1. Le Amilodosi
1.1. Definizione e Classificazione
Le Amiloidosi sono un gruppo di patologie caratterizzate da un’alterata
conformazione di proteine autologhe o loro frammenti, le quali aggregano in
fibrille e si depositano a livello extracellulare in vari organi e tessuti
dell’organismo.1-4
Il termine amiloide fu coniato dal patologo Virchow, nel 1854, per descrivere i
depositi, rilevati su tessuti autoptici, di una sostanza che erroneamente egli
identificò con l’amido o la cellulosa, in base al colore assunto dopo colorazione
con acido solforico e iodio.2,3 In realtà, l’amiloide deriva dall’assemblarsi di
precursori proteici anomali che assumono una struttura secondaria a foglietto β
ripiegato e formano depositi fibrillari in associazione con altre sostanze di natura
non proteica. A seconda della natura biochimica del precursore della proteina
amiloide, le fibrille si possono depositare localmente o possono coinvolgere a
livello sistemico virtualmente ogni organo. 2-4
Nel passato le Amiloidosi sono state classificate in due grandi gruppi, costituiti,
appunto, dalle Amiloidosi sistemiche e dall’Amiloidosi localizzata; tali gruppi
comprendevano, tuttavia, forme eterogenee dal punto di vista biochimico ed
eziopatogenetico. Una migliore comprensione della complessità chimica delle
fibrille di amiloide ha determinato, negli ultimi decenni, la necessità di adottare
un sistema di
nomenclatura chiaro e uniformemente riconosciuto, in cui la
classificazione delle Amiloidosi si fondasse sulla natura biochimica delle
proteine formanti le fibrille. 5
Le linee guida per la nomenclatura e la classificazione dell’amiloide e delle
Amiloidosi sono state aggiornate nel 2010 da parte del Nomenclature Committee
of the International Society of Amyloidosis. 5 Ad oggi, sono state identificati
1
almeno 27 tipi di Amiloidosi, sulla base delle diverse proteine in grado di
formare fibrille di amiloide in vivo (Tabella 1.1). In accordo con tale
classificazione, la proteina amiloide è designata con la lettera A maiuscola,
seguita da un suffisso che specifica la natura della sostanza proteica. Ad esempio,
la sigla
AL indica
l’Amiloidosi causata dalle
catene
leggere delle
immunoglobuline.
1.2. Struttura, biochimica ed eziopatogenesi dell’Amiloide
Al microscopio ottico, con colorazioni standard, l’amiloide appare come una
sostanza amorfa, eosinofila e ialina, a deposizione extracellulare. I depositi di
amiloide si colorano in rosa con l’ematossilina-eosina e mostrano metacromasia
con la colorazione al cristal-violetto. La colorazione rosso Congo conferisce una
caratteristica birifrangenza verde quando le sezioni colorate vengono osservate al
microscopio a luce polarizzata. 2
Al microscopio elettronico, l’amiloide appare in gran parte formata da fibrille
sottili, rigide, non ramificate, di lunghezza indefinita e con un diametro
approssimativo di 7,5-10 nm. La cristallografia a raggi X e la spettroscopia
all’infrarosso dimostrano una conformazione caratteristica a β-foglietti incrociati.
Tale conformazione, indipendente dalla composizione chimica dell’amiloide, è
responsabile della particolare colorazione e birifrangenza alla colorazione rosso
Congo.6,7
Oltre alle proteine fibrillari (95%), nell’amiloide sono sempre presenti altri
componenti minori (5%), quali la componente P dell’amiloide, proteoglicani e
glicosaminoglicani ad alto grado di solfatazione. Queste sostanze di natura non
proteica sono probabilmente derivate dal tessuto connettivo in cui l’amiloide si è
depositata. Tutti i depositi di amiloide contengono un’identica componente non
2
fibrillare, la pentraxina o amiloide sierica P (serum amyloid P, SAP), una
glicoproteina che mostra omologia strutturale con la proteina C reattiva ed
elevata affinità per le fibrille di amiloide, facilitandone quindi la deposizione
tissutale.1,8
Tra le numerose forme biochimicamente distinte di proteine dell’amiloide,
alcune sono più comuni; i quadri patologici associati sono trattati di seguito.
3
Proteina Amiloide
Aβ2M
Precursore
proteico
Catene leggere delle
immunoglobuline
Catene pesanti delle
immunoglobuline
β2-microglobulina
ATTR
Transtiretina
AA
AApoA-I
Amiloide sierica AA
(apoSAA)
Apolipoproteina AI
AApoA-II
AApoA-IV
Apolipoproteina AII
Apolipoproteina AIV
AGel
ALys
AFib
Gelsolina
Lisozima
Catena α del
fibrinogeno
Cistatina C
ABriPP
Fattore chemiotattico
leucociti 2
ADanPP
S
S
S
Aβ
Precursore della
proteina Aβ (AβPP)
L
AprP
Proteina prionica
L
ACal
(Pro)calcitonina
L
AIAPP
Polipeptide amiloide
isole pancreatiche
Fattore natriuretico
atriale
Prolattina
L
Insulina
Lactaderina
Cheratoepitelina
Lattoferrina
Proteina odontogena
associata ad
ameloblasto
Seminogelina I
L
L
L
L
L
Invecchiamento
ipofisi, prolattinoma
Iatrogena
Senile, aorta
Cornea, familiare
Cornea
Tumori odontogeni
L
Vescicole seminali
AL
AH
ACys
ABri
ALect2
ADan
AANF
Apro
AIns
AMed
AKer
ALac
Aoaap
ASemI
Forma sistemica (S)
o localizzata (L)
S,L
S,L
S
L?
S
L?
