Testimonianza tratta dall’autobiografia di Andreas Sefiha “Memorie di una vita e di un mondo” (Ed
Ianos, Atene, 2010) letta
in
originale
e
riassunta
in
italiano
da
Irene
Zygoura
Nissim
con
la
consulenza
del
5iglio
Filippo.
Rielaborazione
autorizzata
dalla
moglie
dell’autore
Nelly
per
WE
FOR,
giugno
2010.
Andreas Sefiha nasce a Salonicco nel 1929, figlio unico di Lazzaro Sefiha e
Desy Matalon; vive con i genitori e i nonni, ebrei sefarditi. Nel 1940
cominciano i bombardamenti sulla città e la famiglia Sefiha si nasconde nelle
cantine del palazzo: i rifugi antiaerei sono pochi e affollati.
Il 9 aprile 1941 Andreas dalla finestra vede i primi carri armati della
Wehrmacht entrare in città. I tedeschi vietano agli ebrei l’ingresso nei locali
pubblici ed espropriano molte delle loro case per usi militari, ma inizialmente
la famiglia Sefiha non si preoccupa granché, non sapendo dell’esistenza dei
campi di sterminio. Presto però diventa evidente la drammaticità della
situazione: Andreas racconta che nel 1942 la città è stretta nella morsa della
fame; per le strade si vedono le persone crollare per terra stremate e i corpi
scheletrici sono raccolti con le carriole dagli addetti dell’amministrazione
comunale. La nonna aiuta altre famiglie con denaro e cibo e il padre si fa
pagare, dai clienti del suo negozio di ferramenta che vengono dalla
campagna, con cibo e viveri, in modo che a casa non manchi nulla.
I tedeschi utilizzano gli ebrei per costruire strade e molti di loro perdono la
vita in questo lavoro massacrante. Nel luglio 1942 i nazisti impongono a tutti
gli ebrei tra i 18 e i 45 anni di riunirsi in piazza della Libertà. Anche il padre
di Andreas, di 41 anni, è costretto a presentarsi alla registrazione e sottoposto
insieme agli altri a un pomeriggio di massacranti esercizi fisici e umiliazioni.
Successivamente i militari entrano nel negozio di famiglia e prendono il ferro,
il rame e gli altri materiali per rivenderli, arrestando il padre di Andreas. Per liberarlo i familiari
sono costretti a pagare un riscatto.
Nel 1943 i nazisti impongono agli ebrei di portare la stella gialla, rimanere confinati nel Ghetto e
rispettare il coprifuoco dalle 17; poi dichiarano che gli ebrei non possono lavorare e sequestrano
tutti i loro beni. La famiglia Sefiha è costretta a trasferirsi in via Fleming, ma il nonno di Andreas è
indipendente, combattivo, e organizza la fuga dei membri della famiglia.
Il treno della grande fuga (pag. 63)
Gli ebrei del Ghetto vengono isolati dal resto dei greci, perciò diventa molto complicato mettersi in
contatto con qalcuno. Andreas chiede l’intervendo di una persona misteriosamente indicata solo con
una “X”, che vende generi di prima necessità al mercato nero e accetta di aiutarlo.
Il nonno di Andreas appoggia l’idea e gli procura documenti falsi su cui si legge che il suo nome è
Andreas Sfikas; la madre invece alla notizia della sua partenza scoppia in lacrime.
Andreas raccoglie pochi soldi e si avvia al treno con X, che lo conduce invece a casa di un
poliziotto suo amico per passarvi la notte: il convoglio infatti partirà solo la mattina seguente.
Durante il viaggio, a Platamona un gruppo di tedeschi controlla i passeggeri. I militari domandano
al Andreas dove è diretto, il ragazzo spiega che sta andando dalla zia ad Atene dopo la cattura del
padre da parte delle truppe bulgare, e tutto fila liscio.
Dal 15 marzo al 10 agosto 1943 più di 45 mila ebrei vengono deportati verso Auschwitz con 19
treni. Il nonno corrompe una persona per fuggire dal Ghetto: viaggeranno con una caicco che li
porterà da Salonicco a Chalkida. Il mare è mosso e la barca in pessime condizioni; il capitano
minaccia di abbandonarli in mare se non gli consegneranno tutti i loro averi. L’uomo li fa sbarcare
in un porticciolo lontano da Chalkida, costringendoli a una lunga marcia.
