IL REATO DI BANCAROTTA FRAUDOLENTA NELLE PIU' RECENTI
PRONUNCE GIURISPRUDENZIALI
1. Breve premessa
Il presente elaborato vuole essere un contributo a chi si occupa di diritto penale di impresa
e più nello specifico dei c.d. reati fallimentari.
L'analisi si svolgerà attraverso la ricognizione delle fattispecie penali di bancarotta
fraudolenta, nelle diverse ipotesi previste dalla legge fallimentare, accompagnata
dall'esposizione delle più recenti pronunce giurisprudenziali, alcune innovative altre che
ribadiscono orientamenti già da tempo consolidati.
Il taglio prescelto fa si che saranno volutamente evitati riferimenti dottrinali, per altro in
alcuni casi di particolare interesse, e non ci si dilungherà nell'analisi delle fattispecie
astratte, utilizzando solo brevi cenni di teoria generale prediligendo l'analisi di aspetti
peculiari delle diverse ipotesi di reato.
2. La bancarotta fraudolenta propria
E' ormai nota la ripartizione del reato di bancarotta tra quella c.d. "propria" ossia quella
posta in essere dalla persona fisica imprenditore [cfr. articoli da 216 a 222 L.F.] e quella c.d.
"impropria" ovvero "societaria" relativa alle fattispecie [cfr. articoli 223 e ss. L.F.] poste in
essere da altri soggetti che operano (nelle diverse qualifiche rivestite) su beni di soggetti
giuridici terzi.
Nel presente paragrafo si analizzeranno le fattispecie appartenenti alla prima categoria.
1
Come anticipato, gli articoli da 216 a 222 L.F. prevedono come soggetto attivo del reato
l'imprenditore persona fisica ed in particolare l'imprenditore commerciale (figura
coincidente con quella disciplinata dall'articolo 2082 c.c.1), dovendosi escludere da questa
categoria gli imprenditori agricoli e quei soggetti che esercitino attività di impresa con
prevalenza della prestazione intellettuale.
Torneremo in seguito sul dibattuto tema della qualificazione della sentenza dichiarativa di
fallimento in relazione ai reati di bancarotta, dovendo preliminarmente osservare come, a
ridosso delle numerose modifiche della legge fallimentare ed in particolar modo
dell'articolo 1 [imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo], la
giurisprudenza si è trovata, in innumerevoli occasioni, a doversi esprimere in punto di
rilevanza dei criteri di fallibilità indicati nell'articolo 1 L.F. in rapporto con i reati di cui agli
articoli 216 e ss. L.F.
Senza qui ripercorrere l'evolversi delle pronunce giurisprudenziali basta citare il più
recente intervento delle S.U. della Suprema Corte che hanno stabilito come:" Il giudice
penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16
marzo 1942, n. 267 non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al
presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell'impresa e ai presupposti soggettivi
inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell'imprenditore, sicché le modifiche
apportate all'articolo 1 R.D. n. 267 del 1942 dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12
L'articolo 2082 del c.c. prevede in particolare che: "E' imprenditore chi esercita professionalmente un'attività
economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi".
1
2
settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell'articolo 2 cod. pen. sui
procedimenti penali in corso"2.
Tale orientamento è stato di recente ribadito e fatto proprio da altra pronuncia della Corte
di Legittimità3 di cui si riporta una parte della motivazione per esteso in nota.
2.1. Natura ed effetti della sentenza dichiarativa di fallimento
Dibattuta in dottrina e giurisprudenza è la natura della sentenza dichiarativa di fallimento
nei reati di bancarotta.
2
Cass. Pen. S.U., 28 febbraio 2008, n. 19601.
Cass. Pen. Sez. V, 21 settembre 2011, n. 40324: "... La questione sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione
può così essere sintetizzata: se i fatti di bancarotta, e la relativa dichiarazione di fallimento, commessi prima
della entrata in vigore del D.Lgs. n. 5 del 2006 e del successivo D.Lgs. n. 169 del 2000, che hanno modificato i
requisiti perché l'imprenditore sia assoggettabile a fallimento, continuino ad essere previsti come reato anche se
in base alla nuova normativa l'imprenditore non potrebbe più essere dichiarato fallito perché piccolo
imprenditore. La Suprema Corte aveva dato luogo ad un contrasto di giurisprudenza (Cass. Pen. Sez. 5, 18 ottobre
2007 n. 2083, aveva optato per una risposta negativa al quesito, non essendo suscettibile la modifica dell'articolo
1 della nuova legge fallimentare di meccanica trasposizione nelle dinamiche della successione di leggi penali,
mentre Cass. Sez. 5 penale 20 marzo 2007 aveva dato una risposta affermativa al quesito proposto, sostenendo
che era mutato in senso più favorevole all'imputato un elemento costitutivo del reato quale è la dichiarazione di
fallimento oggi non più possibile) che ha richiesto l'intervento delle Sezioni Unite Penali. Con decisione del 28
febbraio 2008 n. 16601 le Sezioni Unite Penali hanno stabilito che i fatti di bancarotta commessi prima della
entrata in vigore della normativa richiamata continuano ad essere previsti come reato anche se in base alla
nuova normativa l'imprenditore non possa più essere dichiarato fallito. Nella citata sentenza si rilevava, tra
l'altro, che il giudice penale non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento non solo quanto al
presupposto oggettivo dello stato di insolvenza, ma anche quanto ai presupposti soggettivi inerenti alle
condizioni previste dall'articolo 1 della legge fallimentare per la fallibilità dell'imprenditore, sicché le modifiche
legislative apportate all'articolo 1 della legge fallimentare non esercitano influenza ai sensi dell'articolo 2 cod.
pen. sui procedimenti penali in corso. Il Collegio ritiene di condividere l'orientamento delle Sezioni Unite, che,
peraltro, in materia di articolo 2 c.p. e successioni di norme extrapenali nel tempo ha ripreso un orientamento già
manifestatosi con SS. UU. 27 settembre 2007 - 16 gennaio 2008, secondo il quale deve ritenersi inapplicabile il
principio previsto dall'articolo 2 c.p., comma 3 qualora si tratti di modifiche della disciplina integratrice della
fattispecie penale che non incidano sulla struttura essenziale del reato, ma comportino esclusivamente una
variazione del contenuto del precetto delineando la portata del comando. Insomma il disvalore sociale della
condotta non è venuta meno con la nuova normativa, essendosi il legislatore limitato a modificare i presupposti
per l'applicazione della norma incriminatrice penale; cosicché appare del tutto irragionevole ritenere che siffatte
modifiche retroagiscano (vedi anche Cass. 18 maggio 2006 n. 17230)".
