Corso di Storia contemporanea 1 – Prof. Tommaso Detti Come si scrive un testo di storia. Nozioni elementari Come si scrive un testo di storia? Naturalmente in buon italiano, o quanto meno in un italiano corretto, privo cioè di errori di ortografia, di grammatica e di sintassi: siamo all'università, e per di più nell'area umanistica, cosicché questi requisiti non dovrebbero essere neppure essere ricordati; mi perdonerete se l'ho fatto, ma una lunga esperienza mi induce ad affermare che non si tratta di avvertenze superflue. Ciò detto, le questioni che dobbiamo affrontare riguardano in sostanza le peculiarità di un testo di storia. Per una parte non secondaria, peraltro, queste non sono appannaggio esclusivo della scrittura della storia, che in realtà le condivide con altre discipline, ma ovviamente noi le prenderemo in esame facendo specifico riferimento alla nostra. Un testo di storia può incorporare immagini, istogrammi, cartografie, tabelle e altri oggetti, ma in linea di massima è costituito da parole. Mentre però un'opera narrativa di norma è costituita da una successione di periodi anche graficamente uniformi, la pagina di un saggio – sia esso di storia, di sociologia, di filosofia, di critica letteraria o altro – si presenta al lettore come una struttura più complessa. Schematizzando un po', questo tipo di pagina può essere suddiviso in tre parti essenziali: 1) il testo vero e proprio, scritto direttamente dall'autore; 2) eventuali citazioni, cioè blocchi di testo non scritti dall'autore, ma riprodotti da altri testi o da fonti di varia natura; 3) le note a piè di pagina. Non sempre, e comunque non in ogni pagina, questi tre blocchi di testo sono presenti: alcuni editori pubblicano le note non a piè di pagina, ma in fondo al capitolo o al volume, ed è ovvio che possano esserci pagine prive di citazioni e di note. La pagina tipo di un testo di storia, comunque, presenta un aspetto di questo genere (si tratta delle pp. 4849 del libro di Enzo Traverso, Il totalitarismo, Bruno Mondadori, Milano 2002): 1 Le note sono collegate alle altre parti da un numero progressivo, che in genere viene scritto in esponente. Nel caso di una citazione la nota è obbligatoria: trattandosi di un testo che non è farina del sacco dell'autore, l'indicazione della sua provenienza non è soltanto necessaria per consentire al lettore di risalire alla fonte e verificarla, ma è anche la condizione necessaria per evitare all'autore un'accusa di plagio. Nell'esempio che segue la citazione a metà di p. 49 è tratta da un'opera di Jacques Maritain e Traverso ne indica la provenienza nella nota n. 17. Le citazioni vengono solitamente composte in un corpo tipografico più piccolo di quello del testo, in alcuni casi (come questo) con un rientro del margine di sinistra, e sono precedute e seguite da uno spazio che le separa dal testo. Non tutte le citazioni, tuttavia, vengono impaginate così: questa modalità si usa quando il testo citato supera, a seconda dei casi, le tre o le cinque righe. Quando la citazione è più breve, invece, essa viene inserita nel corpo del testo senza alcuno spazio separatore ed è composta nel medesimo corpo tipografico. 2 Nel caso di citazioni lunghe, la composizione in corpo minore e gli spazi che la separano dal testo sono sufficienti a mostrare quali siano le parole citate. Nel caso di citazioni brevi, invece, il semplice rinvio ad una nota non è sufficiente perché le parole citate sono incastonate tra quelle dell'autore senza alcuna separazione e nello stesso corpo tipografico. Per questo è necessario racchiuderle fra due virgolette. Nella nostra pagina vedete una citazione di questo genere; è così breve da essere composta di due sole parole, ma tanto basta: essa è racchiusa tra due virgolette particolari, che per ragioni intuitive si chiamano caporali: « » Ciò detto, le note non si usano soltanto per indicare la provenienza delle citazioni, ma anche per fare dei riferimenti indiretti. È il caso della nota n. 15 della p. 48 del nostro esempio. Qui Traverso parla di un articolo pubblicato nel 1939; non ne trascrive alcun brano, ma ne riporta in nota gli estremi bibliografici. Esistono anche altri casi nei quali le note sono necessarie: 3 1. quando un testo non è citato letteralmente, ma viene parafrasato o riassunto