MODULO 2 VALUTARE LA QUALITA’ DEGLI APPRENDIMENTI TITOLO SOMMARIO Le sfide in materia di qualità dell'istruzione in Europa sono seguenti: la sfida del sapere; la sfida delle autonomie; la sfida delle risorse; la sfida dell'integrazione sociale; la sfida dei dati e della comparabilità. Il confronto tematico con queste sfide mostrerà quanto investire in istruzione sia essenziale per un futuro solidale e responsabile delle democrazie nella società globale. Lezione 1 La qualità dei risultati di apprendimento come obiettivo strategico europeo Quando si parla di valutazione dei risultati di apprendimento ci si riferisce di solito all'attività di ricerca e di individuazione dei cambiamenti intervenuti nei partecipanti ad un corso di formazione o ad un curricolo scolastico o formativo, e che possono essere ritenuti come effetti ovvero come risultati del percorso formativo seguito. In altre parola, la valutazione dei risultati viene a identificarsi con il momento in cui il gruppo dei formatori tenta di dare una risposta a tre tipi di domande logicamente conseguenti: -in che cosa sono cambiati i risultati di apprendimento negli allievi a conclusione della loro esperienza formativa? -quanto di questo cambiamento é il risultato della loro partecipazione al processo formativo? -quanto é stato efficace il percorso di studi in rapporto alla realizzazione degli obiettivi di istruzione e di formazione perseguiti? In genere succede che della valutazione si danno teorie diverse tendenti le une a sposarla con gli obiettivi dell'organizzazione,le altre con quelli dei soggetti sottoposti a formazione. A fronte dei numerosi interrogativi che la valutazione pone alla nostra attenzione, (e cioé: quale differenza c'é tra valutazione e controllo? può darsi un concetto di valutazione espresso solo in termini quantitativi, di misurazione e non anche di relazione?Quale rapporto nella valutazione si realizza tra committente,formato e formatore?) si propone la seguente definizione di valutazione: la valutazione dei risultati di apprendimento é un'attività di ricerca che ha l'obiettivo di misurare le soglie di competenza raggiunte dai partecipanti ad un percorso formativo di apprendimento formale. Dunque qualunque operazione di valutazione della qualità degli apprendimenti si sviluppa in relazione ad obiettivi strategici fissati da Organismi nazionali o sovranazionali. Tra gli obiettivi fissati dal Consiglio di Lisbona del 2000. Tra gli obiettivi da raggiungere entro il 2010 vi è quello di rendere i sistemi d’istruzione e formazione dell’UE un punto di riferimento di qualità, in particolare è stato concordato: • La diminuzione della percentuale degli abbandoni precoci (non oltre il 10%) • L’aumento dei laureati in matematica, scienze e tecnologia ( incremento almeno del 15% e pari opportunità di genere) • Aumento dei giovani che completano gli studi secondari superiori (entro il ventunesimo anno di età) • Diminuzione della percentuale dei quindicenni con scarsa capacità di lettura (almeno il 20% rispetto al 2000) • Aumento della media europea di partecipazione ad iniziative di lifelong learning (almeno 12% della popolazione adulta). Gli obiettivi strategici di Lisbona 2010 A fine marzo 2005, veniva pubblicato dagli organismi Comunitari il secondo rapporto sui risultati e i progressi compiuti dai sistemi d’istruzione e formazione dei paesi membri dell’Unione Europea rispetto agli obiettivi definiti al summit di Lisbona del 2000. Vi venivano analizzati i 29 indicatori e i cinque benchmark, individuati da esperti dei paesi partecipanti e adottati dal Consiglio: gli abbandoni precoci, il completamento della scuola secondaria superiore, le competenze alfabetiche, la partecipazione all’apprendimento per la vita e il numero di laureati in matematica, scienze e tecnologia. Il monitoraggio periodico del processo di Lisbona si configurava così come un elemento importante per individuare punti di forza e di debolezza e definire le correzioni di tiro e le strategie necessarie all’attuazione degli obiettivi per il 2010, attraverso il cosiddetto metodo aperto di co-ordinamento. Tale metodo, definito per aiutare i Paesi membri a sviluppare progressivamente le proprie politiche, prevedeva : • la definizione di linee guida per l’Unione, associate a tempi prestabiliti, per l’acquisizione degli obiettivi nel breve, medio e lungo termine; • la definizione, dove opportuno, d’indicatori e benchmark quantitativi e qualitativi e tagliati sulle necessità dei differenti paesi membri e settori, in quanto strumenti di confronto delle migliori pratiche; • la traduzione delle linee guida europee in politiche nazionale e regionali, definendo obiettivi specifici e adottando misure opportune; • monitoraggi periodici, valutazioni e controllo tra pari, intesi come processi d’apprendimento reciproco. Come si evince dal rapporto, i cinque benchmark adottati dal Consiglio nel Marzo 2003 costituiscono ancora, a metà del cammino, una sfida seria per i sistemi educativi e formativi europei, soprattutto per quanto riguarda l’innalzamento degli apprendimenti, la partecipazione al lifelong learning e la riduzione degli abbandono scolastici. Il rapporto evidenziava, anche, un altro elemento di crisi: la necessità di trovare circa un milione di docenti, entro il 2015, in sostituzione di quelli che sarebbero andati in pensione. Un campanello d’allarme già lanciato mesi fa dall’ETUCE e finalmente fatto proprio dall’Unione Europea. Quasi la metà dei Paesi Membri sono tra i tre paesi leader in almeno una delle cinque aree individuate. Le buone pratiche ed esperienze non risultavano, quindi, confinate a pochi paesi. Oltre ai soliti paesi del Nord Europa, si segnalavanio gli eccellenti standard raggiunti in un alcuni campi dai paesi nuovi membri, come la Polonia, la Repubblica Ceca, la Lituania, la Slovacchia e la Slovenia. I punti essenziali richiamati dal montoriaggio predetto in ordine agli Obiettivi di Lisbona 2010 risultabano essere i seguenti: 1)L’alto numero d’abbandoni precoci dalla scuola costituisce un ostacolo alla possibilità di assicurare una maggiore coesione sociale nell’Unione Europea Sebbene ci sia stato un miglioramento nella riduzione del numero d’abbandoni precoci nel periodo 2000-2003 (-1,5%), dovuto soprattutto all’ingresso dei paesi dell’Est europeo, nel 2004 ancora il 15,9% dei giovani tra i 18 e i 24 anni nell’Unione Europea ha abbandonato la scuola con il rischio di trovarsi al margine od escluso dalla società della conoscenza. Il Consiglio ha stabilito di ridurre l’abbandono scolastico del 10% entro il 2010, obiettivo irragiungibile se non si diminuisce in modo efficace il tasso degli abbandoni. I paesi che hanno raggiunto i risultati migliori in questo campo sono: Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, che condividono con Danimarca, Austria, Lituania, Finlandia e Svezia un tasso d’abbandoni inferiore alla media UE. Ovunque, l’abbandono da parte delle ragazze è inferiore rispetto ai maschi, con differenze anche molto significative in alcuni paesi. A parere del gruppo di lavoro estensore del rapporto, l’acquisizione di tale obiettivo richiederà azioni politiche ed impegni sostanziali. Soprattutto occorre potenziare i percorsi connessi alla seconda opportunità formativa, sviluppare la cultura dell’apprendimento per la vita, di cui costituisce parte integrante il riconoscimento degli apprendimenti non formali ed informali. Un ruolo importante lo devono giocare anche le imprese, che sono in grado di raggiungere larghe fasce di popolazione una volta uscite dall’istruzione formale. Si suggeriscono incentivi finalizzati all’espansione degli investimenti nella formazione all’interno dell’imprese e in settori trasversali, al fine di aiutare i lavoratori nell’accesso all’apprendimento. 