ottobre 2007
La MiFID e la «privatizzazione» delle tutele, di Andrea Perin
1. Introduzione; 2. I rimedi azionabili. La responsabilità precontrattuale e la
risoluzione per inadempimento; 3. La nullità per violazione di norme
imperative; 4. L’art. 19 della direttiva 2004/39/CE; 5. La diretta applicabilità
della disciplina comunitaria.
1. Introduzione
Il problema della tutela dei risparmiatori, salito alla ribalta delle cronache in
seguito ai recenti dissesti di alcuni grandi gruppi industriali e di un
importante Stato straniero1, sembra destinato a riproporsi drammaticamente
nella calda estate dei mutui subprime. Questa ondata di scandali finanziari
ha determinato un alto tasso di litigiosità che si è concentrato massimamente
sulle imprese d’investimento intermediatrici, individuate dagli investitori
“traditi” come soggetti altamente solvibili ed in grado quindi di sopperire
all’eventuale default dell’emittente.
Tale tendenza ha dato vita ad una copiosa giurisprudenza, prevalentemente
di merito, e ad un’annosa disputa dottrinale in relazione alla natura dei
rimedi esperibili nei confronti degli intermediari che abbiano violato le
norme di comportamento predisposte dal legislatore nazionale, racchiuse in
1
Il riferimento corre alle vicende legate alle obbligazioni Parmalat e Cirio, nonché ai c.d.
tango bond; anche il mercato americano è stato vittima di crack finanziari, come dimostra il
caso Enron.
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nuce nell’art. 21 TUF2. Da questa forte contrapposizione è derivato un
incremento di incertezza del sistema, che ha portato ad una sostanziale
indifferenza verso il rimedio contrattuale richiesto, lasciando allo studioso
un senso di insoddisfazione e delusione3; leggendo le varie sentenze appare
predominare l’esigenza pratica di portare a casa il risultato, senza
interessarsi troppo del modo in cui esso matura. Tutto ciò ha determinato la
necessità di un’ordinanza di rinvio alle sezioni unite della Cassazione “in
ordine alle conseguenze derivanti dalla violazione dei doveri informativi
degli intermediari finanziari”, al fine di fare chiarezza tra gli operatori del
settore4.
A complicare il sistema è intervenuta la nuova disciplina comunitaria in
materia di servizi di investimento, la quale ha ridefinito le norme di
comportamento che gli intermediari dovranno seguire nel prossimo futuro5,
senza intervenire però, almeno direttamente, nella patologia dei contratti.
Ad uno sguardo più attento il dettato normativo comunitario appare invero
ricco di significati discreti che devono essere portati alla luce attraverso
un’opera di interpretazione sistematica. Obiettivo di questo breve contributo
sarà quello di evidenziare il ragionamento svolto dal legislatore comunitario
e di vagliare la sua applicabilità nell’ordinamento nazionale.
2
Appare superfluo ricordare in questa sede che un’importanza non secondaria hanno anche
le disposizioni regolamentari poste dalla CONSOB e segnatamente del regolamento
intermediari 11522/98.
3
Per una disamina di questo clima di incertezza si veda in proposito ROPPO, La tutela del
risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento (ovvero l’ambaradan dei rimedi
contrattuali), in Contratto e impresa, 2005, 898 s. e dello stesso Autore, La tutela del
risparmiatore fra nullità e risoluzione (a proposito di Cirio bond & tango bond), in Danno
e responsabilità, 2005, 625.
4
Si veda l’ordinanza di rinvio della Cassazione civile, sez. I del 16 febbraio 2007 n. 3683
alle Sezioni Unite.
5
Il termine ultimo lasciato agli stati per recepire la nuova disciplina è fissato nel 1°
novembre 2007.
2
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2. I rimedi azionabili. La responsabilità precontrattuale e la risoluzione
per inadempimento
Nei casi portati all’attenzione dei tribunali italiani è emersa costantemente la
volontà di tutelare adeguatamente gli investitori, anche se non è emerso un
indirizzo univoco in merito a questo problema. Risoluzione del contratto
quadro, culpa in contrahendo, nullità dell’ordine d’acquisto sono solo
alcune delle possibilità individuate dalla dottrina e dalla giurisprudenza al
fine di proteggere gli ignari clienti e sulle quali appare opportuno svolgere
una breve riflessione.