dall'autore; il fatto che in casi del genere non occorano virgolette non ci esime da citare gli autori dei quali parliamo; 2. quando si fanno riferimenti ancora più indiretti. Se ad es. mi capita di accennare a un evento o a un problema storico che non viene trattato nel mio testo, posso inserire una nota del tipo «su questo argomento cfr. (confronta)» e citare il libro o i libri che ne trattano. Così come, se mi riferisco a un dibattito interpretativo su questo o quel problema, e se su di esso è disponibile una rassegna critica, può essere opportuno rinviarvi in nota. 3. Le note a piè di pagina possono essere inoltre utilizzate come contenitori utilizzabili per fornire precisazioni e chiarimenti di vario genere, che se inseriti nel testo potrebbero interrompere il filo del discorso. 4. Le note, infine, sono anche spazi utilizzabili per svolgere alcune considerazioni integrative o di rilievo secondario, che si ritengono utili ma interromperebbero il filo del discorso perché più lunghe di un semplice chiarimento tecnico. In questo caso le note vengono a configurarsi come una sorta di secondo livello del testo. Inutile dire che se le note non vengono composte a piè di pagina, ma alla fine del capitolo o del libro, questa procedura perde gran parte della sua funzionalità perché il collegamento fra testo e note è molto più complicato e scoraggia il lettore da muoversi con lo sguardo dal primo alle seconde. Quanto devono essere lunghe le note? E quanto devono essere lunghe le citazioni? In entrambi i casi è bene non eccedere. Per quanto riguarda le note, è vero che uno studioso ancora non affermato e (a maggior ragione) uno studente possono avere delle attenuanti perché sono tenuti a dimostrare di padroneggiare la materia di cui trattano, ma in ogni caso le note devono essere per quanto possibile contenute. Pagine costituite da tre righe di testo e per il resto da note, che pure qualche volta capita di leggere, sono assolutamente insopportabili. Anche le citazioni non possono essere troppo lunghe. Di nuovo non esiste una regola precisa, ma se non altro possiamo enunciare un paio di criteri: 1. Una lunga citazione si giustifica tanto più, quanto più è autore- 4 2. vole l'autore del testo citato e/o è pertinente, corposo, significativo, originale il suo contenuto; Questo criterio rinvia a un altro, dal quale è ancora più importante non prescindere: una citazione deve essere utile. Nel suo vecchio libro Come si fa una tesi di laurea (Bompiani, Milano 1977), Umberto Eco porta questo esempio: «Le comunicazioni di massa costituiscono, come dice McLuhan, “uno dei fenomeni centrali del nostro tempo”». Non c'era alcun bisogno di scomodare McLuhan per fargli dire una simile ovvietà. Quando ci si serve di una citazione per appoggiarsi all'autorità di qualcuno, ha senso farlo per affermazioni un po' più impegnative. Oltre a ciò, le citazioni devono essere fedeli. Ciò che è stato scritto da un altro, chiunque esso sia, deve essere riprodotto tale e quale, senza alcuna alterazione neppure formale. Se un autore scrive al presente e ciò vi crea qualche problema perché voi state invece scrivendo, poniamo, all'imperfetto, il rispetto che è dovuto alla consecutio temporum può suggerire di modificare il tempo di un verbo, ma questo intervento deve essere segnalato: si può farlo scrivendo il verbo in corsivo, oppure racchiudendolo fra due parentesi quadre. Allo stesso modo devono essere segnalate eventuali omissioni. Se ad esempio, per brevità, decidete di non riprodurre un inciso, potete farlo ma siete tenuti a segnalarlo inserendo tre puntini di sospensione al posto della parte eliminata. I punti di sospensione sono tre e soltanto tre: non due, quattro o cinque. E poiché può ben darsi che un testo citato contenga esso stesso dei punti di sospensione, i vostri debbono essere distinti inserendoli tra due parentesi quadre: […] Poiché la fedeltà all'originale deve essere totale, non è ammesso neppure che vengano corretti errori, refusi tipografici o sgrammaticature del testo citato. Questi vanno riportati tali e quali, salvo che – per evitare che vengano attribuiti a voi – conviene farli seguire da un sic (così) tra parentesi quadre: [sic] Può inoltre accadere che il testo da voi citato contenga a sua volta una citazione; anche