S
S
L
S
S
S
S
S
L
L
L
Sindrome o tessuto
coinvolto
Primaria, associata a
Mieloma Multiplo
Primaria, associata a
Mieloma Multiplo
Emodialisi cronica
Articolazioni
Sistemica senile,
familiare
Tenosinovite
Secondaria, reattiva
Familiare
Aorta, menisco
Familiare
Sporadica,
invecchiamento
Familiare (finlandese)
Familiare
Familiare
Familiare
Demenza familiare
Prevalentemente
Rene
Demenza familiare
(Danese)
Malattia di
Alzheimer,
invecchiamento
Encefalopatia
spongiforme
Tumori cellule C
tiroidee
Isole di Langerhans,
insulinoma
Atri cardiaci
Tabella 1.1
4
Amiloidosi AL
La forma più comune (incidenza di 8-10 casi per 1.000.000 di abitanti per anno)
di Amiloidosi sistemica riscontrata nella pratica clinica è l’Amiloidosi da catene
leggere (light chain amyloidosis o AL), denominata anche Amiloidosi idiopatica
primitiva o associata a Mieloma Multiplo.9-11 La proteina AL può essere
costituita da catene leggere immunoglobuliniche intere, dal loro frammento NH2terminale o da entrambi. La maggior parte delle proteine AL analizzate è
costituita da catene leggere di tipo λ (in particolare del tipo λ VI) o dai loro
frammenti, ma in alcuni casi sono state identificate anche catene di tipo κ. Meno
del 20% dei pazienti con Amiloidosi AL ha un Mieloma Multiplo e i restanti
pazienti sono affetti da altre gammopatie monoclonali; viceversa, circa il 15-20%
dei pazienti affetti da Mieloma presenta anche Amiloidosi. Gli aspetti
fisiopatologici e clinici di tale patologia saranno approfonditi più avanti nel corso
di questa trattazione.
Amiloidosi AA
L’Amiloidosi AA (secondaria, reattiva o acquisita) si verifica più frequentemente
come complicanza di una malattia infiammatoria cronica. 12 Nei Paesi occidentali
l’efficace trattamento delle patologie infiammatorie ne ha ridotto notevolmente
l’incidenza. Raramente l’amiloidosi AA si manifesta in alcuni gruppi di pazienti
con febbre mediterranea familiare (familial mediterranean fever, FMF) e febbre
irlandese familiare (familial hibernian fever, FHF). Durante l’infiammazione,
citochine pro infiammatorie come l’interleuchina (IL)1, la IL6 e il fattore di
necrosi tumorale (TNF), stimolano la sintesi epatica di amiloide sierica A (serum
amyloid associated, SSA), una proteina della fase acuta che fa parte di un
complesso lipoproteico ad alta densità (HDL3). L’amiloidosi AA mostra una
5
predilezione per la milza, il fegato, i reni, i surreni e i linfonodi; tuttavia, nessun
apparato viene risparmiato e l’interessamento vascolare può essere ampiamente
diffuso, anche se un coinvolgimento cardiaco clinicamente significativo è raro.
Amiloidosi eredofamiliari
Le amiloidosi eredofamiliari, diverse dalla forma AA associata a FMF e FHF,
coinvolgono primariamente il sistema nervoso centrale e la loro ereditarietà è
autosomica dominante. Le polineuropatie amiloidosiche familiari (familial
amyloid polineuropathies, FAP) colpiscono soprattutto famiglie portoghesi,
giapponesi, svedesi, finlandesi e greche. 6,13 Le FAP differiscono per la
sintomatologia clinica e per la natura biochimica delle fibrille, che possono
contenere mutanti della transtiretina (TTR), dell’apolipoproteina AI, della
gelsolina, della cistatina C e, occasionalmente della catena α del fibrinogeno A o
del lisozima. La forma più comune di FAP è l’Amiloidosi ATTR, una neuropatia
periferica ed autonomica descritta per la prima volta in Portogallo. La
transtiretina, originariamente descritta come prealbumina, è una proteina che
trasporta nel sangue la tiroxina e la proteina legante il retinolo. Le forme mutate,
amiloidogeniche di TTR, differiscono dalla controparte normale per una singola
sostituzione aminoacidica e si depositano, oltre che al sistema nervoso periferico
e vegetativo, anche a livello cardiovascolare e renale.
6
Amiloidosi Aβ2M
In presenza di malattie renali che richiedano emodialisi a lungo termine, può
svilupparsi una forma di amiloidosi con serie complicanze ossee ed articolari. 4
La β2microglobulina è presente ad alta concentrazione nel siero di pazienti
nefrologici perché non viene filtrata attraverso le membrane da dialisi. Nella
patogenesi dell’Amiloidosi Aβ2M sembra essere implicata la produzione di
prodotti finali della β2microglobulina fortemente glicosilati.2
Amiloidosi Aβ
La proteina amiloide β (Aβ) rappresenta il principale componente delle fibrille
nei depositi di amiloide dei vasi cerebrali e nel nucleo delle placche neuritiche
dei pazienti con malattia di Alzheimer. Essa deriva da una glicoproteina
transmembrana più grande, nota come proteina precursore dell’amiloide β
(amyloid β-precursor protein, AβPP). Forme familiari di malattia di Alzheimer si
associano a mutazioni di AβPP o a mutazioni di geni che codificano per le
proteine preseniline.2,4
7
2. L’ Amilodosi AL
2.1. Fisiopatologia
L’Amiloidosi a catene leggere delle immunoglobuline (AL) è una patologia
caratterizzata da una popolazione clonale di plasmacellule del midollo osseo che
produce catene leggere monoclonali di tipo κ o λ, come molecole intere o come
loro frammenti. Le catene leggere dei pazienti con Amiloidosi AL presentano
un’anomala sequenza aminoacidica e dunque un’anomala struttura terziaria che
favorisce la conformazione caratteristica a β-foglietti incrociati e la deposizione
tissutale.1,3,11 Sostituzioni atipiche a livello di residui aminoacidici critici possono
compromettere la stabilità delle catene leggere le quali, piuttosto che assumere la
normale configurazione ad α elica, vanno incontro ad un folding alterato (Figura
2.1).
