A cura di Palmiero Monteleone
Scritti di Borri, Brambilla, Bucci, Camilleri, Castaldo, Cortopassi,
Favaro, Galderisi, Iodice, Mauri, Mennella, Merlotti, Milos,
Monteleone, Mucci, Piegari, Santonastaso, Scognamiglio, Tortorella
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
Quadrimestrale - Sped. abb. postale - Poste italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 Conv. in L. 27/02/2004 N. 46) Art. 1, Comma 1, DCB - Roma - ISSN 1590-0711
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Siracusano
52
AGGIORNAMENTI IN PSICHIATRIA
NóOς
VOL 15, N 1, GENNAIO-APRILE 2009
NÓOς
AGGIORNAMENTI IN PSICHIATRIA
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~ ( ο νους)
“Tutte le cose erano insieme; poi v enne la ‘mente
e le dispose in ordine”
(A nassagora, Diog. Laer. , V ite dei Filosofi, II, cap. III)
I limiti della nostra conoscenza psichiatrica ci fanno descrivere, in molti modi e con
metodi diversi, la co-presenza, nel biologico, del somatico e dello psichico.
Abbiamo scelto la parola NÓOS, mente, per indicare lo spazio, il tempo e la trama di
quel che ci appare un intreccio significativo della natura umana, nel suo benessere o
nel suo malessere; e, pertanto, l’analisi delle componenti di questo intreccio, e del
loro modo di correlarsi, ci sembra irrinunciabile nella teoria e nella pratica clinica.
NÓOS vuole costituire uno strumento ed un’occasione di incontro e di confronto dei
diversi stili della ricerca psichiatrica, al fine di “aggiornare”, di trattare, cioè, i temi
psichiatrici esponendo i dati recenti e corrispondendo all’esigenza del tempo presente;
esigenza che ci sembra essere quella di un orientamento, metodologicamente fondato,
che escluda tanto un eclettismo acritico, quanto un cieco riduttivismo, e che si sforzi di
correlare i fenomeni somatici con i fenomeni psichici e psicopatologici (e viceversa),
nella speranza di una prossima capacità di integrare ogni ordine di fenomeni in una
visione, realistica e terapeuticamente efficace, dell’uomo come un tutto unico.
In tale ottica, ciascun numero della rivista, che avrà cadenza quadrimestrale, si occuperà di un argomento monotematico, di particolare attualità, e verrà affidato a singoli
curatori.
Gaspare Vella
Alberto Siracusano
La pubblicazione
di questa rivista
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NÓOς
AGGIORNAMENTI IN PSICHIATRIA
Volume 15, Numero 1, Gennaio-Aprile 2009
ANORESSIA E BULIMIA NERVOSA
A cura di
Palmiero Monteleone
Sommario
Prefazione
5
PALMIERO MONTELEONE
Diagnosi e instabilità diagnostica
nei disturbi del comportamento alimentare
7
GABRIELLA MILOS
Epidemiologia e fattori di rischio
15
PAOLO SANTONASTASO, ANGELA FAVARO
Regolazione del comportamento alimentare
e correlati biochimici dell’anoressia
e bulimia nervosa
21
ELOISA CASTALDO, PASQUALE SCOGNAMIGLIO,
PALMIERO MONTELEONE
La vulnerabilità genetica nell'anoressia
e nella bulimia nervosa
ALFONSO TORTORELLA, VALERIA IODICE,
ANNUNZIATA MENNELLA, PALMIERO MONTELEONE
43
Comorbilità psichiatrica di anoressia
e bulimia nervosa
65
CHIARA BORRI, VALERIA CAMILLERI,
SONIA CORTOPASSI, MAURO MAURI
Aspetti neuropsicofisiologici dei disturbi
del comportamento alimentare:
implicazioni per il trattamento
79
PAOLA BUCCI, ARMIDA MUCCI, ELEONORA MERLOTTI,
GIUSEPPE PIEGARI, SILVANA GALDERISI
Il trattamento integrato dei disturbi
del comportamento alimentare
FRANCESCA BRAMBILLA
91
Prefazione
I disturbi del comportamento alimentare (DCA), sebbene descritti fin dall’antichità, hanno trovato una propria autonomia nosografia solo recentemente. La quarta edizione rivista del Manuale Diagnostico e Statistico dei
Disturbi Mentali individua tre principali categorie diagnostiche: l’anoressia
nervosa (AN), la bulimia nervosa (BN) e i disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati (EDNOS). Negli ultimi anni, a causa dell’incremento dell’incidenza di tali disturbi e della maggiore sensibilizzazione
sociale, sono state condotte numerose ricerche che hanno contribuito a chiarire alcune delle problematiche diagnostiche, eziopatogenetiche e terapeutiche relative ai DCA.
Numerosi studi, soprattutto di follow-up, hanno verificato la validità dei criteri classificativi: sulla base delle frequenti fluttuazioni diagnostiche nella
storia clinica delle pazienti con DCA e della presenza di una sintomatologia
comune tra AN, BN ed EDNOS, è stata proposta una visione “transdiagnostica” dei DCA. Tale instabilità diagnostica, in un momento di grandi progressi della ricerca genetica e neurobiologica, accentua la necessità di una
classificazione che tenga conto sia della psicopatologia attuale sia del concetto di endofenotipo, con attenzione a tutti i disturbi nell’arco della vita di
un individuo.
Negli ultimi anni, le conoscenze derivanti dall’epidemiologia dei DCA
hanno consentito di definire le reali dimensioni del fenomeno, che oggi coinvolge circa il 10% delle donne e di caratterizzare l’AN come il disturbo psichiatrico con il più alto indice di mortalità. Inoltre, le indagini epidemiologiche hanno permesso l’identificazione di alcuni fattori di rischio, quali le
variabili socio-culturali, gli eventi stressanti e specifiche caratteristiche di
personalità, come l’evitamento, il perfezionismo e l’affettività negativa.
I recenti studi di neurobiologia e genetica hanno confermato l’interazione
fra fattori biologici ed ambientali nell’eziopatogenesi dei DCA. Nelle persone affette da DCA, sono state individuate modificazioni di neurotrasmettitori
e neuromodulatori che, anche se secondarie alla malnutrizione, potrebbero
essere geneticamente favorite. Di conseguenza, gli studi genetici si sono prevalentemente rivolti all’individuazione di geni “candidati”, verosimilmente
coinvolti nel determinismo della vulnerabilità biologica a tali disturbi. Non
essendo ancora emerse evidenze definitive a sostegno del ruolo patogenetico
di geni specifici, nella prospettiva di una revisione diagnostica, gli studi
futuri dovranno focalizzare l’attenzione su sottogruppi clinici più omogenei,
limitando l’eterogeneità dei fenotipi e identificando gli endofenotipi.
In questi anni, infine, lo studio dei DCA come entità autonome o prodromiche di altre patologie o coesistenti con altri disturbi psichiatrici, ha permesso di individuare gli alti tassi di comorbilità tra DCA, disturbi dell’umore,
d’ansia e di personalità. Pertanto, è necessario chiarire il significato di tale
associazione non casuale e, soprattutto, quali implicazioni cliniche, prognostiche e terapeutiche essa comporti. Infatti, nonostante i notevoli progressi
5
NÓOς
compiuti nell’ambito del trattamento dei DCA, la cura di tali disturbi necessita ancora di ulteriori approfondimenti e conoscenze. Anche in tale ambito,
una revisione diagnostica e le future conoscenze eziopatogenetiche consentiranno di perfezionare le attuali tecniche terapeutiche, ovvero le terapie
nutrizionali, le psicoterapie e le farmacoterapie, dando esito a risultati più
efficaci e, soprattutto, consentendo la messa a punto di adeguate strategie
per la prevenzione dei DCA.
Palmiero Monteleone
Dipartimento di Psichiatria, Università di Napoli SUN
6
Diagnosi e instabilità diagnostica
dei disturbi del comportamento alimentare
GABRIELLA MILOS
1:2009; 7-14
È di grande importanza approfondire la validità diagnostica dei criteri di classificazione
dei disturbi dell’alimentazione, poiché questi ne influenzano il riconoscimento, il trattamento e la ricerca. L’odierna classificazione dei disturbi dell’alimentazione – anoressia
nervosa, bulimia nervosa e disturbi alimentari atipici – suscita qualche scetticismo in
quanto, pur restando il disturbo alimentare chiaramente distinto da altre turbe psichiatriche, piccoli cambiamenti della sintomatologia, spesso cronica, possono causare un cambiamento della diagnosi (per esempio da bulimia nervosa ad anoressia nervosa e viceversa). In questo contesto è importante sottolineare che la categoria dei disturbi alimentari
atipici è estremamente eterogenea. Le fluttuazioni diagnostiche presenti anche in archi di
tempo modesti, ben conosciute dal clinico, sono state negli ultimi anni confermate dalla
ricerca scientifica. L’instabilità diagnostica associata ai sintomi comunemente presenti
sia nell’anoressia nervosa, che nella bulimia e nei disturbi atipici – come ad esempio la
forte preoccupazione per il peso e l’aspetto fisico – hanno portato a proporre una nuova
visione dei disturbi alimentari. Queste recenti considerazioni propongono anche un
nuovo approccio cognitivo comportamentale, chiamato “transdiagnostico”. Questo
approccio prevede non solo l’osservazione puntuale dei sintomi, ma propone di considerarne le fluttuazioni nel corso della malattia ed affrontare tali fluttuazioni nella terapia.
NÓOς
RIASSUNTO
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
Ospedale Universitario di Zurigo, Dipartimento di Psichiatria
Centro disturbi alimentari
Parole chiav e: anoressia nervosa, bulimia nervosa, diagnosi, instabilità diagnostica.
SUMMARY
It is important to deepen the validity of the diagnostic criteria of the eating disorders,
since they influence the recognition, the treatment and the research of these illnesses.
The today's classification of the eating disorders – anorexia nervosa, bulimia nervosa and
eating disorders not otherwise specified – arouses some scepticism. Although eating disorders represent a clearly distinguished illness category, small symptom changes during
the often long illness can cause changes of the diagnosis; f.e. changes from anorexia nervosa to bulimia nervosa and vice versa. In this context it is important to mention that the
category of the eating disorders not otherwise specified is extremely heterogeneous. The
diagnostic fluctuations can occur also in short laps of time and are well known from the
clinician, this phenomenon was recently confirmed by the scientific search. The diagnostic instability together with the common symptoms present in the vast majority of persons with all eating disorders diagnoses – such f. i. the weight and shape concern – lead
the a new cognitive behavioural approach, called “transdiagnostic” approach. This new
view does not only consider the current eating disorders symptoms, but lead to have a life
time view of the disorder including the frequent symptoms fluctuations. This global view
has important therapeutic implications.
Key words: anorexia nervosa, bulimia nervosa, diagnosis, diagnostic instability.
7
Indirizzo per la corrispondenza: Gabriella Milos, Ospedale Universitario di Zurigo, Dipartimento di
Psichiatria, Centro disturbi alimentari, Culmanstr. 8, 8091 Zurigo, Svizzera, [email protected]
NÓOς
G. MILOS
DIAGNOSI E INSTABILITÀ DIAGNOSTICA
DEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO
ALIMENTARE
INTRODUZIONE
L’odierna classificazione dei disturbi dell’alimentazione (DA)*1 è frutto
della cronologia con cui le malattie sono state identificate e con ciò della tradizione della denominazione medico-psichiatrica. La diagnosi di anoressia
nervosa (AN) fu ufficialmente introdotta da Gull e Lasègue nel 18732,3, questa fu per più di cento anni la sola diagnosi esistente di disturbo alimentare.
Solo nel 1979 Russel introdusse la diagnosi di bulimia nervosa (BN)4, definendola allora una pericolosa variante dell’AN. La diagnosi di BN fu poco
dopo ufficialmente introdotta nelle classificazioni internazionali5. Ci si rese
conto che con le due diagnosi di AN e BN si era ben lontani dal poter diagnosticare tutti i casi di DA e si introdusse allora la diagnosi di disturbo alimentare atipico (Eating Disorder Not Otherwise Specified, EDNOS)5. Da
allora abbiamo a disposizione tre principali categorie diagnostiche di DA:
AN, BN ed EDNOS. I criteri diagnostici dell’AN e della BN sono riportati
nelle tabelle I e II.
La classificazione attuale prevede quale criterio diagnostico discriminante la
presenza o assenza di sottopeso. In seguito si esamina la presenza, frequenza
o assenza di abbuffate e di comportamento compensatorio, come il vomito,
l’uso di lassativi, ecc. Infine si approfondisce la preoccupazione per il cibo,
il peso e l’immagine corporea. Il criterio “peso” ha il grosso vantaggio di
essere obiettivabile e quantificabile, bastano però piccole variazioni attorno
alla zona critica per giungere ad un cambiamento diagnostico. La stessa cosa
può succedere con il cambiamento di frequenza (o assenza) dei sintomi
compensatori. Con questi mutamenti del tempo anche le diagnosi possono
cambiare (figure 1 e 2).
Resta importante sottolineare che al di là di possibili mutamenti di sintomo e
di diagnosi, i DA restano all’interno della psichiatria un disturbo chiaramente distinto. È di grande importanza approfondire l’empirica validità dei criteri diagnostici dei DA poiché questi influenzano come noi riconosciamo,
ricerchiamo e trattiamo queste malattie6.
EVIDENZA CLINICA DEI CAMBIAMENTI DI DIAGNOSI
NEI DISTURBI ALIMENTARI
Il DA ha grande tendenza a perdurare negli anni e può diventare cronico con
conseguenze devastanti. L’esperienza clinica mostra che nell’arco del tempo
il DA può sussistere sebbene i singoli sintomi possano variare7.
Per la giovane che sviluppa un disturbo alimentare di tipo restrittivo con
calo ponderale importante se c’è adempimento di tutti i criteri diagnostici
porremo, secondo le regole di classificazione internazionali, la diagnosi di
AN di tipo restrittivo. La stessa persona può presentare dopo un lasso di
*Scelgo in questo articolo di operare con la classificazione DSM-IV TR perché più concisa della classificazione internazionale dei disturbi psichici (ICD-10) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO).
8
Tipo bulimico-purgativo (ANbp)
Nell’episodio attuale di anoressia nervosa, il soggetto presenta frequenti episodi di abbuffate
compulsive o condotte di eliminazione (ad es., vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi).
1:2009; 7-14
Specificare il tipo:
Tipo restrittivo (ANr)
Nell’episodio attuale di anoressia nervosa, il soggetto non presenta regolarmente abbuffate o
condotte di eliminazione (ad es., vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o
enteroclismi).
NÓOς
A. Rifiuto di mantenere il peso corporeo al livello minimo normale per l’età e la statura o al di
sopra di esso (ad es., perdita di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di sotto
dell’85% di quello atteso o, in età evolutiva, mancanza dell’aumento di peso previsto che porta
a un peso corporeo inferiore all’85% di quello atteso).
B. Intensa paura di aumentare di peso o di ingrassare, pur essendo sottopeso.
C. Disturbi nel modo di percepire il peso e le forme del proprio corpo, o eccessiva influenza del
peso e delle forme del corpo sui livelli di autostima, o diniego della gravità della perdita di peso
attuale.
D. Nelle donne che hanno già avuto il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno tre cicli
mestruali consecutivi (si considera una donna amenorroica se i suoi cicli avvengono solo
dopo somministrazione di ormoni, ad es. estrogeni).
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
Tabella I. Anoressia nervosa. Criteri diagnostici del DSM-IV TR.
Tabella II. Bulimia nervosa. Criteri diagnostici secondo il DSM-IV TR.
A. Episodi ricorrenti di abbuffate compulsive. Un’abbuffata compulsiva è definita dai seguenti
caratteri (entrambi necessari):
I. mangiare, in un periodo di tempo circoscritto (ad es., nell’arco di due ore) una quantità di
cibo che è indiscutibilmente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso periodo di tempo in circostanze simili;
II. una sensazione di mancanza di controllo sull’atto del mangiare nel corso dell’episodio (ad
es., sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa e quanto si sta
mangiando).
B. Ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie indirizzate a prevenire l’aumento di peso,
come: vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, enteroclismi o altri farmaci, digiuno o
esercizio fisico eccessivo.
C. Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe, in media, almeno due volte
alla settimana, per tre mesi.
D. I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporei.
E. Il disturbo non si verifica soltanto nel corso di episodi di anoressia nervosa.
Specificare il tipo:
Con condotte di eliminazione (BNp)
Nell’episodio attuale di bulimia nervosa, il soggetto ha presentato regolarmente vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi.
Senza condotte di eliminazione (BNnp)
Nell’episodio attuale di bulimia nervosa, il soggetto ha utilizzato regolarmente altri comportamenti compensatori inappropriati, quali il digiuno o l’esercizio fisico eccessivo, ma
non si dedica regolarmente al vomito autoindotto o all’uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi.
9
G. MILOS
DIAGNOSI E INSTABILITÀ DIAGNOSTICA
DEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO
ALIMENTARE
NÓOς
Fi g ura 1 . Rappresentazione grafica della classificazione diagnostica dei DA in base al
peso, alla frequenza di abbuffate e comportamento compensatorio settimanale (settimana,
s.). Anoressia nervosa restrittiva (ANr), anoressia nervosa binge purge (ANbp), bulimia
nervosa (BN), disturbo alimentare atipico (EDNOS).
Fi g ura 2 . Possibili mutamenti delle diagnosi in base alle fluttuazioni dell’intensità dei
sintomi quantificabili.
tempo che può variare da alcuni mesi ad alcuni anni un mutamento della sintomatologia sviluppando abbuffate seguite da vomito con o senza normalizzazione del peso. In presenza di sottopeso si porrà in questo caso la diagnosi
di AN binge purge. Se la persona nel corso del tempo normalizzerà il peso e
manterrà un comportamento di abbuffate e vomito (comportamento compen10
satorio) la diagnosi sarà di BN. Nel caso in cui più in là nel tempo la persona
avrà solo abbuffate senza alcun comportamento compensatorio la diagnosi
potrà essere di DA atipico.
1:2009; 7-14
NÓOς
Anche se per i motivi sopracitati, la classificazione attuale non soddisfa sempre il clinico attento ad una diagnostica precisa, le variazioni delle diagnosi
non sono state per molto tempo oggetto d’attenzione nel mondo della ricerca
scientifica. Molti studi avevano come obiettivo l’analizzare svariate caratteristiche in campioni di soggetti considerati “omogenei” in quanto avendo tutti
la diagnosi temporanea (current) di AN o BN. Senza spesso considerare che
variazioni anche minime di sintomatologia potevano portare ad un’altra diagnosi, e quindi a paragonare gruppi non in se veramente omogenei. Contemporaneamente le ricerche sul gruppo EDNOS mettevano sempre di più in evidenza la non omogeneità di questa categoria diagnostica8,9. Fu verso la fine
degli anni ‘90 che alcuni studi, soprattutto follow-up, riportavano a margine
fluttuazioni diagnostiche soprattutto in relazione ai casi di BN che in passato
avevano sofferto di AN10-14. Per esempio Keel e Mitchell riportavano che più
del 50% di individui con AN svilupperà più tardi BN, e che circa il 30% di
persone con la diagnosi di BN dice di aver avuto in passato AN12.
Negli anni seguenti Fainburn, proponendo una nuovo approccio terapeuticocognitivo-comportamentale per tutti i DA, enfatizza i sintomi comuni fra AN,
BN ed EDNOS e propone di non sottolinearne le differenze temporali. Egli
infatti sottolinea che la grande maggioranza delle persone colpite da un DA è
mentalmente molto occupata a pensare al cibo, al controllo sul cibo (diete),
all’apparenza fisica, al proprio peso. Fairburn sottolinea pure quale caratteristica comune nei DA anche l’influsso che questi fattori hanno sull’autostima
nella maggior parte delle persone colpite da DA (figura 3). Sulla base della
sintomatologia che accomuna gli individui colpiti da DA e sulla base dei clinicamente evidenti e frequenti cambiamenti di sintomo egli propone una
visione “transdiagnostica” dei DA15,16. Fairburn riporta che la categoria diagnostica più frequentemente usata è EDNOS e considera inopportuno che
questa categoria sia definita come “disturbo non meglio specificato” 16,17.
Le frequenti variazioni della sintomatologia e quindi anche della diagnosi
divengono negli ultimi anni oggetto diretto di studio. L’instabilità diagnostica
viene empiricamente confermata18,19.
Nel nostro studio analizziamo i cambiamenti di diagnosi in un arco di tempo di
30 mesi (tre misurazioni: baseline, dopo un anno e dopo 30 mesi) in circa 200
pazienti con AN, BN ed EDNOS. I risultati segnalano che AN è la diagnosi
più stabile seguita da BN ed EDNOS. Cambiamenti avvengono in tutte le direzioni anche dopo molti anni di inizio della malattia, ci sono remissioni temporali seguite spesso dalla ripresa del disturbo.
Essendo il gruppo EDNOS composto da quadri clinici molto diversi che possono comprendere situazioni subsindromali di AN e BN, ma anche patologie
come il binge eating (abbuffate non seguite da comportamenti compensatori)
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
INSTABILITÀ E PROBLEMI DIAGNOSTICI NEI DISTURBI ALIMENTARI
11
G. MILOS
DIAGNOSI E INSTABILITÀ DIAGNOSTICA
DEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO
ALIMENTARE
NÓOς
Fi g ura 3 . Frequenti sintomi mentali spesso comuni nei DA (AN, BN, EDNOS).
o altre patologie alimentari come il masticare cibo ed in seguito sputarlo portano la ricerca soprattutto a paragonare campioni di AN e BN. Infatti, Tozzi et
al. considerano campioni di AN e BN, riportando che i cambiamenti più frequenti da AN a BN avvengono entro i primi 5 anni dall’insorgere del DA19.
L’instabilità diagnostica acquista quindi negli ultimissimi anni rilievo ed
accentua l’importanza di una classificazione diagnostica più soddisfacente. La
visione “transdiagnostica” dei DA va vista nel contesto di un momento di
grandi progressi della ricerca biologica in campo psichiatrico. Infatti, l’attuale
classificazione delle malattie psichiatriche in generale non facilita la ricerca
soprattutto nel campo della genetica e della neurobiologia. I risultati incoraggianti in questi campi ci portano ad una nuova considerazione del disturbo
psichiatrico. Clinicamente l’attenta momentanea descrizione di un sintomo o
di una certa psicopatologia porta alla descrizione di una sindrome, ma da qui
si è lungi dal capire origine e cause del disturbo. La recente introduzione del
concetto di endofenotipo in psichiatria ci invita a considerare tutti i sintomi e
disturbi nell’arco dell’esistenza (lifetime) di un individuo20,21.
Nel caso dei DA potrebbe essere quindi importante conoscere la fluttuazione
delle singole sintomatologie come le variazioni di peso, la presenza di comportamenti compensatori, i tratti di carattere, ecc. durante il corso della
malattia per permettere l’identificazione di validi fenotipi22.
INSTABILITÀ DIAGNOSTICA: IMPLICAZIONI TERAPEUTICHE
L’instabilità diagnostica dei DA non ha solo rilievo in relazione all’eziopatologia della malattia, ma può essere un fenomeno importante anche nel contesto
terapeutico. È, infatti, utile tenere presente che anche il trattamento stesso
12
1:2009; 7-14
NÓOς
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
può influire, non solo positivamente, sui cambiamenti della patologia alimentare.
Per esempio la paziente con la diagnosi di AN restrittiva, messa sotto pressione estrema in terapia per la presa di peso, potrebbe portare a una nuova
forma di patologia alimentare. Questo è un fatto non raro se alla paziente
vengono poste conseguenze insopportabili nel caso che la presa di peso non
avvenisse. La situazione può porsi soprattutto se la paziente non è seguita da
vicino per quello che riguarda la modalità e organizzazione dei pasti. Infatti,
la paziente stessa, non essendo in grado di calibrare in modo sensato qualità
e quantità degli alimenti ed assumerli in un ritmo adeguato, potrebbe entrare
in un’alimentazione caotica. La pressione forzata del prendere peso potrebbe
portare la persona ad un’assunzione incontrollata e veloce di alimenti e quindi allo sviluppo di abbuffate che potranno essere seguite o no da vomito o
altre misure di compensazione. La paziente potrà sì migliorare il proprio
peso, ma non in modo costruttivo, passando da una patologia alimentare
restrittiva ad una con abbuffate.
Un altro pericolo è da vedere per esempio nel caso di una paziente con la
diagnosi di BN e frequente vomito autoindotto. Se nella terapia la pressione
alla normalizzazione del comportamento alimentare è esagerata e poco supportata soprattutto per l’aiuto concreto ai pasti, potrà darsi che alcuni individui inizino a cibarsi in modo molto restrittivo. Questo decorso potrebbe portare ad una perdita ponderale e ad una sintomatologia anoressica, fino a
giungere al completo quadro di AN. È quindi utile gestire ogni piccolo cambiamento del sintomo alimentare con estrema cautela e mettere a disposizione un aiuto professionale concreto durante i pasti.
IL FUTURO DELLA DIAGNOSTICA DEI DISTURBI ALIMENTARI
Le nuovissime scoperte genetiche e neurobiologiche degli ultimi anni porteranno a rivedere tutta la diagnostica psichiatrica. Nel caso dei DA è auspicabile una classificazione che descriva la situazione momentanea (current)
della patologia alimentare, accompagnata da una compatta descrizione delle
fluttuazioni passate (lifetime), così da poter ottimamente trattare la paziente
tendendo conto di tendenze e propensioni. Si auspicherebbe una classificazione che includesse anche la comorbilità psichiatrica, molto alta nei
DA16,23,24. Sarebbe quindi di grande importanza considerare anche le fluttuazioni di altre psicopatologie nell’arco della vita dell’individuo. Ci si riferisce
qui in primo luogo ai problemi più frequenti come le turbe dell’umore, dell’ansia e dei disturbi ossessivo-compulsivi.
Un’ipotetica nuova classificazione potrebbe portare ad identificare sottogruppi più omogenei degli odierni AN, BN ed EDNOS. Questo sarebbe di
grande utilità sia per la clinica che per la ricerca. La modalità di tale classificazione resta al momento aperta come sfida per le prossime generazioni.
13
NÓOς
G. MILOS
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DIAGNOSI E INSTABILITÀ DIAGNOSTICA
DEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO
ALIMENTARE
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Epidemiologia e fattori di rischio
PAOLO SANTONASTASO, ANGELA FAVARO
1:2009; 15-20
I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono considerati tra le prime 10
cause di disabilità nelle giovani donne e l’anoressia nervosa (AN) è il disturbo psichiatrico con i più alti indici di mortalità. L’incidenza delle sindromi principali (AN
e bulimia nervosa, BN) non è in aumento negli ultimi decenni, ma il fenomeno
DCA nel suo complesso coinvolge circa il 10% delle giovani donne. Nella prospettiva di una ulteriore revisione del sistema classificatorio e diagnostico dei disturbi psichiatrici, la conoscenza dell’epidemiologia dei DCA può fornire importanti indicazioni sulla validità e attendibilità dei confini diagnostici necessari per definire una diagnosi categoriale o dell’utilità nell’utilizzazione di un determinato aspetto dimensionale. La prospettiva epidemiologica inoltre è essenziale per l’identificazione dei fattori di rischio. Una interazione tra fattori genetici e fattori ambientali sembra essere
alla base dello sviluppo di un DCA. Gli studi sui gemelli hanno stimato una erediterietà di circa il 50% per AN e BN, mentre, tra i fattori ambientali, è stata dimostrata
l’importanza di fattori di tipo socio-culturale, di eventi stressanti e abusi sessuali, di
fattori perinatali, e di alcune specifiche caratteristiche di personalità e pattern di comportamento, come il perfezionismo, l’affettività negativa e i comportamenti di dieta.
NÓOς
RIASSUNTO
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
Clinica Psichiatrica, Dipartimento di Neuroscienze,
Università di Padova
Parole chiave: anoressia nervosa, bulimia nervosa, fattori di rischio, fattori genetici.
