1. Le Amilodosi 1.1. Definizione e Classificazione Le Amiloidosi sono un gruppo di patologie caratterizzate da un’alterata conformazione di proteine autologhe o loro frammenti, le quali aggregano in fibrille e si depositano a livello extracellulare in vari organi e tessuti dell’organismo.1-4 Il termine amiloide fu coniato dal patologo Virchow, nel 1854, per descrivere i depositi, rilevati su tessuti autoptici, di una sostanza che erroneamente egli identificò con l’amido o la cellulosa, in base al colore assunto dopo colorazione con acido solforico e iodio.2,3 In realtà, l’amiloide deriva dall’assemblarsi di precursori proteici anomali che assumono una struttura secondaria a foglietto β ripiegato e formano depositi fibrillari in associazione con altre sostanze di natura non proteica. A seconda della natura biochimica del precursore della proteina amiloide, le fibrille si possono depositare localmente o possono coinvolgere a livello sistemico virtualmente ogni organo. 2-4 Nel passato le Amiloidosi sono state classificate in due grandi gruppi, costituiti, appunto, dalle Amiloidosi sistemiche e dall’Amiloidosi localizzata; tali gruppi comprendevano, tuttavia, forme eterogenee dal punto di vista biochimico ed eziopatogenetico. Una migliore comprensione della complessità chimica delle fibrille di amiloide ha determinato, negli ultimi decenni, la necessità di adottare un sistema di nomenclatura chiaro e uniformemente riconosciuto, in cui la classificazione delle Amiloidosi si fondasse sulla natura biochimica delle proteine formanti le fibrille. 5 Le linee guida per la nomenclatura e la classificazione dell’amiloide e delle Amiloidosi sono state aggiornate nel 2010 da parte del Nomenclature Committee of the International Society of Amyloidosis. 5 Ad oggi, sono state identificati 1 almeno 27 tipi di Amiloidosi, sulla base delle diverse proteine in grado di formare fibrille di amiloide in vivo (Tabella 1.1). In accordo con tale classificazione, la proteina amiloide è designata con la lettera A maiuscola, seguita da un suffisso che specifica la natura della sostanza proteica. Ad esempio, la sigla AL indica l’Amiloidosi causata dalle catene leggere delle immunoglobuline. 1.2. Struttura, biochimica ed eziopatogenesi dell’Amiloide Al microscopio ottico, con colorazioni standard, l’amiloide appare come una sostanza amorfa, eosinofila e ialina, a deposizione extracellulare. I depositi di amiloide si colorano in rosa con l’ematossilina-eosina e mostrano metacromasia con la colorazione al cristal-violetto. La colorazione rosso Congo conferisce una caratteristica birifrangenza verde quando le sezioni colorate vengono osservate al microscopio a luce polarizzata. 2 Al microscopio elettronico, l’amiloide appare in gran parte formata da fibrille sottili, rigide, non ramificate, di lunghezza indefinita e con un diametro approssimativo di 7,5-10 nm. La cristallografia a raggi X e la spettroscopia all’infrarosso dimostrano una conformazione caratteristica a β-foglietti incrociati. Tale conformazione, indipendente dalla composizione chimica dell’amiloide, è responsabile della particolare colorazione e birifrangenza alla colorazione rosso Congo.6,7 Oltre alle proteine fibrillari (95%), nell’amiloide sono sempre presenti altri componenti minori (5%), quali la componente P dell’amiloide, proteoglicani e glicosaminoglicani ad alto grado di solfatazione. Queste sostanze di natura non proteica sono probabilmente derivate dal tessuto connettivo in cui l’amiloide si è depositata. Tutti i depositi di amiloide contengono un’identica componente non 2 fibrillare, la pentraxina o amiloide sierica P (serum amyloid P, SAP), una glicoproteina che mostra omologia strutturale con la proteina C reattiva ed elevata affinità per le fibrille di amiloide, facilitandone quindi la deposizione tissutale.1,8 Tra le numerose forme biochimicamente distinte di proteine dell’amiloide, alcune sono più comuni; i quadri patologici associati sono trattati di seguito. 3 Proteina Amiloide Aβ2M Precursore proteico Catene leggere delle immunoglobuline Catene pesanti delle immunoglobuline β2-microglobulina ATTR Transtiretina AA AApoA-I Amiloide sierica AA (apoSAA) Apolipoproteina AI AApoA-II AApoA-IV Apolipoproteina AII Apolipoproteina AIV AGel ALys AFib Gelsolina Lisozima Catena α del fibrinogeno Cistatina C ABriPP Fattore chemiotattico leucociti 2 ADanPP S S S Aβ Precursore della proteina Aβ (AβPP) L AprP Proteina prionica L ACal (Pro)calcitonina L AIAPP Polipeptide amiloide isole pancreatiche Fattore natriuretico atriale Prolattina L Insulina Lactaderina Cheratoepitelina Lattoferrina Proteina odontogena associata ad ameloblasto Seminogelina I L L L L L Invecchiamento ipofisi, prolattinoma Iatrogena Senile, aorta Cornea, familiare Cornea Tumori odontogeni L Vescicole seminali AL AH ACys ABri ALect2 ADan AANF Apro AIns AMed AKer ALac Aoaap ASemI Forma sistemica (S) o localizzata (L) S,L S,L S L? S L? S S L S S S S S L L L Sindrome o tessuto coinvolto Primaria, associata a Mieloma Multiplo Primaria, associata a Mieloma Multiplo Emodialisi cronica Articolazioni Sistemica senile, familiare Tenosinovite Secondaria, reattiva Familiare Aorta, menisco Familiare Sporadica, invecchiamento Familiare (finlandese) Familiare Familiare Familiare Demenza familiare Prevalentemente Rene Demenza familiare (Danese) Malattia di Alzheimer, invecchiamento Encefalopatia spongiforme Tumori cellule C tiroidee Isole di Langerhans, insulinoma Atri cardiaci Tabella 1.1 4 Amiloidosi AL La forma più comune (incidenza di 8-10 casi per 1.000.000 di abitanti per anno) di Amiloidosi sistemica riscontrata nella pratica clinica è l’Amiloidosi da catene leggere (light chain amyloidosis o AL), denominata anche Amiloidosi idiopatica primitiva o associata a Mieloma Multiplo.9-11 La proteina AL può essere costituita da catene leggere immunoglobuliniche intere, dal loro frammento NH2terminale o da entrambi. La maggior parte delle proteine AL analizzate è costituita da catene leggere di tipo λ (in particolare del tipo λ VI) o dai loro frammenti, ma in alcuni casi sono state identificate anche catene di tipo κ. Meno del 20% dei pazienti con Amiloidosi AL ha un Mieloma Multiplo e i restanti pazienti sono affetti da altre gammopatie monoclonali; viceversa, circa il 15-20% dei pazienti affetti da Mieloma presenta anche Amiloidosi. Gli aspetti fisiopatologici e clinici di tale patologia saranno approfonditi più avanti nel corso di questa trattazione. Amiloidosi AA L’Amiloidosi AA (secondaria, reattiva o acquisita) si verifica più frequentemente come complicanza di una malattia infiammatoria cronica. 12 Nei Paesi occidentali l’efficace trattamento delle patologie infiammatorie ne ha ridotto notevolmente l’incidenza. Raramente l’amiloidosi AA si manifesta in alcuni gruppi di pazienti con febbre mediterranea familiare (familial mediterranean fever, FMF) e febbre irlandese familiare (familial hibernian fever, FHF). Durante l’infiammazione, citochine pro infiammatorie come l’interleuchina (IL)1, la IL6 e il fattore di necrosi tumorale (TNF), stimolano la sintesi epatica di amiloide sierica A (serum amyloid associated, SSA), una proteina della fase acuta che fa parte di un complesso lipoproteico ad alta densità (HDL3). L’amiloidosi AA mostra una 5 predilezione per la milza, il fegato, i reni, i surreni e i linfonodi; tuttavia, nessun apparato viene risparmiato e l’interessamento vascolare può essere ampiamente diffuso, anche se un coinvolgimento cardiaco clinicamente significativo è raro. Amiloidosi eredofamiliari Le amiloidosi eredofamiliari, diverse dalla forma AA associata a FMF e FHF, coinvolgono primariamente il sistema nervoso centrale e la loro ereditarietà è autosomica dominante. Le polineuropatie amiloidosiche familiari (familial amyloid polineuropathies, FAP) colpiscono soprattutto famiglie portoghesi, giapponesi, svedesi, finlandesi e greche. 6,13 Le FAP differiscono per la sintomatologia clinica e per la natura biochimica delle fibrille, che possono contenere mutanti della transtiretina (TTR), dell’apolipoproteina AI, della gelsolina, della cistatina C e, occasionalmente della catena α del fibrinogeno A o del lisozima. La forma più comune di FAP è l’Amiloidosi ATTR, una neuropatia periferica ed autonomica descritta per la prima volta in Portogallo. La transtiretina, originariamente descritta come prealbumina, è una proteina che trasporta nel sangue la tiroxina e la proteina legante il retinolo. Le forme mutate, amiloidogeniche di TTR, differiscono dalla controparte normale per una singola sostituzione aminoacidica e si depositano, oltre che al sistema nervoso periferico e vegetativo, anche a livello cardiovascolare e renale. 6 Amiloidosi Aβ2M In presenza di malattie renali che richiedano emodialisi a lungo termine, può svilupparsi una forma di amiloidosi con serie complicanze ossee ed articolari. 4 La β2microglobulina è presente ad alta concentrazione nel siero di pazienti nefrologici perché non viene filtrata attraverso le membrane da dialisi. Nella patogenesi dell’Amiloidosi Aβ2M sembra essere implicata la produzione di prodotti finali della β2microglobulina fortemente glicosilati.2 Amiloidosi Aβ La proteina amiloide β (Aβ) rappresenta il principale componente delle fibrille nei depositi di amiloide dei vasi cerebrali e nel nucleo delle placche neuritiche dei pazienti con malattia di Alzheimer. Essa deriva da una glicoproteina transmembrana più grande, nota come proteina precursore dell’amiloide β (amyloid β-precursor protein, AβPP). Forme familiari di malattia di Alzheimer si associano a mutazioni di AβPP o a mutazioni di geni che codificano per le proteine preseniline.2,4 7 2. L’ Amilodosi AL 2.1. Fisiopatologia L’Amiloidosi a catene leggere delle immunoglobuline (AL) è una patologia caratterizzata da una popolazione clonale di plasmacellule del midollo osseo che produce catene leggere monoclonali di tipo κ o λ, come molecole intere o come loro frammenti. Le catene leggere dei pazienti con Amiloidosi AL presentano un’anomala sequenza aminoacidica e dunque un’anomala struttura terziaria che favorisce la conformazione caratteristica a β-foglietti incrociati e la deposizione tissutale.1,3,11 Sostituzioni atipiche a livello di residui aminoacidici critici possono compromettere la stabilità delle catene leggere le quali, piuttosto che assumere la normale configurazione ad α elica, vanno incontro ad un folding alterato (Figura 2.1). Figura 2.1 Formazione delle fibrille di Amiloide (da Merlini et al. NEJM 2003) 8 I polipeptidi parzialmente o scorrettamente ripiegati possono generare molecole modificate che tendono ad autoaggregarsi e che, in determinate condizioni ambientali, danno origine ai protomeri fibrillari. Tali forme intermedie aggregano tra loro rispettando il principio di minima energia libera del sistema, originando, in presenza di sostanze tissutali di natura non proteica, i depositi di amiloide. Oligomeri o protofibrille possono, inoltre, mediare tossicità cellulare attraverso un meccanismo che attiva l'apoptosi cellulare nei tessuti bersaglio. 