L’alto grado di incertezza che si registra attorno ai rimedi esperibili è
dovuto in parte alle caratteristiche stesse dei contratti inerenti i servizi di
investimento. Come è noto “[g]li intermediari autorizzati non possono
fornire i propri servizi se non sulla base di un apposito contratto scritto6”,
determinando l’esigenza di un contratto quadro (c.d. master agreement), che
si ponga a monte rispetto ai singoli contratti stipulati relativi a specifiche
attività di intermediazione contrattuale; il master agreement diviene dunque
presupposto per la corretta e valida esecuzione degli ordini dei clienti e per
tale motivo deve essere necessariamente stipulato anteriormente a questi7.
Di qui la potenziale concorrenza dei possibili rimedi in relazione alla
violazione di norme comportamentali da parte degli intermediari a seconda
della diversa prospettiva in cui ci si situa.
Ponendosi nell’ottica del singolo servizio di investimento la condotta illecita
dell’impresa di investimento integra sicuramente la fattispecie di
responsabilità precontrattuale ai sensi dell’art. 1337 c.c., in quanto si
riferisce ad un comportamento tenuto nelle trattative e nella formazione del
contratto. Questo orientamento è stato fatto proprio anche dalla Cassazione
nella sentenza 19024/05, la quale ha statuito inoltre che il risarcimento del
6
Così l’art. 30 reg. 11522/98.
7
Cfr. ROPPO, op .ult. cit., 626.
3
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danno non deve essere commisurato all’interesse negativo, ma “al minor
vantaggio ovvero al maggior aggravio economico” subito dall’investitore8.
Una consistente parte della giurisprudenza di merito ha invece intrapreso la
via della risoluzione del contratto quadro, soluzione che determina la
caducazione anche del singolo contratto di investimento posto in essere.
Come è stato giustamente rilevato9 tali obblighi di condotta hanno una fonte
contrattuale anche in assenza di un’esplicita previsione delle parti in virtù
dell’art. 1374 c.c., il quale “obbliga le parti non solo a quanto espresso nel
contratto, ma anche a tutte le conseguenze previste dalla legge”. Laddove si
sia dinnanzi ad un caso di inadempimento di non scarsa importanza sarà
dunque ammissibile ex art. 1455 c.c. la risoluzione del contratto per
inadempimento, aprendo così la strada alle restituzioni delle prestazioni
effettuate in seguito al contratto di investimento.
Il merito di queste due correnti di pensiero sta nel rispettare il significato più
intimo della natura delle norme violate, le quali trovano la propria
scaturigine nella clausola generale di buona fede. Le disposizioni violate
dagli intermediari attengono infatti a regole di comportamento e di
responsabilità, tradizionalmente distinte da quelle inerenti la validità del
contratto. Si tratta di soluzioni interpretative rispettose delle categorie
generali del nostro ordinamento e care alla dottrina civilistica italiana.
3. La nullità per violazione di norme imperative
Una parte della dottrina e della giurisprudenza di merito ha elaborato una
distinta teoria circa la patologia dei contratti conclusi in spregio delle norme
di comportamento.
8
Cfr. Cass. 19024/05 in I contratti, 2006, 446 con nota di POLIANI.
9
Si veda BATTELLI, L’inadempimento contrattuale dell’intermediario finanziario, in I
contratti, 2006, 474.
4
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Questa linea interpretativa fa discendere dalla violazione degli obblighi di
condotta da parte delle imprese di investimento l’invalidità del contratto; in
particolare tale ipotesi ricadrebbe nell’alveo della nullità virtuale, integrando
la fattispecie di cui al primo comma dell’art. 1418 c.c.. Tale corrente
ermeneutica individua infatti correttamente le norme in questione come
aventi una natura imperativa10 e cogente; questa affermazione non deriva
solamente dalla natura pubblicistica degli interessi sottesi, ma anche dalla
considerazione che tali disposizioni sono presidiate da sanzione
amministrativa ex art. 190 TUF11.