questa deve essere indicata. A tale scopo, per evitare confusioni, si ricorre a virgolette di tipo diverso: caporali « », virgolette alte doppie “ ”, virgolette alte singole ' '. Se la vostra citazione è racchiusa tra due caporali, la seconda citazione che è «annidata» nella 5 prima si racchiude fra virgolette alte doppie; se poi per caso ce n'è addirittura una terza, quest'ultima può essere riconosciuta ricorrendo a virgolette alte singole: Forse qualcuno avrà notato che per segnalare un errore in una citazione ho scritto sic in corsivo. Sic infatti non è una parola della lingua italiana, ma della lingua latina. Le parole straniere si scrivono sempre in corsivo, a meno che non siano ormai divenute di uso tanto comune, da essere incluse nei dizionari della lingua italiana. Sport, trend o elite, ad esempio, si scrivono in carattere tondo per questo motivo, mentre Weltanschauung, che significa concezione del mondo ed è difficilmente suscettibile di essere inclusa in un dizionario italiano, si scrive in corsivo. Attenzione, però: in francese elite si scrive con l'accento acuto sulla prima e; se poi la si usa al plurale, si aggiunge una s finale. Delle due una, dunque: o scrivete elite in tondo, senza accento e senza s finale, oppure dovete scrivere élite e, al plurale, élites. Il corsivo non si usa, invece, per indicare che una parola viene usata in una accezione particolare, diversa da quella corrente. Prendiamo ad es. la parola rivoluzione: originariamente indica il movimento di un corpo celeste, ma poi si è affermata nel significato di cambiamento rapido e radicale. Se, qualificando un fenomeno come una rivoluzione, intendete – come dire? – prendere un po' le distanze da una interpretazione simile, o ridimensionarne il senso, allora scriverete “rivoluzione”. Le virgolette, insomma, indicano che stiamo dicendo qualcosa del tipo “una cosiddetta rivoluzione”. Il più delle volte le opere che si citano in un testo di storia sono libri o articoli apparsi su riviste specializzate. Qui di seguito vedete ad esempio la copertina del libro di Traverso, del quale abbiamo già utilizzato una pagina: 6 Attenzione però: un libro non si cita dalla copertina, che può trarre inganno perché incompleta, o perché l'editore può avervi aggiunto qualche elemento di richiamo a fini di promozione editoriale. Un libro si cita dal frontespizio, cioè dalla pagina che all'interno riporta il nome dell' autore, il titolo e il nome dell'editore. Come si vede, in questo caso nella copertina non c'è il sottotitolo, che invece deve essere sempre citato. Ma anche il frontespizio non è sufficiente perché di un libro debbono essere citati non solo autore, titolo, sottotitolo e casa editrice, ma anche il luogo e l'anno di edizione, che spesso sono indicati nella pagina successiva. Come si vede nell'immagine che segue, qui sono indicati il copyright, quando si tratta di una traduzione il titolo e l'anno di pubblicazione dell'edizione originale e di norma il luogo dell'edizione italiana. Dico «di norma» perché proprio in questo caso viene sì indicato l'anno di pubblicazione, ma non il luogo dove ha sede la casa editrice. In questi casi tale informazione si trova in fondo al volume; qui, in particolare, un'avvertenza in basso segnala che essa è reperibile nella scheda catalografica riportata nell'ultima pagina. 7 Poi ci sono, appunto, gli articoli di rivista. Nell'immagine seguente vedete la copertina di un fascicolo della rivista «Contemporanea»: 8 Qui sotto è invece riprodotto il frontespizio della rivista, dove vengono segnalati l'anno d'ordine (in numeri romani), il numero, il mese e l'anno del fascicolo della rivista, che precedono l'indice o sommario. L'anno d'ordine VII indica che la rivista è giunta nel 2004 al suo settimo anno di vita; il numero 2 che si tratta del secondo fascicolo del 2004, il mese di aprile suggerisce che «Contemporanea» ha una periodicità trimestrale: il primo numero esce a gennaio, il secondo ad aprile, il terzo a luglio e il quarto a ottobre. 