3
3
Senza addentrarci in tale acceso dibattito vale qui la pena ricordare come la unanime e
consolidata giurisprudenza ritenga la sentenza dichiarativa di fallimento non una
condizione obbiettiva di punibilità bensì un elemento costitutivo della fattispecie di reato.
Sul punto di vadano Cass. Pen. Sez. V, 25 marzo 2010, n. 21872, Cass. Pen. Sez. V, 19
febbraio 2008, n. 13514 e Cass. Pen. Sez. V, 5 novembre 1986, n. 1336.
Da tale qualificazione derivano importanti conseguenze sia in punto di momento
consumativo del reato che, per l'effetto, in materia di prescrizione [vedi infra].
Il dato giuridico più rilevante che deve essere evidenziato è come, nel reato di bancarotta,
condotte
astrattamente
lecite,
diventino
penalmente
rilevanti
in
conseguenza
dell'intervenuta dichiarazione di fallimento.
Interessante, ai fini che ci occupano, è una recente pronuncia del Supremo Collegio la quale
ha stabilito che: "La chiusura del fallimento per sopravvenuta mancanza del passivo non
esclude la legittimità e l'efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento e non fa venir meno
sul piano oggettivo il reato di bancarotta fraudolenta documentale (In motivazione la S.C. ha
affermato che su tale reato incide solo la revoca del fallimento pronunciabile in caso di
insussistenza dello stato di insolvenza al momento della dichiarazione di fallimento)" [cfr.
Cass. Pen. Sez. V, 25 marzo 2010 n. 21872].
Ciò doverosamente premesso va parimenti evidenziato uno dei concetti cardine che lega la
sentenza dichiarativa di fallimento alle condotte di bancarotta previste dalla legge
fallimentare ossia, il principio in base al quale risponde del delitto di bancarotta
l'imprenditore che ponga in essere una delle condotte previste e punite dall'articolo 216
4
L.F. indipendentemente dal fatto che il fallimento dell'impresa sia legato da nesso di
causalità con dette condotte.
Tale principio è stato fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità in più pronunce4, in
particolare la Suprema Corte ha ritenuto come: "... La disposizione incriminatrice della
bancarotta fraudolenta patrimoniale non richiede, per l'integrazione della fattispecie, che la
condotta abbia cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto, il quale riflette il substrato
economico-patrimoniale dell'insolvenza e non fa parte della struttura del reato" [cfr. Cass.
Pen. Sez. I, 1 ottobre 2009 n. 40172].
2.2. Le condotte
Passando ora all'analisi delle condotte punibili, va specificato come l'articolo 216 L.F.
preveda tre diverse fattispecie di bancarotta fraudolenta, ed in particolare:
a) la bancarotta fraudolenta c.d. patrimoniale [num. 1 norma citata]5:
Tra le condotte punibili, quella che sicuramente riveste un ruolo principale è la condotta di
distrazione.
Sul punto innumerevole è la casistica delle condotte riconducibili in tale categoria astratta
di cui la giurisprudenza ha avuto modo di occuparsi e di cui intendiamo dare una
panoramica.
4
Tra le altre cfr. Cass. Pen. Sez. V, 4 novembre 2008, n. 1694 e Cass. Pen. Sez. V, 6 maggio 2008, n. 34584.
Articolo 216 l.f. comma 1 n. 1) prevede la punibilità per l'imprenditore che: "Ha distratto, occultato,
dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai
creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti".
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Anche se risalente, punto di partenza della nostra analisi giurisprudenziale deve essere la
sentenza della Suprema Corte, Cass. Pen. Sez. V, 12 maggio 2000, n. 5619, la quale delinea in
maniera limpida la fattispecie di distrazione, affermando come: "La distrazione è il
compimento di qualsiasi atto negoziale di disposizione patrimoniale affetto da anomalie
genetiche o funzionali, dal quale deriva una diminuzione patrimoniale oggettivamente certa e
prevedibile"6.
Interessante, per i diversi spunti che offre nelle motivazioni rese, è sicuramente Cass. Pen.
Sez. V, 16 aprile 2009, n. 36595, in particolare la stessa ha tra l'altro statuito come: "Integra
la distrazione, rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all'articolo 216 l. fall.
(bancarotta fraudolenta patrimoniale), la condotta di colui che, in qualità di presidente del
consiglio di amministrazione e amministratore delegato di una società finanziaria
successivamente fallita, costituisca in pegno titoli di stato, poiché il pegno, in caso di mancato
pagamento della somma data in prestito nella quantità, nei tempi e nei modi pattuiti, può
essere escusso dal creditore, con perdita del patrimonio societario che costituisce la garanzia
per i creditori. (La circostanza - ha altresì osservato la Corte - che l'acquisto di detti titoli sia
avvenuto su mandato e nell'interesse dei clienti non esclude che siano divenuti patrimonio
della società fallita e, dunque, oggetto di distrazione proprio con l'utilizzazione degli stessi
come propri avvenuta con la costituzione in pegno senza l'autorizzazione dei clienti,
verificandosi così una interversione del possesso)".
Nel caso di specie si è ritenuto costituire fatto distrattivo la condotta di prestare garanzie fideiussorie a
favore di una terza società senza alcun corrispettivo e senza alcuna ragione in quanto tale condotta espone la
garante al rischio di vedersi escutere propri beni con diminuzione della garanzia patrimoniale.
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Interessante, al di là della massima enunciata dal Supremo Collegio, è il ragionamento
giuridico a cui si è fatto riferimento, in particolare i giudici di legittimità hanno evidenziato
come possono essere oggetto di distrazione non solo i beni patrimoniali della società
dichiarata fallita, ma anche tutti i beni che rientrino nella disponibilità autonoma della
società e che costituiscano il patrimonio dei rapporti attivi facenti capo all'azienda.
Per altro la Corte, nell'enunciare detto principio, rimandando a precedenti pronunce,
ribadisce come anche i beni acquisiti al patrimonio sociale in modo illecito possano essere
oggetto di distrazione7 e, per altro verso, come anche il patrimonio di una fiduciaria
costituito dai titoli in gestione dai fiducianti possano rientrare nel concetto di distrazione
dei beni sociali8.