Nel maggio 1943 riescono a stabilirsi ad Atene, occupata dagli italiani, dove non sono perseguitati:
come centinaia di altri ebrei sono aiutati dal capo della polizia, Angelo Evert, e dall’arcivescovo di
Atene, Damaskinos Papandreou, con documenti falsi e certificati di battesimo. I genitori diventano
Lazzaro e Dina Sfikas, i nonni Nikos e Maria Papadopoulos, hanno una vita sociale e ad Andreas
vengono impartite lezioni private dallo zio.
Dopo qualche mese intuiscono che con l’allargarsi dell’area di occupazione tedesca sarebbe stato
difficile sopravvivere e decidono di trasferirsi ad Argos, nel Peloponneso, accettando l’ospitalità di
un collaboratore del negozio di famiglia, il signor Giannatos.
Giannatos li nasconde in questa cittadina, dove ha un’attività commerciale. Qui i bombardamenti
sono frequenti e purtroppo l’amico perde la vita sotto le bombe. La sua morte getta i Sefiha nella
disperazione. Un giorno i proprietari della casa dove vivono, terrorizzati dai bombardamenti,
decidono di scappare sulle montagne e chiedono alla famiglia di Andreas di seguirli. I Sefiha
rivelano allora di essere ebrei in fuga, ma Sofia Tsiapouri e suo marito sono credenti e replicano
che avrebbero avuto dalla loro parte la protezione di San Nicola.
Tornati ad Argos, vi rimangono dal settembre 1943 all’ottobre 1944 e si fingono cristiani
partecipando alla messa domenicale. Andreas suscita le chiacchere dei presenti quando fa il segno
della croce con la mano sinistra. Un amico del padre, Kafouros, invia loro i guadagni della vendita
della merce che il padre aveva spedito ad Atene prima dell’occupazione tedesca. Con questo denaro
si mantengono, ma quando Kafouros viene ucciso da una mina la situazione diventa drammatica: si
sfamano in qualche modo grazie alla caccia e a un orto messo a disposizione dai padroni di casa.
Ogni volta che sentono arrivare i soldati tedeschi, tutti i maschi del paese scappano sui monti per
non essere uccisi. I Sefiha si presentano ai militari come la famiglia Papadopoulos, inquilini dei
signori Tsiapouri. La nonna di Andreas parla soltanto ladino e quindi viene nascosta o definita muta.
I signori Tsiapouri dividono tutto quello che hanno con i Sefiha, e Andreas stringe amicizia con la
loro figlia Maria, che lo invita alle feste con le amiche e gli insegna a ballare.
Un incontro fatale (pag. 80)
Ad Argos Andreas, quindicenne, incontra per la prima volta colei che diventerà sua moglie, mentre
passeggia per strada con il padre e un amico, il quale indica loro un uomo che tiene per mano una
bambina: il signor Kamhi e sua figlia di sei anni, ebrei. Il padre di Andreas si presenta senza
problemi, ma il signor Kamhi, spaventato, dice di chiamarsi Papadopoulos.
Dodici anni dopo Andreas rivedrà quella bambina, che ormai è una ragazza di 18 anni, nel negozio
di stoffe del padre di lei ad Atene, durante le vacanze di Natale, e le ricorderà il singolare episodio,
paradossale nella sua drammaticità. I due si innamoreranno e si sposeranno pochi mesi dopo, nel
luglio 1956. Dal matrimonio nasceranno 3 figli.
Solitudine (pag. 86)
Quando i Sefiha rientrano a Salonicco intorno a loro trovano il deserto: nella città che ha perso tutti
gli ebrei mancano gli amici e molte case di sefarditi sono occupate dai greci.
La famiglia di Andreas è costretta a sistemarsi in un’abitazione di tre camere e un salotto in
condivisione con altre quattro famiglie. Il padre riapre il negozio di ferramenta senza l’aiuto di chi
aveva ancora dei debiti da saldare, ma grazie al sostegno disinteressato di altri greci: Lazzaro, un
amico, gli presta 20 lire d’oro a fondo perduto.
Dopo la conclusione del conflitto a Salonicco si celebrano tanti matrimoni ebraici tra i sopravvissuti
che vogliono voltare pagina il più in fretta possibile per dimenticare l’orrore vissuto, e molte
famiglie scelgono di partire per la Palestina. Andreas si trasferisce in Svizzera per studiare, lontano
dai traumi che ha dovuto subire, e si laurea in Economia a Losanna.
Maria Tsiapouri tornerà a Salonicco per una gita scolastica e passerà a trovare la nonna di Andreas
che le manifesterà tutta la sua gratitudine.
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