SUMMARY
Eating disorders rank among the 10 leading causes of disability among young women
and anorexia nervosa has the highest mortality rate of all mental disorders. The incidence of the full syndromes (anorexia nervosa and bulimia nervosa) is not increasing in
the last decades, but the phenomena of eating disorders regards about 10% of young
women. In the perspective of a revision of the diagnostic criteria of psychiatric disorders, the knowledge of the epidemiology of eating disorders can give important information about the validity and reliability of the diagnostic thresholds or about the usefulness of specific dimensional constructs. Furthermore, epidemiology is essential for the
identification of risk factors. An interaction between genetic and environmental factors
seems to explain the pathogenesis of eating disorders. Twin studies have estimated a
heritability of about 50% for anorexia nervosa and bulimia nervosa. As regards environmental factors, the risk of eating disorders seems to be affected by socio-cultural factors,
stressful events and sexual abuse, perinatal factors, and particular psychological characteristics and behaviors, such as perfectionism, negative affectivity, and dieting.
Key words: anorexia nervosa, bulimia nervosa, risk factors, genetic factors.
15
Indirizzo per la corrispondenza: Paolo Santonastaso, Clinica Psichiatrica, Dipartimento di Neuroscienze,
Via Giustiniani, 3 - 35128 Padova, [email protected]
NÓOς
16
EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO
P. SANTONASTASO - A. FAVARO
EPIDEMIOLOGIA
I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono considerati tra le
prime 10 cause di disabilità nelle giovani donne e l’anoressia nervosa (AN)
è il disturbo psichiatrico con i più alti indici di mortalità1.
Negli ultimi anni i DCA sono stati oggetto di un numero sempre maggiore
di pubblicazioni nella letteratura scientifica internazionale e i metodi adottati
nelle ricerche sono diventati sempre più rigorosi. Le linee guida che sono
punto di riferimento per la ricerca epidemiologica in psichiatria2 permettono
di ottenere stime attendibili e l’affinamento degli strumenti diagnostici ha
migliorato la validità degli studi.
Ancora molti punti rimangono tuttavia da chiarire. La ricerca epidemiologica
viene chiamata sempre di più in causa per una migliore comprensione di un
fenomeno il cui confine non è ancora chiaramente definito3,4: la recente discussione sui DCA non altrimenti specificati (o disturbi alimentari atipici) pone
l’accento su un possibile allargamento dei confini diagnostici5 e porta l’attenzione degli studi epidemiologici sulla comprensione di un fenomeno più ampio
rispetto alle singole diagnosi di AN e bulimia nervosa (BN). Questo richiede un
approccio più ampio e una sostanziale modificazione delle interviste diagnostiche che si basano sull’identificazione solo di alcuni criteri diagnostici (presenza
di sottopeso e presenza di crisi bulimiche) e che approfondiscono la diagnosi
solo se i soggetti presentano almeno uno di questi. Allo stesso modo, molti
degli studi epidemiologici che si basano sulla classica metodologia a due stadi6,
che comprende una fase di screening attraverso misure autosomministrate in
grado di identificare i “soggetti a rischio” e poi una intervista ad un numero
ristretto di soggetti, non sono in grado di fornire stime attendibili per quanto
riguarda i DCA atipici. Non siamo infatti in grado di quantificare la capacità di
screening dei vari questionari utilizzati per quanto riguarda i DCA atipici. Infine, solo gli studi epidemiologici che utilizzano una intervista diagnostica somministrata a tutto il campione preso in esame sono in grado di fornire delle
stime di “prevalenza lifetime”, ossia di identificare non solo quei soggetti che
hanno un DCA attuale, ma anche quelli che ne hanno sofferto in passato.
Il vantaggio fondamentale fornito dalla prospettiva epidemiologica in psichiatria è legato all’osservazione che solo una piccola percentuale dei casi di AN ed
una ancora più piccola percentuale dei casi esistenti di BN arrivano all’osservazione dello specialista (per i disturbi atipici la precentuale non è nota): Hoek et
al.6, basandosi su uno studio svolto nella medicina di base in Olanda7, hanno
stimato che il 43% dei casi di anoressia e l’11% dei casi di bulimia vengono
riconosciuti dal medico e quindi inviati, almeno in parte, presso centri specialistici (nel 79% e nel 51% dei casi rispettivamente). In Italia, sebbene la medicina di base abbia un ruolo più limitato come “filtro” rispetto a paesi come l’Olanda e la Gran Bretagna, questi dati sembrano confermati dai pochi studi epidemiologici finora svolti3,8. Lo studio di popolazioni afferenti ai Centri per i
DCA o agli ambulatori psichiatrici non può quindi essere considerato del tutto
rappresentativo per lo studio di fattori di rischio, caratteristiche cliniche ed evoluzione. Le stesse categorie diagnostiche sembrano essere rappresentate in
modo diverso nella popolazione generale e nelle popolazioni cliniche3.
Quindi, nella prospettiva di una ulteriore revisione del sistema classificatorio
e diagnostico dei disturbi psichiatrici, la prospettiva epidemiologica è l’unica
in grado di fornire dati attendibili sulla validità e attendibilità dei confini diagnostici necessari per definire una diagnosi categoriale o dell’utilità nell’utilizzazione di un determinato aspetto dimensionale.
1:2009; 15-20
NÓOς
Vista la bassa incidenza dei DCA e, quindi, la difficoltà di studiare direttamente l’insorgenza di nuovi casi nella popolazione generale, gli studi disponibili si basano sullo studio di registri di casi presso le strutture ospedaliere e
i servizi psichiatrici e, più recentemente, presso la medicina di base. Proprio
dai primi studi di incidenza, basati sui ricoveri ospedalieri dei casi di AN, è
emersa la convinzione che i DCA fossero, negli ultimi decenni, in notevole
aumento. Questa convinzione è stata smentita dagli studi più recenti7,9, che
dimostrano la stabilità dell’incidenza di AN e BN perlomeno dagli anni ’80’90 in poi. È possibile che prima degli anni ’80 ci sia stato un aumento dell’incidenza di questi disturbi, accompagnato da un progressivo miglioramento delle capacità dei clinici di riconoscere i casi di DCA6. Le stime di incidenza che derivano dagli studi svolti con maggiore accuratezza mostrano
una incidenza aggiustata per sesso ed età pari a 4,7-8,3 per 100.000 abitanti
nell’AN7,9,10 e pari a 6,6-13,5 nella BN7,9,11. L’età maggiormente a rischio è
quella compresa tra i 15 e i 19 anni nell’AN e tra i 20 e i 24 anni per la BN.
Nei soggetti di sesso maschile gli studi identificano stime di incidenza di
circa un decimo di quelle per il sesso femminile nell’AN e di circa un trentesimo nella BN6.
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
Incidenza
Prevalenza
Nei paesi occidentali, la prevalenza punto dell’AN è stimata tra lo 0,2-0,9%6,
mentre si aggira attorno all’1% per la BN. Pochi studi sono in grado di fornire stime di prevalenza dei DCA atipici e stime di prevalenza lifetime per AN
e BN. Lo studio svolto a Padova3 ha utilizzato una intervista in cui venivano
indagati tutti i criteri diagnostici (attuali e pregressi) in un campione rappresentativo della popolazione generale femminile tra i 18 e i 25 anni di età
residenti in due aree di Padova, una urbana ed una suburbana. Questo studio
ha permesso di fornire stime di prevalenza attendibili sia attuali che lifetime,
sia per le sindromi piene (AN e BN), sia per i disturbi alimentari atipici o
non altrimenti specificati (tabella I).
Nel complesso questo studio, alla pari degli altri studi epidemiologici svolti
in Italia8,12,13, conferma che la frequenza dei DCA in Italia è simile a quella
riscontrata negli altri paesi occidentali o industrializzati6,14,15. Inoltre lo studio dimostra che la frequenza di AN e BN è significativamente maggiore
nelle aree urbane rispetto a quelle suburbane, similmente a quanto rilevato in
uno studio di incidenza svolto in Olanda7.
17
NÓOς
Tabella I. Prevalenza dei disturbi alimentari nella popolazione generale femminile*.
18
EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO
P. SANTONASTASO - A. FAVARO
Diagnosi
Prevalenza
attuale
95% C.I.
Prevalenza
lifetime
95% C.I.
0,3
1,8
0,1
0,7
2,4
5,3
0,0 – 0,7
0,9 – 2,6
0,0 – 0,3
0,2 – 1,3
1,4 – 3,3
3,9 – 6,8
2,0
4,6
0,6
2,6
3,1
11,0
1,1 – 2,9
3,3 – 5,9
0,1 – 1,2
1,6 – 3,6
2,0 – 4,2
9,0 – 13,0
Anoressia nervosa (AN)
Bulimia nervosa (BN)
Binge eating disorder
AN atipica
BN atipica
Tutti i DCA
*Modificata da Favaro et al., (2003), C.I. = intervallo di confidenza.
FATTORI DI RISCHIO
I DCA sono considerati disturbi ad eziologia complessa, ossia disturbi che si
sviluppano per una interazione tra fattori di rischio genetici e fattori ambientali. L’importanza dei fattori di rischio genetici è stata dimostrata dagli studi
sulla familiarità dei DCA (gli studi che valutano la frequenza dei DCA nei
familiari delle pazienti) e dagli studi sulle coppie di gemelli. Gli studi di
familiarità hanno dimostrato che i DCA sono più frequenti tra i familiari di
primo grado delle pazienti con AN e/o BN rispetto ai familiari di soggetti
sani1. Oltre ad una maggiore prevalenza di entrambi i tipi di DCA, nei familiari delle pazienti è stata riscontrata anche una maggiore frequenza di
depressione, di disturbi da abuso/dipendenza da alcool, di disturbi dello spettro ossessivo-compulsivo1,17. Gli studi sui gemelli hanno permesso di quantificare l’ereditarietà di questi disturbi, ossia di stimare quale componente del
rischio di sviluppare un DCA è dovuta a fattori genetici. Uno studio recente
su oltre 31.000 gemelle ha stimato una erediterietà dello 0,56 per l’AN18. Per
quanto riguarda la BN, gli studi sembrano indicare stime di ereditarietà che
variano dal 50 all’83%34. Non esistono studi che valutino l’ereditarietà dei
DCA non altrimenti specificati, ma la coesistenza di sindromi piene e sindromi parziali all’interno delle stesse famiglie fa pensare che almeno una parte
dei fattori genetici sia comune a tutto lo spettro dei DCA.
Alcuni studi di linkage e di genetica molecolare sono stati condotti su
pazienti con AN e/o BN e sulle loro famiglie. Gli studi per ora non hanno
portato a risultati definitivi. Gli studi di linkage hanno evidenziato per l’AN
una zona del cromosoma 1 e per la BN una zona nel cromosoma 10, come
potenzialmente implicate nella patogenesi dei DCA35. La zona del cromosoma 1 contiene alcuni geni (il recettore 1D della serotonina e il recettore
delta-oppioide) interessanti le cui varianti si sono dimostrate associate alla
diagnosi di AN anche in studi successivi18,19. Gli studi di associazione hanno
invece preso in esame geni le cui varianti possono influenzare il funzionamento psichico (recettori e trasportatore della serotonina, recettori dopamina,
recettori estrogeni, brain-derived neurotrophic factor, l’enzima COMT, e
altri) e gli aspetti metabolici (ghrelina, leptina).
1:2009; 15-20
NÓOς
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
Non meno importanti nella patogenesi dei DCA sono i fattori di rischio di
tipo ambientale16. In questo ambito ci sono fattori di tipo socio-culturale, gli
eventi stressanti e traumatici, i fattori perinatali, i fattori familiari. Alcune
caratteristiche di personalità (perfezionismo, aspetti temperamentali, caratteristiche neuropsicologiche) e aspetti del comportamento (comportamenti di
dieta, abuso di sostanze) non sono da considerare propriamente come fattori
di rischio, ma piuttosto precursori di malattia (a loro volta determinati da una
interazione tra fattori genetici e ambientali) che segnalano un aumentato
rischio, pur non rappresentando ancora un esordio. A questo proposito, molti
gruppi di ricerca stanno cercando di individuare dei possibili ‘endofenotipi’
dei DCA, ossia quelle caratteristiche psicologiche, cognitive e/o biologiche
che sono associate alla malattia e che sono ereditabili, stabili nel tempo e
misurabili in modo quantitativo20. L’identificazione di possibili endofenotipi
dovrebbe facilitare la comprensione della patogenesi della malattia da un
lato e rendere dall’altro più semplice l’identificazione dei fattori genetici e
ambientali coinvolti nonché le loro possibili interazioni. Infine, tra i fattori
biologici che sono stati identificati come associati ai DCA, è importante
capire quali sono i veri e propri fattori di rischio (pre-esistenti allo sviluppo
del disturbo), quali sono conseguenza dello stato di malattia e della malnutrizione (secondari allo sviluppo del disturbo) e quali invece rappresentino
delle “cicatrici” del disturbo stesso (secondari al disturbo, ma presenti anche
dopo la guarigione).
Tra le caratteristiche psicologiche associate ad un aumentato rischio di sviluppare un DCA dimostrato attraverso studi prospettici, una metanalisi21 ha
identificato: il comportamento di dieta, il perfezionismo, l’affettività negativa o la depressione, l’impulsività e l’abuso di sostanze. Altri fattori di rischio
identificati da più studi sono5: la pressione verso la magrezza legata a particolari ambienti di vita, lavorativi o sportivi, la presenza di sovrappeso o obesità pregressa o in famiglia (per BN), l’essere presi in giro per il proprio
aspetto durante l’adolescenza, gli abusi sessuali, la presenza di disturbi d’ansia. Infine, alcuni studi recenti hanno riscontrato che alcune complicanze
ostetriche aumentano significativamente il rischio di sviluppare AN22. Lo
studio più recente23 ha ipotizzato un ruolo di alcuni fattori perinatali (per
esempio, basso peso alla nascita) anche nella BN. Inoltre, nell’AN, il numero
di complicanze perinatali correla negativamente con l’età di esordio della
malattia, in modo simile a quanto riscontrato nella schizofrenia23. Lo studio
del ruolo dei fattori perinatali è molto interessante perché, oltre a problemi
nel neurosviluppo, i problemi durante la vita fetale sembrano avere importanti implicazioni nello sviluppo delle capacità di risposta allo stress e dei
meccanismi di neuroendocrini deputati al controllo del peso e della
fame/sazietà.
In conclusione, lo sviluppo dei DCA sembra legato sia a fattori genetici che
a fattori ambientali. Una maggiore conoscenza nell’ambito di questi fattori,
delle loro possibili interazioni, e del ruolo svolto nello sviluppo di comportamenti o caratteristiche psicologiche che sono precursori del DCA ci permetteranno di pianificare efficaci interventi di prevenzione e di migliorare le
strategie terapeutiche.
19
NÓOς
20
EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO
P. SANTONASTASO - A. FAVARO
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Regolazione del comportamento alimentare
e correlati biochimici
dell’anoressia e bulimia nervosa
L’anoressia nervosa (AN) e la bulimia nervosa (BN) sono disturbi psichiatrici caratterizzati da alterazioni del comportamento alimentare e squilibrio dell’omeostasi energetica.
Modificazioni a carico dei neurotrasmettitori/neuromodulatori centrali e periferici, coinvolti nella regolazione dell’assunzione di cibo e della spesa energetica, sono state ampiamente osservate in pazienti in fase acuta di malattia. Al momento, i dati della letteratura
certamente suggeriscono un coinvolgimento di dette sostanze nella fisiopatologia dell’AN
e della BN, ma non consentono di stabilire se le alterazioni osservate siano indici di stato
o di tratto. È stato proposto che alcune di dette alterazioni, anche se secondarie alla malnutrizione e/o agli aberranti comportamenti alimentari, una volta manifestatisi, possano
contribuire al mantenimento di alcuni aspetti sintomatici del disturbo alimentare, influenzando il decorso e/o la prognosi del disturbo stesso. Studi futuri dovranno chiarire se le
alterazioni neurondocrine osservate nell’AN e nella BN siano, almeno in parte, geneticamente determinate e contribuiscano alla vulnerabilità biologica per detti disturbi.
1:2009; 21-41
RIASSUNTO
NÓOς
Dipartimento di Psichiatria,
Università di Napoli SUN, Napoli
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
ELOISA CASTALDO, PASQUALE SCOGNAMIGLIO,
PALMIERO MONTELEONE
Parole chiave: anoressia nervosa, bulimia nervosa, peptidi, fame, sazietà, neurotrasmettitori, neurobiologia.
SUMMARY
Anorexia nervosa (AN) and bulimia nervosa (BN) are psychiatric disorders characterized
by abnormal eating behaviours and imbalance of energy homeostasis. Changes of both
central and peripheral neuroendocrine substances involved in the modulation of food
intake and energy expenditure have been described in acutely ill patients with eating disorders. Literature data do suggest a dysregulation of neuroendocrine feeding regulators in
both AN and BN but, at the moment, they do not allow to establish the state or traitdependent nature of those aberrations. It has been proposed, although not definitively
proved, that neuroendocrine alterations, even when secondary to malnutrition and/or to
aberrant eating behaviours, might contribute to the genesis and the maintenance of some
symptomatic aspects of AN and BN, thus affecting the course and the prognosis of these
disorders. Future studies should clarify whether neuroendocrine alterations are part of the
genetically transmitted biological vulnerability to eating disorders.
Key words: anorexia nervosa, bulimia nervosa, peptides, hunger, satiety, neurotransmitters, neurobiology.
21
Indirizzo per la corrispondenza: Monteleone Palmiero, Dipartimento di Psichiatria, Università di Napoli SUN, Largo Madonna delle Grazie, 80138 Napoli, e-mail: [email protected]
NÓOς
REGOLAZIONE DEL COMPORTAMENTO
ALIMENTARE E CORRELATI BIOCHIMICI
DELL’ANORESSIA E BULIMIA NERVOSA
E. CASTALDO - P. SCOGNAMIGLIO
P. MONTELEONE
INTRODUZIONE
I disturbi del comportamento alimentare (DCA), anoressia nervosa (AN) e
bulimia nervosa (BN) sono attualmente considerati, dal punto di vista eziopatogenetico, disturbi multifattoriali, risultanti dalla complessa interazione
di fattori biologici, psicologici/personologici e ambientali socio-culturali.
Nell’ambito dei fattori biologici, distinguiamo fattori genetici e biochimici. I
primi comprendono la vasta gamma di varianti geniche che conferiscono ad
un individuo la vulnerabilità specifica allo sviluppo di un DCA; i secondi
sono rappresentati dai neurotrasmettitori, neuropeptidi e ormoni periferici
coinvolti nella regolazione del comportamento alimentare.
In questo articolo, descriveremo brevemente i meccanismi biologici di regolazione del comportamento alimentare e forniremo una revisione dei dati
della letteratura scientifica concernenti la neurobiologia dell’AN e della BN,
focalizzando l’attenzione sui fattori biochimici implicati nella regolazione
del comportamento alimentare.
REGOLAZIONE DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
La regolazione del comportamento alimentare e dell’omeostasi energetica
ha sede in alcuni nuclei discreti localizzati nell’ipotalamo, collegati tra di
loro da una rete di interconnessioni che trasportano segnali oressigeni o anoressizzanti. I principali componenti di questo sistema di regolazione dell’appetito sono rappresentati dal nucleo arcuato dell’ipotalamo (ARC), dal
nucleo ventro-mediale (VMN), dall’ipotalamo laterale (LH), dal nucleo
dorso-mediale (DMN), dal nucleo paraventricolare (PVN), dall’ipotalamo
perifornicale e dal nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo. Detto sistema
ipotalamico è, a sua volta, connesso con siti extraipotalamici mesencefalici,
localizzati nel nucleo dorsale del vago, nel nucleo del tratto solitario e nel
nucleo brachiale1-4 (figura 1).
Il nucleo arcuato contiene neuroni che elaborano peptidi oressigeni, quali il
neuropeptide Y (NPY), la dinorfina e gli altri oppioidi derivati dalla proopiomelanocortina (POMC), la proteina agouti-correlata (AgRP) e l’acido
gamma-amino-butirrico (GABA). Inoltre, sono stati localizzati al suo interno anche neuroni che sintetizzano peptidi anoressizzanti quali l’ormone αmelanocito-stimolante (α-MSH), e il cocaine-amphetamine regulated transcript (CART).
Il nucleo ventro-mediale dell’ipotalamo è stato classicamente identificato
come “il centro della sazietà”, in quanto le sue lesioni inducono iperfagia e
aumento di peso5. Oggi si ritiene che rappresenti piuttosto una stazione di
relais delle fibre oressigene e anoressizzanti del sistema di regolazione ipotalamico dal momento che non sono stati identificati, al suo interno, neuroni
che producono peptidi coinvolti nella regolazione dell’appetito.
L’ipotalamo laterale è stato, invece, identificato come “centro della fame”,
in quanto le sue lesioni inducono afagia, adipsia e calo ponderale6. Contiene due distinte popolazioni neuronali che sintetizzano peptidi oressigeni,
22
1:2009; 21-41
NÓOς
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
Fi g ura 1 . Rappresentazione schematica del sistema di regolazione dell’appetito.
ARC = nucleo arcuato; DMN = nucleo dorso-mediale; LHA = area ipotalamica laterale; PVN
= nucleo paraventricolare; SNC = nucleo soprachiasmatico; VMN = nucleo ventro-mediale.
AGRP = proteina agouti-correlata; AVP = arginino-vasopressina; BDNF = fattore neurotrofico di derivazione cerebrale; CART = cocaine-amphetamine regulated transcript;
CKK = colecistochinina; CRH = ormone rilasciante la corticotropina; GIP = peptide
gastrointestinale; GLP = peptide glucagone-simile; MCH = melanocortina; NPY = neuropetide Y; OXY = ossitocina; POMC = pro-opiomelanocortina; PYY = peptide YY; TNFα =
fattore di necrosi tumorale-a; TRH = tireotropina.
quali l’orexina (ORX) e l’ormone concentrante la melanina (MCH).
Il nucleo paraventricolare rappresenta un sito cruciale per il rilascio di segnali oressigeni. Al suo interno sono presenti neuroni che secernono una grande
varietà di neuropeptidi, tra cui quelli che regolano l’attività dell’ipofisi anteriore, come l’ormone rilasciante la corticotropina (CRH) e l’ormone rilasciante la tireotropina (TRH) che hanno anche attività anoressizzante. L’ipotalamo perifornicale sembra essere coinvolto nei circuiti oressigeni.
Il nucleo soprachiasmatico è coinvolto nella regolazione circadiana dell’appetito. Le sensazioni di fame e sazietà, che modulano la spinta al consumo di
cibo, sono fenomeni accoppiati con i comportamenti di attività-vigilanza nell’ambito del ciclo notte-giorno. Infatti, nell’animale da esperimento, l’espressione genica di segnali anoressizzanti è elevata tra le 7.00 e le 15.00 del
giorno, ma è notevolmente ridotta durante la fase di buio, quando l’animale è
attivo dal punto di vista motorio7. Nell’uomo, alterazioni del ritmo circadiano del comportamento alimentare sono tipicamente rappresentate dall’iperfagia notturna8.
Questa complessa rete neuronale è responsabile del controllo a lungo termi23
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ALIMENTARE E CORRELATI BIOCHIMICI
DELL’ANORESSIA E BULIMIA NERVOSA
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ne del bilancio energetico e ha lo scopo primario di garantire la stabilità del
peso corporeo. A tal fine i neuroni ipotalamici ricevono una serie di informazioni dalla periferia attraverso numerose sostanze ad azione oressigena,
quali, insulina e ghrelina, o anoressigena, quali leptina, obestatina, peptide
YY (PYY) e colecistochinina (CCK), elaborate dal tessuto adiposo e/o dal
tratto gastroenterico. Tali sostanze, insieme con neurotrasmettitori e neuropeptidi/neurormoni di origine centrale vanno a stimolare e/o inibire le due
principali vie efferenti del sistema di regolazione ipotalamico, quella oressigena, costituita dal NPY/ARP, e quella anoressizzante rappresentata dai
peptidi derivanti dal POMC, localizzate nel nucleo arcuato dell’ipotalamo
(figura 1).
Oltre a detta regolazione a lungo termine dell’omeostasi energetica, esiste
anche una regolazione a breve termine che regola l’assunzione quotidiana di
cibo, il numero dei pasti e la durata degli stessi. Tale regolazione è modulata
dall’insieme dei segnali fisico-chimici che si generano nel tratto gastroenterico in coincidenza col consumo dei pasti. A parte i segnali di natura meccanica e/o chimica, connessi con il transito dei nutrienti nel tratto gastroenterico
e trasmessi ai centri regolatori cerebrali da meccano- e chemo-cettori, tra i
segnali periferici, un ruolo chiave è svolto da alcuni peptidi quali, ad esempio, la ghrelina ad azione stimolatoria sull’appetito, i cui livelli ematici
aumentano drasticamente immediatamente prima dell’ingestione di cibo per
poi calare dopo il consumo del pasto. Tra le sostanze secrete in risposta al
consumo di cibo, che hanno la funzione di controllare le dimensioni dei
pasti, ricordiamo il PYY, la CCK e il glucagone-like peptide. Tali peptidi
sono elaborati dall’intestino e dal pancreas e, attraverso l’interazione con
recettori specifici localizzati sulle terminazioni vagali del tratto gastroenterico, inviano segnali a nuclei nervosi mesencefalici, che, attraverso l’integrazione con i centri ipotalamici, regolano l’assunzione di cibo determinando la
fine dei pasti e gli intervalli temporali tra un pasto e l’altro.
La regolazione a breve termine del comportamento alimentare avviene, dunque, a livello dei nuclei mesencefalici, quali il nucleo motore dorsale del
vago e il nucleo del tratto solitario, che inviano fibre al nucleo parabrachiale,
il quale, a sua volta, proietta al nucleo paraventricolare dell’ipotalamo9 (figura 1). I centri mesencefalici, implicati nella regolazione a breve termine del
comportamento alimentare, e quelli ipotalamici, responsabili della regolazione a lungo termine di detto comportamento, interagiscono tra di loro, in
maniera tale che quotidianamente si assuma quella quantità di cibo sufficiente a garantire la spesa energetica giornaliera e a mantenere un peso corporeo
abbastanza stabile nel lungo periodo.
FATTORI BIOCHIMICI
Negli ultimi anni, numerosi sono stati gli studi volti ad indagare, nell’AN e
nella BN, il ruolo eziopatogenetico di quei neurotrasmettitori, neuropeptidi e
ormoni periferici coinvolti nella regolazione del comportamento alimentare e
dell’omeostasi energetica.
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Tra i sistemi monoaminergici cerebrali, quello più ampiamente studiato e per
il quale esistono evidenze convalidate di un coinvolgimento nella fisiopatologia dei DCA è il sistema serotoninergico. La serotonina (5-HT) è implicata, infatti, non solo nella modulazione del comportamento alimentare attraverso la stimolazione della sazietà, ma anche nella regolazione di talune
dimensioni psicologiche, quali, depressione, ansia, aggressività, ossessività,
impulsività che si ritrovano tipicamente alterate nelle pazienti con DCA.
Le pazienti anoressiche in fase attiva di malattia presentano ridotti livelli
liquorali di acido 5-idrossi-indolacetico (5-HIAA)10, metabolita della 5-HT,
ridotte risposte ormonali alle stimolazioni con agenti serotoninergici11 e
ridotto numero dei siti di legame della 3[H]-imipramina sulle piastrine12.
Dopo il recupero del peso corporeo, esse esibiscono, invece, elevati livelli
liquorali di 5-HIAA10. Similmente, le pazienti bulimiche in fase attiva di
malattia presentano bassi livelli liquorali di 5-HIAA13, ridotte risposte ormonali alle stimolazioni serotoninergiche14 e una riduzione del numero dei siti
ipotalamici di trasportatore della 5-HT15. Dopo la guarigione clinica, anche
le pazienti bulimiche esibiscono elevati livelli liquorali di 5-HIAA16.