1 Nella maggioranza dei pazienti affetti da Amiloidosi AL si riscontrano catene leggere libere monoclonali e un clone di plasmacellule midollari di modeste dimensioni, con una percentuale media di infiltrato plasmacellulare del 7%. I livelli della proteina monoclonale e delle plasmacellule midollari non tendono ad aumentare con il tempo, a differenza di quanto avviene nel Mieloma Multiplo (MM). I tre quarti delle catene leggere amiloidogeniche sono di isotipo λ ed i due geni Vλ, 6a e 3r, contribuiscono alla codificazione del 42% delle catene leggere amiloidogeniche.14 Le catene leggere della famiglia λ VI sono quasi invariabilmente associate con amiloidosi.15 Caratteristiche peculiari delle catene leggere amiloidogeniche sono, almeno in parte, responsabili del tropismo d'organo dei depositi d'amiloide. In letteratura è stato osservato che pazienti con cloni derivati dai geni Vλ VI 6a hanno un prevalente coinvolgimento renale, mentre quelli con cloni derivati dai geni Vλ 1c, 2a2, e 3R presentano una malattia multisistemica con interessamento cardiaco; pazienti con cloni Vκ hanno, infine, più probabilità di avere un’amiloidosi a localizzazione epatica.16,17 Le ragioni per le quali l’Amiloidosi AL presenti questo tipico tropismo d’organo rimangono, tuttavia, in gran parte sconosciute. La popolazione clonale che dà origine all’Amiloidosi AL e quella del MM differiscono per quanto riguarda l’espressione dei geni delle regioni variabili delle catene leggere delle immunoglobuline, ma sono molto simili dal punto di vista citogenetico. Le anomalie citogenetiche più comuni sono rappresentate dalle aneuploidie, quali le trisomie dei cromosomi 7, 9, 11, 15 e 18, e dalle 9 traslocazioni del cromosoma 14 (gene delle catene pesanti delle immunoglobuline).3,11 Figura 2.2 Sindromi e sintomi di presentazione dell’amiloidosi in due centri di riferimento. (A) Organo prevalentemente coinvolto all’esordio. (B) Sintomi all’esordio. (da Dispenzieri et al. Biol Blood Marrow Transplant 2008) 10 2.2. Manifestazioni cliniche Lo spettro di presentazioni cliniche dell’Amiloidosi AL è ampio, perché si tratta di una malattia sistemica che può colpire qualsiasi organo al di fuori del sistema nervoso centrale.18,19 Come si evidenzia in uno studio del 2008 che unisce l’esperienza clinica di due grossi centri di riferimento per l’amiloidosi, uno italiano (Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche di Pavia), l’altro statunitense (Divisione di Ematologia della Mayo Clinic, Minnesota), gli organi più frequentemente coinvolti sono il rene e cuore, seguiti dal fegato e dal sistema nervoso periferico (Figura 2.2 A). Il coinvolgimento polmonare, linfonodale e muscolare è anche possibile, ma è meno comune e più difficile da documentare. Le manifestazioni cliniche all’esordio sono aspecifiche e includono sintomi quali l’astenia, la dispnea, l’edema, le parestesie, l’ipotensione ortostatica e la perdita di peso (Figura 2.2 B). Quadri clinici altamente specifici quali la porpora periorbitale, la “spalla imbottita” e la macroglossia sono patognomonici, ma si riscontrano in una minoranza dei casi (dal 10% al 15% dei pazienti all’esordio), risultando dunque inadeguati per effettuare una diagnosi tempestiva. Le principali caratteristiche cliniche di 645 pazienti con Amiloidosi AL riferiti al Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche di Pavia sono riportate in tabella (Tabella 2.1). I dati presentati dalla Mayo Clinic in 30 anni di attività clinico-scientifica nel campo delle amiloidosi sono in linea con quanto osservato dal centro italiano e mostrano una netta predominanza dell’Amiloidosi AL nella popolazione maschile (67%) con un’età mediana alla diagnosi di 67 anni. Da rilevare che, mentre nella popolazione italiana l’organo maggiormente interessato dalla deposizione di amiloide AL è il rene (50%), nella popolazione statunitense prevale il coinvolgimento cardiaco, il che comporta alcune differenze nei sintomi d’esordio nei due gruppi di pazienti. 11 Tabella 2.1 Caratteristiche cliniche di 645 pazienti con amiloidosi AL (Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche, IRCCS S. Matteo di Pavia) *SNP=sistema nervoso periferico; °SNA=sistema nervoso autonomo. Coinvolgimento renale La sindrome nefrosica è la manifestazione precoce più importante. Negli stadi iniziali può essere rilevata soltanto una lieve proteinuria, ma con il tempo si sviluppa un caratteristico complesso sintomatologico con stato anasarcatico, ipoprotidemia, proteinuria massiva e ipotensione. In gran parte dei pazienti la proteinuria è pari o superiore a 150 mg nelle 24 ore. Di solito, il danno renale non è reversibile ed evolve con progressiva iperazotemia fino all’exitus. Il tempo medio intercorrente tra la diagnosi di sindrome nefrosica e l’indicazione al trattamento dialitico è di 14 mesi; dall’inizio della dialisi la sopravvivenza mediana è di 8 mesi. La morte sopraggiunge, generalmente, per complicanze extrarenali, quali lo scompenso cardiaco e le aritmie, spesso dovute ad un successivo interessamento cardiaco da amiloidosi AL. 3,4,11 12 Coinvolgimento cardiaco Nell’amiloidosi AL le manifestazioni cardiache sono rappresentate soprattutto da insufficienza cardiaca congestizia, cardiomegalia e da varie aritmie. Tali manifestazioni sono per lo più conseguenti all’amiloidosi miocardica diffusa; tuttavia, possono essere coinvolti dalla deposizione di amiloide anche l’endocardio, le valvole e il pericardio. All’esordio i pazienti spesso presentano sintomi da disfunzione delle sezioni destre del cuore, quali la dispnea da sforzo, l’epatopatia congestizia e gli edemi declivi; in questa fase, la funzionalità delle sezioni sinistre è conservata, nonostante sia già visibile l’ispessimento ventricolare. Con l’avanzare della malattia, le pareti cardiache si ispessiscono notevolmente (spessore > 15mm), la compliance si riduce ed insorge una cardiomiopatia restrittiva che può esitare in uno scompenso cardiaco franco. Altre manifestazioni sono rappresentate dalla bradicardia e dalla sincope postminzionale, dai disturbi di conduzione e da altre aritmie; poiché la trombosi atriale può verificarsi anche in corso di ritmo sinusale, l’insorgere di fibrillazione atriale si associa con un alto rischio di trombo-embolismo. Le anomalie elettrocardiografiche rilevabili includono un complesso QRS a basso voltaggio, deviazione assiale sinistra con un pattern pseudoinfartuale e alterazioni della conduzione atrioventricolare e intraventricolare, che spesso danno luogo a blocchi di vario grado. Lo strumento diagnostico più importante è l’ecocardiogramma, che mostra un ispessimento asimmetrico della parete del ventricolo sinistro, con ipocinesia e minore contrattilità in fase sistolica ed ispessimento del setto interventricolare e della parete ventricolare posteriore in diastole; le cavità ventricolari sinistre, invece, sono di dimensioni normali ed è possibile rilevare un quadro diffuso di “granuli brillanti” iper-rifrangenti. 3,4,11 13 Coinvolgimento epatico Il coinvolgimento epatico è piuttosto comune, ma le anomalie della funzionalità epatica sono minime e si verificano solo in uno stadio avanzato della malattia. Comune è l’epatomegalia, raramente associata ad ittero ed ipertensione portale. L’interessamento del fegato si verifica più spesso in presenza di sindrome nefrosica e di scompenso cardiaco congestizio. 3,4,11 Coinvolgimento gastrointestinale Sintomi gastroenterici sono di comune riscontro in tutte le forme sistemiche di amiloidosi; essi possono dipendere da un coinvolgimento diretto del tratto gastrointestinale oppure dall’infiltrazione del sistema nervoso autonomo da parte dell’amiloide. I sintomi sono rappresentati da ostruzione, perforazione,ulcerazioni, emorragie, malassorbimento, perdite proteiche e diarrea. L’infiltrazione della lingua, tipica dell’amiloidosi AL, può in taluni casi condurre alla macroglossia. 3,4,11 Neuropatia periferica ed autonomica In circa il 15-20% dei casi si riscontra neuropatia periferica. I pazienti presentano, comunemente, una neuropatia sensitiva simmetrica ad andamento disto-prossimale con disestesia che interessa dapprima gli arti inferiori e successivamente può estendersi agli arti superiori. Anche la disfunzione autonomica è di comune riscontro, determinando sintomi quali ipotensione ortostatica, impotenza, disgeusia, nausea, costipazione o diarrea cronica. Un quadro di ipotensione posturale importante, non associata a tachicardia, può presentarsi in caso di disautonomia cardiaca, poiché il cuore non riesce a fornire 14 un’appropriata risposta di compenso all’abbassarsi della pressione arteriosa. 3,4,11 Coinvolgimento cutaneo L’interessamento della cute è una delle manifestazioni più caratteristiche dell’amiloidosi AL. Le lesioni sono costituite da papule o placche leggermente rilevate, di aspetto cereo, che sono in genere raggruppate nel cavo ascellare o inguinale, nella regione anale, sul volto, sul collo e su aree mucose come l’orecchio e la lingua. Le ecchimosi periorbitali (“sindrome degli occhi neri” o “sindrome del procione”) sono patognomoniche e si rilevano in circa un quinto dei casi. 3,4 Coinvolgimento osteomuscolare L’amiloide può coinvolgere direttamente le strutture articolari infiltrando la membrana sinoviale, il liquido sinoviale o la cartilagine articolare. L’artrite amiloidosica può simulare varie malattie reumatiche, in quanto si può presentare come un’artrite simmetrica delle piccole articolazioni, con noduli, rigidità mattutina e affaticamento. L’infiltrazione muscolare di amiloide può determinare una pseudo miopatia; in particolare, l’infiltrazione della muscolatura della spalla può causare la sindrome della “spalla imbottita”. 3,4 Coinvolgimento respiratorio Depositi di amiloide possono essere presenti a livello dei seni paranasali, della laringe e della trachea, con ostacolo al flusso aereo. A livello polmonare, l’amiloidosi coinvolge in modo diffuso i bronchi e i setti alveolari, potendo così simulare una neoplasia.4,11 15 Coagulopatia Le emorragie rappresentano una grave complicanza dell’amiloidosi. L’aumentata tendenza al sanguinamento riconosce diverse cause: disfunzione piastrinica, iperfibrinolisi con ipofibrinogenemia e deficit di fattori della coagulazione; in particolare, ben riconosciuto è il deficit di fattore X. Ad ogni modo, la manifestazione emorragica che più comunemente si osserva è rappresentata dalla porpora, dovuta alla fragilità dei vasi ematici infiltrati di amiloide. 