Se la totalità degli interpreti concordano circa la natura inderogabile delle
norme, maggiori perplessità insorgono tuttavia nell’inquadrare la fattispecie
in esame nell’ambito della nullità virtuale. Come ha sottolineato la
Cassazione “la contrarietà a norme imperative considerata nell’art. 1418,
primo comma, Codice civile quale causa di nullità del contratto, postula […]
che essa attenga ad elementi intriseci della fattispecie negoziale, che
riguardino, cioè, la struttura o il contenuto del contratto”; la condotta tenuta
dalle parti nella fase delle trattative, della formazione o dell’esecuzione del
contratto attiene invece ad un profilo estraneo alla fattispecie negoziale e
pertanto non potrebbe dare luogo ad una invalidità del contratto se non
espressamente prevista dalla legge12.
Un’altra obiezione che si è opposta a tale ricostruzione è determinata dallo
specifico regime giuridico che discenderebbe da una simile qualificazione.
Ai sensi dell’art. 1421 c.c. la nullità del contratto è infatti rilevabile da
chiunque vi abbia interesse ed anche d’ufficio dal giudice, proprio in
10
Cfr. Cass. 3272/01.
11
Secondo la giurisprudenza di legittimità tale sanzione sarebbe di per sé indice degli
interessi pubblici sottesi; cfr. Cass. n. 11247/03 e 14381/00.
12
Tale possibilità è stata sfruttata dal legislatore come dimostrano gli articoli 1469-ter e
1469-quinques c.c., oggi ricompresi nel Codice del consumo.
5
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ragione degli interessi pubblici sottesi e sottratti pertanto alla libera
disponibilità delle parti13.
La soluzione della nullità inoltre, specie se intesa come relativa, se da un
lato permette di garantire una forma di tutela particolarmente efficace
all’investitore, dall’altro impedisce una gradazione della responsabilità,
potendosi configurare solo nella dimensione del presente/assente.
Alla luce di queste riflessioni appare più che mai opportuno cercare di
capire la ratio legis sottesa alle disposizioni legislative, giovandosi anche
del contributo dato dalla recente disciplina comunitaria prevista dalla
MiFID.
4. L’art. 19 della direttiva 2004/39/CE
La nuova disciplina comunitaria in materia di servizi di investimento è
contenuta nella direttiva 2004/39/CE14, comunemente richiamata con
l’acronimo MiFID (Market in financial instruments directive). Questa
normativa europea si pone quale naturale evoluzione della precedente
direttiva 93/22/CE, innovando radicalmente gli istituti già in essa
contemplati e prevedendone di ulteriori.
Ai fini della nostra indagine è utile soffermarci in particolare sul primo
comma dell’art. 19 previsto dalla direttiva 2004/39/CE, il quale stabilisce
che “le imprese di investimento quando prestano servizi di investimento e/o,
se del caso, servizi accessori ai clienti, agiscano in modo onesto, equo e
13
A tale ricostruzione la letteratura che appoggia questa tesi è solita opporre il fatto che si
tratti di nullità relativa e quindi rilevabile dal solo risparmiatore tradito, in analogia alla
disposizione di cui all’art. 23 comma 3 TUF; questo orientamento troverebbe conferma
anche in altre disposizioni in materia consumeristica destinate a tutelare la controparte
debole, dando vita al fenomeno delle nullità c.d. protettive. Per un’analisi sul punto si veda
GIOIA, Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, in Contratto e impresa, 1999,
1332 ss.
14
Invero il nuovo corpus normativo europeo si compone di anche di ulteriori disposizioni
normative di esecuzione contenute nella direttiva 2006/73/CE e nel regolamento n.
1287/2006.
6
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professionale, per servire al meglio gli interessi dei loro clienti”. Si tratta
evidentemente di una normazione per clausole generali, che risulta essere
fonte di proficue speculazioni per l’interprete.