Le moderne tecniche di visualizzazione cerebrale hanno consentito di evidenziare una riduzione dei recettorii 5-HT2A in alcune aree cerebrali di soggetti con AN o BN, dopo la guarigione clinica17,18, e un aumento del numero
dei recettori 5-HT1A nelle sole pazienti con AN19,20. Per la precisione, un
aumento dei recettori 5-HT1A nel giro cingolato e nelle regioni frontale e
parietale è stato osservato in pazienti con AN del sottotipo binge purging
dopo la guarigione clinica, ma non in pazienti con AN appartenenti al sottotipo restrittivo20. In queste ultime, tuttavia, i recettori 5-HT1A, pur non essendo aumentati di numero, sono risultati correlati positivamente con l’evitamento del pericolo, tratto di personalità tipicamente alterato nell’AN. Infine,
a sostegno del coinvolgimento della neurotrasmissione serotoninergica nella
patofisiologia dei DCA, vi è l’osservazione clinica dell’efficacia terapeutica
degli inibitori selettivi della ricaptazione della 5-HT, soprattutto nelle pazienti bulimiche21.
Nel complesso, questi dati suggeriscono una riduzione della funzione serotoninergica durante la fase attiva di un DCA, verosimilmente secondaria alla
denutrizione e/o agli aberranti comportamenti di compenso, ed un suo
aumento dopo la guarigione clinica. È stato supposto che tale ipertono serotoninergico potrebbe rappresentare un tratto biologico di vulnerabilità a queste sindromi, che potrebbe appunto favorire la comparsa non solo dell’alterato comportamento alimentare ma anche delle dimensioni psicopatologiche
sottese da una trasmissione serotoninergica disregolata.
Nell’ambito delle monoamine, altra sostanza coinvolta nella regolazione del
comportamento alimentare è la noradrenalina, che stimola l’appetito e promuove l’assunzione preferenziale di carboidrati. I dati in letteratura suggeriscono una sua ridotta funzionalità nella fase sintomatica dell’AN e della BN
e una sua normalizzazione dopo il recupero del peso corporeo e la scomparsa
degli episodi di abbuffate/vomito22.
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
Monoamine
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Per quanto concerne, infine, la dopamina, che inibisce la fame e riduce il
consumo di proteine, risultati discordanti sono stati forniti sia nell’AN sia
nella BN22. Il dato più rilevante al riguardo è rappresentato dall’evidenza di
ridotte concentrazioni liquorali di acido omovanillico, metabolita centrale
della dopamina, in anoressiche restrittive dopo la guarigione23. I livelli plasmatici di acido omovanillico, invece, sono stati ritrovati significativamente
aumentati in pazienti con AN in fase acuta24; in particolare, tale aumento è
risultato direttamente proporzionale alla gravità dei sintomi depressivi e si è
normalizzato in seguito alla ripresa del peso corporeo e al tono dell’umore.
Infine, uno studio basato su tecniche di visualizzazione cerebrale18 ha evidenziato in alcune aree cerebrali di pazienti con AN un aumento del numero
dei recettori D2/D3, correlato con alcuni tratti di personalità, tra cui l’evitamento del pericolo.
Neurosteroidi
I neurosteroidi, tra cui l’allopregnanolone, il deidroepiandrosterone (DEA) e
il deidroepiandrosterone-solfato (DEA-S), sono ormoni steroidei prodotti sia
a livello surrenalico periferico e trasportati nel cervello, sia sintetizzati in
situ nel sistema nervoso centrale (SNC). A livello del SNC, essi esercitano
azione ansiolitica, antidepressiva ed anticonvulsivante e sono coinvolti nella
differenziazione e sopravvivenza neuronale e nella modulazione delle funzioni cognitive e dell’umore25. Numerosi studi hanno evidenziato un ruolo di
detti ormoni nella regolazione del comportamento alimentare. Infatti, se
somministrati in topi sottoposti a digiuno prolungato, l’allopregnanolone
induce aumento dell’assunzione di cibo, mentre il DEA e il DEA-S inducono
riduzione dell’introito alimentare26,27.
Dal momento che la secrezione surrenalica di neurosteroidi è modulata dal
sistema CRH/ormone adrenocorticotropo (ACTH), che è stato ritrovato iperattivo nell’AN, è lecito supporre alterazioni dei livelli circolanti di allopregnenolone, DEA e DEA-S nella fase acuta dell’AN. Studi iniziali, effettuati
in piccoli campioni di pazienti anoressiche sottopeso, hanno riscontrato una
produzione ridotta di DEA e DEA-S28,29. Tale riduzione, insieme con l’aumento dei livelli di cortisolo, tipico delle pazienti anoressiche in fase acuta di
malattia, rispecchia una condizione ormonale simile a quella della fase prepuberale dello sviluppo sessuale; pertanto, è stato ipotizzato che nelle
pazienti anoressiche ci sia una regressione delle condizioni ormonali allo stadio prepuberale. Tale ipotesi, però, non è stata confermata da studi
successivi30,31, che hanno riscontrato, sia nelle pazienti con AN sottopeso sia
in quelle con BN, livelli plasmatici aumentati di DEA, DEA-S e cortisolo.
Una correlazione positiva è emersa, inoltre, tra neurosteroidi e funzioni
cognitive, suggerendo che variazioni di dette sostanze influenzino le capacità
cognitive nelle pazienti con DCA31.
Uno studio più recente32, infine, non ha riscontrato differenze significative
nei livelli plasmatici di cortisolo, DEA e DEA-S tra pazienti con AN di tipo
restrittivo e controlli sani. Il gruppo delle pazienti, però, presentava un rapporto cortisolo/DEA-S più basso rispetto ai soggetti sani, confermando la
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ANORESSIA E BULIMIA
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precedente ipotesi di regressione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene a livelli
di funzionamento prepuberale. I livelli di cortisolo, ma non quelli di DEA e
DEA-S, sono risultati ancora ridotti nelle pazienti dopo 4 mesi dalla ripresa
di peso. Poiché il DEA e il DEA-S tendono a ridurre, mentre il cortisolo
tende ad aumentare l’introito calorico quotidiano33, gli autori hanno ipotizzato che la riduzione dei livelli di cortisolo abbia un ruolo chiave nella riduzione dell’assunzione di cibo nelle pazienti con AN.
La produzione di neurosteroidi è stata valutata dinamicamente tramite la
misurazione delle variazioni dei livelli plasmatici di allopregnenolone e
DEA, dopo la somministrazione di 1 mg di desametazone alle ore 8.00 del
mattino in pazienti anoressiche sottopeso34. Sebbene tali pazienti al mattino
mostrassero livelli di cortisolo aumentati rispetto ai controlli sani e il desametazone sopprimesse la secrezione di cortisolo in modo non differente nei
due gruppi, i livelli di DEA risultarono significativamente aumentati dopo 24
ore dalla somministrazione del desametazone. Ciò suggerisce che nell’AN,
l’aumentata produzione di DEA periferico non sia legata soltanto all’aumentata attività del sistema CRH/ACTH dal momento che, dopo la somministrazione di desametazone, il DEA circolante non si riduce ai valori dei controlli
sani, come sarebbe atteso data la completa inibizione del sistema
CRH/ACTH, testimoniata dalla completa soppressione del cortisolo. È probabile, quindi, che fattori diversi contribuiscano all’aumentata produzione di
DEA nell’AN, ma la loro natura non è ancora chiara.
Leptina
La leptina (il cui nome deriva del greco leptos che vuol dire magro) è un
ormone peptidico di 146 aminoacidi prodotto dalle cellule del tessuto adiposo periferico che, oltrepassando la barriera emato-encefalica e legandosi al
suo recettore ipotalamico, informa il SNC della quantità di energia presente
nell’organismo sotto forma di grasso35,36. Pertanto, le concentrazioni ematiche di questo ormone variano col variare della massa grassa35. La leptina,
inoltre, è in grado di segnalare anche le rapide variazioni negative del bilancio energetico; infatti, durante il digiuno, la leptina circolante diminuisce
drasticamente, nonostante le variazioni del peso corporeo siano non significative37. La leptina svolge un importante ruolo anche nella regolazione della
funzione riproduttiva in relazione alle disponibilità energetiche dell’organismo38. In particolare, essa esplica un’azione stimolatoria sull’asse ipotalamoipofisi-gonadi, e, nelle situazioni di iponutrizione, la diminuzione delle sue
concentrazioni ematiche conduce all’inibizione dell’attività riproduttiva, con
conseguente amenorrea nelle donne.
È stato ampiamente riportato che i livelli ematici e liquorali di leptina sono
marcatamente ridotti nelle pazienti anoressiche sottopeso rispetto ai controlli
sani39,40. Tali variazioni, pur essendo secondarie alla malnutrizione e alla
diminuzione dei depositi di grasso, possono contribuire alla genesi di alcune
complicanze fisiche e manifestazioni comportamentali dell’AN. L’ipoleptinemia, in particolare, può contribuire all’amenorrea, all’ipotiroidismo, all’ipercortisolismo, all’osteopenia e all’incremento di attività fisica tipici delle
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pazienti anoressiche41-44. È stato osservato, infatti, che una leptinemia al di
sotto di 1,85 mg/L è frequentemente associata ad amenorrea e a ridotte concentrazioni di ormone luteotropo nelle donne con AN; a mano a mano che le
pazienti recuperano peso e la leptinemia sale al di sopra di detto valore soglia
si assiste generalmente alla ricomparsa delle mestruazioni e alla riattivazione
dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi45,46. Tuttavia, l’osservazione clinica evidenzia che non sempre il recupero del peso corporeo si accompagna alla
ricomparsa della ciclicità mestruale. Nelle pazienti anoressiche che, nonostante il ristabilimento di un normale peso corporeo, continuano ad essere amenorroiche, i livelli circolanti di leptina sono risultati inferiori alla norma47.
Poiché la leptina stimola l’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide e inibisce quello ipotalamo-ipofisi-surrene, l’ipoleptinemia delle pazienti anoressiche può contribuire all’ipotiroidismo e all’ipercortisolismo, tipico dell’AN acuta48. Limitare
la capacità riproduttiva, ridurre la termogenesi tiroidea e aumentare la secrezione degli steroidi surrenalici rientrano nell’ambito di risposte adattive che
garantiscono la sopravvivenza in condizioni di digiuno prolungato.
Un aumento dell’attività fisica è riportato nel 31%-80% delle pazienti con AN
ed è stata riscontrata una correlazione inversa tra l’introito calorico e l’attività
fisica durante la fase acuta di malattia49-51. È stato dimostrato che le concentrazioni di leptina sono inversamente proporzionali all’attività fisica, ed è probabile che l’ipoleptinemia rappresenti un fattore importante nel determinare
l’aumentata attività fisica in dette pazienti44. Nell’animale da esperimento,
infatti, l’iperattività fisica indotta dal digiuno (ritenuta, tra l’altro, un modello
sperimentale di AN) può essere bloccata dalla somministrazione di leptina50.
Infine, è stato posto in rilievo che l’attività fisica è più bassa in pazienti severamente emaciate, con livelli di leptina quasi non determinabili, rispetto a
pazienti con livelli di leptina un po’ più elevati52. Ciò suggerisce che la relazione tra leptina ed attività fisica segua un tipico andamento ad U, per cui
l’effetto dell’ipoleptinemia sull’attività fisica potrebbe declinare quando le
condizioni organiche diventano severamente compromesse.
Le donne con BN mostrano concentrazioni plasmatiche di leptina in alcuni
casi normali, in altri simili a quelle delle donne con AN, nonostante l’assenza di significative variazioni del peso corporeo53-57. Ciò suggerisce che la
leptina sia modulata non solo dalla quantità di tessuto adiposo, ma anche da
fattori nutrizionali, poiché le pazienti bulimiche presentano un’alterazione
sia dei pattern di alimentazione (alternanza di digiuni e abbuffate) sia della
quantità e della qualità dei nutrienti assunti. È stato dimostrato che le pazienti bulimiche con ipoleptinemia presentano una maggiore cronicità (espressa
come durata del disturbo) e gravità (espressa come frequenza degli episodi di
abbuffate/vomito) della malattia54. È possibile, inoltre, che l’iposecrezione
cronica di leptina possa favorire il comportamento di abbuffata attraverso
una riduzione della sensazione di sazietà. Infine, nelle pazienti bulimiche
sintomatiche, è stata osservata un’assenza della riduzione dei livelli circolanti di leptina in seguito a digiuno acuto, suggerendo un’alterazione dei meccanismi di segnalazione delle variazioni acute del bilancio energetico58.
Le variazioni dei livelli circolanti di leptina nell’AN e BN sono accompagnate da modificazioni compensatorie a carico del suo recettore. È noto,
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ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
infatti, che la leptina esercita i suoi effetti attraverso l’interazione con specifici recettori di membrana, di cui esiste una forma solubile presente in circolo (OB-Re). In uno studio che ha misurato le concentrazioni ematiche di OBRe in pazienti con AN e BN sono state messe in evidenza modificazioni dell’OB-Re esattamente opposte a quelle della leptina, rappresentando verosimilmente l’espressione di fenomeni di ipersensibilizzazione o desensibilizzazione recettoriale di tipo compensatorio54.
Le alterazioni a carico della leptina, osservate nella fase acuta dell’AN, si
risolvono con la ripresa del peso corporeo. Infatti, nelle pazienti anoressiche
in fase di remissione, le concentrazioni di leptina nel plasma e nel fluido
cerebrospinale sono state ritrovate normali59-62. Studi longitudinali hanno
mostrato che, durante la fase di rialimentazione, i livelli di leptina aumentano progressivamente con la ripresa del peso corporeo e, in quei casi in cui si
verifichi una ripresa di peso troppo rapida, i livelli di leptina si innalzano
fino a raggiungere valori sproporzionatamente più alti rispetto ai controlli
sani59-61,63. È stato ipotizzato, pertanto, che l’iperleptinemia, che si verifica
in alcune pazienti nella fase di rialimentazione, sia uno dei fattori responsabili delle difficoltà nel mantenere uno stato di normopeso64. Infatti, poiché i
livelli circolanti del recettore solubile della leptina sono drasticamente
aumentati nelle pazienti anoressiche sottopeso54, un aumento troppo rapido
della leptina circolante potrebbe condurre ad un potenziamento della riduzione dell’appetito indotta dalla leptina, inficiando, quindi, il processo di guarigione ed aumentando il rischio di ricadute.
Ghrelina
La ghrelina è un ormone peptidico costituito da 28 aminoacidi, sintetizzato
prevalentemente a livello dello stomaco e del duodeno65. Sebbene sia stata
identificata originariamente come induttore della secrezione dell’ormone
della crescita65, essa rientra tra i fattori periferici implicati nella segnalazione
al SNC delle variazioni a breve termine del bilancio energetico e svolge funzione oressigena. Sembra, infatti, che un aumento dei livelli circolanti di
quest’ormone si realizzi nei periodi immediatamente precedenti i pasti e
favorisca l’inizio del consumo di cibo66,67. Al contrario, dopo l’ingestione di
cibo, i livelli circolanti di ghrelina si riducono drasticamente.
È stato riportato che le concentrazioni plasmatiche di ghrelina sono più elevate nelle pazienti anoressiche sottopeso rispetto ai controlli sani68,69. Tale
incremento è più pronunciato nelle anoressiche del sottotipo binge purging
rispetto a quelle del sottotipo restrittivo69, anche se tale differenza non è stata
confermata da tutti gli autori. Numerosi studi hanno valutato la risposta della
ghrelina all’ingestione di cibo. Alcuni autori hanno riportato che, nelle
pazienti anoressiche sottopeso, la soppressione della secrezione di ghrelina
indotta dall’ingestione di cibo è quasi completamente assente o ridotta o
ritardata69-71; altri, invece, hanno evidenziato che la produzione post-prandiale di ghrelina non sembra differire significativamente tra pazienti con AN
e controlli sani72. Tale discrepanza potrebbe essere spiegata dalle differenti
caratteristiche dei pazienti presi in esame, dalla differente composizione
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calorica e nutrizionale dei pasti-test, dai differenti tempi di raccolta dei campioni ematici. Inoltre, tutti gli studi appena menzionati hanno misurato la
concentrazione totale di ghrelina, senza tenere conto delle differenze tra
ghrelina attiva (cioè la ghrelina acetilata) e ghrelina inattiva (ossia deacetilata). Tuttavia, anche quando questo aspetto è stato tenuto in considerazione,
sono emersi risultati comunque contrastanti73,74.
Le aumentate concentrazioni di ghrelina, nelle pazienti anoressiche sottopeso, tendono a normalizzarsi con la ripresa di peso corporeo; più precisamente, la riduzione dei livelli di ghrelina sembra essere parallela al progressivo
aumento di peso75,76. Ciò supporta l’ipotesi che l’aumentata produzione di
tale ormone, nell’AN, sia un fenomeno secondario alle alterate condizioni
organiche. Recentemente, uno studio ha riportato che, dopo 3-6 mesi di rialimentazione, i livelli di ghrelina si riducono progressivamente fino a valori
anche più bassi rispetto ai controlli sani, sebbene l’indice di massa corporea
(IMC) sia ancora ridotto rispetto alla norma76. In questo studio, inoltre, dopo
6 mesi di trattamento, le variazioni della grelina sono risultate negativamente
correlate a quelle del peso corporeo; ciò suggerisce che tale ormone svolga il
suo ruolo di peptide oressigeno nella condizione di sottopeso, ma non quando il peso corporeo raggiunge la normalità .
Poiché la somministrazione intracerebroventricolare di ghrelina in ratti ovariectomizzati abolisce la frequenza dei picchi secretori di ormone luteinizzante77 e poiché le donne con amenorrea da esercizio fisico presentano livelli
di ghrelina più elevati di circa l’85% rispetto ai controlli78, è stato ipotizzato
che l’incremento di ghrelina nell’AN possa rappresentare anche un importante meccanismo per favorire la soppressione della funzione riproduttiva in
uno stato di carenza energetica cronica.
Nelle pazienti bulimiche, le concentrazioni plasmatiche mattutine di ghrelina
sono state inizialmente riportate aumentate, soprattutto nelle pazienti con
frequenti abbuffate e vomito79,80. In questi studi, tuttavia, il numero dei soggetti indagati era relativamente basso e non è chiaro se le pazienti fossero o
meno in trattamento farmacologico. Studi successivi coinvolgenti un numero
decisamente più ampio di pazienti, tutte drug-free e molte drug-naive, non
hanno evidenziato alcuna modificazione delle concentrazioni plasmatiche
mattutine di detto ormone81,82.
Nonostante i livelli basali di ghrelina sembrino pertanto normali nella BN, la
soppressione delle sue concentrazioni plasmatiche in risposta all’assunzione
di cibo è stata riportata decisamente ridotta in pazienti in fase acuta di malattia 83,84. Tale alterazione potrebbe avere un ruolo nella patogenesi delle
abbuffate in quanto responsabile di una riduzione della sensazione di sazietà
post-prandiale.
Colecistochinina
La CCK, prodotta sia perifericamente nell’intestino sia nel SNC, è considerata uno stimolatore fisiologico della sazietà85.
Nelle pazienti anoressiche in fase acuta di malattia, è stato riportato un più
rapido e più elevato incremento post-prandiale di CCK, posto in relazione
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Il NPY si ritrova in elevate concentrazioni soprattutto a livello ipotalamico
ed è il più potente stimolatore dell’appetito, promuovendo, in particolar
modo, l’ingestione di carboidrati.
Le pazienti anoressiche presentano elevati livelli liquorali di NPY, che si
normalizzano dopo il ripristino e la stabilizzazione del peso corporeo90. Elevate concentrazioni liquorali di NPY persistono, tuttavia, in quelle anoressiche che, pur avendo recuperato il peso corporeo, presentano ancora amenorrea90. Sebbene l’ipersecrezione di NPY possa rappresentare un meccanismo
omeostatico di stimolazione della fame e riduzione della spesa energetica,
secondario al digiuno cronico, è verosimile che essa contribuisca anche
all’ossessività per il cibo e per l’introito calorico, tipica di queste pazienti,
dal momento che il NPY interviene anche nella modulazione dell’ossessività-compulsività.
Nella BN, i livelli liquorali di questo peptide sono stati ritrovati normali, sia
in fase acuta di malattia sia a distanza di vario tempo dalla guarigione
clinica91,92; i livelli plasmatici, invece, sono stati trovati aumentati93.
Strutturalmente correlato col NPY, è il PYY, sintetizzato e rilasciato dalle
cellule della mucosa intestinale soprattutto dopo l’ingestione di cibo94 . Esistono due forme di questo peptide, una di 36 aminoacidi (PYY1-36) e un’altra
mancante dei primi due aminoacidi (PYY3-36); è stato dimostrato che soprattutto i livelli circolanti di PYY3-36 aumentano rapidamente in risposta all’ingestione di cibo in relazione sia alla quantità di cibo ingerito sia alla natura
dei macronutrienti contenuti nel cibo (i lipidi risultano i più potenti stimolatori della secrezione di questo peptide)95. In particolare, dopo un periodo di
digiuno, una singola somministrazione di PYY3-36 riduce di un terzo l’introito di cibo in volontari sani, sia obesi sia normopeso e, inoltre, riduce i livelli
di ghrelina per le successive 24 ore95. Appare evidente, quindi, che il PYY3-36
agisce come segnale di sazietà inducendo la terminazione dei pasti, in parte
anche attraverso l’inibizione della secrezione di ghrelina.
Gli studi effettuati sulla secrezione del PYY3-36 in pazienti con DCA sono
relativamente esigui. In pazienti con AN sottopeso, i livelli basali di PYY3-36
sono risultati normali o aumentati96-98, mentre la risposta all’assunzione di
cibo è risultata ritardata nel tempo o aumentata96, 97 . Infine, dopo una parziale ripresa del peso corporeo, la risposta all’assunzione di cibo è stata riportata migliorata, anche se non completamente normalizzata96.
È stato recentemente dimostrato che, nelle pazienti con BN, i livelli plasmatici e
liquorali preprandiali di PYY sono paragonabili a quelli dei controlli sani90,99,100.
NÓOς
Neuropeptide Y e peptide YY
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col rifiuto del cibo tipico di queste pazienti86. Tale alterazione sembra normalizzarsi con la guarigione clinica87.
Nelle pazienti con BN, invece, sono stati ritrovati livelli ridotti di CCK nel
liquor e nei linfociti periferici88; è stato, inoltre, riscontrato un ridotto incremento di CCK dopo l’assunzione di un pasto-test89. Tale deficit, attraverso
una riduzione della sensazione di sazietà, potrebbe favorire le abbuffate alimentari.
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Inoltre, la secrezione di PYY dopo l’assunzione di un pasto-test o di un pasto
ricco in grassi è significativamente ridotta nelle pazienti con BN in fase attiva di
malattia84,100. L’assenza di tale risposta fisiologica potrebbe giocare un ruolo
importante nel mantenimento del comportamento di abbuffata.
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Adiponectina
L’adiponectina, sintetizzata esclusivamente dagli adipociti, svolge un ruolo
importante nella regolazione dell’omeostasi glucidica e lipidica. Essa, infatti,
incrementa l’ossidazione degli acidi grassi nel muscolo e nel fegato e può
regolare l’accumulo del grasso senza influire significativamente sull’assunzione di cibo; inoltre, è direttamente coinvolta nella regolazione della sensibilità all’insulina101.
Studi iniziali hanno riportato nelle pazienti con AN sottopeso livelli circolanti di adiponectina normali, aumentati o ridotti102-105. Negli ultimi due
anni, invece, tre studi indipendenti hanno riscontrato la presenza di aumentati livelli di adiponectina in pazienti con AN106-108. Inoltre, è stata confermata
l’esistenza di una correlazione inversa tra adiponectina, IMC e percentuale di
massa grassa. Infatti, in pazienti con AN di tipo bulimico-purgativo e un
meno grave stato di malnutrizione, è stato riscontrato un aumento più moderato dei livelli di adiponectina, rispetto a pazienti con AN di tipo restrittivo e
un più grave quadro di malnutrizione106. Inoltre, è stato osservato che, in un
campione di pazienti con AN in fase di guarigione, gli aumentati livelli di
adiponectina, presenti in fase acuta di malattia, si riducevano solo minimamente con la ripresa di peso corporeo, suggerendo che fattori diversi dalla
percentuale di massa grassa dell’organismo siano coinvolti nella disregolazione della produzione di tale sostanza nell’AN106.
Il significato fisiologico dell’aumentata produzione di adiponectina nell’AN
è ancora poco chiaro; essa potrebbe avere un ruolo eziopatogenetico o rappresentare, invece, un meccanismo di compenso all’aumentata sensibilità
all’insulina, presente in pazienti con AN, a causa della correlazione negativa
tra livelli di adiponectina ed insulina.
In pazienti con BN, un solo studio ha riportato un aumento dei livelli circolanti di adiponectina ed una correlazione diretta tra detti valori e la frequenza
di abbuffate/vomito109; altri studi, invece, hanno riscontrato valori ora normali o ridotti105,106. Tale discrepanza può essere spiegata dalle differenze nei
campioni in esame e nei metodi d’indagine.
Resistina
La resistina è un polipeptide di 114 aminoacidi, secreto dagli adipociti; esso
costituisce un segnale di sazietà ed è un fattore di regolazione dell’azione
dell’insulina, rappresentando un potenziale anello di congiunzione tra obesità e resistenza all’insulina.
In uno studio su pazienti con AN, i livelli plasmatici di resistina sono risultati simili a quelli dei controlli sani e delle pazienti con BN; inoltre, non sono
risultati correlati all’IMC o alla percentuale di massa grassa106. Al contrario,
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Il fattore neurotrofico di derivazione cerebrale (BDNF) è un fattore trofico
neuronale noto soprattutto per il suo ruolo nello sviluppo e nella sopravvivenza del sistema nervoso, ove modula la crescita e la differenziazione neuronale, la connettività sinaptica e la riparazione neuronale112,113. Recenti
ricerche indicano un ruolo di questa neurotrofina anche nella modulazione
del comportamento alimentare. Gli animali con ridotta espressione del gene
del BDNF, infatti, presentano aumento del consumo di cibo e vanno incontro
ad una franca obesità114. Ciò suggerisce che il BDNF possa agire come uno
stimolatore della sazietà e della spesa energetica e che alterazioni della sua
funzione o della sua espressione genica possano rappresentare fattori di vulnerabilità per lo sviluppo dei DCA115,116.
Una riduzione dei livelli ematici di BDNF è stata riportata in pazienti con
AN e BN, molte delle quali in trattamento farmacologico117. Tale dato è stato
confermato da un recente studio, che ha misurato i livelli plasmatici di
BDNF in un ampio gruppo di pazienti con AN e BN, tutte drug-free, ed ha
osservato livelli circolanti di BDNF significativamente ridotti rispetto ai controlli sani; inoltre, tale riduzione del BDNF non era correlata con la presenza
di una concomitante depressione118.
Poiché il BDNF esercita un effetto stimolatorio sulla sensazione di sazietà, la
presenza di ridotti livelli nell’AN e nella BN è stata interpretata come espressione di un fenomeno adattativo, teso a compensare lo scarso introito calorico, che consegue all’anomalo comportamento alimentare di queste pazienti.
NÓOς
Fattore neurotrofico di derivazione centrale
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
Dostalova et al.108,110 hanno riscontrato livelli ridotti di resistina in pazienti
con AN, suggerendo che tale riduzione sia legata al deficit numerico e funzionale dei monociti-macrofagici, essendo tale sostanza, nell’uomo, secreta
anche dai macrofagi del midollo osseo111. Un aumento dei livelli di resistina
è stato, invece, riscontrato nelle cellule del tessuto adiposo sottocutaneo di
pazienti anoressiche sottopeso110, ma il significato di tale discrepanza tra le
alterazioni dei livelli di resistina nel plasma e nel tessuto adiposo è ancora
poco chiara.