4,11,20 16 2.3. Diagnosi Clinica e di Laboratorio La diagnosi di Amiloidosi AL è particolarmente complessa in quanto, a fronte di una presentazione clinica variabile e spesso subdola, non esistono tecniche di imaging, né esami di laboratorio su campioni ematici ed urinari che siano diagnostici per questa patologia.21 La diagnosi di Amiloidosi AL dovrebbe essere sospettata in ogni paziente con sindrome nefrosica non diabetica, con ipertrofia del ventricolo sinistro all'ecocardiografia, con epatomegalia associata ad aumento degli indici di colestasi in assenza di alterazioni morfologiche all'ecografia o alla TC, con polineuropatia, nonché quando si riscontri la presenza di una gammopatia monoclonale in un paziente con inspiegabile astenia, edema, perdita di peso o parestesie.22 Uno screening appropriato di un paziente con una sindrome clinica compatibile con amiloidosi AL dovrebbe includere l’elettroforesi sieroproteica, l’immunofissazione del siero e delle urine, la misurazione delle catene leggere libere circolanti 23-25 come pure la dimostrazione di un eventuale clone plasmacellulare amiloidogeno mediante esame citologico e/o istologico midollare. Se il paziente ha una sindrome clinica compatibile con l’amiloidosi e si riscontra la presenza di una componente monoclonale sierica e/o urinaria all’immunofissazione e/o un rapporto alterato alla determinazione delle catene leggere libere circolanti, l’esame bioptico è comunque necessario per stabilire la diagnosi. 2.3.1. Indagini di laboratorio Le indagini di laboratorio mirano alla dimostrazione, tipizzazione e dosaggio della componente monoclonale. Va considerato, tuttavia, che in patologie quali l’Amiloidosi AL e la malattia da deposito di catene leggere (light chain 17 deposition disease, LCDD), il clone plasmacellulare è esiguo e basso è il titolo di proteina monoclonale presente nel siero. Per tale motivo, l’elettroforesi sieroproteica risulta negativa nel 5-20% dei pazienti con amiloidosi AL o comunque può mostrare quadri diversi dal tipico spike monoclonale; di riscontro piuttosto comune è il pattern nefrosico, con bassi livelli di albumina e γglobuline e alti livelli di α2globuline.24 Nello screening di un paziente con sospetta amiloidosi è indispensabile procedere all’immunofissazione sierica; essa generalmente rivela la presenza di immunoglobuline policlonali nella frazione γ e di una proteina monoclonale di piccola entità che migra in regione β/γ. Tenendo conto che in circa il 25% dei pazienti non si rilevano catene leggere nel siero mediante immunofissazione, è sempre necessario associare l’immunofissazione urinaria. Mediante tale metodo, le catene leggere monoclonali si riscontrano nel 90% dei pazienti; tale percentuale sale al 99% con l’impiego dei test nefelometrici per le catene leggere libere del siero (serum Free Light Chain, sFLC).11 Il dosaggio delle sFLC ha assunto una crescente importanza nella pratica clinica: agli inizi del decennio scorso è stato introdotto un nuovo metodo automatizzato che permette di quantificare le catene leggere libere κ e λ (catene leggere non legate alle immunoglobuline complete) secrete dalle plasmacellule. Esso prevede l’utilizzo di anticorpi diretti verso gli epitopi nascosti delle sFLC, localizzati in corrispondenza dell’interfaccia tra le catene leggere e quelle pesanti dell’immunoglobulina completa. Un rapporto κ/λ alterato (range normale 0.26-1.65) alla determinazione delle catene leggere libere circolanti indica l’eccesso di una catena rispetto all’altra e viene interpretato come un indice di espansione clonale in base a test eseguiti su volontari sani, pazienti affetti da mieloma multiplo, LCDD ed amiloidosi. 23 Tale metodica, oltre ad avere una maggiore sensibilità rispetto all’elettroforesi e all’immunofissazione, permette una quantificazione delle catene leggere libere circolanti; i risultati numerici correlano con la quota di sostanza amiloide prodotta e sono predittivi della prognosi. 26 Nel corso della malattia, inoltre, il 18 dosaggio delle sFLC rappresenta un valido strumento per il monitoraggio dei pazienti: grazie alla breve emivita, esso risulta particolarmente rapido e utile nella valutazione della risposta precoce al trattamento e nell’identificazione della recidiva di malattia.24,27 Infine, in circa l'85% dei pazienti con amiloidosi AL, la biopsia osteomidollare permette di rilevare una popolazione monoclonale di plasmacellule. A tal fine sono utilizzati test di immunofluorescenza con antisieri anti CD138, anti κ ed anti λ; contestualmente, la colorazione con Rosso Congo può mostrare eventuali depositi di amiloide. 2.3.2. Diagnosi istologica La diagnosi di amiloidosi viene posta esclusivamente mediante reperto bioptico in cui si mettono in evidenza i depositi fibrillari che emettono la classica birifrangenza verde mela all’osservazione in luce polarizzata dopo colorazione con Rosso Congo. La biopsia dell'organo clinicamente coinvolto è generalmente non necessaria. La biopsia renale, endomiocardica ed epatica sono costose, invasive e gravate da un elevato rischio emorragico. L’indagine più utilizzata in prima battuta è costituita dall’agoaspirato di grasso periombelicale, che ha buona sensibilità (82%) e specificità (94%). Controindicazioni alla procedura sono la presenza di importanti ernie ombelicali o diastasi dei retti addominali. Se il grasso periombelicale è controindicato o non diagnostico, la presenza di un quadro clinico suggestivo rende necessaria l’estensione dell’indagine bioptica ad altri tessuti. La biopsia delle ghiandole salivari minori è un esame semplice, sicuro e privo di controindicazioni; tale esame ha dimostrato una sensibilità del 58% in pazienti con amiloidosi sistemica e agoaspirato di grasso periombelicale negativo. Se anche la biopsia delle ghiandole salivari minori è negativa e se il sospetto diagnostico persiste, dopo aver considerato il rischio emorragico relativo del paziente, è indicato procedere alla biopsia dell’organo coinvolto. 7,29 19 Per il completamento della diagnosi è indispensabile, inoltre, la tipizzazione dei depositi di amiloide: l'identificazione della proteina amiloidogenica evita una diagnosi scorretta ed un trattamento inappropriato. 28 La caratterizzazione ultrastrutturale delle fibrille di amiloide può essere effettuata mediante immunoistochimica in microscopia elettronica con l’impiego di anticorpi diretti contro le diverse proteine amiloidogeniche oppure, in casi particolarmente complessi, mediante tecniche di proteomica. 29 Se la diagnosi di amiloidosi sistemica a catene leggere è confermata, dopo gli esami bioptici la prognosi dovrebbe comunque essere valutata attraverso un pannello di indagini che includa: Immunofissazione sierica e urinaria Dosaggio delle catene leggere libere circolanti Proteinuria delle 24 ore Dosaggio delle immunoglobuline Emocromo, dosaggio della creatinina e della fosfatasi alcalina Biopsia osteomidollare Dosaggio dei marcatori cardiaci NT-proBNP (porzione N-terminale del propeptide natriuretico di tipo B) e troponina (cTn) I o T. 7 2.4. Prognosi La prognosi dell’Amiloidosi AL è infausta, in particolar modo quando essa si presenta a seguito di Mieloma Multiplo o in associazione con danno d’organo. 20 In pazienti con amiloidosi cardiaca sintomatica non trattati o non rispondenti, la sopravvivenza mediana riportata dalle casistiche è di circa 6 mesi. 10,30 Nell'Amiloidosi AL l'andamento clinico è in larga misura dipendente dalla presenza e dall'entità del coinvolgimento cardiaco al momento della diagnosi. La valutazione di tale coinvolgimento si è evoluta nel corso degli ultimi tre decenni.7 Inizialmente, erano presi in considerazione parametri puramente di tipo clinico, quali la presenza di insufficienza cardiaca, di cardiomegalia o di versamento pleurico; successivamente la valutazione clinica è stata soppiantata dall’ecocardiografia. Reperti come l’ispessimento parietale, la presenza di granuli iperriflettenti, le anomalie del rilascio diastolico, la disfunzione ventricolare destra, sono risultati tutti correlati alla prognosi dell’amiloidosi. Negli ultimi cinque anni è stato messo in luce l'importante ruolo di nuovi marcatori biochimici di danno cardiaco. Livelli elevati di troponine cardiache sono correlati ad una cattiva prognosi nei pazienti con Amiloidosi AL, sia in quelli che ricevono un trattamento convenzionale, sia in quelli elegibili per ASCT.31 Il frammento N-terminale del peptide natriuretico di tipo B (NTproBNP) è un marcatore sensibile di disfunzione miocardica nell'amiloidosi AL ed il più importante determinante prognostico. 32 Il gruppo della Mayo Clinic ha proposto un sistema di stadiazione per l'Amiloidosi AL basato proprio sulle troponine cardiache sieriche e sul NT-proBNP, suddividendo i pazienti con Amiloidosi AL in tre gruppi con prognosi radicalmente diversa. 33 Utilizzando come cut-off valori di troponina T di 0,035 mcg/L e valori di NTproBNP di 332 pg/mL, i pazienti sono stati classificati in tre gruppi: Stadio I, per valori bassi di entrambi i biomarkers (33% di incidenza); Stadio III, per entrambi i valori elevati (30% di incidenza), o stadio II, se solo un marker risulta elevato (37% di incidenza). Le sopravvivenze mediane riportate sono di 26.4, 10.5 e 3.5 mesi, rispettivamente, per gli stadi I, II e III. La percentuale di plasmacellule nel midollo osseo, il livello delle catene leggere libere alla diagnosi, il numero degli organi coinvolti ed i livelli sierici di acido 21 urico sono tutti parametri che condizionano la prognosi dell’Amiloidosi AL, ma non sono stati integrati in un sistema di stadiazione come è avvenuto per i biomarkers cardiaci. 7,26,27 2.5. Terapia Lo scopo della terapia nell'Amiloidosi AL è diminuire la sintesi del precursore amiloidogenico mediante la soppressione del sottostante clone plasmacellulare. I depositi di amiloide possono essere riassorbiti e la disfunzione d'organo può regredire se si riduce rapidamente la concentrazione delle catene leggere monoclonali circolanti. Gli schemi di terapia per l’Amiloidosi AL derivano da quelli in uso nel Mieloma Multiplo (MM). Va tenuto presente, tuttavia, che i pazienti con Amiloidosi AL, a differenza di quelli affetti da MM, non hanno soltanto una neoplasia ematologica, ma presentano un danno funzionale di diversi organi che li rende più fragili e quindi più esposti alla tossicità della chemioterapia. Viceversa, nell’amiloidosi è necessario l’utilizzo di terapie che possano portare rapidamente a un recupero della funzione degli organi coinvolti.34 L'associazione di Melphalan e Prednisone (MP) per os, introdotta nel 1972, è stata la terapia standard dell'Amiloidosi AL per molto tempo. Due importanti studi di fase III hanno stabilito l'efficacia di questo approccio e ne hanno dimostrato la superiorità rispetto al trattamento con colchicina. 