TECNOLOGIA E PROBLEMATICHE DELLE CAMERE IPERBARICHE
Prof. Silvano Dubini
(*)
SUNTO
L’autore, dopo aver richiamato i principi di fisica alla base del funzionamento delle camere
iperbariche, descrive i modelli attualmente utilizzati nella pratica clinica.
Per tali camere iperbariche viene discusso il rischio in caso d’incendio e viene passata in rassegna
la normativa di sicurezza italiana e straniera.
La normativa italiana, pur non essendo specifica, considera per similitudine la quasi totalità delle
problematiche delle camere iperbariche.
La normativa vigente risulta pertanto sufficiente per trattare gli aspetti della sicurezza delle
camere iperbariche.
1.
CENNI STORICI SULL’IPERBARISMO
Nell’accezione più normale del termine, per iperbarismo si intende un gas compresso ad una
pressione superiore di quella atmosferica, che venne per la prima volta utilizzata in campo medico
nel XVII secolo.
Circa un secolo dopo (1775) fu scoperto il possibile uso terapeutico dell’ossigeno.
Tuttavia solo a partire dalla metà dell’800, l’ossigenoterapia a pressione superiore
di quella
atmosferica, fu nuovamente oggetto di interesse, ma con iniziali insuccessi dovuti alla mancanza di
adeguate conoscenze fisiologiche sul metabolismo dell’ossigeno.
(*)
-
Professore di bioingegneria alla Facoltà di Ingegneria di Firenze
Direttore Ricerca e Sviluppo Hospital Consulting - Bagno a Ripoli (FI)
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12/12/1997
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Studi sui limiti di tollerabilità dell’ossigeno puro nell’uomo e sull’uso dell’ossigeno disciolto nel
plasma cominciarono ad essere condotti su basi scientifiche solo negli anni ‘30 e segnarono
l’inizio della moderna ossigenoterapia iperbarica.
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3
2.
RICHIAMI DI FISIOLOGIA RESPIRATORIA
In condizioni normali l’apporto di ossigeno ai tessuti viventi umani è garantito per la quasi
totalità (98%) dall’emoglobina contenuta nei globuli rossi.
L’emoglobina è una molecola costituita da una parte proteica, la globina, e da un gruppo non
proteico, l’eme. Ogni molecola di emoglobina è composta da 4 unità di globina ciascuna delle quali
lega un gruppo eme. Ogni gruppo eme è poi capace di legare a sé due atomi di ossigeno. Quindi in
totale ogni molecola di emoglobina lega otto atomi di ossigeno.
In condizioni normali l’ossigeno presente nell’emoglobina del sangue arterico è di 19,6 ml ogni
100 ml di sangue; poiché il sangue venoso presenta una concentrazione residua di ossigeno legato
alla emoglobina di 14,6 ml per 100 ml di sangue, si può concludere che l’apporto globale di
ossigeno ai tessuti da parte dell’emoglobina è pari a 5 ml di ossigeno ogni 100 ml di sangue.
E’ stato sperimentalmente dimostrato nel suino ma rapportabile anche nell’uomo [1], che se si
respirasse ossigeno puro in un ambiente di 3 atm assolute, si scioglierebbe nel plasma del sangue
ben 6 ml di ossigeno ogni 100 ml di sangue. Ciò significa che, in tali condizioni di respirazione, un
individuo potrebbe sopravvivere anche qualora il suo sangue fosse privo o, più verosimilmente,
avesse una estrema carenza di emoglobina, come si verifica nelle anemie acute, o quando vi sia un
blocco funzionale dell’emoglobina, come nelle intossicazioni da monossido di carbonio, o negli
avvelenamenti da cianuri.
Questa evidenza sperimentale costituisce la base clinica dell’ossigenoterapia iperbarica moderna.
3.
APPLICAZIONI CLINICHE
Le applicazioni attuali dell’iperbarismo sono essenzialmente di due tipi: tecnologico e clinico.