Peptidi oppioidi
I peptidi oppioidi, quali la dinorfina, la β-endorfina e le encefaline, aumentano l’ingestione preferenziale di carboidrati, attraverso, un potenziamento
della sensazione di gratificazione connessa col consumo di cibo.
Le concentrazioni liquorali di β-endorfina sono state ritrovate ridotte nelle
pazienti anoressiche durante la fase di calo ponderale, ma normali dopo il
recupero del peso corporeo119.
Similmente, nella BN, le concentrazioni liquorali di β-endorfina sono state
ritrovate ridotte e inversamente correlate con la concomitante sintomatologia
depressiva120. Le concentrazioni liquorali di dinorfina, invece, sono risultate
normali120, 121. I livelli plasmatici di β-endorfina sono stati riportati ridotti e
correlati negativamente con la sintomatologia bulimica122.
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ALIMENTARE E CORRELATI BIOCHIMICI
DELL’ANORESSIA E BULIMIA NERVOSA
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Endocannabinoidi
Gli endocannabinoidi sono composti lipidici endogeni che agiscono attraverso l’interazione con recettori specifici denominati CB1 e CB2; i principali
componenti di questa famiglia sono l’anandamide (AEA) e il 2-arachidonoilglicerolo (2-AG)123. È stato dimostrato che i recettori CB1, l’AEA, il 2-AG e
i loro precursori biosintetici sono espressi a livello del nucleo arcuato dell’ipotalamo, deputato al controllo della sazietà124. Inoltre, la somministrazione
di AEA nei ratti determina iperfagia125, mentre la delezione del gene del
recettore CB1 causa ipofagia126.
Attualmente, si ritiene che il sistema endocannabinoide controlli l’assunzione di cibo a due livelli. Innanzitutto, gli endocannabinoidi aumentano il desiderio e il consumo di cibo tramite il circuito mesolimbico, implicato nei
meccanismi di gratificazione. In secondo luogo, esso aumenta “su richiesta”
l’introito di cibo attraverso la stimolazione/inibizione a livello ipotalamico
delle sostanze oressigene o anoressizzanti regolatrici dell’appetito.
Allo stato attuale, un unico studio ha indagato la produzione di endocannabinoidi nell’ambito dei DCA, confrontando i livelli plasmatici di AEA e 2-AG
di donne con AN e BN con quelli di controlli sani127. È emerso, sorprendentemente, che le pazienti con AN presentano livelli plasmatici di AEA significativamente aumentati rispetto alle pazienti bulimiche e ai controlli sani. La
spiegazione di tale alterazione risiede probabilmente nelle concomitanti alterazioni a carico della leptina. Infatti, la leptina esercita un’azione inibitoria
sui livelli di AEA126, e, poiché la leptina plasmatica è drasticamente ridotta
nelle pazienti anoressiche sottopeso, è possibile che gli aumentati livelli di
AEA in queste pazienti siano secondari all’ipoleptinemia e rappresentino una
risposta adattativa tesa a contrastare la loro drastica restrizione alimentare.
Inoltre, poiché gli endocannabinoidi svolgono un ruolo cruciale nei meccanismi cerebrali che regolano i processi di gratificazione, è possibile che l’incremento dell’AEA sia implicato nella mediazione degli aspetti gratificanti
dell’anomalo comportamento alimentare di queste pazienti. In particolare,
nelle pazienti anoressiche, l’AEA potrebbe mediare, almeno in parte, la
dipendenza di queste pazienti dal digiuno, rendendole capaci di resistere alla
cronica sensazione di fame generata dalla prolungata restrizione alimentare.
Nelle pazienti bulimiche, infine, l’assenza di alterazioni a carico della leptina
potrebbe rendere conto dei loro normali livelli di AEA.
CONCLUSIONI
Dall’analisi dei dati esposti emerge che le alterazioni biochimiche, riscontrate nel corso della fase attiva di un DCA, si normalizzano in gran parte dopo
la guarigione clinica. Ciò suggerisce che esse sono secondarie alla malnutrizione/denutrizone e/o al calo ponderale e non sono la causa dell’alterato
comportamento alimentare. In ogni caso, anche se molte di dette alterazioni
insorgono secondariamente alla denutrizione/malnutrizione, non è escluso
che esse possano contribuire al mantenimento della sintomatologia ed
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ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
influenzare in tal modo l’esito della malattia. Ad esempio, abbiamo sottolineato come la trasmissione serotoninergica sia deficitaria nel corso delle fasi
sintomatiche dell’AN e della BN e tale deficit, anche se secondariamente
indotto dalla malnutrizione e dalla pratiche di compenso improprie, può contribuire non solo al mantenimento dell’alterato comportamento alimentare
ma anche alla genesi di manifestazioni depressive, ansiose, ossessive e
aggressive. Inoltre, le modificazioni a carico dei peptidi periferici regolatori
della fame e della sazietà, anche se dovute agli squilibri nutrizionali, una
volta insorte, possono contribuire al mantenimento della disregolazione alimentare. Ad esempio, nella BN le disfunzioni a carico della CCK, della leptina, della ghrelina e del PYY possono contribuire alla genesi e/o al mantenimento delle abbuffate, mentre l’ipoleptinemia e l’aumento della ghrelina circolante, nell’AN, possono contribuire all’amenorrea e/o all’iperattività fisica. Di qui la necessità di correggere queste disfunzioni nel corso del trattamento della AN e della BN. La persistenza, poi, di alcune di queste alterazioni ben al di là della guarigione della malattia pone, da un lato, l’interrogativo del loro possibile ruolo patogenetico e, dall’altro, suggerisce la possibile
presenza di una persistente vulnerabilità alla malattia che, ovviamente, può
esporre le pazienti alle ricadute.
In conclusione, si può ritenere che l’AN e la BN insorgano in seguito ad una
complessa e ancora poco nota interazione tra fattori predisponenti (individuali e familiari) e fattori precipitanti (socio-culturali e familiari). Le modificazioni indotte dagli squilibri nutrizionali possono rinforzare e favorire il
mantenimento dei comportamenti aberranti secondo un circolo vizioso che si
automantiene. I modelli eziopatogenetici biologici, familiari e socio-culturali, singolarmente presi, difficilmente possono fornire una spiegazione esauriente dell’origine dei DCA. È necessario, dunque, guardare all’AN e alla
BN senza convinzioni preconcette circa le loro cause e tenere conto di tutte i
possibili fattori di rischio e di mantenimento di questi disturbi ai fini della
pianificazione di interventi terapeutici integrati e della messa a punto di efficaci strategie di prevenzione.
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ALIMENTARE E CORRELATI BIOCHIMICI
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REGOLAZIONE DEL COMPORTAMENTO
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DELL’ANORESSIA E BULIMIA NERVOSA
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41
La vulnerabilità genetica nell’anoressia
e nella bulimia nervosa
ALFONSO TORTORELLA, VALERIA IODICE,
ANNUNZIATA MENNELLA, PALMIERO MONTELEONE
1:2009; 43-61
L’anoressia e la bulimia nervosa sono disturbi caratterizzati da alterazioni del comportamento alimentare, che possono avere conseguenze drammatiche per la salute fisica del
paziente. L’eziologia dei disturbi del comportamento alimentare (DCA) è, al momento,
ancora sconosciuta anche se il ruolo e l’importanza della componente genetica diventano ogni giorno più chiari. La ricerca scientifica non ha ancora trovato evidenze definitive che confermino l’associazione tra determinati geni e DCA; tuttavia, sembra che i
geni del recettore 5-HT2A e del fattore neurotrofico di derivazione cerebrale (BDNF)
siano due promettenti candidati nel determinismo della vulnerabilità biologica ereditaria
dell’anoressia nervosa. Le ragioni della prevalenza di risultati negativi negli studi di
genetica dei DCA sono molteplici, ma la più rilevante sembra essere l’eterogeneità dei
fenotipi clinici. Studi futuri dovranno focalizzare l’attenzione su sottogruppi più omogenei di soggetti, sia selezionando i pazienti sulla base di specifici tratti fenotipici sia
identificando gli endofenotipi. Tutto questo sarà di fondamentale importanza anche per
la prevenzione ed il trattamento dei DCA.
NÓOς
RIASSUNTO
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
Dipartimento di Psichiatria, Università di Napoli SUN, Napoli
Parole chiave: anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbi del comportamento alimentare, genetica, geni candidati, polimorfismi genici.
SUMMARY
Anorexia and bulimia nervosa are characterized by abnormal eating behaviours often
resulting in dramatic physical consequences for the patients. The etiology of eating disorders (EDs) is currently unknown; however, a strong genetic contribution is likely
involved. No conclusive evidence for association of candidate genes with EDs has been
provided yet; nevertheless, it seems that the 5HT2A receptor gene and the brain-derived
neurotrophic factor (BDNF) gene are promising candidates for genetic influences on
anorexia nervosa. Reasons for such prevalently negative results are multiple, but the heterogeneity of clinical phenotypes is likely the most relevant one. Future studies should
focus on more homogeneous subgroups, either relying on specific ED traits or identifying endophenotypes. This will be useful also for prevention and treatment of EDs.
Key words: anorexia nervosa, bulimia nervosa, eating disorders, genetics, candidate
genes, polymorphisms.
43
Indirizzo per la corrispondenza: Alfonso Tortorella, Dipartimento di Psichiatria, Seconda Università di
Napoli SUN, Largo Madonna delle Grazie, 80138 – Napoli.
NÓOς
LA VULNERABILITÀ GENETICA NELL’ANORESSIA
E NELLA BULIMIA NERVOSA
A. TORTORELLA - V. IODICE
A. MENNELLA - P. MONTELEONE
INTRODUZIONE
I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono sindromi psichiatriche
complesse caratterizzate da gravi alterazioni del comportamento alimentare,
che possono avere conseguenze drammatiche sulla salute fisica dei pazienti.
Nella IVa edizione del Manuale Diagnostico e Statistico per i Disturbi Mentali (DSM IV)1 i DCA sono suddivisi in tre gruppi principali: anoressia nervosa (AN), bulimia nervosa (BN) e disturbi del comportamento alimentare
non altrimenti specificati (DANAS) rappresentati principalmente dal binge
eating disorder (BED). Il DSM IV differenzia due sotttipi di AN sulla base
della presenza o assenza di comportamenti di tipo bulimico-purgativo: l’AN
binge-purging (ANBP) e l’AN restrittiva (ANR). Anche la BN viene classificata in due diversi sottotipi, purging (BNP) e non-purging (BNNP), sulla
base della presenza o assenza di comportamenti compensatori di tipo purgativo.
La complessa presentazione clinica dei DCA sottende una altrettanto complessa eziopatogenesi. L’ipotesi eziopatogenica attualmente più accreditata
riconosce che fattori psicologici, sociali e biologici svolgono un ruolo determinante, anche se non ancora del tutto chiaro, nel determinismo di tali sindromi2-4. Negli ultimi anni, i dati derivanti da studi epidemiologici, studi
sulle famiglie e sui gemelli hanno chiarito il ruolo essenziale svolto dai fattori genetici nella trasmissione della vulnerabilità ai DCA. In questo ambito,
gli studi di genetica molecolare hanno consentito di identificare alcune
regioni del genoma (chiamate loci di suscettibilità), che sono collegate ai
DCA, ed hanno portato alla scoperta di varianti polimorfe di geni candidati,
che possono aumentare il rischio di sviluppare tali disturbi.
Scopo di questo articolo è quello di fornire una revisione critica delle evidenze scientifiche emerse negli ultimi anni sulla genetica dei DCA. Per questo motivo, saranno descritti soprattutto gli studi sui principali polimorfismi
dei più importanti geni candidati e sarà fornita una breve descrizione dei più
rilevanti studi sulle famiglie, sui gemelli e di linkage, nell’intento di provvedere una visione d’insieme aggiornata delle basi genetiche dei DCA.
STUDI SU FAMIGLIE E GEMELLI
Numerosi studi evidenziano una frequenza significativamente più alta di AN
e BN nei familiari di pazienti con DCA rispetto ai familiari di soggetti sani.
Questo dato suggerisce un’aggregazione familiare della AN e della BN5,6. In
particolare, nei familiari di primo grado di soggetti con AN, è stato evidenziato un rischio lifetime di ammalarsi di AN in media pari al 2,69% rispetto
allo 0,8% dei familiari dei soggetti sani5. Altri studi hanno dimostrato una
co-aggregazione dell’AN e della BN nei familiari di primo grado di sesso
femminile di probandi con AN o BN, con un rischio relativo per l’AN pari a
11,3 e 12,3, rispettivamente, e un rischio relativo per la BN pari a 4,2 e 4,4,
rispettivamente7,8. Questi dati suggeriscono che alcuni geni specifici possono predisporre i soggetti ad ammalarsi di entrambi i DCA.
44
1:2009; 43-61
NÓOς
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
Gli studi familiari non distinguono tra la componente genetica e quella
ambientale della trasmissione. Gli studi effettuati su gemelli, invece, sono
uno strumento efficiente per quantificare la differente influenza della componente genetica rispetto a quella ambientale nel determinismo di un tratto
fenotipico. Questa efficienza è legata al fatto che le differenze esistenti in
una coppia di gemelli monozigoti (MZ) sono secondarie all’azione dei soli
fattori ambientali, mentre le differenze tra gemelli dizigoti (DZ) possono
essere dovute sia a fattori genetici sia a fattori ambientali. Comunque confrontando le similitudini tra gemelli MZ e gemelli DZ per un dato tratto, è
possibile individuare il contributo relativo dei geni e dell’ambiente per quel
tratto specifico. Numerosi studi su gemelli hanno dimostrato un maggiore
tasso di concordanza tra AN o BN nei gemelli MZ rispetto ai gemelli DZ,
evidenziando la maggiore rilevanza dei fattori genetici rispetto ai fattori
ambientali nella familiarità dei DCA. Gli studi sui gemelli mostrano anche
che molti tratti fenotipici correlati con l’alterato comportamento alimentare,
come l’alimentazione incontrollata, il vomito autoindotto, la ricerca della
magrezza e la restrizione alimentare, presentano un’elevata trasmissibilità9-12.
Infine, è stata evidenziata la presenza di una trasmissione genetica condivisa
tra DCA e disturbi d’ansia in gemelli MZ adolescenti di sesso femminile,
suggerendo che la vulnerabilità genetica ai DCA può essere associata con i
geni coinvolti nei disturbi d’ansia13.
STUDI DI GENETICA MOLECOLARE
Lo scopo degli studi di genetica molecolare è quello di identificare regioni
cromosomiche e geni di vulnerabilità dei DCA, utilizzando due differenti
metodologie: studi di linkage e di associazione (studi caso-controllo o studi
all’interno delle famiglie).
Gli studi di linkage non partono da alcuna ipotesi sui possibili geni coinvolti
nel disturbo in esame. Infatti, mediante uno screening con marker genetici
dell’intero genoma umano di soggetti appartenenti a famiglie affette, valutano la trasmissione e la segregazione di marker polimorfi per identificare
regioni cromosomiche, piuttosto che specifici geni, verosimilmente collegati
col disturbo. Tale approccio richiede il reclutamento di numerose famiglie
con soggetti affetti e non affetti, il che costituisce un’oggettiva difficoltà per
disturbi rari come i DCA.
Gli studi di associazione presuppongono, invece, un’ipotesi eziopatogenetica
aprioristica che, partendo dall’osservazione di alterazioni a carico di determinate sostanze negli individui affetti dal disturbo in questione, presuppongono il coinvolgimento di dette sostanze nella eziopatogenesi del disturbo
stesso. Pertanto i geni che codificano queste sostanze, i loro recettori, e/o gli
enzimi biosintetici e degradativi sono identificati come “geni candidati”, che
possono contribuire alla vulnerabilità ereditaria al disturbo stesso. Negli
studi di associazione vengono confrontate le differenze di frequenza di alleli
polimorfi e/o di genotipi di un determinato gene candidato in due gruppi
distinti, controlli e pazienti. Una maggiore o minore frequenza nei pazienti
45
LA VULNERABILITÀ GENETICA NELL’ANORESSIA
E NELLA BULIMIA NERVOSA
A. TORTORELLA - V. IODICE
A. MENNELLA - P. MONTELEONE
NÓOς
suggerisce l’associazione del gene al disturbo nel senso di una predisposizione o una protezione. Uno svantaggio di questi studi è il rischio di ottenere
dei falsi positivi dovuti alla stratificazione della popolazione. È comunque
possibile annullare completamente gli effetti della stratificazione della popolazione effettuando lo studio su trios familiari (il probando affetto e i due
genitori biologici) utilizzando il transmission disequilibrium test (TDT).
STUDI DI LINKAGE
Il primo studio di analisi dell’intero genoma umano condotto in famiglie con
individui affetti da DCA non ha evidenziato alcun locus di suscettibilità; tuttavia, quando l’analisi è stata ristretta al solo campione di pazienti con ANR
un linkage significativo è stato osservato per la regione 1p33-1p36 localizzata sul cromosoma 114. Uno studio successivo ha confermato detto linkage ed
ha messo in evidenza che nella regione 1p33-1p36 sono localizzati due possibili geni candidati: il gene che codifica per il recettore oppioide delta-1 e
quello che codifica per il recettore 5-HT1Dβ della serotonina15. Quando le
analisi di linkage sono state ripetute prendendo in considerazione non il
disturbo AN ma alcuni tratti fenotipici caratteristici dello stesso, segnali di
linkage significativi sono stati ritrovati tra ossessività e regione 6q21, ansia e
regione 9p21.3, indice di massa corporea (IMC) e regione 4q13.1, preoccupazione per gli errori e regione 11p11.2 e ossessioni correlate al cibo e regione 17q25.1 o regione 15q26.216. Un solo studio, infine, ha ritrovato un
segnale di linkage significativo tra BN e regione 10p13-p12 e un linkage al
limite della significatività con la regione 14q17.
STUDI DI ASSOCIAZIONE (TABELLE I E II)
Negli ultimi 20 anni sono stati identificati neurotrasmettitori centrali e periferici, ormoni e peptidi che regolano non solo il comportamento alimentare
ma anche le dimensioni psicopatologiche associate ai DCA. Mutazioni e
polimorfismi di alcuni dei geni coinvolti nella biosintesi e/o nella degradazione di queste sostanze e dei recettori sui quali esse agiscono sono stati
identificati e soprattutto quelle varietà geniche responsabili di modificazioni
strutturali e funzionali delle proteine finali sono state oggetto di studio quali
fattori di vulnerabilità genetica ai DCA.
NEUROTRASMETTITORI CENTRALI SEROTONINA
Numerose linee di ricerca sottolineano il ruolo della serotonina (5-HT) nella
regolazione del comportamento alimentare. Infatti le manipolazioni farmacologiche che aumentano la neurotrasmissione serotoninergica determinano una
riduzione dell’alimentazione, mentre quelle che ne riducono l’attività determinano iperfagia18. La 5-HT è anche coinvolta nei tratti psicologici e personolo46
1:2009; 43-61
NÓOς
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
gici associati con i DCA come la depressione, l’ansia, l’impulsività, l’ossessività e l’evitamento del pericolo19,20. Per questo motivo i geni coinvolti nella
fisiologia della trasmissione serotoninergica, come quelli che codificano per la
proteina del trasportatore della 5-HT (5-HTT), per i differenti sottotipi recettoriali serotoninergici e per gli enzimi catabolici, come la triptofano idrossilasi-1
(TPH-1), la catecol-0-metiltransferasi (COMT) e la monoamminossidasi-A
(MAOA), hanno suscitato notevole interesse negli studi di associazione.
È stato descritto un polimorfismo nella regione del promotore del gene 5-HTT
(5-HTTLPR)21 caratterizzato da una delezione (variante short o S) o da una
inserzione (variante long o L) di 44 paia di basi con conseguenze funzionali sulla
trascrizione del gene, sulla quantità di trasportatore sintetizzato e, quindi, sull’efficienza nella ricaptazione della 5-HT22. Due studi23,24 hanno rilevato un’associazione tra l’allele S del 5-HTTLPR e l’AN, mentre i rimanenti non l’hanno
confermata25-29. Una metanalisi comprendente quattro di questi studi di associazione23,25,27 ha concluso che l’allele S del polimorfismo 5-HTTLPR sembra rappresentare un moderato ma significativo fattore di rischio per l’AN30.
L’associazione del polimorfismo 5-HTTLPR con la BN è stata esaminata in
quattro studi24,26,31,32. Solo uno ha mostrato un’associazione positiva tra l’allele S e la BN in un ristretto gruppo di pazienti26. Monteleone et al.32 hanno
invece rilevato una frequenza più alta dell’allele L nelle pazienti affette da BN.
Il polimorfismo 5-HTTLPR risulterebbe collegato ad alcuni aspetti fenotipici
dei DCA. Steiger et al.33 hanno rilevato che in un gruppo di 59 donne con
comportamenti di binge purging, includente individui con BN, ANBP e
DANAS, l’allele S risultava associato con il disturbo borderline di personalità in comorbilità, l’instabilità affettiva e l’attaccamento insicuro. Nei
pazienti con AN e BN, l’allele S è risultato associato con alti livelli di ricerca
della magrezza e insoddisfazione corporea34, mentre è stato osservato che i
pazienti bulimici con almeno un allele S presentano valori di IMC e massa
grassa più bassi e livelli di evitamento del pericolo e ansietà maggiori rispetto al genotipo LL32,35.
Alcuni studi hanno valutato l’interazione tra il polimorfismo 5-HTTLPR e i
polimorfismi dei geni del trasportatore della noradrenalina (NAT) e della
MAOA (epistasi). Urwin et al.29 non hanno riscontrato alcuna interazione
significativa tra il 5HTTLPR e il polimorfismo del promoter del gene NAT
nell’AN. Al contrario, lo stesso gruppo di ricercatori ha riscontrato una interazione epistatica sinergica significativa tra 5-HTTLPR ed il polimorfismo
della regione del promotore del gene della MAOA, conosciuto come
MAOA-uVNTR. Tale polimorfismo è caratterizzato da inserzione (variante
long o MAOA-L) o delezione (variante short o MAOA-S) di sequenze costituite da 30 paia di basi con conseguenze funzionali sulla trascrizione del
gene, che si estrinsecano in una maggiore efficienza della trascrizione del
gene NAT e quindi maggiore sintesi di trasportatore da parte della variante
MAOA-L. I soggetti che ricevono la variante MAO-L e sono omozigoti per
la forma S del 5HTTLPR hanno un rischio di sviluppare AN 8 volte superiore rispetto a quelli che ricevono la sola variante genica MAOA36.
Il polimorfismo -1438G/A nella regione del promotore del gene del recettore
5-HT2A è stato oggetto di studio di diversi lavori con risultati discordanti.
47
LA VULNERABILITÀ GENETICA NELL’ANORESSIA
E NELLA BULIMIA NERVOSA
A. TORTORELLA - V. IODICE
A. MENNELLA - P. MONTELEONE
NÓOς
Infatti sei studi hanno evidenziato una frequenza significativamente più alta
sia del genotipo AA che dell’allele A nella AN37-42, ma otto studi e una
metanalisi non hanno confermato questo dato28,43-50.
L’associazione del polimorfismo -1438G/A nella regione del promotore del
gene del recettore 5-HT2A con la BN è stata valutata in otto studi: di questi
solo 3 sono risultati positivi42,43,48.
Tre studi hanno esaminato l’associazione tra il polimorfismo a singolo
nucleotide (SNP) Cys23Ser del gene del ricettore 5-HT2A e l’AN41,51,52: di
questi uno è negativo41 e i restanti due mostrano una frequenza più alta sia
del genotipo Ser23Ser che dell’allele Ser23 in pazienti AN caucasici51,52.
Altri tre studi si sono concentrati sul gene del ricettore 5-HT1Dβ53-55. Diversi
SNPs e/o aplotipi del gene del ricettore 5-HT1Dβ sono risultati significativamente associati con AN o ANR.
Numerosi altri SNPs di geni correlati alla 5-HT, come il gene del recettore 5-HT7
e il gene della TPH-1 sono stati valutati in studi caso-controllo54,56,57 senza trovare alcuna associazione significativa con AN o BN. Tuttavia le donne affette da
BN con il genotipo AA dello SNP A218C del gene TPH-1 mostrano una sintomatologia bulimica più severa [valutata come frequenza degli episodi di abbuffata-vomito e come punteggio al Bulimia Investigation Test Edinburgh (BITE)] e
più alti livelli di evitamento del pericolo rispetto ai genotipi AC e CC57.
DOPAMINA
La dopamina (DA) è stata più volte considerata alla base di alcuni sintomi cardine dei DCA come la perdita di peso, l’iperattività fisica, la distorsione dell’immagine corporea, l’amenorrea e il comportamento ossessivo-compulsivo58.
Due studi hanno valutato il polimorfismo del gene del trasportatore della
dopamina (DAT-1) caratterizzato dalla presenza di un numero variabile di
ripetizioni tandem (VNRT) in un piccolo gruppo di pazienti con ANBP o BN
senza trovare associazioni significative nei singoli gruppi diagnostici59,60.
Bergen et al.61 hanno valutato diversi SNPs del gene del recettore dopaminergico DA2 (DRD2) trovando un’associazione significativa di due polimorfismi (-141 Indel e 957C>T) e di alcuni aplotipi con ANBP, con il TDT che
mostra una trasmissione statisticamente significativa per alcuni di essi. Non
sono state rilevate associazioni tra il polimorfismo Taq1 del gene DRD2 con
AN e BN in un piccolo gruppo di soggetti con AN e BN62.
L’associazione tra gli SNPs dei geni dei recettori dopaminergici D3 (DRD3) e
D4 (DRD4) con l’AN ha dato risultati prevalentemente negativi63-65.
NORADRENALINA
Anche la noradrenalina (NA) è stata oggetto di studio in pazienti con DCA,
dato che una riduzione dei livelli di NA sia nel sangue sia nel liquido cerebrospinale è stata riportata in pazienti con AN dopo il recupero del peso corporeo66,67. Questo dato potrebbe far pensare ad un’alterata ricaptazione della
48
1:2009; 43-61
Il gene COMT codifica l’enzima catecol-O-metiltransferasi che partecipa al
catabolismo delle catecolamine cerebrali. Uno SNP nella posizione 472
(472G/A) determina un cambio di aminoacidi (158 Val>Met) e quindi due
forme di proteina matura con differente attività enzimatica. L’allele 158Val è
responsabile di una maggiore attività enzimatica, che è circa 4 volte superiore a quella dell’allele 158Met70. Un’associazione significativa del genotipo
ValVal e dell’allele Val con AN è stata dimostrata in due studi71,72, ma non è
stata confermata da un ampio studio caso-controllo condotto in 6 nazioni
europee73.
NÓOς
ENZIMI CATABOLICI DELLA MONOAMINE
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
NA da parte del suo trasportatore. Un polimorfismo nella regione del promotore del gene NAT (NATpPR), caratterizzato da una delezione (NATpPR-S4)
o da una inserzione (NATpPR-L4) di 4 basi, è stato oggetto di studio di un
gruppo australiano che ha trovato una trasmissione preferenziale dell’allele
NATpPR-L4 da parte dei genitori ai propri figli affetti da AN68. Comunque,
tale dato non è stato confermato da uno studio successivo69.
REGOLATORI CENTRALI DELL’ALIMENTAZIONE
Vari sistemi peptidergici sono coinvolti nella regolazione del comportamento
alimentare74. Gli studi di associazione genica hanno preso in considerazione
soprattutto le varianti geniche del brain-derived neurotrophic factor (BDNF)
e del suo recettore tirosin-chinasico 2 (NTRK2), della proteina agouti-correlata (AGRP), dei recettori del neuropeptide Y (NPY), del recettore oppioide
delta-1 (OPRD1) e del recettore CB1 dei cannabinodi.
