Leggere ed interpretare il Vangelo L'esegesi biblica e la fede Tratto da un articolo del Biblista Don Pino Pulcinelli (Roma) http://www.bibbiaonline.it/argomese/eseg esi.html 1. Scienza e Bibbia. Due termini in conflitto? La scelta di trattare questo argomento è dovuta alla diffusa convinzione che questi due termini, "esegesi biblica" (cioè lo studio scientifico della bibbia, d'ora in avanti semplicemente "esegesi") e "fede" (intesa la fede del cristiano) siano in forte tensione, quasi che l'una escluda l'altra... Non che questo sia sostenuto da testi magisteriali, anzi, essi ribadiscono tante volte che è vero il contrario (Dei Verbum n. 19), pur mettendo in guardia da possibili deviazioni, ma è presente a livello di sentimento diffuso tra molti credenti, tra i quali non pochi ministri ordinati (malgrado lo studio della teologia e dell'esegesi nelle facoltà universitarie), predicatori, catechisti e laici impegnati.Da dove nasce il problema? 2. L'esegesi scientifica della Bibbia L’esegesi scientifica della Bibbia (qui si intende soprattutto il cosiddetto "metodo storico-critico") ha come presupposto che i testi biblici non sono semplicemente piovuti dal cielo come scritti sacri, ma hanno una genesi ed un'evoluzione storica. Perciò per comprendere pienamente un testo occorre conoscere, o almeno cercare di conoscere, la sua preistoria (l'ambiente in cui è nato), il suo genere letterario (se è una cronaca, un racconto didattico, una poesia, ecc.) e l'opera di elaborazione di quelli che hanno raccolto e messo per iscritto le fonti orali o gli scritti precedenti. Il fine è soprattutto quello di comprendere il significato che l’autore originario intendeva comunicare ai suoi lettori o ascoltatori, di stabilire cioè con un sufficiente grado di certezza qual era la sua intenzione nel rivolgersi con quel testo a quei destinatari originari. Perché è importante, anzi necessario, questo studio storico? Perché il lettore di un'altra epoca, di un'altra cultura e in un'altra situazione di vita è naturalmente portato a mettere quel testo, in rapporto con il proprio orizzonte interpretativo, con il rischio concreto di fargli dire delle cose che quel testo non voleva dire: insomma, invece di fare "esegesi" (dal greco "ex-ago", "tirare-fuori", estrarre il significato, "interpretare"), si attribuiscono al testo dei significati che esso non ha e che sono determinati dalla soggettività del lettore ("en-ago", mettere dentro, introdurre). Si comprende subito quanto questo sia cruciale nell'interpretazione del testo sacro, destinato a diventare norma di vita per il credente. 3. Il credente di fronte al metodo storico-critico Perché dunque capita che il credente si sente minacciato dall'esegesi moderna che adotta prevalentemente il metodo storico-critico? La ragione va ricercata nel fatto che essendo "critico" esso tende a mettere in dubbio molte cose, a riconsiderare e a volte a correggere delle convinzioni che sembravano far parte della fede . Per fare qualche esempio: - lo studio critico del Pentateuco (da Genesi al Deuteronomio) ha dimostrato che questi cinque libri, così come li abbiamo, non sono stati scritti da Mosè, com'era stato ritenuto tradizionalmente, ma contengono testi di diverse origini e di varie epoche successivamente raccolti insieme. - in modo analogo, lo studio critico dei vangeli ha dimostrato che essi non sono grandi racconti stesi ciascuno da un unico autore, il quale avrebbe riferito una testimonianza diretta di quanto Gesù aveva detto e fatto, ma contengono piuttosto una rassegna di piccole unità letterarie, provenienti dalla catechesi della Chiesa primitiva. Non è più possibile, quindi, fare la prova della storicità dei vangeli dicendo che sono l'opera di testimoni ben informati e perfettamente sinceri. La loro origine appare più complessa e la loro connessione con i fatti meno diretta . 