Figura 2.1 Formazione delle fibrille di Amiloide (da Merlini et al. NEJM 2003)
8
I polipeptidi parzialmente o scorrettamente ripiegati possono generare molecole
modificate che tendono ad autoaggregarsi e che, in determinate condizioni
ambientali, danno origine ai protomeri fibrillari. Tali forme intermedie
aggregano tra loro rispettando il principio di minima energia libera del sistema,
originando, in presenza di sostanze tissutali di natura non proteica, i depositi di
amiloide. Oligomeri o protofibrille possono, inoltre, mediare tossicità cellulare
attraverso un meccanismo che attiva l'apoptosi cellulare nei tessuti bersaglio. 1
Nella maggioranza dei pazienti affetti da Amiloidosi AL si riscontrano catene
leggere libere monoclonali e un clone di plasmacellule midollari di modeste
dimensioni, con una percentuale media di infiltrato plasmacellulare del 7%. I
livelli della proteina monoclonale e delle plasmacellule midollari non tendono ad
aumentare con il tempo, a differenza di quanto avviene nel Mieloma Multiplo
(MM). I tre quarti delle catene leggere amiloidogeniche sono di isotipo λ ed i due
geni Vλ, 6a e 3r, contribuiscono alla codificazione del 42% delle catene leggere
amiloidogeniche.14
Le
catene
leggere
della
famiglia
λ VI sono
quasi
invariabilmente associate con amiloidosi.15 Caratteristiche peculiari delle catene
leggere amiloidogeniche sono, almeno in parte, responsabili del tropismo
d'organo dei depositi d'amiloide. In letteratura è stato osservato che pazienti con
cloni derivati dai geni Vλ VI 6a hanno un prevalente coinvolgimento renale,
mentre quelli con cloni derivati dai geni Vλ 1c, 2a2, e 3R presentano una
malattia multisistemica con interessamento cardiaco; pazienti con cloni Vκ
hanno, infine, più probabilità di avere un’amiloidosi a localizzazione epatica.16,17
Le ragioni per le quali l’Amiloidosi AL presenti questo tipico tropismo d’organo
rimangono, tuttavia, in gran parte sconosciute.
La popolazione clonale che dà origine all’Amiloidosi AL e quella del MM
differiscono per quanto riguarda l’espressione dei geni delle regioni variabili
delle catene leggere delle immunoglobuline, ma sono molto simili dal punto di
vista citogenetico. Le anomalie citogenetiche più comuni sono rappresentate
dalle aneuploidie, quali le trisomie dei cromosomi 7, 9, 11, 15 e 18, e dalle
9
traslocazioni
del
cromosoma
14
(gene
delle
catene
pesanti
delle
immunoglobuline).3,11
Figura 2.2 Sindromi e sintomi di presentazione dell’amiloidosi in due centri di riferimento. (A) Organo
prevalentemente coinvolto all’esordio. (B) Sintomi all’esordio. (da Dispenzieri et al. Biol Blood
Marrow Transplant 2008)
10
2.2. Manifestazioni cliniche
Lo spettro di presentazioni cliniche dell’Amiloidosi AL è ampio, perché si tratta
di una malattia sistemica che può colpire qualsiasi organo al di fuori del sistema
nervoso centrale.18,19 Come si evidenzia in uno studio del 2008 che unisce
l’esperienza clinica di due grossi centri di riferimento per l’amiloidosi, uno
italiano (Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche di Pavia),
l’altro statunitense (Divisione di Ematologia della Mayo Clinic, Minnesota), gli
organi più frequentemente coinvolti sono il rene e cuore, seguiti dal fegato e dal
sistema nervoso periferico (Figura 2.2 A). Il coinvolgimento polmonare,
linfonodale e muscolare è anche possibile, ma è meno comune e più difficile da
documentare. Le manifestazioni cliniche all’esordio sono aspecifiche e includono
sintomi quali l’astenia, la dispnea, l’edema, le parestesie, l’ipotensione
ortostatica e la perdita di peso (Figura 2.2 B). Quadri clinici altamente specifici
quali la porpora periorbitale, la “spalla imbottita” e la macroglossia sono
patognomonici, ma si riscontrano in una minoranza dei casi (dal 10% al 15% dei
pazienti all’esordio), risultando dunque inadeguati per effettuare una diagnosi
tempestiva. Le principali caratteristiche cliniche di 645 pazienti con Amiloidosi
AL riferiti al Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche di Pavia
sono riportate in tabella (Tabella 2.1).
I dati presentati dalla Mayo Clinic in 30 anni di attività clinico-scientifica nel
campo delle amiloidosi sono in linea con quanto osservato dal centro italiano e
mostrano una netta predominanza dell’Amiloidosi AL nella popolazione
maschile (67%) con un’età mediana alla diagnosi di 67 anni. Da rilevare che,
mentre nella popolazione italiana l’organo maggiormente interessato dalla
deposizione di amiloide AL è il rene (50%), nella popolazione statunitense
prevale il coinvolgimento cardiaco, il che comporta alcune differenze nei sintomi
d’esordio nei due gruppi di pazienti.
11
Tabella 2.1 Caratteristiche cliniche di 645 pazienti con amiloidosi AL (Centro per lo Studio e la Cura
delle Amiloidosi Sistemiche, IRCCS S. Matteo di Pavia)
*SNP=sistema nervoso periferico; °SNA=sistema nervoso autonomo.
Coinvolgimento renale
La sindrome nefrosica è la manifestazione precoce più importante. Negli stadi
iniziali può essere rilevata soltanto una lieve proteinuria, ma con il tempo si
sviluppa un caratteristico complesso sintomatologico con stato anasarcatico,
ipoprotidemia, proteinuria massiva e ipotensione. In gran parte dei pazienti la
proteinuria è pari o superiore a 150 mg nelle 24 ore. Di solito, il danno renale
non è reversibile ed evolve con progressiva iperazotemia fino all’exitus. Il tempo
medio intercorrente tra la diagnosi di sindrome nefrosica e l’indicazione al
trattamento dialitico è di 14 mesi; dall’inizio della dialisi la sopravvivenza
mediana è di 8 mesi. La morte sopraggiunge, generalmente, per complicanze
extrarenali, quali lo scompenso cardiaco e le aritmie, spesso dovute ad un
successivo interessamento cardiaco da amiloidosi AL. 3,4,11
12
Coinvolgimento cardiaco
Nell’amiloidosi AL le manifestazioni cardiache sono rappresentate soprattutto da
insufficienza cardiaca congestizia, cardiomegalia e da varie aritmie. Tali
manifestazioni sono per lo più conseguenti all’amiloidosi miocardica diffusa;
tuttavia, possono essere coinvolti dalla deposizione di amiloide anche
l’endocardio, le valvole e il pericardio. All’esordio i pazienti spesso presentano
sintomi da disfunzione delle sezioni destre del cuore, quali la dispnea da sforzo,
l’epatopatia congestizia e gli edemi declivi; in questa fase, la funzionalità delle
sezioni sinistre è conservata, nonostante sia già visibile l’ispessimento
ventricolare. Con l’avanzare della malattia, le pareti cardiache si ispessiscono
notevolmente (spessore > 15mm), la compliance si riduce ed insorge una
cardiomiopatia restrittiva che può esitare in uno scompenso cardiaco franco.