Relativamente all’impiego tecnologico si pensi all’utilizzo che ne viene fatto per la
compensazione pressoria di coloro che lavorano sui fondali dei mari.
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Relativamente all’utilizzo clinico, le applicazioni riguardano essenzialmente i seguenti trattamenti:
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a.
L’embolia gassosa arteriosa.
b.
Difetto di ossigenazione tissutale per carenza (anemia) o incapacità funzionale (intossicazioni
da monossido di carbonio o cianuri) dell’emoglobina.
c.
Ripristino della diffusione dell’ossigeno dal letto vascolare capillare alle cellule tissutali, in
caso di ischemia od edema.
d.
Attivazione degli effetti vasomotori correlati ad ipossia o ipercapnia.
e.
Attivazione di meccanismi batteriostatici o battericidi.
4.
PRINCIPI FISICI DELL’IPERBARISMO
Di seguito si riportano alcuni principi di fisica che consentono di comprendere i meccanismi
dell’iperbarismo e alcune tipiche caratteristiche:
1.
L’aria della nostra atmosfera è costituita da un miscuglio di vari gas fra i quali i più
importanti sono l’ossigeno nella concentrazione di circa 21% e l’azoto nella concentrazione
di circa il 78%.
Un parametro utile per descrivere il comportamento di una miscela di gas è la pressione
parziale di un determinato gas del miscuglio, definita come la pressione che eserciterebbe
quel gas se occupasse da solo tutto il volume a disposizione della miscela gassosa. I gas che
compongono l’atmosfera hanno perciò una pressione parziale pari al prodotto tra il valore
della pressione atmosferica e la percentuale con cui il singolo gas contribuisce alla
composizione dell’atmosfera stessa.
Ad esempio: essendo l’aria composta dal 21% di ossigeno, la pressione parziale
dell’ossigeno (indicato con PpO2) a pressione atmosferica è di 0,21 atm. La pressione totale
di un miscuglio di gas segue la legge di Dalton che afferma: la pressione totale esercitata da
un miscuglio di gas è uguale alla somma delle singole pressioni parziali dei gas componenti
il miscuglio stesso.
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Aumentando la pressione atmosferica, aumenterà anche la pressione parziale del gas;
conseguentemente somministrando ad un paziente aria sotto pressione e arricchita di
ossigeno, si possono ottenere valori di PpO2 molto superiori a quelli normali.
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In questo meccanismo bisogna considerare che non si possono somministrare al paziente
miscele a pressione superiore a quella dell’ambiente in cui il paziente è immerso. Infatti
essendo il polmone un corpo elastico, così facendo, si otterrebbe una dilatazione
inaccettabile del polmone. Nasce quindi la necessità di disporre di un ambiente in cui
inserire il soggetto, in cui vi è una pressione tipicamente superiore a quella atmosferica.
Questa struttura è fisicamente la camera iperbarica, all’interno della quale si utilizzano delle
maschere oronasali per somministrare una determinata miscela di gas al paziente ad una
pressione sostanzialmente uguale a quella dell’ambiente. Tipicamente la pressione interna di
una camera iperbarica è circa 3 atm assolute, ovvero 2 atm superiore a quella atmosferica.
Perché all’origine l’utilizzazione delle camere iperbariche era legata all’attività subacquee, è
l’invalso l’uso di misurare la pressione come metri di colonna d’acqua con la proporzione
di 1 atm=10m di colonna d’acqua.
2.
Un altro principio fisico importante nell’iperbarismo è la possibilità che hanno i gas di
disciogliersi nei liquidi. Questo fenomeno è descritto dalla legge di Henry che dice: un gas
che esercita una pressione sopra la superficie di un liquido vi passa in soluzione finché non
avrà raggiunto in quel liquido la stessa pressione che vi esercita sopra.
Nel nostro caso più che con un gas unico abbiamo a che fare con un miscuglio di gas quindi
invece di pressione del gas si deve parlare di pressione parziale del singolo gas componente
del miscuglio.