2) E’ necessario un numero adeguato di laureati nelle discipline matematiche, scientifichee tecnologiche per la società della conoscenza. Il Consiglio aveva definito due obiettivi: aumentare almeno del 15% il numero dei laureati nel settori scientifici, matematici e tecnologici entro il 210 e contemporaneamente ridurre il gap per quanto riguarda la differenza di genere. Le attuali tendenze sono positive, soprattutto rispetto al primo obiettivo che, probabilmente, verrà raggiunto, anche se si potranno incontrare difficoltà nel suo mantenimento, dato il calo demografico che caratterizza la maggior parte dei paesi dell’Unione Europea. I paesi che registrano il livello più alto di laureati in queste disciplineogni 1000 abitanti tra i 20 e i 29 anni sono: Irlanda; Francia e UK, mentre in Portogallo, Estonia e Lituana si registra il migliore bilancio tra i generi, che resta, in media, ancora troppo “sbilanciato”: nel 2001 solo il 31% dei laureati nel campo scientifico, matematico e tecnologico erano donne. Va, inoltre, sottolineato che in Europa la percentuale di laureati in questi settori è più alta che negli USA e in Giappone (rispettivamente 25%, 17% e 22%), ma non si riesce a capitalizzare questo potenziale, in quanto ci sono meno persone che lavorano nell’ambito della ricerca . Un altro problema è relativo agli stanziamenti. L’UE colloca solo il 1,9% del PIL in ricerca contro l’obiettivo del 2010 del 3% eciò costituisce uno dei fattori che incidono sulla fuga dei cervelli . Circa 85.000 ricercatori e scienziati europei lavorano negli USA. Per avere la stessa percentuale di ricercatori attivi che negli USA, l’Unione Europea dovrebbe aumentare i propri ricercatori di 550.000 unità, entro il 2010. Secondo il gruppo di lavoro, la sfida maggiore consiste nell’evitare la fuga dei cervelli verso altri settori economici o in altre regioni del mondo e nel rendere attraente il lavoro del ricercatore in Europa. L’altra sfida riguarda il bilancio tra i generi, per cui occorre individuare metodi innovativi per convincere le ragazze a proseguire gli studi nel campo matematico, scientifico e tecnologico. 3) Una partecipazione efficace alla società della conoscenza richiede una conoscenza di base che corrisponda al livello di scuola secondaria superiore Il Consiglio ha stabilito che entro il 2010 almeno l’85% dei 22enni nell’UE abbiano completato la scuola secondaria superiore. Dal 2000 il tasso fluttua intorno al 76,5%, mentre dovrebbe crescere di 1,5 punti l’anno se si vuole raggiungere l’obiettivo prefissato. Attualmente, in ben 14 paesi membri della UE i dati sono al di sotto del 80%, mentre sono soprattutto i paesi dell’Est ad avere buoni risultati, con tassi anche superiori al 90%, come la Repubblica Ceca e la Slovacchia. Ovunque, la percentuale delle ragazze che terminano gli studi è più alta rispetto ai maschi, con differenze anche superiori ai 10 punti, come in Estonia, Grecia, Spagna, Lettonia e Portogallo. Per quanto riguarda gli immigrati, gli esiti sono tendenzialmente inferiori nella scuola secondaria superiore e i risultati più bassi nelle competenze relative alla lettura (ricerca PISA).Nel 2004 il differenziale UE nel livello dei risultati tra studentidi origine locale e straniera era del 18,1% (del 20% nel 2003), con le differenze maggiori registrate in Grecia, Germania, Olanda e Svezia. A parere degli estensori del rapporto, in assenza d’iniziative e maggiori sforzi, sarà molto difficilmente raggiungere tale obiettivo.Si suggerisce di imparare dalle buone pratiche, soprattutto nel confronto di paesi come la Finlandia, che mostrano come sia possibile coniugare qualità con equità. Il gruppo di lavoro ritiene, inoltre, necessario sviluppare nuovi indicatori nell’area delle competenze chiave, soprattutto per quanto concerne le abilità che un adulto deve possedere, l’imprenditorialità, l’imparare ad apprendere e il possesso delle lingue straniere. Maggiore attenzione deve essere, inoltre, data agli esiti dei ragazzi, dei giovani bisognosi di insegnamenti speciali e degli alunni di origine straniera. 3) Gli individui devono aggiornare e completare le loro conoscenze, competenze e abilità attraverso la partecipazione al lifelong learning. Nel 2004, una media pari al 9,4% degli adulti tra i 25 e i 64 anni aveva partecipato ad attività formative, con una maggiore presenza delle donne. L’aumento annuale nel tasso di partecipazione in attività di lifelong learning dovrà crescere dall’attuale percentuale dello 0,1-0,2% allo 0,5% nel periodo 2004-2010, se si vuole raggiungere l’obiettivo del 12,5%, entro il 2010. Inoltre, dal 2002 si è allargata la forbice tra i possessori di titoli di studio medio alti e quelli con titoli di studio basso: nel 2004 solo lo 0,5 % della popolazione tra i 25-64 anni con titolo di studio inferiore alla secondaria aveva partecipato a percorsi formativi, nelle 4 settimane precedenti all’indagine. I paesi con i migliori risultati sono: Svezia, Danimarca e Finlandia e UK, seguiti da Slovenia ed Olanda. . L’obiettivo del Consiglio di arrivare entro il 2010 ad un tasso del 12,5% richiede che i Paesi Membri rafforzino le iniziative per sviluppare una strategia di lifelong learning integrata, coerente e inclusiva. La sfida per l’Europa non consiste solo nell’aumentare il tasso di partecipazione, ma anche nell’assicurare una cultura coerente relativamente all’apprendimento per la vita. Mancano indicatori appropriati relativi ad elementi essenziali come l’accesso, il tutoraggio, l’orientamento e la flessibilità dei sistemi di apprendimento. 