Altre manifestazioni sono rappresentate dalla bradicardia e dalla sincope postminzionale, dai disturbi di conduzione e da altre aritmie; poiché la trombosi
atriale può verificarsi anche in corso di ritmo sinusale, l’insorgere di fibrillazione
atriale si associa con un alto rischio di trombo-embolismo.
Le anomalie elettrocardiografiche rilevabili includono un complesso QRS a
basso voltaggio, deviazione assiale sinistra con un pattern pseudoinfartuale e
alterazioni della conduzione atrioventricolare e intraventricolare, che spesso
danno luogo a blocchi di vario grado.
Lo strumento diagnostico più importante è l’ecocardiogramma, che mostra un
ispessimento asimmetrico della parete del ventricolo sinistro, con ipocinesia e
minore contrattilità in fase sistolica ed ispessimento del setto interventricolare e
della parete ventricolare posteriore in diastole; le cavità ventricolari sinistre,
invece, sono di dimensioni normali ed è possibile rilevare un quadro diffuso di
“granuli brillanti” iper-rifrangenti. 3,4,11
13
Coinvolgimento epatico
Il coinvolgimento epatico è piuttosto comune, ma le anomalie della funzionalità
epatica sono minime e si verificano solo in uno stadio avanzato della malattia.
Comune è l’epatomegalia, raramente associata ad ittero ed ipertensione portale.
L’interessamento del fegato si verifica più spesso in presenza di sindrome
nefrosica e di scompenso cardiaco congestizio. 3,4,11
Coinvolgimento gastrointestinale
Sintomi gastroenterici sono di comune riscontro in tutte le forme sistemiche di
amiloidosi; essi possono dipendere da un coinvolgimento diretto del tratto
gastrointestinale oppure dall’infiltrazione del sistema nervoso autonomo da parte
dell’amiloide.
I
sintomi
sono
rappresentati
da
ostruzione,
perforazione,ulcerazioni, emorragie, malassorbimento, perdite proteiche e
diarrea. L’infiltrazione della lingua, tipica dell’amiloidosi AL, può in taluni casi
condurre alla macroglossia. 3,4,11
Neuropatia periferica ed autonomica
In circa il 15-20% dei casi si riscontra neuropatia periferica. I pazienti
presentano, comunemente, una neuropatia sensitiva simmetrica ad andamento
disto-prossimale con disestesia che interessa dapprima gli arti inferiori e
successivamente può estendersi agli arti superiori. Anche la disfunzione
autonomica è di comune riscontro, determinando sintomi quali ipotensione
ortostatica, impotenza, disgeusia, nausea, costipazione o diarrea cronica. Un
quadro di ipotensione posturale importante, non associata a tachicardia, può
presentarsi in caso di disautonomia cardiaca, poiché il cuore non riesce a fornire
14
un’appropriata risposta di compenso all’abbassarsi della pressione arteriosa. 3,4,11
Coinvolgimento cutaneo
L’interessamento della cute è una delle manifestazioni più caratteristiche
dell’amiloidosi AL. Le lesioni sono costituite da papule o placche leggermente
rilevate, di aspetto cereo, che sono in genere raggruppate nel cavo ascellare o
inguinale, nella regione anale, sul volto, sul collo e su aree mucose come
l’orecchio e la lingua. Le ecchimosi periorbitali (“sindrome degli occhi neri” o
“sindrome del procione”) sono patognomoniche e si rilevano in circa un quinto
dei casi. 3,4
Coinvolgimento osteomuscolare
L’amiloide può coinvolgere direttamente le strutture articolari infiltrando la
membrana sinoviale, il liquido sinoviale o la cartilagine articolare. L’artrite
amiloidosica può simulare varie malattie reumatiche, in quanto si può presentare
come un’artrite simmetrica delle piccole articolazioni, con noduli, rigidità
mattutina e affaticamento. L’infiltrazione muscolare di amiloide può determinare
una pseudo miopatia; in particolare, l’infiltrazione della muscolatura della spalla
può causare la sindrome della “spalla imbottita”. 3,4
Coinvolgimento respiratorio
Depositi di amiloide possono essere presenti a livello dei seni paranasali, della
laringe e della trachea, con ostacolo al flusso aereo. A livello polmonare,
l’amiloidosi coinvolge in modo diffuso i bronchi e i setti alveolari, potendo così
simulare una neoplasia.4,11
15
Coagulopatia
Le emorragie rappresentano una grave complicanza dell’amiloidosi. L’aumentata
tendenza al sanguinamento riconosce diverse cause: disfunzione piastrinica,
iperfibrinolisi con ipofibrinogenemia e deficit di fattori della coagulazione; in
particolare, ben riconosciuto è il deficit di fattore X. Ad ogni modo, la
manifestazione emorragica che più comunemente si osserva è rappresentata dalla
porpora, dovuta alla fragilità dei vasi ematici infiltrati di amiloide. 4,11,20
16
2.3. Diagnosi Clinica e di Laboratorio
La diagnosi di Amiloidosi AL è particolarmente complessa in quanto, a fronte di
una presentazione clinica variabile e spesso subdola, non esistono tecniche di
imaging, né esami di laboratorio su campioni ematici ed urinari che siano
diagnostici per questa patologia.21 La diagnosi di Amiloidosi AL dovrebbe essere
sospettata in ogni paziente con sindrome nefrosica non diabetica, con ipertrofia
del ventricolo sinistro all'ecocardiografia, con epatomegalia associata ad aumento
degli indici di colestasi in assenza di alterazioni morfologiche all'ecografia o alla
TC, con polineuropatia, nonché quando si riscontri la presenza di una
gammopatia monoclonale in un paziente con inspiegabile astenia, edema, perdita
di peso o parestesie.22 Uno screening appropriato di un paziente con una sindrome
clinica compatibile con amiloidosi AL dovrebbe includere l’elettroforesi
sieroproteica, l’immunofissazione del siero e delle urine, la misurazione delle
catene leggere libere circolanti
23-25
come pure la dimostrazione di un eventuale
clone plasmacellulare amiloidogeno mediante esame citologico e/o istologico
midollare.