La conseguenza immediata della legge di Henry è che la quantità di gas disciolta nel sangue
dipende dalla pressione. Per esempio: passando dall’iperbarismo alla pressione atmosferica,
una parte di gas disciolto nel plasma si sviluppa allo stato gassoso che, se prodotto in modo
rapido, produce bolle di gas che potrebbero occludere vasi sanguigni importanti; si parla
allora di embolia gassosa arteriosa. Un tale rischio si manifesta quando cala troppo
bruscamente la pressione a cui è posto l’individuo, come ad esempio nelle emersioni rapide.
Per risolvere l’embolia gassosa arteriosa occorre porre il paziente in una camera iperbarica e
pressurizzarla fintanto che tutto il gas si sciolga di nuovo nel plasma. Successivamente si
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riporta il paziente molto lentamente alla pressione atmosferica in modo tale che il gas si
liberi poco alla volta e venga assorbito dall’organismo senza provocare danni.
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3.
Per tutti i gas vale, con buona approssimazione, la relazione
P.V = KT
in cui con P si intende la pressione del gas, con V il volume, con T la temperatura e con K
una costante dipendente dal tipo di gas.
Conseguentemente a ciò durante la pressurizzazione, l’aria all’interno della camera
iperbarica si riscalderà come pure si raffredderà durante la depressurizzazione.
Essendo il salto termico nei casi delle camere iperbariche ad uso clinico di alcune decine di
gradi, occorre rispettivamente raffreddare e riscaldare molto decisamente l’ambiente, ma
spesso non è possibile garantire il comfort ambientale durante l’intero ciclo.
4.
All’aumentare della PpO2 aumenta l’infiammabilità dei materiali. Per studiare questo
fenomeno riferito alle camere iperbariche, alcuni autori [2] studiarono la combustione della
carta. Questo materiale è infatti considerato il più rappresentativo dei materiali infiammabili
presenti nell’interno della camera iperbarica che sono, per la quasi totalità, costituiti dai
vestiti.
In fig. 1 è riportato l’andamento della temperatura di autocombustione della carta in
funzione della PpO2.
Come si può vedere alla massima PpO2 praticamente utilizzabile a scopo clinico, la
temperatura di autocombustione della carta scende da circa 415 °C a circa 340 °C.
Si può pertanto osservare che all’interno della camera iperbarica i materiali risultano più
infiammabili rispetto all’atmosfera normale, ma comunque non si raggiungono mai
temperature di autocombustione pericolose, per cui la loro combustione deve sempre essere
decisamente provocata.
5.
Se si considera la velocità di combustione della carta in funzione del PpO2 (fig. 2), si osserva
invece un dato molto più preoccupante. Infatti mentre in aria compressa anche a 3 atm la
velocità di combustione della striscia di carta aumenta neanche del doppio rispetto
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all’atmosfera normale, in presenza di ossigeno puro la velocità di combustione è circa 10
volte superiore a quella dell’atmosfera normale.
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Fig. 1:
Andamento della temperatura di autocombustione di una striscia di carta
(Rielaborazione su dati Cook [2])
L’immediata conseguenza di ciò è che in ossigeno puro la combustione di una data quantità
di materiale infiammabile (ad esempio i vestiti) avviene in un tempo molto piccolo
sviluppando una energia termica molto concentrata nel tempo e quindi minimamente
dissipabile nell’ambiente circostante. Una tale combustione è caratterizzata dalla
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produzione di più elevate temperature rispetto le combustioni in atmosfera normale e la
produzione di fumi e gas tossici risulta essere molto concentrata nel tempo.
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Fig. 2:
Andamento della velocità di combustione di una striscia di carta al variare della pressione
e della concentrazione di ossigeno.
(Rielaborazione su dati Cook [2])
5.
TIPOLOGIA DELLE CAMERE IPERBARICHE
Le camere iperbariche oggi utilizzate sono essenzialmente di due tipi: monopaziente e
pluripaziente.