35,36 Sebbene il MP sia un regime terapeutico efficace e ben tollerato, il lungo tempo necessario per ottenere la risposta lo rende inadatto ai pazienti con malattia rapidamente progressiva ed il suo utilizzo è attualmente riservato ai pazienti a cattiva prognosi. Sulla base degli studi di efficacia del Melphalan e perché studi multicentrici 22 avevano dimostrato elevati tassi di risposta ematologica e di risposta d’organo nell’Amiloidosi AL trattata con il solo desametasone, è stato successivamente adottato uno schema di combinazione Melphalan e Desametasone (MDex). In uno studio del gruppo di Pavia condotto su pazienti non eleggibili a trapianto a causa dello stato avanzato della malattia, è stato osservato che l'associazione di desametasone e melphalan per os (MDex) induceva una risposta clonale nel 67% dei pazienti, con il 33% di remissioni complete e miglioramento della funzionalità d'organo nel 48% dei casi, a fronte di un tasso di mortalità del 4% nei primi 100 giorni dopo MDex.37 A sei anni, si registravano tassi di sopravvivenza di circa il 50%, con una progression free survival (PFS) del 40%. 38 Due studi più recenti in cui si utilizzava lo stesso schema di trattamento, invece, hanno mostrato sopravvivenze mediane inferiori a 18 mesi. 39,40 In tali studi, tuttavia, sono stati presi in considerazione soprattutto pazienti con malattia avanzata e importante compromissione cardiaca, non rispondenti alla terapia e deceduti in un breve intervallo di tempo. Le differenze rilevate sottolineano, dunque, l’importanza di una stratificazione dei pazienti per stadio al momento dell’interpretazione dei risultati. Concludendo, MDex è ancora considerato uno standard terapeutico nei pazienti che non sono candidati a trapianto e a studi clinici, grazie al basso profilo di tossicità, alla dimostrata capacità di indurre risposte ematologiche anche in presenza di malattia avanzata ed alla disponibilità di formulazioni orali per entrambi i farmaci.7 Il Melphalan ad alte dosi (200 mg/m2, MEL200) seguito da autotrapianto di cellule staminali (ASCT) è stato considerato per diversi anni il trattamento più efficace per l’Amiloidosi AL. Tuttavia, questa procedura è gravata da una più elevata mortalità nell’Amiloidosi AL rispetto a quanto si osserva nel Mieloma Multiplo, in particolare in pazienti con disfunzione cardiaca e coinvolgimento multiorgano.41 Per ridurre la tossicità dell’autotrapianto è stato proposto di adattare la posologia del Melphalan impiegata nel condizionamento in base alla 23 classe di rischio del paziente; l’autotrapianto con dosi ridotte di Melphalan (100140 mg/m2) si associa, tuttavia, ad una minore percentuale di risposta, senza riduzione della mortalità legata alla procedura. 42 I dati finora disponibili sembrano indicare che, in pazienti a basso rischio, la terapia con MEL200 è in grado di indurre la più alta percentuale di remissioni complete (circa il 40%), con un tasso di mortalità che si attesta comunque al 5-10% nei centri di riferimento.43,44 Nell’ultimo decennio, la disponibilità di nuovi farmaci ha notevolmente ampliato l’armamentario terapeutico contro l'Amiloidosi AL. Il primo tra i nuovi agenti ad essere testato in pazienti con Amiloidosi AL in recidiva, la Thalidomide, è risultata poco efficace e mal tollerata a dosi elevate se utilizzata in monoterapia. Essa ha però mostrato efficacia, a dosi intermedie e in associazione con desametasone (TDex), con percentuali di risposta ematologica del 40%-50%. Si è tuttavia confermata l’elevata incidenza di tossicità grave; in particolare, è stata documentata bradicardia sintomatica nel 26% dei pazienti trattati. 45 La combinazione di ciclofosfamide per via orale con thalidomide e desametasone (CTD) si è mostrata efficace in pazienti recidivati; inoltre, in una serie retrospettiva di 122 pazienti di nuova diagnosi (48% con coinvolgimento cardiaco) afferenti ad un singolo centro, sono stati registrati alti tassi di risposta ematologica con il 74% di sopravvivenza a 3 anni. 46 Le attuali raccomandazioni suggeriscono di eseguire controlli mensili dell’ECG dinamico secondo Holter in tutti i pazienti con Amiloidosi AL trattati con thalidomide. La Lenalidomide è stata testata nel trattamento dell’Amiloidosi AL in combinazione con desametasone (LDex), con un tasso di risposta ematologica del 41% e del 67% nei due studi pubblicati. 47,48 Lenalidomide è stata combinata con Melphalan e desametasone (Mel/LDex) in pazienti di nuova diagnosi; una risposta ematologica è stata osservata nel 58% dei casi e una risposta completa 24 nel 42% dei casi.49 La combinazione di Lenalidomide con ciclofosfamide e desametasone (RCD) è stata studiata in 35 pazienti: il tasso di risposta ematologica era del 60%, e in coloro che ricevevano almeno quattro cicli, il tasso di risposta era 87%. Come dimostrato in uno studio di dose-escalation di fase III, la massima dose tollerata di lenalidomide in pazienti affetti da amiloidosi AL è di 15 mg; gli effetti tossici includono citopenie, eruzioni cutanee, astenia e crampi.49 La Pomalidomide è un derivato di thalidomide che mostra somiglianza strutturale sia con thalidomide che con lenalidomide. L’associazione di Pomalidomide e desametasone è stata testata in uno studio di 26 pazienti, in precedenza sottoposti a terapia con agenti alchilanti ed ad ASCT. Di questi, 13 erano stati già trattati con lenalidomide, 12 con thalidomide e 9 con bortezomib. Nei 19 pazienti valutabili per la risposta ematologica è stato riscontrato un tasso di risposta del 35%.50 La terapia dei pazienti con amiloidosi AL con Pomalidomide in seconda linea è attualmente autorizzata all’interno di sperimentazioni cliniche. Per quanto riguarda, infine, il Bortezomib, uno studio condotto su 18 pazienti ha dimostrato una risposta ematologica nel 77%, con il 16% di risposte complete.52 Uno studio di dose-escalation di fase I, in cui era espressamente escluso l'uso di corticosteroidi ha confrontato due diverse schedule di somministrazione: (1) nei giorni 1, 4, 8, e 11 ogni 21giorni o (2) nei giorni 1, 8, 15, e 22 ogni 35 giorni. Risposte ematologiche sono state osservati nel 50% dei pazienti, con il 20% di risposte complete. Il regime settimanale ha mostrato una minore neurotossicità. 53 La combinazione di Bortezomib e desametasone (BDex) è stata usata dopo ASCT per migliorare la risposta al trapianto.54 Diciassette su 23 pazienti hanno ricevuto Bortezomib e desametasone post-trapianto, e il 74% ha raggiunto una risposta completa, con una risposta d’organo nel 58% dei casi. In un altro studio, la combinazione BDex è stata testata in 26 pazienti, 18 dei quali hanno ricevuto 25 questa terapia in prima linea. Il tasso di risposta è risultato complessivamente del 54%, con il 31% di risposte complete. 55 Attualmente, sono in corso due studi randomizzati di fase III, uno in Europa e uno negli Stati Uniti, che confrontano la terapia standard MDex vs Melphalan e desametasone associato a Bortezomib (BMDex) in pazienti con Amiloidosi AL di nuova diagnosi. 56 2.5.1. Linee guida 2011-2012 per la terapia dell’amiloidosi AL sistemica della Società italiana per l’Amiloidosi 56 Le Linee Guida 2011-2012 per la terapia dell’amiloidosi AL sistemica sono state discusse e approvate dalla Società Italiana per l’Amiloidosi facente capo al Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo e Università di Pavia. Si raccomanda, anzitutto, di non iniziare la chemioterapia prima di essere giunti a individuare con certezza il tipo di amiloidosi in causa e di avere ottenuto i parametri necessari per la valutazione del rischio e per la definizione della risposta al trattamento, mediante: caratterizzazione immunoistochimica in microscopia elettronica o proteomica dei depositi di amiloide, quantificazione delle catene leggere libere circolanti e quantificazione di NT-proBNP e cTnT (o cTnI). Secondo le nuove Linee Guida, la scelta terapeutica si fonda sulla stratificazione del rischio basata sui marcatori biochimici di disfunzione cardiaca; 33 il sistema di stadiazione della Mayo Clinic, tuttavia, è qui integrato con i parametri di funzione renale ed epatica e tiene conto dell’età e delle condizioni generali dei pazienti (Tabella 2.2).56,57 26 Tabella 2.2 Definizione del rischio secondo la Società italiana per l’Amiloidosi (DLCO= capacità di diffusione polmonare per il monossido di carbonio, eGFR= velocità di filtrazione glomerulare stimata) La valutazione della risposta alla terapia prevede misurazioni frequenti delle catene leggere libere circolanti e dei marcatori biochimici di disfunzione cardiaca (almeno ogni due cicli o tre mesi dopo autotrapianto di cellule staminali), come previsto dai criteri di risposta ematologica e cardiaca dell’International Society of Amyloidosis. Uno stretto controllo del clone plasmacellulare (principalmente attraverso frequenti determinazioni della concentrazione delle catene leggere libere circolanti) e della funzione d’organo, in particolare cardiaca, nel corso della terapia e dopo il conseguimento della risposta, è indispensabile per individuare tempestivamente i pazienti che non rispondono e quelli che recidivano e intervenire modificando di conseguenza la strategia terapeutica. Trattamento dei pazienti a basso rischio Tenuto conto che le combinazioni di bortezomib e desametasone con gli agenti alchilanti melphalan (BMDex) e ciclofosfamide (CyBorD) hanno mostrato, se pure in piccoli studi, una percentuale di risposte complete paragonabile a quella 27 che si ottiene con il melphalan ad alte dosi e che lo schema CyBorD, non impiegando il melphalan per os, ha il vantaggio di non precludere un’eventuale futura mobilizzazione delle cellule, si propone di offrire ai pazienti a basso rischio in primo luogo una terapia d’induzione secondo lo schema CyBorD, seguita dall’ASCT con MEL200 in caso di mancato conseguimento della CR (o della risposta d’organo). In caso un paziente a basso rischio rifiuti l’ipotesi del futuro autotrapianto, dovrebbe essergli proposto l’arruolamento nella sperimentazione clinica randomizzata di fase III BMDex vs. MDex. Trattamento dei pazienti a rischio intermedio I pazienti che non possono essere arruolati nello studio clinico randomizzato di fase III BMDex vs. MDex, dovrebbero essere trattati con MDex, che rappresenta la terapia standard nei soggetti con amiloidosi AL a rischio intermedio. Nel caso in cui l’arruolamento non sia impedito da controindicazioni al bortezomib, si può prendere in considerazione una terapia con CyBorD. Trattamento dei pazienti ad alto rischio I pazienti ad alto rischio possono essere trattati con schemi attenuati di BMDex o MDex. Trattamento dei pazienti in recidiva Se