© Springer-Verlag 2002
Pathologica (2002) 94:182-189
A RT I C O L O O R I G I NA L E
C. Giardina · A.M. Guerrieri · G. Ingravallo · G. Serio · M.G. Mastropasqua · M. Lomele · V. Lattanzio
La core-biopsy mammaria stereotassica con Mammotome: un’alternativa
all’esame intraoperatorio
Mammary stereotaxic core-biopsy by Mammotome: an alternative to frozen section
examination
Riassunto In questo studio la biopsia percutanea con aspirazione forzata è stata confrontata con la biopsia intraoperatoria su lesioni mammarie infracliniche. Da gennaio 2000 a
marzo 2001 nel Policlinico di Bari sono state effettuate 141
biopsie mammarie stereotassiche con il Mammotome
(Ethicon Endo-Surgery, Hamburg) su lesioni infracliniche:
105 (74.5%) per microcalcificazioni, 20 (14.2%) per opacità
irregolari, 10 (7.1%) per opacità stellate e 6 (4.2%) per opacità a contorni definiti. La diagnosi su microbiopsia è stata
di carcinoma in 46 (32.6%) casi, di benignità in 85 (60.3%)
e di atipia in 10 (7.1%). Tutti i carcinomi sono stati operati:
in 3 casi (uno in situ e due infiltranti), la biopsia è risultata
escissionale; in 2 casi di carcinoma in situ, l’esame definitivo ha evidenziato aspetti invasivi. Nove delle lesioni atipiche sono state operate: otto sono state confermate, in una la
diagnosi è stata di carcinoma in situ. Solo tre delle lesioni
benigne sono state operate con conferma della diagnosi iniziale. Tra i 55 esami intraoperatori di lesioni mammarie infracliniche, effettuati nello stesso periodo, sono stati riscontrati 3 falsi negativi, 1 falso positivo, mentre in 6 casi la diagnosi è stata posta con riserva. La biopsia con il mammotome appare una alternativa valida e più affidabile dell’esame
intraoperatorio.
Parole chiave Mammotome • Biopsia intraoperatoria
Key words Mammotome • Frozen section biopsy
C. Giardina () • G. Ingravallo • G. Serio • M.G. Mastropasqua
M. Lomele
Dipartimento di Anatomia Patologica e di Genetica (DAPEG),
Policlinico Universitario,
Piazza G. Cesare 11, I-70124, Bari, Italia
e-mail: [email protected]
Tel.: +39-080-5478271
Fax: +39-080-5478280
A.M. Guerrieri • V. Lattanzio
Servizio Autonomo di Radiologia a Indirizzo Senologico (SARIS),
Policlinico di Bari, Bari, Italia
Introduzione
Il risultato più importante degli screening mammografici è
indubbiamente quello di identificare le lesioni mammarie in
fase preclinica, quando non sono ancora palpabili e vengono riconosciute all’esame radiologico come aree di microcalcificazioni, di opacità o di distorsione ghiandolare.
Molte di queste modificazioni della ghiandola mammaria possono generare nel radiologo dubbi interpretativi, tanto da richiedere un secondo livello diagnostico. Questo può
essere costituito da un prelievo citologico, mediante aspirazione con ago sottile (22-24 G) sotto guida stereotassica o
ecografica, dall’escissione chirurgica effettuata con o senza
esame istologico intraoperatorio o infine da un’agobiopsia
percutanea della lesione stessa.
L’esame citologico, pur essendo sicuramente la metodica
più semplice, veloce, meno traumatica e di più basso costo,
presenta una percentuale, variabile a seconda delle casistiche, non solo di prelievi non diagnostici, ma anche di falsi
negativi e, se pure in percentuale molto più bassa, di falsi
positivi. In particolare, i tumori con diametro inferiore ad 1
cm, caratterizzati da abbondante sclerosi stromale o ben differenziati, come i carcinomi tubulari, papillari o duttali in situ, possono frequentemente essere considerati “inadeguati”
o dar luogo a falsi negativi [1].
Nelle lesioni non palpabili, la percentuale di falsi negativi è compresa tra 2% e 36% [2], quella di “inadeguato” varia tra 9% e 36% [2, 3] mentre la percentuale dei falsi positivi varia tra 0% e 6%; dato quest’ultimo spesso imputabile alla presenza di lesioni con accentuata iperplasia epiteliale con atipia [4, 5]. Inoltre, va sottolineato che l’esame
citologico nella maggior parte dei casi non consente una caratterizzazione della lesione ma solo una diagnosi di benignità o di malignità.
