LA MEDICINA DI DIO
La morfina
Davide Perico
5a B ECO
Anno scolastico 2013-2014
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INDICE
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Introduzione
Struttura e caratteristiche
Gli alcaloidi
Papaver Somniferum e oppio
Storia dell’oppio e della morfina
Proprietà ed effetti
Meccanismo d’azione
La morfina come farmaco
Utilizzi
Dipendenza
L’eroina
Analisi chimiche
Conclusione
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INTRODUZIONE
La morfina (C17H19NO3) è il principale e il più abbondante dei 25 alcaloidi contenuti
nell’oppio, che viene estratto dal papavero da oppio: il Papaver somniferum. La morfina è
stato il primo principio attivo estratto da una fonte vegetale e il primo alcaloide scoperto
agli inizi dell’Ottocento dal farmacista tedesco Setürner. Il suo nome deriva da Morfeo (il
Dio greco del sonno e dei sogni), in quanto la sua assunzione causa sonnolenza. Grazie alle
sue proprietà analgesiche e antidolorifiche la morfina viene utilizzata come farmaco nella
terapia del dolore acuto e cronico, per anestesie e cure palliative ed è somministrata per via
cutanea (iniezione) e orale. L’assunzione continua di morfina causa però una dipendenza
fisica e psicologica, facendola diventare una vera e propria droga che causa nell’uomo uno
stato di euforia, di benessere fisico generale e aumenta notevolmente la resistenza al
dolore. I sintomi di overdose di morfina sono invece sonnolenza e difficoltà respiratoria.
Questo ha fatto si che, nell’ultimo secolo, l’abuso di questa e di altre droghe (come l’eroina
che viene sintetizzata dalla morfina) diventasse una piaga sociale che ha portato molti
uomini alla tossicodipendenza. La morfina, inoltre, è stata usata storicamente in molte
guerre dell’Ottocento e del Novecento (soprattutto nella guerra di secessione americana) in
quanto veniva somministrata ai soldati per non sentire il dolore delle ferite e degli
interventi chirurgici e probabilmente è proprio per questo che si è guadagnata l’appellativo
di ‘’medicina di Dio’’. L’utilizzo della morfina nelle guerre ha però determinato un grave
effetto collaterale: i reduci diventavano morfinomani e quel farmaco che sembrava
miracoloso si trasformò in una dipendenza da cui sembrava impossibile uscire.
Morphine is the most important alkaloid contained in opium. Since its discovery has been
used as a medicine due to its analgesic properties, and is still used for the treatment of
acute and chronic pain, for palliative care of cancer and for anesthesia. Like all opioids,
morphine is able to inhibit the nerve impulses that cause pain sensation and that is why it
is considered the most effective painkiller. It is administered especially by injection and it
shows its effects in a short time. In addition to the positive aspects of the medicine, there
are also side effects that morphine causes on human body when it is taken continuously.
The first effect is the physical and psychological dependance that transforms this medicine
in a dangerous drug. The morphine abuse can cause an overdose characterized by a
respiratory depression that can lead to death. Morphine has also been used during many of
the nineteenth an twentieth century wars (especially in the American Civil War), where it
was given to the soldiers to relieve the pain resulting from injuries and surgeries. Another
substance that has the same effects of morphine is heroin, that was synthetized from
morphine, but it has greater analgesic properties. Heroin was initially used as a painkiller
and showed many positive effects to the patients. But soon it was discovered that it causes
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much more addiction than morphine and it became one of the most dangerous drug in the
world, leading many people to drug addiction. The dependance from morphine and heroin
is treated in specialized centers where the addicts are treated with methadone that replace
the drug and help the patient to overcome the physical addictions, but the psychological
addiction is more difficult to defeat and it is necessary a strong willpower.
STRUTTURA E CARATTERISTICHE
La morfina è un’ammina terziaria legata ad un gruppo fenantrenico e metilata all'azoto. Dei
tre atomi di ossigeno uno costituisce un ossidrile fenolico, l'altro un gruppo alcolico
secondario, il terzo è di tipo etereo.
La morfina si presenta in aghi bianchi, translucidi, splendenti, o in piccoli prismi rombici: a
110-120°C perde l'acqua di cristallizzazione, a 254°C fonde decomponendosi. In acqua
fredda è pochissimo solubile (infatti è molto liposolubile); la soluzione ha sapore amaro, dà
reazione alcalina, ha potere rotatorio levogiro e ha azione tossica. Nei solventi organici
(specie nel cloroformio) è abbastanza solubile allo stato amorfo, cioè quando è appena
precipitata dai suoi sali, mentre allo stato cristallino non e più solubile. Oltre a tutte le
reazioni generali degli alcaloidi, la morfina ne dà alcune dovute all'ossidrile fenolico
(colorazione con cloruro ferrico e solubilità in alcali caustici) e al suo potere riduttore
(l'acido fosfomolibdico dà precipitato giallo, che, per aggiunta di ammoniaca, si riduce a
ossido di molibdeno azzurro). È una base monoacida: i suoi sali (bromidrato, cloridrato,
solfato, acetato, benzoato, tartrato, ecc.) cristallizzano facilmente, danno soluzioni acquose
neutre agli indicatori e come analgesici e ipnotici sono preferiti alla morfina insolubile.