possibile, nei pazienti che recidivano dopo tre mesi dalla fine del trattamento, si raccomanda di ripetere la terapia di prima linea che ha indotto la risposta. Se questo non è possibile, o se la recidiva avviene entro tre mesi dal termine della terapia di prima linea, i pazienti in recidiva dovranno essere trattati come i 28 pazienti refrattari. Trattamento dei pazienti refrattari I pazienti refrattari dovrebbero essere trattati all’interno delle sperimentazioni cliniche (terapia con pomalidomide e desametasone). Nei pazienti che non possono essere inclusi nelle sperimentazioni cliniche, la scelta della terapia dipende dal trattamento impiegato in prima linea e, naturalmente, dalle condizioni di ogni singolo paziente che possono rappresentare controindicazioni all’uso di farmaci particolari (Tabella 2.3). Tabella 2.3 Indicazioni della Società di Ematologia per la scelta della terapia di seconda linea sulla base del trattamento praticato all’esordio 29 3. Diagnostica strumentale del coinvolgimento cardiaco Da un punto di vista diagnostico, l'elettrocardiogramma tipico è caratterizzato da una riduzione dei voltaggi del QRS sulle derivazioni periferiche ma soprattutto sulle precordiali, così come anche da pseudonecrosi e ritardi di conduzione atrioventricolari e intraventricolari. Tuttavia, esiste, e non va trascurata, la possibilità di essere depistati da elettrocardiogrammi con voltaggi nella norma o addirittura aumentati, presenti fino al 20% in una casistica di pazienti con diagnosi bioptica di amiloidosi cardiaca. È però la lettura “integrata” ECG-eco il vero strumento per elaborare il sospetto, soprattutto la corretta diagnosi differenziale, fra cardiomiopatia ipertrofica e cardiomiopatia amiloidotica. In caso di cardiomiopatia amiloidotica, all’ecocardiogramma si apprezza spesso non solo l’aumento di spessore del setto interventricolare e delle pareti del ventricolo sinistro, ma anche delle valvole atrioventricolari (>5 mm), del setto interatriale, della parete libera del ventricolo destro. Sono estremamente frequenti anche l’abnorme ecoriflettenza (“granular sparkling”) del miocardio ventricolare e il versamento pericardico, generalmente lieve. Non sempre tutti gli elementi coesistono in un singolo paziente, ma le diverse combinazioni hanno un potere evocativo nei confronti dell’amiloidosi molto forte. Spesso si possono cogliere altre due combinazioni molto caratteristiche ed evocative: “ipertrofia concentrica” con lieve ipocinesia globale e normali volumi ventricolari sinistri; volumi e frazione di eiezione del ventricolo sinistro del tutto normali, ma ridotta velocità di ispessimento parietale. Una caratteristica interessante è proprio legata alla velocità con cui si realizza l'aumento degli spessori nel momento in cui iniziano a polimerizzare le subunità monomeriche a livello tessutale, parametro che sembra avere un significato prognostico in caso di amiloidosi primaria. 30 A fronte di un quadro ecocardiografico suggestivo di cardiomiopatia ipertrofica, il riscontro di voltaggi del QRS anche solo normali (non necessariamente ridotti) deve evocare la possibilità di infiltrazione amiloidotica. Più recentemente, l’aggiunta alle metodiche standard dell’utilizzo della risonanza magnetica cardiaca ha consentito, in base al sospetto ecocardiografico - pur non garantendo ovviamente una caratterizzazione tessutale che spetta solo alla biopsia - di indirizzare il clinico verso la diagnosi di amiloidosi. Nella fattispecie, la presenza di "delayed enhancement" (o “late enhancement”) a doppio binario a livello subendocardico e subepicardico e le caratteristiche di rapido svuotamento di cavità e rallentato lavaggio di parete del gadolinio suggeriscono fortemente la possibilità di un quadro di amiloidosi cardiaca; inoltre, è frequentemente dimostrabile un ispessimento endocardico globale che spesso indirizza la diagnosi correttamente. 58,59 Studi di Vogelsberg e Thomson sul valore della risonanza magnetica con gadolinio nell’amiloidosi cardiaca clinicamente sospetta hanno, infatti, dimostrato la sua buona sensibilità e straordinaria specificità nell’evidenziare il coinvolgimento cardiaco da malattia mediante determinati pattern contrastografici, anche posta a confronto con il gold standard diagnostico costituito dalla biopsia endomiocardica. Nonostante i grandi progressi che hanno riguardato l’ecocardiografia, la risonanza magnetica e le metodiche nucleari, occorre ricordare che il “gold standard” diagnostico rimane la dimostrazione istologica dei depositi di amiloide e che, quindi, le suddette metodiche rappresentano esclusivamente uno strumento per la stadiazione e la definizione della prognosi. 31 4. Studio sperimentale 4.1 Scopo dello Studio Scopo dello studio è stato quello di valutare le correlazioni esistenti fra parametri ecocardiografici (SIV e FE), di risonanza magnetica cardiaca e bioumorali (NT-proBNP, troponina I e sFLC) e la loro valenza diagnostica e prognostica nei pazienti affetti da Amiloidosi AL. Obiettivo secondario è stato quello di valutare il ruolo della risonanza magnetica cardiaca nella stadiazione del coinvolgimento cardiaco all’esordio e la sua eventuale capacità di offrire informazioni aggiuntive rispetto all’ecocardiografia bidimensionale standard, utili anche dal punto di vista prognostico. 4.2 Pazienti e Metodi 4.2.1 Pazienti Lo studio è stato eseguito su un gruppo di 10 pazienti, 8 maschi e 2 femmine, affetti da Amiloidosi AL, di cui 7 primitive e 3 secondarie a patologia linfoproliferativa (2 MM e 1 linfoma linfoplasmocitoide), afferiti presso la U.O.S. Diagnosi e Cura delle Discrasie Plasmacellulari e delle Amiloidosi dell’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma nel periodo compreso tra Febbraio 2009 e Luglio 2011. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a procedura diagnostica istologica mediante agoaspirato del grasso periombelicale sottocutaneo o biopsia della ghiandola salivare minore: i campioni ottenuti sono stati osservati mediante microscopia ottica in luce polarizzata dopo colorazione con rosso Congo e valutati per la birifrangenza verde mela necessaria per la corretta diagnosi di amiloidosi. In due 32 casi è stato necessario eseguire la biopsia dell’organo maggiormente coinvolto, rispettivamente stomaco e rene, entrambe senza complicanze. La biopsia osteomidollare con colorazione rosso Congo è stata eseguita in tutti i casi. Tutti i pazienti studiati hanno presentato una positività alla colorazione rosso Congo dell’agoaspirato del grasso periombelicale sottocutaneo, della ghiandola salivare minore o della biopsia d’organo. Dopo essere stati sottoposti alle indagini utili alla tipizzazione della malattia e alla stratificazione del rischio, i pazienti con amiloidosi sistemica sono stati classificati in una specifica classe di rischio, secondo quanto previsto dalle linee guida della Società italiana per l’Amiloidosi, al fine di identificarne prognosi e trattamento di I linea (Tabella 4.2.1). Per quanto riguarda i protocolli terapeutici utilizzati, 7 pazienti sono stati sottoposti ad una sola linea terapeutica, 3 dei quali con agenti alchilanti in monoterapia o in associazione a steroidi; 3 pazienti sono stati trattati con due linee terapeutiche, in tutti i casi comprendenti steroidi e farmaci quali bortezomib, ciclofosfamide o lenalidomide, in associazione o meno ad agenti alchilanti; 1 paziente con forma secondaria a linfoma linfoplasmocitoide è stato trattato con l’associazione di ciclofosfamide, desametasone e rituximab. Pz 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Rischio Basso Alto Intermedio Intermedio Alto Intermedio Alto Basso Intermedio Intermedio Marker di rischio No Troponina I e T Età Età Troponina I e T P.A. < 90 mmHg Troponina I e T No Età Età, eGFR < 50 ml/min Terapia di I linea MDV MD MD MD VD CyBorD CyBorD CyBorD CDR MDV Tabella 4.2.1. Stratificazione del rischio e terapia di I linea 33 4.2.2 Metodi Alla diagnosi ed al termine della terapia di prima linea è stata effettuata una valutazione cardiologica completa (visita cardiologica, valutazione della classe NYHA, ECG, Ecocardiogramma, Risonanza Magnetica cardiaca, NTpro-BNP, troponine cardiache, funzionalità renale) e monitorato il quadro ematologico (free light chain k e λ sieriche, elettroforesi proteica, proteinuria di Bence Jones, biopsia osteomidollare). Mediante l’Ecocardiografia sono stati valutati i seguenti parametri: - volumi delle camere cardiache; - spessori della parete ventricolare sinistra determinata in modalità M-mode; - spessore del setto interventricolare (valore in diastole < 12 mm); - frazione di eiezione; - Doppler pulsato del flusso e delle velocità transmitralica e polmonare; - Onda E, onda A e rapporto E/A; - Deceleration time; - Tissue Doppler Imaging; - infiltrazione dell’apparato valvolare; - presenza di versamento pericardico; - valutazione morfofunzionale delle camere destre. Mediante la Risonanza Magnetica si sono andate a ricercare eventuali alterazioni di segnale tipiche della patologia ed in particolare: - ispessimento miocardico diffuso; - ispessimento della parete libera del VD e del setto interatriale; - ispessimento valvolare ed eventuale insufficienza valvolare; 34 - tardivo potenziamento subendocardico diffuso (“late enhancement”); - accelerata cinetica del gadolinio nel sangue ed a livello miocardico; - versamento pleurico e pericardico non ravvisabili all’ecocardiografia. Dal punto di vista ematologico, l’andamento della patologia è stato valutato principalmente mediante il dosaggio sierico delle free light chain (serum free light chain k e λ - sFLC); hanno completato la valutazione lo studio proteico sierico ed urinario mediante elettroforesi proteica ed immunofissazione, lo studio delle urine delle 24 ore per la ricerca e quantificazione della proteinuria di Bence-Jones ed, infine, la biopsia osteomidollare. Lo studio proteico è stato eseguito mediante i seguenti test: Elettroforesi proteica capillare sierica/urinaria Sistema Capillarys Protein(E) 6 Sebia basato sul principio dell’elettroforesi capillare in fase libera su campione di siero o urine in tampone alcalino a pH specifico; le proteine sono rilevate direttamente per spettrofotometria di assorbimento ad una lunghezza d’onda di 200nm. v.n. Albumina 55.8-66.1%; Alfa-1 globuline 2.9-4.9%; Alfa-2 globuline 7.111.8%; Beta-1 globuline 4.7-7.2%; Beta-2 globuline 3.2-6.5%; Gamma globuline 11.1-18.8%. Immunofissazione proteica sierica e urinaria Sistema Hydragel Sebia destinato al rilevamento delle proteine monoclonali nel siero e nelle urine mediante immunofissazione. Le proteine, separate mediante 35 elettroforesi su gel di agarosio tamponato in mezzo alcalino, sono incubate con singoli antisieri rispettivamente specifici