L’escissione chirurgica, diversamente, consente al patologo di valutare accuratamente la lesione da un punto di vi-
C. Giardina et al.: Microbiopsia mammaria con Mammotome
sta citoarchitetturale e di poter all’occorrenza applicare metodiche ancillari all’istologia. Talora però possono residuare
cicatrici chirurgiche antiestetiche e, soprattutto nel caso di
lesioni benigne, il rapporto costo-beneficio potrebbe apparire eccessivo.
L’asportazione chirurgica di una lesione non palpabile
prevede l’inserimento preoperatorio, sotto guida stereotassica o ecografica, di un filo metallico (arpione) per consentire al chirurgo il suo reperimento e, dopo l’escissione, un
controllo radiologico del pezzo operatorio per accertare che
esso la comprenda [6].
Nonostante l’esame istologico “al congelatore” sia sconsigliato per le lesioni non palpabili di diametro non superiore a 1 cm [6-10], non di rado il chirurgo chiede al patologo
di effettuare un esame istologico intraoperatorio della lesione escissa. Ciò, se da un lato può consentire (ma non sempre
è possibile) di risolvere in un unico tempo l’atto chirurgico,
dall’altro presenta una serie di inconvenienti che gravano sulla paziente in termini di ansia e di tempi di anestesia, sulla
struttura (tempi più lunghi di sala operatoria) e sul patologo
proprio per la minore affidabilità diagnostica che l’esame sul
frammento congelato presenta. In particolare, le microcalcificazioni, che consentono l’individuazione della lesione, possono costituire un serio ostacolo all’ottenimento di sezioni
adeguate per la diagnosi, oppure, trattandosi di lesioni di piccole dimensioni, con il taglio al criostato si rischia di perdere materiale prezioso sia ai fini diagnostici che per ulteriori
indagini (ad esempio, valutazione di marcatori tumorali), necessarie in caso di positività per carcinoma.
Un’altra causa di difficoltà e quindi di eventuale sovrao sottostima della lesione può essere inerente alla sua stessa
natura: così le lesioni piccole con accentuata sclerosi o con
scleroelastosi stromale possono generare il dubbio diagnostico tra una adenosi sclerosante e un carcinoma infiltrante
di tipo tubulare, ed ancora non sempre è possibile distinguere all’esame al congelatore tra un carcinoma in situ e uno
microinvasivo o tra una iperplasia atipica e un carcinoma in
situ. Pertanto, l’affidabilità diagnostica della biopsia intraoperatoria per le lesioni non palpabili con diametro inferiore
ad 1 cm è gravata da una percentuale variabile di falsi positivi (0-0.4%), falsi negativi (0.9-37%) e di casi in cui il giudizio diagnostico viene “sospeso” e rinviato all’esame del
tessuto, dopo inclusione [11-14].
La biopsia percutanea o core-biopsy consente di effettuare uno studio istologico della lesione, senza dover ricorrere alla escissione chirurgica della stessa. Esistono oggi varie modalità per effettuare la microbiopsia mammaria
[15] e, negli ultimi anni, alla tradizionale core-biopsy, eseguita con ago tru-cut (14-18 G) che consente il prelievo di
un solo frustolo di tessuto per ogni introduzione dell’ago,
si sono affiancate metodiche che con un’unica introduzione dell’ago consentono il prelievo, sempre sotto guida stereotassica o ecografica, di numerosi frustoli del diametro
di 2-3 mm e di lunghezza variabile da pochi mm a più di 3
cm (Mammotome, ago 11 G) o di un unico e grosso cilin-
183
dro di tessuto mammario (Advanced Breast Biopsy
Instrumentation – ABBI, ago 2 cm).
Dall’inizio del 2000, presso il Policlinico di Bari, vengono effettuate agobiopsie mammarie con aspirazione forzata sotto guida stereotassica con il Mammotome.
Scopo del presente studio è valutare l’affidabilità di questa metodica su lesioni mammarie non palpabili di dubbio significato diagnostico all’esame radiologico ed ecografico, in
alternativa all’esame intraoperatorio, al fine di evitare un intervento chirurgico non sempre necessario.
Materiale e metodi
Dal gennaio 2000 al marzo 2001, 141 pazienti con lesioni
mammarie non palpabili sono state sottoposte a microbiopsia presso il Servizio Autonomo di Radiologia a Indirizzo
Senologico (S.A.R.I.S) del Policlinico di Bari. Le lesioni
erano tutte radiologicamente “indeterminate”, cioè prive all’imaging radiologico di caratteristiche che potessero farle
definire con certezza come benigne o maligne. Tutte le biopsie sono state effettuate utilizzando il “Mammotome”
(Ethicon Endo-Surgery, Hamburg) che consente l’acquisizione con aspirazione forzata (vacuum assisted biopsy) di
più frustoli corrispondenti a un’area di tessuto del volume di
1.5-2 cm3 circa [16], attraverso un’unica inserzione dell’ago.