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Le camere monopaziente sono generalmente utilizzate per il trattamento delle embolie gassose
arteriose o nelle intossicazioni acute, i cosiddetti trattamenti salva vita. Queste applicazioni
avvengono in emergenza e generalmente si svolgono in un’unica seduta protratta fino al
raggruppamento dell’obiettivo clinico o, al più, ripetute poche volte.
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Fig. 3:
Schema a blocchi di una camera iperbarica.
Le camere pluripaziente sono invece utilizzate nel trattamento delle ischemie in modo
programmato con cicli di sedute molto numerose (anche 80 nel caso di gravi ostiomeliti).
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16
La Circolare Ministero Sanità [16] riporta il parere del Consiglio Superiore di Sanità del 1989 con
il quale si indica quale pressione massima delle camere iperbariche per trattamenti di emergenza 6
atm, mentre per la ossigenoterapia iperbarica la pressione di 2,0, 2,5 e 2,8 atm.
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Fig. 4:
Interno di una camera iperbarica pluripaziente.
(Istituto Prosperius - Firenze)
In questo articolo, per comodità, si considererà quale pressione della camera iperbarica 3 atm.
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Lo schema a blocchi della camera iperbarica è riportato in fig. 3, mentre in fig. 4 è riportato
l’interno di una camera iperbarica pluripaziente.
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Dal punto di vista strutturale le camere iperbariche sono dei cilindri di acciaio orizzontali, a volte
detti scafi, progettate e collaudate per reggere una pressione significativamente superiore a quella
di utilizzo.
Le camere monopaziente sono lunghe circa 2,5 m ed hanno un diametro dell’ordine del metro e
mezzo, nelle quali il paziente giace in posizione orizzontale con accanto l’operatore sanitario.
Le camere pluripaziente, tipicamente per 14 pazienti, hanno lunghezza di 6÷7 m con diametro di
circa 2 m. A queste camere si accede da una ampia porta posta su una base del cilindro, mentre
dalla parte opposta vi è una piccola camera di servizio per accedere alla camera principale o per
introdurvi materiali anche durante il funzionamento.
Per ridurre la probabilità di incendio, le camere iperbariche sono ad aria compressa, mentre
l’ossigeno puro è erogato al paziente mediante una maschera. Questa modalità di funzionamento è
l’unica consentita in Italia dalla Circolare Ministero Sanità [16], mentre in passato in Italia erano
in uso camere iperbariche a ossigeno puro, e qualcuna ancora all’estero.
Proprio per evitare che la PpO2 ambientale della camera iperbarica possa aumentare, si adottano
vari accorgimenti, come ad esempio:
− Maschera oronasale ben aderente al viso del paziente con erogatori tipo subacquei, ovvero tali
da erogare ossigeno solo quando il paziente inizia la fase di inspirazione provocando una lieve
depressione. Con l’uso di questi dispositivi, l’erogazione di ossigeno è bloccata quando la
maschera non è indossata o quando non aderisce sufficientemente al viso del paziente.
− Convogliamento all’esterno della camera iperbarica dei gas espirati dal paziente, ovviamente
ancora ricchi di ossigeno.
− Controllo continuo della PpO2 dell’aria ambiente della camera iperbarica con immediata
immissione di azoto o aria normale se l’ossigeno dovesse superare la concentrazione ritenuta
sicura (tipicamente 24%).
Proprio per evitare ogni possibile causa di innesco della combustione è proibito introdurre nella
camera iperbarica ogni dispositivo capace di produrre fiamme (fiammiferi, accendini, scaldini,
ecc.) o scintille molto energetiche (motori, giocattoli, ecc.) e precauzionalmente ogni apparecchio
elettrico ed elettronico non strettamente necessario al trattamento.