Altra pronuncia degna di nota è sicuramente Cass. Pen. Sez. V, 12 maggio 2010, n. 22787 in
base alla quale: "La responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale
richiede l'accertamento della previa disponibilità in capo all'imprenditore fallito dei beni
mancanti; accertamento che non è condizionato da alcuna presunzione. (In applicazione del
principio di cui in massima la Suprema Corte ha censurato la decisione con cui il giudice di
merito ha affermato la responsabilità, a titolo di bancarotta fraudolenta patrimoniale,
dell'amministratore, sulla base di un documento ufficioso non depositato e, quindi, non
7
8
cfr. Cass. Pen. Sez. V, 27 agosto 2001, n. 31911.
cfr. Cass. Pen. Sez. V, 30 settembre 1987, n. 10225.
7
destinato all'altrui conoscenza e, per di più, concernente esercizio lontano rispetto alla
dichiarazione di fallimento)"9.
Di rilievo anche Cass. Pen. Sez. V, 10 febbraio 2010, n. 21251 secondo cui: "In tema di
bancarotta fraudolenta per distrazione deve ricomprendersi fra le operazioni distrattive
anche l'utilizzazione di somme disponibili per effetto di una aperture di credito ottenuta da un
istituto bancario per le finalità aziendali, che invece vengano destinate a scopo diverso e
distolte dal patrimonio dell'impresa senza corrispettivo".
Giuridicamente apprezzabile risulta la linea difensiva avanzata, con uno dei motivi di
ricorso, dai legali dell'imputato in base alla quale l'apertura di una linea di credito concessa
da un istituto bancario ed il suo successivo utilizzo per il pagamento di un debito di una
società controllata, non hanno un effetto depauperativo del patrimonio della fallita.
Ciò sul presupposto che l'apertura di credito non costituisce di per sé incremento del
patrimonio della fallita e la sua utilizzazione va semmai ad aumentare l'ammontare del
passivo.
I giudici di legittimità, respingendo i motivi del ricorso, osservano come, se è pur vero che
l'apertura di credito ex articolo 1842 c.c.10 di per sé non costituisce un cespite che entra nel
In senso conforme Cass. Pen. Sez. V, 6 novembre 2006, n. 40726: "La responsabilità per il delitto di bancarotta
per distrazione, ascrivibile all'imprenditore fallito, richiede l'accertamento della previa disponibilità, da parte di
quest'ultimo, dei beni dell'impresa, accertamento che non è condizionato da alcun onere di dimostrazione in capo
al fallito né da alcuna presunzione, con la conseguenza che il giudice, ancorché le scritture di impresa
costituiscano prove, ex articolo 2710 c.c., nei riguardi dell'imprenditore, deve valutare, anche nel silenzio del
fallito, l'attendibilità dell'annotazione contabile e dare congrua motivazione ove questa non sia apprezzabile per
l'intrinseco dato oggettivo".
9
Articolo 1842 c.c. recita: "L'apertura di credito bancario è il contratto con il quale la banca si obbliga a
tenere a disposizione dell'altra parte una somma di denaro per un dato periodo di tempo o a tempo
indeterminato".
10
8
patrimonio del soggetto che ne fruisce, le somme messe a disposizione dell'istituto debbano
qualificarsi come patrimonio da impiegare per la gestione dell'attività di impresa che, nel
caso di specie, essendo state utilizzate per pagare debiti di altra società del gruppo, doveva
qualificarsi l'operazione come distrattiva.
Argomento di particolare interesse risulta altresì quello della riconducibilità all'ipotesi in
esame dell'affitto di azienda.
E' noto, infatti, come nella prassi commerciale in casi di crisi di azienda sia largamente
diffusa la consuetudine di costituire una newco. alla quale affittare un ramo di azienda,
ovvero, l'intera azienda, in modo tale da far sì che i canoni di affitto servano al
soddisfacimento dei debiti dell'affittante, potendo per contro l'affittuaria, che non versa in
stato di crisi, procedere proficuamente nello svolgimento dell'attività di impresa.
Tale modalità operativa si verifica frequentemente anche senza la costituzione di una
newco., ma mediante l'affitto a società in bonis appartenente al medesimo settore.
Ora, non è chi non veda come qualora l'operazione di affitto di un ramo di azienda o
dell'intera azienda, sia atta e diretta esclusivamente a sottrarre i beni aziendali alla garanzia
dei creditori, tale condotta rientri sicuramente nella fattispecie che ci occupa.
Mentre per tutti gli altri casi si discute vivacemente in dottrina e in giurisprudenza, se ed in
che termini sia ravvisabile, nelle condotte di cui sopra, un fatto penalmente rilevante.
Spunto interessante per comprendere quanto sopra esposto deriva da una sentenza di
merito che ha statuito come: "Il fatto che l'imprenditore ed un terzo abbiano inteso realizzare
un programma di risanamento mediante l' affitto dell'azienda e la cessione di tutti i beni
9
facenti parte del magazzino della stessa, senza tuttavia operare alcuna dispersione e
rappresentando in sede di fallimento una situazione economicamente vantaggiosa rispetto a
quella preesistente, non integra, sotto il profilo dell'elemento psicologico del dolo specifico, la
fattispecie delittuosa della bancarotta fraudolenta" [Tribunale di Pisa, 21 giugno 2000].
11
In subiecta materia è possibile recuperare un'unica sentenza
della Corte di legittimità
secondo la quale: "Il distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore poi fallito (con
conseguente depauperamento in danno dei creditori), in cui si concreta l'elemento oggettivo
del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, può realizzarsi in qualsiasi forma e con
qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell'atto negoziale con cui tale
distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l'esperimento delle azioni
apprestate a favore della curatela. Ne consegue che costituisce condotta idonea ad integrare
un fatto distrattivo riconducibile all'area d'operatività dell'articolo 216, comma 1, n. 1, l. fall.,
l'affitto dei beni aziendali per un canone incongruo (nella specie, peraltro, il complesso dei
beni affittati esauriva il compendio aziendale dell'impresa, per cui n'era derivata
l'impossibilità per l'impresa stessa di proseguire nella propria attività economica)" [cfr. Cass.
Pen. Sez. V, 9 ottobre 2008, n. 44891].
In definitiva, sembra corretto poter affermare che in caso di affitto di azienda la previsione
di un canone congruo e la possibilità, in caso di successivo fallimento della società affittante,
Si rinvengono per altro alcune pronunce di carattere generale [cfr. Cass. Pen., Sez. V, 16 marzo 2005, n.
17384; Cass. Pen., Sez. V, 23 marzo 1999, n. 4739] in base alle quali l'elemento oggettivo del reato di
bancarotta può realizzarsi in qualunque forma e modalità non incidendo su queste né la natura dell'atto
negoziale alla base del distacco né l'astratta possibilità giuridica di recupero del bene.