9 Analogo, ma non identico, è il quadro che ci presenta un'altra rivista italiana di storia contemporanea, «Passato e presente»: 10 Qui il numero del fascicolo è 63 e ciò indica che questa rivista adotta una numerazione progressiva a partire dal primo fascicolo, che nel caso specifico è stato pubblicato 22 anni prima. Un po' diverso è anche il modo di indicare il mese di pubblicazione: «Passato e presente» riporta infatti i mesi di settembre-dicembre, ciò che comunque segnala che la periodicità della rivista non è trimestrale, ma quadrimestrale. Si noti che l'anno d'ordine XXII non figura nella copertina, mentre viene indicato nel frontespizio: 11 E veniamo alle regole essenziali a cui attenersi per le citazioni. Come potrete constatare sfogliando libri di diversi editori, non esiste uno standard internazionale, e neppure uno italiano, al quale attenersi. Nella prima delle tre citazioni che seguono, ad es., gli autori sono scritti in caratteri maiuscoli e i loro nomi propri sono abbreviati; la seconda si serve del maiuscoletto e riporta il nome proprio per esteso; la terza scrive nome e cognome in carattere alto/basso, cioè con le sole iniziali maiuscole. Potete scegliere la modalità che preferite, ma con un'avvertenza: qualunque sia la vostra scelta – in questo caso come per tutte le altre regole delle quali stiamo parlando – una volta che l'avete fatta è essenziale che vi ci atteniate sempre. M. FLORES, N. GALLERANO, Introduzione alla storia contemporanea, Bruno Mondadori, Milano 1995 PAOLO MACRY, La società contemporanea. Una introduzione storica, Bologna, Il Mulino, 1992 12 Eric J. Hobsbawm, Il Secolo breve, Rizzoli, Milano 1995 (ediz. orig. 1994) Di norma, se si scrive per esteso il nome proprio dell'autore quando lo si cita per la prima volta, esso può essere omesso nelle citazioni successive, a meno che non si sappia che esiste il rischio di una omonimia: tra gli storici italiani dell'età contemporanea vi sono ad es. Giuliano Procacci e Giovanna Procacci. Nel dubbio, questa può essere una buona ragione per scrivere sempre il nome per esteso, tanto più che una relazione di seminario o una tesi di laurea in genere con sono corredati da un indice dei nomi che ci dica come effettivamente si chiama l'autore citato. Si noti inoltre che la prima citazione reca prima la casa editrice e poi, senza virgola di separazione, il luogo e l'anno di edizione, mentre la seconda scrive prima il luogo, poi l'editore e infine l'anno, separati da virgole. In tutti i casi, comunque, titolo e sottotitolo si scrivono in corsivo. La citazione seguente si riferisce alla stessa opera di Hobsbawm che abbiamo citato sopra – Il secolo breve –, ma in questo caso si riferisce all'edizione originale inglese, aggiungendo tra parentesi gli estremi della traduzione italiana. Se il vostro professore non lo richiederà, a mio parere potete evitare di essere così pignoli. Eric J. Hobsbawm, Age of Extremes. The Short Twentieth Century, 1914-1991, Michael Joseph, London 1994 (trad. it. Il Secolo breve, Rizzoli, Milano 1995) È importante, viceversa, che citando una traduzione italiana si aggiunga tra parentesi (come è stato fatto sopra nella citazione della versione italiana di Il Secolo breve) l'anno dell'edizione originale. Se infatti in questo caso la traduzione italiana segue di appena un anno l'edizione originale, un'opera può essere tradotta anche a molti anni di distanza e per contestualizzarla è essenziale sapere quando è apparsa per la prima volta. Un libro può essere opera di uno o due autori, ma può essere anche una raccolta di saggi di molti autori, che sarebbe troppo lungo citare tutti quanti. Così è ad es. per '900. I tempi della storia, che abbiamo 13 ricordato perché vi è pubblicato un articolo di Charles S. Maier che abbiamo citato. Nella prima delle citazioni che seguono la presenza di più autori è segnalata dalla scritta Aa. Vv. (che sta per Autori Vari) e il titolo dell'opera è seguito dal nome del curatore, che nel caso specifico è Claudio Pavone; questa modalità può essere utilizzata, ma non è tra le più corrette. In casi simili è preferibile indicare il curatore al posto dell'autore, come nella seconda citazione, salvo segnalarne il ruolo facendolo seguire da un «a cura di» tra parentesi, essendo sottinteso che se c'è un curatore l'opera comprende contributi di autori vari. Quando invece gli autori sono diversi e non c'è un curatore, può essere buona regola citare il primo di essi in ordine alfabetico, aggiungendovi la dizione «et al.», che sta per et alii, ovvero ed altri. Aa. Vv., '900. I tempi