Se il paziente ha una sindrome clinica compatibile con l’amiloidosi e si riscontra
la
presenza
di
una
componente
monoclonale
sierica
e/o
urinaria
all’immunofissazione e/o un rapporto alterato alla determinazione delle catene
leggere libere circolanti, l’esame bioptico è comunque necessario per stabilire la
diagnosi.
2.3.1. Indagini di laboratorio
Le indagini di laboratorio mirano alla dimostrazione, tipizzazione e dosaggio
della componente monoclonale. Va considerato, tuttavia, che in patologie quali
l’Amiloidosi AL e la malattia da deposito di catene leggere (light chain
17
deposition disease, LCDD), il clone plasmacellulare è esiguo e basso è il titolo di
proteina monoclonale presente nel siero. Per tale motivo, l’elettroforesi
sieroproteica risulta negativa nel 5-20% dei pazienti con amiloidosi AL o
comunque può mostrare quadri diversi dal tipico spike monoclonale; di riscontro
piuttosto comune è il pattern nefrosico, con bassi livelli di albumina e γglobuline
e alti livelli di α2globuline.24 Nello screening di un paziente con sospetta
amiloidosi è indispensabile procedere all’immunofissazione sierica; essa
generalmente rivela la presenza di immunoglobuline policlonali nella frazione γ
e di una proteina monoclonale di piccola entità che migra in regione β/γ.
Tenendo conto che in circa il 25% dei pazienti non si rilevano catene leggere nel
siero
mediante
immunofissazione,
è
sempre
necessario
associare
l’immunofissazione urinaria. Mediante tale metodo, le catene leggere
monoclonali si riscontrano nel 90% dei pazienti; tale percentuale sale al 99% con
l’impiego dei test nefelometrici per le catene leggere libere del siero (serum Free
Light Chain, sFLC).11 Il dosaggio delle sFLC ha assunto una crescente
importanza nella pratica clinica: agli inizi del decennio scorso è stato introdotto
un nuovo metodo automatizzato che permette di quantificare le catene leggere
libere κ e λ (catene leggere non legate alle immunoglobuline complete) secrete
dalle plasmacellule. Esso prevede l’utilizzo di anticorpi diretti verso gli epitopi
nascosti delle sFLC, localizzati in corrispondenza dell’interfaccia tra le catene
leggere e quelle pesanti dell’immunoglobulina completa. Un rapporto κ/λ alterato
(range normale 0.26-1.65) alla determinazione delle catene leggere libere
circolanti indica l’eccesso di una catena rispetto all’altra e viene interpretato
come un indice di espansione clonale in base a test eseguiti su volontari sani,
pazienti affetti da mieloma multiplo, LCDD ed amiloidosi. 23
Tale metodica, oltre ad avere una maggiore sensibilità rispetto all’elettroforesi e
all’immunofissazione, permette una quantificazione delle catene leggere libere
circolanti; i risultati numerici correlano con la quota di sostanza amiloide
prodotta e sono predittivi della prognosi. 26 Nel corso della malattia, inoltre, il
18
dosaggio delle sFLC rappresenta un valido strumento per il monitoraggio dei
pazienti: grazie alla breve emivita, esso risulta particolarmente rapido e utile
nella valutazione della risposta precoce al trattamento e nell’identificazione della
recidiva di malattia.24,27
Infine, in circa l'85% dei pazienti con amiloidosi AL, la biopsia osteomidollare
permette di rilevare una popolazione monoclonale di plasmacellule. A tal fine
sono utilizzati test di immunofluorescenza con antisieri anti CD138, anti κ ed
anti λ; contestualmente, la colorazione con Rosso Congo può mostrare eventuali
depositi di amiloide.
2.3.2. Diagnosi istologica
La diagnosi di amiloidosi viene posta esclusivamente mediante reperto bioptico
in cui si mettono in evidenza i depositi fibrillari che emettono la classica
birifrangenza verde mela all’osservazione in luce polarizzata dopo colorazione
con Rosso Congo. La biopsia dell'organo clinicamente coinvolto è generalmente
non necessaria. La biopsia renale, endomiocardica ed epatica sono costose,
invasive e gravate da un elevato rischio emorragico. L’indagine più utilizzata in
prima battuta è costituita dall’agoaspirato di grasso periombelicale, che ha
buona sensibilità (82%) e specificità (94%). Controindicazioni alla procedura
sono la presenza di importanti ernie ombelicali o diastasi dei retti addominali. Se
il grasso periombelicale è controindicato o non diagnostico, la presenza di un
quadro clinico suggestivo rende necessaria l’estensione dell’indagine bioptica ad
altri tessuti. La biopsia delle ghiandole salivari minori è un esame semplice,
sicuro e privo di controindicazioni; tale esame ha dimostrato una sensibilità del
58% in pazienti con amiloidosi sistemica e agoaspirato di grasso periombelicale
negativo. Se anche la biopsia delle ghiandole salivari minori è negativa e se il
sospetto diagnostico persiste, dopo aver considerato il rischio emorragico relativo
del paziente, è indicato procedere alla biopsia dell’organo coinvolto. 7,29
19
Per il completamento della diagnosi è indispensabile, inoltre, la tipizzazione dei
depositi di amiloide: l'identificazione della proteina amiloidogenica evita una
diagnosi scorretta ed un trattamento inappropriato. 28 La caratterizzazione
ultrastrutturale delle fibrille di amiloide può essere effettuata mediante
immunoistochimica in microscopia elettronica con l’impiego di anticorpi diretti
contro le diverse proteine amiloidogeniche oppure, in casi particolarmente
complessi, mediante tecniche di proteomica. 29
Se la diagnosi di amiloidosi sistemica a catene leggere è confermata, dopo gli
esami bioptici la prognosi dovrebbe comunque essere valutata attraverso un
pannello di indagini che includa:
 Immunofissazione sierica e urinaria
 Dosaggio delle catene leggere libere circolanti
 Proteinuria delle 24 ore
 Dosaggio delle immunoglobuline
 Emocromo, dosaggio della creatinina e della fosfatasi alcalina
 Biopsia osteomidollare
 Dosaggio dei marcatori cardiaci NT-proBNP (porzione N-terminale del propeptide natriuretico di tipo B) e troponina (cTn) I o T. 7
2.4. Prognosi
La prognosi dell’Amiloidosi AL è infausta, in particolar modo quando essa si
presenta a seguito di Mieloma Multiplo o in associazione con danno d’organo.
