ASSEMBLEA ASSOLOMBARDA Milano, 9 giugno 2014 RELAZIONE DI GIORGIO SQUINZI, PRESIDENTE CONFINDUSTRIA Autorità, gentili ospiti, Cari colleghi, mi fa particolarmente piacere concludere oggi l’Assemblea di Assolombarda. Per me non è un Assemblea come tutte le altre. Qui c’è la mia azienda, questa è la mia città e la mia Associazione. Qui ho cominciato a fare impresa con mio padre. Qui ho dato i miei primi contributi al sistema associativo che oggi ho l’onore di guidare. Ma non è solo una questione personale. Di qui, da Milano, possiamo osservare tendenze anticipatrici e sprazzi di futuro. È sempre stato così: nel bene e nel male, Milano anticipa e rappresenta il Paese. Qui sentiamo il respiro internazionale che ha la società e guardiamo a un’economia che vorremmo fosse più diffusa nel Paese. Di qui possiamo misurare quanto sia ancora irrisolta la questione settentrionale e al tempo stesso quanto sia complessa la convergenza reale degli squilibri territoriali italiani. Il dato più preoccupante è che se la velocità di un sistema complesso è impostata su chi va più lento, chi ha gambe per correre o ali per volare deve inevitabilmente rallentare. Di qui possiamo vedere come si costruisce un ambiente culturalmente favorevole all’intrapresa e alla voglia di rischiare. Perché un ecosistema moderno e favorevole all’impresa qui c’è. Con onestà e serietà, proprio perché questo è il sistema territoriale più avanzato d’Italia, possiamo misurare quanta distanza ci separa dai best performer in Europa e nel mondo, un processo con cui cerchiamo di misurare nel modo più preciso possibile quanto lavoro abbiamo da fare insieme e in quale direzione dobbiamo indirizzare i nostri sforzi. Per questo ho molto apprezzato e condivido la relazione di Gianfelice Rocca, aperta al mondo e vicina alla realtà locale. Lo abbiamo sentito anche dalle parole di Joan Thomas. Tutti gli ambienti metropolitani innovativi si misurano rispetto agli altri. I territori più competitivi non dormono sui successi conquistati, si interrogano e cercano strade per costruire comunità sempre più intelligenti e sostenibili. Perché sempre di più la vita, il lavoro, la ricerca, le relazioni si svolgeranno dentro perimetri metropolitani. Questi saranno i magneti della crescita e dell’innovazione del futuro. 1 E più i confini si allargano e la complessità aumenta, più la sostenibilità complessiva deve essere mantenuta e rinnovata. Noi, qui, non facciamo eccezione e abbiamo sfide estremamente stimolanti davanti a noi. Le mie considerazioni sono quindi ispirate da una sorta di emozione razionale, di chi ama questa città, sa che è un modello cui guarda tutto il Paese, sa che deve misurarsi sempre più con i migliori nel mondo. Proprio perché le sono molto legato, mi sforzo di guardarla con occhi oggettivi. Il ruolo e il nostro mestiere d’imprenditori in fondo sono tutti i giorni un fantastico cocktail di passione e di ragione. Passione e ragione ci dicono che siamo entrati in una fase stimolante e inedita per il Paese. L’esito delle elezioni europee ci consegna un’Italia che conferma la sua volontà di partecipare all’integrazione europea. I critici ci sono e sono numerosi, ma lo spirito europeista ha conservato la sua forza originaria. In questi giorni anche gli euroscettici avranno guardato con attenzione all’intervento della Bce e del suo Presidente Mario Draghi. La Bce manda un segnale molto chiaro, che non posso che sottoscrivere e che da qualche tempo in Confindustria auspicavamo. L’Eurozona è tutt’altro che fuori dalla crisi, inclusa la Germania. Non c’è rischio inflattivo, ma di una combinazione assai rischiosa tra recessione e spinta deflattiva. La crescita langue e il lavoro ne soffre, ovunque. La Bce spinge fortemente al rilancio degli investimenti