Tecnica di prelievo
L’apparecchiatura utilizzata è costituita da un tavolo stereotassico digitale prono (Fisher), su cui è applicato un driver
connesso al sistema di aspirazione e sul quale viene montato un ago del calibro di 11 G collegato ad un modulo di controllo. L’ago presenta lateralmente una finestra, attraverso la
quale il tessuto può essere aspirato, quando esso sia giunto
nell’esatta posizione.
Dopo aver fatto distendere in posizione prona la paziente e aver effettuato la compressione della mammella, si
verifica che la lesione sia ben visibile sul monitor. Il computer calcola le coordinate geometriche per poter valutare
ed eventualmente modificare la profondità dell’ago, in modo da garantire un adeguato margine di sicurezza. Il valore
della profondità viene manualmente riportato sulla guida
millimetrata su cui scorre il driver, per definire l’esatta
profondità di penetrazione dell’ago. Si disinfetta la cute, si
calcola la proiezione cutanea della lesione e, in tal sede, si
procede all’iniezione superficiale e profonda di anestetico
locale. Utilizzando un bisturi monouso, si pratica un’incisione cutanea di 3 mm e si inserisce la sonda del Mammotome. Con uno scatto automatico o manualmente si fa
avanzare l’ago in corrispondenza dell’area da biopsizzare.
Quindi, con una piccola manopola posta lateralmente al
driver, si apre la finestra dell’ago e automaticamente entra
in funzione il sistema di aspirazione che attira il tessuto al-
184
C. Giardina et al.: Microbiopsia mammaria con Mammotome
Fig. 1 Immagine radiologica dei frustoli mammari asportati con il
Mammotome. Su alcuni di essi sono evidenti le microcalcificazioni
l’interno della finestra stessa. Contemporaneamente, l’avanzamento ad alta velocità della lama rotante reseca il tessuto intrappolato all’interno dell’ago e lo trascina nella camera di prelievo.
In tutte le pazienti incluse nello studio, la manovra di
aspirazione è stata ripetuta più volte, in modo da prelevare
un numero di frustoli sufficienti allo studio della lesione radiologicamente osservata, modificando di volta in volta la
sede del prelievo semplicemente ruotando la posizione della finestra dell’ago ed evitando così di doverlo reintrodurre.
Tutte le volte in cui il prelievo era stato indotto dalla presenza di microcalcificazioni, i frustoli prima di essere processati per l’istologia sono stati radiografati (Fig. 1), per verificare il corretto campionamento.
Al termine della procedura, attraverso lo stesso ago utilizzato per il prelievo, è stata posizionata una clip metallica
(Micro Mark Clip) per il successivo riconoscimento del sito
della biopsia. Quindi, fatta assumere alla paziente la posizione supina, nel sito della biopsia è stata praticata una manovra compressiva della durata di qualche minuto. La medicazione non ha mai richiesto punti di sutura.
Fig. 2 Aspetto macroscopico dei frustoli dopo fissazione in formalina
malina tamponata al 10%, prima del procedimento di inclusione. Tempi di fissazione più lunghi sono peraltro
sconsigliabili sia per gli effetti sugli antigeni tumorali, sia
per il possibile parziale o totale dissolvimento che fissativi acquosi come la formalina possono provocare sulle microcalcificazioni, che spesso sono la causa del sospetto
mammografico.
I frustoli sono stati routinariamente inclusi in paraffina;
da ogni blocchetto sono state ricavate 3-4 sezioni successivamente colorate con ematossilina-eosina. Si è preferito utilizzare l’ematossilina di Harris, per meglio evidenziare le
eventuali microcalcificazioni (Fig. 3). Quando i depositi di
calcio osservati radiologicamente non erano immediatamente visibili al microscopio ottico si è fatto ricorso all’osservazione a luce polarizzata.
Allestimento e lettura della microbiopsia
I campioni di tessuto, esaminati presso l’Unità Operativa I
di Anatomia Patologica del Policlinico di Bari, erano costituiti in media da 12 frustoli (range 5-22) di lunghezza
variabile tra 3.5 e 0.3 cm e dello spessore di 2-3 mm. (Fig.
2). L’aspetto macroscopico dei frammenti variava da fibroso a fibroadiposo, talora con aree emorragiche. In ogni caso, tutti i frammenti pervenuti, anche quelli apparentemente costituiti da coaguli o da solo tessuto adiposo, sono stati inclusi. In ogni cestello sono stati posizionati non più di
3 frustoli per volta, onde evitare fenomeni di sovrapposizione.
