Giurisprudenza
Diritto penale commerciale
Reati fallimentari
Il dissesto come evento
della bancarotta fraudolenta
per distrazione: rara avis
o evoluzione della (fatti)specie?
Cassazione penale, Sez. V, 6 dicembre 2012, n. 47502 - Pres. Zecca - Rel. Demarchi Albengo
Reati fallimentari - Bancarotta distrattiva prefallimentare - Dissesto - Evento del reato - Nesso causale - Dolo
(l.fall. artt. 216, 223)
In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, la natura di elemento costitutivo del reato del
fallimento comporta, da un lato, che non qualsiasi atto distrattivo può di per sé considerarsi reato, dall’altro,
che la punibilità non può essere condizionata ad un evento la cui realizzazione prescinda da una compartecipazione soggettiva dell’agente, o, ancor peggio, da qualsiasi collegamento eziologico tra la condotta ed il verificarsi del dissesto, in contrasto con i principi di cui agli artt. 40, 41, 42, 43 c.p.; ne consegue che la situazione di
dissesto, che dà luogo al fallimento, deve essere rappresentata e voluta (o quanto meno accettata come rischio concreto della propria azione) dall’imprenditore e deve porsi in rapporto di causalità con la condotta di
distrazione patrimoniale (massima non ufficiale).
La Corte (omissis).
Occorre a questo punto valutare (omissis) il secondo profilo di diritto censurato e cioè valutare quale sia il ruolo
svolto dalla dichiarazione di fallimento nell’ambito del
reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione: elemento costitutivo oppure condizione oggettiva
di punibilità? (omissis) ritiene questa Corte di non discostarsi dall’indirizzo assunto dalle sezioni unite con la sentenza n. 2 del 25 gennaio 1958 e poi consolidatosi nel
tempo (omissis), che considera il fallimento come elemento costitutivo del reato di bancarotta.
7. Oltre ai motivi indicati dalla predetta sentenza delle
sezioni unite e da quelle che ad essa si sono successivamente uniformate (ed alle quali per brevità si rimanda),
assume un peso notevole nell’attività interpretativa la
considerazione, che trova spazio anche nel ricorso di
C.D., sulla dubbia compatibilità costituzionale - nel caso
in esame - di una condizione di punibilità di natura oggettiva.
8. Il Giudice delle leggi ha percepito più volte questa
potenziale distonia con riferimento al principio di personalità della pena, consacrato nell’art. 27 Cost., comma
1, il quale richiede che tutti gli elementi che concorrono
a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all’agente e siano quindi investiti
del dolo o della colpa e siano allo stesso tempo rimpro-
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verabili all’agente (cfr. Corte Cost. 13 dicembre 1988,
n. 1085, Ferracuti).
9. Mentre in alcuni casi la condizione di punibilità è
esterna alla fattispecie di reato e rientra comunque nell’area di controllo e di volontà del soggetto (...), nel caso
in esame il fallimento (e cioè l’accertamento giudiziale
dello stato di insolvenza dell’imprenditore) compartecipa
intrinsecamente della fattispecie incriminatrice, conferendo disvalore ad una condotta - quella di disposizione
dei beni per finalità estranee a quelle proprie dell’impresa - che sarebbe altrimenti penalmente irrilevante.
Ove, infatti, manchi il pregiudizio per i creditori, per essere l’impresa sana ed in grado quindi di sopportare il
suo parziale impoverimento, il tutto si riduce - in mancanza di integrazione di altre specifiche figure di reato ad una questione che può avere rilievo eventualmente
in campo civile ed amministrativo.
10. Se è corretta questa ricostruzione della fattispecie di
bancarotta per distrazione, allora non può da un lato ritenersi che qualsiasi atto distrattivo sia di per sé reato,
dall’altro che la punibilità sia condizionata ad un evento
che può sfuggire totalmente al controllo dell’agente, e
dunque ritorcersi a suo danno senza una compartecipazione di natura soggettiva e, ancor peggio, senza che sia
necessaria una qualche forma di collegamento eziologico
tra la condotta e il verificarsi del dissesto.
(omissis) 12. Fatta questa premessa sul ruolo del fallimen-
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to nel reato di bancarotta e ribadito che lo stesso entra a
pieno titolo nella fattispecie, quale elemento costitutivo,
occorre ora approfondire le relazioni che devono sussistere tra la condotta dell’agente e l’evento di dissesto,
proprio alla luce di quei principi generali in tema di elemento soggettivo ed attribuibilità causale già invocati in
precedenza. Tale indagine si rivela necessaria perché fino ad oggi questa Corte, pur affermando che il fallimento è elemento costitutivo del reato di bancarotta, ha però sostanzialmente ritenuto che non sia configurabile
quale evento del reato o che configuri un evento sui generis, che non necessita di copertura né da parte dell’elemento soggettivo, né con riferimento al nesso causale
con la condotta dell’imprenditore.
(omissis) 15. Orbene, ritiene questo collegio che la questione richieda e meriti un nuovo esame ed un approfondimento; occorre rilevare che nella maggior parte dei casi sottoposti al Giudice di legittimità si trattava di episodi distrattivi compiuti nel periodo immediatamente antecedente alla dichiarazione di fallimento, che avevano
impoverito l’impresa al punto da provocarne od aggravarne in modo irreversibile la crisi.
16. Il caso odierno, invece, presenta peculiarità che impongono una rivisitazione critica dell’impianto causale e
soggettivo dei reati fallimentari; ed invero l’amministrazione della famiglia C. risulta priva di contiguità con il
fallimento, essendo stata seguita da altre gestioni totalmente estranee. Ma ciò che più conta è il fatto che dopo
la gestione C. e prima dell’ultima gestione ‘‘privatistica’’
della società vi è stata una fase di amministrazione giudiziale ex art. 2409 c.c., che si è conclusa senza alcun rilievo dell’amministratore su eventuali situazioni di insolvenza ed addirittura con una vendita della società a terzi
dietro corrispettivo. È evidente, dunque, che se si accede
alla tesi per cui è necessario che il fallimento sia in collegamento causale con la condotta distrattiva, allora assume un notevole rilievo l’accertamento in ordine alla
eventuale interruzione del nesso eziologico (esame del
tutto pretermesso dalla Corte territoriale).
17. Orbene, la tesi secondo cui la dichiarazione di fallimento si inserisce nella fattispecie di reato quale elemento essenziale comporta quale inevitabile conseguenza l’applicabilità dei principi già più volte richiamati, di
cui agli artt. 40, 41, 42, 43 c.p.; trattasi di principi generali del nostro diritto penale che non possono essere
obliterati sulla semplice ed invero non giustificata affermazione che il fallimento non è evento del reato di bancarotta fraudolenta. Quando un elemento è essenziale
per l’esistenza stessa del reato, non c’è alcun bisogno che
la norma ci ricordi che deve essere coperto dal dolo e, se
si tratta di evento, che sia anche in collegamento causale con la condotta.
