IL GIORNALE ITALIANO DI
CARDIOLOGIA INVASIVA
N. 1• 2005
L’ANGIOPLASTICA DELLE OCCLUSIONI CORONARICHE
TOTALI CRONICHE. REVISIONE CRITICA
Edoardo Verna, Paolo Rubartelli*
Sezione di Emodinamica - Divisione di Cardiologia - Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi Università degli Studi dell’Insubria - Varese
*Divisione di Cardiologia - Azienda Ospedaliera Villa Scassi - Genova
L
o scopo di questa revisione non è quello di
descrivere in dettaglio le tecniche e i materiali
utilizzabili nel trattamento percutaneo delle
occlusioni totali croniche (OTC) ma di fornire una rassegna dello stato dell’arte in questo campo dell’interventistica coronarica. Sono definite OTC le occlusioni delle
arterie coronariche ragionevolmente databili a più di un
mese prima del riscontro angiografico(1-3).
La durata dell’occlusione è stimabile sulla base di dati clinici quali la storia di infarto miocardico o di un improvviso aggravamento della sintomatologia anginosa, ma in
molti casi non è determinabile con precisione. Le occlusioni trombotiche recenti e persistenti dopo un infarto
miocardico acuto non rientrano in questa definizione
benché in alcune casistiche siano state inserite anche
occlusioni recenti (3-7 giorni)(4-6).
Dal punto di vista anatomopatologico le OTC presentano aspetti che le rendono diverse dalle lesioni subocclusive. Il tratto occluso è caratterizzato da due tipi di tessuto:
una placca ateromasica abitualmente fibrocalcifica e una
componente trombotica variamente organizzata. Quando una coronaria cronicamente occlusa viene attraversata
e dilatata, il segmento distale si può rivelare più diffusamente ateromasico di quanto non apparisse attraverso il
circolo collaterale. L’ecografia intravascolare ha dimostrato che le occlusioni totali croniche sono caratterizzate
abitualmente da una più diffusa aterosclerosi, un maggior carico di placca e un minor lume residuo rispetto
alle stenosi subocclusive. Le proprietà meccaniche dell’occlusione dipendono dalla relativa combinazione delle
due componenti. Abitualmente si forma un cappuccio
fibroso alle due estremità dell’occlusione e il tratto intermedio può essere costituito da un unico canale ostruito
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da materiale trombotico organizzato o da una serie di
neo-canali di piccolissimo calibro (200 µ) che decorrono
all’interno di un tessuto fibroso o trombotico. Queste
caratteristiche, fondamentalmente dipendenti dalla durata dell’occlusione e dalla sua modalità di insorgenza (evoluzione progressiva di una placca stenosante o occlusione
trombotica acuta), condizionano la procedura di ricanalizzazione, la scelta dei materiali e la probabilità di successo dell’angioplastica(7).
Dal punto di vista angiografico le OTC sono caratterizzate dall’assenza o da una minima penetrazione del mezzo di contrasto (Flusso TIMI 0-1) e presentano differenti aspetti relativi alla sede dell’ostruzione, ai rapporti con
ramificazioni vascolari, alle caratteristiche del moncone,
alla visualizzazione distale del vaso. Le OTC di vecchia
data sono in genere caratterizzate dalla presenza di maggiori calcificazioni parietali, circoli collaterali e bridging
collaterals.
Indicazioni alla ricanalizzazione
In analogia ai criteri generali di indicazione all’angioplastica coronarica, il trattamento di una OTC deve essere
basato sulla dimostrazione di ischemia inducibile o di
miocardio vitale con disfunzione ischemica potenzialmente reversibile in un significativo territorio miocardico
a valle dell’ostruzione. Abitualmente le OTC con circolo
periferico integro e collateralizzato hanno lo stesso effetto
emodinamico di una stenosi serrata (1) e quindi possono
determinare ischemia silente o sintomatica che migliora
dopo ricanalizzazione (2,5,6,8). Anche in assenza di un circolo collaterale angiograficamente evidenziabile, nel territorio tributario di un vaso cronicamente occluso può essere
presente una quota di miocardio disfunzionante stordito
L’ANGIOPLASTICA
DELLE
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o ibernato ma vitale. Tale miocardio può dimostrare una
ripresa funzionale dopo ricanalizzazione (9,10). La dimostrazione di ischemia si basa sugli abituali criteri clinici e
strumentali (sintomatologia e modificazioni elettrocardiografiche durante test provocativi) utilizzabili nei casi
di stenosi non occlusive, tuttavia in presenza di disfunzione miocardica postischemica o degli esiti di un infarto
miocardico nel territorio a valle di un’ostruzione la dimostrazione della presenza di miocardio vitale e ischemico
può essere più complessa e richiedere l’impiego di tecniche di imaging nucleare (scintigrafia miocardica) o di
altro tipo (ecocardiografia da stress, ecocontrastografia,
risonananza magnetica nucleare). Diversi studi hanno
dimostrato una forte associazione tra l’evidenza di vitalità
miocardica e il miglioramento della sopravvivenza dopo
rivascolarizzazione, mentre in assenza di vitalità non sono
state osservate significative differenze di outcome indipendentemente dal trattamento (11).