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ALCALOIDI
Gli alcaloidi sono sostanze organiche di origine vegetale aventi gruppi amminici che danno
alla struttura proprietà basiche. Possiedono uno o più atomi di azoto solitamente in anelli
eterociclici e derivanti da un amminoacido, sono amari, si presentano generalmente come
solidi bianchi, essendo basici formano con gli acidi dei sali insolubili in acqua, si trovano in
un numero limitato di piante e danno grandi effetti farmacologici e tossicologici: infatti se
assunti in piccole dosi hanno effetti benefici sulla salute e vengono utilizzati come farmaci,
mentre a dosi poco più elevate diventano velenosi e, in molti casi, psicoattivi (sostanze
stupefacenti). Inoltre gli alcaloidi sono sostanze altamente reattive con attività biologiche
anche a bassi dosaggi.
Ci sono tre tipi principali di alcaloidi:
 non eterociclici, o alcaloidi atipici (protoalcaloidi, ammine biologiche).
 pseudo-alcaloidi, derivati da terpenoidi o purine.
 alcaloidi eterociclici o alcaloidi tipici.
La morfina ,in particolare, è un alcaloide a nucleo fenantrenico, così come la codeina.
Gli alcaloidi possono essere inoltre utilizzati per combattere le malattie tumorali. Infatti È
sin dagli anni '40 che gli alcaloidi vegetali sono stati oggetto di studio per trovarne
un'applicazione nella terapia dei tumori. Il primo ad essere utilizzato è stato la colchicina.
Questo alcaloide impedisce la polimerizzazione delle strutture cellulari chiamate
microtubuli e ha come bersaglio la proteina principale che li costituisce, la tubulina.
Tuttavia è molto tossica e il suo impiego nella terapia dei tumori è oggi del tutto
abbandonato. Altri alcaloidi utilizzati per la terapia dei tumori sono la vinblastina e
la vincristina che sono risultati efficaci nella grande maggioranza dei tumori solidi umani,
incluse alcune forme di leucemia o di linfomi. Agiscono anch'essi interferendo con i
microtubuli, in modo simile alla colchicina. Sono tuttavia dotate, tra i loro effetti collaterali,
di una grande tossicità per le strutture nervose e in particolare per quelle periferiche
(possono causare infatti delle neuropatie perché, interferendo con in microtubuli delle
strutture nervose, impediscono il trasporto di proteine essenziali e di alcuni nutrienti a
livello periferico).
Un'altra classe di alcaloidi impiegata recentemente nella chemioterapia è quella
dei "taxani", risultati molto attivi in diversi carcinomi e sarcomi umani. Il loro meccanismo
d'azione è esattamente opposto a quello della colchicina: invece di impedire la costruzione
dei microtubuli, impediscono la loro disgregazione per ricreare nuove strutture
microtubulari).
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Negli anni '80 sono stati studiati più di una trentina di alcaloidi provenienti da varie fonti
vegetali. Alcuni di essi sono risultati estremamente efficaci nell'eliminazione di tumori e
leucemie. La loro tossicità sistemica tuttavia è risultata ancora troppo elevata per
permetterne l'introduzione nella terapia.
PAPAVER SOMNIFERUM E OPPIO
Il Papaver somniferum, conosciuto come Papavero da Oppio, appartiene alla famiglia delle
Papaveraceae è ed originario della Turchia anche se oramai è una specie diffusa in tutto il
mondo nelle zone a clima temperato. E' una pianta erbacea, a ciclo annuale, il fusto è
diritto, poco ramificato e non supera il metro e mezzo di altezza. Le foglie sono semplici,
isolate, mentre i fiori sono terminali, isolati, ermafroditi che però hanno la particolarità
(come tutte le Papaveraceae) di essere sprovviste di nettare per cui l'impollinazione è di
tipo entomogamo: vale a dire che avviene per mezzo di insetti pollinofagi che vengono
attirati dai colori vivaci dei fiori e non dal nettare. I fiori sono grandi fino a 10 cm di
diametro e sono formati da quattro petali con colori che variano dal bianco, al rosato, al
lillà, al rossastro con una macchia violacea alla base nella varietà album. I frutti del
papavero sono delle capsule dove i semi cadono solo in seguito a forti scosse di vento
perché i pori sono posti nella parte superiore della capsula, che non si piega a
maturazione. La forma è generalmente emisferica, depressa nella parte superiore. Le pareti
delle capsule sono ricche di lattice (che nel Papaver somniferum è bianco) da cui si ottiene
l’oppio che contiene numerosi alcaloidi. I prodotti che si ottengono dal papavero da oppio
sono gli oppioidi e gli oppiacei. In base alle definizioni dell'OMS (organizzazione mondiale
della sanità) si definiscono oppioidi tutti gli alcaloidi derivanti dal papavero da oppio, i suoi
derivati sintetici ed i composti sintetizzati nell'organismo che interagiscono con gli stessi
recettori specifici del cervello, che hanno la capacità di alleviare il dolore e dare una
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sensazione di benessere. Mentre si definiscono oppiacei tutto il gruppo di alcaloidi derivanti
dal papavero da oppio che hanno la capacità di alleviare il dolore, indurre euforia e, in dosi
elevate, depressione respiratoria. Gli oppiacei quindi non includono i prodotti di sintesi.
Gli alcaloidi dell'oppio ed i suoi derivati semisintetici sono: la morfina, la diacetilmorfina
(diamorfina, eroina), l’idromorfina, la codeina e l’ossicodone. Gli oppioidi sintetici sono il
metadone, la petidina (meperidina) e la pentazocina, mentre i composti
endogeni (neuropeptidi cerebrali naturali che vengono prodotti dal nostro organismo) con
azione oppiacea sono le endorfine e le encefaline.