Numerose evidenze sperimentali suggeriscono un ruolo del BDNF nella
regolazione del comportamento alimentare come fattore di sazietà e ridotti
livelli plasmatici di questa neurotrofina sono stati ritrovati in pazienti con
AN e BN76. Lo SNP Val66Met (196G/A) del gene del BDNF è risultato
associato significativamente alla ANR in un piccolo studio caso-controllo,
nel quale la presenza di almeno una copia dell’allele A determinava anche
valori minimi del IMC76. Questo dato è stato replicato in uno studio casocontrollo molto più ampio, comprendente soggetti di sei diverse nazioni
europee, che ha evidenziato che sia i soggetti con ANR sia quelli con ANBP
presentano una più alta frequenza del genotipo AA e dell’allele A77. Infine,
altri due gruppi di ricerca hanno confermato un’associazione significativa tra
lo SNP Val66Met e l’ANR o l’AN78,79. Risultati negativi sono stati, invece,
riportati in due studi caso-controllo e in uno studio familiare con trios81-83.
Per quanto riguarda la BN, la maggior parte degli studi, eccetto uno, non ha
ritrovato associazioni significative con lo SNP Val66Met del gene BDNF77-79.
Monteleone et al.84, pur non ritrovando alcuna associazione significativa tra
lo SNP Val66Met e la BN, hanno evidenziato che i pazienti bulimici con
genotipo AA presentano una maggiore severità della sintomatologia bulimi49
LA VULNERABILITÀ GENETICA NELL’ANORESSIA
E NELLA BULIMIA NERVOSA
A. TORTORELLA - V. IODICE
A. MENNELLA - P. MONTELEONE
NÓOς
ca (valutata sulla base della frequenza settimanale delle abbuffate ed come
punteggio totale della BITE).
Il NPY è un potente stimolatore della fame che agisce direttamente sull’ipotalamo dove è prodotto in associazione con un altro potente peptide oressigeno,
l’AGRP, che funziona come agonista inverso dei recettori melanocortinici,
incluso il recettore 4 della melanocortina. Non sono state trovate associazioni
significative tra gli SNPs dei geni dei recettori NPY Y1 e Y5 e l’AN85, mentre
2 SNPs del gene AGRP sono risultate significativamente associate all’AN86.
I peptidi oppioidi e gli endocannabinoidi svolgono un ruolo fondamentale in
vari aspetti della scelta e dell’assunzione del cibo. Alcuni studi hanno evidenziato che sia alcuni SNPs sia alcuni aplotipi del gene per OPRD1 sono
associati con AN53 e con i sottotipi ANR e ANBP55. È stata inoltre valutata
la presenza di associazioni tra DCA ed i polimorfismi del gene del recettore
CB1 (CNR1). In particolare, mediante l’extended transmission disequilibrium
test (ETDT), è stato possibile evidenziare la presenza di una trasmissione
preferenziale dell’allele del gene CNR1 con 14 ripetizioni AAT nel gruppo
di pazienti ANBP e la trasmissione preferenziale dell’allele del gene CNR1
con 13 ripetizioni AAT nel gruppo di pazienti con ANR, suggerendo un’associazione significativa tra questi alleli e i due sottotipi clinici87.
REGOLATORI PERIFERICI DELL’ALIMENTAZIONE
Sia il tratto gastrointestinale sia il tessuto adiposo producono numerose sostanze ed ormoni ai quali è riconosciuto un ruolo centrale nella regolazione del
metabolismo energetico e del comportamento alimentare. Le alterazioni della
fisiologia di queste sostanze sono risultate alla base dei meccanismi fisiopatologici dei DCA88 e i polimorfismi dei loro geni e dei geni che codificano per i
loro ricettori sono stati ampiamente studiati per l’associazione con AN e BN.
Dagli studi effettuati non sono risultate associazioni significative tra gli SNPs
Arg51Gln e/o Gln90Leu del gene della ghrelina e l’AN. Lo SNP Leu72Met di
detto gene, invece, è risultato significativamente associato con l’ANBP in uno
studio di trios familiari, che ha evidenziato una trasmissione preferenziale
dell’allele Met nelle pazienti affette da ANBP83, ma non in due studi casocontrollo89,91. Un solo studio ha rilevato un’associazione significativa degli
SNPs Leu72Met e 3056T>C con la BNP90. Infine lo SNP 171T/C del gene
del recettore della ghrelina è stato trovato associato significativamente con la
BN, ma non con la AN in un gruppo di pazienti giapponesi92.
Per quanto riguarda la colecistochinina (CCK), lo SNP rs11129946 del suo
gene è stato trovato associato in maniera significativa con AN in un solo studio93. In alcuni studi caso-controllo effettuati su piccoli gruppi, non sono
state evidenziate associazioni significative tra gli SNPs di vari altri geni, tra
cui quello del recettore CCK-A della CCK, della leptina, del recettore della
leptina, dell’adiponectina e della resistita, e l’AN o la BN93-96. Tali dati
necessitano di conferma.
50
1:2009; 43-61
NÓOς
Alcuni studi hanno valutato il ruolo dei polimorfismi di altri geni ritenuti
coinvolti nella regolazione dell’omeostasi energetica e dei tratti fenotipici
correlati ai DCA. Questi studi si sono focalizzati sui geni delle proteine
disaccoppianti (UCP), del fattore di necrosi tumorale-α (TNF-α), dei recettori degli estrogeni (ESR), della fosfolipasi A2, dei canali del potassio attivati dal calcio (KCNN3) e del gene del circadian locomotor output cycles kaput
(CLOCK), coinvolto nella regolazione dei ritmi circadiani.
È stata inizialmente riportata da Campbell et al.97 un’associazione tra l’AN e
un allele del marker del microsatellite D11S911 del gene UCP2/UCP3; tale
dato non è stato confermato da uno studio successivo98. Non sono risultati
associati con AN, in studi indipendenti caso-controllo, tanto i polimorfismi
del gene del TNF-α quanto quelli della fosfolipasi A299,100. La predominanza
del sesso femminile nella eziopatogenesi nei DCA suggerisce un possibile
ruolo degli ormoni sessuali, in modo specifico di estrogeni. Lo SNP
1082G>A del gene del recettore 2 degli estrogeni (ESR2) è stato trovato
significativamente associato ad AN in 2 studi indipendenti caso-controllo101,102. Inoltre lo SNP 1730A>G dello stesso gene è stato trovato associato
con BN in uno studio103, ma non in un altro101. Due studi hanno valutato
l’associazione tra un polimorfismo del gene KCNN3 e l’AN evidenziando
che i pazienti con AN presentano più frequentemente dei controlli una ripetizione CAG (allele L) di detto gene104,105.
Dal momento che l’alimentazione è sottoposta ad una fisiologica regolazione
circadiana, è intuitivo che alterazioni dei componenti dell’oscillatore endogeno regolatore dei ritmi circadiani possano essere coinvolte nell’alterata ritmicità del comportamento alimentare che caratterizza i DCA. Lo SNP
3111T/C del gene CLOCK è stato studiato nei DCA e non sono state ritrovate associazioni significative di tale SNP con l’AN o la BN. È emerso,
comunque, che i soggetti con AN e BN portatori di almeno una copia dell’allele C, raggiungono un peso corporeo significativamente più basso di quelli
con genotipo TT106,107.
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
ALTRI GENI CANDIDATI
CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE
Negli ultimi 20 anni, sono state valutate le possibili associazioni tra le
varianti polimorfe di numerosi geni candidati e l’AN o la BN. I risultati non
consentono, al momento, di chiarire il ruolo di tali varianti nel determinismo
della vulnerabilità genetica ai DCA, dato che la maggioranza degli studi di
associazione è stata condotta su piccoli campioni di pazienti e soffrono della
eterogeneità genetica e della stratificazione. Al momento, sembra che i geni
del recettore 5-HT2A e il gene BDNF siano dei promettenti candidati nella
vulnerabilità genetica all’AN. Questa ipotesi è legata al dato, più volte replicato, anche se non specifico, di un’associazione significativa tra lo SNP 1438G/A del gene del recettore 5-HT2A e lo SNP Val66Met del gene del
BDNF e l’ANR e/o alcuni tratti fenotipici caratteristici del disturbo. I dati
51
52
LA VULNERABILITÀ GENETICA NELL’ANORESSIA
E NELLA BULIMIA NERVOSA
A. TORTORELLA - V. IODICE
A. MENNELLA - P. MONTELEONE
NÓOς
che riguardano invece la BN appaiono meno consistenti. In questo disturbo
gli SNPs sono stati trovati frequentemente associati a tratti fenotipici correlati ai DCA, ma non direttamente alla BN così come essa è categorizzata
attualmente nel DSM-IV. Questo sottolinea la necessità che gli studi futuri
siano condotti su sottogruppi più omogenei di pazienti, attraverso la focalizzazione su tratti specifici dei DCA o l’identificazione di endofenotipi. Nel
primo caso, Bulik et al.108 hanno identificato 6 tratti fenotipici quantitativi
(ossessività, età del menarca, ansia, IMC minimo, preoccupazione per gli
errori e ossessioni legate al cibo) che possono essere utilizzati sia nelle analisi di linkage sia negli studi di associazione. Un endofenotipo, invece, è un
tratto valutabile che può essere fisico, cognitivo o neuropsicologico, che è
associato al disturbo correlato, è ereditario e primariamente stato-indipendente109. I DCA, infine, presentano un alto grado di comorbilità con altri
disturbi psichiatrici, inclusi disturbi affettivi, d’ansia e di personalità110, che
possono contribuire alla eterogeneità clinica dei campioni valutati e spiegare,
parzialmente, gli attuali risultati discrepanti.
È chiaro che la genetica dei DCA necessita di maggiori e più ampi studi. Per
raggiungere questo obiettivo sarà necessario incoraggiare studi di collaborazione multicentrica nei quali i ricercatori dovranno analizzare numerosi polimorfismi per ogni gene, specialmente per quelli dotati di conseguenze funzionali sull’espressione sia della struttura sia della funzione delle proteine codificate. All’interno di questi studi, un’area promettente per le future ricerche sui
DCA è rappresentata dalle valutazioni delle interazioni gene x gene e delle
interazioni tra geni e fattori di rischio ambientale. Studi epistatici dovranno
essere incoraggiati in considerazione del fatto che la suscettibilità biologica ai
DCA presenta una natura multigenica. Alcuni risultati interessanti cominciano
ad emergere in quest’area29,36, ma i dati sono ancora troppo preliminari per
formulare una qualunque conclusione significativa. Gli effetti dei fattori di
rischio ambientale sull’espressione genica sono al momento completamente
negletti negli studi genetici sui DCA. Gli eventi della vita, la nutrizione, i fattori di rischio culturali, agiscono attraverso un meccanismo epigenetico che
può influenzare l’attivazione e/o la disattivazione di determinati geni, modificando il rischio di sviluppare un DCA. Come sottolineato da Moffitt et al.110,
le discrepanze tra gli studi di associazione possono essere il risultato di interazioni geni-ambiente ancora sconosciute, nelle quali i geni presentano un ruolo
importante nella suscettibilità ad ammalarsi di DCA solo nei pazienti che
sono esposti a questi probabili fattori di rischio ambientale.
In conclusione, gli studi genetici sui DCA sono chiaramente in una fase iniziale. L’aumentata conoscenza dei meccanismi che regolano il peso corporeo
ed il comportamento alimentare, in condizioni fisiologiche e/o patologiche,
così come una più omogenea caratterizzazione dei fenotipi clinici, ci aiuterà
ad identificare i geni più probabilmente coinvolti nella trasmissione ereditaria della vulnerabilità biologica di queste gravi e debilitanti condizioni cliniche. I risultati ottenuti in questo campo, combinati con l’identificazione dei
predittori genetici degli esiti del trattamento, aiuteranno i clinici a pianificare
strategie e programmi di trattamento preventivi più efficaci.
Significatività
Referenza
Trasportatore 5-HT
AN=96; CSP=112; OB=385
AN=56; CF=120
AN=138; CF=90
AN=65; CSVP=358; CS=148
AN Trios=106
AN=77; CS=290; TED=188
AN=132; CF=93
44 bp Del/Ins (promotore)
n.s.
s./n.s.
n.s.
s./n.s.
n.s.
s./n.s.
n.s.
25
26
27
23
29
24
28
Recettore 5HT2A
AN=81; CF=88; CS=226
AN=100; CSP=101; OB=254;
AN Trios=57; OB Trios=103
AN=152; CF=150
AN=77; CF=107
AN=68; CF=69
AN=109; CF=107
AN=78; CF=170
AN=75; CF=127
AN=62; TED=182; CS=374
AN=148; CF=115; OB=132
AN=145; CF=98
AN Trios=316
AN=77; TED=148; CF=89
AN=132; CF=93
-
1438G/A (promotore)
s.
n.s.
37, 38
44
n.s.
s./n.s.
s./n.s.
s./n.s.
s./n.s.
n.s.
s./n.s.
s./n.s.
n.s.
n.s.
s./n.s.
n.s.
45
39
40
41
46
47
48
42
49
50
43
28
Recettore 5HT2C
AN=109; CF=107
AN=41; CSP=16; CF=91
AN=118; CF=224; AN Trios=43
Cys23Ser
n.s.
s.
s./n.s.
41
51
52
Recettore 5HT1Dβ
AN=84; CSP=133; OB=230
AN=196; CF=98
AN=226; CF=678
Phe124Cys
vari
vari
n.s.
s./n.s.
s./n.s.
54
53
55
Recettore 5HT
AN=84; CSP=142; OB=393
Pro279Leu
n.s.
54
Triptofano-idrossilasi-1 AN=128; CS=142
T1095C
n.s.
56
Trasportatore DAT1
ANBP=35; TED=90; CF=115
VNTR
s.
59
Recettore D2
ANR=108; ANBP=98; CF=98
AN=28; OB=70; CS=54
vari
Taq A1
s./n.s.
n.s.
61
62
Recettore D3
AN=39; CF=42
Bal-1
n.s.
63
Recettore D4
AN=109; CSP=82; OB=327;
AN Trios=47; OB Trios=137
AN Trios=202
del.13-bp; rip.48-bp
n.s.
64
vari
s./n.s.
65
Trasportatore NA
AN Trios=101
AN Trios=142
4-bp del/ins promotore
4-bp del/ins promotore
s./n.s.
n.s.
68
69
COMT
AN Trios=51
AN Trios=372; AN=684; CS=266
Val158Met
Val158Met
s.
n.s.
71
73
1:2009; 43-61
Polimorfismo
NÓOς
Gene Candidato
Soggetti
Geni coinvolti nella trasmissione monoamminergica
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
Tabella I. Studi di associazione nell’anoressia nervosa.
(continua)
53
NÓOς
LA VULNERABILITÀ GENETICA NELL'ANORESSIA
E NELLA BULIMIA NERVOSA
A. TORTORELLA - V. IODICE
A. MENNELLA - P. MONTELEONE
(segue Tabella I)
Soggetti
Polimorfismo
Gene Candidato
Geni che codificano per i regolatori centrali dell’alimentazione
Significatività
Referenza
BDNF
AN=64; TED=143; CF=112
AN=753; CF=510; CF=403
AN=72; DANAS=8; TED=198; CF=222
AN=118; CSP=187; OB=183; CS=96
AN Trios=359
AN=149; CF=100
AN=136; CS=89
AN trios=114
Val66Met
Val66Met
Val66Met
Val66Met
Val66Met
Val66Met
Val66Met
Val66Met
s.
s./n.s.
s./n.s.
n.s
s./n.s.
n.s.
s./n.s.
n.s.
76
77
79
81
78
82
80
83
AGRP
AN=145; CF=244
AN trios=114;
vari
G760A
s./n.s.
s./n.s
86
83
Recettore NPY-Y1
AN=58; CSP=128; OB=160;
AN trios=57; OB Trios=155
PST1
n.s.
85
Recettore NPY-Y5
AN=58; CSP=128; OB=160;
AN trios=57; OB Trios=155
Gly426Gly
n.s.
85
Recettore Oppioide δ1
AN=196; CF=98
AN=226; CF=678
vari
vari
s./n.s.
s./n.s.
53
55
CNR1
AN trios=55
alleli 13/14 rip. AAT
s./n.s.
87
Geni che codificano per i regolatori periferici dell’alimentazione
Ghrelina
AN=366; AN+BN trios=529
AN=131; ANBP=97; TED=336; CF=300
AN=59; CF=119
AN Trios=114
vari
vari
Arg51Gln – Leu72Met
Arg51Gln – Leu72Met
n.s.
s./n.s.
n.s.
s./n.s.
89
90
91
83
CCK
AN=165; CF=283
vari
s./n.s.
93
Leptina
AN=115; OB=315; CSP=141; CS=50;
AN Trios=52; OB Trios=168
-1387G/A
n.s.
94
Recettore Leptina
AN=175; CF=150
vari
n.s.
95
Adiponectina
AN=28; OB=77; CF=38
45T>G – 276G>T
n.s.
96
Resistina
Altri geni candidati
AN=28; OB=77; CF=38
68G>A – 180C>G
n.s.
96
UCP2/UCP3
AN=170; CF=150
AN=106; CF=126
D11S911/D11S916
866G/A – 55C/T
s./n.s.
n.s.
97
99
TNFα
AN=91; CF=144
vari
n.s.
100
Fosfolipasi A2
AN=91; CF=144
intPLA2
n.s.
100
Recettore Estrogeni 1
AN=170; CF=152
vari
n.s.
102
Recettore Estrogeni 2
AN=116; BN=90; CSP=143; OB=153
AN=170; CF=152
1082G>A – 1730A>G
1082G>A – 1730A>G
s./n.s.
s./n.s.
101
102
KCNN3
AN Trios=40; AN=53; CF=56
AN=83; CF=334
ripetizione CAG
ripetizione CAG
s.
s.
104
105
CLOCK
AN=60; BN=91; CF=90
3111T/C
n.s.
106
AGRP Agouti-related protein; AN=Anoressia nervosa; ANBP=Anoressia Nervosa Binge-Purging; ANR=Anoressia Nervosa Restrittiva; BDNF=Brain-Derived Neurotrophic Factor; BN=Bulimia Nervosa; CCK=Colecistochinina; CF=Controlli Sesso Femminile; CLOCK=Circadian Locomotor Output Cycles
Kaput; COMT=Catecol-O-Metil-Transferasi; CNR1=Recettore Cannabinoidi; CS=Controlli Sani; CSP=Controlli Sottopeso; CSVP=Controlli Sovrappeso;
DANAS= Disturbi Alimentari Non Altrimenti Specificati; KCNN=Canali al Potassio Attivati dal Calcio; NA= Noradrenalina; NPY =Neuropeptide Y;
OB=Obesi; TED=Total Eating Disorder; TNFα=Tumor Necrosis Factor α; UCP=Uncoupling Protein 2, 3.
54
Trasportatore 5-HT
BN=50; CF=120
BN=102; CS=97
BN=118; CS=290; TED=188
BN=125; CF=94
Recettore 5HT2A
Recettore 5HT2C
Significatività
Referenza
44 bp Del/Ins (promotore)
s./n.s.
n.s.
s./n.s.
n.s.
26
31
24
32
BN=22; CF=69
BN=59; CF=107
BN=99; CF=170
BN=110; TED=182; CS=374
BN=86; CF=115; OB=132
BN=71; TED=148; CF=89
-1438G/A (promotore)
s./n.s.
s./n.s.
s./n.s.
s./n.s.
s./n.s.
s./n.s.
40
41
46
48
42
BN=59; CF=107
Cys23Ser
n.s.
41
A218C
n.s.
57
Triptofano-idrossilasi-1 BN=91; CF=89
43
Trasportatore DAT1
BN=55; TED=90; CF=115
VNTR
s.
59
Recettore D2
BN=20; OB=70; CS=54
Taq A1
n.s.
62
s.
s./n.s.
s./n.s.
n.s
s./n.s.
n.s.
76
77
79
81
78
84
n.s.
s./n.s.
n.s.
89
90
91
n.s.
94
s./n.s.
s./n.s.
101
103
n.s.
106
1:2009; 43-61
Polimorfismo
NÓOς
Gene Candidato
Soggetti
Geni coinvolti nella trasmissione monoamminergica
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
Tabella II. Studi di associazione nella bulimia nervosa.
Geni che codificano per i regolatori centrali dell’alimentazione
BDNF
BN=70; TED=143; CF=112
Val66Met
BN=389; CF=510; CF=403
BN=118; DANAS=8; TED=198; CF=222
BN=80; CSP=187; OB=183; CS=96
BN Trios=94
BN=126; CF=121
Geni che codificano per i regolatori periferici dell’alimentazione
Ghrelina
BN=326; AN+BN trios=529
BNP=108; TED=336; CF=300
BN=114; CF=119
vari
vari
Arg51Gln – Leu72Met
Leptina
BN=71; OB=315; CSP=141; CS=50;
OB Trios=168
-1387G/A
Recettore Estrogeni 2
BN=90; CSP=143; OB=153
BN=76; CF=60
1082G>A – 1730A>G
vari
CLOCK
BN=91; CF=90
3111T/C
Altri geni candidati
AN=Anoressia nervosa; BDNF=Brain-Derived Neurotrophic Factor; BN=Bulimia Nervosa; CF=Controlli Sesso Femminile; CLOCK=Circadian Locomotor
Output Cycles Kaput; CS=Controlli Sani; CSP=Controlli Sottopeso; CSVP=Controlli Sovrappeso; DANAS= Disturbi Alimentari Non Altrimenti Specificati;
OB=Obesi; TED=Total Eating Disorder.
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LA VULNERABILITÀ GENETICA NELL’ANORESSIA
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Sintomi di tipo depressivo e ansioso sono frequentemente presenti tra i soggetti con
disturbi della condotta alimentare (DCA), ma il loro significato diagnostico e clinico non
è stato ancora completamente chiarito: se nell’anoressia nervosa la sintomatologia
depressiva sembra essere in larga misura secondaria alla perdita di peso, come supportato
dal fatto che sintomi depressivi si manifestano in soggetti sani sottoposti a digiuno e dal
rilievo che la sintomatologia depressiva nelle anoressiche tende a migliorare con il recupero del peso, nella bulimia nervosa i sintomi depressivi sono di solito sostenuti dall’incapacità di controllare l’alimentazione, dalla marcata interferenza delle abitudini alimentari nella vita quotidiana, dalla preoccupazione per il peso e la forma corporea, e dalla vergogna e dai sentimenti di colpa suscitati dalle condotte alimentari abnormi. Secondo un’ipotesi alternativa, sia la sintomatologia depressiva che quella ansiosa sarebbero espressione
di disturbi psichici diversi che coesistono con i DCA: in questo caso è necessario stabilire
se e quanto il tasso di comorbilità tra DCA e disturbi dell’umore e d’ansia ecceda quello che
ci si potrebbe attendere se i disturbi fossero associati in maniera casuale, quale sia il significato di questa associazione non casuale e, soprattutto, quali implicazioni etiopatogenetiche, cliniche e prognostiche questa associazione comporti.
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RIASSUNTO
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
DPFNB-Clinica Psichiatrica Università di Pisa
Parole chiav e: disturbi della condotta alimentare, anoressia nervosa, bulimia nervosa,
comorbilità.
SUMMARY
Depressive and anxiety features are often present among patients with eating disorders
(ED); the diagnostic and clinical significance of these symptoms is not entirely clear.
Depression and anxiety might be secondary both to anorexia nervosa (AN) and to bulimia
nervosa (BN); in the case of AN the depressive symptoms might be secondary to weight
loss and starvation, as supported by the fact that depressive symptoms arise in laboratory-induced starvation states, and that in anorexics the mood tend to lift in response to
weigh gain. In BN depressive and anxiety symptoms may arise as a consequence of the
distress caused by the loss of control over eating, by the marked interference of eating
habits in the life of patients, by the concerns about body weight and shape, and by the
shame and guilt over eating dyscontrol.
A different hypothesis suggest that affective and anxiety symptoms are features of separate psychiatric disorders that coexist with eating disorders. In this case it is necessary to
establish if and how this rate of comorbidity exceeds that expected by a chance association of two or more independent disorders, what is the explanation of this phenomenon if
the comorbidity rate is higher than expected, and what implications comorbidity may
have on etiopathogenesys, clinical features and prognosis of ED.
Key words: eating disorders, anorexia nervosa, bulimia nervosa, comorbidity.
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Indirizzo per la corrispondenza: Chiara Borri, Via Roma 67- 56100 Pisa, e-mail: [email protected]
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INTRODUZIONE
I pazienti con disturbi della condotta alimentare (DCA) frequentemente riferiscono sintomi di tipo depressivo: in soggetti con anoressia nervosa (AN)
sono rilevabili umore depresso, sentimenti di perdita di speranza, colpa,
inguaribilità, irritabilità, disturbi della concentrazione e alterazioni del pattern ipnico. I pensieri di morte sono spesso presenti ed il suicidio è una delle
più comuni cause di morte tra i pazienti con DCA. Anche nella bulimia nervosa (BN) i sintomi depressivi sono presenti con frequenza analoga. Tuttavia, il significato diagnostico e clinico di questi sintomi non è stato ancora
completamente chiarito: nell’AN la sintomatologia depressiva sembra essere
in larga misura secondaria alla perdita di peso, come supportato dal fatto che
sintomi depressivi si manifestano in soggetti sani sottoposti a digiuno e dal
rilievo che la sintomatologia depressiva nelle anoressiche tende a migliorare
con il recupero del peso. Anche nella BN i sintomi depressivi possono essere secondari al disturbo alimentare stesso, sostenuti dall’incapacità di controllare l’alimentazione, dalla marcata interferenza delle abitudini alimentari
nella vita quotidiana dei pazienti, dalla preoccupazione per il peso e la forma
corporea, e dalla vergogna e dai sentimenti di colpa suscitati dalle condotte
alimentari abnormi. L’ipotesi della “secondarietà” del quadro depressivo
rispetto a quello alimentare è sostenuta dal rilievo che le fluttuazioni timiche
riferite dai pazienti con DCA avvengono in stretta relazione con le fluttuazioni della capacità di controllo sull’alimentazione, e dal rilievo che una
terapia mirata esclusivamente al controllo delle abitudini alimentari induce
parallelamente un miglioramento della sintomatologia depressiva: se questa
ipotesi fosse corretta, allora il ruolo eziopatogenetico e prognostico della
depressione nei DCA sarebbe improbabile1. Tuttavia, se è vero che quadri di
comorbilità sono più evidenti nel corso della fase acuta dell’AN e che sia la
depressione che l’ossessività possono essere esacerbate dal digiuno, è altresì
vero che la persistenza di sintomi depressivi e ossessivi è stata osservata
anche in soggetti con AN in fase di remissione2-4.
I pazienti con DCA presentano con elevata frequenza sintomi d’ansia: nell’AN
i pazienti spesso mostrano un’intensa fenomenica ansiosa quanto si trovano a
fronteggiare il cibo e sintomi della sfera ossessivo-compulsiva sono frequentemente associati. Allo stesso modo, i pazienti bulimici riferiscono un’intensa
ansia in situazioni sociali che li pongano di fronte alla necessità di mangiare o
di esporre il proprio corpo di fronte ad altri; anche in questo caso tuttavia,
come già ipotizzato per la sintomatologia depressiva, i sintomi d’ansia potrebbero essere secondari al disturbo dell’alimentazione, dato il rilievo del miglioramento di questi fenomeni al migliorare della patologia alimentare1.