(omissis) 23. Si esamini ora il delicato profilo del nesso
causale; innanzitutto si deve rilevare che per il nostro ordinamento non esiste un elemento costitutivo del reato,
successivo alla condotta, che non richieda un legame
eziologico con questa. Ancora una volta, solo la condizione oggettiva di punibilità può ritenersi causalmente
svincolata dalla condotta del reo, ma, come si è detto,
questa Corte da oltre cinquant’anni esclude che la di-
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chiarazione di fallimento costituisca una condizione oggettiva di punibilità del reato di bancarotta. Il codice penale, peraltro, contempla sı̀ la possibilità che un evento
sia posto a carico dell’agente pur in mancanza di dolo o
colpa (art. 42), ma non prevede invece eccezioni al rapporto di causalità.
24. L’art. 40 c.p. afferma che nessuno può essere punito
per un fatto preveduto dalla legge come reato se l’evento
dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.
Non si può non notare una perfetta adattabilità all’ipotesi della bancarotta, cosı̀ come ricostruita dalla giurisprudenza di questa Corte; il fallimento costituisce indubbiamente un evento di danno da cui, secondo la giurisprudenza consolidata degli ultimi 50 anni, dipende l’esistenza del reato.
(omissis) 29. In ogni caso, la tesi ‘‘secca’’ della non necessarietà del rapporto di causalità tra la condotta dell’imprenditore e il fallimento (che si accompagna alla ritenuta non necessarietà del dolo a copertura dell’insolvenza), porterebbe a conseguenze assurde; da un lato
non sarebbe punibile l’imprenditore che drena risorse
enormi da una società dotata di un patrimonio attivo
considerevole, tale da permetterle di sfuggire al fallimento, dall’altra sarebbe invece punito con la pesante sanzione di cui alla l.fall. art. 216 un imprenditore o un amministratore della società che moltissimi anni prima del
fallimento abbia prelevato indebitamente una modestissima somma di denaro (anche se l’impresa ha poi operato in attivo e pagato regolarmente i propri creditori e sia
poi caduta in dissesto esclusivamente per le condotte
spoliative di successivi amministratori). (...) Tornando
ad un esempio pratico, sarebbe esente da responsabilità
quell’imprenditore che, pur avendo causato il dissesto
della sua impresa con gravi atti di spoliazione, riuscisse
ad ottenere il consenso dei creditori ad una procedura di
soluzione negoziale della crisi (salvo il concordato, per
l’imprenditore collettivo), mentre sarebbe penalmente
sanzionato l’imprenditore che compie un atto di distrazione di modesta entità e molto risalente nel tempo, se
non incontra il favore dei creditori.
32. Dunque, secondo la interpretazione criticata - soprattutto oggi alla luce della riforma iniziata nel 2005 la responsabilità penale per il reato di bancarotta non dipenderebbe da una condotta dell’imprenditore volontariamente realizzata con la consapevolezza di poter cagionare il dissesto dell’impresa, bensı̀ semplicemente dalla
commissione di un fatto qualificabile come distrazione,
di qualsiasi entità ed in qualsiasi tempo realizzato, purché seguito dal fallimento. E poiché la scelta tra questa
procedura ed una soluzione negoziale alternativa dipende
oggi in gran parte dall’atteggiamento dei creditori, sarebbero di fatto questi ultimi a incidere pesantemente sulla
responsabilità penale dell’imprenditore (omissis). Anche
sotto questo profilo, dunque, sarebbe non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa, con riferimento alla possibile violazione dell’art. 27 Cost.: l’imprenditore potrebbe essere
assoggettato ad una grave pena detentiva per un evento
non preveduto, non voluto, non causalmente connesso
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ad una sua azione e dipendente, in ultima analisi, da
una determinazione di volontà di terzi (omissis).
33. Si pone, a questo punto, una questione di compatibilità della tesi che vede il fallimento quale evento del
reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale con la diversa fattispecie della bancarotta documentale, ma poiché si tratta di due reati distinti, nulla impedisce che il
fallimento svolga nei due casi una funzione diversa.
34. Quanto ai rapporti con le fattispecie di cui alla l.fall.
art. 223, comma 2, una parte della dottrina ha rilevato
come la stessa formulazione normativa sia indice del fatto che ove il legislatore ha voluto porre il fallimento in
rapporto di causalità con la condotta dell’agente, lo ha
detto espressamente. In realtà, l’art. 223, comma 2 che
peraltro si applica solo alle imprese collettive e non a
quelle individuali, è norma di chiusura che prevede la
punibilità anche di altre condotte che siano state determinanti nella causazione del fallimento, pur non rientrando nell’elenco di cui all’art. 216. Anche qui la differente formula letterale utilizzata nei commi 1 e 2 sembra
suggerire diverse opzioni interpretative, ma non si deve
perdere di vista la ratio legis e la necessità di interpretare
le norme in maniera sistematica, di modo da conferire
alla disciplina penale del fallimento una sua coerenza logica complessiva: (omissis) tornando all’art. 223, si deve
rilevare che la nuova formulazione del n. 1, comma 2
contempla ora in modo inequivocabile la necessità del
nesso causale tra la condotta dell’amministratore e l’evento di dissesto; tale modifica non deve essere letta come volontà di delimitare l’area di responsabilità per il
caso di commissione di reati societari, cui consegua il
fallimento, quanto piuttosto di chiarire che i fatti di
bancarotta di tipo patrimoniale in tanto rilevano in
quanto abbiano una qualche rilevanza nella produzione
del dissesto. Né sarebbe possibile differenziare i reati di
cui al n. 1 del comma 2 con le ipotesi di cui al comma 1
(che richiamano l’art. 216), posto che alcune fattispecie
rientrano in entrambe le previsioni normative. Si pensi
alla distribuzione ai soci di utili non conseguiti, che configura senza dubbio atto di natura distrattiva, in quanto
comporta la fuoriuscita dal patrimonio sociale di denaro
senza valida giustificazione (essendo la ragione dell’attribuzione solo simulata), con potenziale corrispettivo danno per i creditori. Tale atto sarebbe punibile ai sensi del
comma 1 per il solo fatto che alla condotta segua il fallimento, senza alcuna indagine soggettiva o causale (secondo la tesi giurisprudenziale antecedente), oppure ai
sensi del n. 1 del comma 2, ma solo se il fallimento è
stato determinato dalla distribuzione dell’utile fittizio e
se l’agente era consapevole delle conseguenze pregiudizievoli dell’atto. Orbene, nulla vieta al legislatore di individuare diverse tipologie di reato, con riferimento al
contributo causale e soggettivo di una medesima condotta, ma sembra del tutto irragionevole che i due reati,
che per i motivi suddetti non possono non rivestire un
diverso disvalore, siano sanzionati in modo identico il
reato di cui all’art. 223, comma 2, n. 1, sarebbe caratterizzato dall’evento di danno, mentre secondo la prospettazione ‘‘classica’’ il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva sarebbe reato di condotta; ebbene, se si pensa
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che la verificazione di un evento di danno costituisce
normalmente un’ipotesi aggravata (si veda ad esempio il
nuovissimo l.fall., art. 236 bis) - e dovrebbe quindi esserlo ancora di più quando l’evento entra nella struttura
soggettiva e causale del reato - si rende evidente come
alla differenza di struttura dei due reati dovrebbe necessariamente conseguire un differente trattamento sanzionatorio.