4) Occorre, inoltre, porre maggiore attenzione sui gruppi socio-economici più esclusi dai percorsi formativi, come i migranti, i ragazzi con bassi titoli di studio. L’acquisizione delle competenze di base costituisce un primo gradino per partecipare allo sviluppo della società della conoscenza. Nel settore fondamentale delle competenze nel campo della lettura, i dati più recenti evidenziano che, nel 2003, circa il 20% dei ragazzi, al di sotto di 15 anni, degli stati membri della UE erano in grado di raggiungere solo il primo livello. Un dato assai preoccupante, in quantosignifica che ogni anno circa un milione di giovani entrano nella vita lavorativa senza le principali competenze di base. Rischia così di diventare irraggiungibile l’obiettivo prefissato per il 2010: ridurre il tasso al 15,5%. I paesi con i migliori esiti sono: Finlandia, Irlanda e Olanda. Per quanto riguarda l'Italia, si tratta di uno dei paesi in cui le differenze tra migliori e peggiori risultati è più bassa, ma che registra un numero piuttosto elevato d’alunni al primo livello o inferiore ad esso. 5) L’Unione Europea si caratterizza per i bassi investimenti nelle risorse umane, specialmente nell’istruzione superiore. Gli investimenti pubblici in istruzione e formazione come percentuale del Prodotto Interno lordo sono cresciuti, ma in modo troppo lento da quando è stata adottata la strategia di Lisbona. Soprattutto ci sono stati scarsi progressi negli investimenti nell’istruzione secondaria e superiore, mentre sono aumentati in maggiore misura gli investimenti per alunno nella scuola primaria, a causa della diminuzione complessiva del numero di alunni. Danimarca e Svezia sono i due paesi che investono di più con il 7% del PIL destinato all’educazione. Il livello di spesa dei paesi della UE in rapporto al PIL è simile a quello degli USA, mentre è più elevato rispetto al Giappone. Sono, invece, rispettivamente di otto e di tre volte inferiori, rispetto a USA e Giappone, gli investimenti privati nell’istruzione superiore. Solamente in Lettonia e Germania gli investimenti privati in istruzione e formazione superano l’1% del PIL. A parere del gruppo di lavoro, occorre attivare politiche per incentivare la presenza di capitali privati soprattutto nell’istruzione terziaria . 6. L’Unione Europea ha bisogno di attrarre più di un milione di persone alla professione docente Attualmente nell’Unione Europea ci sono circa 6milioni di docenti nell’educazione primaria e secondaria. Mantenendo costante il rapportoalunni/docenti e prendendo in considerazione il trend demografico e le proiezioni,nel periodo 2005-2015 dovrà essere sostituito più di un milione di docenti. Germania, Danimarca e Svezia sono i paesi con la più alta percentuale di docenti ultracinquantenni nella scuola primaria,a livello di scuola secondaria ci sono ancora la Germania e la Svezia, insieme con l’Italia. A parere del gruppo di lavoro, per evitare l’accrescersi del fenomeno del reclutamento di personale non qualificato, è necessario lavorare su due piani paralleli: attivare politiche di incentivazione all’insegnamento per sostituire, da subito, i docenti che vanno in pensione con persone qualificate ( ad es. assunzione d’insegnanti in pensione, esperti dal mondo del lavoro, incentivi economici per le materie in cui c’è maggiore carenza) e lavorare per politiche di lungo termine relative alla formazione in ingresso e in servizio,affinché si crei un corpo docente in possesso delle abilità e delle competenze necessarie a svolgere il loro ruolo nella società della conoscenza, nei prossimi anni. La Commissione intende, in co-operazione con esperti dei paesi membri, ampliare gli indicatori relativi ai docenti, aggiungendo a quelli già usati di carattere quantitativo,altri di carattere qualitativo, quali le politiche relative all’assunzione, al reclutamento e alla pensione. 7. La maggior parte degli alunni dell’Unione Europea non raggiunge l’obiettivo dell’acquisizione di almeno due lingue straniere. Nel 2002, per ogni alunno èstata insegnata una media di 1,3 e 1,6lingue straniere negli stati membri, rispettivamente nell’educazione secondaria inferiore e superiore. Il numero medio di lingue straniere insegnate per alunno dovrebbe crescere di almeno del 25% per raggiungere l’obiettivo della conoscenza di almeno due lingue straniere per allievo. L’inglese è la lingua maggiormente studiata, con il 46% degli alunni nella scuola primaria e il 91% nella secondaria. A parere del gruppo di lavoro,occorre innalzare e diversificare il profilo delle lingue straniere nel curriculum scolastico in modo che gli alunni possano avere accesso ad un numero maggiore di lingue ed in età più precoce. Ciò anche al fine di impedire il monopolio dell’inglese. Per poter raggiungere questi obiettivi c’è la necessità di disporre di informazioni precise sui processi messi in atto per poter poi mettere in azione strategie finalizzate al superamento delle criticità e al miglioramento del sistema nel suo complesso. In tale contesto il sistema scolastico italiano partecipa alle indagini OCSE-PISA . L’ indagine PISA (Programme for International Student Assessment, Programma per la Valutazione Internazionale degli Studenti) è un’indagine internazionale promossa dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) per accertare le competenze dei quindicenni scolarizzati nelle aree della comprensione della lettura, della matematica e delle scienze. Gli indicatori OCSE dell’istruzione si propongono di misurare le prestazioni di sistemi scolastici nazionali nel loro insieme, piuttosto che confrontare singole entità istituzionali o all’interno delle nazioni. Gli indicatori attraverso i quali l’OCSE valuta i sistemi di istruzione sono stati decisi dall’OCSE e non sempre i Paesi che li utilizzano ne condividono la scelta. Risultano comunque parametri che evidenziano lo stretto legame che esiste tra lo sviluppo economico , la crescita sociale e l’istruzione di un Paese. In tale contesto si inserisce l’ imminente pubblicazione dell’indagine OCSE PISA 2006 che in Italia è stata gestito in modo prevalente dall’INVALSI. Infatti per la prima volta oltre ad un numero abbastanza elevato di scuole che partecipano tramite le prove somministrate dall’INVALSI vi partecipano anche alcune regioni in modo autonomo, l’Emilia Romagna, il Veneto e la Lombardia stileranno un proprio rapporto coadiuvate dall’INVALSI. PISA 2006 è il terzo ciclo di rilevazione, ogni ciclo dell'indagine approfondisce in particolare un'area: nel primo ciclo (PISA 2000) è stata la lettura, nel secondo (PISA 2003) è stata la matematica,questo ciclo approfondisce l'area relativa alle scienze. PISA 2006 intende rilevare le competenze scientifiche per le quali ci si riferisce non soltanto al possesso di specifiche conoscenze scientifiche, ma anche alla capacità di utilizzare in modo funzionale tali conoscenze in contesti di vita reale. Più in particolare, esso comprende: • • • • le conoscenze scientifiche e il loro uso per identificare domande, per acquisire nuove conoscenze e per trarre conclusioni fondate su problemi di carattere scientifico la comprensione delle caratteristiche che contraddistinguono la scienza come forma di conoscenza umana e come forma di indagine la consapevolezza di come la scienza e la tecnologia concorrono a determinare l'ambiente materiale, intellettuale e culturale in cui si è inseriti; la disponibilità a confrontarsi criticamente con problemi che implicano una dimensione scientifica e con le idee della scienza. Gli strumenti utilizzati in PISA 2006 sono prove per la rilevazione delle competenze degli studenti e comprendono quesiti relativi alle competenze nell'ambito: delle scienze, della lettura e della matematica; questi ultimi già utilizzati nelle due precedenti fasi. L'analisi delle risposte degli studenti a tali quesiti consentirà non soltanto di stabilire possibili relazioni tra le diverse competenze indagate, ma anche di individuare le eventuali differenze nelle prestazioni degli studenti. Le prove sono state articolate divise in tre questionari: • Questionario Studente: per la