La personalità è sempre stata ritenuta un importante fattore nella genesi e nel
mantenimento dei DCA: i disturbi di personalità (DP) possono essere interpretati come fattori predisponenti, ma anche come possibile complicanza o esito di
un DCA; possono avere un’azione patoplastica, ma anche essere presenti indipendentemente dal DCA: la mancanza di studi prospettici, le difficoltà metodologiche quali la necessità di valutare l’effetto del digiuno o della presenza di
depressione, le controversie sulle modalità di assessment dei DP, l’attuazione
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degli studi su campioni clinici di modesta entità, ad oggi non consentono di
trarre conclusioni definitive5. Gli studi sembrano convergere nell’evidenziare
tratti di ossessività, inibizione sociale, conformismo ed inibizione emotiva,
timore dell’incertezza, evitamento delle novità nella personalità premorbosa
delle pazienti anoressiche restricter: è stato postulato che questo tipo di personalità inibita risponda a determinati stressor ambientali esercitando un rigido
controllo sull’alimentazione con l’obiettivo di ottenere un senso di predicibilità
e di sicurezza6. Tuttavia, dato che questi aspetti possono essere amplificati dal
digiuno e dalla perdita di peso, rimane arduo stabilire quanto queste caratteristiche rappresentino tratti stabili e quanto, nei soggetti andati incontro a remissione, possano residuare come esiti a lungo termine. Uno studio recente condotto
su coppie di gemelle7 ha ipotizzato che l’AN possa rappresentare l’espressione
di una vulnerabilità familiare ad uno stile temperamentale che rifletterebbe la
ricerca del perfezionismo, la necessità di ordine e la sensibilità alla gratificazione. Gli studi condotti secondo i criteri del DSM-IV8 riportano nei campioni con
AN percentuali di DP variabili dal 23% all’80%: le pazienti con AN del sottotipo bulimico (AN B/P) tendono a presentare con maggiore frequenza diagnosi di
DP del cluster B (drammatico), mentre le pazienti con AN di tipo restrittivo
(AN-R) tendono a ricevere con maggiore frequenza diagnosi di DP del cluster
C (ansioso). Nei pazienti bulimici prevarrebbero tratti premorbosi caratterizzati
da impulsività, sensitività interpersonale e bassa autostima. Le stime di prevalenza dei DP nei soggetti bulimici variano dal 21% al 77%, ed i DP diagnosticati appartengono in larga misura al cluster B; la relazione tra BN e DP borderline
è stata a lungo dibattuta e il tasso di prevalenza del DP borderline oscilla a
seconda degli studi dal 2% al 47%. Questa variabilità dei risultati è verosimilmente influenzata dal tipo di campioni esaminati, dagli strumenti di valutazione
utilizzati e in larga misura dal disaccordo concettuale sulla diagnosi stessa di
DP borderline. In generale, i pazienti nei quali coesistono DCA e DP, ed in particolare il DP borderline, mostrano un quadro clinico di maggiore gravità, con
maggiore probabilità di gesti suicidari e parasuicidari, conflittualità familiare e
maggiore frequenza di ospedalizzazione: tali caratteristiche, più che al DCA,
sarebbero legate al concomitare di disturbi dell’umore5.
Infatti, secondo un’ipotesi alternativa, sia la sintomatologia depressiva che
quella ansiosa sarebbero espressione di disturbi psichici diversi che coesistono
con i DCA: in questo caso è necessario stabilire se e quanto il tasso di comorbilità tra DCA e disturbi dell’umore e d’ansia ecceda quello che ci si potrebbe
attendere se i disturbi fossero associati in maniera casuale, quale sia il significato di questa associazione non casuale e, soprattutto, quali implicazioni etiopatogenetiche, cliniche e prognostiche questa associazione comporti1.
LA COMORBILITÀ
Il termine comorbilità è stato introdotto nella letteratura medica nel 1970 per
indicare una condizione clinica caratterizzata da più disturbi presenti, contemporaneamente o in momenti diversi, nello stesso paziente9. La comorbilità tra i disturbi mentali sembra essere associata ad una più lunga durata
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degli episodi di malattia, ad un insoddisfacente decorso interepisodico, a più
frequenti ricadute e ad un più elevato rischio di suicidio10,11. I dati relativi
alla comorbilità nei soggetti con DCA devono essere interpretati con cautela,
dal momento che, derivando da studi condotti su pazienti che richiedono un
intervento specialistico e non da campioni rappresentativi della popolazione
generale, è verosimile che risultino in una sovrastima dell’entità dell’associazione tra i diversi disturbi.
Un recente studio ha valutato la presenza di comorbilità psichiatrica di Asse
I in atto in un campione di adolescenti di sesso femminile con AN; il campione includeva 101 pazienti seguite in un’unità psichiatrica specifica per il
trattamento dei DCA: il 7,3% delle pazienti con AN aveva una comorbilità
in atto con almeno un disturbo di Asse I, senza differenze tra i sottotipi di
AN. I disturbi diagnosticati con maggiore frequenza erano i disturbi dell’umore (60,4%) seguiti dai disturbi d’ansia con l’esclusione del disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) (25,7%), il DOC (16,8%) e i disturbi da uso di
sostanze (7,9%). Due diagnosi specifiche differivano nei due sottotipi di AN:
il disturbo da uso di sostanze ed i disturbi d’ansia con l’esclusione del DOC
erano rappresentati con una frequenza rispettivamente di 18 e 3 volte maggiore nel sottotipo AN B/P rispetto al sottotipo restricter12.
In precedenza, in uno studio epidemiologico condotto sulla popolazione
generale, Garfinkel et al.13 documentavano un elevato tasso di comorbilità,
al momento dell’osservazione e lifetime, tra BN (sia nella forma a piena
espressione clinica sia nelle sindromi parziali) e disturbi dell’umore, d’ansia
e da uso di alcol e sostanze.
Disturbi del comportamento alimentare e disturbi dell’umore
Gli studi sulla comorbilità pubblicati nelle ultime due decadi e riassunti da
una metanalisi di Godart et al.14 rilevano una prevalenza lifetime di disturbi
dell’umore in associazione ai DCA estremamente variabile, dal 24,1% al
90%15,16 nella BN e dal 31% a circa il 90% nell’AN17,18: gli autori sottolineano i numerosi problemi metodologici che rendono difficile giungere a
conclusioni univoche, in particolare: la scarsa numerosità campionaria della
maggior parte degli studi, la mancanza di strumenti diagnostici adeguati e
confrontabili, la differenza dei criteri diagnostici utilizzati, la mancanza di
gruppi di controllo, l’inclusione in alcuni studi di soggetti di sesso maschile,
il riferimento ad intervalli di tempo diversi nella definizione di disturbo in
atto (ultima settimana/ultimi 6 mesi)14.
Episodi depressivi maggiori o fasi caratterizzate da una sintomatologia di tipo
distimico si manifesterebbero nelle pazienti con AN-R, in percentuali variabili dal 30% fino all’85% dei casi, con la frequenza degli episodi depressivi che
tende ad aumentare nei pazienti con una lunga storia di malattia19,20.
Brewerton et al.20, valutando un campione di 59 pazienti con BN, rilevavano
nell’80% del campione la presenza di comorbilità lifetime con altri disturbi di
Asse I; in particolare i disturbi dell’umore erano presenti nel 75% del campione, ed il 63% delle pazienti aveva presentato un episodio depressivo maggiore.
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In generale, in tutti gli studi sono stati rilevati elevati tassi di associazione
lifetime tra DCA e tutti i disturbi dell’umore, ma i tassi lifetime di disturbo
bipolare (DB) sono risultati molto disomogenei, oscillando tra l’assenza di
associazione20-24 e un tasso di associazione pari al 63,6% dei casi25. Questa
ampia differenza è dovuta a fattori quali le differenze nelle definizioni diagnostiche della stessa bipolarità, oltre alle già citate limitazioni metodologiche degli studi effettuati. Comunque la media “pesata” di comorbilità tra
disturbo bipolare e DCA ottenuta dai risultati delle diverse ricerche è del
7,25%. Almeno 4 studi riportano i tassi di DB nei sottogruppi diagnostici dei
DCA: Hudson et al.26 e Simpson et al.25 rilevavano che i pazienti affetti da
AN (anche restricter) mostravano tassi di DB simili a quelli dei pazienti con
BN. Uno studio evidenziava l’associazione con DB solo nei pazienti con BN
o con AN B/P (5,85%) e non nei pazienti con AN-R27. In un altro studio,
invece, i casi di DB erano presenti solo nei pazienti con BN (12,2%), ma non
in quelli con AN, sebbene i casi di AN fossero tutti del sottotipo B/P28.
Riguardo allo specifico sottotipo di DB, uno studio controllato19 rilevava un
significativo tasso di DB atipico (secondo i criteri del DSM III-R ) tra le
pazienti affette da AN rispetto ai controlli (13,3% vs. 0).
Simpson et al.25, in uno studio condotto su 22 pazienti ospedalizzate con
DCA persistenti e di particolare gravità clinica, rilevavano una frequenza elevata (59%) di DB II. Uno studio più recente ha rilevato, nell’AN B/P, una prevalenza lifetime di DB II pari al 6%, e una prevalenza di ipomania del 3%29.
Studi controllati hanno dimostrato come nei familiari di soggetti con AN o
BN il rischio di sviluppare un disturbo dell’umore sia superiore rispetto ai
familiari di controlli senza un DCA: il rischio relativo è infatti da 2 a 3 volte
maggiore nei familiari di pazienti con AN26,30 e da 1 a 3 volte nei familiari di
pazienti con BN39,40. Il DB, in particolare, è stato riportato come più frequente tra i familiari di primo grado dei pazienti con BN rispetto alla popolazione generale. Gli studi attualmente disponibili tuttavia non evidenziano
una biunivocità in questa predisposizione familiare: infatti sembra non esservi un aumentato rischio di DCA nei familiari di pazienti con disturbi dell’umore31. La presenza di disturbi dell’umore è stata ritenuta un fattore predittivo di decorso sfavorevole e di peggiore risposta al trattamento in vari studi
di follow-up sia nella BN32, sia nell’AN33,34, mentre altri autori35-37 non rilevano alcuna correlazione tra decorso cronico del DCA e presenza e gravità
della sintomatologia depressiva: in uno studio di follow-up a 3 e 7 anni condotto su 34 pazienti con diagnosi di AN, allo scopo di valutare se la depressione maggiore costituisse un sintomo psicopatologico stabile ed un indicatore prognostico, Herpetz-Dahlman et al.37 rilevavano una marcata e significativa riduzione della sintomatologia depressiva durante i primi 3 anni di follow-up; a 7 anni gli autori notavano una consistente associazione tra presenza dei sintomi depressivi e persistenza del DCA. Dato che i sintomi depressivi indotti dal digiuno sono indistinguibili da quelli che costituiscono i criteri
diagnostici della depressione, è verosimile, secondo gli autori, che la riduzione di tale patologia, a distanza di 3 anni dalla prima osservazione, possa
essere attribuita all’incremento di peso e al miglioramento del DCA.
Secondo la maggior parte delle osservazioni, la comorbilità DCA-disturbi dell’u-
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more risulta essere tra le più significative sul piano clinico, in termini di compromissione funzionale, di ridotta risposta alle terapie e di cronicizzazione, sia dei
quadri depressivi, sia della sintomatologia del DCA. Inoltre, l’associazione
DCA-disturbi dell’umore aumenta il rischio di condotte autolesive, di cleptomania, di discontrollo degli impulsi e di abuso di alcool o altre sostanze38,39.
La valutazione della concomitanza di un disturbo dell’umore in un paziente
con DCA è comunque resa problematica dalla scarsa applicabilità dei test
standardizzati per la diagnosi dei disturbi dell’umore a questi pazienti: tali
strumenti fanno infatti riferimento alla presenza di sintomi quali anoressia o
perdita di peso, che hanno significati diversi nei due disturbi: contrariamente
a quanto avviene nei pazienti con disturbi dell’umore, nei pazienti con DCA
essi sono frutto di una ideazione attiva, e sono cioè finalizzati al controllo
delle proporzioni corporee. D’altro lato, sintomi depressivi sono di frequente
riscontro nei pazienti con DCA, pur senza giungere a configurare un franco
disturbo dell’umore40: spesso infatti, sono presenti vissuti di demoralizzazione e sentimenti di autosvalutazione e di colpa conseguenti all’incapacità di
controllare in maniera adeguata le modalità di alimentazione; inoltre, l’entità
del DCA può essere tale da compromettere, anche gravemente, i livelli di
adattamento sul piano familiare, sociale e lavorativo. La valutazione della
comorbilità con i disturbi dell’umore non può quindi prescindere da un’attenta valutazione di tutti quegli aspetti, sia nutrizionali, sia relativi al basso peso
corporeo, sia reattivi alla presenza stessa del DCA, che possono facilmente
indurre a sovrastimare la frequenza dell’associazione tra le due patologie.
Disturbi del comportamento alimentare e disturbi d’ansia
Circa i due terzi dei pazienti con DCA presentano uno o più disturbi d’ansia
lifetime; secondo un recente studio41 i disturbi più comuni sarebbero il DOC
(41%) e la fobia sociale (FS) (20%), senza differenze significative tra AN-R,
AN B/P e BN. L’esordio dei disturbi d’ansia risulterebbe nella maggioranza
dei casi precedere quello del DCA: questo dato appare confermare i risultati
di una precedente ricerca di Bulik et al.42, che evidenziava come in circa il
90% dei casi l’esordio del disturbo d’ansia (in particolare il DOC, la FS, la
fobia specifica ed il disturbo da ansia generalizzata – GAD) precedesse quello
del DCA, mentre la diagnosi di disturbo da panico risultava più frequentemente successiva. Gli autori notavano che il DOC ed il GAD precedevano
con maggiore frequenza l’esordio dell’AN, mentre la FS ed il GAD quello
della BN, suggerendo l’ipotesi che alcuni disturbi d’ansia potessero rappresentare fattori di rischio per i DCA più specifici rispetto ad altri. Kaye et al.41
sottolineano comunque che anche i soggetti con DCA che non hanno mai presentato quadri di comorbilità con disturbi d’ansia tendono a manifestare livelli d’ansia basalmente elevati, con aspetti di perfezionismo e di elevata harm
avoidance. In ogni caso questi risultati devono essere interpretati alla luce di
alcune considerazioni generali: l’età media di esordio del disturbo alimentare
tende ad essere più precoce nell’AN che nella BN8; l’età d’esordio di ciascun
disturbo d’ansia, inoltre, varia in base al disturbo considerato, ad esempio la
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FS esordisce in genere nell’infanzia, mentre il GAD compare nella tarda adolescenza o nella prima età adulta, intorno ai 20 anni8. Rimane quindi difficile
stabilire se la successione cronologica della comparsa dei disturbi d’ansia e
dei DCA derivi dalla storia naturale dei disturbi stessi o se sia invece il risultato di una reciproca interazione. Le incertezze derivano in massima parte
dalla natura retrospettiva degli studi ad oggi condotti; rimangono inoltre i
dubbi riguardo all’influenza dello stato nutrizionale dei pazienti esaminati:
non può essere infatti escluso che almeno in alcuni casi il disturbo d’ansia
contemporaneo al DCA possa essere un artefatto della malnutrizione43.
La sovrapposizione tra DCA e DOC ha da sempre suscitato notevole interesse:
l’estrema preoccupazione legata alle proporzioni corporee, la polarizzazione
ideativa sul cibo, caratteristiche dei pazienti con DCA, richiamano infatti i
comportamenti ripetitivi e ritualistici dei pazienti con DOC. Le similitudini tra
i due disturbi, oltre che sul piano clinico, sembrano espletarsi anche sul versante biologico: infatti la disregolazione del sistema serotoninergico è stata chiamata in causa sia nel DOC sia nei DCA, come suggerirebbero i dati relativi
alla risposta al trattamento farmacologico44. È stato ipotizzato che nella genesi
del DOC e della BN sia implicata un’aumentata sensibilità recettoriale alla
serotonina, e che il trattamento con SSRI, inducendo una down-regulation dei
recettori, normalizzi il tono serotoninergico45. Alcuni studi hanno riportato una
prevalenza lifetime variabile dal 13% al 42% di AN o di BN tra i pazienti con
DOC46-48. Gli studi che hanno esaminato la prevalenza del DOC tra le pazienti
con DCA hanno fornito risultati contraddittori: quattro studi hanno evidenziato
una prevalenza lifetime variabile tra il 15% e il 30%31 ed una prevalenza al
momento attuale tra il 7% ed il 10%49, mentre Fahy48 non rilevava differenze
significative ai punteggi della Maudsley Obsessive Compulsive Inventory tra
un gruppo di soggetti con DCA e un gruppo di controlli sani. Uno studio successivo41, condotto su 93 pazienti affette da DCA, evidenziava come il 37%
soddisfacesse i criteri DSM-III-R per il DOC, e come le compulsioni e le
ossessioni più frequentemente riportate non avessero alcuna relazione con
l’immagine corporea, con il cibo, o con il comportamento alimentare. D’altro
lato, Pigott et al.50, somministrando l’Eating Disorder Inventory a 59 pazienti
affetti da DOC e a 60 controlli sani, rilevavano come i pazienti con DOC presentassero abitudini e comportamenti alimentari significativamente più disturbati rispetto ai controlli, e come mostrassero alcune caratteristiche comportamentali e psicopatologiche comuni ai pazienti con DCA. Rothemberg51,52 ipotizza che fattori sociali e culturali esercitino un’influenza sui sintomi ossessivo-compulsivi, per cui il DOC starebbe emergendo in una forma che implica il
cibo e la magrezza; secondo l’autore, pertanto, i DCA potrebbero essere considerati “come una moderna sindrome ossessivo-compulsiva”. Nonostante sia
stata ipotizzata una base genetica comune tra DOC e DCA, solo due studi
hanno indagato la possibile associazione familiare tra i due disturbi: Halmi et
al.19 rilevavano un’aumentata prevalenza di DOC tra le madri di 76 pazienti
anoressiche rispetto alle madri dei soggetti di controllo. Al contrario, in uno
studio controllato condotto sui familiari di primo grado di 32 pazienti con
DOC e di 33 soggetti di controllo, Black et al.53 non osservavano evidenze di
trasmissione familiare del DOC in comorbilità con i DCA.
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Gli studi più recenti confermano gli elevati tassi di sovrapposizione tra DOC
e DCA (dal 10% al 40% dei soggetti con AN e BN, secondo alcuni autori più
evidente per l’AN54,55, e senza differenze significative per altri56,57).
Disturbi del comportamento alimentare e disturbi correlati
all’impulsività
I disturbi del comportamento, del controllo degli impulsi, l’alcolismo e l’abuso
di sostanze sono stati osservati nel 30% circa delle pazienti con BN e nel 1018% di quelle affette da AN, con maggiore frequenza del sottotipo B/P27,58,59.
Sebbene i tassi di prevalenza dei disturbi del controllo degli impulsi nella popolazione generale non siano stati definitivamente accertati, alcuni studi si sono
focalizzati sui singoli disturbi all’interno della categoria diagnostica: ad esempio, per il gioco d’azzardo patologico vengono riportate stime di prevalenza
lifetime intorno all’1,6%60, non dissimili da quelle del DB; per la cleptomania e
l’acquisto compulsivo, invece, le stime variano dallo 0,6% al 5,9%60,61; infine,
Kessler et al.63 riportano stime fra il 3,9% e il 7,3% per il disturbo esplosivo
intermittente. I tassi di prevalenza aumentano se vengono prese in considerazione le popolazioni cliniche: circa un terzo dei pazienti psichiatrici ricoverati soddisferebbe i criteri per la diagnosi di disturbo del controllo degli impulsi, che
verosimilmente rimangono in larga parte non riconosciuti64.
Un recente studio condotto su 709 donne con DCA65 ha evidenziato una prevalenza di disturbi del controllo degli impulsi pari al 16,6% nel campione
totale, e del 21,8% nel sottogruppo con condotte bulimiche. I disturbi del controllo degli impulsi risultano associati con comportamenti compensatori patologici, come l’uso improprio di lassativi, diuretici, anoressizzanti e con il
digiuno, ed inoltre si associano ad un maggiore tasso di comorbilità con
disturbi di Asse I e di Asse II, indipendentemente dal tipo di DCA62,66-69: ciò
supporta l’ipotesi che l’utilizzo di comportamenti di eliminazione si associ ad
una elevata impulsività70-72 e che questi due aspetti concomitino nel definire
uno specifico sottotipo di DCA. È stato ipotizzato che sia i disturbi d’ansia,
sia l’impulsività possano aumentare il rischio di DCA in comorbilità con
disturbi del controllo degli impulsi: in particolare, in pazienti con DCA e con
disturbi del controllo degli impulsi il rischio di presentare un DOC aumenterebbe di circa tre volte65. Per quanto riguarda i DP, l’associazione più frequente, come è dato attendersi, è quella con il disturbo borderline di personalità, presente con una frequenza tre volte maggiore6,65. I disturbi del controllo
degli impulsi sembrerebbero precedere l’esordio del DCA: questo permette di
ipotizzare che il disturbo del controllo degli impulsi possa giocare un ruolo
causale nell’etiopatogenesi del binge eating, oppure che questi aspetti facciano parte di una “sindrome multiimpulsiva” mediata da specifiche varianti
genetiche, o ancora che l’interazione tra fattori ambientali sfavorevoli e fattori
genetici predisponga ad una “multiimpulsività” di base che si esplicherebbe
con un’ampia varietà di aspetti comportamentali65.
Il rischio di sviluppare abuso di sostanze è risultato sette volte maggiore nelle
pazienti con AN B/P rispetto a quelle con AN-R73. L’abuso di sostanze, inoltre,
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comporterebbe un maggior numero di complicanze organiche, che si sommerebbero a quelle causate dalla perdita di peso e dalle condotte bulimiche74,75.
La BN sembra associarsi più frequentemente con l’abuso di alcool e di
sostanze25,41,58,76,77, con i disturbi affettivi stagionali78,79, con il DB25 e con i
DP del cluster B80,81, in cui prevalgono le dimensioni della disregolazione,
dell’impulsività e del discontrollo. Di contro, l’AN-R presenta tassi di
comorbilità più elevati con la depressione unipolare e con i disturbi dello
spettro ossessivo-compulsivo, secondo la definizione di Hollander82, in cui
le dimensioni della compulsività e dell’ipercontrollo costituirebbero gli elementi psicopatologici distintivi83. L’AN B/P presenterebbe caratteristiche
intermedie tra quelle descritte per la AN-R e per la BN80,81, con un carico
familiare maggiore per disturbi da uso di sostanze ed un più elevato rischio
di problemi correlati all’alcool73,76,84.
In un studio condotto in Giappone85, su un ampio campione costituito da
3592 pazienti con disturbo da abuso di alcool, è stato possibile evidenziare
un DCA, prevalentemente di tipo bulimico, nell’11% delle donne e nello
0,2% degli uomini. Alcuni autori hanno riscontrato una percentuale di disturbi da abuso di sostanze psicotrope nei familiari dei pazienti con AN e BN
superiore rispetto ad un gruppo di controllo costituito dalla popolazione
generale86. Tuttavia questa associazione, secondo Brownell e Fairburn,
potrebbe non essere specifica, in quanto la prevalenza di queste condotte di
abuso viene riscontrata in misura pressoché equivalente anche nei familiari
di pazienti con altri disturbi psichiatrici.
Sebbene le variabili psicosociali e biologiche che sottendono il discontrollo
degli impulsi non siano completamente chiarite, esistono dati sufficienti per
affermare che l’impulsività è una caratteristica che influisce negativamente
sul decorso e sulla prognosi dei DCA87-89.
Il discontrollo degli impulsi, dimensione psicopatologica di frequente riscontro nei pazienti con AN B/P e BN può essere potenzialmente legato ad un’alterazione del sistema serotoninergico. La serotonina è infatti ritenuta il neuromediatore implicato nella regolazione delle condotte impulsive nell’uomo,
ed è ipotizzabile che un’alterazione del tono serotoninergico giochi il ruolo
di anomalia trans-nosologica in disturbi quali la depressione con condotte
suicidarie, il tentativo di suicidio in generale, la bulimia, la schizofrenia, l’alcoolismo e il DOC. L’elevata frequenza di comorbilità psichiatrica, sia di
spettro che di Asse I, e la vasta fenomenica psicopatologica presente nelle
pazienti con DCA pongono numerose difficoltà nell’impostazione del trattamento farmacologico, rendendo spesso necessaria un’associazione farmacologica che permetta di controllare, oltre alla sintomatologia specifica, anche
le rilevanti alterazioni del tono dell’umore, la coesistenza di disturbi d’ansia
(disturbo da attacchi di panico, DOC, FS), i frequenti atteggiamenti di
discontrollo e di abuso. Ciò, unitamente al fatto che i diversi sottogruppi diagnostici all’interno della categoria dei DCA pongono al clinico problemi differenziati nella gestione del quadro psicopatologico, può motivare l’assenza
sia di protocolli terapeutici univoci e di comprovata efficacia, sia di studi clinici controllati a lungo termine.
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COMORBILITÀ PSICHIATRICA
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Aspetti neuropsicofisiologici
dei disturbi del comportamento alimentare:
implicazioni per il trattamento
Gli studi neuropsicologici condotti in soggetti con disturbi del comportamento alimentare (DCA) non hanno fornito risultati univoci. I meccanismi fisiopatologici che
potrebbero sottendere eventuali deficit cognitivi in questa popolazione di pazienti non
sono ancora chiari.
Il presente contributo ha lo scopo di illustrare i profili neurocognitivi finora descritti
nei pazienti con DCA, le possibili cause delle discrepanze riscontrate tra i diversi
studi e le ipotesi sui meccanismi fisiopatologici che potrebbero sottendere i deficit
cognitivi descritti. Inoltre, verranno riportati i principali risultati di studi neurofisiologici in soggetti con DCA ed il loro possibile ruolo nell’approfondimento dei deficit cognitivi in questi pazienti.
1:2009; 79-90
RIASSUNTO
NÓOς
Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile,
Audiofoniatria e Dermatovenereologia, Università di Napoli SUN
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
PAOLA BUCCI, ARMIDA MUCCI, ELEONORA MERLOTTI,
GIUSEPPE PIEGARI, SILVANA GALDERISI
Parole chiave: disturbi del comportamento alimentare, funzioni cognitive, potenziali
evento-correlati, indici neuroendocrini.
SUMMARY
Neuropsychological studies carried out in subjects with eating disorders (EDs) have
reported discrepant findings. Pathophysiological mechanisms underlying cognitive
deficits in these patients remain unclear.
In the present contribution, the literature on neuropsychological findings in patients
with EDs will be reviewed. Neurocognitive abnormalities reported in subjects with
EDs will be described; possible causes of discrepancies in findings and main hypotheses on pathophysiological mecanisms underlying cognitive deficits will be discussed.
Main findings of neurophysiological studies in patients with EDs and their relevance
to the sudy of cognitive deficits in patients with EDs will be illustrated.
Key words: eating disorders, cognitive functions, event-related potentials, neuroendocrine indices.
79
Indirizzo per la corrispondenza: Silvana Galderisi, Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile,
Audiofoniatria e Dermatovenereologia, Università di Napoli SUN, Largo Madonna delle Grazie,
80138 Napoli; e-mail: [email protected]
NÓOς
ASPETTI NEUROPSICOFISIOLOGICI DEI
DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE:
IMPLICAZIONI PER IL TRATTAMENTO
P. BUCCI - A. MUCCI - E. MERLOTTI
G. PIEGARI - S. GALDERISI
INTRODUZIONE
I disturbi del comportamento alimentare (DCA), in particolare l’anoressia
nervosa (AN) e la bulimia nervosa (BN), sono attualmente considerati, dal
punto di vista eziopatogenetico, malattie multifattoriali risultanti dalla complessa interazione tra fattori ambientali, psicologici e biologici. Lo studio
dei profili neurocognitivi di questi pazienti può contribuire all’avanzamento
delle conoscenze su questi disturbi e sulla loro eziopatogenesi.
Gli studi neuropsicologici condotti in pazienti con DCA hanno fornito risultati spesso contrastanti riguardo la presenza e il tipo di disfunzioni
cognitive1, probabilmente in relazione a problemi di tipo metodologico e
all’influenza di variabili biologiche e cliniche sulle prestazioni neuropsicologiche. Inoltre, sono ancora da chiarire i meccanismi fisiopatologici che
potrebbero sottendere i deficit cognitivi descritti nei pazienti con DCA.
Un utile strumento nella comprensione della natura dei deficit cognitivi
potrebbe essere rappresentato dall’utilizzo di tecniche di brain imaging che
consentono l’esplorazione diretta “in vivo” dell’attività neuronale correlata a
specifici processi cognitivi.