L’allestimento istologico delle biopsie ha generalmente richiesto un tempo compreso tra le 24 e le 36 ore; infatti è sufficiente un tempo di fissazione di 4-6 ore in for-
Fig. 3 Biopsia Mammotome: focolaio adenosico con evidenti depositi di calcio nei lumi ghiandolari (E-E)
C. Giardina et al.: Microbiopsia mammaria con Mammotome
Nello stesso periodo di tempo, sono pervenuti presso
la stessa U.O. di Anatomia Patologica del Policlinico di
Bari, 180 esami intraoperatori di lesioni mammarie. Di
questi, 55 riguardavano lesioni mammarie non palpabili
sospette per carcinoma. In tutti questi casi, alcune ore prima dell’intervento chirurgico, era stato posto sulla lesione un arpione sotto guida stereotassica. Il frammento
mammario asportato con l’arpione era stato successivamente radiografato e presentava inseriti uno o più aghi,
per meglio individuare la lesione stessa. Così preparato,
il frammento e la sua radiografia sono stati inviati al laboratorio di Anatomia Patologica per l’esame al congelatore. Dopo aver colorato con inchiostro di china nero la
superficie esterna del frammento, per la valutazione dei
margini di resezione, questo veniva orientato, confrontandolo con la radiografia e quindi sezionato seguendo i “repere” posti dal radiologo. Di volta in volta, uno o più
frammenti della lesione o dell’area sospetta sono stati
congelati, sezionati al criostato e colorati con ematossilina-eosina.
Risultati
Nella Tabella 1 sono riportati i casi di microbiopsie mammarie con il relativo imaging mammografico. Le 141 lesioni sottoposte a biopsia con il Mammotome presentavano un
diametro medio di 10 mm; 105 (74.5%) erano state effettuate per la presenza di microcalcificazioni evidenziate dall’esame mammografico. Le microcalcificazioni erano associate in 33 casi a carcinoma, in 63 casi a lesioni benigne e
in 9 casi a lesioni atipiche. L’indicazione radiologica al prelievo era stata posta dalla presenza di opacità a contorni irregolari in 20 casi, a contorni regolari in 6 casi e da opacità
stellate in 10 casi (Tab. 1).
L’esame istologico ha evidenziato una lesione benigna in
85 casi (60.3%), una lesione maligna in 46 casi (32.6%),
mentre in 10 casi (7.1%) è stata fatta diagnosi di lesione epiteliale con atipia.
Le lesioni benigne erano rappresentate da fibroadenomi
(12 casi), da adenosi (23 casi), da papilloma (1 caso), da aree
di fibrosi associate talora a metaplasia apocrina o a focolai
185
di ectasia duttale (30 casi) e da lesioni sclero-elastosiche (8
casi). Infine, in 11 casi la lesione prevalente era rappresentata da focolai di iperplasia epiteliale duttale e/o lobulare
senza caratteri di atipia, con presenza spesso di deposizioni
di sali di calcio. Molto spesso sui frustoli più lesioni benigne sono risultate associate e sono sempre state tutte descritte nel referto diagnostico. Tre delle lesioni benigne sono state sottoposte a escissione chirurgica: 1 papilloma e 2
casi con accentuata iperplasia epiteliale duttale e lobulare.
In questi tre casi, l’esame istologico del pezzo operatorio ha
confermato la diagnosi.
Le lesioni atipiche erano rappresentate da un papilloma
con atipie, da 7 casi di iperplasia duttale atipica e da 2 casi di iperplasia lobulare atipica. Il controllo istologico definitivo è stato effettuato in 9 casi. I 7 casi di iperplasia
duttale atipica sono stati sottoposti ad escissione chirurgica con conferma della diagnosi in 5 di essi; in un caso l’esame post biopsy ha evidenziato una adenosi florida con
iperplasia epiteliale senza atipie, mentre in un altro caso è
stata fatta diagnosi di carcinoma in situ ben differenziato.
L’iperplasia lobulare atipica (2 casi) è stata confermata sul
pezzo operatorio in un caso, mentre nell’altro caso la paziente ha rifiutato l’intervento. Il papilloma atipico all’esame definitivo è stato ridefinito come papilloma senza
atipie.
Le lesioni maligne erano rappresentate in 21 casi
(14.9%) da carcinomi duttali in situ e in 25 (17.7%) da carcinomi infiltranti. Tutti questi casi sono stati sottoposti ad
intervento chirurgico. I carcinomi in situ di tipo duttale,
sono stati confermati sul pezzo operatorio, in 18 casi. In
un caso il carcinoma è risultato completamente asportato
con l’agobiopsia e non era più presente sul pezzo operatorio. In due casi l’esame sul pezzo operatorio ha messo in
evidenza aspetti invasivi non evidenti sulla microbiopsia. I
carcinomi infiltranti (25 casi) erano di tipo duttale (19 casi), tubulare (2 casi), gelatinoso (2 casi) e di tipo misto
dutto-lobulare (2 casi). In 22 casi, la diagnosi di carcinoma infiltrante è stata confermata dall’esame post-biopsy.