Un certo grado di confusione nelle indicazioni al tratta-
mento delle OTC è stato generato dalla tendenza ad
estendere a questo tipo di lesioni i concetti della cosiddetta teoria dell’arteria pervia (open artery theory) basata
sull’ipotesi che la riapertura tardiva del vaso di necrosi
dopo una o due settimane da un infarto miocardico possa prevenire il rimodellamento ventricolare indipendentemente dalla presenza di ischemia dimostrabile. Quest’ipotesi, che necessita ancora di una convalida, non si
applica strettamente alle OTC propriamente dette.
Infine, il trattamento di una OTC può essere preso in
considerazione anche in assenza di chiara dimostrazione
di ischemia in alcuni pazienti con malattia coronarica
multivasale in cui si preferisca perseguire una rivascolarizzazione completa mediante angioplastica coronarica o
si voglia assicurare un circolo collaterale al letto distale
di altri vasi durante il trattamento.
Uno schema illustrativo delle indicazioni e delle scelte
procedurali connesse al trattamento delle OTC è presentato nella Figura 1.
TECNICA DI RICANALIZZAZIONE DELLE OTC
Selezione della guida dipendente
dalla localizzazione e
caratteristica dell’OTC
OTC prossimale
corta, «tapered»,
non calcificata
Guida Floppy
atraumatica
Guida ad alto supporto
floppy/intermedia o standard
OTC medio-distale,
calcificata, lunga e
tortuosa
Palloncino a basso profilo 1,5-2,0 mm (OTW)
Attraversamento
Controllo corretto posizionamento
nel lume (sistema OTW/Probing
system/iniezione collaterali)
Angioplastica/Stent
Debulking/Stent
Non attraversamento
Guide intermedie/standard o Hybrid wires
nuovi strumenti (Frontrunner/Translumina)
Laser/Ultrasound wires)
Attraversamento
Insuccesso
Figura 1. Fasi della procedura di disostruzione e angioplastica delle occlusioni totali croniche (vedi testo).
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IL GIORNALE ITALIANO DI
CARDIOLOGIA INVASIVA
Selezione dei pazienti
La selezione dei pazienti con OTC da sottoporre ad
angioplastica è cruciale e sono stati identificati elementi
specifici e fattori predittivi del successo procedurale. La
maggior parte degli studi riporta un’associazione negativa
tra la durata dell’occlusione e il successo dell’angioplastica, ma nel recente studio TOAST(2) questa associazione è
stata confermata solo per le OTC di durata >6 mesi.