con un’immissione di liquidità condizionata. È un bene che sia stata fatta e Draghi stesso ha detto che non è che l’inizio. Io aggiungo che è venuto il momento di riaprire il confronto sugli eurobond, per un rilancio su base comunitaria degli investimenti in infrastrutture e di allentare con cautela il rigore di bilancio che ci inchioda al fatidico quanto nefasto 3%. Un’ultima considerazione deve essere dedicata alla Bce e al suo Presidente come istituzioni della nostra comunità. Sempre più assumono il profilo di quella Banca Federale che da più parti si era detto essere una delle condizioni essenziali per il rilancio della crescita e dell’integrazione delle economie continentali. Siamo ancora lontani dal traguardo, ma i passi fatti in questi anni con la guida esperta e decisa di Draghi mi fanno ben sperare per il futuro. L’economia reale è tornata al centro dell’attenzione. Il secondo elemento da considerare è che il voto si è fortemente polarizzato, con un successo netto del Partito democratico e del presidente del Consiglio in carica. Il Governo ha dunque con sé la legittimazione popolare e il suo premier, Matteo Renzi, riceve dall’elettorato un mandato che più chiaro non potrebbe essere: cambiare. Cambiare il Paese per metterlo in grado di stare al passo con la competizione globale in corso. 2 È un cambio d’epoca, in altre parole, e si commenta da sé la difficoltà di un’impresa simile in un Paese che sta ancora cercando l’àncora di vecchie certezze che non ci sono più. Ma la scelta, oggi, è tra due alternative secche: o affrontare l’incertezza e l’opportunità del cambiamento o un declino certo. Inutile aggiungere che per noi la scelta è facile. Noi non abbiamo scelta. Il Presidente del Consiglio e il Governo quest’obiettivo se lo sono dato fin dall’inizio, con un piano di riforme impegnativo e cogente nella tempistica con cui dovrà essere realizzato. Non possiamo che apprezzare e sostenere chi si prende un tale impegno e ne fissa anche i limiti di tempo. Dobbiamo agevolare e rendere fluido un percorso che può essere irto di ostacoli e di mille diabolici dettagli che lo possono rallentare o, peggio, vanificare. La portata della sfida è fantastica nell’impegno. Si tratta di ridare fiducia e respiro a un Paese stanco e rassegnato ormai alla routine. Ma, al di là della ripresa di fiducia che dobbiamo stimolare, c’è il rischio di disperdere le energie in mille rivoli. Lo sappiamo noi per primi: sono mille le cose da fare e infinite quelle da correggere e cambiare. In una fase così delicata però dobbiamo guidare il nostro ragionamento sulle grandi classi di problemi che dobbiamo affrontare, come collettività nazionale e come associazione d’impresa, per costruire una società più aperta e innovativa. Se sapremo sciogliere i grandi nodi, il resto verrà di conseguenza. La prima questione è quella che può determinare un effetto traino generale. Siamo tutti concordi su questo: dobbiamo metter mano alla riforma del nostro modo di convivere, cioè delle istituzioni che abbiamo e che vorremmo avere. Abbiamo più volte discusso della questione. Oggi ve la propongo da un altro punto di osservazione. Sul passaporto di un imprenditore che va all’estero c’è un timbro invisibile che però tutti vedono: l’efficienza e la trasparenza delle istituzioni del Paese di provenienza. Se vieni da un Paese dove le istituzioni pubbliche sono moderne, efficienti, trasparenti, rapide, alla tua qualità d’impresa, di prodotto, di marchio, si aggiunge il valore aggiunto, invisibile ma incommensurabile, della collettività cui appartieni. Se i fondamentali istituzionali del tuo Paese sono fuori posto, la tua affidabilità d’imprenditore non cambia, ma la tua credibilità sarà inferiore. Farai molta più fatica ad affermarti. 