4. La lettura letteralista fondamentalista Per chi ha una fede poco formata intellettualmente e non consapevole della posizione del magistero su tale argomento, può allora pensare che l'esegesi possa essere dannosa alla fede stessa, e perciò tende a prediligere - anche senza esserne consapevole, e quindi in buona fede - l'interpretazione "letteralista", quella cioè che ritiene che la bibbia vada letta e interpretata letteralmente i tutti i suoi dettagli, quasi come una fonte di conoscenza storica e ricettario di risposte pronte su tutti i problemi della vita. Se ad esempio si legge che Dio creò l'universo in sei giorni, qualsiasi altra spiegazione, anche scientifica, andrebbe dunque rigettata come errata e dannosa alla fede. Sappiamo dalla storia, a volte anche drammatica, dove ha portato questa ideologia (basti pensare al caso Galileo...). Un'attenta lettura del testo biblico mostra invece che è impraticale - pena l'andare incontro ad una evidente contraddizione - e fuorviante il prendere alla lettera tutti gli enunciati della Scrittura, specialmente se estrapolati dal contesto in cui si trovano (è questo invece il modo di procedere di quanti praticano la lettura fondamentalista della Bibba, come ad esempio i Testimoni di Geova). Due esempi tratti dai vangeli (ma se ne potrebbero citare molti di più): il discorso della montagna in Matteo (cap. 5-7) è ambientato appunto su una montagna (5,1); nel parallelo che troviamo in Luca (6,17.20-23) si parla invece di una pianura; i racconti delle apparizioni del Risorto tratte dai quattro vangeli, se confrontate tra loro, presentano variazioni così notevoli che rendono praticamente impossibile farli concordare tra loro. Dovremme allora concludere che una "verità" annulla l'altra? O dovremmo squalificarle tutte? A questo condurrebbe - a rigor di logica - una lettura letteralista-fondamentalista. 5. Il principio dell'Incarnazione giustifica il metodo storico-critico La Bibbia stessa, dunque, insegna al credente che non deve praticare una lettura rigida, ottusa, o concordista: "il carattere storico della rivelazione cristiana fa sì che una certa flessibilità mentale è necessaria per accoglierla adeguatamente". In questo senso anche il papa afferma: "il Dio della Bibbia non è un Essere assoluto che, schiacciando tutto ciò che tocca, sopprimerebbe tutte le differenze e tutte le sfumature... lungi dall'annullare le differenze, Dio le rispetta e le valorizza". Il principio che giustifica e incoraggia l’uso del metodo storico critico nella lettura e nell'interpretazione della Scrittura è lo stesso dell’Incarnazione: come non penseremmo mai di negare la piena umanità di Cristo, così non possiamo negare o sottovalutare l’umanità della Scrittura; Dio non ha dettato la sua Parola nella Scrittura, ma l’ha sottomessa a tutti i limiti del linguaggio umano. Non c'è quindi incompatibilità tra fede e metodo storico-critico: "la Chiesa di Cristo prende sul serio il realismo dell'Incarnazione ed è per questa ragione che essa attribuisce grande importanza alla studio storico-critico della Bibbia". 6. Esegesi e fede: esigenza e aiuto reciproci Ciò non toglie che possa darsi un'esegesi razionalista, che cioè esclude a priori qualsiasi evento soprannaturale, come sono ad esempio i miracoli, ed allora tale precomprensione impedirà una corretta esegesi del testo biblico che tratta appunto di questi interventi straordinari di Dio. Se è inevitabile, ed anche necessario, che ogni esegeta si accosti ai testi biblici con una propria precomprensione, bisogna dire che la giusta precomprensione è quella del credente: perché l'esegesi sia fruttuosa è necessario interpretare i testi nello stesso spirito in cui furono scritti, cioè nello spirito di fede: perché sia utile alla fede, bisogna che sia praticata nella fede. La fede allora non è affatto un ostacolo alla giusta comprensione dei testi biblici, anzi essa è di grande aiuto per una comprensione più esatta e più completa. In questo senso, come afferma ancora il papa, "è necessario che lo stesso esegeta percepisca nei testi la parola divina, e questo non gli è possibile che nel caso in cui il suo lavoro intellettuale venga sostenuto da uno slancio di vita spirituale". Concludiamo con le parole del cardinale P. A. Vanhoye Può succedere che i rapporti tra l'esegesi e la fede siano di forte tensione, anzi di contrapposizione