Anche la presenza di calcificazioni è un fattore predittivo
di insuccesso (2,5,12,13). Sia la valutazione in vivo con ultrasonografia intravascolare (14) che l’analisi istologica all’esame
autoptico (15) dimostrano un aumento della componente
calcifica della placca nelle occlusioni più vecchie. Molti
Autori hanno riportato una maggiore percentuale di successo nelle OTC con flusso TIMI 1 benché alcuni non
considerino le lesioni con queste caratteristiche come
vere OTC, definendole occlusioni «funzionali» (3,12,16-18). Il
più recente e ampio studio TOAST (2) non ha confermato
questa osservazione. La lunghezza del tratto occluso è un
fattore predittivo di insuccesso della ricanalizzazione, ed
appare correlato all’età dell’OTC (14). La localizzazione e la
morfologia del moncone sono aspetti frequentemente
associati al successo procedurale. Ivanhoe et al. (19) hanno
riportato un successo più elevato nelle OTC della discendente anteriore. Questo dato è osservato anche nello studio TOAST (2), ma non è stato confermato all’analisi multivariata. Un aspetto favorevole riportato da diversi Autori è la morfologia rastremata (tapered) del moncone
angiografico (2,4,19-22). Questa morfologia è associata alla
dimostrazione istologica della persistenza di un lume
residuo o di tessuto lasso a livello dell’occlusione (7). Al
contrario, un aspetto arrotondato o convesso è considerato sfavorevole. La presenza di diramazioni in prossimità
dell’OTC è un altro aspetto considerato sfavorevole (21,22),
poiché in questi casi il filo guida tende ad imboccare le
diramazioni anziché impegnarsi nell’occlusione. Una
distanza minima di 2-3 mm dall’origine di rami collaterali è utile per indirizzare la guida verso l’occlusione
anche se con le guide a punta rigida e manovrabile questo
non sembra più essenziale. La presenza di bridging collaterals (4,20,21) è correlata generalmente a una maggior durata
temporale dell’occlusione e costituisce un altro fattore
sfavorevole al superamento dell’ostruzione. Tuttavia in
qualche caso i bridging collaterals e gli altri collaterali
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omocoronarici consentono la visualizzazione del vaso a
valle facilitando in qualche modo le manovre di ricanalizzazione (17). Infine, in alcune casistiche (2,6,13,19) è stato riportato un ridotto successo procedurale nei pazienti con
malattia multivasale e con patologia più estesa. Molte di
queste osservazioni non sono state confermate nel più
recente studio TOAST (2), probabilmente perché la disponibilità di guide più manovrabili consente di superare
lesioni più sfavorevoli.
Tecnica e dispositivi
Il miglioramento delle tecniche, dei materiali e dell’esperienza, lo sviluppo di fili guida specializzati e di palloni a
basso profilo hanno portato a un progressivo miglioramento dei risultati dell’angioplastica delle OTC, anche
se queste lesioni rappresentano ancora una delle maggiori sfide tecniche dell’angioplastica coronarica.
La preparazione del paziente è simile a quella delle altre
procedure di angioplastica con alcune possibili variazioni. Deve essere considerata, per esempio, la necessità di
un duplice accesso arterioso per visualizzare la porzione
distale del vaso attraverso il circolo collaterale eterocoronarico; deve essere prevista una maggior durata della
procedura che richiede una sedazione o un’analgesia
neurolettica aggiuntiva del paziente e il controllo seriato
del grado di anticoagulazione. A causa del rischio di perforazione del vaso può essere consigliabile limitare il
bolo iniziale di eparina a 3-4000 UI fino a quando la
guida non attraversa l’occlusione, per poi somministrare
eventuali boli aggiuntivi. Il pretrattamento trombolitico
non è più praticato. L’uso di inibitori delle GP IIb/IIIa
non è standardizzato e deve essere valutato il loro impiego preventivo solo per casi particolari (grafts) oppure nel
corso della procedura dopo aver escluso la possibilità di
perforazioni o dissezioni subintimali maggiori. Deve
infine essere prevista una maggiore disponibilità di tempo e di materiale, in particolare di guide specificatamente disegnate per lo scopo. E’ sempre importante disporre
di cateteri guida che forniscano il miglior supporto nella
specifica situazione anatomica. Un’adeguata idratazione
del paziente e una corretta valutazione della funzione
renale è richiesta per le dosi abitualmente più elevate di
mezzo di contrasto.
L’attraversamento della lesione con la guida rappresenta
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DELLE
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il vero «problema» dell’angioplastica dell’OTC anche se
l’attraversamento dell’ostruzione è solo la condizione
necessaria ma non sufficiente al successo della procedura. Diverse OTC possono di fatto essere attraversate con
guide normali e sistemi rapid exchange convenzionali che
sono attualmente dotati di ottima spinta (pushability).
Tuttavia il superamento della maggior parte delle OTC
richiede l’impiego di guide speciali o dedicate. La scelta
della guida iniziale dipende dal livello di esperienza personale e dalla morfologia angiografica dell’occlusione.