anti catene pesanti gamma (IgG), alfa (IgA), e mu (IgM) ed anti catene leggere kappa e lambda (libere e legate).Gli immunoprecipitati sono colorati con violetto acido o con amidoschwarz; gli elettroforegrammi sono interpretati visivamente per valutare la presenza di reazioni specifiche con le sospette proteine monoclonali. Protidemia totale sierica Test colorimetrico basato sulla reazione del biureto VITROS TP per la misura quantitativa delle proteine totali nel siero e nel plasma. v.n. 6.6-8.7 g/dL Proteinuria delle 24 ore Test colorimetrico VITROS UPRO per la misura quantitativa della concentrazione delle proteine nell’urina. v.n. 40-150 mg/24h Proteinuria di Bence-Jones Sistema Hydragel Bence Jones Sebia utilizzato per l’identificazione delle proteine di Bence Jones, o catene leggere libere (kappa o lambda), nelle urine e nel siero, mediante elettroforesi ed immunofissazione su gel d’agarosio tamponato a pH alcalino (pH 9.1). Le proteine dei campioni vengono fatte migrare ed immunofissate mediante antisieri con le seguenti specificità: Antisiero Trivalente: anti catene pesanti gamma (IgG), alfa (IgA), e mu (IgM); 36 antisiero anti catene leggere, libere e legate, kappa; antisiero anti catene leggere, libere e legate, lambda; antisiero anti catene leggere libere kappa; antisiero anti catene leggere libere lambda. Dopo l’immunofissazione le proteine precipitate sono colorate con violetto acido e l’eccesso di colorante è rimosso con una soluzione acida. Dosaggio sierico delle catene leggere libere circolanti (sFLC) Sistema nefelometrico automatizzato Freelite kappa e lambda libere umane Binding Site su analizzatore Radim Delta in grado di quantificare le catene leggere libere k e λ (catene leggere non legate alle immunoglobuline complete) secrete dalle plasmacellule. Un rapporto anormale k/λ libere indica l’eccesso di una catena rispetto all’altra e viene interpretato come un indice di espansione clonale in base a test eseguiti su volontari sani, pazienti affetti da mieloma multiplo ed amiloidosi (Katzmann et al, Clinical Chemistry 2002). Il livello normale di catene leggere libere k sieriche è 3.3-19.4 mg/L, mentre il livello normale per le catene leggere λ sieriche è 5.7-26.3 mg/L. Il rapporto normale k/λ libere è 0.26-1.65. Il range normale di riferimento utilizzato con la metodica delle sFLC riflette un livello più alto di catene leggere libere λ che non ci si aspetterebbe in base al normale rapporto k/λ delle immunoglobuline complete che è pari a 3. Questa differenza è dovuta al fatto che l’escrezione renale di catene leggere libere k (che esistono normalmente in forma monomerica) è più veloce dell’escrezione delle catene leggere libere λ (normalmente presenti in forma dimerica). Pazienti con rapporto sFLC k/λ < 0.26 presentano una catena leggera libera λ monoclonale, mentre quelli con rapporto > 1.65 una catena leggera libera k monoclonale. 37 Alla luce di quanto riportato, appare chiaro come un importante contributo nella difficile diagnosi di Amiloidosi AL possa giungere dal ricorso al dosaggio sierico delle catene leggere libere delle immunoglobuline (serum free light chain - sFLC) che offre i seguenti vantaggi: • maggiore sensibilità e precisione rispetto all’elettroforesi ed immunofissazione sierica; • fornire un risultato numerico utile per il monitoraggio della malattia; • comodità di un test eseguibile su siero; • identificazione di pazienti che non hanno una componente monoclonale ravvisabile con le comuni tecniche di laboratorio; • marker più accurato di remissione completa/progressione della malattia rispetto a quelli attualmente utilizzati; • rapida valutazione della risposta al trattamento grazie alla breve emivita (2-6 ore); • miglior valutazione dei pazienti sintomatici. Il dosaggio delle sFLC è stato introdotto dal Gennaio 2008. v.n. catene leggere libere k sieriche 3.3-19.4 mg/L; catene leggere λ sieriche 5.7-26.3 mg/L; ratio k/λ libere 0.26-1.65 Lo studio del danno cardiaco è stato eseguito mediante i seguenti test: NT-proBNP II Elecsys (N-terminal pro-brain natriuretic peptide) Test immunologico Cobas Roche per la determinazione quantitativa in vitro del precursore del peptide natriuretico di tipo B N-terminale nel siero e nel plasma 38 umani (Immunoassay in elettrochemiluminescenza “ECLIA”). v.n. Uomini < 50 aa: < 88 pg/mL; Donne < 50 aa: < 153 pg/mL; Uomini > 50 aa: < 227 pg/mL; Donne > 50 aa: < 334 pg/mL. Troponin I Elecsys Test immunologico Cobas Roche per la determinazione quantitativa in vitro della troponina I cardiaca nel siero e nel plasma umani (Immunoassay in elettrochemiluminescenza “ECLIA”). v.n. 0.00 – 0.06 ng/mL Troponin T Elecsys Test immunologico Cobas Roche per la determinazione quantitativa in vitro della troponina T cardiaca nel siero e nel plasma umani (Immunoassay in elettrochemiluminescenza “ECLIA”). v.n. 0.00 – 0.10 ng/mL La valutazione ecocardiografica è stata eseguita mediate ecocardiografo Esaote My Lab 30 CV; la risonanza magnetica nucleare cardiaca è stata eseguita mediante RMN GE Healthcare. La valutazione dei campioni ottenuti mediante l’agoaspirato del grasso periombelicale sottocutaneo o la biopsia delle ghiandole salivari minori per la ricerca di sostanza amiloide è stato eseguito mediante colorazione rosso Congo Highman e osservazione alla microscopia ottica a luce polarizzata, in grado di evidenziare la classica birifrangenza verde mela in caso di riscontro positivo. 39 4.3 Valutazione della risposta alla terapia La valutazione della risposta alla terapia, effettuata mediante misurazione dei marcatori biochimici di disfunzione d’organo e delle sFLC, segue i nuovi criteri proposti dall’International Society of Amyloidosis 2011. La risposta alla terapia deve essere valutata almeno ogni due cicli (o tre mesi dopo autotrapianto di cellule staminali). L’obiettivo della terapia è il raggiungimento della risposta completa o almeno di una risposta parziale associata a risposta d’organo. Risposta ematologica Risposta completa (CR): assenza di componenti monoclonali all’immunofissazione di siero e urine e normale rapporto / delle catene leggere libere circolanti. Risposta parziale molto buona (VGPR): differenza tra la concentrazione delle catene leggere libere circolanti amiloidogeniche e non amiloidogeniche (dFLC) <40 mg/L. Risposta parziale (PR): riduzione di dFLC >50%. Tutti gli altri pazienti si considerano non responsivi. 40 Risposta d’organo Rene Riduzione 50% della proteinuria (che deve essere almeno 0.5 g/24h prima della terapia) in assenza di comparsa o progressione di insufficienza renale (definita come una riduzione della velocità di filtrazione stimata (eGFR) ≥25 mL/min × 1.73 m2 e aumento della creatininemia di almeno 0.5 mg/dL). Cuore Riduzione di almeno due classi NYHA (in pazienti che sono in classe NYHA III o IV prima dell’inizio della terapia), riduzione 30% e ≥300 ng/L del NTproBNP (in assenza di comparsa o progressione d’insufficienza renale definita come una riduzione eGFR ≥25 mL/min × 1.73 m2 e aumento della creatininemia di almeno 0.5 mg/dL). Fegato (almeno un criterio deve essere soddisfatto) Riduzione 2 cm delle dimensioni del fegato alla TC o all’ecografia addominale, riduzione 50% della fosfatasi alcalina. Il consenso degli esperti dell’International Society of Amyloidosis è che non ci sono metodi validati per definire la risposta e la progressione dell’interessamento del sistema nervoso periferico e di quello autonomo. 41 4.4 Analisi statistica Le distribuzioni dei dati sono state verificate con il test di D'Agostino & Pearson normality test. Le differenze tra i tempi t0 e t1 sono state valutate con il Paired ttest oppure con il Wilcoxont-test a seconda della distribuzione dei dati. Le correlazioni sono state calcolate con il test parametrico di Person. Infine sono state analizzate le curve di sopravvivenza tra i tre gruppi Progressione, Risposta d'organo e non risposta mediante il Log-rank (MentelCox). La significatività dei test è stata considerata p<0.05. Per l'analisi dei dati è stato impiegato il software Graphpad 5.0. 4.5 Risultati Il paziente 1 è stato trattato in I linea con MDV (Melfalan 0.22 mg/kg p.o. gg 14, Desametasone 20 mg/die per os gg 1-4, Bortezomib 1 mg/mq ev. gg 1,4, 8, 11 per un totale di 6 cicli ogni 28 gg) mostrando una risposta ematologica completa (CR) ma un iniziale peggioramento della proteinuria nefrosica; tuttavia, la stessa si è progressivamente e spontaneamente normalizzata nel corso del follow-up giunto a 32 mesi. Il paziente 2 è stato trattato in I linea con MDex (Melfalan 0.22 mg/kg p.o. gg 1-4, Desametasone 20 mg/die per os gg 1-4 per un totale di 8 cicli ogni 28 gg) mostrando una risposta ematologica parziale (PR) associata a risposta d’organo con miglioramento del quadro cardiologico stabile al follow-up giunto a 36 mesi. 42 Il paziente 3 è stato trattato in I linea con Melfalan per os (Melfalan 0.18 mg/kg per os gg 1-4 per un totale di 3 cicli ogni 28 gg) presentando un quadro di non risposta al trattamento (NR) e conferma endoscopica della persistente localizzazione gastrica; successivamente è stato trattato con terapia di II linea con Bortezomib (1.3 mg/mq ev. gg 1, 8, 15, 22 per un totale di 6 cicli ogni 35 gg), quindi di III linea con Lenalidomide (15 mg/die per 21 gg ogni 28 gg per un totale di 5 cicli) ed attualmente di IV linea con Ciclofosfamide per os senza ottenere una risposta ematologica e d’organo, mantenendo a distanza di 36 mesi dall’esordio clinico un quadro di malattia stabile. Da sottolineare, fin dalla conclusione del trattamento di I linea, il progressivo incremento dei valori di NT-proBNP fino a valori francamente patologici ( > 1500 pg/mL), in assenza, tuttavia, di modificazioni ecocardiografiche. In considerazione della localizzazione gastrica con anamnesi positiva per sanguinamento locale con ematemesi ripetute e conseguente anemizzazione, l’utilizzo di steroidi non è stato mai associato al trattamento principale. Il paziente 4 è stato trattato in I linea con MD (Melfalan 0.18 mg/kg ridotto del 25% della D.T. per os gg 1-4, Desametasone 20 mg/die per os gg 1-4 per un totale di 3 cicli ogni 28 gg) presentando un quadro di non risposta al trattamento (NR) associato a progressivo peggioramento della funzionalità renale fino al trattamento emodialitico; successivamente è stato trattato con terapia di II linea VD (Bortezomib 1 mg/mq ev. gg 1, 4, 8, 11 e Desametasone 20 mg/die ev gg 1, 4, 8, 11 per un totale di 4 cicli ogni 21 gg) senza ottenere risposta e, quindi, è stato sottoposto a III linea con Lenalidomide (15 mg p.o. a gg alterni per un totale di 2 cicli) mostrando progressione di malattia ed exitus a 2 anni dall’esordio della patologia. 