11
10
per gli organi della procedura, di recuperare immediatamente i beni aziendali, escludano la
configurabilità della fattispecie in esame.
Altra fattispecie analizzata dalla giurisprudenza è quella riguardante i beni ottenuti in
leasing.
Si è difatti sostenuto come: "In tema di bancarotta per distrazione di beni ottenuti in
"leasing", è necessario ai fini della sussistenza del reato di cui all'articolo 216 l. fall. che
l'utilizzatore poi fallito sia entrato nella disponibilità di fatto del bene (fattispecie in tema di
cessione di contratto di leasing in realtà mai portato ad esecuzione)" [cfr. Cass. Pen. Sez. V 21
maggio 2010, n. 29757]12.
Ultima casistica su cui si vuol porre l'attenzione è quella della bancarotta per distrazione
c.d. post-fallimentare13, soprattutto riguardo ad una interessante pronuncia dei giudici di
legittimità [cfr. Cass. Pen. Sez. V, 9 marzo 2010, n. 1660614], secondo la quale: "Integra il
delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale post fallimentare la condotta di colui che dopo
essere stato dichiarato fallito intraprenda una nuova attività dalla quale tragga ricavi
consistenti e, comunque, eccedenti i redditi necessari per il mantenimento proprio e della
propria famiglia, omettendo di conferirli a favore della procedura concorsuale in corso in
violazione dell'articolo 46 l. fall.".
12
Vedi anche: Cass. Pen. n. 36595 del 2009; Cass. Pen. n. 33380 del 2008 e Cass. Pen. n. 10333 del 2001.
La condotta è prevista e punita dall'articolo 216 comma 2 L.F. che prevede ".... La stessa pena si applica
all'imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commetta alcuno dei fatti preveduti
dal numero 1) del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica, i libri o altre scritture contabili".
13
14
In senso conforme Cass. Pen. Sez. V, 17 marzo 2004, n. 38244 e Cass. Pen. Sez. V 1 marzo 2006, n. 9812.
11
Anche in questo caso è di assoluto interesse verificare il percorso giuridico seguito dalla
Corte per giungere alla citata motivazione.
Invero, la linea difensiva dei legali dell'imputato prospettata nel ricorso per cassazione si
basava sul presupposto che il fallito, reiniziando a svolgere un'attività economica, aveva
l'obbligo verso la curatela nei limiti degli utili prodotti e non reinvestiti, sulla scia di tale
ragionamento si era a sostenere che le spese sopportate per sostenere la nuova attività
economica non potessero configurare ipotesi di distrazione, sul presupposto che la curatela
ex articolo 42 comma 2 L.F.15 può appropriarsi dei risultati positivi della nuova attività al
netto delle spese incontrate per la loro realizzazione.
Ebbene, la Suprema Corte, nel respingere tale ragionamento utilizza come parametro di
valutazione non solo il citato articolo 42 L.F., ma anche l'articolo 46 L.F. ossia fa riferimento
al decreto motivato del Giudice Delegato che autorizza il successivo svolgimento di ulteriore
attività da parte del fallito nonché i limiti entro i quali lo stesso è autorizzato a trattenere le
somme eventualmente prodotte16.
La norma recita testualmente: "Sono compresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante
il fallimento, dedotte le passività incontrate per l'acquisto e la conservazione dei beni medesimi".
15
Principio rinvenuto in una precedente sentenza della Cass. Civile n. 17235 del 4 dicembre 2002 in base alla
quale: "...nel determinare la quota di reddito da lavoro dipendente disponibile per il fallito e quella da destinare
alla soddisfazione dei creditori, deve considerare, da un lato, che il mantenimento del fallito e della sua famiglia
non può essere limitato a coprire le esigenze puramente alimentari, dovendo invece essere ragguagliato ad una
misura che possa costituire anche premio ed incentivo per l'attività produttiva e reddituale svolta, ma, dall'altro,
che tale quota non può essere elevata fino a raggiungere il limite del minimo tenore di vita socialmente adeguato
(ex articolo 36 Cost.), in quanto deve sempre considerarsi che nella condizione sociale del fallito ha un peso
rilevante la sua condizione di debitore verso una collettività di debitori concorrenti".
16
12
b) Bancarotta fraudolenta c.d. documentale [num. 2 norma citata]17.
Sull'argomento non si rinvengono particolari novità e/o orientamenti giurisprudenziali.
c) Bancarotta fraudolenta c.d. preferenziale [comma 3 norma citata]18.
Tale fattispecie di reato è sicuramente quella meno percepita nel suo disvalore dagli
operatori economici, nonché quella che più mette in risalto la valenza della sentenza
dichiarativa di fallimento come elemento costitutivo del reato di bancarotta.
Difatti, nella gestione di una società in bonis, è più che normale che l'ordine dei pagamenti
non rispetti quello dei privilegi, seguendo una logica più commerciale che non di diritto. Ma,
nel momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento (e come anticipato in
precedenza), condotte perfettamente lecite assumono i caratteri di fattispecie penalmente
rilevanti.
Senza entrare nel merito delle singole condotte preferenziali che possono esser poste in
essere dall'imprenditore, così seguendo le premesse su cui si basa il presente elaborato, si
andranno di seguito ad analizzare due particolari fattispecie ritenute di particolare
rilevanza, una di carattere sostanziale e due di carattere procedurale.
Articolo 216 l.f. comma 1 n. 2) prevede la punibilità per l'imprenditore che: "Ha sottratto, distrutto,
falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare
pregiudizio ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la
ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari".
17
Articolo 216 l.f. comma 3) prevede la punibilità per l'imprenditore che: "Prima o durante la procedura
fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di
prelazione".
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La prima relativa al dubbio se ricondurre la percezione di somme da parte
dell'imprenditore dalle casse sociali nella fattispecie della bancarotta per distrazione
ovvero in quella preferenziale.
L'argomento è stato affrontato numerose volte dalla giurisprudenza, in una recente
sentenza si è affermato che: "Risponde di bancarotta preferenziale e non di bancarotta
fraudolenta per distrazione l'amministratore che, senza autorizzazione degli organi sociali, si
ripaghi dei suoi crediti verso la società in dissesto relativi a compensi per il lavoro prestato,
prelevando dalla cassa sociale una somma congrua rispetto a tale lavoro" [cfr. Cass. Pen. Sez.
V, 16 aprile 2010, n . 2157019].