Le proprietà di una guida devono rispondere a diverse
esigenze contrastanti: deve essere in grado di scorrere
senza maggiori attriti in un lume virtuale residuo se esistente, deve poter penetrare un cappuccio fibroso prossimale o distale resistente, avanzare in un corpo dell’occlusione che presenta componenti tissutali di diversa
consistenza, avere abbastanza supporto e spinta ma non
essere eccessivamente traumatica o penetrante per non
perforare il vaso. Queste caratteristiche non possono
essere possedute in ugual misura da una sola guida ed è
soltanto l’esperienza dell’operatore e la sua percezione
del percorso da attraversare che consente la scelta della
guida più adatta. Ciononostante nel trattamento di una
OTC è necessario effettuare un numero maggiore di
scelte e utilizzare spesso un numero elevato di guide e
strumenti per aver ragione del problema che si pone
(Fig. 1). E’ in generale preferibile iniziare con guide
meno traumatiche per le considerazioni fatte sopra. Se la
guida floppy e idrofilica non supera l’ostruzione, possono
essere impiegate le guide di maggior peso (intermediate
o standard) e infine le guide dedicate (guide ibride, rigide) che presentano caratteristiche di maggior penetrazione o sistemi innovativi (FrontRunner, Intraluminal
ecc.). Nel procedere con la guida occorre sempre verificare il percorso effettuato, sentire la guida libera nei
movimenti ed essere disponibili a numerosi cambiamenti di strategia. Se la guida non attraversa subito l’occlusione il pallone può essere avanzato fino a pochi centimetri dalla punta della guida per fornire maggiore stabilità e supporto quando la stessa viene spinta contro il
cappuccio fibroso della lesione. In molti casi è consigliabile l’uso di un sistema over-the-wire (OTW) che consente maggiore supporto, lo scambio della guida e l’iniezione di piccoli boli di mezzo di contrasto per visualizzare il lume del vaso distalmente all’occlusione e verificare
il percorso intraluminale. In alternativa possono essere
utilizzati cateteri dedicati di supporto e infusione (probing o transit catheters). Se non si visualizza il lume del
vaso distale e le sue ramificazioni oppure se si osserva un
ristagno extravasale del mezzo di contrasto è necessario
evitare ogni inflazione del palloncino e ritirare il sistema
per cercare il percorso corretto. Il movimento libero della guida (wire dancing) oltre la lesione può aiutare nel
verificare che essa sia nel lume. In caso di incertezza
l’opacizzazione del circolo collaterale attraverso la stessa
coronaria o l’incannulazione simultanea della controlaterale con doppio approccio arterioso, può garantire il
successo della procedura (Figg. 2, 3).
a
b
A
B
C
Figura 2. Occlusione totale cronica della discendente anteriore a livello della biforcazione del ramo primo diagonale con controllo della procedura di angioplastica mediante iniezione controlaterale di mezzo di contrasto nella coronaria destra. L’angiografia simultanea
della coronaria sinistra e della coronaria destra evidenzia la lunghezza dell’ostruzione (A) e consente di correggere il percorso della guida (B) riconoscere la biforcazione e posizionare correttamente le due guide nella discendente anteriore e nel ramo diagonale (C).
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A
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B
C
Figura 3. Stessa procedura della Figura 2. Dilatazione e stent della discendente anteriore con guida di protezione sul ramo diagonale (A) seguita da riattraversamento e dilatazione con solo palloncino del ramo diagonale. Buon risultato angiografico (B) con scomparsa del circolo collaterale (C).
Diversi nuovi approcci metodologici e concettuali sono
stati proposti per migliorare la frequenza di successo nel
trattamento delle OTC. Una nuova tecnologia di imaging endovascolare basata sulla reflettometria a coerenza
ottica (optical coherence reflectometry) (23) è stata utilizzata
per facilitare il riconoscimento del lume vascolare e controllare il percorso della guida attraverso l’occlusione
coronarica. La Intraluminal TM ha sviluppato una guida
0,014” contenente una fibra ottica per la produzione di
segnali infrarossi che indicano se la posizione dell’estremità distale della guida è nel lume o nella parete. Il
FrontRunnerTM (24,25) è un diverso sistema di dissezione
meccanica della placca occlusiva che è stato sperimentato con risultati incoraggianti e reso disponibile clinicamente. Tuttavia anche con questo strumento nello studio di Whitlow et al. (25) su 100 OTC resistenti alle tecniche tradizionali viene riportata una percentuale di successo del 71% con un 6% di perforazioni coronariche.
L’uso di cateteri ad ultrasuoni, vibrazionali o di guide
laser (26-30) è stato proposto per frammentare il materiale
ateromasico e facilitare l’attraversamento delle occlusioni totali croniche. Tuttavia è rimasto a livello sperimentale e non ha prodotto risultati ottimali, con importanti
limitazioni soprattutto per quanto riguarda l’uso delle
guide laser che presentano un elevato rischio di perforazioni e dissezioni subintimali. Quando l’occlusione
riguarda un graft venoso è sempre presente una significativa componente trombotica friabile e l’incidenza di retrombosi e microembolizzazione distale con rilascio
enzimatico è molto frequente. Per questo motivo sono
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stati utilizzati sistemi di trombectomia aspirativi (Xsizer) o reolitica (Angiojet). Il trattamento delle occlusioni totali croniche dei graft resta comunque sconsigliabile
per l’alta frequenza di insuccesso procedurale.