rilevazione delle variabili di sfondo relative alla provenienza socio-economica, alle caratteristiche dell'indirizzo di studi seguito e alle motivazioni e atteggiamenti nei confronti della scuola e dell'apprendimento delle scienze. Nel questionario è anche presente un numero limitato di domande, che intendono raccogliere informazioni sulla familiarità degli studenti con le tecnologie dell'informazione e della comunicazione. • Questionario Scuola: rivolto ai dirigenti scolastici, ai quali si richiede di fornire informazioni relative a: tipo di scuola e sue caratteristiche, risorse disponibili, caratteristiche dell'utenza, coinvolgimento dei genitori, professioni legate alle scienze e mercato del lavoro. • Questionario Genitori: finalizzato alla raccolta di informazioni aggiuntive sul ruolo dei genitori nell'educazione scientifica degli studenti. Gli ambiti di competenza di PISA e i relativi Livelli in lettura, matematica e problem solving stanno diventando quadro di riferimento in termini di ambiti di competenze, di tipologie di prove, definizione dei livelli di prestazione e delle loro caratteristiche, ne è un esempio la recente c.m n.28 relativa alla certificazione sperimentale delle competenze al termine del primo ciclo d’istruzione. Le competenze sono definite dall’OCSE quali ”capacità di rispondere a esigenze individuali e sociali o di svolgere efficacemente un’attività o un compito” e si distinguono dalle “competenze chiave” che sono quelle competenze indispensabili per l’individuo nei molteplici contesti sociali . E’ recente la raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo relativa a “competenze chiave per l’apprendimento permanente”. La citata raccomandazione dovrebbe contribuire allo sviluppo di un’istruzione e di una formazione di qualità concepite in funzione delle esigenze della società europea ad integrazione delle azioni degli Stati membri: oltre ad assicurare che i loro sistemi di istruzione e formazione iniziale offrano, a tutti, i mezzi per sviluppare competenze chiave a un livello tale che li prepari per la vita adulta. Le azioni dovranno garantire la base per ulteriori occasioni di apprendimento nel corso della vita adulta mediante un’offerta coerente e completa di possibilità di apprendimento permanente. Le raccomandazioni dell’UE sono finalizzate anche a sostenere altre politiche correlate quali quelle occupazionali e sociali, ma fondamentalmente deve essere una base di partenza comune sulle competenze chiave da cui partire per le riforme nazionali sull’istruzione e la formazione allo scopo di raggiungere i livelli di riferimento europei concordati nel programma di lavoro da raggiungere entro il 2010. LEZIONE 2 La qualità dei risultati di apprendimento attraverso l’Indagine OCSE PISA Innanzitutto, alcune informazioni essenziali sul progetto PISA. Si tratta di una delle più ampie e articolate indagini intraprese dall'OCSE, che prevede diverse fasi di realizzazione nel corso di un periodo di più anni (dal 2000 fino al 2009) ed ha come oggetto le competenze degli studenti dell'età di 15 anni1 in quattro aree: a)le competenze cosiddette trasversali o cross-curricolari, travalicanti i confini delle singole discipline (atteggiamenti sociali, strategie e metodi di studio, capacità di soluzione di problemi, ecc.); b)la comprensione della lettura di testi scritti; c)la matematica; d)le scienze. Il focus dell'indagine è dunque concentrato sulle competenze ritenute necessarie per inserirsi come lavoratori produttivi e cittadini responsabili in società complesse e in un mercato del lavoro in continua trasformazione come quelli che caratterizzano l'odierno mondo industrializzato. Le caratteristiche che differenziano questa indagine da quelle per altri versi analoghe condotte dalla IEA (International Association for the evaluation of Educational Achievement) sui risultati scolastici - la più recente delle quali è la TIMMS-R 1999 (Terzo Studio Internazionale sulla Matematica e le ScienzeRipetizione) - si possono così riassumere: innanzitutto, il campione oggetto della ricerca è basato sull'età (age-based) anziché anzichè sul livello di scolarità (grade-based), è cioè formato dai ragazzi di 15 anni - età che in molti paesi OCSE coincide col completamento della scolarità obbligatoria frequentanti una struttura formativa di qualunque tipo e grado; inoltre, ciò che ci si è proposto di misurare non sono tanto le abilità e conoscenze che gli alunni dovrebbero aver raggiunto a determinate tappe del percorso scolastico in base al curricolo stabilito (ad esempio, al quarto o all'ottavo anno di scuola, ecc.), quanto piuttosto il livello di literacy2 in alcune aree fondamentali, quali la lettura, la matematica e le scienze, la cui padronanza è ritenuta un presupposto di ogni ulteriore apprendimento e approfondimento. In altre parole, oggetto dell'indagine non sono tanto le conoscenze strettamente disciplinari ma piuttosto le capacità, in senso ampio, che i giovani hanno sviluppato di saper utilizzare le abilità e conoscenze maturate a scuola per affrontare e risolvere problemi aventi attinenza con la vita di ogni giorno e per continuare ad imparare lungo tutto il corso dell'esistenza. Si tratta dunque delle competenze di base che tutte le scuole, nella fascia dell'obbligo, 1 L'età degli studenti oggetto dell'indagine oscillava, all'inizio della fase di rilevazione 2000, tra 15 anni e 3 mesi e 16 anni e 2 mesi attorno a una media di 15 anni e 8 mesi. 2 La nozione di literacy - talvolta tradotto con "alfabetizzazione" - cui si fa riferimento in PISA è molto più ampia e complessa dell'originaria formulazione di questo concetto, che corrispondeva al possesso delle abilità strumentali minime di lettura e scrittura ed era valutato secondo un criterio di "tutto o niente". La literacy in PISA è misurata lungo un continuum, scandito, per quanto riguarda la comprensione della lettura, in livelli di competenza progressiva da 1 a 5, implicanti abilità via via più ricche e complesse. dovrebbero tendere a sviluppare e perciò considerate come in qualche modo "indipendenti" dallo specifico curricolo seguito. Gli strumenti cui si è fatto ricorso per l'accertamento delle competenze così definite sono, come accade nelle indagini internazionali a grande scala, prove "oggettive" di profitto costruite in relazione a tre dimensioni: a)il contenuto o la struttura delle conoscenze verificate (ad es., concetti scientifici fondamentali, o testi scritti di diverso tipo); b)i processi richiesti dai quesiti proposti nei test (ad es., il saper rintracciare informazioni all'interno di un testo o comprenderne il significato complessivo, o interpretare un grafico, ecc.); c)i contesti in cui le conoscenze e abilità misurate dovevano essere applicate (ad es., la vita quotidiana, il mondo degli affari, ecc.).3 All'interno di questo quadro generale, la prima fase dell'indagine, svoltasi nel 2000, si è concentrata sulle competenze nella lettura, in matematica e scienze con una particolare attenzione alla prima delle tre aree esaminate; nella seconda fase, prevista per il 2003, il focus si è spostato soprattutto sulla matematica e nella terza (2006) sulle