Per capire la carica innovatrice della nuova disciplina è utile raffrontarla con
la precedente contenuta nell’art. 11 della direttiva 93/22/CE; questa
disposizione obbligava gli intermediari a comportarsi “in modo leale ed
equo, nell'interesse, per quanto possibile, dei suoi clienti e dell’integrità del
mercato”. Possiamo notare sin da subito come il vecchio testo normativo
enunciasse non solamente il concetto della protezione dei clienti, ma anche
quello della tutela del mercato. Questo richiamo congiunto ai due principi
ha costituito il pretesto per colorare di sfumature pubblicistiche le norme di
comportamento che gli intermediari dovevano seguire nella prestazione
nell’agire professionale. Secondo questo indirizzo ogni singolo servizio di
investimento non brilla infatti solo di luce propria all’interno dell’universo
dei singoli interessi privatistici particolari, ma è parte della più grande
galassia pubblicistica volta a tutelare un mercato efficiente e competitivo,
vero leitmotiv della politica economica europea. Questo slancio fideistico
verso il concetto di libero mercato non è presente nella nostra Costituzione,
ma l’aggancio alla sfera pubblicistica era stato trovato facilmente ritrovato
dalla giurisprudenza nell’art. 47 della nostra Costituzione.
Tale visione binaria della politica finanziaria non è presente invece nella
nuova disciplina, che si indirizza solamente agli interessi del clienti.
Occorre ora capire se e quale importanza abbia questo emendamento.
Innanzitutto è opportuno evidenziare come la redazione dell’art. 19 della
direttiva di primo livello non sia stato il frutto di un errore, ma di una
consapevole scelta da parte del legislatore comunitario. Esso infatti dimostra
di conoscere bene la distinzione tra la tutela degli investitori e quella
dell’integrità
del
mercato,
come
possiamo
vedere
dalla
7
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sapiente
utilizzazione alternativa o cumulativa di questi due principi15. È evidente la
volontà della MiFID di emancipare il principio della protezione degli
investitori da quello della stabilità ed efficienza del mercato, almeno per
quanto concerne le norme di comportamento che gli intermediari devono
rispettare nella prestazione dei servizi di investimento.
In dottrina è stata proposta una linea interpretativa che tenta di ricavare la
sussunzione della protezione dell’investitore in quella della tutela del
mercato16; questo orientamento non convince perché, sebbene si tratti di
principi complementari, non possono essere ritenuti del tutto coincidenti.
Per capirlo è sufficiente analizzare l’art. 25 della direttiva 2004/39/CE che
presidia l’obbligo degli intermediari di comunicare all’autorità competente
le operazioni effettuate; il primo comma di questo articolo impone alle
imprese di investimento di comportarsi in modo onesto, equo e
professionale “al fine di rafforzare l’integrità del mercato”. Vediamo allora
come le medesime clausole generali che compaiono anche nell’art. 19 siano
invece qui declinate pubblicisticamente alla tutela del mercato e
ulteriormente rafforzate dalla previsione di uno ius puniendi in capo alle
autorità di vigilanza nazionali. È da ritenere dunque che i due principi
riguardino distinte realtà ed abbiano specifiche finalità.
Le considerazioni che sono state svolte sinora non si rivelano sterili
elucubrazioni teoriche, ma determinano rilevanti conseguenze pratiche,
specie nella patologia dei contratti di investimento.
15
All’interno della nuova disciplina normativa comunitaria in materia di servizi di
investimento vi sono molte ipotesi in cui il legislatore richiama congiuntamente o
singolarmente i due principi, dimostrando di comprendere perfettamente la distinzione tra i
due principi. Si vedano in proposito i considerando nn. 17, 44, 71 direttiva 2004/39/CE e n.
6 direttiva 2006/73/CE in cui vengono trattati cumulativamente, mentre nei considerando
nn. 26, 31, 61 direttiva 2004/39/CE emerge la mera tutela dei clienti. Appare improbabile
che tutte queste disposizioni siano frutto di un grossolano errore, cosa che impone
all’interprete di non sottovalutarle o peggio ignorarle.