Una volta superata l’occlusione con la guida è quasi sempre possibile dilatare il vaso con palloni a basso profilo.
Nei casi infrequenti, ma non eccezionali, in cui la guida
passa ma il pallone no, o in cui il pallone mostra «indentature» resistenti alla dilatazione per la presenza di calcificazioni parietali, può essere utile impiegare metodiche
atero-ablative come il Rotablator, con l’importante limitazione che questo sistema richiede lo scambio della guida che ha superato l’ostruzione con una guida dedicata
0.009”. L’aterectomia rotazionale è stata utilizzata con
risultati contrastanti ma rappresenta in alcuni casi l’unica possibilità per consentire il posizionamento e la
distensione finale di uno stent intracoronarico in vasi
particolarmente fibro-calcifici.
Lo stent fornisce il miglior approccio terapeutico alla
ricostruzione del lume delle OTC. Poiché lo stent intracoronarico ha fornito i migliori risultati sia a breve che a
lungo termine, anche senza l’impiego di tecniche ateroablative complesse e per lo più obsolete, il suo utilizzo
deve essere considerato elettivo (31-38). Non sono stati riconosciuti particolari vantaggi nell’impiego di un tipo specifico di stent, e il loro impiego nel trattamento delle
OTC è simile a quello delle lesioni non occlusive. Gli
stent-graft, abitualmente in PTFE o altri tessuti biocompatibili (Jomed, Symbiot), hanno un impiego più limitato
e in qualche caso sono stati utilizzati per la riparazione
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delle rotture accidentali dei vasi durante il trattamento di
una OTC. L’avvento degli stent medicati a rilascio di farmaci rappresenta un’attraente opportunità per migliorare
i risultati a lungo termine dell’angioplastica delle OTC
ed è oggetto di studi specifici attualmente in corso.
Risultati immediati
Il successo immediato delle procedure di ricanalizzazione
e angioplastica delle OTC è minore di quello delle stenosi
subtotali (2,4,6,12,13,17,19-22,39,40), mentre il consumo di materiale
e di mezzo di contrasto, il tempo di occupazione della
sala, il tempo di fluoroscopia, l’esposizione radiologica e
quindi il costo dell’intervento, sono maggiori (41). La ricanalizzazione percutanea di un’occlusione totale cronica è
ottenibile in una percentuale di casi variabile tra il 60 e
l’80%. Molti lavori recenti hanno evidenziato come la
percentuale di successo immediato nelle OTC sia migliorata negli ultimi anni, sia per l’aumentata esperienza ed
«aggressività» degli operatori (4,6,13,20,42), sia per il miglioramento dei materiali con l’impiego di fili guida specificatamente studiati per il trattamento delle OTC e di palloncini a basso profilo (3,18,43-49). Tuttavia, circa un terzo delle
OTC non possono essere dilatate con successo specialmente se si considerano quelle di maggiore durata.
Complicanze
Mentre l’insuccesso procedurale derivante dall’impossibilità di attraversare l’occlusione può non comportare
alcuna conseguenza clinica avversa, non si deve pensare
che l’angioplastica delle OTC sia un’intervento completamente privo di complicanze. Oltre alle complicazioni
abitualmente riportate per le altre procedure, vi sono
alcune complicazioni specifiche e particolarmente rilevanti come la perforazione del vaso e la dissezione subintimale con compromissione del flusso collaterale distale
o delle ramificazioni del vaso trattato (Figg. 4, 5). Poiché
A
B
C
D
Figura 4. Complicazione procedurale. Occlusione totale cronica della discendente anteriore dopo l’origine del ramo primo settale e
primo diagonale (A) con parziale ricircolo distale dalla coronaria destra (B). Il tentativo di attraversamento dell’occlusione produce una
dissezione del vaso con penetrazione e ristagno del mezzo di contrasto nel falso lume. E’ evidente la progressione della dissezione verso la discendente anteriore e un ramo secondo diagonale (C) con compromissione del circolo collaterale (D) che in questo caso ha
prodotto stenocardia ed ischemia miocardica.