3 Il nostro passaporto d’imprenditori è abbastanza in ordine. Ovunque andiamo, veniamo ascoltati e spesso copiati. Il saldo commerciale dell’export italiano è la misura di questo valore. Oltre il 30% del Pil viene dalle esportazioni e possiamo fare meglio. La Lombardia resta di gran lunga il primo esportatore italiano. Ci sono segni positivi in alcuni comparti del fatto che gli investimenti stanno tornando. È l’indicatore cui prestare più attenzione, perché dagli investimenti dipendono crescita, produttività e lavoro. Forse abbiamo capito tardi che le regole del gioco stavano cambiando. Gli investimenti in innovazione e ricerca devono crescere e con essi il livello medio delle competenze del personale. Dobbiamo patrimonializzare le nostre imprese e attrezzarle per i mercati esteri. Tutto vero, e molto altro dobbiamo fare che non abbiamo fatto in passato e dovremo fare oggi e in futuro. Ho detto e ripeto che noi a scuola dalla crisi siamo andati, e abbiamo imparato molto. La lezione è stata dura. Il conto pagato è stato salatissimo in termine di capitale sociale andato perso: più di 120mila imprese e di un milione e duecentomila posti di lavoro, un quarto della produzione totale del paese. Anche in regioni come la Lombardia le lacerazioni sociali ci sono e si vedono. Oggi però abbiamo ben chiaro che la sfida si chiama valorizzazione della qualità e non svalutazione competitiva. Il passaporto delle nostre istituzioni invece non è ancora in ordine. La lezione della crisi non è stata ancora compresa fino in fondo. Le nostre istituzioni rappresentative sono pletoriche, inefficienti e costose. I tempi di esecuzione della Pubblica amministrazione assurdamente lunghi. Lo Stato ha un enorme debito commerciale verso i suoi fornitori che non siamo ancora riusciti a computare correttamente. Un’elefantiaca macchina statale che per anni ha dato risposta al desiderio di un posto sicuro, di una consulenza, di una collaborazione o di una poltrona ha ormai i piedi di argilla. Prima che frani definitivamente occorre ridimensionarla e ridarle un volto giusto e benevolo verso cittadini e imprese. Le riforme sono dunque urgenti quanto necessarie. A partire da quelle istituzionali, che mettano ordine nel Titolo V, perché il nostro non può essere un modello di federalismo che si realizza per moto caotico, in cui le competenze sono esercitate dai diversi livelli in modo disordinato, sovrapposto e troppo spesso contradditorio. Dobbiamo ridurre seriamente i costi di funzionamento della burocrazia, cancellando tutto ciò che sottrae valore ed efficienza e crea una rete capillare di nepotismo e di ruoli inutili. È la densità di questa sostanza, fatta di leggi, regolamenti, enti, tutti controllati dalla politica, che fa prosperare la corruzione, l’evasione e il malaffare. 4 Non ci interessa sapere se gli imprenditori che corrompono lo fanno perché obbligati o per vero e proprio spirito doloso. Essi non possono stare tra noi. Questo deve essere chiaro. Siamo noi i primi a essere danneggiati. Così non si fa che assecondare una cultura assai radicata nel Paese che vede nell’imprenditore un disonesto o comunque uno che cerca di aggirare le regole. Non è così. Noi lavoriamo nelle regole e le rispettiamo e chi non lo fa deve stare fuori da casa nostra. Noi vogliamo un paese efficiente e trasparente! Quando queste vicende finiscono in manette, tutto il Paese ha perso. La seconda grande questione è tra quanto lo Stato chiede e quanto restituisce. Uno Stato inefficiente costa e chiede molto. Esiste un punto del diagramma del prelievo fiscale in cui più si aumenta l’imposizione e meno si raccoglie, perché si consuma crescita, ci si impoverisce e si amplia la platea di chi non può pagare. Quel punto è stato superato e i valori di gettito sono lì a