scienze, mentre per quanto riguarda le competenze cross-curricolari la ricerca su di esse è condotta in parallelo a quella sulle competenze nelle altre tre aree nel corso dello sviluppo delle successive fasi dell'indagine. a) I risultati dell'Italia Ciò detto, ritorniamo ai risultati degli alunni italiani. Rispetto ai due criteri fondamentali in base a cui l'efficienza di un sistema scolastico può esser valutata, in stretta relazione a quelli dell'efficacia e dell'equità, il sistema scolastico italiano esce dal confronto con gli altri paesi OCSE decisamente perdente per quanto riguarda efficienza ed efficacia, mentre non altrettanto accade sul secondo versante. Prima di proseguire, è forse il caso di precisare meglio cosa s'intenda a livello di ricerca internazionale per "efficacia" ed "equità" di un sistema scolastico e soprattutto come questi due concetti siano operazionalizzati. L'efficacia consiste essenzialmente nella capacità di un sistema di far conseguire ai suoi studenti i più alti livelli possibile di apprendimento, mentre l'equità è data dalla sua capacità di assicurare a tutti gli alunni la stessa qualità d'istruzione e le stesse opportunità di avanzare negli studi, indipendentemente dalle condizioni sociali ed economiche di ciascuno, riducendo nel contempo le differenze nei risultati legate alle diversità nel background socio-culturale degli alunni. L'efficacia è misurata essenzialmente dal grado di eccellenza nei risultati raggiunti sul piano cognitivo; a questo scopo i principali indicatori utilizzati sono di tre tipi: 3 I test utilizzati erano costituiti da quesiti di vario tipo, fra cui - oltre ad items a scelta multipla semplici o complessi - vi erano anche items in cui il soggetto era richiesto di formulare la propria risposta, in forma breve o estesa. Esempi di quesiti usati in PISA si possono rinvenire all'indirizzo: www.pisa.oecd.org - il livello medio di profitto la percentuale di alunni di un paese che si colloca nel decile superiore della distribuzione internazionale dei punteggi, cioè degli studenti che raggiungono o superano il punteggio corrispondente a quello al di sotto del quale si situa il 90% di tutti i punteggi della distribuzione - l'entità del progresso realizzato da un anno scolastico al successivo, vale a dire l'incremento del profitto medio da un anno all'altro. Generalmente, questi tre indici tendono a correlarsi fra di loro. Ad esempio, Singapore che nella TIMSS-R del 1999 ha ottenuto in Matematica il più alto punteggio medio a livello nazionale, aveva anche una percentuale di studenti con un punteggio pari o superiore al 90% percentile della distribuzione internazionale (46%) maggiore di quella di ogni altro paese partecipante all'indagine4. Per quanto concerne invece la nozione di equità come sopra delineata, le cose sono un po' più complesse; si considerano comunemente indicatori di equità: - l'ampiezza della dispersione dei punteggi intorno al valore centrale della distribuzione (grado di variabilità dei risultati) - la percentuale di varianza nei risultati degli alunni costituita da varianza tra scuole e/o tra classi - il grado di relativa indipendenza dei risultati degli studenti dallo status socio-economico e culturale della famiglia d'origine. Tuttavia, per quanto riguarda l'equità, gli indicatori relativi al nostro paese presentano – due su tre - valori più positivi di quelli medi dei paesi OCSE. Infatti, il divario fra gli studenti più e meno bravi in Italia è minore di quello che si registra in Belgio e Germania, o detto ancora altrimenti, i peggiori studenti del Belgio e della Germania hanno risultati più bassi dei peggiori studenti italiani (anche se, per converso, i migliori studenti di questi due paesi hanno risultati superiori ai nostri migliori alunni). Il risultato sostanzialmente si ripete anche per le altre due aree di competenza considerate dall'indagine PISA. Anche per quanto riguarda l'incidenza dello status socio-economico e culturale della famiglia5 sul profitto degli studenti, influenza che si rileva in una misura più o meno grande in tutti i paesi del mondo, il sistema scolastico italiano si rivela sotto questo profilo relativamente più "egualitario" di altri benché si tratti, purtroppo, di un egualitarismo verso il basso. Il solo indice di equità su cui l'Italia registra un valore più negativo della media è la varianza nei risultati legata a varianza tra scuole. Vediamo di chiarire almeno su un piano intuitivo cosa s'intenda con questo concetto. Partiamo dalla considerazione che gli studenti che condividono uno stesso ambiente scolare, frequentano cioè la stessa scuola e/o la stessa classe, tenderanno probabilmente, a parità di tutte le altre condizioni, ad avere prestazioni più 4 Cfr.: Ina V.S. Mullis et al.(2000), Timss 1999. International Mathematics Report, ISC-IEA, Boston College, Chestnut Hill, MA, USA 5 Tale indice (Index of Economic, Social and Cultural Status o ESCS) è calcolato integrando diversi indicatori: a)la situazione occupazionale dei genitori, b)il livello di scolarità dei genitori, c)un indicatore di benessere familiare, d)un indicatore di risorse di carattere educativo presenti a casa (es. dizionario, ecc.) e)un indice del possesso familiare di strumenti culturali "classici" (numero di libri non scolastici, ecc.). L'indice è costruito in modo tale da avere media=0 e deviazione standard=1. simili di quanto non si verifichi tra gli studenti che frequentano scuole e/o classi diverse. Grazie alle tecniche di elaborazione statistica e ai modelli di analisi gerarchica multilivello sviluppati nell'ultimo quindicennio6 è possibile scomporre la varianza dei risultati scolastici in varie componenti, valutando il peso dei diversi fattori che influenzano il risultato a livello di singolo studente e a livello aggregato. La variabilità nei risultati dell'apprendimento può essere innanzitutto scomposta in due - o tre - componenti principali: una connessa all'appartenenza dello studente a una data scuola - o classe - (varianza "tra scuole" e/o classi) e una collegata alle differenze interindividuali (conoscenze pregresse, attitudini, motivazioni, caratteristiche socio-demografiche, ecc.) fra gli alunni (varianza "entro le scuole" e/o classi). La proporzione reciproca, nella varianza totale dei risultati, di varianza tra scuole e/o classi e varianza all'interno delle scuole e/o classi può mutare da un sistema scolastico all'altro. La prima componente fornisce indirettamente una misura dell'equità di un sistema giacchè, se la qualità d'istruzione - del curricolo e dell'insegnamento fosse la stessa in tutte le scuole e le classi, e se gli alunni di tutte le origini sociali e di tutti i livelli di abilità vi fossero distribuiti in maniera indifferenziata, essa dovrebbe tendere a zero, mentre tutta la varianza dei risultati risulterebbe allora attribuibile alle sole differenze tra gli allievi all'interno delle scuole o delle classi. Dunque la più alta proporzione di varianza tra scuole, in Italia, rispetto alla media OCSE è in buona parte una conseguenza della diversificazione, nei percorsi di studio e nei livelli di abilità della popolazione