L’oppio si ottiene dalle capsule ancora verdi immature del Papaver somniferum. Una volta
che le capsule sono ben sviluppate si fa una leggera incisione orizzontale o verticale (in
genere dopo circa due settimane dalla caduta dei petali) e si fa fuoriuscire il lattice. Si
aspetta qualche ora per dare il tempo alle gocce di lattice di diventare brune e a quel punto
sono pronte per essere raccolte. La raccolta avviene mediante raschiamento dalla capsula e
le gocce raccolte si riuniscono assieme. L’oppio può essere ingerito o fumato. Ogni capsula
del Papaver somniferum può contenere dai 20 ai 50 mg di oppio di sapore molto amaro e di
colore verde scuro-bruno all’interno. Il contenuto di morfina nell'oppio può variare dal 3 al
25 % con valori medi che si avvicinano al 10%. L’oppio viene soprattutto prodotto in
Afghanistan, che negli ultimi anni è diventato l’esclusivo fornitore mondiale di questa
droga.
L'oppio ha un effetto molto diverso rispetto alla morfina pura e ai suoi derivati e ciò è
dovuto al fatto che agisce in concomitanza con tutti gli altri alcaloidi presenti. L'oppio puro
in particolare ha la capacità di provocare una piacevole sensazione di euforia, di benessere,
di distacco dalla realtà, una ridotta sensibilità al dolore, all'ansia ed allo stress. Agisce sul
sistema nervoso centrale con meccanismi del tutto simili alle endorfine, presenti e prodotte
naturalmente nel nostro organismo. Utilizzano infatti gli stessi recettori ed hanno un effetto
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benefico del tutto simile. E' una sostanza che provoca dipendenza, per cui una volta che
svanisce l'effetto si hanno crisi di astinenza, diventando dei veri e propri tossicodipendenti.
L'astinenza provoca irrequietezza, insonnia, tremori e dolori vari fino ad arrivare all'apatia,
alla perdita di iniziativa ed interessi, scarso appetito, dimagrimento. Una dose elevata
provoca un sonno pesante, ma una vera overdose può provocare la morte.
STORIA DELL’OPPIO E DELLA MORFINA
L’oppio è noto fin dai tempi più antichi. Gli egizi, per esempio, lo usavano come calmante.
Successivamente, al tempo della civiltà greca gli studiosi iniziarono a capire come
funzionava: infatti veniva usato come rimedio per diverse malattie, ma si erano avvertiti i
pericoli nel consumarlo. In Italia e quindi in Europa iniziò a diffondersi solo quando Roma
conquistò la Grecia (146 a.C.). Galeno, per esempio, lo usava ripetutamente per i sintomi di
avvelenamento, cefalee, problemi di vista, epilessia, febbre, sordità e lebbra. Paracelso,
alchimista, astrologo e medico svizzero, una delle figure più rappresentative del
Rinascimento italiano, elaborò, a partire dall'oppio, il farmaco divenuto molto famoso con il
nome di "laudano", un narcotico con gli effetti degli oppiacei, oggi non più usato. Con il
passare degli anni in Europa il suo uso iniziava a diventare molto comune tanto che nella
seconda metà del Medioevo l'Inquisizione giunse al punto di vietarne l'uso anche come
medicinale. Mentre nello stesso periodo in Turchia ed in Egitto l'uso di questa droga
diventava sempre più diffuso a livello popolare.
Nei paesi asiatici e soprattutto in Cina l’utilizzo dell’oppio andò aumentando con il passare
dei secoli fino a diventare una vera e propria piaga sociale, perché sempre più persone
diventavano dipendenti. Questo fino a quando nel Settecento venne proibito l’uso e lo
spaccio di oppio, scatenando le guerre dell’oppio fra Cina (che voleva proibirlo) e Inghilterra
che, attraverso la Compagnia delle Indie Orientali, voleva mantenere il monopolio del
commercio di oppio. Alla fine le guerre si conclusero nell’Ottocento con la vittoria
dell’Inghilterra che legalizzò il commercio della droga. In Cina quindi il consumo di oppio
aumentava sempre di più, tanto che nel 1890 si stimò che 120 milioni di persone fumassero
abitualmente oppio e 10 milioni fossero oppiomani. La droga però cominciò a diffondersi in
tutto il mondo (soprattutto in America) e vennero quindi introdotte delle leggi per
regolamentarne la vendita e il consumo (in generale l’oppio fu vietato se non per uso
strettamente medico), ma questo non fermò il commercio illegale che nel frattempo si era
diffuso in tutto il mondo.
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La morfina, invece, venne scoperta casualmente nel 1804 da Charles Derosne (industriale
francese) e fu studiata da Armand Séquin (chimico francese) e altri chimici e farmacisti. La
vera e propria scoperta è però da attribuire al farmacista tedesco Friedrich Wilhelm
Setürner che riuscì ad isolarla dall’oppio e la chiamò morfina in onore del Dio dei sogni
Morfeo per le sue proprietà sedative, analgesiche e ipnotiche. Setürner infatti, nello
studiare gli effetti dell’oppio, riuscì ad isolare un composto cristallino bianco-giallastro
dall’oppio grezzo immergendolo in acqua calda e ammoniaca. All’inizio non sapeva che cosa
avesse scoperto e ,dopo vari esperimenti, testò su di sé la morfina dichiarando che aveva
anch’essa la capacità di alleviare il dolore e di indurre euforia ma che in dosi sufficienti può
provocare depressione respiratoria, nausea, vomito, depressione del riflesso della tosse e
costipazione. Inoltre Setürner scoprì che la morfina era 10 volte più potente dell’oppio
nell’alleviare il dolore.