Nel presente contributo verranno sintetizzati i dati neuropsicofisiologici
riportati in pazienti con DCA e saranno analizzate le possibili cause delle
discrepanze riscontrate tra i diversi studi. Inoltre, saranno illustrate le ipotesi
sui meccanismi fisiopatologici che potrebbero essere alla base dei deficit
cognitivi descritti.
STUDI NEUROPSICOLOGICI
I domini cognitivi più frequentemente esplorati nei DCA sono l’attenzione,
le funzioni esecutive, le abilità visuospaziali, la memoria e l’apprendimento.
Deficit a carico dell’attenzione sono stati riportati da diversi autori sia nei
soggetti con AN2-9 che in quelli con BN4,7,10,11, anche se altri studi non
hanno confermato tale dato12-14.
Nello studio di Jones et al.3, realizzato in un campione di 38 bulimiche normopeso, 30 anoressiche sottopeso, 20 anoressiche in recupero ponderale e
39 controlli sani, testati con una breve batteria neuropsicologica (WAIS-R
Digit Symbol, Trail Making Test A e B), i soggetti con AN sottopeso avevano una prestazione peggiore rispetto ai controlli nei compiti attentivi (attenzione sostenuta e selettiva) e visuospaziali, mentre i soggetti con BN
mostravano deficit soltanto nei compiti attentivi. Un’analoga compromissione della prestazione al Digit Symbol nelle pazienti con AN è stata riportata
da Kingston et al.6. Studiando la prestazione allo stesso test, in un campione
di 23 pazienti con BN e 23 soggetti di controllo sani, Ferraro et al.10 hanno
trovato che le pazienti erano più veloci rispetto ai controlli, ma commettevano un maggiore numero di errori, risultando, dunque, meno accurate.
Un ulteriore studio4 ha riscontrato una prestazione più scadente al Continuous Performance Test (CPT, un test neuropsicologico che esplora specificamente l’attenzione sostenuta e la memoria di lavoro) in 30 pazienti con
80
1:2009; 79-90
NÓOς
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
BN (di cui 15 con una storia di anoressia nervosa); il profilo di prestazione è
risultato opposto a quello descritto nei soggetti impulsivi: i soggetti con BN
mostravano un minor numero di risposte corrette agli stimoli target (“hit
rate”), una minore accuratezza nella discriminazione tra stimoli target e non
target, nonché una soglia percettiva inferiore (ossia mostravano una maggiore sensibilità alla degradazione percettiva dello stimolo). Quest’ultima caratteristica era soprattutto riscontrata nelle pazienti con precedente storia di
AN, il cui stile cognitivo rigido e controllato persisteva, secondo gli stessi
autori, anche dopo lo sviluppo della BN.
Lauer et al.7 hanno investigato il profilo neuropsicologico di 12 pazienti con
AN e 14 con BN, prima, durante e dopo un periodo di trattamento. Nella
valutazione di base, entrambi i gruppi di pazienti mostravano un profilo
cognitivo sovrapponibile con una scadente prestazione a compiti attentivi e
di problem solving, mentre le loro funzioni mnesiche risultavano integre.
Nella valutazione condotta al termine dello studio, cioè dopo sette mesi di
trattamento, le funzioni cognitive compromesse nella valutazione iniziale
risultavano migliorate in misura confrontabile nei due gruppi.
In uno studio relativamente recente15 realizzato in un campione costituito da
20 donne con DCA, è stato impiegato l’Emotional Stroop Task per valutare
l’interferenza prodotta da stimoli neutri (parole e figure prive di contenuto
emozionale), stimoli ad elevato contenuto emozionale negativo non correlato
al cibo e stimoli correlati al cibo su un esercizio di denominazione del colore
degli stimoli. I risultati dello studio hanno mostrato una maggiore lentezza
dei soggetti con DCA, rispetto ai controlli sani, nell’identificare il colore sia
delle parole a contenuto emozionale negativo che di quelle correlate al cibo.
Tali dati suggeriscono che nei soggetti con DCA assumano importanza non
solo aspetti psicopatologici specifici (ad esempio ideazione polarizzata sul
cibo), ma anche caratteristiche personologiche quali ad esempio, un’alterata
valutazione delle emozioni. Secondo gli autori, queste caratteristiche potrebbero mediare il mantenimento del disturbo.
Deficit a carico della velocità psicomotoria, che è una funzione strettamente
connessa all’attenzione16, sono stati riportati in soggetti con AN. In uno studio condotto da Green et al.12, pazienti con AN mostravano, rispetto ai controlli sani, tempi di reazione semplice più lunghi rispetto ai controlli. Hamsher et al.2 riportarono che 7 delle 20 pazienti con AN erano più lente nell’esecuzione del Digit-Symbol Substitution Test. Gli autori inizialmente interpretarono i risultati come conseguenza dello stato di malnutrizione, che verosimilmente poteva compromettere tale prestazione, a prescindere da un deficit primitivo dell’elaborazione dell’informazione; tuttavia, gli stessi autori,
osservarono che dopo un anno dall’inizio del trattamento, nonostante il recupero ponderale e le migliori prestazioni fisiche delle pazienti, i deficit dell’attenzione rimanevano invariati.
Diversi studi hanno evidenziato una compromissione delle funzioni esecutive (flessibilità cognitiva, capacità di astrazione e ‘problem solving’) in soggetti con AN3,5,7,8,17-21 e in soggetti con BN7,10,11. Tuttavia, anche i dati relativi alle funzioni esecutive appaiono controversi, se si considera che alcuni
autori non hanno riscontrato alcun deficit in questo dominio cognitivo22,23 o
81
82
ASPETTI NEUROPSICOFISIOLOGICI DEI
DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE:
IMPLICAZIONI PER IL TRATTAMENTO
P. BUCCI - A. MUCCI - E. MERLOTTI
G. PIEGARI - S. GALDERISI
NÓOς
hanno addirittura evidenziato una maggiore accuratezza per alcuni test che
esplorano le funzioni esecutive in pazienti con DCA rispetto ai controlli
sani14. Alcuni autori hanno ipotizzato che la compromissione della flessibilità cognitiva nelle pazienti con AN rappresenti un tratto di questo sottotipo
di DCA11; non mancano tuttavia studi che hanno ritrovato tale caratteristica
sia in pazienti con AN che in quelli con BN3,18,24. Uno studio condotto da
Tchanturia et al.25 ha cercato di esplorare la rigidità cognitiva e percettiva,
delineando le possibili differenze in questi domini cognitivi tra le pazienti
con AN e quelle con BN. Gli autori, investigando un campione di 34 pazienti
con AN, 19 pazienti con BN e 35 controlli sani, hanno trovato che entrambi i
gruppi di pazienti, rispetto ai controlli sani, mostravano una compromissione
della capacità di cambiamento percettivo e non mostravano differenze,
rispetto al gruppo di controllo, nella perseverazione; invece, le pazienti con
AN mostravano, rispetto ai controlli e al gruppo di pazienti con BN, una
significativa riduzione della capacità di alternare rapidamente i set cognitivi.
Questi risultati suggerivano che le pazienti con BN e quelle con AN mostrano pattern differenti di compromissione della flessibilità/rigidità a test che
esplorano le funzioni cognitive.
Una disfunzione delle abilità visuospaziali è stata riportata sia in pazienti con
AN2,3,5,6,22,26-28 che in quelle con BN10,28. Un deficit delle abilità visuospaziali potrebbe determinare, nei soggetti affetti DCA, una compromissione
della capacità di elaborare correttamente la propria immagine corporea29, cui
potrebbe conseguire un’alterazione dello schema corporeo e la comparsa di
preoccupazioni relative al proprio corpo, tipiche di tali disturbi30. Tuttavia, il
dato di una compromissione delle abilità visuospaziali in pazienti con AN
non è stato confermato in altri studi13.
Per quanto riguarda gli studi sulla memoria, i risultati appaiono altrettanto
controversi: alcuni studi hanno riportato una compromissione della memoria
nelle pazienti con AN rispetto ai controlli sani3,6,12 mentre altri non hanno
riscontrato tale deficit7,31-33. Nelle pazienti con BN la memoria sembrerebbe
essere preservata3,7, sebbene in uno studio sia stata riscontrata una compromissione della memoria a breve termine10. Secondo alcuni autori i deficit
della memoria rappresenterebbero una conseguenza delle ridotte capacità
attentive11.
Risultati contrastanti sono emersi anche da studi che hanno indagato l’apprendimento. In pazienti con DCA, alcuni autori hanno riportato un deficit
dell’apprendimento associativo9,31 o una compromissione limitata all’apprendimento incidentale14,34, mentre altri non hanno riportato alcuna compromissione dell’apprendimento5,6.
Le discrepanze osservate negli studi riportati potrebbero essere in relazione
con una serie di fattori metodologici: 1) la scarsa numerosità dei campioni
sperimentali inclusi nella maggior parte degli studi; 2) l’insufficiente caratterizzazione clinica dei pazienti; 3) la scelta di gruppi di controllo eterogenei
(controlli sani, pazienti con altre diagnosi psichiatriche, oppure l’uso di dati
normativi senza gruppo di controllo); 4) l’eterogeneità degli strumenti di
valutazione delle funzioni cognitive utilizzati; 5) la mancata valutazione, in
molti studi, di variabili di confondimento quali il livello di scolarità, le abi-
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lità cognitive generali, il trattamento farmacologico, la presenza di sintomi
depressivi, ansiosi e ossessivo-compulsivi.
I meccanismi fisiopatologici che potrebbero sottendere i deficit cognitivi
descritti non sono ancora chiari. Una prima ipotesi è che essi siano una conseguenza della malnutrizione e degli squilibri metabolici. Tuttavia, anche se
in alcuni studi i deficit cognitivi osservati nelle pazienti anoressiche sottopeso risultavano migliorati dopo il recupero ponderale5,7, in altri, anche dopo la
remissione clinica, non sono stati osservati miglioramenti di tali deficit12,27,
oppure solo alcuni domini cognitivi sono risultati migliorati2,6,35. La persistenza di alcuni deficit neuropsicologici dopo la remissione clinica, in particolare, la scarsa flessibilità cognitiva18,25, unitamente al riscontro di una
compromissione di tale funzione sia nelle pazienti con AN che nelle loro
sorelle sane25, hanno suggerito che almeno alcune delle disfunzioni cognitive
descritte nelle pazienti con DCA potrebbero rappresentare marcatori di tratto
e forse endofenotipi del disturbo. Un altro fattore che potrebbe sottendere i
deficit cognitivi in pazienti con DCA è la presenza di anomalie cerebrali
strutturali quali la dilatazione ventricolare e l’atrofia cerebrale riportate da
diversi autori in questi pazienti35-41, che si ritiene possano essere in relazione
ad anomalie di sviluppo del SNC associate a fattori genetici, a danni perinatali oppure alla denutrizione. Tuttavia, non sono state riscontrate in maniera
consistente relazioni tra le anomalie cerebrali strutturali e i deficit cognitivi
nelle pazienti con DCA6,35. È stato anche ipotizzato che disfunzioni neuroendocrine possano spiegare i deficit cognitivi osservati in pazienti con DCA.
Infatti, è ben noto che le funzioni cognitive sono influenzate dagli ormoni
steroidei42-47 e che, d’altra parte, anomalie di tali ormoni sono state ampiamente descritte in soggetti con DCA48-52.
Il nostro gruppo ha condotto due studi neuropsicologici in soggetti con
DCA: un primo studio in un campione di pazienti drug-free con diagnosi di
AN o di BN14 e uno studio più recente in un ampio ed omogeneo campione
di pazienti drug-free con BN (Galderisi et al., in preparazione). In entrambi
gli studi, oltre al profilo neuropsicologico nelle pazienti rispetto a soggetti
sani, è stata indagata l’influenza di indici neuroendocrini e clinici sulle funzioni cognitive.
I risultati del primo studio hanno evidenziato che le pazienti con DCA, rispetto
ai controlli sani, presentavano una maggiore lentezza a un test di apprendimento
incidentale che prevede la ripetizione di sequenze spaziali “supraspan” (ovvero
maggiori di un numero rispetto allo span di memoria del soggetto), e una maggiore accuratezza per i compiti esecutivi. L’alterazione dell’apprendimento incidentale in associazione ad un più efficiente controllo esecutivo, in linea con
diverse evidenze sperimentali6,34, accomuna i DCA alle condizioni di “iperarousal”, in cui si riscontrano le stesse alterazioni cognitive. Inoltre, lo stesso studio
del nostro gruppo14 mostrava un’associazione tra il livello plasmatico di due
neurosteroidi (deidroepiandrosterone e deidroepiandrosterone solfato) e l’accuratezza ad un test di tipo esecutivo, nonché tra il livello di cortisolo e la velocità
di esecuzione del test che esplora l’apprendimento incidentale.
Il secondo studio (Galderisi et al., in preparazione) ha evidenziato un’assenza di compromissione nelle pazienti con BN per i domini neuropsicologici
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indagati. L’unica differenza significativa nelle pazienti rispetto ai controlli
sani è risultata essere una prestazione più veloce al CBTT, un test che esplora l’apprendimento incidentale. La discrepanza di questo risultato rispetto a
quello sopra riportato potrebbe essere dovuta all’eterogeneità del campione
sperimentale del primo studio che includeva anche pazienti con AN. Livelli
plasmatici di cortisolo più elevati sono risultati associati ad una maggiore
velocità di esecuzione dei test che esplorano l’apprendimento associativo,
mentre livelli plasmatici più elevati di 17β-estradiolo sono risultati associati
ad una prestazione più lenta e meno accurata alla versione non spaziale di
questi test. L’effetto positivo del cortisolo su alcuni indici neuropsicologici,
appare in contrasto con quanto riportato in altri studi in cui elevati livelli di
glucocorticoidi sono risultati associati a una compromissione della memoria
e ad atrofia ippocampale42-44,53. Tali dati sono a favore dell’ipotesi secondo
cui lo stress, mediante un aumento dei livelli di glucocorticoidi, avrebbe un
effetto neurotossico. Tuttavia, nelle pazienti con DCA, alterazioni ormonali,
quali l’aumento del cortisolo e/o dei neurosteroidi, potrebbero riflettere una
condizione di stress lieve e prolungato che non produrrebbe un effetto neurotossico, bensì una facilitazione adattativa delle funzioni cognitive14. Ciò
potrebbe spiegare il fatto che in molti soggetti con DCA, a dispetto della
malnutrizione, delle alterazioni metaboliche e della pseudoatrofia cerebrale,
si osservino minime alterazioni cognitive, compatibili spesso con un buon
rendimento scolastico e lavorativo. Anche i dati riportati in letteratura sul
17β-estradiolo non appaiono univoci. Alcuni studi hanno riportato un effetto
positivo di tale ormone sulla memoria, altri un effetto deleterio sull’apprendimento incidentale e le funzioni visuospaziali54-56. Nel nostro studio, il
riscontro di un’associazione negativa del 17β-estradiolo con la prestazione
ad un test che esplora le funzioni esecutive rende più complesso il quadro
degli effetti di tale ormone sulle funzioni cognitive. Inoltre, nel nostro campione di pazienti con BN, la sintomatologia depressiva è risultata associata
ad una peggiore prestazione al WCST, in accordo con i risultati di diversi
studi neuropsicologici che hanno riscontrato un’associazione tra depressione
e scadente prestazione ai test che esplorano le funzioni esecutive57-60. Infine,
la caratteristica temperamentale “dipendenza dalla ricompensa” (ossia la tendenza a rispondere intensamente ai segnali di ricompensa o di approvazione
sociale, ritardando l’estinzione dei comportamenti correlati alla ricompensa
e/o all’evitamento della punizione) è risultata associata ad una peggiore prestazione al subtest verbale che esplora l’apprendimento incidentale. Tale profilo neurocognitivo, analogamente a quello riscontrato nel campione di
pazienti con DCA nel primo studio, potrebbe essere in relazione con i tratti
di personalità descritti in molti studi sui DCA61, sostanzialmente identificabili con la tendenza a perseguire standard comportamentali molto elevati e la
sensibilità all’approvazione dall’esterno. Questi tratti di personalità possono
promuovere uno stile di elaborazione cognitiva più orientato al controllo esecutivo, a svantaggio dell’apprendimento incidentale34. Gli interventi psicoterapici possono influenzare favorevolmente tali aspetti, se diretti a favorire
una modulazione della tendenza al perfezionismo e una graduale stabilizzazione del senso di sé, per ridurre la dipendenza dall’approvazione esterna.
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Gli studi di neurofisiologia nei DCA non sono numerosi. Alcuni studi hanno
indagato specificamente le alterazioni del ritmo sonno-veglia nelle pazienti
con DCA: Eiber e Friedman62 descrivono due sindromi specifiche, ovvero la
“Night Eating Syndrome” e gli “Sleep Related Eating Disorders”, cui sarebbero associati disturbi della fase REM; tuttavia, alcuni studi realizzati in
campioni di pazienti bulimiche e di pazienti affetti da depressione non hanno
mostrato alcuna significativa alterazione a carico dei sistemi colinergici né
della fase REM63,64. Nel complesso, la letteratura relativa ai pattern elettroencefalografici specifici per un disturbo del sonno nei DCA appare molto
frammentaria e non consente di trarre conclusioni definitive.
Un altro filone di ricerca in ambito neurofisiologico riguarda l’indagine dei
potenziali evento-correlati (event-related potentials, ERPs) nei DCA. Alcuni
studi65,66 hanno rilevato alterazioni della latenza e dell’ampiezza della P300
in pazienti con DCA rispetto ai controlli sani. Otagaki et al.66 hanno ipotizzato che l’aumentata latenza della P300 riscontrata nelle pazienti con DCA sia
in relazione con un’alterata elaborazione cognitiva che rifletterebbe uno specifico bias verso modalità più “controllate” di elaborazione. I risultati di tali
studi, tuttavia, risultano almeno parzialmente inficiati dalla scarsa caratterizzazione clinica e neuropsicologica dei soggetti indagati, nonché dalla difficoltà di fare inferenze sulle aree eventualmente disfunzionali sulla base di
differenze di latenza e/o ampiezza. Basinska-Starzycka et al.67, in uno studio
condotto su un campione di pazienti con AN, hanno correlato il numero di
errori ad un compito attentivo (CPT) con i valori di ampiezza e latenza delle
componenti degli ERPs. Essi hanno trovato che minore era il numero di errori al test maggiore era l’ampiezza della P200 e minore la latenza della componente N200 sulle derivazioni frontali. Gli autori hanno concluso che le
pazienti con AN differivano dai controlli sani, rispetto all’elaborazione dell’informazione, solo negli stadi precoci di tale elaborazione (processi attentivi). Inoltre, Dodin et al.68, utilizzando un paradigma di stimolazione visiva in
un campione di pazienti con AN, confrontate con controlli sani, hanno
riscontrato nelle pazienti un’ampiezza maggiore della componente P300 per
stimoli frequenti durante la presentazione di immagini corporee e di figure
geometriche semplici e una latenza maggiore della P300 durante la presentazione di figure geometriche semplici. Gli autori hanno spiegato i loro risultati ipotizzando, nelle pazienti con AN, una condizione di “iperarousal”.
Nel corso degli ultimi dieci anni, lo studio neurofisiologico degli ERPs si è
arricchito della possibilità di localizzare i generatori corticali delle componenti dei potenziali evento-correlati e ciò apre il campo ad un’indagine che
mantiene l’ottima risoluzione temporale delle tecniche neurofisiologiche, e
consente anche l’esplorazione tomografica, sebbene con una bassa risoluzione spaziale, dei generatori corticali dei potenziali evento-correlati69,70. Fino
ad oggi, non sono stati pubblicati studi che abbiano impiegato tali tecniche in
soggetti con DCA. In un recente lavoro del nostro gruppo (Galderisi et al., in
preparazione) a un gruppo di pazienti con BN e a uno di controlli sani è stato
proposto un esercizio di discriminazione di stimoli uditivi. Sono state inda-
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gate l’ampiezza e la latenza delle componenti degli ERPs che riflettono processi di elaborazione controllata dell’informazione e di allocazione automatica dell’attenzione, nonché i generatori corticali di tali componenti attraverso
l’analisi tomografica. Nelle pazienti con BN, rispetto ai controlli sani, è
emerso un pattern elettrofisiologico caratterizzato da normale ampiezza della
P300, riduzione dell’ampiezza e della latenza della N200, e aumento dell’ampiezza della slow wave (SW). Tale pattern potrebbe caratterizzare uno
stato di lieve iperarousal, con riduzione del rapporto segnale-rumore da
eccessiva attivazione corticale da parte di tutti gli stimoli, sia rilevanti che
non rilevanti per il compito in corso, come dimostrato da alcuni studi sugli
effetti dell’iperarousal indotto da somministrazione di ACTH71-73. Tale dato
sembrerebbe in accordo con altri studi, che hanno evidenziato nelle pazienti
con DCA una condizione di “iperarousal” che le rende meno efficienti nel
filtrare opportunamente le informazioni irrilevanti portando alla saturazione
il sistema della memoria di lavoro67,68. Per quel che concerne la valutazione
dei generatori degli ERPs, nelle pazienti con BN abbiamo osservato, rispetto
ai controlli sani, una maggiore attività dei generatori della P300 nelle regioni
frontali, parietali e temporali di sinistra, nonché nel giro cingolato bilaterale,
durante l’elaborazione di stimoli uditivi distrattori, ed una minore attività dei
generatori corticali della SW nelle regioni fronto-temporo-parietali di destra
durante l’elaborazione di stimoli target. I nostri dati suggeriscono la presenza
di anomalie dell’attivazione emisferica nelle pazienti bulimiche, con un’iperattività dei circuiti dell’emisfero sinistro durante l’orientamento automatico
dell’attenzione ed una minore attivazione dei circuiti fronto-temporo-parietali di destra durante l’elaborazione di stimoli target. Tali risultati sono in linea
con altri studi di brain imaging funzionale che hanno evidenziato nelle
pazienti bulimiche un’iperattività di circuiti fronto-temporali di sinistra in
condizioni basali74,75. Si può ipotizzare che le anomalie dell’attivazione emisferica riscontrate nelle nostre pazienti siano in relazione con processi compensativi che consentono un buon funzionamento cognitivo. Infatti, le
pazienti hanno mostrato una prestazione sovrapponibile a quella dei controlli
sani al compito di discriminazione uditiva adoperato per elicitare la P300.
CONCLUSIONI
I dati neuropsicologici riportati in letteratura in pazienti con DCA dimostrano la presenza di numerose discrepanze nei risultati e confermano la necessità di un accurato controllo per variabili di confondimento cliniche e neuroendocrine nella valutazione cognitiva di questa popolazione di pazienti.
L’utilizzo di nuove tecniche neurofisiologiche, che consentono lo studio dell’attività neuronale correlata a specifici processi cognitivi, è auspicabile al
fine di approfondire la conoscenza dei profili cognitivi nelle pazienti con
DCA. Una maggiore comprensione di tali profili potrebbe contribuire all’elaborazione di nuove strategie di intervento psicoterapico per questi pazienti.
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Il trattamento integrato dei disturbi
del comportamento alimentare
FRANCESCA BRAMBILLA
1:2009; 91-102
Il trattamento dei disordini del comportamento alimentare, anoressia nervosa, bulimia
nervosa e disordine compulsivo da abbuffata è ancora oggi fonte di dibattito. I tre
principali tipi di terapia, infatti, e cioè la terapia nutrizionale, le psicoterapie e le farmacoterapie, quando somministrate separatamente, hanno dato esito a risultati molto
incerti, sicuramente positivi in casi singoli ma efficaci in una percentuale troppo
bassa di pazienti per risultare definitivamente accettabili, sia che esse siano state utilizzate in ambiente ambulatoriale, in day hospital o durante ricovero in reparto ospedaliero altamente specializzato. Le psicoterapie praticate sono la cognitivo comportamentale, la interpersonale, la terapia familiare, e la psicodinamica. Le farmacoterapie
hanno incluso antidepressivi triciclici e SSRI, i farmaci antipsicotici classici e atipici e una miscellanea di altri preparati. La risposta terapeutica migliore sembra essere
quella che fa seguito alla terapia integrata, che utilizza contemporaneamente la terapia
nutrizionale, psicoterapie e farmacoterapie.
NÓOς
RIASSUNTO
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
Centro per Studio e Cura dei Disordini del Comportamento Alimentare
Dipartimento di Scienze Neuropsichiche, Ospedale Sacco, Milano
Parole chiave: anoressia nervosa, bulimia nervosa, farmacoterapia, psicoterapia, terapia nutrizionale.
SUMMARY
The treatment of the disorders of eating behavior, anorexia nervosa, bulimia nervosa,
binge eating disorders is still question of debate. The three main treatments used
today are nutritional therapy, psychotherapy and pharmacotherapy, either in outpatients clinics, day hospital or specialized hospital department. When administered
separately, the three types of treatments have always ended in ambiguous results,
positive in single cases but only in a small percent of all the patients treated. Psychoterapies used were either cognitive-behavioral therapy, interpersonal therapy, family therapy and psychodynamic therapy. Pharmacotherapy included tricyclic antidepressants, SSRI, typical and atypical antipsychotics and a variety of miscellaneous
drugs. The best results seem to occur with a combination of nutritional, psychotherapeutic and pharmacological treatments.
Key words: anorexia nervosa, bulimia nervosa, pharmacotherapy, psychotherapy,
nutritional treatment.
91
Indirizzo per la corrispondenza: Francesca Brambilla, Centro di Psiconeuroendocrinologia,
Piazza Grandi 3 - Milano 20129.
NÓOς
F. BRAMBILLA
92
IL TRATTAMENTO INTEGRATO DEI DISTURBI
DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
INTRODUZIONE
Il trattamento dei disordini del comportamento alimentare (DCA) ha sempre
creato grandi problemi e risultati troppo spesso deludenti per molteplici ragioni. Anzitutto la definizione nosografica di queste patologie non è ancora definitiva e, anche se da lungo tempo è accettata dalla scienza psichiatrica, essa
lascia ampi dubbi ed è sempre oggetto di dibattito. Le tre patologie che ormai
sono stabilmente rappresentate nella patologia psichiatrica, l’anoressia nervosa (AN), la bulimia nervosa (BN), e il disordine compulsivo da abbuffata, o
Binge Eating Disorder (BED), sono nel loro complesso non completamente
definite, essendo suddivise in sottogruppi (AN-restrittiva= AN-R, AN – bingeing-purging = AN-BP, BN-purgeing= BN-P, BN – non purgeing= BN-NP,
BED con e senza obesità) che suscitano difficoltà di definizione e di inquadramento, anche per il loro frequente trasformarsi da una patologia all’altra
durante il loro decorso. A sua volta, l’eziologia di questi disordini non è ancora completamente definita, anche se oggi si porta in rilievo un’importante
componente genetica e probabilmente genica, da cui potrebbe derivare la
patologia biochimica cerebrale che caratterizza le tre sindromi, possibile causa
di caratteri di personalità patologici, le quattro componenti associate potendo
rappresentare la base dei DCA. Su di essa agiscono dal mondo esterno fattori
precipitanti, tra cui rapporti famigliari impropri, eventi stressanti che si presentano nella vita, influenza dei mass-media e del moderno tipo di cultura.
Così presentate queste “cause” sembrano concatenarsi in una consecutio temporum logica e comprensibile. Ma esse non sono sempre presenti in ogni
malato, e questo ci lascia alle prese non più con una causa ma con molteplici
cause, ciascuna di esse “primaria” o “secondaria” a seconda di come sembra
presentarsi sul piano temporale. Quale di queste “cause” dobbiamo affrontare
con i nostri trattamenti o dobbiamo affrontarle tutte? O quale dobbiamo
affrontare come primaria o come secondaria? Per ora non abbiamo risposte
assolute a questi quesiti, e dobbiamo procedere per tentativi.
Passando alla sintomatologia, la medicina odierna ha descritto l’AN, la BN e
il BED come le uniche per ora accettate come DCA, e considera come DCA
solo quelle che ottemperano strettamente alle regole che noi ci siamo date.