della storia, a cura di C. Pavone, Donzelli, Roma 1997 C. Pavone (a cura di), '900. I tempi della storia, Donzelli, Roma 1997 C. Pavone et al., ... Può accadere che un libro abbia avuto una o più nuove edizioni, cioè non semplici ristampe ma versioni aggiornate o comunque modificate rispetto alla prima. In questi casi occorre segnalarlo, aggiungendo all'anno di pubblicazione il numero dell'edizione che abbiamo consultato, in esponente o apice. Se ad es. la seconda edizione è del 1967, scriveremo: 19672 E ancora, un libro può essere composto da più di un volume. Citandolo, è perciò necessario aggiungere questa informazione. Quando ad es. si segnala la presenza di due volumi, si scrive un 2 in numeri arabi seguito da voll., che è l'abbreviazione di volumi: 2 voll. Quando invece si cita specificamente uno solo dei volumi, poniamo ancora il secondo, lo si indica in numeri romani, non prima ma dopo vol., che ha una sola l perché è singolare: vol. II 14 Se di un libro si cita una sola pagina, alla citazione se ne aggiungerà il numero, preceduto da una p puntata: p. 123 Se ci citano più pagine, le p diventano due e si indicano la prima e l'ultima pagina dell'intervallo: pp. 123-7 Possono essere fatti anche riferimenti meno precisi, del tipo pagine 123 e seguenti: pp. 123 ss. (o sgg.) Può infine capitare che l'oggetto di una specifica citazione corrisponda grosso modo a un argomento ricorrente nell'intero volume; in questo caso l'indicazione della pagina viene seguita da «e passim» (naturalmente in corsivo, trattandosi di una parola latina): p. 123 e passim Citare genericamente un libro aggiungendovi passim è pure possibile, ma francamente lo trovo superfluo: se non vengono indicate singole pagine o parti dell'opera, è infatti implicito che si fa riferimento all'intero volume. Di un libro, infine, è possibile citare non una o più pagine, ma uno o più capitoli: cap. 5, capp. 5-7 E ancora, può succedere di citare un libro non una ma più volte. In questi casi le citazioni successive alla prima non debbono recare le indicazioni bibliografiche complete. Bastano l'autore e il titolo, seguiti da “cit.” ed eventualmente dal numero della pagina. Cfr. Eric J. Hobsbawm, Il Secolo breve cit., pp. 321 ss. Se il titolo è molto lungo, è anche possibile non citarlo per intero, riportandone soltanto le prime parole, seguite in questo caso da tre puntini di sospensione senza parentesi quadre. Potrà anche capitarvi, in casi del genere, di trovare il nome dell'autore seguito da “op. cit.”, che sta per opera citata. E. J. Hobsbawm, Op. cit., p. 321. 15 Non usate questa modalità perché complica inutilmente la vita al lettore: Hobsbawm, ad es., ha scritto un gran numero di libri, voi potreste averne già citato più d'uno e se usaste op. cit. non si capirebbe a quale vi riferite. Ma se anche ne citate uno solo, il lettore potrebbe non ricordare si quale si tratta e lo costringereste a tornare indietro per appurarlo. Le note nelle quali si scrivono le citazioni non sono peraltro a sé stanti, ma fanno parte di una serie numerata progressivamente. Nell'esempio qui sotto ho immaginato che alla nota n. 4 abbiamo citato l'Introduzione alla storia contemporanea di Flores e Gallerano e alla nota 5 Il Secolo breve di Hobsbawm. Se alla nota immediatamente successiva, che in questo caso è la n. 6, voglio citare un altro libro dello stesso Hobsbawm – ad es. l'Età degli imperi – non ripeterò il nome dell'autore, ma lo sostituirò con Id. puntato, che è l'abbreviazione di Idem, lo stesso (se si trattasse di un'autrice scriveremmo Ead.). Sebbene si tratti di una parola latina, in questo caso niente corsivo perché l'autore si scrive sempre in carattere tondo. 4 M. Flores, N. Gallerano, Introduzione alla storia contemporanea, Bruno Mondadori, Milano 1995 5 E. J. Hobsbawm, Il Secolo breve, Rizzoli, Milano 1995, p. 321 6 Id., L'età degli imperi, 1875-1914, Laterza, Roma-Bari 1987 7 Ivi, p. 133. 