dimostrarlo. Il total tax rate calcolato dalla Banca Mondiale sfiora il 70% sugli utili. L’imposizione complessiva sui cittadini e le imprese è cresciuta costantemente nel tempo fino ad andare a oltre 4 punti sopra la media europea, sfiorando il 50%. Abbiamo costruito il contesto più agevole per chi le imposte non le paga o le elude. Questo costosissimo quanto complicato rapporto tra Stato e contribuente va riformato subito e la delega fiscale è un buon primo passo in questa direzione. Faccio un passo in più e dico che occorre un patto generale tra Stato e contribuenti, in cui a fronte di una drastica riduzione del prelievo, si faccia una altrettanto drastica caccia e condanna severissima agli evasori. In questo caso ci sorreggerebbe un po’ di sana cultura protestante, come accade nella vicina Svizzera, in cui l’evasore, poiché tradisce i suoi concittadini e viola un patto fatto con lo Stato, quindi con l’intera società, è condannato con grande severità dalla giustizia, ma in più subisce una sanzione sociale, forse persino più dura da sopportare, che costituisce il vero disincentivo per l’evasore. Questa cultura dobbiamo darcela progressivamente anche noi se vogliamo stare nel novero dei paesi civili. È lo spirito civico che deve comminare la prima pena. La terza classe di questioni riguarda quella che oggi è una vera e propria emergenza Paese, il lavoro e le competenze delle persone che lo esercitano e che lo cercano. I numeri li conosciamo ed è superfluo ripeterli qui. I primi segnali di riforma del mercato del lavoro lanciati dal Governo sono promettenti e positivi. 5 Occorre adesso il coraggio di varare una riforma radicale degli istituti passivi e attivi del mercato del lavoro, rispetto cui ci sono ancora troppe ancore conservative da parte sindacale. Se non lo si crea, il lavoro è difficile da tutelare, e tutelandolo con vecchi schemi lo si distrugge lentamente. Un solido sistema di protezione nelle situazioni di ristrutturazione e servizi aperti di orientamento e di collocamento, in concorrenza vera tra pubblico e privato, sono la risposta riformista che vorremmo. Le nostre proposte sono pronte per essere discusse. Tutto ciò farebbe comunque molta fatica a funzionare in modo efficace in assenza di un sistema educativo che prepari i cittadini e i lavoratori ai nuovi bisogni della società e della produzione, e che soprattutto lo faccia in un modo moderno, superando i vecchi modelli didattici. I nostri padri, noi, i nostri figli, i nostri nipoti, quattro generazioni d’italiani sono stati seduti nei banchi dello stesso tipo di scuola. Difficile pensare che il sistema non mostri la corda e visibili segni di stanchezza. Cinque anni di distanza da colmare per un giovane all’esordio sul mercato sono un abisso. L’education per Confindustria è una vera emergenza nazionale e per questo a ottobre lanceremo la nostra proposta di riforma al sistema educativo, fondata sui principi dell’autonomia, della valutazione del merito e dell’interazione attiva nell’apprendimento, a tutti i livelli. Una scossa educativa per l’Italia che vuole cambiare. Anche in questo caso i vecchi modelli di tutela porteranno al lento ma inesorabile declino un sistema che si dimostra non essere più all’altezza dei tempi. Dobbiamo combattere il conservatorismo e un egualitarismo di maniera che produce solo distanze crescenti tra chi le opportunità le ha in casa per censo e per cultura, e chi invece, non disponendone, parte svantaggiato. Uno stato sociale moderno, progettato e realizzato per esigenze di universalità e di equità, che ha dato uno straordinario contributo alla crescita del Paese nei suoi anni ruggenti, rischia oggi di essere un motore di diseguaglianza proprio perché rifiuta di riconoscere il merito e l’efficienza come un valore. Su tutte queste questioni la Lombardia, e Milano in particolare, conferma un primato indiscusso. I fondamenti istituzionali, come quelli della finanza e del mercato potenziale, e le prestazioni di innovazione e di istruzione hanno valori largamente al di sopra della media nazionale. I numeri importanti li avete sentiti da Gianfelice Rocca. 