36. Se ne deve inferire, dunque, che le due norme incriminatrici (l.fall., art. 223, commi 1 e 2) hanno aree di
perfetta sovrapponibilità e dunque si muovono in uno
stesso ambito di operatività, richiedendo entrambe sia il
collegamento eziologico con la condotta, sia la copertura
soggettiva in punto dissesto. La funzione dell’art. 223,
comma 2 è quella di estendere (ma solo in caso di impresa societaria) l’area penale dell’illecito a tutte le operazioni dolose che abbiano prodotto il fallimento (nel n.
2 la norma esprime un concetto generale, nel n. l vi è
elencazione tassativa di alcuni casi specifici di operazioni
‘‘dolose’’), nonché di rendere evidente, quanto al n. l,
che opera il principio di assorbimento di cui all’art. 84
c.p. tra reato fallimentare e reato societario.
37. Dunque, in conclusione:
– le norme sulla bancarotta fraudolenta patrimoniale
per distrazione sembrano, dal punto di vista letterale,
considerare il fallimento quale condizione oggettiva di
punibilità (tale interpretazione consentirebbe di unificare la struttura dei vari reati di bancarotta);
– la giurisprudenza consolidata degli ultimi cinquantanni di questa Corte ha sempre escluso che il fallimento
sia condizione di punibilità di un illecito di condotta;
– la condizione oggettiva di punibilità nei reati fallimentari suscita perplessità di natura costituzionale;
– l’interprete, posto di fronte a più significati alternativi
delle norme, deve privilegiare, ove possibile, quello conforme a costituzione;
– considerare il fallimento quale elemento costitutivo
del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione è consentito dalle norme della legge fallimentare, tanto da essere interpretazione affermata dalle sezioni unite della Corte di cassazione, poi consolidatasi nel
corso di alcuni decenni;
– considerare il fallimento quale elemento essenziale del
reato in oggetto ne comporta la soggezione ai principi
generali dell’ordinamento in materia di responsabilità
penale personale, di cui agli artt. 27 Cost. e art. 40 c.p.
e ss.;
– ne consegue che la situazione di dissesto che da luogo
al fallimento deve essere rappresentata e voluta (o quanto meno accettata come rischio concreto della propria
azione) dall’imprenditore e deve porsi in rapporto di
causalità con la condotta di distrazione patrimoniale.
38. Fatte queste premesse in diritto, occorre ora tornare
alla decisione impugnata; la Corte d’appello di Bologna
ritiene, conformemente alla giurisprudenza pregressa di
questa Corte, che i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale siano perseguibili in qualunque momento siano
stati commessi, a prescindere da qualsiasi collegamento
eziologico con il fallimento, e quindi che la cosiddetta
‘‘zona di rischio’’ possa estendersi a ritroso nel tempo
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senza alcun limite. Per contemperare tale criterio ed al
fine di evitare che si possa risalire all’infinito alla ricerca
di episodi astrattamente riconducibili alla fattispecie di
bancarotta, la Corte territoriale individua il punto di
equilibrio nella messa in pericolo del bene giuridico
(cioè il soddisfacimento dei creditori, la cui garanzia è
rappresentata dal patrimonio dell’impresa commerciale)
tutelato dalla norma penale. Conseguentemente ha ritenuto punibili le condotte degli amministratori che, indipendentemente dall’epoca in cui si collocavano rispetto
alla successiva dichiarazione di fallimento: - avessero
comportato un obiettivo ed ingiustificato depauperamento del patrimonio dell’impresa commerciale; - avessero avuto luogo in un contesto di difficoltà economica
dell’impresa tale da incidere negativamente sulla consistenza patrimoniale e porre concretamente in pericolo le
ragioni dei creditori (siano cioè intervenuti in un momento in cui poteva profilarsi, come eventualità non
trascurabile, un dissesto dell’impresa commerciale).
39. L’inserimento di cospicui temperamenti alla rigida
regola della ‘‘zona di rischio illimitata’’ indica che la
stessa Corte d’appello, pur aderendo formalmente all’orientamento di legittimità che non richiede il nesso causale tra la condotta distrattiva ed il successivo dissesto
della società, ne ha comunque ritenuto la illogicità; sono
stati pertanto inseriti dei correttivi che sono estranei sia
alla norma penale, sia alla rigida interpretazione di legittimità. Tale attività integrativa della norma, cosı̀ come
interpretata, pur essendo ragionevole non è tuttavia
consentita; non solo non sono infondate le perplessità
della difesa in relazione alla indeterminatezza della fattispecie penale, ma soprattutto si tratta di un modo di ragionare non coerente. Si assumono delle premesse e poi
si giunge a conclusioni parzialmente incompatibili con
le stesse, quando sarebbe possibile giungere a conclusioni
analoghe attraverso una interpretazione della norma costituzionalmente orientata e rispettosa dei principi generali dell’ordinamento sulla personalità della responsabilità penale.
40. Al di là di considerazioni di ragionevolezza o di natura pratica, è invero alla struttura generale della responsabilità penale che deve ancorarsi l’interpretazione della
norma, preferendosi un canone che, tra le varie opzioni
ermeneutiche, privilegi quella costituzionalmente conforme (più volte il Giudice delle leggi ha rivolto, anche
a questa Corte, un invito in tal senso).
41. Invece di introdurre dei correttivi che, pur se logici
e ragionevoli, sono arbitrari in quanto opinabili e contraddittori in quanto non coerenti con le premesse, la
Corte di merito avrebbe dovuto considerare necessaria
l’indagine sul nesso causale tra la condotta distrattiva ed
il successivo fallimento; e sebbene si riscontri qualche
vago cenno al contributo causale dei C. nella produzione del dissesto sfociato nel fallimento (molto più analitica è, invero, la disamina del nesso eziologico nella sentenza di primo grado), ciò che rende sul punto la motivazione insufficiente è l’aver omesso qualsiasi considerazione sul ruolo svolto dalla fase intermedia di amministrazione giudiziaria.
42. Trattasi di questione rilevante, posto che la condotta
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dei ricorrenti appartenenti alla famiglia C. si esplicò in
un momento di molto anteriore al fallimento e soprattutto fu seguita da ulteriori periodi gestionali, l’ultimo
dei quali caratterizzato da atti chiaramente depauperativi. La fase intermedia di amministrazione, sotto il controllo del Tribunale, non rilevò una situazione di insolvenza (o almeno ciò non risulta dalle sentenze di merito) e si concluse con la vendita della società per un corrispettivo non irrilevante (L. 550.000.000). Si tratta di
elementi che, in assenza di motivazione specifica sul
punto, suscitano il dubbio sulla avvenuta interruzione
del nesso causale, dubbi che i giudici del merito non fugano, omettendo di prendere in considerazione questo
dato importantissimo.