mutua, se l'esegesi parte da presupposti contrari alla fede o se la fede, rimasta infantile, non è in grado di integrare le conclusioni di una sana esegesi. Ma in linea di massima, i rapporti dovrebbero essere armonici, unendo tuttavia all'aspetto dell'aiuto reciproco quello dell'esigenza reciproca. ... La fede aiuta l'esegesi a interpretare correttamente la Scrittura ispirata, senza lasciarsi " sballottare dalle onde e portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina " (Ef 4,14). D'altra parte, la fede esige dall'esegesi uno studio in profondità del messaggio principale dei testi biblicí, che è un messaggio religioso. ... L'aiuto reciproco e l'esigenza reciproca assicurano alla fede e all'esegesi un dinamismo vitale, senza il quale la fede rischierebbe di diventare languida e l'esegesi vuota A.Vanhoye, "L'esegesi biblica e la fede", in Seminarium, 37/1 (1997) 48-55, p. 55 Quattro finestre su Gesù ed i vangeli Dal libro di W. Weren, Finestre su Gesù. Metodologia dell'esegesi dei Vangeli , "Strumenti" 8, Claudiana ed. Da oltre venti secoli, sotto i nomi di Matteo, Marco, Luca e Giovanni circolano quattro racconti su Gesù che ne tratteggiano in altrettante ottiche la vita e la morte. Quattro anche, secondo Wim Weren, le prospettive metodologiche - le "finestre" del titolo - da cui osservare i Vangeli. Con «finestre su Gesù» mi riferisco anche e soprattutto ai metodi e alle forme di approccio nell’odierna esegesi dei Vangeli. Siamo sempre più convinti che un’esegesi, per essere affidabile, non debba essere vincolata a un unico metodo. Le prospettive sono molteplici, e ciascuna determinerà in larga misura quel che l’esegeta riuscirà a vedere. È come se ci trovassimo davanti a una casa con tutte le porte chiuse. Ma possiamo scorgere molte cose dell’interno perché la casa ha diverse finestre. (p. 9) La sincronia La prima finestra, quella della sincronia, studia singolarmente i vangeli affrontando problemi relativi ai limiti testuali, all'analisi strutturale e narrativa nonché al significato nel contesto di appartenenza. Nel normale uso del linguaggio, sincronia significa contemporaneità. Sincrono o sincronico significa coincidenza nel tempo, fatti che accadono in parallelo, allo stesso tempo… Lo stesso termine tecnico viene usato nelle scienze letterarie: si parla di approccio sincronico quando vengono esaminate le relazioni tra gli elementi che compongono un testo. Ci concentriamo quindi sul testo, così come ci è proposto, senza addentrarci nel quesito se il testo sia costituito da strati più antichi e più recenti. In una lettura sincronica cerchiamo di scoprire modelli di organizzazione e di re n d e re visibili le linee di significato. È illuminante in questa ottica il fatto che il termine «testo» sia collegato, tramite il latino textus, con quello di «tessuto». In un’impostazione sincronica, un testo viene considerato come un insieme variegato in cui sono intessuti diversi fili. Il lettore vi riveste un ruolo attivo. Un’importante attività dei lettori è quella di mettere in relazione, gli uni con gli altri, gli elementi di cui è composto il testo. Dai singoli elementi otteniamo piena conoscenza del testo nel suo insieme, mentre, inversamente, l’insieme getta una propria luce sui diversi elementi. (p. 11) La diacronia La seconda finestra, quella della diacronia, esamina le antiche tradizioni da cui i Vangeli discendono, prestando particolare attenzione alla critica delle forme e della redazione, alla questione dei passi paralleli nonché del rapporto tra il Vangelo di Giovanni e quelli sinottici. Diacronia («attraverso il tempo») è la sorella gemella della «sincronia». Il termine diacronico si riferisce allo sviluppo storico; viene messa in evidenza, cioè, la non contemporaneità. …Fino a un certo punto, in un determinato testo, è ancora possibile ritrovare le tracce della storia del suo sviluppo. In un testo, frutto di un lungo processo di maturazione, strati più antichi e più recenti si sono fusi. Che le parti messe insieme non siano originariamente appartenute l’una all’altra può essere anche desunto, talvolta, dal