In un caso, sul pezzo operatorio era residuata solo la componente in situ, mentre in altri 2 casi non c’era più neoplasia residua.
Le 55 lesioni infracliniche sottoposte ad esame intraoperatorio avevano un diametro medio di 0.75 cm (range 0.2-1.5
Tabella 1 Correlazione tra aspetto mammografico e natura delle lesioni prelevate con Mammotome
Imaging mammografico
Totale
Benigne
Microcalcificazioni
Opacità
A contorni irregolari
A contorni definiti
Stellari
Totale casi esaminati
105 (74.5%)
Lesioni
Maligne
Atipiche
63 (60.0%)
33 (31.4%)
9 (8.6%)
(25.5%)
(14.2%)
(4.2%)
(7.1%)
22 (61.1%)
12
6
4
13 (36.1%)
7
0
6
1 (2.8%)
1
0
0
141 (100%)
85 (60.3%)
46 (32.6%)
10 (7.1%)
36
20
6
10
186
C. Giardina et al.: Microbiopsia mammaria con Mammotome
cm). L’esame istologico al congelatore (Tab. 2) ha evidenziato un carcinoma in 38 casi (69%), una lesione benigna in 17
casi (31%), 8 dei quali con accentuata iperplasia epiteliale.
I falsi negativi osservati sono 3 (5.4%); in tutti si trattava di carcinomi di tipo tubulare, di piccole dimensioni e con
accentuata sclerosi e che all’esame intraoperatorio erano stati refertati come lesioni sclerosanti benigne.
Un falso positivo (1.8%) è stato causato da una lesione
sclerosante (diametro, 7 mm) interpretata come carcinoma
invasivo con aspetti tubulari sul tessuto congelato. In quest’ultimo caso, in realtà solo con l’ausilio di indagini immunoistochimiche (IIC) è stato possibile porre diagnosi di
lesione benigna.
Infine, in altri 6 casi (11%) la diagnosi intraoperatoria è
stata posta con riserva: 2 casi di carcinoma in situ vs. carcinoma invasivo; 3 casi di iperplasia epiteliale vs. carcinoma in
situ e 1 caso di adenosi sclerosante vs. carcinoma tubulare.
Quest’ultimo caso all’esame definitivo è stato diagnosticato
come carcinoma infiltrante con aspetti tubulari, mentre negli
altri cinque è stata confermata la diagnosi intraoperatoria.
Il rapporto benigno/maligno tra le biopsie intraoperatorie per lesioni infracliniche, nel periodo considerato, è risultato 0.4. Tale rapporto, nei 2 anni precedenti, in cui non venivano ancora effettuate le agobiopsie stereotassiche, è stato
0.58 nel 1998 e 0.7 nel 1999.
Discussione
La diagnosi preoperatoria delle lesioni mammarie costituisce sicuramente un grosso vantaggio sia per la paziente che
per il chirurgo, consentendo una corretta programmazione
dell’eventuale intervento ed evitando alla paziente il “trauma psicologico” associato all’esame intraoperatorio [17].
L’agobiopsia mammaria è un metodo diagnostico che
nel tempo ha incontrato fasi alterne di successo.
Recentemente, si è osservato un rinnovato interesse per
questa metodica ed una sua sempre maggiore diffusione,
imputabili a fattori diversi quali, da un lato, l’aumentata incidenza di lesioni mammarie piccole, clinicamente silenti,
che vengono evidenziate solo con l’esame mammografico,
dall’altro, l’immissione sul mercato di nuovi strumenti che
permettono di ottenere ambulatoriamente in modo rapido e
poco traumatico una quantità di tessuto che consente non
solo la diagnosi istologica, ma anche la tipizzazione della
lesione.
Negli ultimi anni, numerosi studi sono stati rivolti a valutare l’affidabilità della microbiopsia mammaria stereotassica sia a fini diagnostici [18-22], sia per quanto concerne la
valutazione dei marcatori tumorali [23, 24], confrontandola
con la citologia agoaspirativa [3, 25, 26] o con l’esame istologico sul pezzo operatorio: ne emerge un atteggiamento
unanime nel considerare tale metodica altamente affidabile
per entrambi gli scopi [19-24].
La core-biopsy effettuata con ago tru-cut sotto guida stereotassica o ecografica è stata inoltre posta a confronto con
quella effettuata in aspirazione forzata con il Mammotome,
che consente, con un solo inserimento dell’ago, il prelievo
di una quantità sufficiente di tessuto ampiamente rappresentativo della lesione [15, 27, 28]. Questa metodica, rispetto
alla prima, offre anche il vantaggio di posizionare una clip
metallica utile al radiologo nei successivi controlli radiologici o per il reperimento della lesione in caso di positività
della biopsia.