43. Il dubbio, allora, che dovrà sciogliere il giudice di
merito nell’ambito dei suoi poteri (sul punto sovrani), è
se tale interludio abbia interrotto ogni collegamento
causale tra la condotta dei C., pur caratterizzata da ingenti e ripetuti spostamenti di denaro, ed il successivo
dissesto sfociato nel fallimento. Nel far ciò il giudice di
rinvio terrà conto - oltre, evidentemente, della norma di
cui all’art. 41 c.p. - di tutti i necessari elementi di fatto,
non conosciuti da questa Corte, tra cui la reale situazione patrimoniale della società U.S. R. CALCIO s.r.l. al
termine del periodo di amministrazione giudiziale.
44. Con riferimento, dunque, alla posizione di C.D.,
C.L. e C.R. la sentenza impugnata deve essere annullata,
con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna che si atterrà al seguente principio di diritto: ‘‘nel
reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione lo stato di insolvenza che da luogo al fallimento
costituisce elemento essenziale del reato, in qualità di
evento dello stesso, e pertanto deve porsi in rapporto
causale con la condotta dell’agente e deve essere altresı̀
sorretto dall’elemento soggettivo di dolo’’.
(omissis).
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IL COMMENTO
di Luca Troyer e Alex Ingrassia
La decisione in commento è a dir poco rivoluzionaria nel suo insegnamento, statuendo che un’esegesi costituzionalmente conforme del delitto di bancarotta distrattiva prefallimentare imponga la ricostruzione dell’illecito in termini di reato di evento di danno: la condotta dell’agente deve cagionare il dissesto, ricompreso
nell’oggetto del dolo. La sentenza si fa coraggiosamente carico del tentativo di risolvere le criticità dell’esegesi della norma propugnata dal Giudice di legittimità (fatta di massime tralatizie), fornendo, però, una soluzione non pienamente convincente, né nel percorso argomentativo né nelle conclusioni *.
1. Prologo: rara avis o evoluzione
della (fatti)specie?
La sentenza in commento (1) costituisce un unicum nel panorama giurisprudenziale e stravolge
completamente un insegnamento consolidato della
Suprema Corte, risalente addirittura ad una decisione del 1958 (2), ampiamente criticato in dottrina (3), seppur in termini e con soluzioni difformi
da quelle proposte nell’arresto qui annotato.
Segnatamente, la bancarotta distrattiva prefallimentare, in virtù di un’esegesi costituzionalmente
conforme, è nella decisione in commento ricostruita dal Giudice di legittimità come fattispecie d’evento di danno, per cui la distrazione (condotta)
deve essere eziologicamente connessa al dissesto
della società (evento); la Corte arricchisce conseguentemente l’oggetto del dolo dell’agente che deve abbracciare, non solo la condotta depauperativa,
ma anche la sua connessione eziologica con il dissesto dell’imprenditore o dell’ente.
Il ripensamento della Corte sembrerebbe fortemente condizionato dalle peculiarità del caso sub
iudice, che ha visto imputati gli amministratori di
una società sportiva per distrazioni di denaro, compiute attraverso finanziamenti a favore di altre società del gruppo, intervenuti molti anni prima del
fallimento; per di più, tra tali attività e la dichiarazione di fallimento, la società fu sottoposta ad amministrazione giudiziaria ex art. 2409 c.c. e, in seguito, venduta ad un corrispettivo non irrilevante.
Pare di trovarsi di fronte ad una mutazione genetica, apparentemente richiesta dall’evoluzione dei
principi di colpevolezza e di ragionevolezza nella
dosimetria sanzionatoria, di cui, però, tutt’altro
che scontata è la capacità di speciazione (4): solo
qualche giorno dopo il deposito della sentenza in
commento, altra decisione della stessa sezione della Suprema Corte (5) è ritornata all’insegnamento
classico.
Ciò non di meno, le peculiarità della sentenza
che qui si annota meritano un’attenta analisi per-
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ché, ad ogni buon conto, potrebbero costituire, comunque, base di un’ulteriore e diversa mutazione genetica, maggiormente capace di adattamento.
2. La popolazione in cui si verifica
la mutazione genetica: conseguenze nuove
di una premessa classica
Come la stessa decisione rileva, la sentenza in
commento si pone in aperto contrasto con l’insegnamento consolidato della Suprema Corte, «formato per gemmazione da vecchie pronunce e non
più approfondito in tempi recenti», che merita di
essere sottoposto «a revisione critica» (6).
In particolare, secondo l’insegnamento tradizionale dei Giudici di legittimità, la dichiarazione di
fallimento rappresenterebbe elemento d’esistenza
Note:
(*) Il presente scritto è l’esito di una riflessione comune tra gli
autori; tuttavia spettano a Luca Troyer i paragrafi 1, 2, e 5; spettano ad Alex Ingrassia i paragrafi 3, 4 e 6.
(1) Si tratta di Cass. pen., sez. V, 6 dicembre 2012 (ud. 24 settembre 2012), n. 47502 già oggetto di commento di F. Viganò,
Una sentenza controcorrente della Cassazione in materia di bancarotta fraudolenta: necessaria la prova del nesso causale e del
dolo tra condotta e dichiarazione di fallimento, in www.penalecontemporaneo.it, 14 gennaio 2013.
(2) Si tratta di Cass. pen., sez. un., 25 gennaio 1958, n. 2. La
giurisprudenza successiva è assolutamente costante: si vedano
tutti gli arresti richiamati al par. 6 della decisione in commento.
(3) Per una sintesi delle critiche espresse della dottrina in relazione alla tesi tradizionale della giurisprudenza si veda, tra glia altri, G.L. Perdonò, I reati fallimentari, in A. Manna (a cura di), Corso di diritto penale d’impresa, 347 ss.
(4) La speciazione è il fenomeno per cui una popolazione particolarmente adatta all’ambiente in cui vive riesce a riprodursi fino
a divenire una specie. Tale fenomeno è alla base dell’evoluzionismo Darwiniano e Neodarwiniano. Si vedano per un’ampia spiegazione E. Boncinelli, Perché non possiamo non dirci darwinisti,
Milano, 2009, 62 ss., e in termini meno divulgativi, M. Ridley, I
problemi dell’evoluzione, Bari, 1989, 135 ss.
(5) Si tratta di Cass. pen., sez. V, 8 gennaio 2013 (ud. 24 settembre 2012), n. 733 - Pres. Zecca - Rel. Palla, in www.penalecontemporaneo.it, 28 gennaio 2013, con nota di F. Viganò, Bancarotta fraudolenta: confermato l’insegnamento tradizionale sull’irrilevanza del nesso causale tra condotta e fallimento.
(6) Le espressioni sono della decisione in commento, par. 14.
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del reato (7) o, con una terminologia penalistica
più moderna, elemento costitutivo della fattispecie.
