlo, capirlo, sperarlo. 102 es. Zc 14,4; Is 54. 66 8,6 Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio: poiché forte come la morte è l’amore, dura come lo Sheol è la passione: le sue vampe, vampe di fuoco, fiamma del Signore! E, in quel giorno, i figli d’Israele dicono al loro Signore: Ti supplichiamo, mettici come un sigillo d’anello sul tuo cuore, come un sigillo d’anello sul tuo braccio, perché non avvenga più che noi siamo esiliati. Poiché forte come la morte è l’amore della tua divinità, duro invece come la Gheenna è l’odio con cui i popoli ci odiano. E l’ostilità che serbano per noi, arde come le braci del fuoco della Gheenna, che il Signore creò il secondo giorno della creazione del mondo, per bruciarvi gli idolatri. Continua il discorso consequenziale sulla risurrezione con l’introduzione del tema del giudizio, richiamato dal fuoco e dalle sue vampe: vale quanto detto prima, cioè l’interpretazione si basa sul significato simbolico-psicologico dei termini, non sull’analisi del contesto. Il fuoco evoca nell’ambito della risurrezione il giudizio e la punizione. L’amore non può essere che quello di Dio, per cui la stupenda immagine del sigillo, viene attribuita al rapporto d’amore Dio-Popolo. 8,7 Le molte acque non possono spegnere l’amore, e i fiumi non lo travolgeranno: se un uomo darà tutta la ricchezza di casa sua per l’amore, grande disprezzo ne avrà. E il sovrano del mondo disse al suo popolo, la casa d’Israele: Anche se si adunassero tutti i popoli, che sono come le molte acque del mare, non potrebbero spegnere il mio amore verso di te; e se si raccogliessero tutti i re della terra, che sono come le acque di un fiume che scorre veemente, non potrebbero travolgerti dal mondo. 67 E se un uomo darà tutta la ricchezza di casa sua per acquistare la sapienza dell’esilio, io gli renderò il doppio nel mondo avvenire, e sarà suo tutto il bottino che verrà saccheggiato dagli accampamenti di Gog. Come nel versetto precedente c’è una certa fedeltà al testo letterale e non ci si sgancia totalmente: è il tema dell’amore che il targumista non può ignorare, anche se come già detto è dell’amore di Dio per Israele che per l’interprete necessariamente il testo parla; anche qui i riferimenti scritturistici sono vari, non univoci103. È interessante l’ultima parte del commento, può sembrare anzi strana l’interpretazione data, perché fa dire al testo il contrario di quello afferma secondo l’opinione corrente: dall’amore che non si può comprare, si passa all’acquisto a qualsiasi costo della sapienza, acquisto che sarà ripagato alla fine dei tempi. Questa lettura si basa sulla estrema somiglianza in ebraico tra i termini “disprezzo” e “bottino”, confermando lo stile di interpretazione basato sulle singole parole e non sul contesto. 103 Sl 46,2-4; Prov 4,7; Ez 39,9. 68 ORIGENE E IL “COMMENTO AL CANTICO DEI CANTICI” Principi d’esegesi Per quanto riguarda l’esegesi e l’interpretazione del testo biblico, la situazione generale del tempo di Origene era abbastanza confusa. Venivano infatti usati vari approcci al testo: letterale, tipologico, allegorico, senza una metodologia precisa. Nella sua interpretazione del testo sacro, Origene ha comunque il merito di aver elaborato una serie di criteri che la rendevano omogenea e profonda. La base di impostazione del suo pensiero è di evidente derivazione platonica: la distinzione paolina e giovannea fra la Gerusalemme celeste e la Gerusalemme terrestre, fra mondo di quaggiù e mondo di lassù, viene dilatata da Origene in senso platonico, contrapponendo un mondo terreno, sensibile e fenomenico, ad un mondo celeste, ideale, intelligibile. Ambedue sono reali, ma su due diversi livelli: il mondo materiale è immagine depotenziata, perciò simbolo, del mondo intelligibile superiore. Lo sforzo interpretativo di Origene è quello di passare dall’apparenza terrena all’autenticità celeste, dal simbolo