reclutata, tra licei, istituti tecnici e istituti professionali e costituisce dunque un risultato in qualche modo atteso in base alle caratteristiche strutturali del sistema scolastico italiano. Se si elimina infatti la differenza fra licei da una parte e istruzione tecnico-professionale dall’altra, la varianza tra scuole si dimezza7. La variabilità dei risultati costituita da varianza tra scuole - distinta dalla varianza all'interno delle scuole - può essere poi legata a varie potenziali sorgenti di differenziazione, attinenti sia a caratteristiche del sistema scolastico, come la sua articolazione in diverse tipologie di scuole con curricoli diversificati, sia all'ubicazione geografica degli istituti, ad esempio in ambiente urbano o in una zona di campagna, sia alle caratteristiche, sociali, attitudinali e di livello iniziale di preparazione, della popolazione complessiva reclutata dalle varie scuole. In generale, si può affermare che quanto più piccola è la differenza di risultati che si situa tra scuole, tanto maggiore è la percentuale di essa che può esser attribuita ai fattori dell'ambiente socio-culturale di provenienza degli studenti, mentre quanto più grande è la differenza che si colloca entro le scuole, tanto maggiore è la proporzione attribuibile ai fattori di background familiare8. b) Alcune osservazioni sull’andamento generale 6 Si veda: H. Goldstein (1987), Multilivel Models in Educational and Social Research, London: Charles Griffin & Co.; A. Bryk & S. Raudenbush (1992), Hierachical Linear Models, New York: Sage. 7 Cfr.: OECD (2001), Knowledge and Skills for Life. First results from OECD programme for international student assessment (PISA) 2000, p. 64 8 Cfr.: Ibidem, p. 197 Quali indicazioni si possono trarre dai risultati che emergono da PISA riguardo alle politiche scolastiche che sono meglio in grado di promuovere l'efficacia e l'equità? La prima osservazione è che i sistemi scolastici dei paesi occidentali hanno più o meno successo nel conciliare il perseguimento di entrambi gli obiettivi in discussione. Fra i paesi con un risultato nella comprensione della lettura superiore alla media (in tutto dieci) alcuni - Finlandia, Canada, Svezia e Islanda - presentano anche indicatori di equità con valori al di sopra della media, in particolare la Finlandia, che mostra in assoluto il quadro più desiderabile. Per i restanti sei paesi e per quelli con un risultato nella media o al disotto della media, invece, le discrepanze tra indicatore di efficacia complessiva e indicatori di equità sono numerose. La Spagna, ad esempio, ha un risultato che la colloca al margine superiore della fascia di paesi al di sotto della media ma in compenso indicatori di equità tutti con valori più positivi della media OCSE. La maglia nera spetta, se si vuole, alla Germania, che presenta contemporaneamente un risultato medio molto mediocre e per sovrappiù valori bassi sugli indicatori di equità. Il quadro non cambia molto per la matematica e le scienze, anche se in qualche caso si hanno delle variazioni nelle posizioni reciproche di alcuni paesi. In generale, conciliare efficacia ed equità non appare in Occidente un'impresa facile, anche se alcuni sistemi scolastici vi riescono, come si è visto, meglio di altri, primo fra tutti quello della Finlandia. C'è tuttavia da chiedersi se ciò sia frutto solo dell'organizzazione del sistema scolastico o anche di caratteristiche della società e della situazione demografica ed economica complessive. Non è probabilmente casuale se fra i paesi con risultati più positivi della media sia dal punto di vista dell'efficacia che dell'equità vi siano stati che assommano insieme un rapporto popolazione-territorio ottimale, alti livelli di reddito e un benessere diffuso tra gli abitanti, senza eccessivi squilibri nelle condizioni sociali ed economiche. Questo non vuol dire che l'organizzazione scolastica non giochi anch’essa la sua parte: in generale, si può affermare che i sistemi "comprensivi" - intendendo qui quei sistemi che non incanalano gli alunni in scuole con obiettivi e curricoli diversi prima dei 15 anni – sembrano avere risultati migliori dal punto di vista dell’efficacia misurata in termini di profitto medio, mentre per quanto riguarda l’equità ciò vale per i paesi scandinavi ma meno per quelli anglosassoni. Si può ipotizzare che intervengano qui due ordini di fattori: in primo luogo, anche se il sistema scolastico è formalmente unitario, tuttavia all’interno delle scuole possono esser più o meno diffuse pratiche di assegnazione, temporanea o permanente, degli alunni a corsi o classi diverse in base al livello di attitudine e/o di competenza acquisita, il che, a sua volta, può comportare o no lo svolgimento di programmi diversi in tutto o in parte. Ciò è molto frequente, ad esempio, negli Stati Uniti, dove la scuola pubblica è nominalmente unitaria fino alla conclusione del ciclo secondario ma ampiamente e variamente stratificata al suo interno. In secondo luogo un importante risultato emerso dall’indagine PISA, confermato d'altronde anche da altre ricerche, è che il livello complessivo dell’indice di status economico-sociale di una scuola ha un impatto assai maggiore sui risultati degli alunni di quanto esso non abbia a livello del singolo studente. In altre parole, un alunno di basso status che sia inserito in una scuola con un livello complessivo medio o alto, ha risultati più alti di un alunno del medesimo status che sia iscritto in una scuola dove il livello generale di status è basso - e l'inverso vale per un alunno di status medio o alto. Certo, si potrebbe obiettare che, poichè non sono ricavabili da PISA i dati sui livelli di apprendimento precedente degli alunni, non è nemmeno possibile stabilire fino a che punto il tono sociale della scuola sia collegato direttamente o indirettamente alle prestazioni degli allievi, per via di meccanismi di selezione esplicita o occulta. Tuttavia, da altre ricerche sappiamo che l'impatto congiunto del livello di status degli studenti e della scuola sui risultati degli alunni va al di là del loro obiettivo livello d'attitudine e di apprendimento pregresso: da uno studio realizzato in Francia risultava, ad esempio, che la probabilità di un alunno del collége (scuola secondaria inferiore) di essere assegnato ad una classe a ciclo aménagé9 variava, a parità di livello oggettivo di preparazione iniziale, in funzione dell'istituto frequentato - essendovi una relazione diretta tra la presenza di tali classi e la tonalità sociale complessiva del collège - e della categoria socio-professionale della famiglia dell'alunno10. In tutti i paesi, l'effetto "di contesto" della composizione sociale dell'utenza di una scuola sulle prestazioni degli alunni è molto più ampio di quanto non sia l'effetto dello status socio-economico del singolo studente sulla sua prestazione individuale. Ciò si spiega con il fatto che le scuole con un'utenza di livello medio-alto godono di una situazione di vantaggio sotto diversi aspetti contemporaneamente: «Esse hanno più probabilità di ricevere un supporto dai genitori, di avere meno problemi di disciplina, migliori relazioni