La Corte ha risolto il contrasto facendo rientrare la condotta nell'ipotesi della bancarotta
preferenziale fondando il proprio ragionamento sul fatto che la riforma societaria,
modificando l'articolo 2630 comma 2 c.c., non prevede più come reato l'apprensione di un
compenso non formalmente deliberato e sempre a patto che il compenso percepito sia
congruo all'attività svolta, sostenendo per altro che non vi è alcun dubbio nel caso di specie
sulla sussistenza della bancarotta preferenziale sul presupposto che il pagamento di un
credito dell'amministratore (versando la società in stato di insolvenza) alteri in maniera
evidente la par condicio creditorum.
In senso conforme: Cass. Pen. n. 46301/2007; Cass. Pen. n. 43869/2007; Cass. Pen., Sez. V, 13 aprile 2007 n.
19557; Cass. Pen. n. 38149/2006; Cass. Pen., Sez. V, 7 luglio 2006 n. 23730.
In senso difforme: Cass. Pen. n. 17616/2008; Cass. Pen. n. 17616/2008; Cass. Pen. n. 27343/2007; Cass. Pen.,
Sez. V, 7 giugno 2006 n. 2647, Cass. Pen. n. 22022/2003.
19
14
Pertanto, si può oggi affermare con certezza che, qualora l'amministratore percepisca
somme dalle casse sociali che trovano nei bilanci della stessa società giustificazione
contabile, si versa in ipotesi di bancarotta preferenziale mentre, qualora le somme
percepite siano assolutamente prive di qualsivoglia causale, si versa nella diversa ipotesi di
bancarotta per distrazione.
Si cita sul punto la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 36551 del 15 luglio 2010 (la
quale per altro, risolvendo altro contrasto giurisprudenziale, cristallizza il principio di cui
sopra), in base alla quale: "Il prelievo di una somma di denaro, dal conto bancario di una
società, poi fallita, utilizzata per l’acquisto a titolo personale da parte dell’imprenditore di un
pacchetto azionario intestato a sé stesso, in quanto orientata a procurare un utile economico
all’agente, ontologicamente integra la "distrazione" ed esprime la diminuzione fittizia del
patrimonio aziendale, attuata mediante il distacco di risorse finanziarie, destinato ad
impedirne o a ostacolarne l’apprensione da parte degli organi del fallimento, a nulla rilevando
che delle risorse distratte sia stata lasciata traccia, con la possibilità quindi - almeno in
astratto - per i creditori di recuperarle per il tramite degli organi fallimentari".
Altro interessante argomento in tema di procedura è quello che si riferisce al momento
consumativo del reato e quindi al decorrere del termine di prescrizione.
Difatti, se per la bancarotta per distrazione è ormai pacifico che il termine di prescrizione
decorra dalla pronuncia della sentenza di fallimento, per la bancarotta preferenziale è
altrettanto pacifico che la prescrizione decorra, per ogni singola condotta, dal momento
della sua esecuzione.
15
Difatti la giurisprudenza ha più volte affermato come: "In tema di bancarotta, la prescrizione
inizia a decorrere dalla data della declaratoria di fallimento o dello stato d'insolvenza e non
dal momento della consumazione delle singole condotte poste in essere in precedenza" [cfr.
Cass. Pen. Sez. V, 25 marzo 2010, n. 2073620], stabilendo altresì: "Il reato di bancarotta
fraudolenta preferenziale si consuma nel momento dei pagamenti, irrilevante essendo la data
della sentenza dichiarativa di fallimento" [cfr. Cass. Pen. Sez. V, 19 maggio 2009, n. 37428].
Ultima nota procedurale di interesse per la presente analisi è la doverosa citazione del
nuovo articolo 217 bis L.F.21, introdotto dall'articolo 48 comma 2 bis D. Lgs. 31 maggio
2010, n. 78 conv. in L. 30 luglio 2010 n. 122.
3. La bancarotta societaria
Veniamo ora a trattare la fattispecie della c.d. bancarotta societaria disciplinata dall'articolo
223 L.F.
L'analisi della presente fattispecie sarà incentrata da un lato sui soggetti attivi del reato, e
dall'altro, sulle condotte tipiche previste dalla norma.
3.1. I soggetti attivi
La norma rappresenta il classico esempio del reato proprio, in quanto i soggetti attivi
vengono specificatamente individuati in:
20
In senso conforme cfr. Cass. Pen. Sez. V, 12 ottobre 2004, n. 46182.
Esenzioni dai reati di bancarotta. "Le disposizioni di cui all’articolo 216, terzo comma, e 217 non si
applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo di cui all’articolo
160 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis ovvero del piano di
cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d)".
21
16
a. amministratori;
b. direttori generali;
c. sindaci;
d. liquidatori.
Di seguito analizzeremo la casistica giurisprudenziale più recente che ha trattato la
responsabilità dei soggetti di cui sopra.
Argomento interessante e lungamente dibattuto è quello sulla responsabilità degli
amministratori di diritto in concorso con gli amministratori di fatto.
Su questa tematica va sicuramente segnalata Cass. Pen. Sez. V, 9 febbraio 2010, n. 1193822,
secondo la quale: "In tema di bancarotta fraudolenta, l'amministratore in carica risponde
penalmente dei reati commessi dall'amministratore di fatto, dal punto di vista oggettivo ai
sensi dell'articolo 40 comma 2 c.p., per non avere impedito l'evento che aveva l'obbligo
giuridico (articolo 2392 c.c.) di impedire, e, dal punto di vista soggettivo, se sia raggiunta la
prova che egli aveva la generica consapevolezza che l'amministratore effettivo distraeva,
occultava, dissimulava, distruggeva o dissipava i beni sociali, esponeva o riconosceva passività
inesistenti. (Nella specie la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di
merito ha ampiamente argomentato in ordine all'effettiva consapevolezza da parte degli
amministratori di diritto delle condotte dell'imputato, desumendone la prova dagli stessi
verbali del consiglio di amministrazione)".
Vedi anche: Cass. Pen. n. 31885/2009; In senso conforme: Cass. Pen., sez. V, 26 gennaio 2006, n. 7208; Cass.
Pen. n. 853/2006; Cass. Pen. n. 5619/2000.
22
17
Anche in questo caso vale la pena soffermarsi brevemente sul ragionamento logicogiuridico seguito dalla Corte per giungere al principio di diritto enunciato nella massima in
esame.