43 Il paziente 5 è stato sottoposto a terapia di I linea con VD (Bortezomib 1 mg/mq ev. gg 1, 4, 8, 11 e Desametasone 20 mg/die ev gg 1, 4, 8, 11 per un totale di 4 cicli ogni 21 gg), mostrando una risposta ematologica parziale (PR) ma grave progressione del danno d’organo cardiaco e renale fino al trattamento emodialitico con exitus sopraggiunto a 6 mesi dall’esordio della patologia. Il paziente 6 è stato trattato in I linea con CyBorD (Ciclofosfamide 300 mg/mq per os gg 1, 8, 15 e 22, Bortezomib 1.3 mg/mq gg 1, 4, 8 e 11, Desametasone 20 mg per os gg 1, 8, 15 e 22 per un totale di 2 cicli ogni 28gg) presentando un quadro di non risposta al trattamento (NR) associato a progressivo peggioramento della funzionalità cardiaca; successivamente è stato trattato con terapia di II linea RD (Lenalidomide 10 mg/die p.o. per 21 gg ogni 28 gg, Desametasone 20 mg p.o. gg 1-4) interrotta durante il primo ciclo per exitus dovuto ad arresto cardiaco giunto a 4 mesi dall’esordio della patologia. Il paziente 7 è stato trattato in I linea con CyBorD (Ciclofosfamide 300 mg/mq per os gg 1, 8, 15 e 22, Bortezomib 0.7 mg/mq gg 1, 8, 15 e 22, Desametasone 20 mg per os gg 1, 8, 15 e 22 per un totale di 3 cicli ogni 28gg) presentando un quadro di risposta parziale molto buona al trattamento (VGPR), associato, tuttavia, a progressivo peggioramento della funzionalità cardiaca fino all’exitus giunto a 4 mesi dall’esordio della patologia. Il paziente 8 è stato trattato in I linea con CyBorD (Ciclofosfamide 300 mg/mq per os gg 1, 8, 15 e 22, Bortezomib 1.3 mg/mq gg 1, 4, 8 e 11, Desametasone 40 mg per os gg 1, 8, 15 e 22 per un totale di 3 cicli ogni 28gg) presentando un quadro di risposta ematologica parziale (PR), associato, tuttavia, a progressivo peggioramento della funzionalità cardiaca e renale; successivamente è stato 44 trattato con terapia di II linea MD (Melfalan 0.18 mg/kg per os gg 1-4, Desametasone 20 mg/die per os gg 1-4 per un totale di 6 cicli ogni 28 gg) mostrando una non risposta ematologica ed un’ulteriore progressione del danno cardiaco e renale che hanno imposto un trattamento di III linea con RD (Lenalidomide 25 mg p.o. per 21 gg ogni 28 gg, Desametasone 20 mg p.o./sett. per un 1 ciclo) fino ad exitus per insufficienza cardiaca sopraggiunto a 10 mesi dall’esordio della patologia. Il paziente 9 è stato trattato in I linea con CDR (Ciclofosfamide 100 mg/mq p.o. gg 1-5, Desametasone 20 mg ev g 1, Rituximab 375 mg/mq g 1 per un totale di 6 cicli ogni 21 giorni) mostrando una risposta parziale ematologica (PR) associata a scomparsa della proteinuria stabile al follow-up giunto a 17 mesi. Il paziente 10 è stato trattato in I linea con MDV (Melfalan 0.18 mg/kg ridotto del 25% della D.T. per os gg 1-4, Desametasone 20 mg p.o. gg 1-4, Bortezomib 1 mg/mq ev. gg 1,4, 8, 11 per un totale di 8 cicli ogni 28 gg) mostrando una risposta parziale molto buona al trattamento (VGPR), associata al progressivo miglioramento della funzionalità cardiaca e renale fino a totale normalizzazione nel corso del follow-up giunto a 14 mesi dalla fine della terapia. L’età media dei pazienti era pari a 57.1 anni (range 43-75). La presentazione clinica era varia; in taluni casi il quadro clinico era dominato da sintomi aspecifici, quali il calo ponderale, l’astenia e la dispnea. In altri casi, i pazienti presentavano segni e sintomi legati alla compromissione cardiaca e/o renale, quali ipertensione o ipotensione, edemi declivi, oliguria. Le caratteristiche cliniche dei singoli pazienti sono riassunte in tabella 5.1. La diagnosi istologica di Amiloidosi AL è stata posta in 9 casi su biopsia delle 45 ghiandole salivari minori; in un caso con grave sindrome nefrosica è stato necessario ricorrere alla biopsia renale; il paziente non ha riportato complicanze peri- e post-procedurali. Dei 10 pazienti studiati, 8 erano affetti da Amiloidosi AL di tipo λ e 2 da Amiloidosi AL di tipo k; alla diagnosi 6 presentavano coinvolgimento cardiaco e renale, 3 esclusivamente cardiaco ed 1 esclusivamente renale; 3 presentavano insufficienza renale (30%) e 3 sindrome nefrosica (30%), 2 hanno necessitato del trattamento dialitico; il valore medio di creatininemia era di 1.39 mg/dL (range 0.8-2.9 mg/dL); la proteinuria media delle 24 ore era di 3.7 g/24h (range 180 mg-17.6 g/24h, 3 pz <1g/24h) (tabella 5.2); la plasmocitosi midollare era in tutti i casi primitivi inferiore al 15% della cellularità totale, mentre nelle forme secondarie era compresa tra il 50 e 60%. Il paziente con forma secondaria a linfoma a basso grado presentava una percentuale midollare di linfociti maturi del 60% (tabella 5.3). L’immunofissazione sierica ed urinaria evidenziavano la presenza di una componente monoclonale in tutti i 10 casi. Indici di funzionalità epatica e di colestasi alterati sono stati riscontrati in due pazienti, che hanno mostrato caratteristico aumento delle dimensioni del fegato all’esame ecografico. Lo studio ecocardiografico del sistema cardiovascolare ha evidenziato alterazioni di cinesi e spessore del setto interventricolare (SIV) in 8 casi; nei restanti due casi non sono stati riscontrati segni ecocardiografici di compromissione cardiaca, né rialzo di NT-proBNP e troponine (tabella 5.4). In accordo con quanto dimostrato dall’indagine ecocardiografica e dai marcatori cardiaci, lo studio di imaging eseguito mediante cardioRMN è risultato patologico in 6 casi: in 4 pazienti è stata dimostrata ipertrofia miocardica diffusa associata ad un pattern contrastografico di lento riempimento subendocardico 46 (“late enhancement”), in un caso è stata dimostrata esclusivamente ipertrofia miocardica diffusa ed in un altro caso esclusivamente un quadro di “late enhancement”. In 2 casi non è stato possibile eseguire l’esame per insufficienza renale (pazienti 4 e 10). Pz 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Sesso F M M M M M M M F M Età 60 71 75 75 43 46 61 59 71 71 Primitiva/secondaria AL lambda AL lambda AL lambda AL lambda AL lambda AL lambda AL lambda AL lambda sec. MM AL k sec. LNH AL k sec. MM Organi convolti Rene + Cuore Cuore Stomaco Rene + Cuore Cuore + Rene Cuore + Rene Cuore Rene + Cuore Rene Cuore + Rene Sintomi/segni d'esordio Astenia, edemi declivi Astenia, dispnea Astenia, melena, calo ponderale Astenia, dispnea, edemi declivi Astenia, dispnea, oliguria Astenia, dispnea, ipotensione Astenia Astenia, ipotensione Dispnea, edemi declivi Astenia, edemi declivi Tabella 5.1. Caratteristiche dei pazienti arruolati arruolatiarruolati Pz Proteinuria (mg/24h) Cr (mg/dL) 1 3600 0,87 2 370 1,2 3 180 1,1 4 17600 2,9 5 2700 1,7 6 2700 0,9 7 180 1 8 1600 1,2 9 1760 0,8 10 6500 2,3 Tabella 5.2. Compromissione renale all’esordio 47 Pz 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 CM (g/dL) 0,7 1,42 1,6 0,34 0,3 0,86 ipo-g 2,64 0,6 2,19 sFLC k - L (mg/L); ratio k 28,7 - L 139 ; 0,2 k 22,9 - L 1800 ; 0,01 k 7 - L 283 ; 0,02 k 7 - L 90 ; 0,07 k 48 - L 565 ; 0,08 k 8,9 - L 265 ; 0,03 k 4,23 - L 466 ; 0,009 k 4,11 - L 2850 ; 0,001 k 3700 - L 3,36 ; 1101 k 15700 - L 4,31 ; 3651 PL% 11 14 1 4 10 2 10 50 60 60 (linfociti) Tabella 5.3. Componente monoclonale sierica (CM), catene leggere libere monoclonali sieriche (sFLC) e plasmocitosi midollare all’esordio Pz SIV (mm) FE (%) CardioRMN NT-proBNP Trop. I Trop. T 1 9 65 late enhancement 2524 0,02 n.e. 2 17 45 ipertrofia + late enhancement 2516 0,11 0,09 3 14 65 neg. 369 0,02 0,01 4 15 50 n.e. 2081 0,03 0,01 5 22 40 ipertrofia + late enhancement 15256 0,44 0,29 6 20 48 ipertrofia + late enhancement 9356 0,07 0,04 7 20 50 ipertrofia + late enhancement 6325 0,22 0,12 8 16 60 ipertrofia 851 0,06 0,047 9 8 60 neg. 254 0,01 0,01 10 21 60 n.e. 23637 0,04 0,01 Tabella 5.4. Valutazione cardiologica strumentale e biochimica all’esordio 48 Il follow up medio dei pazienti osservati è stato di 16.2 mesi (range 1-36). La sopravvivenza globale è stata del 50% (5/10 pazienti, v. figura 5.5). La durata media di risposta al trattamento è stata di 10 mesi (range 1-36). Non sono stati riscontrati effetti collaterali e/o complicanze di rilievo durante il trattamento chemioterapico di I linea. Figura 5.5. Correlazione tra sopravvivenza e risposta al trattamento 49 Considerando globalmente le risposte ottenute, 7 pazienti su 10 hanno mostrato una risposta ematologica al trattamento di prima linea (1 CR, 2 VGPR, 4 PR): 4 hanno ottenuto una contestuale risposta d’organo duratura nel tempo (1 CR, 1 VGPR, 2 PR), mentre in 3 casi si è verificato il decesso per grave progressione del danno d’organo, principalmente cardiaco, in un tempo compreso tra 1 e 6 mesi dopo il termine della terapia, nonostante l’ottenimento della risposta ematologica (2 PR, 1 VGPR) (tabella 5.6). Le risposte d’organo osservate sono state ottenute sia in caso di coinvolgimento multiorgano (cuore e reni), sia in caso di danno esclusivamente cardiaco o renale: in tutti i casi di interessamento cardiaco il valore dell’NT-proBNP si è ridotto di oltre il 75% rispetto al valore d’esordio, con consensuale miglioramento ecocardiografico del pattern di rilasciamento cardiaco e stabilità degli spessori del SIV confermati alla cardioRMN (nessun paziente ha presentato una riduzione dello spessore del SIV); d’altro canto, in tutti i casi di interessamento renale con sindrome nefrosica con o senza riduzione del filtrato glomerulare si è ravvisata la normalizzazione sia della proteinuria sia della creatininemia entro il range fisiologico (tabelle 5.7 e 5.8). Per quanto concerne, invece, i pazienti in risposta ematologica ma con progressione del danno d’organo, va sottolineato come tutti e 3 i casi all’esordio presentassero un netto incremento dei valori di proBNP (15256, 6325 e 851 ng/mL, v.n. < 332 pg/mL), così come elevati spessori del SIV all’ecocardiografia (22, 20 e 16 mm, vn < 12 mm) e riscontro di ipertrofia diffusa e “late enhancement” alla cardioRMN, accompagnati da rapporti sFLC k/λ francamente patologici (0.08, 0.009 e 0.001 rispettivamente). Dei 3 pazienti non responsivi al trattamento di I linea, nessuno ha risposto ad un trattamento successivo (di II, III o IV linea) e due di questi hanno subito un peggioramento del danno d’organo fino al decesso, avvenuto rispettivamente 50 dopo 4 e 21 mesi; l’unico paziente vivente non responsivo alla terapia di I linea è attualmente in trattamento di IV linea con Ciclofosfamide per os in una fase di malattia stabile. Per quanto concerne le variabili in studio, correlazioni statisticamente significative sono state ritrovate all’esordio tra spessore del setto interventricolare e NT-proBNP (r2=0,711 e p=0,021), tra spessore del setto interventricolare e troponina I (r2=0,711 e p=0,048) e tra frazione di eiezione e troponina I (r2=-0,73 p=0,016); al termine della terapia di I linea si conferma esclusivamente la correlazione tra spessore del setto interventricolare e NTproBNP (r2=0,65 