Ma come possiamo essere sicuri che l’AN, la BN e il BED siano proprio e
solo quelle che abbiamo catalogato sintomatologicamente con tanta minuziosità? E che facciamo di tutte le sindromi a cui manca un sintomo per farle
rientrare nell’AN, BN o BED, oppure hanno qualche sintomo speciale in più
che in qualche modo le differenzia dall’AN, BN e BED? Le definiamo come
DCA anche loro, magari col titolo di disordini del comportamento alimentare
non altrimenti definiti (EDNOS) che è solo un’etichetta non chiara dal punto
di vista eziologico e patogenetico, e le ignoriamo dal punto di vista terapeutico lasciando i pazienti al loro destino, quasi sempre molto negativo? Questi
sono i primi problemi, i più gravi, che dobbiamo affrontare davanti a pazienti
affetti da DCA, e che per ora non abbiamo certamente risolto.
Esiste ancora un altro importante aspetto da prendere in considerazione per
il trattamento dei DCA. Se la componente psicopatologica è certamente il
nucleo centrale delle tre patologie e deve essere presa in considerazione il più
1:2009; 91-102
NÓOς
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
presto possibile poiché senza correzione della patologia mentale non vi è guarigione dell’AN, BN e BED, tuttavia, la componente organica periferica è
imponente, tanto imponente da determinare la diagnosi delle tre sindromi
sulla base del modo con cui il paziente affronta l’alimentazione da un lato e
sulla derivante struttura fisica dall’altro. Infatti, il non mangiare dell’AN, con
la conseguente perdita progressiva di peso, le crisi bulimiche della BN e del
BED, nella prima accompagnate da abuso di mezzi correttiva e nella seconda
da progressiva grave obesità, sono aspetti strettamente fisici che fanno porre
le diagnosi al primo approccio e finiscono per orientare le terapie. E ancora,
le alterazioni organiche periferiche, che sono secondarie alla psicopatologia
sempre attraverso l’abnorme nutrizione che ne deriva, possono riflettersi sull’assetto psichico dei pazienti, come avviene per le alterazioni ormonali, per
le patologie cardiache, per le alterazioni elettrolitiche e via di seguito. A parte
il fatto che le alterazioni organiche “secondarie” condizionano il modo di
vivere dei pazienti, quest’ultimo influenzando a sua volta la psicopatologia in
atto. E infine le alterazioni organiche sono troppo spesso causa di morte.
A questo punto, cosa affrontiamo in prima battuta come urgenza e cosa rimandiamo a un secondo tempo, la psicopatologia o le alterazioni organiche periferiche dei DCA? Su questo vi è continuo disaccordo, anche se teoricamente in
tutti i testi psichiatrici è scritto che la terapia deve essere “integrata”, cioè deve
prendere in considerazione tutti gli elementi patologici delle tre sindromi, contemporaneamente e con la stessa intensità, essendo questo l’unico tipo di
approccio che razionalmente potrebbe portare ad esito favorevole delle tre patologie. Il che però è spesso molto vagamente interpretato. Prima di tutto perché il
costo di un simile approccio terapeutico, che include sempre in contemporanea
psichiatri, psicologici e psicoterapeuti specializzati, nutrizionisti, internisti e,
occasionalmente, altri specialisti che prendano in carico specifiche patologie
organiche, comporta la creazione di nuclei diagnostico-terapeutici a un costo
che la sanità riesce raramente ad affrontare. E quindi si cerca di supplire con
gruppi terapeutici ridotti che tendono sempre a portare avanti in prima battuta il
proprio approccio scientifico, ovviamente con risultati del tutto scadenti.
Come si struttura una terapia integrata? Essa si compone di contemporaneo
trattamento con terapia nutrizionale, psicoterapie e farmacoterapie che possono essere praticate in ambiente ambulatoriale, in day hospital, in ricovero
ospedaliero. L’ambiente ambulatoriale è sempre preferibile, perché il paziente
continua a vivere nel mondo esterno e deve affrontare tutte le difficoltà che
l’hanno portato all’evolversi della patologia in atto. E quindi la terapia conduce il malato attraverso uno specifico percorso di adattamento al mondo esterno e di accettazione della vita così com’è. Si ricorre al ricovero ospedaliero
solo quando il paziente non riesce assolutamente ad affrontare la terapia da
solo, oppure la famiglia non capisce lo svolgersi della terapia e più o meno
inconsciamente si oppone ad essa. In questo caso il paziente deve essere assolutamente ricoverato in ambiente specializzato e unicamente dedicato al trattamento dei DCA, essendo i reparti psichiatrici generali del tutto inadatti al
trattamento di queste patologie. Il ricovero ospedaliero può essere dettato
dalla gravità delle alterazioni fisiche dei pazienti, tali da far presagire a breve
termine un esito letale. In questo caso è indispensabile un ricovero in medici-
93
F. BRAMBILLA
IL TRATTAMENTO INTEGRATO DEI DISTURBI
DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
NÓOς
na interna, ambiente più dotato dei mezzi e delle competenze atte ad intervenire sulle patologie organiche letali. In questo caso però il paziente deve essere anche supportato da cure psichiatriche che lo appoggino nell’accettazione
di pratiche terapeutiche di rinutrizione e di ripresa rapida del peso, che terrorizzano il malato. Il day hospital è in genere usato come completamento del
ricovero ospedaliero, prima di riammettere il paziente nel mondo esterno.
TERAPIA NUTRIZIONALE
Ogni centro per la cura dei DCA segue delle proprie linee guida nutrizionali.
Nell’AN, in caso di ricovero ospedaliero in reparto di medicina con paziente
in fase premortale si ricorre sempre ad una terapia parenterale per via venosa
o enterale con sondino nasogastrico, utilizzando sacche nutritizie a contenuto
percentuale ben preciso dei vari componenti (protidi, glucidi, lipidi, vitamine,
minerali, acqua). Le dosi debbono essere graduali e la somministrazione lenta
per non provocare un carico idrico e metabolico troppo rapido a cui il sistema
gastroenterico o circolatorio devono adeguarsi gradualmente. È importante
tentare di associare anche l’assunzione diretta di cibi perché il paziente si riabitui a recepire il sapore dei cibi, masticare, inghiottire, digerire e assorbire i
vari alimenti. Nel caso di ricovero in ambiente ospedaliero specializzato o in
day hospital gli schemi di nutrimento possono variare, ma tendono in genere a
stabilire un percorso che il paziente anoressico deve conoscere ed accettare
con graduale riassunzione quantitativa e qualitativa dei cibi, oppure con
immediata ripresa del mangiare normale. Entrambi i sistemi possono essere
validi ed avere esiti positivi, ma sono praticabili nei pazienti che accettano lo
schema terapeutico proposto dal centro. Cioè pazienti che abbiano compreso
l’indispensabilità della terapia nutrizionale e sono decisi ad affrontarla. Che
fare dei pazienti che rifiutano il ricovero o il day hospital, e sono sospettosi e
resistenti anche al trattamento ambulatoriale? Si tenta in genere di iniziare il
percorso terapeutico con una psicoterapia e/o farmacoterapia per portare gradualmente a rivedere la propria posizione, e per procedere poi ad una lenta e
graduale ripresa di una corretta alimentazione.
Anche nella BN e nel BED la terapia nutrizionale si impone, perché in genere i pazienti tendono a ridurre o annullare i pasti normali per compensare gli
effetti delle crisi bulimiche, finendo con l’essere carenti di indispensabili elementi nutritizi di base (in specie proteine e vegetali), con lo sviluppo di vera
fame che va a sommarsi alle crisi bulimiche, e di vari dismetabolismi. Il
paziente va riportato subito ad una nutrizione normale nei tre pasti principali,
evitando spuntini intermedi che in genere scatenano le crisi bulimiche.
PSICOTERAPIE
Sono state tentate numerose psicoterapie nei DCA, la maggior parte delle
volte con esiti inconsistenti. Le psicoterapie più praticate oggi sono sostanzialmente quattro, con esiti buoni nella BN e nel BED e molto meno nell’AN.
94
1:2009; 91-102
NÓOς
Descritta per la prima volta da Fairburn1 per il trattamento della BN, la psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT) ha avuto enorme successo sia in
campo ospedaliero-day hospital che ambulatoriale. Essa consiste di procedure atte a sviluppare un pattern nutritizionale regolare e sufficiente, che includa anche cibi evitati perché temuti per il loro ipotetico potere ingrassante. A
questo fa seguito l’insegnare ad acquisire meccanismi di adeguamento a
situazioni di rischio di abbuffate e pratiche purgative, e atte a modificare attitudini anomale non solo a riguardo dell’alimentazione, ma anche dei rapporti
col mondo famigliare ed esterno. Infine, viene insegnato al paziente ad
apprendere e seguire procedure specifiche per evitare le ricadute. Il trattamento è limitato nel tempo, ed è orientato alla soluzione dei problemi irrisolti del paziente, e alla sua capacità di affrontare la vita2-4. In genere il trattamento è efficace nel 50-60% dei casi, ovviamente associato ad una terapia
nutrizionale corretta. La CBT agisce non solo sul sintomo bulimico ma sembra essere efficace sulla psicopatologia della BN in genere.
Nell’AN la CBT è stata utilizzata seguendo lo schema usato nella depressione5-9 con l’intento di modificare i pensieri negativi e gli assunti disfunzionali
riguardanti l’alimentazione e il peso. I risultati ottenuti sono complessi e
relativamente scarsi, anche se questa terapia sembra ridurre o eliminare le
ricadute, troppo frequenti in queste malattie.
Il trattamento del BED crea particolari problemi in dipendenza del fatto che la
cura della psicopatologia è centrale per la guarigione della malattia e richiede
psicoterapie o farmacoterapie che sono entrambi efficaci sui sintomi psichici
della malattia. Ma non su quelli fisici, cioè in particolare sull’aumento del
peso che può raggiungere nel tempo livelli molto elevati, accompagnati dalla
sindrome metabolica che ne deriva (diabete, ipercolesterolemia, ipertensione).
I pazienti chiedono sempre per prima cosa di eliminare questi aspetti fisici
della malattia, e tuttavia finché i disturbi psichici non sono affrontati e risolti
quelli fisici non sono in alcun modo correggibili. La CBT è stata adattata a
partire dallo schema per la BN2,10. Essa intende sviluppare un pattern regolare
di alimentazione con assunzione moderata di cibi, evitando le diete restrittive
tipicamente scelte da questi pazienti. Si tenta inoltre di far sviluppare al
paziente delle attitudini cognitive più adeguate e delle abilità comportamentali di approccio a situazioni ad alto rischio per abbuffata, modificando l’eccessiva preoccupazione disfunzionale per il peso e l’aspetto fisico.
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
Psicoterapia cognitivo-comportamentale
Psicoterapia interpersonale
La psicoterapia interpersonale (ITP) è una terapia focalizzata esclusivamente
sui meccanismi di relazione interpersonali, con poca o nulla attenzione a
modificare abbuffate e pratiche purgative, alimentazione disturbata ed esagerata preoccupazione per peso e forma corporea11. Problemi specifici di alimentazione sono visti come mezzo per comprendere il contesto interpersonale che si crede sia la causa dei DCA. Nella BN, la ITP è efficace come e non
più della CBT nel ridurre le abbuffate, ma è meno efficace per le pratiche
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F. BRAMBILLA
IL TRATTAMENTO INTEGRATO DEI DISTURBI
DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
NÓOς
purgative, per l’abuso di diete restrittive e per il disturbato rapporto con l’immagine corporea e il peso. Nel tempo però la ITP sembra raggiungere un’efficacia analoga alla CBT nella BN, essendo efficace in circa il 44% dei casi,
riducendo le abbuffate nel 95%, e il vomito nel 91% dei casi2,12.
Non si hanno dati molto significativi per l’uso di ITP nell’AN. Nel BED
l’ITP ha dimostrato di essere altrettanto efficace della CBT10,13.
Psicoterapia familiare
Una serie di studi al Maudsley Hospital di Londra, forse il centro più famoso
per la cura dei DCA, ha messo in evidenza come problemi disfunzionali
familiari siano spesso implicati nello sviluppo e nel mantenimento dell’AN.
E ha costruito la psicoterapia familiare, sulla scorta di rilievi e di una metodica presentata a suo tempo da Selvini Palazzoli14.
Nell’AN i pazienti usano la malattia per allontanare la famiglia da aspettative
di sviluppo che minacciano l’integrità familiare, oppure la usano per raggiungere una loro autonomia, o come diversivo per evitare conflitti in seno alla
famiglia. La psicoterapia familiare è molto valida solo in pazienti anoressici
infantili-adolescenziali, portando ad una significativa riduzione della comunicazione negativa e nei conflitti. Con la terapia la famiglia viene coinvolta e
posta in prima linea nel trattamento dei pazienti anoressici. Questo tipo di
terapia non sembra efficace nella BN e non è mai stata praticata nel BED.
Psicoterapia psicodinamica
La terapia psicodinamica presuppone che i DCA siano espressione di una
difesa dall’ansia causata da un conflitto inconscio, e quindi che il portare alla
luce questi conflitti possa essere la base per la loro guarigione e il totale
risolversi dei DCA. La terapia, applicata nella AN, nella BN e nel BED,
chiarisce ai pazienti le modalità relazionali alterate, le difese e i conflitti che
sono base e causa del disturbo alimentare e, attraverso un percorso molto
lungo, dovrebbe portare a risolvere sia il problema interpersonale sia quello
alimentare. Tale terapia può seguire il tipo di intervento psicoanalitico classico, oppure un tipo molto modificato, specifico per i DCA. Non esistono a
tutt’oggi dati statistici significativi per valutare l’efficacia di questo tipo di
terapia, che tuttavia sembra funzionare in un numero molto ristretto di
pazienti AN, BN e BED15.
L’auto-aiuto e l’auto-aiuto guidato
Negli ultimi anni sono stati proposti e molto usati dei testi di auto-aiuto per
la soluzione personale dei DCA, AN e BN, per i pazienti e per le loro famiglie. I testi possono essere usati direttamente dai pazienti (auto-aiuto) o con
il supporto di uno specialista (auto-aiuto guidato). Essi propongono dei percorsi terapeutici che il paziente e la sua famiglia debbono seguire giorno per
giorno, che consistono nel loro complesso di un intervento di tipo cognitivo
e comportamentale molto semplificato. Questo sistema è efficace solo in casi
96
molto recenti e non molto gravi sia di AN che di BN, con una guarigione
circa nel 24% dei casi di AN e nel 56% dei casi di BN16.
1:2009; 91-102
NÓOς
La necessità di praticare una farmacoterapia dei DCA è stata suggerita dall’osservazione che la terapia nutrizionale pura e le varie psicoterapie avevano effetti positivi con completa guarigione dalle malattie solo in una percentuale limitata di casi e sempre attraverso dei percorsi terapeutici molto prolungati e con dei tempi di latenza inaccettabili nelle patologie gravi. Le farmacoterapie sono state proposte anche sulla scorta del riconoscimento di
alterazioni biochimiche cerebrali ben specifiche nell’AN e nella BN, tali da
richiedere e imporre una correzione farmacologica.
Le farmacoterapie praticate sono di due tipi. La prima è orientata a curare le
comorbilità che si associano molto facilmente ai DCA, aggravandoli e spesso interferendo molto negativamente sull’andamento delle patologie di base
e sull’efficacia delle terapie praticate. Le comorbilità più frequenti sono rappresentate da depressione maggiore e bipolare, da malattie d’ansia, da disturbi di personalità, e da assunzione di sostanze dopanti, quest’ultima specie
nella BN e nel BED. La loro terapia è quella specifica che si attua nelle patologie sopracitate, deve essere praticata subito fin dall’inizio di ogni approccio terapeutico specifico dei DCA e prolungata fino alla sparizione o alla
messa sotto controllo delle comorbilità stesse, o essere continuata sempre,
secondo le regole terapeutiche di queste patologie. Il secondo tipo di farmacoterapia è quella che prende in considerazione specificamente i sintomi psicopatologici dei DCA, per correggerli ed eliminarli. I farmaci più usati sono
elencati qui a seguito.
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
FARMACOTERAPIE
Farmaci antidepressivi
Nell’AN sono stati somministrati antidepressivi triciclici (amineptina, nortriptilina, desimipramina, clorimipramina, amisulpride), gli inibitori specifici
del reuptake della serotonina (SSRI) (fluoxetina, citalopram, sertralina,
paroxetina) o gli inibitori del reuptake della serotonina e noradrenalina (venlafaxina), con risultati nel complesso abbastanza deludenti17-26. Va specificato che le terapie farmacologiche sono state praticate in genere non per correggere una specifica alterazione biochimica cerebrale, ma piuttosto per analogia con altre psicopatologie con alcuni aspetti simili a quelli dell’AN. E in
particolare per correggere la presenza di sintomi depressivi e d’ansia, che
effettivamente si riducono significativamente, alleggerendo la gravità della
psicopatologia tipica dei DCA. Questo può essere già considerato un elemento favorevole eliminando dei sintomi che sono presenti in quasi tutti i
pazienti anoressici e che interferiscono fortemente sull’andamento della
malattia e sulla risposta alle terapie, ma non è sufficiente. Va poi tenuto
conto anche del fatto che queste terapie sono quasi sempre state somministrate per periodi brevi, in gruppi di pazienti eterogenei, ricercando una gua97
F. BRAMBILLA
IL TRATTAMENTO INTEGRATO DEI DISTURBI
DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
NÓOς
rigione globale della malattia mentre in genere non è stato preso in considerazione l’effetto dei farmaci su specifici gruppi di sintomi. Infatti, là dove
questo approccio è stato attuato, si è evidenziato che i farmaci usati agivano
su alcuni sintomi e quasi mai sulla malattia in toto.
Anche nella BN sono stati usati farmaci antidepressivi triciclici (imipramina,
amineptina, desimipramina, clorimipramina) ed SSRI (fluoxetina, fluvoxamina), il trazodone, la moclobenemide, la reboxetina, la nomifensina, il
bupropione e farmaci anti-MAO, con risultati molto positivi ed una recessione della malattia nel 50-60% circa dei casi, in una percentuale cioè abbastanza simile a quella ottenuta con le psicoterapie e in particolare con la CBT26-30.
Anche in questi studi però le terapie sono state praticate per periodi di tempo
relativamente brevi, e si è sempre riportato l’effetto globale dei farmaci e
non quello su singoli gruppi di sintomi.
Va sottolineato che le farmacoterapie si sono rilevate particolarmente indicate nelle forme di BN molto gravi, con episodi di bulimia e vomito molto frequenti nelle 24 ore e di tale violenza da non permettere un approccio psicoterapeutico valido. In questi casi, l’iniziare il trattamento con una farmacoterapia può attutire la violenza della malattia e permettere l’uso di psicoterapie.
Nel trattamento del BED sono stati somministrati antidepressivi triciclici
(desimipramina, imipramina), SSRI (fluoxetina, fluvoxamina, paroxetina,
sertralina, citalopram) o gli inibitori del reuptake di serotonina-noradrenalina
(venlafaxina)26,31-38, con risultati positivi sulla patologia psichica ma nessun
effetto sul peso e sulla sindrome metabolica.
Farmaci antipsicotici
Nell’AN gli antipsicotici tipici sono stati somministrati sulla scorta della
osservazione che tali farmaci esplicano un’azione ingrassante nei pazienti
psicotici. I farmaci dapprima somministrati sono stati gli antipsicotici tipici
(pimozide, sulpiride, amisulpiride, cloropromazina)39-41, con risultati a breve
termine positivi sulla ripresa del peso, ma del tutto negativi sulla psicopatologia tipica della malattia.
Recentemente si è ricorso agli antipsicotici atipici (risperidone, olanzapina).
Gli effetti globali sulla malattia non sono stati eclatanti, ma si è osservato che
alcuni gruppi sintomatologici riportavano effetti netti di miglioramento. In particolare con l’olanzapina si è osservato un miglioramento significativo dei sintomi depressivi e ansiosi, ma anche dell’ossessività compulsività (in particolare del pensiero anoressico), dell’ostilità, del disturbo dell’immagine corporea,
del pensiero delusionale e della perdita di percezione realistica26,42-44.
Non si hanno dati sul trattamento della BN e del BED con farmaci antipsicotici.
Farmaci misti
Nell’AN è stata somministrata ciproeptadina45, nell’ipotesi che la riduzione
del senso di sazietà indotta dal farmaco potesse influire sull’aspetto nutrizionale dei pazienti, con risultati modesti e non confermati. Lo zinco è stato
somministrato per stimolare la fame, senza nessun risultato46. Infine sono
98
1:2009; 91-102
Nel complesso, lo studio dei dati terapeutici riportati in letteratura sulle terapie
dei DCA lascia piuttosto sconcertati e decisamente delusi. Anche là dove, infatti,
si sono osservati degli effetti nettamente positivi, con guarigione totale di AN,
BN e BED, ciò è avvenuto in piccoli gruppi di pazienti e la percentuale di soggetti veramente guariti è sempre stata decisamente troppo esigua per essere considerata soddisfacente. Per non parlare del fenomeno delle ricadute delle malattie, che
si presentano in una percentuale di pazienti tanto elevata da mettere sinceramente
in dubbio l’efficacia dei nostri trattamenti. Le varie scuole per lo studio dei DCA
sostengono l’importanza di usare l’una o l’altra terapia, ma nel complesso dobbiamo dire che non vi è una sostanziale differenza fra i risultati dei vari approcci
terapeutici, se non nel caso singolo. Che fare allora? Il trattamento dei DCA,
nutrizionale, psicoterapeutico o farmacoterapico, va integralmente rivisitato,
prendendo in considerazione vari punti, a nostro parere determinanti.
Anzitutto la scelta terapeutica deve essere sempre mirata ad uno specifico
scopo. È noto che i pazienti DCA presentano delle alterazioni biochimiche
cerebrali che vanno corrette per ottenere la funzionalità cerebrale appropriata
alle necessità dell’individuo. È possibile che queste alterazioni siano conseguenza di alterazioni geniche, per ora non completamente chiare e certamente
non modificabili, ma è possibile correggere le alterazioni neurotrasmettitoriali
e neuropeptidiche che sono sempre presenti nei DCA e talora si prolungano
ben dopo la loro guarigione, probabilmente essendo alla base delle ricadute.
Correggerle è certamente indispensabile, ma prima va evidenziato di che cosa
siano responsabili queste alterazioni dal punto di vista sintomatologico e prognostico, onde sapere chiaramente che cosa sia responsabile degli aspetti dei
DCA, fisici e psicologici, e quindi sapere cosa potremo correggere intervenendo con i nostri trattamenti sulla biochimica cerebrale. Se questo è chiaro e
indiscutibile per le farmacoterapie, a nostro parere lo è anche per le psicoterapie. Ben poco si è fatto a tutt’oggi per capire dove e come agiscano le psicoterapie a livello cerebrale, e non vi è da stupirsi quindi se esse non sono, e non
saranno mai, efficaci indistintamente in tutti i pazienti con DCA. Questo
aspetto va affrontato quanto prima, poiché non si può continuare a curare dei
sintomi e non le cause che li hanno determinati.
Il secondo punto riguarda i protocolli di trattamento. Va detto subito che la
maggior parte dei protocolli usati per le farmacoterapie non è appropriata,
essendo praticata per dei tempi troppo brevi per essere significativi. E comun-
NÓOς
CONCLUSIONI: LA TERAPIA INTEGRATA
ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
stati fatti degli sporadici tentativi terapeutici con antagonisti oppioidi (nalozone, naltrexone), sali di litio e preparati ormonici (ormone somatotropo,
estrogeni) senza risultati significativi26.
Nella BN sono stati somministrati sali di litio, anticonvulsivanti, preparati
antifame (fenfluramina, topiramato) ed l-triptofano, senza risultati evidenti26.
Il BED è stato trattato con preparati regolatori della fame e della sazietà, in
particolare con topiramato e sibutramina con effetti positivi sulle crisi bulimiche, ma non sugli aspetti più strettamente psicopatologici della malattia47,48.
99
F. BRAMBILLA
100
IL TRATTAMENTO INTEGRATO DEI DISTURBI
DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
NÓOς
que va controllato durante ciascun trial farmacologico dove il farmaco agisca
dal punto di vista biochimico e quali siano i sintomi che vengono coinvolti in
ciascun trattamento come conseguenza di una manipolazione biologica ben
precisa. Cosa che è stata fatta ben di rado. Lo stesso va fatto per le psicoterapie, di cui è indispensabile studiare il meccanismo biologico d’azione, globalmente e per ogni gruppo sintomatologico. E infine anche per la terapia nutrizionale va chiarito quali siano gli aspetti psicopatologici che vengono modificati dalla rinutrizione, e attraverso quale meccanismo ciò avviene.
A tutt’oggi i trattamenti a nostra disposizione sono stati usati per risolvere le
patologie DCA nella loro totalità. Con risultati per lo più negativi, poiché il
più delle volte siamo riusciti ad ottenere dei miglioramenti netti di alcuni
aspetti dei DCA ma ben più di rado di tutte le sindromi nel loro complesso
globale. E questa a nostro parere è la ragione degli insufficienti risultati ottenuti a tutt’oggi, sia nei pazienti in toto sia in ciascun paziente. Questo significa solo che dobbiamo studiare di nuovo e dal principio e con una metodica di
approccio del tutto diversa tutte le nostre terapie e le prossime che verranno.
Che fare oggi, subito, davanti ad una massa di pazienti sempre più in crescita,
sempre più disperati, sempre più soli davanti alla malattia? Non abbiamo
molto, ma forse per ora la sola risposta valida è la “terapia integrata”.
Come già detto più sopra, il concetto di terapia integrata è stato proposto con
significati diversi, per lo più come associazione di terapia nutrizionale e psicoterapie. È chiaro che l’associazione di terapia mirata all’aspetto fisico della
malattia, nutrizionale, e quella diretto alla correzione dell’aspetto strettamente
psicopatologico, psicoterapie, è già un approccio razionalmente valido. Ma
non è ancora sufficiente perché non piglia in considerazione le alterazioni biochimiche cerebrali che sono presenti durante tutto il decorso delle malattie e
talora anche a lungo dopo la loro recessione, essendo probabilmente responsabili per le troppo frequenti ricadute. Non sappiamo quali siano i loro significati
patogenetici, ma esse debbono essere corrette se vogliamo ottenere uno stato
psicofisico normale. Quindi una terapia integrata deve sempre e comunque utilizzare anche la farmacoterapia in associazione con la psicoterapia e la terapia
nutrizionale. Sono ben pochi a tutt’oggi gli studi così strutturati, e anche quando il protocollo praticato era apparentemente corretto, il trattamento era spesso
non abbastanza prolungato, o le osservazioni fisiche e psichiche non sufficienti
a chiarire il reale effetto di queste terapie. Recentemente, noi abbiamo pubblicato uno studio in pazienti anoressiche trattate con terapia nutrizionale, CBT e
olanzapina, in cui avevamo largamente studiati gli effetti psicologici della terapia, quelli fisici e la risposta della dopamina alla somministrazione del farmaco
antidopaminergico, correlando quest’ultima al miglioramento psicofisico44.
Indipendentemente dai risultati specifici psicofisici osservati nei nostri pazienti
riteniamo che questo tipo di studio abbia dato un apporto metodologico significativo, indicando come deve essere strutturato un protocollo terapeutico, e
cosa ci si può attendere da questo tipo di approccio.
Lo studio dei trattamenti dei DCA è aperto a nuove linee guida. Quello che
sappiamo per ora è che le nostre attuali terapie debbono essere riviste per
essere adattate alle realtà eziopatogenetiche e sintomatologiche dei pazienti.
1:2009; 91-102
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ANORESSIA E BULIMIA
NERVOSA
Bibliografia
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NÓOς − VOL. 15, N 1, GENNAIO-APRILE 2009 - ANORESSIA E BULIMIA NERVOSA
NÓOς − VOL. 15, N 1, GENNAIO-APRILE 2009 - ANORESSIA E BULIMIA NERVOSA
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