alla vera realtà spirituale; perciò ad una interpretazione letterale, aderente al testo, Origene contrappone l’interpretazione spirituale della Scrittura e, usando il metodo allegorico, cerca di scoprirne il significato più vero. Questo non vuol dire rinnegare il senso letterale, anzi esso costituisce il punto di partenza imprescindibile per ogni interpretazione di tipo allegorico: «Solo partendo dalla lettera si può arrivare allo spirito della Scrittura»104. Proprio per questi motivi, Origene, l’allegorista per antonomasia, è il primo nel mondo cristiano a curare anche l’interpretazione letterale. Il passaggio dalla lettera allo spirito avviene con il procedimento di interpretare la Scrittura con la Scrittura. Per organizzare inoltre l’interpretazione spirituale egli si fonda sulla tripartizione dell’uomo di origine paolina: corpo, anima, spirito e vi fa corrispondere la tripartizione della scrittura in senso letterale, morale, spirituale e la tripartizione dei cristiani in principianti, progredienti e perfetti. Comunque questa tripartizione non è stata applicata sistematicamente e con coerenza da Origene, il quale in genere introduce l’interpretazione letterale e passa subito a quella 104 ORIGENE, Commento al Cantico dei Cantici (Collana testi patristici, traduzione, introduzione e note di Manlio Simonetti), Roma, 1976, 17. 69 spirituale, seguendo alcuni tipi diversi di quest’ultima: tipologica orizzontale e verticale105, psicologica. La corrispondenza tra senso letterale e senso spirituale è normale, ma non sempre presente: ogni passo della scrittura presenta il senso spirituale, ma non tutti hanno quello letterale. Vi sono infatti alcuni passi che se fossero interpretati in senso letterale sarebbero indegni della santità e dignità divina106. Per Origene la Sacra Scrittura racchiude infiniti significati, infiniti tesori nascosti sotto l’involucro terreno della lettera ed essi si dispiegano all’esegeta che continuamente progredisce nello studio e nella santità, senza che essi si possano esaurire. Il Commento al Cantico dei Cantici L’interesse di Origene per il Cantico si concretò in una serie di omelie e soprattutto in un vasto commentario di 10 libri, composto intorno al 240 d.C.; il commento vero e proprio è preceduto da una prefazione particolarmente sviluppata, nella quale egli esamina alcuni problemi preliminari, prima di passare all’interpretazione. L’originale greco di Origene è andato perduto, come pure la raccolta delle omelie. Abbiamo però il testo latino di Rufino di Aquileia, che tradusse nei primi anni del V secolo la parte iniziale del commento, fino all’interpretazione di Ct 2,15, ripartendola in 4 libri, preceduti dal testo del lungo prologo. Rufino ha usato grande libertà nel tradurre il Cantico, aggiungendo sue note esplicative sul testo greco e sfrondandolo di tutto l’apparato filologico origeniano. Il testo usato da Origene per il suo commentario è quello greco nella traduzione detta “dei Settanta”, dobbiamo perciò tenere conto che egli adopera un testo che ha già fatto una sua lettura del Cantico e ha già dato una sua interpretazione, infatti alcuni problemi sorgono proprio dal testo della LXX, che ha tradotto in modo impreciso il testo ebraico. 105 ORIGENE, Commento al Cantico, 18: per tipologica orizzontale si intende la prefigurazione nell’Antico Testamento di fatti e figure del Nuovo Testamento; per tipologica verticale la prefigurazione nelle vicende terrene narrate dalla scrittura, di quelle celesti. 106 ORIGENE, Commento al Cantico, 19: “Si tenga presente per una valutazione storica di questo fatto che esso era stato applicato già dai filosofi pagani all’interpretazione dei miti, spesso immorali e poco consoni alla dignità degli dei”. 