Il posizionamento della clip consente inoltre di superare
alcuni inconvenienti tecnici di non poco conto, quale l’oscuramento della lesione per accumulo di sangue o il suo
mancato riconoscimento, quando a distanza di tempo l’aria
introdotta dopo la core-biopsy sia stata riassorbita [22].
Inoltre, poiché con il Mammotome può verificarsi che la lesione venga completamente asportata [29-31], il reperimento della clip sul pezzo operatorio costituisce una garanzia per
il preciso riconoscimento della sede della lesione.
Il confronto con il pezzo operatorio, almeno per quanto
concerne le lesioni maligne o atipiche è stato considerato il
gold standard per valutare l’affidabilità della metodica.
Tuttavia, i casi in cui sul pezzo operatorio non è più presente la lesione, non devono essere considerati “falsi positivi”
ma “veri positivi”, in cui la lesione esistente è stata asportata completamente con la microbiopsia [22, 29-32]. Da ciò
deriva che il confronto con il tessuto asportato successivamente non può essere sempre considerato lo standard di riferimento per classificare la lesione come in citologia o per
Tabella 2 Distribuzione delle diagnosi intraoperatorie in 55 casi di lesione infracliniche della mammella
Diagnosi intraoperatorie
Casi esaminati
Falsi positivi
Falsi negativi
Diagnosi con riserva
Carcinoma
38
1
0
2 CDIS (riserva per invasione)aaaaaaa
Lesioni benigne
17
0
3
4 (1 lesione sclerosante/Cr invasivob
3 iperplasia epiteliale/Cr in situ)
Totale
55
1
3
6
a
b
Diagnosi confermata su incluso
In un caso diagnosi definitiva di carcinoma tubulare
C. Giardina et al.: Microbiopsia mammaria con Mammotome
gli esami intraoperatori; ciò che conta è il giudizio globale
del patologo. Sarebbe quindi raccomandabile che la microbiopsia e il pezzo operatorio venissero esaminati dallo stesso patologo [29-33].
Nella nostra casistica, la completa asportazione di una
lesione maligna con il Mammotome è stata osservata in 3 casi (2%): un carcinoma in situ e 2 carcinomi invasivi, tutti di
diametro inferiore a 6 mm. In 6 casi inoltre la lesione residua sul pezzo operatorio era così esigua da far preferire il
tessuto ottenuto dalla microbiopsia per la determinazione
dei marcatori tumorali.
La possibilità di poter asportare completamente una lesione non deve peraltro indurre ad attribuire al Mammotome
potenzialità terapeutiche; esso è da considerare esclusivamente un metodo diagnostico, che in caso di lesione maligna o atipica impone l’escissione chirurgica della stessa.
La biopsia con Mammotome si pone quindi in una posizione intermedia tra la core-biopsy effettuata con il tru-cut,
in cui i frustoli vengono ottenuti con inserimenti multipli di
un ago a ghigliottina e il metodo ABBI, indubbiamente più
aggressivo, che contempla l’uso di un ago del calibro di 2
cm e che dovrebbe avere finalità non solo diagnostiche, ma
anche terapeutiche [15].
Il confronto istologico, nella nostra esperienza, solo in 2
casi ha posto in evidenza il rischio di sottostimare gli aspetti
infiltranti di un carcinoma (sulle microbiopsie erano presenti solo gli aspetti in situ) o un carcinoma in situ ben differenziato, diagnosticato inizialmente come iperplasia atipica.
Le lesioni atipiche possono comportare un rischio anche
elevato di sottostima che in letteratura varia tra il 16% e il 56%
[24-26]; pertanto, la diagnosi di atipia dovrebbe sempre indurre all’asportazione chirurgica della lesione [17, 30, 31, 34].
Le cause di sottostima di una lesione sono differenti: infatti è verosimile che la sottostima di un carcinoma in situ
(ben differenziato) sulla microbiopsia possa attribuirsi all’atteggiamento mentale del patologo, che dovendo esprimere un giudizio su lesioni borderline preferisca attenersi ad un
atteggiamento prudenziale, per la oggettiva difficoltà che tali lesioni possono presentare [35]. La sottostima di un carcinoma invasivo è invece da attribuire esclusivamente al mancato prelievo dei focolai invasivi, particolarmente se microinvasivi, con la microbiopsia.
L’aumento del numero dei frustoli e del loro diametro,
rappresenta il modo per ridurre il rischio di errore e rendere
più affidabile la metodica. Numerosi Autori riportano un aumento dell’accuratezza diagnostica proprio utilizzando la
biopsia stereotassica con aspirazione forzata, anziché la biopsia con tru-cut, soprattutto per la diagnostica di lesioni atipiche [27, 31, 33, 36, 37].