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A
B
C
D
E
F
Figura 5. Complicazione procedurale. Occlusione totale cronica lunga del tratto medio della coronaria destra (A). Dopo attraversamento con la guida e dilatazioni successive del vaso (B) si evidenzia la rottura di un ramo per la parete libera del ventricolo destro
(verosimilmente causata dalla produzione di un falso lume da parte della guida durante le fasi intermedie della procedura) con sanguinamento pericardico (C). Disponendo del controllo del lume della coronaria destra da parte della guida (D) è possibile posizionare uno
stent ricoperto in PTFE (stent-graft) (E) con esclusione del piccolo ramo perforato e interruzione del sanguinamento (F).
la maggior parte dei pazienti con OTC presenta un quadro clinico di stabilità, deve essere attentamente valutato
il rapporto rischi/benefici della procedura. Nonostante i
progressi tecnici, la frequenza di complicazioni nell’angioplastica delle OTC rimane significativa (2-25%). In
uno studio di Moussa et al. (50) sono stati confrontati i
risultati e le complicazioni procedurali dell’angioplastica
coronarica con stent in 94 pazienti con OTC con quelli
di altri 695 pazienti trattati per stenosi non occlusive. Le
complicazioni procedurali (dissezione, slow-flow, percorso subintimale o compromissione di side branches) erano
maggiori nel gr uppo delle OTC (25% vs 9%,
p<0,0001), ma non si osservavano differenze statisticamente significative in termini di eventi clinici maggiori.
In particolare, la frequenza di infarto miocardico periprocedurale e di ricorso al bypass era rispettivamente del
5,3% e del 3,2% nel gruppo delle OTC, non diversa da
quella dei pazienti trattati per stenosi non occlusive
18
(4,8% e 2,7%). La trombosi acuta o subacuta dello stent
era del 3,1% nei casi di OTC e del 2,9% nei casi di stenosi non occlusiva. In uno studio di Anzuini et al. (51) su
89 pazienti con OTC trattati con angioplastica e stent
elettivo veniva riportata un’occlusione subacuta dello
stent nel 6% dei pazienti con ischemia acuta ricorrente e
recidiva di infarto miocardico. Altri Autori (52) hanno
riportato un’incidenza del 4-6% di infarto o ricorrenza
di ischemia simile nei pazienti trattati per OTC o per
stenosi non occlusive.
Questi dati indicano che, contrariamente a quanto si
pensa, la ricanalizzazione di un’arteria già occlusa non è
priva di rischi procedurali. Non ci si deve aspettare che il
territorio tributario di una vaso già cronicamente occluso non sia a rischio per un’eventuale riocclusione acuta.
Difatti la riocclusione di una OTC ricanalizzata può
causare eventi ischemici acuti per diversi meccanismi
che includono la perdita di rami secondari, l’embolizza-
L’ANGIOPLASTICA
DELLE
OCCLUSIONI CORONARICHE TOTALI CRONICHE. REVISIONE CRITICA
zione distale e la compromissione del circolo collaterale
o la progressione prossimale dell’occlusione. La probabilità di eventi ischemici ricorrenti e reinfarto è simile a
quella che si verifica per le procedure su vasi non occlusi
nel caso in cui vengano selezionati pazienti con miocardio ancora vitale a valle dell’occlusione.
Gestione delle complicanze
Quando la guida produce una dissezione o un percorso
subintimale e non è più possibile riguadagnare una via
più favorevole occorre interrompere la procedura. Se si
crea un percorso extravasale si verifica sempre un ematoma della parete anche quando il mezzo di contrasto
non mostra una vera perforazione del vaso. Questo si
accompagna qualche volta a sintomatologia dolorosa,
modificazioni elettrocardiografiche minori e in qualche
caso a modesto movimento enzimatico ma non si traduce in complicazioni cliniche maggiori se la procedura
viene interrotta a questo punto. Quando invece la guida
produce una perforazione del vaso o la perforazione si
verifica a seguito di un’incauta dilatazione del palloncino in un percorso extraluminale o intramurale, si possono verificare ristagno del mezzo di contrasto, sanguinamento in pericardio con tamponamento cardiaco,
compromissione emodinamica ed aritmie. Se si riesce a
riguadagnare il lume vero con la guida (cosa tutt’altro
che facile) è possibile interrompere l’emorragia posizionando un pallone sulla breccia, eventualmente completando la procedura con uno stent-graft in PTFE (Jomed,
Symbiot) (Fig. 5). Se necessario, deve essere possibile
eseguire una pericardiocentesi evacuativa. La cosa più
importante da fare è neutralizzare l’eparina con solfato
di protamina secondo il livello di PTT o ACT attuale.