16
In questo senso sembra propendere PERRONE, Servizi di investimento e violazione delle
regole di condotta, in Riv. Soc., 2005, 1018 ss.; in particolare l’Autore nota come i
maggiori costi vengano in ultima analisi scaricati sull’investitore e che quindi, in realtà,
anche l’efficienza del mercato risulta essere un interesse proprio anche dello stesso cliente
8
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Nel caso di violazione degli obblighi di condotta da parte dell’intermediario
autorizzato la giurisprudenza di merito17, soprattutto inizialmente, si è
orientata nel senso di rilevare una nullità dei contratti così conclusi.
Leggendo le motivazioni dei giudici ci accorgiamo di quanto la tutela del
mercato abbia giocato un ruolo fondamentale nella concessione del più
“grave rimedio civilistico18”; la protezione del pubblico risparmio infatti
diviene “valore dell’economia nazionale, della stabilità del sistema
finanziario, dell’efficienza del mercato dei valori mobiliari, con vantaggi per
le imprese e per l’economia sociale19”; altre sentenze si sono rifatte invece
più generalmente all’ordine pubblico economico, negando la riduzione della
fattispecie in esame a profili meramente contrattuali e quindi privati20.
Attraverso l’evoluzione legislativa prevista dalla MiFID si è assistito ad una
catalizzazione del sistema verso gli interessi dei risparmiatori, come è stato
messo in evidenza anche dai primi commentatori21 e dalla stessa
CONSOB22. L’interesse del risparmiatore è sceso dall’empireo dei valori
superindividuali per attestarsi verso un profilo più propriamente privatistico,
17
Sterminata la giurisprudenza che ha seguito questo filone interpretativo a partire dal Trib.
Mantova 18 marzo 2004, in Giur. it., 2004, I, 2125.
18
L’espressione è ripresa da BATTELLI, op. cit., 471; nel brano l’Autore critica l’indirizzo
giurisprudenziale, ma anche il legislatore che tendono con troppa facilità ad abusare di
questo strumento, determinandone una vera e propria inflazione.
19
In questi termini si veda Trib. Palermo 16 Marzo 2005 in www.sidiba.it che cita Cass. 7
marzo 2001 n. 3272; l’argomentazione verrà ripresa da più tribunali italiani cfr. Trib.
Termini Imerese 7 marzo 2006 in www.ilcaso.it; sullo stesso tono Trib. Treviso 26
novembre 2004 in www.sidiba.it.
20
Così il Trib. Firenze 30 maggio 2004 in Giur. it., 2005, 754 ss. ed in particolare lo stesso
Tribunale 8 Febbraio 2005 in www.ilcaso.it.
21
Cfr. CERNIGLIA, La MiFID, in www.federconsumatori.it, 16.
22
La nostra autorità di vigilanza ha parlato significativene di “enfatizzazione della
centralità dell’interesse del cliente quale destinatario del servizio prestato
dall’intermediario” che deriva dalla forte contrattualizzazione del rapporto intercorrente tra
cliente e impresa di investimento; cfr. il documento di consultazione allegato al nuovo
regolamento intermediari disponibile sul sito www.consob.it.
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seppur appartenenti ad un soggetto (ritenuto) contrattualmente debole. Una
caduta se non all’inferno, almeno al purgatorio: l’interesse che viene in
rilievo nella prestazione dei servizi di investimento è infatti pur sempre
quello particolare del singolo cliente, che trova la sua composizione
essenzialmente nel contratto. La volontà di ricondurre la fattispecie in esame
entro la prospettiva privatistica, dissociandola da quella pubblicistica
depone quindi in favore dei rimedi contrattuali diversi dalla nullità come la
risoluzione del contratto e la responsabilità precontrattuale.