6 Il confronto cui ambiamo e cui dobbiamo guardare non è quello interno ai confini nazionali. Noi dobbiamo misurarci con l’Europa e col mondo e il responso non è confortante. La Regione nei benchmark internazionali arretra rispetto ai migliori. Il quinto Pil tra le regioni europee, con 820mila imprese e il 2,71% dell’intero Pil comunitario, è posizionato al 128° posto tra le Regioni europee per le sue fragilità istituzionali e infrastrutturali. Questo ci dà una misura sia del potenziale di cui disponiamo grazie alla nostra economia e capacità di fare impresa nel mondo, sia dei difetti che dobbiamo correggere per essere nelle condizioni di esprimere al meglio tutte le nostre capacità. L’arretramento preoccupa soprattutto sul versante istituzionale, in cui le prestazioni amministrative, in particolare quelle della giustizia civile, sono molto lontane dai migliori. Molte dotazioni infrastrutturali sono inadeguate. La nuova stagione dei fondi europei potrebbe essere l’occasione propizia per sciogliere alcuni colli di bottiglia che ostruiscono il pieno esprimersi dei potenziali del sistema della produzione, delle competenze e dell’innovazione della Lombardia e di Milano in particolare. Tra questi il primo dovrà essere un robusto rafforzamento degli investimenti in ricerca e innovazione, pubblici e privati, che continuano a essere troppo contenuti e distanti da quel 3% europeo che deve essere l’obiettivo di una regione leader. Concludo, e l’ultimo pensiero lo rivolgo alla nostra bella città e al titolo che avete dato alla Assemblea. Mi piace Vola Milano, c’è spirito, progetto, voglia di sperimentare. Mi emoziona anche perché mi ricorda un po’ la mia infanzia, Zavattini e De Sica, la frase che apre Miracolo a Milano e che possiamo tranquillamente usare come guida per una nuova fase di fiducia e ritrovato benessere. Come dice il giovane protagonista, mentre nel 1950 attraversa un viale Certosa oggi irriconoscibile, un mondo in cui “Buongiorno voglia dire davvero buongiorno”. Si parte da Milano per ridare fiato e quota al Paese. Expo deve essere l’acceleratore per la ripartenza, non la sua immagine guasta. Con Expo dobbiamo rilanciare l’Italia verso il gruppo dei paesi migliori. Oggi siamo avviliti dalla cronaca, ma dobbiamo ricordare la storia che ha permesso di aggiudicarci Expo. Riflettiamo troppo poco sul cuore dell’Expo, travolti da cronache sciagurate. Il cuore dell’Expo è il tema con i suoi contenuti e non esiste tema più sfidante di quello dell’edizione del 2015. A Milano ragioneremo con il mondo del bisogno primario dell’umanità, nutrirsi, ancora da soddisfare per due miliardi d’individui. Di come l’alimentazione condizionerà le prospettive di salute dell’uomo. Del prolungarsi della vita e di ciò che si determina nelle nostre società in termini di spazi, tempi, stili di vita, impatto sul welfare. Di sicurezza e di tecnologia, a viso aperto senza 7 pregiudizi ideologici. Dell’industria connessa all’alimentazione, alla sicurezza, alla salute. Di opportunità e di rischi. Di futuro. Confindustria crede in modo assoluto nel progetto. Per questo saremo impegnati in prima linea e, con piacere, vi annuncio che dopo tempo immemorabile l’anno prossimo celebreremo fuori dalla Capitale la nostra Assemblea annuale. Ci accoglierà Expo, e sarà la vetrina universale dell’impresa italiana nel mondo. Con l’orgoglio di italiano e milanese: Vola Italia! Viva Expo! 8