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Proprio per questo motivo anche gli impianti e le attrezzature sono generalmente poste
all’esterno della camera iperbarica, come ad esempio l’illuminazione che è ottenuta con una guida
di luce che porta all’interno della camera la luce prodotta da un apparecchio illuminante esterno,
oppure la TV a circuito chiuso che riprende l’interno della camera da una lente ottica incastrata
nella struttura d’acciaio della camera.
Nel caso delle camere monopaziente, nelle quali il paziente deve essere assistito anche con
apparecchi elettromedicali, si devono analizzare i reali rischi, avendo cura di evitare
esclusivamente la produzione di sovratemperature tali da innescare incendi e non già rinunciare
all’uso degli apparecchi elettromedicali se utili per l’assistenza del paziente.
In ogni caso, componente indispensabile di ogni camera iperbarica è il sistema di antincendio
essenzialmente costituito da una serie di spruzzatori di acqua posti in modo tale da irrorare tutte
le persone e oggetti posti all’interno della camera iperbarica.
Per rendere tempestivo ogni intervento di messa a punto funzionale o di gestione dell’emergenza,
le camere iperbariche sono azionate da un operatore esterno e da uno interno che hanno la
possibilità di intervenire sui parametri di controllo e funzionali della camera.
6.
RISCHI
Da quanto detto, emerge che una camera iperbarica in condizioni normali non presenta mai rischio
di esplosione e, tutto sommato, neppure un particolare rischio d’incendio, poiché gli unici
materiali infiammabili contenuti nella camera iperbarica sono costituiti praticamente dai vestiti
degli occupanti che presentano temperature di autocombustione elevate rispetto la temperatura
ambiente. E’ dato ovviamente per scontato che i materiali con cui è realizzata la camera iperbarica
(vernici, sedie, accessori, guarnizioni, lubrificanti, ecc.) siano materiali ignifughi e che i pazienti
indossino normali abiti di cotone o lana al più con una certa percentuale di fibra sintetica.
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Invece il rischio in caso di incendio delle camere iperbariche è elevatissimo, in quanto si è in
presenza di un locale ristretto con un inusuale affollamento se rapportato al volume
dell’ambiente, da cui non è possibile fuggire se non dopo decine di minuti, in cui il pur minimo
incendio può provocare alte temperature e concentrazione di fumi elevatissima in tempi molto
ridotti. In queste condizioni costituiscono fattori di primaria importanza ai fini della riduzione del
rischio, non tanto la riduzione dei materiali infiammabili (sempre auspicabile ma già contenuti),
quanto piuttosto l’eliminazione dell’entità che può provocare l’incendio (fiamma libera, scintilla
fortemente energetica, ecc.) e una volta sviluppato l’incendio, la validità dei sistemi di
spegnimento dell’incendio stesso.
E’ evidente che per ridurre il rischio occorre prioritariamente evitare l’ennesco dell’incendio. In
concreto occorre eliminare, all’interno delle camere iperbariche, sia le fiamme libere e ciò è
possibile con una adeguata informazione e sensibilizzazione degli utenti, sia la generazione di
scintille energetiche.
A quest’ultimo proposito la normativa americana [13] ha individuato che per incendiare la
polvere di cotone, materiale ritenuto il più infiammabile fra quelli ragionevolmente presenti nelle
camere iperbariche, in ambienti con PpO2 = 1 atm, occorre una scintilla con energia almeno di 20
mJ.
A questo riguardo, una recente (1993) normativa americana [12] fissa valori massimi di tensione e
di corrente degli impianti e apparecchi elettrici posti all’interno della camera iperbarica.
Per dettagli tecnici molto più precisi e immediatamente applicabili agli aspetti costruttivi degli
apparecchi e degli impianti, si può far riferimento alla norma italiana CEI 62-5 che, fin dal 1980,
dedica un’intera sezione (la n° 6) alla protezione contro i rischi di accensione di incendi
rapportabili al caso delle camere iperbariche. In tale normativa si fissano fra l’altro valori sicuri di
tensione e di corrente delle varie tipologie di carico (resistivo, capacitivo, induttivo) nonché una
serie di altri accorgimenti costruttivi utili per la prevenzione.