La morfina diventò ben presto famosa per i suoi effetti e le aziende farmaceutiche
cominciarono la produzione del farmaco (metà 19° secolo). La prima fu la futura casa
farmaceutica Merck che nel 1827 a Darmstadt, in Germania, iniziò la produzione
commerciale della morfina. Questo si dimostrò sorprendentemente efficace sia nel
sostituire l’oppio sia nel curare la dipendenza dallo stesso. Tuttavia la maggior parte delle
persone erano scettiche nell’utilizzare nuovamente una droga come medicina, consapevoli
dei pericoli della tossicodipendenza sempre più diffusa a causa dell’oppio e della cocaina.
Inoltre si credeva che la dipendenza fosse provocata dall’ingestione dei farmaci e non
dall’effetto diretto della droga sul cervello. La situazione, però, cambiò nel 1853 quando
venne inventata la siringa ipodermica. In questo modo i farmaci non dovevano essere più
assunti per via orale, ma iniettati direttamente nel corpo tramite la siringa. Ciò fece
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diminuire lo scetticismo e la morfina cominciò ad essere assunta come farmaco.
Inizialmente è stata utilizzata per alleviare il dolore e curare la diarrea dei soldati che in
guerra vivevano in condizioni deplorevoli. Ben presto però la morfina mostrava i suoi
effetti collaterali e i soldati di ritorno dalla guerra erano diventati dipendenti dal farmaco,
tanto che la dipendenza da morfina si guadagnò il soprannome di ‘’malattia del soldato’’.
L’utilizzo di questo farmaco si diffuse rapidamente e sempre più persone erano diventate
morfinomani. Per contrastare il sempre più dilagante abuso di questa droga i governi di
tutto il mondo introdussero delle normative che limitavano l’utilizzo della morfina
all’ambito medico e anche in questo caso con molte restrizioni. Recentemente la morfina è
utilizzata in ambito ospedaliero per la gestione del dolore post-operatorio e cronico.
PROPRIETA’ ED EFFETTI
Come già detto la morfina ha proprietà analgesiche (è in grado di attenuare il dolore),
sedative, ipnotiche, costipanti (è in grado di curare gravi forme di diarrea) e anche bechiche
(calma i sintomi della tosse). L’effetto più importante sull’uomo, che rende la morfina
preziosissima come medicamento, è la diminuzione della sensibilità dolorifica che produce
già a piccole dosi (2-3 centigrammi). Affinché si ottenga l’effetto analgesico bisogna, però,
somministrarla per via parenterale (iniezione) o ipodermica altrimenti l’effetto tarda o
manca. Altri effetti (spesso indesiderati) che provoca a dosi più elevate sono: sedazione,
diminuizione della sensibilità, stipsi, nausea, vomito, prurito, stanchezza, sonnolenza, senso
di euforia seguito da sonno profondo. La maggior parte di questi effetti tende a ridursi dopo
alcuni giorni di trattamento (tolleranza). A dosi molto elevate si può avere l’intossicazione
acuta che determina prurito, vasodilatazione, miosi e depressione respiratoria. In questo
caso si cerca di eliminare il veleno assumendo naloxone o con la lavatura dello stomaco, si
somministra permanganato di potassio (0,5%) e si danno eccitanti del cuore. Con un
sovradosaggio (10-30 centigrammi) si ha l’overdose e si può avere la morte. In questo caso
l'avvelenato, che da principio poteva ancora essere risvegliato, non risponde più agli
stimoli, i riflessi scompaiono, i muscoli si rilasciano, la pelle diviene pallidissima e si copre di
sudore freddo, la saliva cola, le mucose sono cianotiche, la temperatura si abbassa, il
respiro si fa lento, il polso si fa debole, aritmico; la pupilla si restringe per dilatarsi pochi
minuti prima della morte per asfissia. La morte avviene in uno stato di coma profondo.
A livello del sistema nervoso la morfina paralizza i centri, sparsi per la corteccia cerebrale, in
cui il riflesso del dolore è elaborato e percepito, ma non paralizza il centro talamico da cui si
originano i cosiddetti pseudoriflessi del dolore che possono anzi essere intensificati. Anche
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altri centri vengono paralizzati e depressi, come il centro della tosse e del respiro, che
riguarda in particolare l’espirazione non avvertendo l'accumulo di anidride carbonica nel
sangue che porta ad acidosi.
Inoltre in seguito ad un uso prolungato del trattamento del dolore cronico, la brusca
interruzione di morfina porta ad una sindrome di astinenza i cui sintomi sono
specularmente opposti agli effetti della morfina stessa.
MECCANISMO D’AZIONE
Le azioni della morfina e degli oppioidi in generale sono dovute al fatto che sono in grado di
superare la barriera emato-encefalica (che protegge il tessuto cerebrale) grazie alla loro
elevata liposolubilità e legarsi con degli specifici recettori delle cellule cerebrali (soprattutto
a livello del midollo spinale, del talamo e del tronco encefalico), chiamati recettori oppioidi.
Questi sono delle proteine presenti nella membrana cellulare che normalmente si legano
alle encefaline e alle endorfine (neurotrasmettitori prodotti dal nostro corpo con anch’essi
attività analgesica). I recettori oppioidi sono chiamati recettori μ,σ,δ e κ e sono responsabili
sia degli effetti positivi (analgesia), sia di quelli collaterali (depressione respiratoria, nausea,
vomito ecc.). Gli oppioidi mimano l’azione delle encefaline e delle endorfine, manifestando
un’azione agonista nei confronti dei recettori μ e agonista parziale nei confronti dei
recettori σ (si vanno a legare ai recettori al posto dei neurotrasmettitori).