Solo in pochi casi questa complicazione richiede l’intervento chirurgico d’emergenza ma quasi sempre la perforazione e la dissezione del vaso producono un peggioramento del flusso collaterale distale con ischemia e movimento enzimatico.
Follow-up a breve e lungo termine
Restenosi e riocclusione
L’incidenza di restenosi e riocclusione del vaso dopo ricanalizzazione percutanea era molto elevata in era pre-stent,
con tassi medi superiori al 50% e al 15% (5,16,17,19,22,32,39,48).
Negli studi randomizzati che hanno previsto l’impianto
elettivo di stent(31-38), l’incidenza di restenosi e di riocclusione completa sono state ridotte, rispettivamente, al 35 e
all’8%. Queste percentuali rimangono comunque superiori a quelle osservate nelle stenosi subtotali e si riferiscono a quadri anatomici relativamente favorevoli (lesioni
brevi, utilizzo per lo più di stent singoli e corti su vasi di
buon calibro). E’ probabile che in caso di estensive ricostruzioni di vasi occlusi mediante l’impiego di stent lunghi o multipli il tasso di restenosi o di riocclusione sia più
elevato. Nello studio di Moussa et al.(50) la restenosi non
era differente nei pazienti con OTC e in quelli con stenosi non occlusive (26% e 24%) e la necessità di ripetere la
procedura di rivascolarizzazione era, rispettivamente, del
20,4% e del 18,1%. Nello studio GISSOC (34) sono stati
confrontati i risultati dell’angioplastica con solo palloncino verso lo stent elettivo in 110 pazienti con OTC. Un
evento ischemico ricorrente definito come ricomparsa di
angina o evidenza obiettiva di angina o re-infarto è stato
registrato nel 46% dei pazienti trattati con solo palloncino e nel 14% di quelli trattati con stent. La necessità di
ripetere l’intervento di rivascolarizzazione per ricorrenza
di ischemia veniva osservata nel 22% e nel 5,3% dei casi
dei due gruppi.
Uno studio degli anni ’80 (53) aveva evidenziato come
l’incidenza di restenosi nelle OTC non raggiungesse un
plateau a 6 mesi come osservato nelle stenosi subtotali,
ma continuasse ad aumentare durante un follow-up di
due anni. Questa osservazione non è stata confermata
nel follow-up a 6 anni dello studio GISSOC (54), che rappresenta il più lungo follow-up clinico dopo angioplastica di OTC. Lo studio GISSOC ha confermato che,
anche nelle OTC, la restenosi e la riocclusione sono un
fenomeno dei primi mesi dopo la procedura e ha dimostrato che la superiorità dello stent elettivo sulla sola
dilatazione con palloncino nel prevenire la necessità di
ripetere una rivascolarizzazione del vaso trattato, si mantiene a lungo termine (Fig. 6). I dati attualmente disponibili sull’utilizzo degli stent a rilascio di farmaci nelle
OTC sono estremamente limitati (55), ma esiste una grande aspettativa circa la possibilità che questi devices consentano un’ulteriore riduzione della restenosi anche nei
casi di OTC.
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IL GIORNALE ITALIANO DI
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Figura 6. Necessità di ripetere un intervento di rivascolarizzazione in pazienti con OTC trattati con angioplastica con solo pallone o con stent nello studio GISSOC.
(Da: Rubartelli, et al.(54), per gentile concessione).