7 Ibidem (o Ibid.) Se poi alla nota ancora successiva, la n. 7, intendo riferirmi ancora allo stesso libro dello stesso autore che ho citato alla nota n. 6, in questo caso posso sostituire l'intera citazione con un semplice “ivi”, seguito dal numero o dai numeri di pagina. Se infine nella stessa nota n. 7, invece di riferirmi a una pagina diversa dello stesso libro, voglio citarne una seconda volta proprio la stessa pagina citata alla nota precedente, allora può bastare Ibidem, eventualmente abbreviato in Ibid., senza numero di pagina. E, naturalmente, in corsivo. Qui sotto ho riprodotto tre diverse citazioni del saggio di Charles S. Maier, Secolo corto o epoca lunga?, da noi già ricordato, rinviando però non al volume '900. I tempi della storia, ma a un fascicolo speciale della 16 rivista «Parolechiave». C. S. Maier, Secolo corto o epoca lunga? L'unità storica dell'età industriale e le trasformazioni della territorialità, in C. Pavone (a cura di), Novecento, fasc. spec. di «Parolechiave», 1996, n. 12 (Donzelli, Roma 1997), pp. 41-69. C. S. Maier, Secolo corto o epoca lunga? ecc., in Id., ... C. S. Maier, Secolo corto o epoca lunga? L'unità storica dell'età industriale e le trasformazioni della territorialità, «Parolechiave», 1996, n. 12, pp. 41-69. '900. I tempi della storia è infatti una riedizione in forma di volume di quel fascicolo di «Parolechiave». Il titolo del fascicolo è Novecento (in questo caso in lettere e non i numeri) e l'ho fatto precedere dal nome del curatore, Claudio Pavone. Seguono «fasc. spec.», ad indicare che si tratta di un fascicolo speciale, il nome della rivista, l'anno e il numero. Questo fascicolo della rivista appartiene peraltro all'annata 1996, ma è stato pubblicato in ritardo, nel 1997, cosicché per essere molto preciso in questo caso ho pensato bene di aggiungere tra parentesi editore, luogo e anno di edizione. Ciò che peraltro si fa soltanto in presenza di numeri monografici delle riviste, che in qualche modo sono assimilabili a volumi. Notare che la testata della rivista è scritta tra virgolette; a volte invece delle virgolette può trovarsi il corsivo, ma è meno corretto. Immaginiamo ora che questo saggio, invece di essere pubblicato in un libro curato da Pavone, venisse raccolto dallo stesso Maier in un volume assieme ad altri suoi saggi; in questo caso l'autore del saggio e l'autore del volume coinciderebbero e perciò dovremmo citare la prima volta Maier, poi il titolo del saggio, “in” e “Id.”, seguito dal titolo del libro e dalle altre indicazioni bibliografiche (è la seconda delle citazioni qui sopra). La terza citazione, infine, tratta l'articolo di Maier come se fosse apparso in un normale fascicolo di rivista, non monografico. Autore, titolo e sottotitolo si citano come quelli di un libro, dopo di che seguono la testata della rivista tra virgolette (che può essere o non essere preceduta da “in”), l'anno, il numero e le pagine. Quando si cita un articolo di rivista senza rinviare con precisione a una pagina, è buona norma 17 indicare sempre la prima e l'ultima pagina. Riassumendo, per quanto riguarda le riviste dopo l'autore e il titolo si indicano la testata fra virgolette, l'anno d'ordine (che però può essere considerato facoltativo), l'anno di edizione, il numero del fascicolo e la o le pagine. Il numero del fascicolo è peraltro obbligatorio soltanto quando la numerazione delle pagine di ogni fascicolo inizia da 1. Quando la numerazione delle pagine è progressiva nell'ambito dell'intera annata, questo dato è invece facoltativo. Nella seconda delle citazioni che seguono vedete infine un modo un po' diverso di citare una rivista: l'anno d' ordine in numeri romani non è preceduto dalla a. puntata e l'anno di edizione è tra parentesi: si trovano entrambe le modalità ma come sempre, una volta fatta una scelta, occorre rimanerle fedeli. ..., «Parolechiave», a. X, 1996, n. 12, pp. 41-69. ..., «Parolechiave», X (1996), pp. 41-69. Come per i libri, infine, un articolo di rivista che venga citato per la seconda, terza o quarta volta può essere indicato in forma abbreviata. “Art. cit.” non è meno sconsigliabile di “Op. cit.” C. Maier, Secolo corto... cit., p. 53. C. Maier, Art. cit., p. 53. Non esistono invece differenze nel modo di citare libri e riviste nel caso in cui venga adottato un sistema di citazione completamente diverso, che si è diffuso in Italia da relativamente pochi anni, provenendo dagli Stati Uniti, e che perciò viene correntemente chiamato «all'americana». In questo caso non ci si serve delle note a piè di pagina perché la citazione viene fatta in forma estremamente abbreviata ed è perciò inserita nel testo, fra