70 L’interpretazione di ogni versetto o gruppo di versetti si apre con un breve, ma accurato commento di carattere letterale. Sin dall’inizio viene messo in rilievo il carattere drammatico che secondo Origene ha il Cantico, quindi vengono descritti precisamente i personaggi e i cambiamenti di scena. Fissati bene i caratteri del testo, viene introdotta l’interpretazione spirituale col metodo allegorico secondo le due linee prima accennate: tipologica e psicologica. L’interpretazione tipologica del Cantico è quella solita della tradizione: la Sposa raffigura la Chiesa, mentre lo Sposo raffigura Cristo, il Cantico racconta perciò il loro rapporto d’amore. L’interpretazione psicologica vede nello Sposo ancora Cristo, mentre la Sposa è l’anima che tende a lui. Abbiamo perciò due letture: una “comunitaria” ed una “personale” del rapporto Dio - uomo. Il commento origeniano è spesso molto esteso e per questo anche un po’ dispersivo; non riporteremo quindi il testo di ben 27 pagine dal libro della “Collana dei testi patristici”, nella traduzione di Manlio Simonetti107, ma vi faremo solo riferimento. Inoltre, poiché il testo che abbiamo arriva solo fino all’interpretazione di Ct 2,15, dovremo limitarci a considerare l’interpretazione origeniana di Ct 1,5-6 che però ha alcuni richiami anche a Ct 8,5-7; riteniamo sufficiente questa verifica per i nostri scopi. 107 ORIGENE, Commento al Cantico, 107-134. 71 Origene e Ct 1,5-6 1.5 “Sono scura e bella, figlie di Gerusalemme, come le tende di Kedàr, come le pelli di Salomone (in altri esemplari leggiamo: Sono nera e bella)108”. In base a questo testo Origene inizia il suo commento con una analisi letterale, nella quale spiega brevemente cosa siano le tende di Kedar e le pelli di Salomone; quindi passa al tema portante dell’esegesi di questi versetti: il colore nero collegato al male, al brutto, al peccato. Egli spiega allora come la donna del Cantico possa essere bella, nonostante sia nera: “Perciò, figlie di Gerusalemme, non rinfacciatemi il colore, dal momento che non manca al corpo la bellezza, sia naturale, sia cercata con l’esercizio” 109. Dopo solo una ventina di righe, viene proposta l’interpretazione misticaspirituale: “La sposa che parla è figura della Chiesa formata dalle genti pagane”110, mentre le Figlie di Gerusalemme sono gli Ebrei che hanno rifiutato il vangelo. La Sposa-Chiesa con un discorso ai Giudei, dà ragione del suo colore scuro: la Chiesa dei pagani non ha ricevuto l’illuminazione della Torah, ma essa è bella lo stesso, perché si è avvicinata a Dio. Inizia poi una elencazione commentata dei passi biblici “in cui in qualche modo è anticipata la figura di questo mistero” 111. Viene messo in opera il metodo esegetico di interpretare la Scrittura con la Scrittura. Il primo riferimento è per Maria, sorella di Mosè, che lo calunniò, perché aveva preso per moglie una Etiope 112, nera di carnagione. Da questo spunto inizia la ricerca di tutti i passi biblici, nei quali si parla di uno o una Etiope. Il primo brano citato e commentato da Origene è quello della visita della Regina di Saba a Salomone 113, della quale egli parla a lungo perché “essa si adatta così 108 ORIGENE, Commento al Cantico, 107, nota 1: "Qui...Rufino riporta qualche variante che leggeva negli esemplari latini del Cantico che aveva sotto mano." 109 ORIGENE, Commento al Cantico, 107. 110 ORIGENE, Commento al Cantico, 108. 111 ORIGENE, Commento al Cantico, 109. 112 Num 12,1ss. 113 1 Re 10,1-13. 