e p=0,041). Pz 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Risposta Ematologica CR PR NR NR PR NR VGPR PR PR VGPR Risposta d'organo Sì Sì No No Progressione Progressione Progressione Progressione Sì Sì Follow-up (mesi) 32 36 32 Deceduto (21) Deceduto (6) Deceduto (2) Deceduto (1) Deceduto (6) 17 14 Terapia di salvataggio No No VD, Len, CTX VD, RD No No No MD, RD No No Tabella 5.6 Risposta al trattamento di I linea e follow-up 51 Pz NT-proBNP NT-proBNP Proteinuria/24h Proteinuria/24h Cr Cr T0 T1 T0 T1 T0 T1 1 2524 652 3600 77 0,87 1 2 2516 592 370 75 1,2 1 3 369 715 180 250 1,1 1,1 4 2081 3882 17600 15300 2,9 3,9 5 15256 33834 2700 1800 1,7 2,1 6 9356 23648 2700 2650 0,9 0,8 7 6325 29231 180 238 1 1,1 8 851 2058 1600 3174 1,2 1 9 254 341 1760 201 0,8 0,8 10 23637 665 6500 273 2,3 1,3 Tabella 5.7. Valori di NT-proBNP, proteinuria delle 24 ore e creatininemia prima (T0) e dopo (T1) la chemioterapia Pz sFLC ratio sFLC ratio SIV SIV FE% FE% T0 T1 T0 T1 T0 T1 1 0,2 1,52 9 inv. 65 inv. 2 0,01 0,13 17 inv. 45 55 3 0,02 0,02 14 inv. 65 inv. 4 0,07 0,1 15 inv. 50 inv. 5 0,08 0,29 22 inv. 40 35 6 0,03 0,04 20 inv. 48 inv. 7 0,009 0,19 20 inv. 50 inv. 8 0,001 0,02 16 inv. 60 55 9 1101 94 8 inv. 60 65 10 3651 0,85 21 inv. 60 inv. Tabella 5.8. Valori di rapporto sFLC k/λ, setto interventricolare e frazione di eiezione misurata in ecocardiografia prima (T0) e dopo (T1) la chemioterapia 52 4.6 Discussione L’Amiloidosi AL è una patologia insidiosa e potenzialmente fatale; una diagnosi precoce ed una rapida definizione dell’estensione dei depositi di amiloide è essenziale per istaurare prontamente la terapia più corretta. In particolare, risulta cruciale la distinzione tra le forme localizzate e le forme sistemiche, che richiedono un approccio terapeutico più aggressivo, volto a ridurre la sintesi del precursore amiloidogenico mediante soppressione del sottostante clone plasmacellulare. Si rende cioè necessario, in pazienti con estesa compromissione da amiloidosi, l’utilizzo di terapie che possano portare ad un rapido recupero della funzione degli organi coinvolti. 34 Altrettanto importante risulta il monitoraggio della risposta alla terapia, al fine di individuare tempestivamente i pazienti che non rispondono e intervenire modificando di conseguenza la strategia terapeutica. Il principale strumento per la valutazione della risposta ematologica è rappresentato, al momento attuale, dalla determinazione della concentrazione delle catene leggere libere circolanti (sFLC); la misurazione dei marcatori biochimici di disfunzione cardiaca costituisce, viceversa, il più importante indice di risposta d’organo.56 Lo sviluppo e la disponibilità di nuovi farmaci per il trattamento dell’Amiloidosi AL, suggerisce l’opportunità di identificare altre molecole coinvolte nella patogenesi della malattia e di studiarne le modificazioni durante il trattamento, al fine di individuare nuovi potenziali markers di risposta alla terapia. Nel presente studio abbiamo valutato all’esordio ed al termine del trattamento chemioterapico di I linea il coinvolgimento sistemico della patologia mediante i principali marcatori biochimici e parametri ecocardiografici (sFLC, NTproBNP, troponina I, creatininemia e proteinuria, SIV e FE), ricorrendo, in aggiunta, all’imaging fornito dalla cardioRMN per identificarne l’utilità sia in fase diagnostica che prognostica. 53 Dai dati emersi dalla nostra analisi si evince come, nella maggior parte dei pazienti con coinvolgimento cardiaco (7 su 8), vi sia una rispondenza tra gli incrementati valori di NT-proBNP (marcatore più sensibile rispetto alla troponina I) e lo spessore del setto interventricolare misurato mediante ecocardiografia standard; parimenti, la cardioRMN eseguita negli stessi soggetti ha evidenziato un quadro francamente patologico, in particolare dominato dal contemporaneo riscontro di diffusa ipertrofia miocardica e lento potenziamento subendocardico dopo iniezione del mezzo di contrasto. Fa eccezione a questo discorso il paziente 1 che, a fronte di un elevato valore di NT-proBNP basale e di un pattern contrastografico alla cardioRMN di “late enhancement”, non presenta alterazioni morfofunzionali di rilievo all’ecocardiografia standard. Tuttavia la cardioRMN, seppur dimostri una discreta sensibilità nell’evidenziare alterazioni patologiche della morfologia e della funzionalità cardiache, non aggiunge maggiori informazioni dal punto di vista diagnostico e prognostico di quanto non riesca a fare l’ecocardiografia bidimensionale standard in mani esperte; inoltre, la cardioRMN presenta degli indubbi svantaggi quali la limitata accessibilità, gli elevati costi di utilizzo e, non ultima, la possibile ridotta compliance del paziente (protesi metalliche, insufficienza renale, claustrofobia, allergia al mezzo di contrasto, ecc.). Dal punto di vista biochimico, la quantità di sFLC monoclonali prodotte non sempre correla con l’entità del danno d’organo: i pazienti 5 e 6, che hanno manifestato il danno cardiaco maggiore con exitus, presentano valori di sFLC ratio più vicini al fisiologico di altri pazienti che hanno sviluppato un danno meno esteso. Inoltre, relativamente alla risposta ematologica ottenuta, la riduzione delle sFLC non sempre correla con la risposta d’organo e, di conseguenza, con la prognosi: nei casi in cui il danno d’organo all’esordio sia troppo avanzato, anche l’ottenimento di una PR o di una VGPR può non bastare 54 per evitare la progressione del danno che è sempre la principale causa dell’exitus. Di qui nasce l’importanza di iniziare tempestivamente un trattamento specifico che si basi su una corretta e precoce diagnosi. In merito alle correlazioni statisticamente significative rinvenute nel presente studio, si evince come i marcatori biochimici di danno cardiaco, principalmente NT-proBNP e troponina I, siano ottimi surrogati dell’imaging ecocardiografico tanto all’esordio quanto al follow up, soprattutto per la notevole corrispondenza rinvenuta con lo spessore del setto interventricolare (ed in parte con la frazione di eiezione) che rappresenta uno degli elementi morfologici con maggior valenza prognostica. D’altro canto, non è stato possibile riscontrare una correlazione netta tra i valori di sFLC ed i marcatori biochimici del danno d’organo, sia esso cardiaco o renale, probabilmente per l’eterogeneità delle variabili in gioco e per i molteplici quadri clinici di presentazione della patologia. Inoltre, un ulteriore aspetto che potrebbe essere determinante in questo senso è la latenza con cui la risposta d’organo si presenta, in media dopo mesi, rispetto alla comparsa della risposta ematologica: questo spiega quello che accade a quei pazienti che, nonostante una chiara risposta ematologica, presentino una lenta ed inesorabile progressione del danno d’organo sino all’exitus. Dal punto di vista terapeutico, le migliori risposte ematologiche sono state ottenute in 2 casi dallo schema MDV (Melfalan, Desametasone e Bortezomib) e in un altro caso dallo schema CyBorD (Ciclofosfamide, Bortezomib e Desametasone), ma solamente la prima associazione ha consentito il raggiungimento della risposta d’organo. Tuttavia, in considerazione dell’esiguità e dell’eterogeneità del campione in studio, non è possibile stabilire quale sia il trattamento di I linea più efficace. Indubbiamente è possibile sottolineare 55 l’importanza dell’efficacia del trattamento di I linea, fallito il quale nessun altra terapia di salvataggio si è dimostrata in grado di raggiungere la risposta ematologica, con conseguente progressione del danno d’organo. 4.7 Conclusioni Alla luce dei risultati presentati in questo studio emerge come l’amiloidosi AL sia una patologia estremamente complessa, non soltanto dal punto di vista diagnostico per l’estrema variabilità di presentazione clinica, ma anche dal punto di vista strettamente biologico per la difficoltà di interpretazione dei vari marcatori ad oggi disponibili, sia all’esordio della malattia che nella sua valutazione in corso di terapia. Ciò che più chiaramente è emerso è la correlazione tra i marcatori bioumorali di danno cardiaco e l’indagine strumentale ecocardiografica, sia alla diagnosi che al controllo al termine della terapia di I linea: i valori sierici di NT-proBNP e troponina I correlano in maniera significativa soprattutto con il valore dello spessore del SIV ed in maniera minore con la frazione di eiezione, a significare un’estrema sensibilità dei due marcatori di predire il danno d’organo. Lo stesso, purtroppo, non può ancora dirsi per il dosaggio sierico delle catene leggere libere monoclonali (sFLC): non è stato, infatti, possibile dimostrare una correlazione significativa tra il loro andamento e quello del danno d’organo valutato con gli specifici marcatori, sia esso cardiaco o renale; ancor di più, non sembra esservi una chiara relazione tra la quantità di sFLC prodotte e l’entità del danno d’organo riscontrato. Per quanto riguarda l’utilizzo della cardioRMN, essa rappresenta indubbiamente 56 un valido strumento di conferma del danno cardiaco, soprattutto in quei pazienti con sospetto di amiloidosi sistemica che si presentino con un quadro ecocardiografico di cardiomiopatia restrittiva, ma riduce la sua validità in fase diagnostica e prognostica rispetto all’ecocardiografia stessa per una serie di evidenti limitazioni intrinseche: accessibilità, costi, compliance del paziente. Entrambe le metodiche strumentali di valutazione del danno cardiaco, tuttavia, possono non risultare di aiuto in quei pazienti con compromissione iniziale: è lì, invece, che i marcatori biologici quali NT-proBNP e troponina I e T risultano fondamentali nel contribuire ad una diagnosi precoce di amiloidosi. Meritano un cenno per il loro fondamentale ruolo nella diagnosi precoce, tanto all’esordio quanto alla recidiva, le catene leggere monoclonali sieriche libere (sFLC) che, nonostante nel presente studio non abbiano mostrato correlazioni significative con gli altri biomarker di danno d’organo, rappresentano il principale marcatore-guida del trattamento chemioterapico di questa patologia, la cui importanza si evince dalla centralità che ricoprono all’interno dei criteri internazionali di risposta alla terapia correntemente utilizzati. In considerazione di quanto descritto, si rende necessario nel prossimo futuro il ricorso a biomarcatori sempre più sensibili e specifici della compromissione d’organo, quali ad esempio MCP-1 e VEGF, al fine di rendere questa patologia sempre meno misconosciuta e potenzialmente curabile. 57 Bibliografia 1. Merlini G, Bellotti V. Molecular Mechanisms of Amyloidosis. The New England Journal of Medicine 2003; 349:583-596. 2. Cotran, Kumar, Collins. Robbins. 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