Recettori μ: provocano analgesia a livello sovraspinale, miosi, depressione respiratoria,
diminuzione attività gastro-intestinale, euforia
Recettori k: provocano analgesia a livello spinale, miosi, depressione respiratoria, disforia
Recettori δ: non provocano analgesia, ma diminuiscono il transito intestinale e deprimono il
sistema immunitario
In generale la morfina e gli oppioidi sono in grado di inibire la trasmissione neuronale sia a
livello pre che post sinaptico. Studi recenti suggeriscono che a livello pre-sinaptico
inibiscono la liberazione di sostanza P (sostanza coinvolta nella trasmissione dell’impulso
nervoso a livello midollare), mentre a livello post-sinaptico modificherebbero le correnti
ioniche neuronali relative al calcio e al potassio (in particolare i recettori μ e δ determinano
l’aumento della conducibilità del potassio, mentre i recettori k diminuiscono la conducibilità
del calcio) provocando l’iperpolarizzazione delle membrane e delle cellule che diventano
resistenti all’eccitazione e agli impulsi. Inoltre, sempre a livello post-sinaptico, il legame tra
la morfina e i recettori comporta una modifica conformazionale del recettore che provoca
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l’inibizione dell’enzima adenilato-ciclasi, determinando perciò una diminuzione nella sintesi
di AMP ciclico (metabolita delle cellule ottenuto dall’ATP e che ha la funzione di regolare il
passaggio transmembrana del calcio e di aumentare la quantità di glucosio disponibile in
seguito a degradazione del glicogeno).
Tutto questo provoca l'inibizione della trasmissione nocicettiva (relativa alla sensazione di
dolore) periferica al sistema nervoso centrale e influenza l'emotività e il comportamento.
LA MORFINA COME FARMACO
Dato che la morfina è praticamente insolubile in acqua, vengono utilizzati come farmaci i
suoi sali, in particolare il cloridrato e il solfato. Viene somministrata soprattutto per via
parenterale (morfina cloridrato) e per via orale (morfina solfato). Nel primo caso agisce
rapidamente e l’iniezione può essere sottocutanea, epidurale, intramuscolare o
endovenosa. Nel caso di assunzione per via orale è necessario attendere dai 20 ai 60 minuti
prima che dia i suoi effetti. Le forme farmaceutiche orali disponibili sono due: quella a
rilascio normale (ogni 4 ore) e quella a rilascio prolungato (ogni 12 ore). Una volta
introdotta nell'organismo, la morfina scompare rapidamente dal sangue. Somministrata per
bocca o sottocute, dopo riassorbimento, viene eliminata attraverso la mucosa dello
stomaco e dell'intestino e quindi in parte riassorbita e in parte eliminata con le feci e con le
urine. Il farmaco di morfina cloridrato viene prodotto come soluzione iniettabile in fiale,
mentre la morfina solfato viene prodotta come soluzione o sciroppo (quella a rilascio
normale) e come capsule (quella a rilascio prolungato). Le dosi terapeutiche da
somministrare dipendono dall’intensità del dolore e dal tipo di iniezione. Il dosaggio va
comunque ricercato mirando al controllo del dolore, mantenendo nei limiti gli effetti
collaterali. Il dosaggio può essere aumentato, ma deve essere fatto gradualmente per
evitare effetti indesiderati o intossicazioni. Solitamente per la morfina solfato il dosaggio
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terapeutico è di 5 mg per il rilascio normale e di 10 mg per il rilascio prolungato, mentre per
la morfina cloridrato dipende molto dal tipo di iniezione : 2-4 mg per l’iniezione epidurale e
da 5 fino a 10 mg per iniezioni endovenose e sottocutanee (queste dosi comunque possono
variare in funzione anche della malattia e dell’intensità del dolore).
UTILIZZI
La morfina è considerata l’antidolorifico per eccellenza e per questo viene utilizzata per il
trattamento del dolore sia acuto che cronico e di qualunque origine esso sia, infatti è il
principale farmaco presente nelle terapie del dolore. Proprio per questo la morfina e gli
analgesici oppioidi sono molto importanti in ambito medico e ospedaliero, infatti la prima
viene utilizzata per alleviare i dolori intensi o resistenti ad altri antidolorifici, in particolare i
dolori di origine cancerosa, da infarto del miocardio, da edema polmonare acuto, dolore in
seguito a gravi traumi o dovuto ad operazioni chirurgiche (sia pre che post-operatorio). E’
anche frequentemente utilizzata per le coliche renali e biliari, per pleuriti, pericarditi e
pneumotorace. Gli analgesici oppioidi più deboli (codeina, ossicodone) vengono invece
utilizzati per gestire il dolore acuto dentale e post-operatorio nell’ambito odontoiatrico. La
morfina inoltre può essere utilizzata come complemento per l’anestesia generale, per
l’anestesia epidurale e per la riduzione o stabilizzazione della glicemia nei pazienti affetti da
diabete.
Negli ultimi anni la morfina è stata sempre di più utilizzata per le cure palliative, soprattutto
nei casi di malattie terminali. Le cure palliative si occupano di pazienti colpiti da malattie
che non rispondono più a trattamenti specifici e la loro evoluzione porta alla morte. Queste
infatti non agiscono sulla causa della malattia (per esempio cercando di eliminare il tumore)
ma cercano di alleviare il dolore quando la cura del cancro non è più possibile, in modo da
garantire una qualità di vita migliore al paziente e alla famiglia. La cosa importante è che
comunque le cure palliative non portano alla guarigione del paziente, ma hanno come
obiettivo dare un senso e dignità alla vita del malato fino alla sua morte, alleviando quindi il
suo dolore fisico e psicologico. La psicologia del paziente è infatti un aspetto molto
importante da curare per migliorare la condizione di vita sua e della famiglia. Infatti il
principale elemento che caratterizza le organizzazioni che si occupano di cure palliative è
l’importanza della vita dei pazienti che deve essere resa il più dignitosa possibile a dispetto
della terribile malattia.