parentesi: (Hobsbawm 1995, p. 123) Qui Il secolo breve è citato richiamando soltanto il nome dell'autore e l'anno di pubblicazione del libro, seguiti eventualmente dal numero 18 di pagina, con o senza la p puntata. Nel caso in cui vengano citate più opere pubblicate dal medesimo autore nello stesso anno, per distinguerle quest' ultimo deve essere seguito da una lettera: 1995a, 1995b, 1995c ecc. Questo modo di fare le citazioni è tuttavia largamente incompleto e perciò lo si può usare soltanto a condizione che in fondo al testo vi sia una bibliografia contenente le indicazioni complete. La bibliografia deve inoltre essere redatta in modo che il lettore possa risalire agevolmente alle opere citate. Ciò si ottiene disponendo i nomi degli autori in ordine alfabetico, ripetendo l'autore e l'anno, come nell'esempio che vedete: prima l'autore e l'anno, poi il titolo, l'editore e il luogo. Non si ripete invece l'anno perché esso è già indicato dopo il nome dell'autore. Hobsbawm 1987 L'età degli imperi, 1875-1914, Laterza, Roma-Bari Hobsbawm 1995 Il Secolo breve, Rizzoli, Milano Se in una esercitazione di seminario, prevedibilmente, vi capiterà di citare soltanto libri e articoli di rivista, è ovvio che in una tesi di laurea o in un saggio di ricerca vengano citate anche fonti: d'archivio, a stampa o d'altro genere. Per ragioni di tempo non mi soffermerò sui criteri che si utilizzano nella citazione di fonti d'archivio, che potrete apprendere più avanti, e mi limito a segnalare che la citazione dell'articolo di un quotidiano è molto simile a quelle di un articolo di rivista: di norma vengono indicati il nome dell'autore, il titolo, la testata del quotidiano tra virgolette, il giorno, il mese e l'anno. Autore, Titolo, «Testata del quotidiano», 28 novembre 2005 Almeno un cenno, tuttavia, deve essere riservato alla citazione di risorse on line. Lo sviluppo delle tecnologie informatiche ha fatto sì che in rete siano disponibili in misura sempre crescente libri e articoli, senza contare che è sempre possibile citare pagine web che non si configurino né come libri, né come articoli. Facciamo un esempio. Se faceste una ricerca bibliografica per sapere quali siano le opere di Paolo Viola, uno studioso di Storia moderna purtroppo recentemente scomparso, tra esse trovereste questo saggio: P. 19 Viola, Le rivoluzioni francesi e la mobilitazione nazionale, in Rivoluzioni. Una discussione di fine Novecento, a cura di D.L. Caglioti ed E. Francia, Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi, Roma 2001, pp. 31-40. Il volume raccoglie le relazioni di un convegno promosso dalla Sissco - Società italiana per lo studio della storia contemporanea; poiché questa società mette in rete le sue pubblicazioni, potreste leggere il saggio sul web. In tal caso, tuttavia, dovreste segnalare che lo avete preso da lì e che lì è consultabile. A questo scopo si aggiunge alla citazione l'URL (Uniform Resource Locator), cioè l'indirizzo della pagina web, tra parentesi angolari: < http://www.sissco.it/pubblicazioni/col_arch_stato/ rivolu zioni /viola.htm > [consultato il 28 novembre 2007] Tuttavia i siti web sono spesso volatili: il giorno dopo che avete consultato una pagina, quella pagina o addirittura l'intero sito web che la ospita potrebbe non esserci più. Perciò, specie se si cita il sito di un organismo non istituzionale, è buona regola aggiungere all'URL l'indicazione della data in cui si è consultata la pagina. Come dire: quel giorno c'era. Se non si vuole scrivere per esteso «consultato il», può bastare la data. Ciò vale a maggior ragione se, invece di citare dal web una fonte cartacea, vi riferite a una fonte disponibile esclusivamente in forma digitale. L'indirizzo di una pagina web può essere molto lungo e deve essere trascritto con estrema precisione. Piuttosto che copiarlo, è perciò convienente fare un taglia-e-cuci direttamente dal web. La pagina nella quale è pubblicato il saggio di Paolo Viola che abbiamo preso ad esempio è riprodotta qui sotto. Nella parte alta, evidenziata in rosso, si nota la barra nella quale il browser – che nel caso specifico è Mozilla Firefox – mostra il suo indirizzo. Notate anche che in questo caso il saggio è riprodotto in una pagina html e perciò consultandolo in rete è impossibile citarne una pagina particolare. Se invece esso fosse stato pubblicato in formato pdf, la versione digitale potrebbe riprodurre fedelmente l'originale cartaceo e sarebbe possibile riferirsi a una pagina specifica. 