20
In pazienti con amiloidosi cardiaca sintomatica non trattati o non rispondenti, la
sopravvivenza mediana riportata dalle casistiche è di circa 6 mesi. 10,30
Nell'Amiloidosi AL l'andamento clinico è in larga misura dipendente dalla
presenza e dall'entità del coinvolgimento cardiaco al momento della diagnosi.
La valutazione di tale coinvolgimento si è evoluta nel corso degli ultimi tre
decenni.7 Inizialmente, erano presi in considerazione parametri puramente di tipo
clinico, quali la presenza di insufficienza cardiaca, di cardiomegalia o di
versamento pleurico; successivamente la valutazione clinica è stata soppiantata
dall’ecocardiografia. Reperti come l’ispessimento parietale, la presenza di
granuli iperriflettenti, le anomalie del rilascio diastolico, la disfunzione
ventricolare destra, sono risultati tutti correlati alla prognosi dell’amiloidosi.
Negli ultimi cinque anni è stato messo in luce l'importante ruolo di nuovi
marcatori biochimici di danno cardiaco. Livelli elevati di troponine cardiache
sono correlati ad una cattiva prognosi nei pazienti con Amiloidosi AL, sia in
quelli che ricevono un trattamento convenzionale, sia in quelli elegibili per
ASCT.31 Il frammento N-terminale del peptide natriuretico di tipo B (NTproBNP) è un marcatore sensibile di disfunzione miocardica nell'amiloidosi AL
ed il più importante determinante prognostico. 32 Il gruppo della Mayo Clinic ha
proposto un sistema di stadiazione per l'Amiloidosi AL basato proprio sulle
troponine cardiache sieriche e sul NT-proBNP, suddividendo i pazienti con
Amiloidosi AL in tre gruppi con prognosi radicalmente diversa. 33 Utilizzando
come cut-off valori di troponina T di 0,035 mcg/L e valori di NTproBNP di 332
pg/mL, i pazienti sono stati classificati in tre gruppi: Stadio I, per valori bassi di
entrambi i biomarkers (33% di incidenza); Stadio III, per entrambi i valori elevati
(30% di incidenza), o stadio II, se solo un marker risulta elevato (37% di
incidenza). Le sopravvivenze mediane riportate sono di 26.4, 10.5 e 3.5 mesi,
rispettivamente, per gli stadi I, II e III.
La percentuale di plasmacellule nel midollo osseo, il livello delle catene leggere
libere alla diagnosi, il numero degli organi coinvolti ed i livelli sierici di acido
21
urico sono tutti parametri che condizionano la prognosi dell’Amiloidosi AL, ma
non sono stati integrati in un sistema di stadiazione come è avvenuto per i
biomarkers cardiaci. 7,26,27
2.5. Terapia
Lo scopo della terapia nell'Amiloidosi AL è diminuire la sintesi del precursore
amiloidogenico mediante la soppressione del sottostante clone plasmacellulare.
I depositi di amiloide possono essere riassorbiti e la disfunzione d'organo può
regredire se si riduce rapidamente la concentrazione delle catene leggere
monoclonali circolanti. Gli schemi di terapia per l’Amiloidosi AL derivano da
quelli in uso nel Mieloma Multiplo (MM). Va tenuto presente, tuttavia, che i
pazienti con Amiloidosi AL, a differenza di quelli affetti da MM, non hanno
soltanto una neoplasia ematologica, ma presentano un danno funzionale di
diversi organi che li rende più fragili e quindi più esposti alla tossicità della
chemioterapia. Viceversa, nell’amiloidosi è necessario l’utilizzo di terapie che
possano portare rapidamente a un recupero della funzione degli organi
coinvolti.34
L'associazione di Melphalan e Prednisone (MP) per os, introdotta nel 1972, è
stata la terapia standard dell'Amiloidosi AL per molto tempo. Due importanti
studi di fase III hanno stabilito l'efficacia di questo approccio e ne hanno
dimostrato la superiorità rispetto al trattamento con colchicina. 35,36 Sebbene il MP
sia un regime terapeutico efficace e ben tollerato, il lungo tempo necessario per
ottenere la risposta lo rende inadatto ai pazienti con malattia rapidamente
progressiva ed il suo utilizzo è attualmente riservato ai pazienti a cattiva
prognosi.
Sulla base degli studi di efficacia del Melphalan e perché studi multicentrici
22
avevano dimostrato elevati tassi di risposta ematologica e di risposta d’organo
nell’Amiloidosi AL trattata con il solo desametasone, è stato successivamente
adottato uno schema di combinazione Melphalan e Desametasone (MDex).