72 bene alla figura della Chiesa ch’è venuta a Cristo dai pagani, che lo stesso Signore nei Vangeli ha ricordato questa regina” 114. Il secondo brano è quello di Geremia gettato in una cisterna e da questa salvato grazie alla mediazione dell’Etiope Ebed-Melek115: in questo episodio Origene vede prefigurata la morte di Cristo (il profeta nella cisterna) e la sua risurrezione (il tirarlo fuori) a cui l’eunuco Etiope crede e, grazie a questa fede, ottiene la salvezza. Terminata questa elencazione, Origene parla del significato delle pelli di Salomone, nelle quali vede ricordata la tenda della testimonianza costruita dagli Israeliti nel deserto116; ma questo Salomone, il cui nome è formato dalla radice ebraica “shalòm” che significa “pace”, simboleggia un altro re: ora “proprio quelle pelli ... son dette essere di Salomone che viene inteso come figura di Cristo, apportatore di pace” 117. L’immagine è completata riferendo la tenda della testimonianza alla Chiesa e le tende di Kedar e le pelli alle tante chiese particolari. Il commento al versetto 5 si chiude con una stupenda immagine nello stile dell’interpretazione cosiddetta “psicologica”. Che è nera e bella ora è l’anima del credente della quale è detto: “... ogni singola anima, che dopo moltissimi peccati si converte a penitenza, ... essa è nera per i peccati, ma bella per la penitenza”118. E ancora: “Infatti di questa stessa (anima) che ora è nera e bella, ... essa non rimane fino alla fine in questa nerezza, in seguito dicono le Figlie di Gerusalemme: «Chi è costei che sale, diventata tutta bianca, appoggiata al suo amato?»” 119. Basandosi sulla particolare traduzione della LXX, ad Origene non sembra vero di mostrare, attraverso il passaggio dal nero al bianco, il cammino di conversione dell’anima peccatrice fino alla sua piena purificazione. 114 ORIGENE, Commento al Cantico, 111. 115 Ger 38,7-13. 116 Es 26,7ss. 117 ORIGENE, Commento al Cantico, 122. 118 ORIGENE, Commento al Cantico, 123. 119 ORIGENE, Commento al Cantico, 123: il riferimento è al versetto di Ct 8,5, tradotto secondo la LXX, che ha "leleukanqismevnh", "fatta bianca", e che Rufino rende con "dealbata", mentre le antiche traduzioni latine hanno "candida". Resta non chiarito il perchè di questa traduzione da parte della LXX. 73 1,6 Non guardatemi: sono diventata scura perché il sole mi ha trascurato120. Origene nel commento rileva il controsenso che scaturisce dall’interpretazione letterale e su questo controsenso imposta la lettura spirituale: “Di qui è chiaro che il discorso non è intorno alla nerezza del corpo, poiché il sole rende una cosa nera e scura allorché illumina e non quando la trascura. ... Invece la nerezza dell’anima è di carattere opposto: infatti tale colore risulta non dalla illuminazione, ma dalla trascuratezza del sole” 121. Il sole naturalmente è Cristo ed egli continua poi per molte pagine a parlare di questo sole che è Cristo o Dio stesso e del suo rapporto con l’anima, collegando sempre i concetti di “sole scurire - nero – peccato” e conclude: “il sole non brucia mai i santi, in cui non c’è motivo di peccato”122. Interessante è ancora un riferimento a Ct 8,5 nell’ambito della interpretazione psicologica: l’anima “è diventata nera mentre è discesa, ma se avrà cominciato a salire e ad appoggiarsi al suo amato e ad aderire a lui e a non separarsi affatto da lui, diventerà tutta bianca e candida e, gettata via tutta la nerezza, rifulgerà circonfusa dallo splendore della vera gloria”123. 1,6 I figli di mia madre hanno combattuto dentro di me; mi hanno posta a custodia delle vigne; ma io non ho custodito la mia vigna. Anche qui il testo ha dei problemi di comprensione (combattuto dentro di me...) e Origene interpreta spiritualmente. Innanzitutto individua i personaggi: la madre è la Gerusalemme celeste, simbolo ricavato dalla lettera ai Galati di San Paolo, dove si parla delle due madri Agar e Sara124, che San Paolo stesso interpreta come simboli della Gerusalemme terrena e di quella celeste; i figli di questa madre, secondo Origene, sono poi “la Sposa e coloro che hanno 120 ORIGENE, Commento al Cantico, 123, nota 92: "Il testo ebraico dice soltanto: perchè il sole mi ha abbronzato. Ma la traduzione dei LXX usa il verbo ‘parablevpein’, tradotto in latino con ‘neglegere’, che effettivamente significa ‘trascurare’". 121 ORIGENE, Commento al Cantico, 124. 122 ORIGENE, Commento al Cantico, 129. 123 ORIGENE, Commento al Cantico, 124. 124 Gal 4,21-31. 