Beneficio clinico
I benefici attesi dalla ricanalizzazione percutanea di una
OTC sono la riduzione dei sintomi anginosi (quando
presenti) e dell’ischemia residua (quando documentabile). Generalmente gli effetti clinici dell’angioplastica nei
pazienti con OTC sono stati valutati confrontando i
risultati dei pazienti trattati con successo con quelli dei
pazienti che non hanno potuto essere ricanalizzati. Nel
follow-up clinico a lungo termine dei pazienti con OTC
trattati con successo viene generalmente riportato un
minor ricorso all’intervento di bypass aorto-coronarico
rispetto ai casi in cui l’angioplastica non abbia avuto
successo immediato (2,5,13,19,40). Questo dato non è inaspettato ed esprime la scelta di una terapia alternativa in
pazienti con indicazione alla rivascolarizzazione in cui
l’angioplastica non abbia avuto successo. Alcuni studi (2,3,8) hanno riportato minor prevalenza di angina e
migliori parametri ergometrici nel follow-up dei pazienti
con OTC trattata con successo. Chung et al. (10) in 75
pazienti trattati con successo, hanno osservato un
miglioramento della frazione di eiezione ventricolare
sinistra e della cinesi regionale del ventricolo sinistro
solo nei pazienti senza pregresso infarto o con ampio circolo collaterale sul territorio infartuale. Dzavik et al.(9),
analizzando la funzione ventricolare sinistra mediante
angiografia in un sottogruppo di 244 pazienti dello studio TOSCA, hanno evidenziato un miglioramento della
frazione di eiezione globale solo nei pazienti con OTC
recente (durata <6 mesi) e, ovviamente, solo in quelli
con frazione di eiezione iniziale ridotta.
20
N. 1• 2005
I dati sulla sopravvivenza sono più controversi. Pochi
studi clinici hanno riportato una riduzione della mortalità durante il follow-up dei pazienti con OTC trattati
con successo rispetto ai pazienti in cui la ricanalizzazione
non sia riuscita (2,6,3,19,40). Gli studi randomizzati che hanno confrontato lo stent elettivo e l’angioplastica con palloncino hanno dimostrato una significativa riduzione
della frequenza di restenosi e re-angioplastica del vaso
trattato nei pazienti trattati con stent, senza differenze
significative in termini di mortalità e re-infarto miocardico a lungo termine in parte a causa del limitato numero globale di eventi nei due gruppi di pazienti(32,34,42,48).
Solo studi randomizzati che includono pazienti lasciati
in terapia medica, potrebbero chiarire se e in quali
pazienti la ricanalizzazione di una OTC conferisca un
beneficio clinico in termini di recupero della funzione
ventricolare e sopravvivenza a conferma dei presupposti
teorici che guidano le attuali indicazioni.
Conclusioni
Le risorse tecniche e la competenza degli operatori oltre
all’utilizzo sistematico dello stent consentono oggi un elevato successo procedurale immediato e a distanza nel trattamento percutaneo delle OTC. Nuovi strumenti e guide
dedicate a questo scopo permetteranno ulteriori miglioramenti. Tuttavia il trattamento percutaneo delle OTC è più
complesso e impegnativo in termini di consumo di risorse
rispetto al trattamento delle stenosi non occlusive, esso presenta specifiche limitazioni e possibili complicazioni che
richiedono un’attenta valutazione delle indicazioni e dei fattori determinanti l’esito dell’intervento, e un’accurata analisi dei rapporti tra rischio e beneficio della procedura. Inoltre, i risultati procedurali immediati sono inferiori a quelli
delle stenosi subtotali. Pertanto, la presenza di una OTC
resta ancora uno degli elementi che fanno propendere verso
il trattamento medico o l’intervento cardiochirurgico piuttosto che verso l’angioplastica (49). Ciononostante le OTC
continuano a rappresentare un non trascurabile sottogruppo delle casistiche di angioplastica coronarica. Da dati raccolti prevalentemente negli anni ’80, risultava che la percentuale di pazienti in cui era tentata la disostruzione di
una OTC variava tra l’8 ed il 27% della popolazione generale (4,5,12,17,31). Nel recente studio multicentrico italiano
TOAST-GISE (2), questa percentuale era in media del 7%.
L’ANGIOPLASTICA
DELLE
OCCLUSIONI CORONARICHE TOTALI CRONICHE. REVISIONE CRITICA
Sebbene esistano condizioni che possono predire un
vantaggio clinico in termini di riduzione dell’angina e
miglioramento funzionale, i dati sulla sopravvivenza
sono ancora controversi. Per questo è sempre bene non
affrontare il trattamento percutaneo delle OTC come
una sfida sportiva attraente solo per il suo grado di difficoltà tecnica. Dopo un intervento per una OTC i presupposti fisiopatologici e clinici che hanno motivato la
scelta fatta dovrebbero essere sempre oggetto di continua verifica nel corso del follow-up clinico individuale.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Edoardo Verna
Laboratorio di Emodinamica - Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi - Università degli Studi dell’Insubria
Viale Borri, 57 - 21100 Varese - Tel. 0332.278414 – 0332.278509 - E-mail: [email protected]
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N. 1• 2005
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l`angioplastica delle occlusioni coronariche totali croniche. revisione