In uno studio del gruppo di Pavia condotto su pazienti non eleggibili a trapianto a
causa dello stato avanzato della malattia, è stato osservato che l'associazione di
desametasone e melphalan per os (MDex) induceva una risposta clonale nel 67%
dei pazienti, con il 33% di remissioni complete e miglioramento della
funzionalità d'organo nel 48% dei casi, a fronte di un tasso di mortalità del 4%
nei primi 100 giorni dopo MDex.37 A sei anni, si registravano tassi di
sopravvivenza di circa il 50%, con una progression free survival (PFS) del 40%. 38
Due studi più recenti in cui si utilizzava lo stesso schema di trattamento, invece,
hanno mostrato sopravvivenze mediane inferiori a 18 mesi. 39,40 In tali studi,
tuttavia, sono stati presi in considerazione soprattutto pazienti con malattia
avanzata e importante compromissione cardiaca, non rispondenti alla terapia e
deceduti in un breve intervallo di tempo. Le differenze rilevate sottolineano,
dunque, l’importanza di una stratificazione dei pazienti per stadio al momento
dell’interpretazione dei risultati. Concludendo, MDex è ancora considerato uno
standard terapeutico nei pazienti che non sono candidati a trapianto e a studi
clinici, grazie al basso profilo di tossicità, alla dimostrata capacità di indurre
risposte ematologiche anche in presenza di malattia avanzata ed alla disponibilità
di formulazioni orali per entrambi i farmaci.7
Il Melphalan ad alte dosi (200 mg/m2, MEL200) seguito da autotrapianto di
cellule staminali (ASCT) è stato considerato per diversi anni il trattamento più
efficace per l’Amiloidosi AL. Tuttavia, questa procedura è gravata da una più
elevata mortalità nell’Amiloidosi AL rispetto a quanto si osserva nel Mieloma
Multiplo, in particolare in pazienti con disfunzione cardiaca e coinvolgimento
multiorgano.41 Per ridurre la tossicità dell’autotrapianto è stato proposto di
adattare la posologia del Melphalan impiegata nel condizionamento in base alla
23
classe di rischio del paziente; l’autotrapianto con dosi ridotte di Melphalan (100140 mg/m2) si associa, tuttavia, ad una minore percentuale di risposta, senza
riduzione della mortalità legata alla procedura. 42 I dati finora disponibili
sembrano indicare che, in pazienti a basso rischio, la terapia con MEL200 è in
grado di indurre la più alta percentuale di remissioni complete (circa il 40%), con
un tasso di mortalità che si attesta comunque al 5-10% nei centri di
riferimento.43,44
Nell’ultimo decennio, la disponibilità di nuovi farmaci ha notevolmente ampliato
l’armamentario terapeutico contro l'Amiloidosi AL. Il primo tra i nuovi agenti ad
essere testato in pazienti con Amiloidosi AL in recidiva, la Thalidomide, è
risultata poco efficace e mal tollerata a dosi elevate se utilizzata in monoterapia.
Essa ha però mostrato efficacia, a dosi intermedie e in associazione con
desametasone (TDex), con percentuali di risposta ematologica del 40%-50%. Si è
tuttavia confermata l’elevata incidenza di tossicità grave; in particolare, è stata
documentata bradicardia sintomatica nel 26% dei pazienti trattati. 45 La
combinazione di ciclofosfamide per via orale con thalidomide e desametasone
(CTD) si è mostrata efficace in pazienti recidivati; inoltre, in una serie
retrospettiva di 122 pazienti di nuova diagnosi (48% con coinvolgimento
cardiaco) afferenti ad un singolo centro, sono stati registrati alti tassi di risposta
ematologica con il 74% di sopravvivenza a 3 anni. 46 Le attuali raccomandazioni
suggeriscono di eseguire controlli mensili dell’ECG dinamico secondo Holter in
tutti i pazienti con Amiloidosi AL trattati con thalidomide.
La Lenalidomide è stata testata nel trattamento dell’Amiloidosi AL in
combinazione con desametasone (LDex), con un tasso di risposta ematologica del
41% e del 67% nei due studi pubblicati. 47,48 Lenalidomide è stata combinata con
Melphalan e desametasone (Mel/LDex) in pazienti di nuova diagnosi; una
risposta ematologica è stata osservata nel 58% dei casi e una risposta completa
24
nel 42% dei casi.49 La combinazione di Lenalidomide con ciclofosfamide e
desametasone (RCD) è stata studiata in 35 pazienti: il tasso di risposta
ematologica era del 60%, e in coloro che ricevevano almeno quattro cicli, il tasso
di risposta era 87%. Come dimostrato in uno studio di dose-escalation di fase III, la massima dose tollerata di lenalidomide in pazienti affetti da amiloidosi AL
è di 15 mg; gli effetti tossici includono citopenie, eruzioni cutanee, astenia e
crampi.49
La Pomalidomide è un derivato di thalidomide che mostra somiglianza strutturale
sia con thalidomide che con lenalidomide. L’associazione di Pomalidomide e
desametasone è stata testata in uno studio di 26 pazienti, in precedenza sottoposti
a terapia con agenti alchilanti ed ad ASCT. Di questi, 13 erano stati già trattati
con lenalidomide, 12 con thalidomide e 9 con bortezomib. Nei 19 pazienti
valutabili per la risposta ematologica è stato riscontrato un tasso di risposta del
35%.50 La terapia dei pazienti con amiloidosi AL con Pomalidomide in seconda
linea è attualmente autorizzata all’interno di sperimentazioni cliniche.
Per quanto riguarda, infine, il Bortezomib, uno studio condotto su 18 pazienti ha
dimostrato una risposta ematologica nel 77%, con il 16% di risposte complete.52
Uno studio di dose-escalation di fase I, in cui era espressamente escluso l'uso di
corticosteroidi ha confrontato due diverse schedule di somministrazione: (1) nei
giorni 1, 4, 8, e 11 ogni 21giorni o (2) nei giorni 1, 8, 15, e 22 ogni 35 giorni.
Risposte ematologiche sono state osservati nel 50% dei pazienti, con il 20% di
risposte complete. Il regime settimanale ha mostrato una minore neurotossicità. 53
La combinazione di Bortezomib e desametasone (BDex) è stata usata dopo
ASCT per migliorare la risposta al trapianto.54 Diciassette su 23 pazienti hanno
ricevuto Bortezomib e desametasone post-trapianto, e il 74% ha raggiunto una
risposta completa, con una risposta d’organo nel 58% dei casi. In un altro studio,
la combinazione BDex è stata testata in 26 pazienti, 18 dei quali hanno ricevuto
25
questa terapia in prima linea. Il tasso di risposta è risultato complessivamente del
54%, con il 31% di risposte complete. 55 Attualmente, sono in corso due studi
randomizzati di fase III, uno in Europa e uno negli Stati Uniti, che confrontano la
terapia standard MDex vs Melphalan e desametasone associato a Bortezomib
(BMDex) in pazienti con Amiloidosi AL di nuova diagnosi. 56
2.5.1. Linee guida 2011-2012 per la terapia dell’amiloidosi AL sistemica della
Società italiana per l’Amiloidosi 56
Le Linee Guida 2011-2012 per la terapia dell’amiloidosi AL sistemica sono state
discusse e approvate dalla Società Italiana per l’Amiloidosi facente capo al
Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche della Fondazione
IRCCS Policlinico San Matteo e Università di Pavia. Si raccomanda, anzitutto, di
non iniziare la chemioterapia prima di essere giunti a individuare con certezza il
tipo di amiloidosi in causa e di avere ottenuto i parametri necessari per la
valutazione del rischio e per la definizione della risposta al trattamento,
mediante: caratterizzazione immunoistochimica in microscopia elettronica o
proteomica dei depositi di amiloide, quantificazione delle catene leggere libere
circolanti e quantificazione di NT-proBNP e cTnT (o cTnI).