fra insegnanti e studenti, un morale più alto fra gli insegnanti e in generale "un'atmosfera scolastica" orientata verso il raggiungimento di un elevato risultato. Vi è anche spesso un curricolo più accelerato. Gli insegnanti bravi e motivati sono con più probabilità attratti da scuole con un più alto livello socio-economico, dove è meno facile che si trasferiscano in un'altra scuola o che lascino la professione»11. Se si tiene presente tutto ciò, si comprende come il modo in cui gli alunni sono assegnati o si distribuiscono fra le varie scuole (e all'interno delle scuole nelle classi) incide, creando, come abbiamo visto, un effetto contestuale, sulle condizioni di insegnamento e quindi anche sulla qualità dell'istruzione offerta e sulle opportunità di progresso ulteriore degli studenti. Da questo punto di vista la libertà di scelta della scuola da parte delle famiglie, sia tra istituti privati e pubblici che tra istituti del settore pubblico, qualora conduca - ed è questo ciò che succede nella più parte dei casi - ad una segregazione economico-sociale fra gli istituti, può avere per l'equità del sistema d'istruzione, e indirettamente per la sua complessiva efficacia, conseguenze non meno incisive della canalizzazione precoce degli alunni in scuole differenziate dal punto di vista dei contenuti e degli obiettivi del curricolo. 9 Dispositivo, attivabile a discrezione delle scuole, che prevede il completamento dei due primi anni del collége - la cui durata complessiva è di 4 anni - in tre anni anziché nei due regolamentari. 10 Cfr.: M. Duru-Bellat & A.Mingat, "Implications en termes de justice des modes de groupment d'élèves", in: Denis Meuret ed. (1999), La justice du système éducatif, Bruxelles: de Boeck & Larcier 11 OECD (2001), cit., p. 198. c) I problemi della nostra scuola Alla luce dei dati emersi da PISA, il primo e più evidente problema della nostra scuola si pone in termini di efficacia, cioè di qualità dei risultati. Le competenze degli alunni italiani, giudicate alla luce di PISA, ma anche di altre comparazioni internazionali, sono complessivamente basse e soprattutto non adeguate al livello di sviluppo economico del paese e alle risorse investite nell'istruzione - il che apre un ulteriore problema di efficienza della spesa. La spesa cumulativa per studente fino ai 15 anni, in Italia, è elevata; e ciò è vero non solo in termini assoluti, ma soprattutto relativi: se si raffronta il prodotto interno lordo pro-capite e il costo per studente, il rapporto è mediamente 1 a 2 nell'area OCSE ma è di quasi 1 a 3 in Italia, superata in questo solo dall'Austria12. Il dato della mediocrità dei risultati degli studenti italiani, in particolare per quanto riguarda la matematica, emerge - come suaccennato - non solo da quest'ultima indagine internazionale ma anche da altre precedenti, tra cui l'ultima IEA-TIMMS. Data l'importanza formativa e il ruolo che il livello delle conoscenze matematiche e scientifiche rivestono in generale per lo sviluppo di un paese sarebbe in primo luogo necessario cercar di approfondire meglio, promuovendo ricerche sul terreno in ambito nazionale, le cause di una situazione così carente, per poter poi proporre a ragion veduta possibili rimedi. Quello del miglioramento, in ogni senso, dei risultati è dunque un primo fronte su cui intervenire ed impegnarsi. La seconda osservazione riguarda più da vicino il dibattito in corso sulla riforma della scuola e in particolare sulla struttura da dare al sistema d'istruzione. Tale dibattito si è focalizzato con particolare accanimento polemico sulla questione del cosiddetto "doppio canale", o istruzione liceale versus istruzione tecnicoprofessionale, e come corollario del momento in cui indirizzare gli alunni sull'uno o l'altro percorso. Ora, se dalla ricerca internazionale si possono ricavare argomenti per suffragare la tesi di quanti, in nome di principi d'eguaglianza e di giustizia, vorrebbero procrastinare la scelta o l'orientamento verso tipologie marcatamente distinte di percorsi scolastici - che comunque in quasi tutti i paesi OCSE non è dilazionata oltre i 15/16 anni - essa ci mostra anche che l'organizzazione del sistema "a filiere separate" non è la sola fonte di variabilità tra scuole, come tacitamente suppone l'impostazione corrente del discorso, e che ad un esito di forte segregazione tra gli istituti lungo linee di frattura economico-sociale (e oggi anche di identità etnica e culturale) è possibile ugualmente pervenire per vie del tutto diverse - come il caso del Belgio ad esempio insegna13. Ad un simile esito possono infatti sortire la scelta dell'istituto e in generale una legislazione la quale lasci ai nuovi attori del sistema, le scuole e le famiglie, che sempre più si vogliono protagoniste in prima persona e svincolate dai lacci delle burocrazie ministeriali, una libertà non inquadrata da regole precise. Quanto una libertà, che divenga pura ricerca del vantaggio individuale, o rivendicazione autorefenziale di identità, e non sia sostanziata ed equilibrata dal senso della responsabilità collettiva e dalla 12 Cfr.: OECD (2001), cit., tab. 3.6 p. 264 Cfr.: V. Vandenberghe (1997), Le dispositif institutionnel scolaire belge: un mécanisme hybride alliant l'état et le amrché, marqué par la segregation entre écoles, in SAVOIR, 9 (3-4), pp. 363-375 13 disponibilità al confronto, possa esser pericolosa per l'equità e anche per l'efficacia complessiva di un sistema scolastico - ma si potrebbe aggiungere per lo stesso sviluppo democratico - è ormai documentato da un'ampia letteratura di ricerca14. Dei rischi che gli sviluppi dell'autonomia scolastica potrebbero creare sotto questo profilo non sembra in Italia esistere consapevolezza alcuna. In terzo luogo, la soluzione della vexata quaestio dell'istruzione liceale da un lato e tecnico-professionale dall'altro passa in gran parte attraverso una effettiva valorizzazione di questo secondo canale che non ne stravolga tuttavia il carattere distintivo. Ciò significa che la valenza di formazione generale e culturale dell'istruzione tecnica e professionale deve essere irrobustita (come è per altro già in buona parte avvenuto attraverso le sperimentazioni e le riforme precedenti che hanno interessato questo settore) ma nello stesso tempo va dato un contenuto sostanziale alla sua valenza professionalizzante o preprofessionalizante, sviluppando saldi e costanti rapporti col mondo dell'impresa e della produzione, tesi a facilitare per gli studenti indirizzati su questo percorso il passaggio dalla scuola al lavoro, in relazione alle specificità e alle vocazioni territoriali. L'incapacità di dar vita a un forte canale di istruzione e formazione tecnico-professionale, aperto a sbocchi sia verso l'inserimento lavorativo che verso la formazione a livello terziario, di tipo universitario o post-secondario, costituisce uno dei principali punti di debolezza del sistema d'istruzione in Italia, come è attestato anche dalle comparazioni a livello internazionale sulla distribuzione relativa degli studenti nei vari percorsi di formazione a norma della classificazione CITE15 e come è stato autorevolmente rimarcato nel