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L’utilizzo prolungato di morfina nella terapia del dolore e nelle cure palliative può però
portare ad una eutanasia indiretta : infatti un effetto secondario della somministrazione
prolungata di morfina è l’accorciamento della vita del paziente. Questo tipo di eutanasia
non va però confusa con quella diretta che prevede la somministrazione di farmaci per
procurare la morte del paziente. L’eutanasia indiretta è infatti ammessa dal punto di vista
etico e giuridico in quanto non si vuole la morte del paziente, ma solo alleviargli il dolore
anche a costo di accorciargli la vita (la morte è quindi un rischio, ma ovviamente la si
vorrebbe evitare). L’eutanasia diretta può essere invece punibile penalmente ed è
considerata da molti moralmente inaccettabile (perché viene assimilata all’omicidio).
Restano comunque molto controverse le opinioni riguardo l’eutanasia : La Chiesa e la
religione, per esempio, non tollerano l’eutanasia diretta perché è volta spontaneamente a
togliere la vita, mentre accetta le cure palliative (anche in caso di eutanasia indiretta) e
l’eutanasia passiva intesa come la rinuncia all’accanimento terapeutico. Altri dibattiti si
sono molti diffusi negli ultimi anni sull’eutanasia volontaria: da un lato, infatti, c’è chi
sostiene che ognuno è libero di scegliere della propria vita e che, quando le sofferenze
derivanti dalla malattia sono insostenibili sia dal punto di vista fisico che psichico, si possa
decidere di porre fine alla propria vita per non dover più sopportare quella condizione e
non dover più essere un peso per i propri famigliari. Dall’altro lato, invece, c’è chi sostiene
che l’eutanasia è in ogni caso inaccettabile dal punto di vista morale e religioso (anche se
voluta dallo stesso malato), oppure ci possono essere famiglie che si oppongono
all’eutanasia, non volendo accettare la realtà e non curandosi dei voleri e delle sofferenze
del loro caro malato.
Una particolare malattia per cui si è utilizzata la morfina per il trattamento del dolore fu il
tetano. Più che altro la morfina veniva somministrata ai malati sia per alleviare il dolore, ma
anche per avvicinare il malato alla morte non facendolo più soffrire inutilmente (attraverso
una sorta di eutanasia). Il tetano è una malattia infettiva acuta causata dal batterio
Clostridium tetani.
Un altro ambito in cui la morfina è stata largamente utilizzata fu la guerra. Le precarie
condizioni di vita dei soldati, le dolorose ferite e gli ancora più dolorosi interventi chirurgici
resero necessario l’utilizzo del farmaco soprattutto per curare eventuali forme di diarrea e
come antidolorifico. La morfina è stata utilizzata in molte guerre dell’Ottocento e del
Novecento e la più significativa fu sicuramente la guerra di secessione americana svoltasi
tra il 1861 e il 1865 tra il Nord e il Sud degli Stati Uniti d’America. La guerra, come sempre,
fu molto cruenta e la morfina fu largamente utilizzata come analgesico per non far provare
dolore ai soldati in seguito alle ferite riportate o agli interventi chirurgici subiti. Una volta
conclusa la guerra, però, i reduci divennero dipendenti dall’antidolorifico tanto che la
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dipendenza da morfina venne chiamata ‘’ malattia del soldato’’. Si parla infatti di 400.000
soldati che, una volta tornati dalla guerra, diventarono morfinomani. Un’altra guerra in cui
venne spesso utilizzata la morfina e che fu di proporzioni molto maggiori rispetto a quella
civile americana fu la Prima Guerra Mondiale, la Grande Guerra.
DIPENDENZA
La morfina, appena è stata scoperta, è stata utilizzata come rimedio alla dipendenza da
oppio e alcolici, ma ci si è subito resi conto che, mentre da una parte curava effettivamente
la dipendenza, dall’altra ne provocava una ancora maggiore e di più difficile
disintossicazione.
La morfina causa nei pazienti a cui viene somministrata da un po’ di tempo una fase di
tolleranza o assuefazione, cioè la necessità di aumentare il dosaggio per risentire l’effetto
analgesico che prima veniva ottenuto con quantità minori. Questo avviene perché il nostro
corpo si abitua al farmaco e quindi ha bisogno di assumerne di più per ottenere gli stessi
risultati.
Un altro fatto importante è che non si può sottrarre bruscamente la morfina ad un
morfinista senza avere gravi sintomi morbosi, detti sintomi d'astinenza, e questo fa pensare
a un'azione della morfina sulle cellule: esse, infatti possono diventare incapaci di difendersi
dall'azione della droga, la quale, poco alla volta, viene a far parte del protoplasma cellulare
come una normale sostanza fisiologica indispensabile alla sua funzione e alla sua vita. Il
morfinismo, che può andare fino a una vera mania (morfinomania), si è molto diffuso dopo
che sono state scoperte le proprietà di questo alcaloide ed inizia spesso con l’uso
terapeutico fino a diventare una vera e propria dipendenza fisica e psicologica che ha
portato moltissime persone alla tossicodipendenza e gravi danni alla società. La dose media
che un tossicodipendente assume giornalmente è intorno ai 100- 150 mg, che però, in
alcuni casi, possono arrivare anche fino a 2-3 g. La dose minima letale per singola
assunzione è 200-250 mg, salvo soggetti ipersensibili, per i quali possono bastare 60 mg.