7.
INCIDENTI RIPORTATI IN LETTERATURA
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In letteratura sono riportati un certo numero di incidenti mortali provocati da ustioni o
intossicazioni avvenute in tende ossigeno, ovvero in ambienti circoscritti attorno al paziente, a
pressione atmosferica, in cui l’aria risulta fortemente arricchita di ossigeno.
L’innesco dell’incendio è stato sempre per cause esterne, come ad esempio un mozzicone di
sigaretta oppure un guasto di apparecchi elettrici che in vario modo ha innescato la combustione
dei vestiti o degli effetti letterecci.
Il primo incidente in camere iperbariche noto, avvenne il 22 marzo 1945 e si riferisce ad una
camera di decompressione a ossigeno puro a bordo di una nave militare USA. Al momento
dell’incidente la pressione della camera era di 2,1 atm e gli occupanti respiravano ossigeno puro
direttamente dalla camera.
Questo episodio portò alla stesura di una procedura da seguire nell’utilizzo delle camere
iperbariche ma non ad una vera e propria normativa di sicurezza.
Lo studio sistematico e scientifico del rischio in caso di incendio all’interno delle camere
iperbariche e la relativa stesura di una normativa di sicurezza, avvenne dopo che erano accaduti
una serie di altri tragici incidenti.
Risulta che nel periodo compreso tra il 1962 ed il 1970, si svilupparono circa nove incidenti
mortali all’interno di camere iperbariche che portarono alla morte di ben sette persone.
Il caso più rilevante per le diverse cause che hanno concorso all’incidente e che furono tutte
ricostruite e descritte con grande accuratezza, fu l’incidente accaduto nel 1965 a Washington dove
due marinari della marina americana stavano effettuando una decompressione a circa 4 atm in una
camera iperbarica sperimentale per immersioni. Le due persone morirono a causa di un incendio
sviluppatosi improvvisamente all’interno della camera.
Analizzando l’incidente si rilevò che, al momento dell’incidente, la camera era riempita con una
miscela di 27% di ossigeno, di 36% di azoto e di 37% di elio. All’interno della camera c’era un
depuratore che serviva per rimuovere il biossido di carbonio espirato dagli occupanti e fu
appurato che sui filtri del depuratore c’erano sensibili quantità di cherosene.
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Inoltre, analizzando il motore del depuratore si trovò che era difettoso e che per questo motivo si
era surriscaldato. In quel caso si erano così venute a creare più condizioni che globalmente
consentirono lo sviluppo dell’incendio: il carburante costituito dalla carta da filtro del depuratore
imbevuta di cherosene, l’ossigeno ad una PpO2 di circa 1 atm, ma soprattutto la causa di innesco
dovuta all’alta temperatura prodotta dal motore difettoso.
In Italia l’incidente più noto, oltre all’ultimo dell’Istituto Galeazzi di Milano dell’ottobre scorso,
avvenne nel 1987 a Napoli in una camera iperbarica a ossigeno puro, in cui morì un bambino.
Durante il processo che ne seguì, si appurò che il piccolo paziente riuscì a portare dentro la
camera (sembra di nascosto dagli stessi genitori che lo avevano accompagnato), una pistola
giocattolo che, se azionata, produceva un gran numero di fiammelle.
E’ verosimile che le fiammelle così prodotte innescarono l’incendio dei vestiti del paziente, da cui
le gravissime ustioni e la produzioni in tempi brevi di una grande quantità di fumo.
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8.
LE RESPONSABILITA’
Nel caso in cui si verifichino infortuni, le norme cui bisogna fare riferimento per individuare la
persona a cui imputare la responsabilità civile o penale dell’accaduto, sono quelle del codice civile
e penale, nonché tutta la legislazione antinfortunistica di riferimento.