Al contempo, però, pur essendo la dichiarazione
di fallimento elemento costitutivo di fattispecie,
«non costituisce l’evento del reato di bancarotta
sicché sarebbe arbitrario pretendere un nesso eziologico tra la condotta, realizzatasi con l’attuazione di
un atto dispositivo che incide sulla consistenza patrimoniale di un’impresa commerciale, e il fallimento: di conseguenza, né la previsione dell’insolvenza
come effetto necessario, possibile o probabile, dell’atto dispositivo, né la percezione della sua stessa
preesistenza nel momento del compimento dell’atto
possono essere condizioni essenziali ai fini dell’antigiuridicità penale della condotta» (8). In definitiva
«gli atti di disposizione dei beni di per sé non delittuosi, una volta intervenuto il fallimento, assumono
il carattere di illeciti penali in qualunque tempo
siano stati commessi» (9).
Tale esegesi presenta una doppia contraddizione:
(i) la prima è di ordine giuridico, giacché imputa
un elemento costitutivo di un reato, prescindendo
dalla verifica della necessaria rimproverabilità dell’autore, ponendosi in aperto contrasto con l’art. 27
della Costituzione, come interpretato dalla consolidata giurisprudenza del Giudice delle Leggi (10);
(ii) vi è poi una «contraddizione etica» (11)
«perché mentre prima del fallimento tutto è possibile, dato che il ritorno in bonis prima di un crack
santifica ogni distrazione, ogni dissipazione, ogni
occultamento, ogni pagamento preferenziale, ogni
precostituzione fraudolenta di titoli di prelazione,
poi solo il tracollo rende definitivamente, ma in
realtà soltanto in quello specifico momento, punibili
quei comportamenti pregressi» (12).
La Corte prende l’abbrivio proprio dall’insegnamento tradizionale del Giudice di legittimità: segnatamente, secondo la Cassazione, la dichiarazione di fallimento (rectius l’evento che ivi si accerta,
cioè l’insolvenza) «confer[isce] disvalore ad una
condotta - quella di disposizione dei beni per finalità estranee a quelle proprie dell’impresa - che sarebbe altrimenti penalmente irrilevante» (13).
Posta tale premessa classica, però, la Corte perviene a conseguenze completamente nuove: infatti
- secondo il decidente - l’esito di una lettura sistematica della norma impone un collegamento eziologico tra la distrazione e l’insolvenza e, parallelamente, un ampliamento dell’oggetto del dolo che
deve ricomprendere, non solo la distrazione, ma anche il suo legame causale con il dissesto e il dissesto
stesso.
Quanto al nesso causale, rileva il Giudice di legit-
340
timità, «per il nostro ordinamento non esiste un elemento costitutivo del reato, successivo alla condotta,
che non richieda un legame eziologico con questa.
Ancora una volta, solo la condizione oggettiva di
punibilità può ritenersi causalmente svincolata dalla
condotta del reo, ma, come si è detto, questa Corte
da oltre cinquant’anni esclude che la dichiarazione
di fallimento costituisca una condizione oggettiva di
punibilità del reato di bancarotta» (14).
In punto di elemento soggettivo, il sillogismo
della Corte può cosı̀ compendiarsi: vi è dolo quando l’agente si è rappresentato e ha voluto l’evento
del reato come conseguenza della sua azione ex art.
43 c.p. (premessa maggiore); la bancarotta distrattiva prefallimentare è reato d’evento in cui il dissesto
è eziologicamente collegato alla condotta depauperativa dell’agente (premessa minore); l’agente deve
rappresentarsi e volere (almeno a titolo di dolo
eventuale) che la distrazione possa cagionare il dissesto della società (conclusione).
3. Le variazioni favorevoli della mutazione
genetica: tre argomenti per cui l’esegesi
prospettata dalla Corte sarebbe l’unica
costituzionalmente conforme
La ricostruzione in termini di reato di evento di
danno della bancarotta distrattiva prefallimentare,
secondo la Corte, costituirebbe l’unica interpretazione costituzionalmente conforme del delitto: infatti, l’esegesi tradizionale del Giudice di legittimità
esporrebbe la norma ad almeno tre profili di dubbia
legittimità costituzionale.
Note:
(7) La tesi risale a M. Punzo, Il delitto di bancarotta, Torino,
1953, 92. Più di recente, aderisce all’insegnamento giurisprudenziale, G. Cocco, Nota introduttiva agli artt. 216 -237, in F. Palazzo - C. E. Paliero (a cura di), Commentario breve alle leggi penali complementari, Padova, 2007, 1141 ss.
(8) Sintesi della sentenza, par. 13.
(9) In questi termini, Cass. pen., sez. V, 12 marzo 2010, n.
13588.
(10) Si vedano in particolare le note decisioni Corte Cost., 23
marzo 1988, n. 364, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, 686 ss., con
nota di D. Pulitanò, Una sentenza storica che restaura il principio
di colpevolezza; Corte cost. 13 dicembre 1988, n. 1085 in Riv.
it. dir. proc. pen., 1990, 289 ss. con nota di P. Veneziani, Furto
d’uso e principio di colpevolezza; Corte Cost. 24 luglio 2007, n.
322, ivi, 2008, 1340 ss. con nota di M. Vizzardi, Ignoranza dell’età della persona offesa e principio di colpevolezza.
(11) In questi termini, M. Donini, Per uno statuto costituzionale
dei reati fallimentari. Le vie d’uscita da una condizione di perenne ‘‘specialità’’, in Jus, 2011, 4.
(12) Ibidem.
(13) Cosı̀ la sentenza che si annota, par. 9.
(14) In questi termini la sentenza in commento, par. 23.
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Diritto penale commerciale
Un primo profilo, (definito, in seguito, per brevità, argomento della responsabilità per fatto altrui) lo si
è già visto, attiene alla necessaria personalità della
responsabilità penale. Rileva la Corte che «non
può da un lato ritenersi che qualsiasi atto distrattivo sia di per sé reato, dall’altro che la punibilità sia
condizionata ad un evento che può sfuggire totalmente al controllo dell’agente, e dunque ritorcersi
a suo danno senza una compartecipazione di natura
soggettiva e, ancor peggio, senza che sia necessaria
una qualche forma di collegamento eziologico tra la
condotta e il verificarsi del dissesto» (15): diversamente, si imputerebbe all’agente un fatto non proprio (in assenza di nesso causale) e non rimproverabile (senza la verifica di dolo o colpa), in aperto
contrasto con il principio di personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 Cost.
Il secondo profilo (in seguito argomento del creditore selettore degli autori) prospettato dalla Corte, in
parte gemmazione del primo, è il seguente: «secondo l’interpretazione criticata - soprattutto oggi alla
luce della riforma iniziata nel 2005 - la responsabilità penale per il reato di bancarotta dipenderebbe
(...) semplicemente dalla commissione di un fatto
qualificabile come distrazione, di qualsiasi entità ed
in qualsiasi tempo realizzato, purché seguito dal fallimento. E poiché la scelta tra questa procedura ed
una soluzione negoziale alternativa dipende oggi in
gran parte dall’atteggiamento dei creditori, sarebbero di fatto questi ultimi a incidere pesantemente
sulla responsabilità penale dell’imprenditore» (16).