All’inizio il morfinomane prova un senso di benessere e inconsciamente pone molto in alto
il suo io, si sente felice, ha un falso concetto della sua attività, il lavoro gli sembra facile, il
successo sicuro e in questo periodo, che può durare anni, la salute è buona. Ma, poco alla
volta, per ottenere piacevoli effetti, è necessario aumentare la dose. Allora l'individuo
dimagrisce, impallidisce, perde l’appetito, l’amore per il proprio lavoro, il senso del dovere
e le affettività. Tutto questo porta il morfinomane a diventare pallido, magro, col dorso
curvo, con gli occhi incavati e lo sguardo spento, con l'andatura vacillante, apatico e
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indifferente a ciò che lo circonda. In quel momento il tossicodipendente diventa una vera e
propria larva d'uomo senza volontà e senza vita.
La cura del morfinismo è assai delicata e la si può effettuare solo in apposite case di salute.
Esistono vari farmaci per curare la dipendenza da morfina o l’intossicazione. Due farmaci,
il naloxone e il naltrexone, sono in grado di spostare le molecole di morfina e analoghi dai
recettori cerebrali, interrompendone l'azione: in particolare l'azione del naloxone è
estremamente rapida, cosa che lo rende un farmaco salvavita in caso di intossicazione
acuta da oppiacei (overdose). Il naltrexone invece si lega in modo più duraturo a tali
recettori, inibisce l'azione di oppio e derivati per un periodo prolungato nel tempo e si usa
nella disintossicazione per impedire l'effetto di eccitazione della droga. Comunque il
rimedio più utilizzato per la disintossicazione è l’assunzione di metadone. Quest’ultimo è un
oppioide sintetico, introdotto nel 1964, che ha le stesse proprietà analgesiche della morfina
e che viene utilizzata nel trattamento della dipendenza da oppiacei in quanto si assume per
via orale (disabituando il tossicodipendente alla siringa), ha un effetto che dura circa 24 ore
e quindi richiede una sola somministrazione giornaliera e infine la dipendenza si manifesta
più lentamente e lievemente rispetto a quella causata da morfina ed eroina. Per il
trattamento inizialmente viene somministrato in dosi sufficienti da reprimere i sintomi di
astinenza e l’obiettivo di queste terapie è quello di garantire una migliore vita sociale e
lavorativa ai tossicodipendenti, evitando anche fenomeni criminali legati alla ricerca della
dose quotidiana di stupefacente.
L’EROINA
Nel 1897 il farmacista tedesco Felix Hoffmann divenne famoso per aver sintetizzato l’acido
acetilsalicilico che la Bayer commercializzò come aspirina. L’obiettivo di Hoffmann era però
di trovare un analgesico che fosse ancora più potente della morfina per il dolore causato da
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gravi malattie respiratorie e tubercolosi. Così sempre nel 1897 sintetizzò una nuova
molecola acetilando i due gruppi ossidrilici della morfina con anidride acetica: questa
molecola era la diacetilmorfina, nota come eroina. Il nome eroina fu attribuito sempre dalla
Bayer che cominciò a commercializzarla e derivava dalla parola tedesca heroisch che
significa energico, eroico, perchè, secondo la Bayer, questo nome ne rappresentava tutte le
caratteristiche. L’obiettivo era quello di trovare un antidolorifico più forte della morfina e
che non portasse alla dipendenza e all’inizio l’esperimento sembrava riuscito. Nel 1910 a
circa 10.000 pazienti malati di gravi patologie respiratorie venne somministrata l’eroina e i
risultati furono positivi: infatti si interpretò in modo errato l’inibizione del centro del respiro
come una migliorata efficienza respiratoria e inoltre nessuno aveva ancora sintomi di
dipendenza. L’utilizzo di eroina nel trattamento del dolore si diffuse rapidamente e per ogni
tipo di patologia, ma proprio quando si pensava di aver trovato una medicina ancor più
miracolosa della morfina ci si rese conto del prevedibile effetto collaterale: la dipendenza.
Gli effetti dell’eroina sono simili a quelli degli altri oppioidi, ma più amplificati. Infatti oltre
ad avere maggiori proprietà analgesiche, provoca molta più dipendenza, l’overdose è più
frequente, le sindromi di astinenza sono molto più violente e le dosi letali sono circa la
metà di quelle della morfina. Il motivo è che l’eroina è molto più liposolubile della morfina
(grazie ai due gruppi acetilici) e quindi raggiunge il cervello in pochissimi secondi e ad
elevate concentrazioni.
L’eroina quindi divenne ben presto una droga d’abuso che non veniva più assunta per il
trattamento del dolore, ma solo per le forti sensazioni euforiche che provoca. Infatti l’uso di
eroina a scopo terapeutico è solo raramente utilizzato ed è proibito in quasi tutto il mondo.
L’eroina si presenta sotto forma di cristalli bianchi, che si colorano di rosa all’aria. Nel
narcotraffico era inizialmente smerciata come "brown sugar", di cui l’eroina costituiva il 3035%, la caffeina e la stricnina lo 0,5-1% e il resto era costituito da zuccheri vari come
diluenti. La percentuali di eroina delle confezioni di droga da strada è andata via, via
diminuendo fino al 10-12% alla fine degli anni ‘80 ed al 3-4% nei primi mesi del 1993 ed i
diluenti impiegati sono quasi esclusivamente zuccheri.