5. La diretta applicabilità della disciplina comunitaria
A margine dei ragionamenti sin qui svolti occorre però registrare che al
momento il nostro legislatore delegato non sembra aver accolto questa
tendenza evolutiva della disciplina, come dimostrato nel decreto di
recepimento della direttiva MiFID. Il novellato art. 21 TUF23 impone agli
intermediari di agire con diligenza, correttezza e trasparenza “per servire al
meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati”. I due principi
sono quindi ancora richiamati congiuntamente, anche se è da rilevare che
nella disposizione indicata si è menzionata la trasparenza, considerata dal
diritto comunitario come elemento distinto dai primi due e regolata in via
autonoma dall’art. 25 della direttiva di primo livello24.
Il testo della direttiva di primo livello è in ogni caso assolutamente chiaro in
proposito e, anche in assenza di un’apposita normativa nazionale di
23
Cfr. il Consiglio dei ministri n. 63 del 30 agosto 2007 che ha approvato in via definitiva il
testo del decreto legislativo di attuazione della MiFID e delle altre due direttive relative alla
nuova disciplina del settore finanziario.
24
Occorre infatti distinguere: la diligenza e la correttezza si rifanno alla disposizione di cui
all’art. 19 della direttiva 2004/39/CE, mentre la trasparenza rinvia all’art. 25. Come
abbiamo già avuto modo di notare supra, si tratta di articoli animati da distinte finalità e
che non devono essere assolutamente confusi.
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adeguamento, potrà palesare i suoi effetti, in virtù dell’interpretazione
conforme al diritto comunitario25.
Rimane dunque difficile continuare a sostenere per la giurisprudenza la
salvaguardia dell’ordine pubblico economico onde giustificare la sanzione
della nullità dei contratti conclusi in violazione degli obblighi informativi,
tenendo anche conto che, come hanno dimostrato parte della dottrina26 e
della giurisprudenza27, la posizione dell’investitore risulta essere già
adeguatamente
tutelata
da
altri
rimedi
civilistici
predisposti
dall’ordinamento.
La nuova disciplina comunitaria fornisce pertanto un’ulteriore contributo
alle tesi contrarie alla nullità, in un momento particolarmente sensibile dato
che è in corso un rinvio alle Sezioni Unite della Cassazione proprio in
relazione alla responsabilità degli intermediari derivante dalla violazione dei
propri doveri di informazione.
25
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha stabilito in proposito che il principio
dell’interpretazione conforme palesi la sua efficacia anche nel caso in cui a normativa
nazionale sia anteriore alla direttiva non trasposta, come stabilito nella sentenza Marleasig
c. La Comercial Internacional de Alimentación SA, C-106/89; anche la letteratura è
concorde con questa tesi. Cfr. sul punto POCAR, Diritto dell’unione e delle comunità
europee, Milano, 2004, 295 s., DANIELE, Diritto dell’unione europea, Milano, 2004, 176
ss., TESAURO, Diritto comunitario, Padova, 2005, 180 ss.
26
La letteratura in questo senso è davvero sterminata; tra le tante si segnalano. MIOLA,
Commento all’art.21, in Testo unico della Finanza. Commentario diretto da G.F.
Campobasso, Torino, 2002, I, 161; COSTI e ENRIQUES, Il mercato mobiliare, in Trattato
di diritto commerciale, vol. VII, diretto da COTTINO, Padova 2004, 367 ss.; SARTORI, Le
regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano, 2004., 367 ss.; COLANGELI, La
violazione degli obblighi di informazione nella disciplina dei contratti finanziari, in
www.personaedanno.it; ROPPO, La tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e
risarcimento (ovvero l’ambaradan dei rimedi contrattuali), in Contratto e impresa, 2005,
909 s., GOBBO e SALODINI, I Servizi d’investimento nella giurisprudenza più recente, in
Giur. comm., 2006, II, 33 ss.
27
Molte le sentenze che si possono che accolgono questo indirizzo; ex multis; Trib. Taranto
28 ottobre 2004, in Foro it., 895; Trib. Roma 22 dicembre 2004 e 31 marzo 2005 in Foro.
It., I, 2536; Trib. Milano 25 luglio 2005 in I contratti, 460; Trib. Catania 22 novembre
2005, in Foro It., I, 1214.
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