Di conseguenza «l’imprenditore potrebbe essere assoggettato ad una grave pena detentiva per un
evento non preveduto, non voluto, non causalmente connesso ad una sua azione e dipendente, in ultima analisi, da una determinazione di volontà di terzi» (17). In definitiva, sarebbe incostituzionale secondo la Corte una norma che facesse dipendere la
sanzione dalla mera determinazione dei creditori.
Infine, (argomento dello sbilanciamento sanzionatorio) l’incostituzionalità dell’esegesi tradizionale si
apprezzerebbe anche nei rapporti tra la bancarotta
da reato societario (art. 223, comma 2, n. 1, l. fall.)
e la bancarotta impropria patrimoniale per distrazione (art. 223, comma 1, che richiama l’art. 216 l.
fall.), giacché le due norme puniscono con identica
pena fatti che presentano disvalori assai diversi ovvero:
(a) un reato, la bancarotta impropria patrimoniale prefallimentare per distrazione, di mera condotta, in cui l’azione potrebbe essere di per sé lecita, fino alla sentenza dichiarativa di fallimento;
(b) un reato, la bancarotta da reato societario,
Le Società 3/2013
d’evento, in cui la condotta causale integra, già di
per sé, un fatto penalmente rilevante.
Ancora più evidente è la discrasia ove si consideri che vi sono reati societari, come la distribuzione ai soci di utili non conseguiti (art. 2627 c.c.), la
cui condotta integrerebbe pacificamente il concetto
di distrazione: il paradosso è, dunque, che la stessa
condotta «sarebbe punibile ai sensi del comma 1
per il solo fatto che alla condotta segua il fallimento, senza alcuna indagine soggettiva o causale (secondo la tesi giurisprudenziale antecedente), oppure ai sensi del n. 1 del comma 2, ma solo se il fallimento è stato determinato dalla distribuzione dell’utile fittizio e se l’agente era consapevole delle
conseguenze pregiudizievoli dell’atto» (18).
Conclude sul punto la Corte: «nulla vieta al legislatore di individuare diverse tipologie di reato,
con riferimento al contributo causale e soggettivo
di una medesima condotta, ma sembra del tutto irragionevole che i due reati, che per i motivi suddetti non possono non rivestire un diverso disvalore,
siano sanzionati in modo identico» (19); d’altro
canto, è altrettanto irragionevole che due reati possano essere integrati da identica condotta, siano puniti con la medesima cornice edittale, ma abbiano
un disvalore d’evento e d’intenzione nettamente
difforme.
Sotto quest’aspetto l’interpretazione tradizionale
presterebbe, dunque, il fianco a rilievi di incostituzionalità in relazione agli artt. 3 e 27 Cost.
In definitiva, secondo il Giudice di legittimità,
per addivenire ad un’interpretazione costituzionalmente conforme della fattispecie, capace di superare l’impasse più sopra prospettata, è necessario considerare l’insolvenza (presupposto della sentenza dichiarativa di fallimento) quale evento del delitto,
in quanto tale collegata eziologicamente alla condotta distrattiva ed oggetto di rappresentazione e
volizione da parte dell’agente.
4. Le variazioni sfavorevoli della mutazione
genetica: i difetti e l’aporia nel percorso
argomentativo della Corte di Cassazione
Il ragionamento della Corte ha il merito di
squarciare il velo d’ipocrisia intorno alla ‘‘truffa delNote:
(15) Ivi, par. 10.
(16) Ivi, par. 32.
(17) Ibidem.
(18) Ivi, par. 35.
(19) Ibidem.
341
Giurisprudenza
Diritto penale commerciale
le etichette’’, alla contraddizione in termini, dell’esegesi tradizionale, che vorrebbe la sentenza dichiarativa di fallimento come un elemento costitutivo
del reato, che, pur tuttavia, non si imputerebbe né
oggettivamente né soggettivamente.
Ciò non di meno, non pare completamente condivisibile, specie nelle tre fondamentali argomentazioni che la dovrebbero avallare, l’esegesi evolutiva
della fattispecie fatta propria dalla Corte.
È preliminare rilevare che solo i primi due argomenti prospettati dalla Corte (responsabilità per fatto
altrui - creditore come selettore degli autori di reato)
pongano profili di incostituzionalità del fatto tipico,
mentre il terzo (sbilanciamento sanzionatorio) atterrebbe più specificamente alla pena minacciata: in
altre parole, solo per i primi due profili si porrebbe
un problema di costruzione della norma e di elementi che la compongono e, di conseguenza, l’eventuale necessità di modificarne i nuclei di disvalore in via pretoria.
Più specificamente, quanto alle prime due argomentazioni, la seconda non è che una gemmazione
- suggestiva ma poco fortunata - della prima: a ben,
vedere, infatti, il punto non è che il fatto sia o meno punibile in base ad una scelta dei creditori (20),
quanto piuttosto che sia imputabile indipendentemente dal nesso di causalità con l’evento di fattispecie e il conseguente elemento soggettivo doloso
(già argomento della responsabilità per fatto altrui).
Sul punto, effettivamente, si pone un possibile
problema di conformità della norma ai dettami della Costituzione, in specie in relazione all’art. 27:
ma la soluzione prospettata ci pare presenti alcune
aporie.
La prima e più vistosa è nella premessa, ovvero
la qualificazione della dichiarazione di fallimento
come elemento costitutivo del reato. Tale premessa
sconta un duplice difetto. Intanto, la dichiarazione
di fallimento di per sé non può assurgere ad elemento costitutivo del reato giacché «non ha contenuto offensivo alcuno, essendo anzi predisposta per
tutelare gli interessi dei creditori. Per giunta, essa è
opera del giudice, e in certi casi l’imprenditore è
addirittura obbligato a chiederla» (21). La stessa
Corte, consapevole di tale impossibilità, sposta il
focus dalla dichiarazione di fallimento all’oggetto
del suo accertamento, ovvero l’insolvenza: qui si
pone una prima operazione di ortopedia interpretativa contra litteram legis.
Sotto altro profilo, la stessa formulazione letterale della norma non permette di individuare nella
dichiarazione di fallimento (comunque intesa) l’evento di fattispecie, ove solo si consideri, come rile-
342
va la stessa Corte, che «la locuzione ‘‘..se è dichiarato fallito’’ costituisce una protasi, in cui il ‘‘se’’ assume valore condizionale del periodo che precede
(‘‘È punito..’’)» (22). Ad abundantiam poi, si consideri che ove il legislatore ha voluto costruire reati
fallimentari d’evento (paradigmaticamente la bancarotta da reato societario) ha utilizzato sintagmi
inequivoci quali «cagionare il dissesto». Anche sul
punto, perciò, per ricostruire in termini di evento
la dichiarazione di fallimento è necessaria un’interpretazione contro il tenore letterale della previsione
incriminatrice.