capitolo dedicato all'Italia dal rapporto OCSE sulle politiche nazionali dell'istruzione16. In esso si stigmatizza il carattere esclusivamente "scolastico" dell'istruzione tecnico-professionale nel nostro paese e l'assenza di un apprendistato formalmente organizzato. Non si devono tuttavia nutrire soverchie illusioni circa la possibilità di una rapida e facile soluzione, a meno di un progetto coerente e di uno sforzo prolungato nel tempo da parte di tutti i soggetti interessati, poichè non ci si può nascondere che si ha qui a che fare con un problema di lungo periodo del nostro sistema d'istruzione, come testimoniano queste frasi di Gaetano Salvemini, di cui la prima risalente addirittura al 1908: «...desideriamo che si istituiscano in Italia quante più scuole industriali, commerciali e agricole sia possibile; e a queste scuole vorremmo che il nostro paese desse nel bilancio dell'istruzione la parte del leone; e verso esse vorremmo che fossero diretti in gran numero i giovani italiani desiderosi d'istruzione; e senza un largo e intenso sviluppo di esse riteniamo impossibile il buon funzionamento delle 14 Si veda: G.Whitty, S.Power, D.Halpin (1998), Devolution and choice in education. The school, the state and the market, Melbourne: ACER Press; H.Lauder, D.Hughes (1999), Trading in futures. Why markets in education don’t work, Buckingham: Open University Press; D.Meuret, S.Broccolichi, M.Duru-Bellat (2001), Autonomie et choix des établissements scolaires: finalités, modalités, effects, Les Cahiers de l’IREDU, n. 62, CNRS-Université de Bourgogne 15 Classificazione Internazionale dei Tipi di Educazione. Dal rapporto OCSE sugli indicatori internazionali dell'istruzione (OCDE, Regards sur l'éducation, edition 2000,Paris) emerge, ad esempio, una maggiore concentrazione degli studenti italiani, a livello di secondo ciclo della secondaria, nei percorsi che danno accesso a studi universitari di tipo 5A (istruzione terziaria di tipo prettamente accademico). 16 Cfr.: OCSE (1998), Esame delle politiche nazionali dell'Istruzione, Roma: Armando, cap. 6 stesse scuole di alta cultura disinteressata, siano classiche, siano moderne»17. E ancora: «Se in Italia i diritti della povera gente non fossero metodicamente trascurati [...] tutto il tempo e il denaro e il fiato che si sciupa discutendo la riforma della scuola media [...] verrebbero impiegati a studiare i modi migliori per dare serietà alle scuole di avviamento professionale»18. Valorizzare l'istruzione tecnico-professionale senza tuttavia licealizzarla significa anche modificarne l'immagine e la percezione da parte del largo pubblico. Nonostante tutte le chiacchiere sulla "pari dignità", se essa continuerà ad occupare un posto squalificato e di subordine nell'immaginario sociale e ad esser vista come scelta residuale e rifugio per alunni "deboli" - cosa attestata anche dal dato italiano sulla varianza tra scuole - anzichè come una reale opportunità di formazione e di crescita personale, non sarà possibile fare alcun passo in avanti. Si tocca qui ancora una volta un problema che ha profonde radici nella nostra cultura e nella nostra storia, benché tuttavia non sia proprio solo del nostro paese. Ad esempio, una delle ragioni che spiegano i diversi risultati scolastici, più favorevoli alla seconda, della comunità francofona e di quella fiamminga del Belgio, evidenziati sia da PISA che dalla IEA-TIMSS del 1995, è il diverso comportamento dei genitori delle due comunità di fronte alla scelta tra filiere d'insegnamento, «la Fiandra valorizzando di più le formazioni tecniche e professionali, mentre nella Wallonia gli alunni tentano innanzitutto le loro possibilità nell'insegnamento generale, prima di esser "relegati" nelle altre filiere»19. Non è forse un caso - senza naturalmente voler dimenticare le diversità nelle caratteristiche dello sviluppo economico - che i paesi in cui si è storicamente affermato un forte sistema di apprendistato e dove la formazione tecnico-professionale è apprezzata, sono in genere paesi di area protestante. Una delle novità della Riforma è stata infatti la valorizzazione dell'esperienza umana nel mondo e in esso dell'esercizio accurato e metodico del proprio lavoro come mezzo di elevazione ascetica e spirituale. Non per nulla, in tedesco e in inglese, "professione" e "vocazione" si designano col medesimo termine (beruf, vocation). 17 G. Salvemini-A. Galletti, La riforma della scuola media, in: L. Borghi-B.Finocchiaro (a cura di), Scritti sulla scuola. Opere di G. Salvemini, Vol. V, Feltrinelli, Milano 1966, p. 412 18 G. Salvemini, Scuola e società, in: L. Borghi-B.Finocchiaro, op. cit., p. 1066 19 M.Demeuse e C.Monseur, Analyse critique des mécanismes déterminant l'attribution des moyens destinés à la politique de discrimination positive en Communauté française de Belgique. Citato in: M.D. Zachary, Les systèmes scolaires sont-ils egalement inequitables?, Communication aux deuxièmes journées d'étude du RAPPE, "L'equité du système educatif", Dijon, 25-26 Juin 2001 Una analisi approfondita e , insieme sintetica, può essere ribadita attraverso il link al seguente documento: Lezione 3 La qualità dei risultati di apprendimento attraverso l’Indagine OCSE PISA 2006 Nel Dicembre 2006 erano disponibili i risultati della terza rilevazione PISA, focalizzata in particolare alla verifica degli apprendimenti in Scienze. Da una prima analisi dei dati macro disponibili a fine 2007 si può confermare un’osservazione generale per la qualità degli apprendimenti del sistema Italia. La quantità dell’istruzione migliora ma la qualità no. Ad una situazione in miglioramento per la quantità, corrisponde una situazione non positiva per la "qualità". Tutte le indagini internazionali convergono nel mostrare che gli studenti italiani hanno un significativo ritardo nei livelli sia di conoscenza, sia di competenza, ovvero nella capacità di utilizzare conoscenze e abilità in contesti specifici che caratterizzano le condizioni di vita odierne. Assai elevate sono le differenze di risultato fra le singole scuole (anche dello stesso indirizzo) - il 57 per cento della varianza totale delle competenze è fra studenti di scuole diverse, anziché all’interno della stessa scuola, contro il 34 per cento nella media OCSE - rivelando un sistema poco equo, dove è accentuata la concentrazione degli studenti con situazione socio-economica meno favorevole e la connessa segmentazione delle scuole secondo la qualità. Assai elevato è anche il grado di analfabetismo funzionale della popolazione adulta: sarebbero circa due milioni le persone in questa situazione in Italia, concentrati nella fascia d’età compresa tra i 46 e 65 anni e prevalentemente al Sud. Permane una quota ancora importante di individui dotati della sola licenza elementare (il 25 per cento nella fascia di età 15-65 anni), e la partecipazione degli adulti all’apprendimento permanente è modestissima in tutte le aree del paese (solo il 7 per cento). Forti sono le ripercussioni negative di questo fenomeno anche sulla quantità e qualità di istruzione dei figli. . Un’analisi approfondita dei dati può essere ricavata scorrendo il documento allegato