Le lesioni che da un punto di vista diagnostico possono
porre maggiori problemi sono quelle caratterizzate da una
sclerosi accentuata associata a proliferazione epiteliale.
Infatti, l’impossibilità di valutare sulle microbiopsie l’architettura complessiva della lesione, può essere causa di “over”
o “under diagnosis”. In questi casi, il ricorso a metodiche
187
IIC per l’evidenziazione di cellule mioepiteliali e della
membrana basale (actina, miosina, collagene IV) possono risultare decisive. Le piccole lesioni stellate non dovrebbero
peraltro essere sottoposte né a microbiopsia né all’esame intraoperatorio al congelatore [7].
Anche tra gli esami intraoperatori i tre casi falsi negativi
e il caso falso positivo erano rappresentati da lesioni piccole
con sclerosi accentuata. In queste, il congelamento e la presenza spesso di microcalcificazioni possono determinare distorsioni tissutali o difficoltà al taglio da rendere molto difficile, se non impossibile, una diagnosi corretta.
Il diametro tumorale (T) non può essere accuratamente
definito: infatti sulla biopsia (soprattutto quando vengono
prelevati più frustoli) il tumore appare pluriframmentato.
Questo indubbiamente costituisce uno dei limiti della microbiopsia mammaria, in quanto il T è considerato un parametro
basilare per la stadiazione della malattia. A tal fine, si può tener conto del diametro della lesione sulla mammografia. Un
dato orientativo per i carcinomi infiltranti può essere rappresentato dal diametro massimo osservato sulle microbiopsie, che se non altro può costituire il limite inferiore certo
del diametro tumorale.
La core-biopsy consente in fase preoperatoria, non solo
la diagnosi ma anche la tipizzazione morfologica (istotipo,
invasività, grade) e biologica (assetto recettoriale, attività
proliferativa, oncogeni) della neoplasia. Ciò costituisce un
indubbio vantaggio in tutti quei casi che necessitano di chemioterapia neoadiuvante o che comunque non possono giovarsi della terapia chirurgica almeno in prima istanza, consentendo la programmazione terapeutica su basi più affidabili. Una delle obiezioni che vengono avanzate su questa finalità della core-biopsy concerne l’esiguità del campione
che potrebbe non essere rappresentativo di tutta la lesione
[38]. Tale problema, almeno in parte, può essere superato
con l’uso del Mammotome che rispetto al tru-cut consente
un campionamento molto più esteso della lesione.
Dai nostri casi è emersa una buona corrispondenza tra gli
aspetti osservati sulle biopsia e quelli sul pezzo operatorio;
c’è peraltro da considerare come la nostra casistica sia costituita da lesioni di piccole dimensioni, che in tre casi erano state asportate completamente con il Mammotome e in
altri sei casi in modo quasi completo, lasciando solo esigui
residui tumorali sul pezzo operatorio. È possibile che per lesioni più grandi anche il prelievo con il Mammotome non sia
rappresentivo di tutta la lesione; in questi casi peraltro solo
l’escissione chirurgica può consentire uno studio completo
del tumore.
La percentuale di carcinomi in situ (14.9%) da noi osservata sottolinea l’utilità di questo metodo nella diagnostica delle lesioni iniziali della mammella. L’utilizzo del Mammotome ha consentito nella nostra casistica di evitare un numero cospicuo di interventi chirurgici sia con esame intraoperatorio che non; su 82 casi di lesioni benigne, solo in 3 e
su richiesta della paziente c’è stata l’asportazione chirurgica
della lesione. In tutti questi casi, radiologicamente “indeter-
188
minati”, la microbiopsia ha permesso, ricorrendo anche a
metodiche IIC, una corretta valutazione della lesione. È proprio nei confronti delle lesioni benigne che la biopsia mammaria stereotassica con aspirazione forzata riveste una notevole importanza, in quanto consente di evitare l’intervento
chirurgico anche se, ovviamente, tutte le lesioni non sottoposte a successiva escissione chirurgica, necessitano di un
follow-up prolungato.
Nel nostro studio, emerge un diverso rapporto tra lesioni benigne e maligne, nell’ambito delle due metodiche considerate, infatti questo rapporto è 0.4 tra le biopsie intraoperatorie, mentre è 1.8 tra le biopsie Mammotome. Questa differenza può essere attribuita al fatto che le lesioni sottoposte ad esame intraoperatorio erano generalmente considerate “sospette” per carcinoma alla mammografia, mentre quelle sottoposte a biopsia con Mammotome erano lesioni radiologicamente ambigue.