Proprio trattandosi di esegesi contra litteram legis
questa si pone oltre le Colonne d’Ercole dell’interpretazione conforme, che ha come limite logico il
divieto di pervenire a risultati contra legem (23). In
tale ottica, «l’unico criterio decisivo per valutare se
una determinata decisione sia contra legem, e pertanto esorbitante dai poteri spettanti ad un giudice
ordinario ‘‘soggetto alla legge’’ (art. 101 Cost.), [è]
pur sempre costituito dalla (inequivoca) incompatibilità di tale decisione con il testo della legge, nel quale
la ‘‘volontà legislativa’’ ha trovato espressione condivisa al termine dell’iter formativo della legge medesima» (24): non pare possa dubitarsi che la ricostruzione dell’illecito compiuta dalla Cassazione sia
incompatibile con il testo della legge e con la volontà legislativa.
Nemmeno il terzo profilo (argomento dello sbilanciamento sanzionatorio) può costituire un solido fondamento della prospettazione giuridica della Corte:
l’eventuale irrazionalità della dosimetria sanzionatoria non permette certamente di ridisegnare i nuclei
di disvalore del reato oltre il limite dalla lettera della legge.
In definitiva, pur essendo condivisibili i dubbi di
costituzionalità posti dall’argomento della responsabiNote:
(20) Non costituirebbe un fatto nuovo per l’ordinamento la possibilità di perseguire un soggetto in virtù una scelta della persona offesa dal reato: si pensi, paradigmaticamente, ai delitti perseguibili a querela.
(21) Sul punto si vedano anche C. Pedrazzi, Incostituzionali le
fattispecie di bancarotta?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, p. 898
ss. ora in Diritto penale. Vol. IV, Milano, 2003, p. 1024; U. Giuliani Balestrino, Il problema giuridico della condizioni di punibilità,
1966, 113.
(22) Cosı̀ la decisione in commento, par. 6.
(23) In questi termini F. Viganò, Il giudice penale e l’interpretazione conforme alle norme sovranazionali, in P. Corso - E. Zanetti (a cura di), Studi in onore di Mario Pisani, Piacenza, 2010, p.
649. In argomento M. D’Amico - B. Randazzo, Interpretazione
conforme e tecniche argomentative, Torino, 2009.
(24) Cosı̀ F. Viganò, Il giudice penale, cit., 652.
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Diritto penale commerciale
lità per fatto altrui e dello sbilanciamento sanzionatorio, la via dell’interpretazione conforme a costituzione non sembra percorribile, propugnando una soluzione contra legem.
Pare, però, possibile prospettare una diversa ipotesi di lavoro.
5. L’auspicabile mutazione genetica
successiva: alternative costituzionalmente
possibili
Un’esegesi costituzionalmente rispettosa del
principio di responsabilità personale, che pur tuttavia rimanga nell’ambito della lettera della fattispecie, è stata prospettata da un Maestro (25) al cui
insegnamento qui si aderisce pienamente.
Segnatamente, la bancarotta patrimoniale prefallimentare per distrazione è precipuamente costruita
su due nuclei di disvalore, di condotta e di contesto,
strettamente interrelati: «fino a quando, attualmente e in prospettiva, il rapporto tra attività e passività
si presenta equilibrato, la garanzia dei creditori deve
considerarsi sufficientemente conservata» (26) per
cui ogni distrazione deve considerarsi atipica; d’altro
canto, «fino a quando non pongano in forse la capienza del patrimonio dell’imprenditore, gli atti di
disposizione, comunque lessicalmente etichettabili,
rientrano nell’esercizio del diritto» (27).
La condotta distrattiva tipica è, dunque, quella
tenuta in un contesto di crisi dell’impresa o che,
per la sua entità, pone essa stessa l’ente o l’imprenditore in condizione di (pericolo di) non poter far
fronte ai propri debiti.
Compendiando la relazione tra condotta e offesa
al bene giuridico, osserva Pedrazzi: «le condotte tipiche nel momento in cui si realizzano, sono contrassegnate da una lesività non astratta, ma concreta: a livello, però, di semplice messa in pericolo di
prospettive di integrale soddisfacimento; (...) un
danno, nel senso di compromissione definitiva e irreversibile di dette possibilità matura solo con il fallimento» (28).
Infatti, «solo quando interviene la cesura del fallimento che toglie di mezzo l’imprenditore e cristallizza la situazione patrimoniale, l’attitudine lesiva
insita nei fatti di bancarotta, cui nulla aggiunge il
fallimento, acquista una connotazione di definitività e si colora come danno» (29).
La caratteristica della sentenza dichiarativa di
fallimento di cristallizzare e definire il danno ha poi
un ulteriore e fondamentale risvolto: «essa opera
nei soli confronti dei fatti tipici tuttora significativi
nell’economia dell’offesa, mentre lascia immuni da
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sanzione quelli la cui potenzialità lesiva sia esaurita
prima della crisi terminale. La punibilità cioè presuppone che i parametri di tipicità dei fatti di bancarotta (...) siano riscontrabili come attuali, indici
di un pericolo ancora in essere per l’interesse protetto» (30).
La sentenza dichiarativa di fallimento opera,
dunque, come condizione di punibilità, «non contribu[endo] in alcun modo a descrivere l’offesa al
bene giuridico tutelato dalla norma, ma esprim[endo] solo una valutazione di opportunità in ordine
all’inflizione della pena» (31).
Cosı̀ ricostruita la fattispecie, il dolo deve avere
ad oggetto non solo la condotta distrattiva in senso
stretto, ma anche «la diminuzione della garanzia
(...) al di sotto del livello di guardia sufficiente ad
assicurare l’integrale soddisfacimento dei creditori» (32).
Nel caso posto all’attenzione della Corte, le cui
peculiarità hanno probabilmente costretto ad un
(auspicato) ripensamento dell’insegnamento classico, la tesi qui prospettata avrebbe permesso di addivenire al medesimo risultato favorevole agli imputati (annullamento, con rinvio, della decisione di
merito): infatti, la Corte d’appello non ha verificato se i finanziamenti, erogati dalla fallita alle altre
società del gruppo, siano avvenuti in un periodo in
cui la società non era in bonis e, in ogni caso, se
persistesse al momento della dichiarazione di fallimento la carica offensiva delle distrazioni contestate.
A ben vedere, già dai pochi elementi fattuali
prospettati dalla Suprema Corte pare doversi escludere la tipicità dei fatti contestati. Infatti, tra le distrazioni e la dichiarazione di fallimento intercorre
un periodo di amministrazione giudiziaria ex art.
Note:
(25) Ci si riferisce a Cesare Pedrazzi e all’insegnamento contenuto in particolare nei seguenti scritti: C. Pedrazzi, Incostituzionali le fattispecie, cit., pp. 1007 ss.; Id., Riflessioni sulla lesività
della bancarotta, in AA.VV., Studi in memoria di Giacomo Delitala, Milano, 1984, 1111 ss., ora in Diritto penale, cit., pp. 971 ss.;
Id., Art. 216, in C. Pedrazzi - F. Sgubbi, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito, Bologna - Roma, 1995, 3 ss.
(26) C. Pedarazzi, Riflessioni sulla lesività, cit., 991.
(27) Ivi, 993.
(28) Ivi, 1000.