Tipicamente i reati che coinvolgono gli operatori (tecnici, sanitari, amministrativi, ecc.) sono reati
di delitto colposo. Il significato del termine è chiarito all’art. 43 del codice penale dove si dice che:
il delitto ... è colposo ... se si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per
inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline.
Si tratta dunque di capire nel caso in esame cosa significhi operare con negligenza, imprudenza o
imperizia, ma soprattutto fissare la normativa di riferimento.
E’ necessario pertanto rilevare quale normativa, italiana o non, sia disponibile e qualora risultasse
scoperto qualche aspetto, occorre far riferimento a situazioni analoghe già normate oppure, al
limite, al sapere mediamente accessibile del cultore della materia, che ovviamente è tenuto a
seguire l’evoluzione delle conoscenze tecniche della comunità scientifica di appartenenza.
Nel caso delle camere iperbariche vi sono essenzialmente i seguenti riferimenti:
•
D.M. 21/11/1972 [14] e successive integrazioni sugli apparecchi a pressione che normano
esclusivamente gli aspetti statici della camera iperbarica.
•
Circolare Ministero Sanità 1992 [16] con il quale vengono proibite in Italia le camere
iperbariche a ossigeno puro, prevedendo la somministrazione al paziente dell’ossigeno puro
solo mediante maschera oronasale o simili.
•
Regolamenti a valenza regionale come ad esempio quello della Lombardia [17] che fissa le
modalità di assistenza durante i trattamenti (contemporanea presenza di un operatore dentro
e uno fuori della camera durante i trattamenti), le indicazioni cliniche del trattamento e
generiche prescrizioni di sicurezza.
•
ANSI-ASME-PVMO1 [9] normativa redatta dall’American Society of Medical Engineers
per conto dell’American National Standard Institute che risulta essere la più completa
normativa specifica delle camere iperbariche e ipobariche. Costituisce a oggi la più vasta base
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di conoscenza e normativa specifica sull’argomento. Riguarda campi di pressione molto vasti
(molto superiori di quelli a uso clinico) in atmosfere prevalentemente a ossigeno puro come
spesso usate in USA.
•
D.M. 8/3/1985 [15] e altra legislazione specifica. E’ la normativa generale italiana di
riferimento nella prevenzione incendi, applicabile per logica similitudine anche nelle camere
iperbariche. Da tale fonte sono state tratte le considerazioni formulate in questo articolo. Le
nozioni scientifiche alla base di tale legislazione consentono di affrontare la quasi totalità
delle problematiche antincendio della camera iperbarica.
•
CEI 62-5 sezione 6 [18] fornisce criteri e normative per prevenire l’innesco dell’incendio
negli apparecchi elettromedicali, estendibile anche agli impianti elettrici.
Questa norma con le altre via via richiamate, forniscono i criteri per la sicurezza elettrica degli
apparecchi e degli impianti elettrici, anche elettromedicali, utilizzati nelle camere iperbariche
esaurendo anche qui la quasi totalità delle problematiche di sicurezza elettrica delle camere
stesse.
BIBLIOGRAFIA
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Guide on fire hazard in oxygen-enriched atmospheres
National Fire Protection Association (1994)
[14] D.M. 21-11-1972
Norme per la costruzione degli apparecchi a pressione
[15] D.M. 8-3-1985
Direttive sulle misure più urgenti ed essenziali di prevenzione incendi ai fini del rilascio
del nullaosta provvisorio di cui alla legge 7-12-1984, n° 818
[16] Circolare Ministero Sanità prot. 900.2/4.6/805 del 23/6/92
Ossigenoterapia iperbarica
[17] Relazione della commissione tecnico-scientifica per lo studio e la regolamentazione
della ossigenoterapia iperbarica (23/11/88)
Nominata dalla Giunta Regionale Lombardia con Del. 29999 del 3/3/88
[18] Norma CEI 62-5
Apparecchi elettromedicali. Parte 1: Norme generali per la sicurezza
(versione italiana della Norma Europea 60601-1), (2^ Ed. 1991)
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