E così, rifacendosi ad un preciso precedente23, si ritiene che l'amministratore in carica
risponda penalmente dei reati commessi dall'amministratore di fatto in base al combinato
disposto degli articoli 40 comma 2 c.p. e 2392 c.c.24, sempre che sia raggiunta la prova della
consapevolezza generica del compimento di fatti di reato da parte dell'amministratore
effettivo, specificando come in punto di elemento soggettivo, la sola consapevolezza che
dalla propria condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato o l'accettazione
del rischio che questi si verifichino, sono sufficienti per affermare la responsabilità penale25.
E ancora, sempre la Suprema Corte: "Il soggetto che assume, in base alla disciplina dettata
dall'articolo 2639 cod. civ., la qualifica di amministratore "di fatto" di una società è da
ritenere gravato dell'intera gamma dei doveri cui è soggetto l'amministratore "di diritto", per
cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, è penalmente
23
Cass. Pen. Sez. V, 12 dicembre 2005, n. 853.
L'articolo 2392 c.c. prevede: "Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e
dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze. Essi sono
solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri, a meno che si
tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più
amministratori.
In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell'articolo 2381, sono solidalmente
responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne
il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo
immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle
deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale".
24
25
Principio ripreso da Cass. Pen. Sez. V, 26 gennaio 2006, n. 7208.
18
responsabile per tutti i comportamenti a quest'ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole
e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata
dall'articolo 40, comma secondo c.p." [cfr. Cass. Pen. Sez. V, 2 marzo 2011, n. 15065].
Sempre in tema di responsabilità degli amministratori, indispensabile è la trattazione e
l'analisi delle problematiche afferenti la responsabilità degli organi di amministrazione
collegiali, tenuto conto del fatto che tale forma di amministrazione è quella che le grandi
strutture societarie prediligono.
Affrontando questo tema, la giurisprudenza ha fatto sempre costante riferimento al dettato
normativo dell'articolo 2932 c.c. [cfr. nota 24].
Soprattutto, a seguito della riforma del diritto societario del 2003, che ha eliminato il
generale dovere di vigilanza sull'andamento della gestione, dovuto alla nota impossibilità
per gli amministratori di società di notevole dimensione di poter attuare una vigilanza
concreta26, la giurisprudenza pur adeguandosi alla modifica legislativa, ha però evidenziato
come: "La riforma della disciplina della società, portata dal d.lgs. 6/2003, ha indubbiamente
alleggerito gli oneri e le responsabilità degli amministratori privi di deleghe. È stato rimosso il
generale "obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione", sostituendolo con
l'onere di "agire informato", atteso il potere di richiedere informazioni. Ferma, però, la
La relazione governativa del D. Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6 ha motivato l'eliminazione dell'obbligo di vigilanza
sul generale andamento della gestione e la sua sostituzione con specifici obblighi individuati dagli articoli
2381, 2391 e soprattutto dagli articoli 2392 e 2394 c.c. con l'esigenza di evitare: "... sue indebite estensioni che,
soprattutto nell'esperienza delle azioni esperite da procedure concorsuali, finiva per trasformarla in una
responsabilità sostanzialmente oggettiva, allontanando le persone più consapevoli dall'accettare o mantenere
incarichi in società o in situazioni in cui il rischio di una procedura concorsuale le esponeva a responsabilità
praticamente inevitabili" [cfr. Mazzacuva-Amati: "Diritto Penale dell'economia Problemi e Casi" - Cedam 2010].
26
19
obiettiva restrizione della responsabilità apportata nel contesto del codice civile e la obiettiva
situazione più favorevole per gli amministratori privi di delega, resta tuttavia invocabile la
disciplina di cui all'articolo 40, comma 2, c.p. nel caso in cui l'amministratore (delegante) di
società, a conoscenza di reati "in itinere" commessi da altro amministratore (delegato) e
pregiudizievoli per l'ente amministrato, non abbia fatto, pur avendone l'obbligo giuridico,
quanto poteva per impedirne il compimento. Il limite operativo della disposizione penale è
circoscritto alle sole incriminazioni connotate di volontarietà" [cfr. Cass. Pen. Sez. V, 4 maggio
2007, n. 23838].
Diventa così risolutivo e determinante comprendere quale sia il grado di dolo richiesto in
capo all'amministratore.
Sul punto sempre la Suprema Corte ha specificato che, da un lato: "Gli amministratori di una
società sono responsabili penalmente, a titolo di dolo eventuale, delle operazioni fraudolente
dei coammministratori, e ciò per il solo fatto di non essere intervenuti pur potendo prevenire e
immaginare la falsa rappresentazione della situazione patrimoniale dell’impresa" [cfr. Cass.
Pen. Sez. V, 5 novembre 2008, n. 45513]27 e dall'altro: "La responsabilità del mero
consigliere d'amministrazione di società per fatti di bancarotta fraudolenta, materialmente
posti in essere dal presidente, presuppone la rappresentazione dell'evento, nella sua portata
Nella specie, la Cassazione ha annullato con rinvio l’assoluzione pronunciata dalla Corte d’Appello nei
confronti dell’amministratore delegato e di un consigliere non delegato, che avevano accettato assegni per la
vendita di alcuni appartamenti che mai sarebbero stati costruiti perché, al contrario di quanto rappresentato
in bilancio dagli altri amministratori, la situazione finanziaria della società era disastrosa.
27
20
illecita, desunta da segnali perspicui e peculiari, e la volontaria omissione nell'impedirlo, sì che
possa affermarsi che egli abbia quanto meno accettato il rischio di verificazione dello stesso"
[cfr. Cass. Pen. Sez. V, 10 febbraio 2009, n. 9736].
Di particolare interesse è l'argomento del concorso dei membri del collegio sindacale con gli
amministratori di società nel reato di bancarotta fraudolenta.
Si deve doverosamente premettere come nel ricostruire la penale responsabilità di cui
sopra i giudici di legittimità prendano sempre come parametro di riferimento, la normativa
del codice civile inerente poteri, obblighi e responsabilità del collegio sindacale28.
Il codice civile dedica diversi articoli alla disciplina del collegio sindacale. Le norme rilevanti ai fini che ci
occupano sono: articolo 2403 c.c.: "Il collegio sindacale vigila sull'osservanza della legge e dello statuto, sul
rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo,
amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento.
Esercita inoltre il controllo contabile nel caso previsto dall'articolo 2409 bis, terzo comma"; articolo 2403 bis
c.c.: "I sindaci possono in qualsiasi momento procedere, anche individualmente, ad atti di ispezione e di
controllo.