(29) C. Pedrazzi, Incostituzionali le fattispecie, cit., 1024-1025.
(30) C. Pedrazzi, Art. 216, cit., 25.
(31) In questi termini la ricostruzione di condizione obiettiva
estrinseca di punibilità di G. Marinucci - E. Dolcini, Manuale di
diritto penale, IV ed., Milano, 2012, 376.
(32) C. Pedrazzi, Art. 216, cit., 75.
343
Giurisprudenza
Diritto penale commerciale
2409 c.c. in cui non è stata rilevata alcuna situazione d’insolvenza della società e, in seguito, la cessione dell’ente a terzi per una cifra non irrilevante: tali
circostanze portano ad escludere sia il disvalore di
contesto al momento dell’azione, sia l’attualità dell’offesa al momento del fallimento.
Conclusioni: impossibile speciazione
o anello di congiunzione?
Si è visto che, attraverso l’interpretazione costituzionalmente conforme prospettata dal Pedrazzi,
sono superati i dubbi di legittimità, correlati alla
necessaria personalità della responsabilità penale,
posti dalla Corte nella sentenza in commento.
Resta, invece, senza soluzione l’irragionevolezza
insita nell’identità di trattamento sanzionatorio tra
la bancarotta da reato societario e quella fraudolenta patrimoniale, dovuta alla diversa tipizzazione degli illeciti: la prima è reato d’evento in cui la condotta costituisce di per sé illecito penale, mentre la
seconda è delitto condizionato a condotta di base
non necessariamente penalmente tipica.
Tale profilo di possibile illegittimità costituzionale non può, però, essere in alcun modo risolto da
un giudice ordinario, ma deve essere oggetto di
questione di legittimità costituzionale o, ancor meglio, di riforma legislativa.
Prescindendo, però, dalle due soluzioni estreme,
la riforma legislativa e l’incidente di costituzionalità, entrambe tentate senza fortuna (33), l’unica mutazione genetica del tipo, rispettosa della lettera della
legge e dei principi fondamentali della persona, che
meriterebbe di imporsi nella selezione naturale è
quella prospettata dal Pedrazzi.
Poiché, però, l’evoluzione non percorre mai strade lineari (34), nemmeno sul piano giuridico (35),
la Cassazione (36) è già tornata sui suoi passi, prospettando nuovamente l’esegesi tradizionale, secondo la quale la dichiarazione di fallimento sarebbe
un elemento costitutivo non imputabile della bancarotta fraudolenta patrimoniale.
È da notare che il ritorno alla propria precedente
giurisprudenza è del tutto privo di motivazione,
non affrontando, nemmeno parzialmente, i tre profili di incostituzionalità prospettati nella decisione
in commento, ma, bensı̀, «stat pro ratione voluntas,
con buona pace dell’aspirazione all’uniformità della
giurisprudenza» (37).
D’altro canto, un ripensamento del Giudice di
legittimità era tutt’altro che imprevedibile, dato
che, il carattere troppo netto di cesura dell’esegesi
proposta nella sentenza in commento e i punti de-
344
boli dell’argomentazione, ne riducevano drasticamente ab origine le possibilità di trovare un seguito:
in termini evoluzionistici, «in natura le mutazioni
importanti raramente sopravvivono» (38).
Ciò non di meno, oggi c’è una mutazione genetica
nel panorama giurisprudenziale, che auspicabilmente
potrebbe - nel selettivo contesto ostile dell’inerzia legislativa - evolvere per stadi intermedi, magari in
modo non lineare, cosı̀ da rivelarsi l’anello di congiunzione (39) con una (fatti)specie di pericolo concreto.
Note:
(33) Quanto ai diversi tentativi di riforma, mai realizzati, si veda
l’analisi di M. Donini, Per uno statuto costituzionale, cit., pp. 57
ss. Sull’incidente di costituzionalità basti considerare che proprio
i ricorrenti hanno richiesto, al giudice territoriale prima e alla
Cassazione poi, di sollevare la questione di legittimità avanti al
Giudice delle Leggi.
(34) L’evoluzione non procede in modo lineare, ma «per gradi
impercettibili», attraversando stadi intermedi con continue biforcazioni, tanto che «le specie moderne non evolvono in altre specie moderne ma si limitano a condividere antenati: sono insomma cugine», per cui non potrà mai tracciarsi un albero genealogico quanto piuttosto un «albero della cuginanza», secondo la
felice descrizione di R. Dawkins, Il più grande spettacolo della
terra, Milano, 2010, 25 ss.
(35) Un esempio plastico delle fatiche evolutive dell’esegesi delle norme, specie in un’ottica di conformità costituzionale, è dato
dal caso dell’oltraggio a pubblico ufficiale, dichiarato incostituzionale, limitatamente al minimo edittale della pena, con la sentenza n. 341/1994. In tale decisione, il Giudice delle Leggi ben descrive come la necessità di una rilettura della fattispecie sia l’esito di un contraddittorio e tortuoso percorso evolutivo della giurisprudenza di merito: la Corte evidenzia, infatti, che, se da un
lato le Corti territoriali tendevano a «colpire una gamma estremamente vasta di comportamenti, compresi quelli di tenue o
minima offensività, per di più in riferimento ad una platea notevolmente estesa di soggetti passivi, continua[van]o ad avvertire
il disagio di essere tenuti a dare risposte sanzionatorie manifestamente eccessive, tanto da continuare ad investire questa
Corte di ripetute questioni di costituzionalità». Successivamente
il legislatore, con la L. n. 205/1999, facendo tesoro dell’indicazione del Giudice delle Leggi circa l’obsolescenza di tale norma, rispetto ad un mutamento rilevantissimo dei valori morali e giuridici dei consociati, ha abolito tale reato, poi reintrodotto nel
2009, all’art. 342 bis c.p., ma con un notevole miglioramento
della precedente formulazione. Per un quadro generale si veda
G. Cirillo, I delitti di oltraggio contro l’autorità, in M. Catenacci (a
cura di), Reati contro la pubblica amministrazione e contro l’amministrazione della giustizia, in F. Palazzo - C.E. Paliero, Trattato
teorico-pratico di diritto penale, Torino, 2011, 187 ss.
(36) Si veda la decisione già citata alla nota 5.
(37) L’icastica espressione sull’incapacità della Corte di Cassazione di svolgere la propria funzione nomofilattica è di A. Gaito,
Il ruolo e la funzione del giudizio di legittimità in epoca di giusto
processo (tra essere e dover essere), in F. R. Dinacci, Processo
penale e costituzione, p. 538
(38) R. Dawkins, Il più grande spettacolo, cit., 33.
(39) Il concetto di anello di congiunzione è ben illustrato da E.
Boncinelli, Perché non possiamo, cit., 236: «nel passaggio da
un tipo di essere vivente a un altro, soprattutto se abbastanza
diversi tra loro, dovrebbe essere sempre possibile individuare il
cosiddetto anello di congiunzione, vale a dire un tipo di individuo
che possiede alcune caratteristiche della prima categoria e alcune della seconda categoria».
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