20 Concludiamo queste sommarie indicazioni con un accenno alla bibliografia che dovrebbe corredare un testo a carattere scientifico. Come confezionarla? Quando consta soltanto di libri e di articoli di rivista, il modo più semplice è naturalmente quello di disporli in ordine alfabetico. Ma una bibliografia può essere tanto ampia da suggerire l'opportunità di suddividerla in paragrafi corrispondenti ai principali sottotemi trattati nel testo, senza contare che può contenere l'indicazione delle fonti utilizzate nella ricerca e che queste si citano diversamente. Premetto che per una bibliografia, come per il resto, non esiste una regola precisa e che vi sono molti modi di suddividere il materiale in settori relativamente omogenei. Questi variano in relazione con le discipline, gli argomenti del lavoro, le tipologie dei documenti e la loro stessa consistenza quantitativa. Ciò detto, un esempio possibile è questo: 1. FONTI 1.1. Fonti inedite 21 1.1.1. Archivio 1 1.1.2. Archivio 2 1.1.3. Archivio 3 1.2. Fonti edite 1.2.1. 1.2.2. 1.2.3. 1.2.4. 1.2.5. 2. Pubblicazioni ufficiali Libri e opuscoli Memorialistica Giornali e periodici ... LETTERATURA Ulteriori suddivisioni, oppure elenco in ordine 1) alfabetico e 2) cronologico La prima e fondamentale distinzione da tenere presente è quella tra fonti e bibliografia propriamente detta, che però si usa chiamare letteratura perché il termine bibliografia viene utilizzato per indicare l'intero apparato. Per intendersi, le fonti sono di solito documenti coevi di varia natura, mentre la letteratura è l'insieme degli studi scientifici prodotti ex post sull'argomento. Se le fonti sono molte e di diversa natura, farne un solo elenco renderebbe difficile orientarsi al suo interno. Perciò questa parte della bibliografia deve essere ulteriormente suddivisa. La prima, fondamentale e più consueta suddivisione che si usa è quella tra fonti inedite e fonti edite. Le fonti inedite sono in genere conservate in archivi, pubblici o privati, cosicché è utile distinguerle appunto su questa base: archivio n. 1, poniamo Archivio centrale dello Stato, Roma; archivio n. 2, poniamo Archivio di Stato di Siena; ecc. Naturalmente se all'interno di ciascun archivio sono stati consultati fondi diversi, ognuno di essi dovrà essere indicato. Le fonti edite possono essere articolate in molti modi diversi, a seconda delle loro caratteristiche. Se si usano pubblicazioni ufficiali (quelle dei Ministeri, dell'Istat o altro) e se il loro numero giustifica un paragrafo a sé stante, questa può essere ad es. una prima voce. Una seconda potrebbe essere costituita dai libri, ai quali possono essere assimilati gli opuscoli, che si differenziano dai libri essenzialmente per le loro dimensioni ridotte. È chiaro che qui si tratta di libri che vengono utilizzati come fonti, dunque di solito di libri coevi. 22 Un'altra voce potrebbe essere costituita dalla memorialistica. I ricordi dei protagonisti vengono in genere pubblicati a distanza di tempo dagli eventi; per lo storico non sono tuttavia lavori critici, ma fonti. E ancora, può esserci un paragrafo nel quale vengono elencati giornali e periodici dell'epoca trattata. Se si sono consultate alcune annate di un quotidiano, ad es., qui se ne indicheranno la testata e gli anni consultati. Ma, naturalmente, possono esservi altre sezioni e – ripeto – le loro caratteristiche e il loro numero variano in relazione all'argomento trattato. Anche la letteratura può essere infine suddivisa, in questo caso in genere per sottotemi, ma più spesso si dispongono le opere in ordine alfabetico per autore. Se vi sono più opere dello stesso autore, queste possono essere collocate secondo l'ordine alfabetico del titolo, o anche per data di pubblicazione. Libri e articoli di rivista il più delle volte non sono elencati separatamente. Va da sé che tutto ciò ha valore se nel testo si sono usate citazioni e note di tipo tradizionale; se invece si sono fatte citazioni all'americana, allora questa parte della bibliografia deve essere redatta diversamente, seguendo il criterio che abbiamo già indicato. 23