Il collegio sindacale può chiedere agli amministratori notizie, anche con riferimento a società controllate,
sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari. Può altresì scambiare informazioni con i
corrispondenti organi delle società controllate in merito ai sistemi di amministrazione e controllo ed
all'andamento generale dell'attività sociale.
Gli accertamenti eseguiti devono risultare dal libro previsto dall'articolo 2421, primo comma, n. 5).
Nell'espletamento di specifiche operazioni di ispezione e di controllo i sindaci sotto la propria responsabilità
ed a proprie spese possono avvalersi di propri dipendenti ed ausiliari che non si trovino in una delle
condizioni previste dall'articolo 2399.
L'organo amministrativo può rifiutare agli ausiliari e ai dipendenti dei sindaci l'accesso a informazioni
riservate"; articolo 2406 c.c.: "In caso di omissione o di ingiustificato ritardo da parte degli amministratori, il
collegio sindacale deve convocare l'assemblea ed eseguire le pubblicazioni prescritte dalla legge.
Il collegio sindacale può altresì, previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione,
convocare l'assemblea qualora nell'espletamento del suo incarico ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e
vi sia urgente necessità di provvedere"; articolo 2407 c.c.: "I sindaci devono adempiere i loro doveri con la
professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico; sono responsabili della verità delle loro
attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del
loro ufficio.
Essi sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno
non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.
All'azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli
2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395".
28
21
Ciò premesso, con la sentenza n. 10186 del 4 novembre 2009, la Cassazione Penale ha
statuito come: "Nei reati di bancarotta è ammissibile il concorso di un componente del
collegio sindacale con l'amministratore di una società, che può realizzarsi anche attraverso un
comportamento omissivo del controllo sindacale, il quale non si esaurisce in una mera verifica
formale, quasi a ridursi ad un riscontro contabile nell'ambito della documentazione messa a
disposizione dagli amministratori, ma comprende il riscontro tra la realtà e la sua
rappresentazione"29, principio ribadito anche nella sentenza della Quinta Sezione Penale
della Suprema Corte, 1 luglio 2011 n. 31163.
Utilizzando i principi di cui sopra, sempre il Supremo Collegio, in materia cautelare, ha
stabilito che: "Ai fini dell'adozione di una misura cautelare personale nei confronti del sindaco
di una società per il reato di bancarotta fraudolenta, la sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza non può essere desunta solo dalla sua posizione di garanzia e dal mancato
esercizio dei relativi doveri di controllo, ma postula l'esistenza di elementi, dotati del
necessario spessore indiziario, sintomatici della partecipazione, in qualsiasi modo, del sindaco
stesso all'attività dell'amministratore ovvero dell'effettiva incidenza causale dell'omesso
esercizio dei doveri di controllo rispetto alla commissione del reato da parte
dell'amministratore" [cfr. Cass. Pen. Sez. V, 5 febbraio 2010, n. 15360].
Aspetto particolare è quello della responsabilità dei sindaci supplenti, in relazione ai quali
la cassazione ritiene che: "La responsabilità in ordine al reato di bancarotta fraudolenta
Vedi anche: Cass. pen., Sez. V, 13 dicembre 2006, n. 17393; in senso conforme: Cass. Pen., sez. V, 22 aprile
1998, n. 8327.
29
22
"impropria" è configurabile in capo ai sindaci , per violazione dei doveri di vigilanza e dei
poteri ispettivi che competono loro, ma non anche, contemporaneamente, in capo ai sindaci
supplenti , i quali subentrano ai titolari e rispondono del loro operato esclusivamente in caso
di morte, rinunzia o decadenza da parte di questi. (Fattispecie nella quale, pur avendo, i
sindaci supplenti, partecipato a riunioni del collegio sindacale, sottoscrivendo il relativo
verbale, la Corte ha ritenuto che la circostanza fosse inadeguata a intaccare la validità del
principio espresso, trattandosi di iniziative anomale e giuridicamente ininfluenti) [cfr. Cass.
Pen. Sez. V, 27 aprile 2005, n. 40815].
3.2. Le condotte
Per quanto riguarda le condotte di bancarotta societaria l'articolo 223 L.F. prevede tre
diverse ipotesi:
a) quella di cui al comma 1 che estende ai soggetti ivi indicati le pene per le condotte
previste nell'articolo 216 L.F.;
b) quella di cui al comma 2, n. 1). che prevede l'applicabilità ai medesimi soggetti delle pene
di cui all'articolo 216 comma 1 L.F. se, hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto
della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627,
2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 c.c.;
c) quella di cui al comma 2, n. 2), che prevede l'applicabilità ai medesimi soggetti delle pene
di cui all'articolo 216 L.F. comma 1, se hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni
dolose il fallimento della società.
23
Differenza fondamentale fra le condotte sopra indicate sta nel fatto che quelle di cui alla
lettera a), per effetto dell'integrale richiamo all'articolo 216 L.F., non sono in alcun modo
collegate da nesso eziologico con il fallimento della società; mentre le condotte di cui alle
lettere b) e c) devono necessariamente essere correlate dal nesso di causalità con il dissesto
della società ovvero con l'insolvenza della stessa.
La più recente giurisprudenza che ha avuto modo di occuparsi dell'articolo 223 L.F. ha
stabilito che: "La fattispecie di fallimento determinato da operazioni dolose si distingue dalle
ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al combinato disposto degli
articolo 223, comma 1, e 216, comma 1 n. 1), l. fall., in quanto la nozione di "operazione"
postula una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente
dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione),
bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa
societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito
divisato" e che "In tema di fallimento determinato da operazioni dolose, che si sostanzia in
un'eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l'onere probatorio dell'accusa
si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura "dolosa"
dell'operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell'astratta prevedibilità di tale evento
quale effetto dell'azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell'integrazione
dell'elemento soggettivo, la rappresentazione e la volontà dell'evento fallimentare. (In
motivazione, la S.C. ha precisato che per la configurabilità del reato è necessaria la
rappresentazione dell'azione nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i doveri
24
propri del soggetto societario a fronte degli interessi della società)" [cfr. Cass. Pen. Sez. V, 18
febbraio 2010, n. 17690].
Sempre la Suprema Corte, con la sentenza del 17 febbraio 2010 n. 17978, ha chiaramente
delineato le differenze tra il primo comma dell'articolo 223 L.F. ed il secondo comma n. 2)
dello stesso articolo, evidenziando come: "Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e
documentale (articolo 216 e 223, comma 1, l. fall.) e quello di bancarotta impropria (articolo
223 comma 2 n. 2), concernono ambiti diversi: il primo postula il compimento di atti di
distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di
libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie,
atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che
abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto; il
secondo concerne, invece, condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di
attività né si risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da
operarsi tramite le scritture contabili, ma che devono porsi in nesso eziologico con il
fallimento".