fatto che esse non si combinano esattamente fra di loro, che mostrano una certa tensione reciproca o che, addirittura, si contraddicono decisamente. Le imperfezioni e le tensioni letterarie costituiscono il punto di partenza per una ricostruzione della storia dello sviluppo del testo. Il testo, così come si presenta, serve allora come trampolino di lancio per alcune formulazioni sugli stadi precedenti del processo di produzione letteraria. Il testo viene dunque collocato su un piano storico. Si presuppone che lo studio dell’origine di un testo sia di grande importanza per la sua comprensione. Durante il suo sviluppo, il testo può essere stato arricchito di nuovi significati, facendo scomparire sullo sfondo, o addirittura insabbiando del tutto, altri strati più antichi. Si potrebbe parlare, in questo caso, di un significato in sviluppo o di un progresso del significato. Quanto detto fin qui intorno a un testo può forse suonare un po’ strano, perché noi abbiamo familiarità soprattutto con testi di breve durata. Nella nostra cultura di comunicazione immediata, molti testi assomigliano a una pianta che oggi cresce rapidamente e domani appassisce. Sulla stampa appare solo la versione definitiva e, leggendo un testo, nessuno si preoccuperà per la quantità di brutte copie con le quali l’autore ha riempito il cestino. I testi odierni provengono generalmente dalla mente di un unico scrittore e l’originalità resta un supremo ideale. E p p u re, abbiamo anche familiarità con testi di altro tipo. Rapporti e annotazioni passano da un ufficio all’altro prima che ne sia autorizzata la pubblicazione. … Un testo di legge, nella sua forma presente, è fortemente influenzato dagli emendamenti presentati dai membri del parlamento assistiti, a loro volta, da giuristi e da altri esperti. Uno studio della storia dello sviluppo di un tale documento può off r i re un buon contributo a una migliore comprensione del prodotto finale. (p. 12-13) L’intertestualità La terza, la finestra dell'intertestualità, ne analizza i testi in relazione ad altri passi biblici, alle esegesi giudaiche e ai Vangeli apocrifi. La parola «intertestualità» indica il fatto che l’interesse è rivolto in primo luogo alle relazioni tra i testi. Il raffronto tra testi diversi non rappresenta nulla di nuovo, dato che esso viene praticato da quando esistono testi. Il presupposto, alla base di uno studio intertestuale, è che un testo sia intessuto con altri testi e che la sua forma, il suo significato e la sua funzione vengano determinati da queste relazioni. Cerchiamo di chiarire: se ci immaginiamo la scrittura o la lettura di un testo come un processo dal percorso lineare, potremmo dire che, nello scrivere o nel leggere quel testo, ogni volta ci vengono alla mente parole e frasi di altri testi. (p. 14) La storia L'ultima, quella della storia, affronta infine la questione del Gesù storico. Solo per ultima introduco la finestra della storia: fino a che punto e a quali condizioni si possono usare i Vangeli canonici per una ricostru z i one della vita di Gesù? In generale, i lettori della Bibbia hanno la tendenza a iniziare da questo interrogativo («Questa storia è realmente accaduta?») o forse, addirittura, a non porsi nemmeno la domanda pensando che, naturalmente, tutto ciò che sta scritto nella Bibbia è realmente accaduto… Mantengo separata la finestra della storia perché, se è vero che la prospettiva diacronica è necessaria, essa non è però sufficiente. Una visione diacronica può facilmente restare impigliata in un discorso circolare, ricercando la storicità che sta dietro al racconto: partendo dai testi ne deduciamo un particolare sviluppo storico e permettiamo che questa ricostruzione influisca, a sua volta, sulla nostra lettura del materiale testuale. La ricerca del Gesù storico impone una grande conoscenza delle relazioni socio-politiche e religiose del tempo in cui egli esordì. Per avere una visione di questo complesso insieme è necessaria la collaborazione di varie discipline: la scienza storica, l’archeologia e la ricerca sociologica sul giudaismo dell’inizio della nostra era. (p.15-16)