Bianchi e coll. [12], in uno studio su 672 biopsie intraoperatorie di lesioni mammarie non palpabili effettuate nel
corso di 15 anni dal 1977 al 1992 hanno osservato un calo
del rapporto lesioni benigne/maligne dal 2.4 allo 0.6, attribuito all’introduzione nella diagnostica preoperatoria di queste lesioni della citologia agoaspirativa, con ago sottile sotto
guida stereotassica o ecografica.
Del tutto recentemente anche Scheiden e coll. [11], confrontando gli esami intraoperatori eseguiti nell’ambito di un
programma di screening in due differenti periodi (1990 e
1998), hanno osservato una significativa diminuizione del
rapporto lesioni benigne/maligne associata ad un calo significativo degli esami intraoperatori. Dallo stesso confronto
non emergeva invece alcuna variazione nell’utilizzo della citologia agoaspirativa.
Nella nostra casistica, il confronto con i due anni precedenti l’uso del Mammotome (1998 e 1999) ha mostrato un
calo del rapporto lesioni benigne/maligne anche se di entità
minore rispetto a quello osservato da Bianchi e coll. [12] e
da Sheiden e coll. [11]. Ciò può essere attribuito all’uso ormai da molti anni nella nostra struttura, della citologia agoaspirativa, come indagine di prima istanza per le lesioni mammarie sospette, che sicuramente avrà contribuito ad una selezione delle pazienti da sottoporre ad esame intraoperatorio.
L’esame citologico, pur con i suoi limiti, nella diagnostica preoperatoria, continua a conservare il suo significato come metodica più rapida, meno costosa, meno traumatica e
ripetibile e quindi la prima cui poter fare ricorso dopo la
mammografia. La microbiopsia mammaria quindi dovrebbe
essere considerata come una metodica che si pone in alternativa non tanto alla citologia, quanto piuttosto all’esame intraoperatorio, consentendo di evitare interventi chirurgici
non necessari in una elevata percentuale di casi.
Come proposto da Symmans e coll. [25], l’agoaspirato
con ago sottile potrebbe in molti casi costituire la prima procedura diagnostica invasiva, cui all’occorrenza associare la
biopsia stereotassica. Quest’ultima d’altronde mostra sia rispetto alla citologia che all’esame intraoperatorio una affi-
C. Giardina et al.: Microbiopsia mammaria con Mammotome
dabilità nettamente superiore. È ipotizzabile che in un futuro
non lontano questa metodica di prelievo assumerà nel campo
della patologia mammaria la stessa importanza diagnostica dell’agobiopsia della prostata.
La possibilità di effettuare l’esame istologico in un tempo
relativamente breve (24-36 ore nella nostra esperienza) e quindi di poter rapidamente programmare un eventuale successivo
intervento toglie qualsiasi validità a eventuali timori di disseminazione metastatica, imputabili al grosso calibro dell’ago.
Nella nostra casistica, non sono state neanche osservate sui
pezzi chirurgici post-biopsy effetti del tipo needle track dovuti al trascinamento e alla dislocazione di gruppi di cellule neoplastiche in strutture contigue, simulando aspetti invasivi.
In conclusione, in accordo con i dati della letteratura, anche nella nostra esperienza la biopsia percutanea stereotassica ad aspirazione forzata si conferma un metodo altamente affidabile per la diagnostica preoperatoria di lesioni mammarie mammograficamente dubbie.
Summary The aim of this work was to evaluate the accuracy of vacuum-assisted biopsy by comparing it with frozen
biopsy. 141 stereotaxic biopsies were performed by Mammotome (Ethicon Endo-Surgery, Hamburg) from January
2000 to March 2001. Biopsies were performed for microcalcifications (n=105, 74.5%), irregular opacities (n=20,
14.2%), regular opacities (n=6, 4.2%), stellate lesions
(n=10, 7.1%). Histological analysis showed 85 (60.3%) benign lesions, 46 (32.6%) malignant lesions including (21 cases of carcinoma in situ and 25 invasive carcinomas) and 10
(7.1%) atypical lesions. All malignant lesions were subjected
to surgery. In three cases (1 in situ and 2 invasive), corebiopsy was excisional and no residual lesion was observed.
Two of the carcinomas in situ revealed invasive features on
the surgical biopsy. One of the atypical lesions was underestimated and the final diagnosis was “well differentiated carcinoma in situ.” Only three of benign lesions underwent
surgery after Mammotome biopsy. Among the 55 frozen-section biopsies of mammographically detected breast lesions
performed in the same period, were one false-positive and 3
false-negative cases, while in 4 cases the diagnosis was deferred after paraffin embedding. Our results confirmed Mammotome biopsy as an effective alternative and a more reliable
method than frozen-section examination.
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