Da ultimo si vuole segnalare Cass. Pen. Sez. V, 16 aprile 2009, n. 36595 di cui si riporta la
massima: "Integra la distrazione, rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui
all'articolo 216 l. fall. (bancarotta fraudolenta patrimoniale), la condotta di colui che, in
qualità di presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato di una
società finanziaria successivamente fallita, costituisca in pegno titoli di stato, poiché il pegno,
in caso di mancato pagamento della somma data in prestito nella quantità, nei tempi e nei
25
modi pattuiti, può essere escusso dal creditore, con perdita del patrimonio societario che
costituisce la garanzia per i creditori. (La circostanza - ha altresì osservato la Corte - che
l'acquisto di detti titoli sia avvenuto su mandato e nell'interesse dei clienti non esclude che
siano divenuti patrimonio della società fallita e, dunque, oggetto di distrazione proprio con
l'utilizzazione degli stessi come propri avvenuta con la costituzione in pegno senza
l'autorizzazione dei clienti, verificandosi così una interversione del possesso)".
Si è inteso segnalare tale pronuncia non tanto per la massima in sé, ma per la particolare
pervicacia dell'estesa motivazione, nella quale si può leggere che possono essere oggetto di
distrazione non solo i beni patrimoniali della società dichiarata fallita, ma anche tutti i beni
che rientrino nella disponibilità autonoma della società e che costituiscano il patrimonio dei
rapporti attivi facenti capo all'azienda.
Così ragionando la Suprema Corte arriva ad evidenziare come da un lato si è più volte
chiarita la non rilevanza delle modalità di acquisizione dei beni distratti, tant'è vero che,
anche beni facenti parte della società acquisiti in modo illecito possono essere oggetto di
distrazione30 e che la stessa giurisprudenza è giunta alle medesime conclusioni sia nel caso
di fiduciarie che gestiscano titoli dei fiducianti, che in caso di beni detenuti in base a
contratto di leasing31.
30
Cfr. Cass. Pen. Sez. V n. 31911/2001.
31
Cfr. Cass. Pen. Sez. V n. 1025/1987 e n. 1033/2001.
26
4. Considerazioni finali
Giunti alla conclusione di questo breve excursus sul reato di bancarotta, alcune brevi
considerazioni sugli aspetti trattati e su due provvedimenti giurisprudenziali secondo lo
scrivente di notevole interesse per chi, nelle aule di giustizia, deve affrontare procedimenti
penali afferenti ai reati fallimentari.
Il reato di bancarotta, per la peculiarità già sopra indicata, in base alla quale fattispecie di
per sé lecite assumono rilevanza penale anche a distanza di anni, con l'intervento della
sentenza dichiarativa di fallimento, non è sempre ben percepito dagli imprenditori, che
spesso antepongono le dinamiche e le necessità aziendali (specie nei casi di tentativo di
salvataggio dell'impresa in crisi) ai rischi processuali.
In quest'ottica sicuramente di pregio è stato l'intervento del legislatore con l'inserimento
dell'articolo 217 bis nella L.F. che ha di certo fornito agli imprenditori e all'impresa un
nuovo ed ulteriore elemento per accedere a procedure di definizione alternativa della crisi
aziendale che, prima della novella, trovavano indubbiamente un ostacolo nel timore che in
caso di mancato salvataggio dell'impresa le azioni, lecitamente poste in essere, potessero
portare ad ingiustificate conseguenze penali.
Ciò nonostante è ulteriormente auspicabile un intervento del legislatore a proposito della
responsabilità degli organi amministrativi delle grandi imprese, a parere dello scrivente
ancora troppo penalizzati, nonostante le modifiche dell'articolo 2392 c.c. e l'adesione della
giurisprudenza di legittimità ai principi così modificati, essendo ancora aleatoria
l'individuazione di un concreto elemento psicologico (dolo eventuale) in base al quale
27
ritenere il concorso di un amministratore nelle condotte poste in essere da altri soggetti che
parimenti amministrano le imprese.
Da ultimo si vogliono evidenziare due pronunce giurisprudenziali che pur incidendo su
profili di carattere meramente procedurale, hanno però profondamente innovato la
dinamica difensiva nei procedimenti penali per reati fallimentari.
Trattasi in particolare di due sentenze a Sezioni Unite, Cass. Pen. 26 febbraio 2009 n. 24468:
"L'abrogazione dell'istituto dell'amministrazione controllata e la soppressione di ogni
riferimento ad esso contenuto nella legge fallimentare (articolo 147 d.lgs. n. 5 del 2006) hanno
determinato l'abolizione del reato di bancarotta societaria connessa alla suddetta procedura
concorsuale (articolo 236, comma 2, r.d. n. 267 del 1942). Conseguentemente, qualora sia
intervenuta condanna definitiva per tale reato, il giudice dell'esecuzione è tenuto a revocare la
relativa sentenza", con la quale la Corte ha definitivamente sgombrato il campo sui dubbi
interpretativi dei commentatori, a ridosso della modifica della L.F. sul punto se fosse ancora
possobile ritenere penalmente rilevanti condotte relative ad un istituto eliminato dalla
norma e sulla conseguente applicabilità dell'art. 2 del c.p.
Altra pronunica degna di nota è sicuramente Cass. Pen. 27 gennaio 2011 n. 21039, sempre
delle Sezioni Unite: "In caso di pluralità di condotte tipiche di bancarotta poste in essere
nell'ambito di uno stesso fallimento, le medesime mantengono autonomia, dando luogo a un
concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall'articolo
219, comma 2 n. 1, l. fall.; disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale,
una circostanza aggravante , ma detta una peculiare disciplina della continuazione
28
derogatoria di quella ordinaria di cui all'articolo 81 c.p.", che rappresenta un significativo
mutamento di rotta in direzione del favor rei e contro un'applicazione giurisprudenziale,
ingiustificatamente afflittiva nella commisurazione della pena nel reato di bancarotta.
Avv. Fabio Freddi
Socio Amministratore "Andreano Studio Legale S.t.p."
Si ringrazia per la preziosa opera di ricerca e per la collaborazione nella stesura della
presente relazione l'avvocato Martina Coppari.
29
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il reato di bancarotta fraudolenta nelle piu` recenti pronunce