74 combattuto dentro di lei e l’hanno posta a guardia delle vigne”125. Coloro che combatterono per la Sposa, cioè la Chiesa, per renderla pura, sono gli apostoli; le vigne che la Sposa-Chiesa custodisce sono le Sacre Scritture e la vigna propria non custodita è la dottrina pagana che ogni credente seguiva prima di convertirsi126. Per finire c’è ancora un brano di interpretazione psicologica, con la quale Origene attribuisce il senso del versetto alla battaglia interna che ogni anima deve affrontare per la fede, la vigna non custodita sono le vecchie “norme, i costumi, i propositi nei quali si esercitava (l’anima) vivendo secondo l’uomo vecchio”127, ora abbandonate dopo l’adesione a Cristo. 125 ORIGENE, Commento al Cantico, 131. 126 Origene si riferisce propriamente alla filosofia greca che in questo testo considera in modo negativo. 127 ORIGENE, Commento al Cantico, 134. 75 Considerazioni riassuntive Abbiamo visto in questi due esempi quanto sia pesante il condizionamento dei presupposti interpretativi degli autori. Il Targum parte dalla considerazione che tutta la Sacra Scrittura vada interpretata secondo un unico canone: leggere ogni libro sacro in quanto legato alla storia del popolo d’Israele, storia che racconta il rapporto tra Dio ed il suo popolo. Attraverso l’allegoria è possibile fare rientrare anche questo libro in tale linea interpretativa. La metodologia esegetica consiste nel cercare continui riferimenti con altri testi della scrittura, ma soprattutto con la Torah, privilegiando l’esperienza dell’esodo e dei quarant’anni nel deserto come paradigma e chiave di lettura del Cantico. Anche Origene parte dal presupposto che esista un unico canone interpretativo: cercare il significato spirituale del testo. È interessante il suo recupero del significato letterale come punto di partenza, ma è sempre marginale. Per cercare il senso spirituale anche Origene ricorre all’allegoria, l’unico tipo di lettura che permette di scavalcare il testo. C’è ancora somiglianza col Targum quando Origene interpreta il testo del Cantico con altri testi della Scrittura, il paradigma interpretativo è però diverso ed è Cristo ed il suo rapporto d’amore con la Chiesa. In questi due esempi abbiamo perciò ravvisato una notevole somiglianza riguardo al metodo esegetico, quello che è diverso è il fondamento, la chiave di lettura, il paradigma in base al quale trovare il senso ed in entrambi i casi questo è trovato fuori dal testo. Un altro punto importante da notare è che questi autori antichi non considerano assolutamente il problema del genere letterario e nemmeno ricercano una struttura, dal punto di vista letterario. Essi usano con grande libertà del testo e in fondo, con la loro interpretazione, creano un nuovo testo, più che interpretare l’originale. 76 Bibliografia BOUSSET J. B., Praefatio in Canticum Canticorum in Oeuvres Complètes de Bousset, Vol. II, Parigi 1897. 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WITTEKINDT W., Das Hohe Lied und seine Beziehungen zum Istarkult, Hannover 1926. 77 Indice Il Canto d'amore di Dodì e Rahjatì Il tema Il "problema Cantico" Le posizioni principali sull'interpretazione del Cantico L'interpretazione allegorica L'interpretazione drammatica L'interpretazione liturgica L'interpretazione poetica Recenti sviluppi 2 3 4 5 6 9 10 11 12 La struttura del Cantico 14 TITOLO 1,1 PROLOGO 1,2-2,5 PARTE PRIMA 2,8-3,4 PARTE SECONDA 3,6-5,1 PARTE TERZA 5,2-6,3 PARTE QUARTA 6,4-8,2 EPILOGO 8,5-14 16 16 22 25 30 34 39 Interpretazione 44 Testo Cantico 51 Appendice: Esempi antichi di esegesi del testo Il Targum del Cantico dei Cantici La teologia del Targum Interpretazione di Ct 1,5-6 Interpretazione di Ct 8,5-7 Origene e il "Commento al Cantico dei Cantici" Principi d'esegesi Il Commento al Cantico dei Cantici Origene e Ct 1,5-6 Considerazioni riassuntive 60 61 62 62 64 66 69 69 70 72 76 Bibliografia 77 78