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L’effetto che cercano maggiormente i tossicodipendenti è il cosiddetto ‘’flash’’ che si
ottiene soprattutto quando la si inietta per via endovenosa. Questo effetto dura circa due
ore e consiste in una sensazione di completo benessere fisico e psichico, seguito dalla
sensazione di essere punti da spilli su tutta la superficie del corpo, quindi da una fase di
rilassamento. Queste sensazioni inducono il consumatore a ripetere l'esperienza, ma poco a
poco l'organismo si adatta, intervengono alterazioni nel sistema nervoso e per ottenere lo
stesso effetto è necessaria una dose sempre più forte. Con il prolungarsi dell'abuso, l'eroina
diviene una necessità imprescindibile ed il consumatore è costretto a prenderla non più
perché gli procura piacere, ma per evitare la sofferenza fisica e psicologica che patisce
quando gli manca: se si supera quella soglia si è diventati tossicodipendenti. I sintomi
dell’overdose sono simili a quelli della morfina ma molto più amplificati.
Il farmaco utilizzato per curare l’overdose di eroina è il naloxone (come per la morfina),
mentre per la disintossicazione viene usato sempre il metadone.
Tutto questo ha portato l’eroina ad essere una delle droghe più pericolose e potenti
portando moltissime persone alla tossicodipendenza, soprattutto negli ultimi anni. Molti la
assumono solo per divertimento o trasgressione, mentre per altri pesano molto i fattori
psicologici: un ambiente famigliare difficile, forti traumi subiti e depressione possono
portare dei soggetti a buttarsi nel mondo della droga. La diffusione di questa piaga sociale
ha comportato gravi problemi in tutto il mondo, anche per i fenomeni criminali connessi al
consumo di droga e perciò si sta sempre di più cercando di aiutare i tossicodipendenti a
liberarsi dalla loro condizione per essere reintegrati nella società e poter avere di nuovo
una vita dignitosa. La strada per la disintossicazione è però molto lunga e complicata: infatti
se la dipendenza fisica non è così difficile da eliminare, la dipendenza psicologica è molto
complicata da gestire e per superarla non bastano le cure tradizionali, ma serve molta forza
di volontà da parte del soggetto che vuole disintossicarsi.
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ANALISI CHIMICHE
Le analisi che vengono effettuate in laboratorio per l’identificazione di morfina, eroina,
oppiacei e in generale su tutte le droghe d’abuso sono finalizzate soprattutto alla diagnosi e
al trattamento di tossicodipendenti o intossicati. Altri obiettivi delle analisi possono essere
l’accertamento di assunzione di sostanze stupefacenti alla guida o fornire alla Magistratura
degli elementi per un giusto processo (per esempio, nel caso siano coinvolti
tossicodipendenti).
Le matrici biologiche che vengono utilizzate maggiormente sono capelli, saliva, sangue,
sudore e unghie. Le matrici vengono scelte in base alla permanenza delle droghe: infatti,
per esempio, nel sangue possono essere rilevate dopo poche ore, nelle urine dopo qualche
giorno e nei capelli dopo mesi.
Le analisi si dividono in due fasi : gli esami di screening e gli esami di conferma. I test di
screening si suddividono a loro volta in test di screening speditivi e iniziali. In generale i test
di screening permettono, su un gran numero di campioni, in tempi ridotti e in maniera
standardizzata, di determinare la presenza di una o più sostanze stupefacenti rispetto ad un
valore soglia (cut off) prestabilito. Se la sostanza è assente o è presente in concentrazione
minore del cut off il risultato del test è negativo, mentre se la concentrazione è maggiore
del valore soglia il risultato è positivo. Se, però, i test risultano negativi non è detto che la
droga non sia mai stata assunta: infatti, può essere che il campione sia stato alterato o che
la sostanza sia stata assunta troppo tempo prima delle analisi. I test di screening speditivi
consistono in analisi immunocromatografiche qualitative, mentre quelli iniziali son test
immunochimici quantitativi.
Dopo i test di screening si hanno i test di conferma, che vanno effettuati sui campioni
risultati positivi per dare una validità medico-legale all’analisi. Questi test identificano i
singoli analiti e forniscono risultati quantitativi accurati. Per queste analisi, vengono
utilizzate soprattutto tecniche cromatografiche come gascromatografia, cromatografia in
fase liquida ad elevate prestazioni (HPLC) o cromatografia abbinata a spettrometria di
massa.
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CONCLUSIONE
La morfina, quindi, fin dalla sua scoperta, è stata molto importante per le sue proprietà
utilizzate in ambito medico ed è per questo che è diventata la medicina di Dio. Era infatti
ritenuto un farmaco miracoloso, in grado di non far più soffrire per il dolore, anche se era
atroce, ed era perciò largamente utilizzato e visto in modo molto positivo. Purtroppo, però,
iniziò anche a mostrare i suoi effetti collaterali che conducevano alla dipendenza. La
medicina miracolosa aveva quindi improvvisamente assunto una visione negativa
diventando una pericolosa droga. La situazione peggiorò quando fu sintetizzata l’eroina che
apparentemente doveva essere un toccasana e invece si è rivelata una grande piaga sociale
a causa della tossicodipendenza. La morfina è comunque rimasto uno degli antidolorifici più
utilizzati per il trattamento del dolore, nonostante i rischi che provoca, ma probabilmente
non viene più visto come un farmaco miracoloso come quando è stata scoperta. Resta
comunque il fatto che è il mezzo più efficace per sconfiggere il dolore e che bisogna riuscire
a convivere con il rischio che la medicina di Dio si trasformi in una droga distruttiva.
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La medicina di Dio. La morfina.