Secondo le nuove Linee Guida, la scelta terapeutica si fonda sulla stratificazione
del rischio basata sui marcatori biochimici di disfunzione cardiaca; 33 il sistema di
stadiazione della Mayo Clinic, tuttavia, è qui integrato con i parametri di
funzione renale ed epatica e tiene conto dell’età e delle condizioni generali dei
pazienti (Tabella 2.2).56,57
26
Tabella 2.2 Definizione del rischio secondo la Società italiana per l’Amiloidosi (DLCO= capacità di
diffusione polmonare per il monossido di carbonio, eGFR= velocità di filtrazione glomerulare stimata)
La valutazione della risposta alla terapia prevede misurazioni frequenti delle
catene leggere libere circolanti e dei marcatori biochimici di disfunzione cardiaca
(almeno ogni due cicli o tre mesi dopo autotrapianto di cellule staminali), come
previsto dai criteri di risposta ematologica e cardiaca dell’International Society of
Amyloidosis. Uno stretto controllo del clone plasmacellulare (principalmente
attraverso frequenti determinazioni della concentrazione delle catene leggere
libere circolanti) e della funzione d’organo, in particolare cardiaca, nel corso
della terapia e dopo il conseguimento della risposta, è indispensabile per
individuare tempestivamente i pazienti che non rispondono e quelli che
recidivano e intervenire modificando di conseguenza la strategia terapeutica.
Trattamento dei pazienti a basso rischio
Tenuto conto che le combinazioni di bortezomib e desametasone con gli agenti
alchilanti melphalan (BMDex) e ciclofosfamide (CyBorD) hanno mostrato, se
pure in piccoli studi, una percentuale di risposte complete paragonabile a quella
27
che si ottiene con il melphalan ad alte dosi e che lo schema CyBorD, non
impiegando il melphalan per os, ha il vantaggio di non precludere un’eventuale
futura mobilizzazione delle cellule, si propone di offrire ai pazienti a basso
rischio in primo luogo una terapia d’induzione secondo lo schema CyBorD,
seguita dall’ASCT con MEL200 in caso di mancato conseguimento della CR (o
della risposta d’organo). In caso un paziente a basso rischio rifiuti l’ipotesi del
futuro
autotrapianto,
dovrebbe
essergli
proposto
l’arruolamento
nella
sperimentazione clinica randomizzata di fase III BMDex vs. MDex.
Trattamento dei pazienti a rischio intermedio
I pazienti che non possono essere arruolati nello studio clinico randomizzato di
fase III BMDex vs. MDex, dovrebbero essere trattati con MDex, che rappresenta
la terapia standard nei soggetti con amiloidosi AL a rischio intermedio. Nel caso
in cui l’arruolamento non sia impedito da controindicazioni al bortezomib, si può
prendere in considerazione una terapia con CyBorD.
Trattamento dei pazienti ad alto rischio
I pazienti ad alto rischio possono essere trattati con schemi attenuati di BMDex
o MDex.
Trattamento dei pazienti in recidiva
Se possibile, nei pazienti che recidivano dopo tre mesi dalla fine del trattamento,
si raccomanda di ripetere la terapia di prima linea che ha indotto la risposta. Se
questo non è possibile, o se la recidiva avviene entro tre mesi dal termine della
terapia di prima linea, i pazienti in recidiva dovranno essere trattati come i
28
pazienti refrattari.
Trattamento dei pazienti refrattari
I pazienti refrattari dovrebbero essere trattati all’interno delle sperimentazioni
cliniche (terapia con pomalidomide e desametasone).
Nei pazienti che non possono essere inclusi nelle sperimentazioni cliniche, la
scelta della terapia dipende dal trattamento impiegato in prima linea e,
naturalmente, dalle condizioni di ogni singolo paziente che possono
rappresentare controindicazioni all’uso di farmaci particolari (Tabella 2.3).
Tabella 2.3 Indicazioni della Società di Ematologia per la scelta della terapia di seconda linea sulla
base del trattamento praticato all’esordio
29
3. Diagnostica strumentale del coinvolgimento cardiaco
Da un punto di vista diagnostico, l'elettrocardiogramma tipico è caratterizzato da
una riduzione dei voltaggi del QRS sulle derivazioni periferiche ma soprattutto
sulle precordiali, così come anche da pseudonecrosi e ritardi di conduzione
atrioventricolari e intraventricolari. Tuttavia, esiste, e non va trascurata, la
possibilità di essere depistati da elettrocardiogrammi con voltaggi nella norma o
addirittura aumentati, presenti fino al 20% in una casistica di pazienti con
diagnosi bioptica di amiloidosi cardiaca. È però la lettura “integrata” ECG-eco il
vero strumento per elaborare il sospetto, soprattutto la corretta diagnosi
differenziale, fra cardiomiopatia ipertrofica e cardiomiopatia amiloidotica.
In caso di cardiomiopatia amiloidotica, all’ecocardiogramma si apprezza spesso
non solo l’aumento di spessore del setto interventricolare e delle pareti del
ventricolo sinistro, ma anche delle valvole atrioventricolari (>5 mm), del setto
interatriale, della parete libera del ventricolo destro. Sono estremamente
frequenti anche l’abnorme ecoriflettenza (“granular sparkling”) del miocardio
ventricolare e il versamento pericardico, generalmente lieve. Non sempre tutti
gli elementi coesistono in un singolo paziente, ma le diverse combinazioni
hanno un potere evocativo nei confronti dell’amiloidosi molto forte. Spesso si
possono cogliere altre due combinazioni molto caratteristiche ed evocative:
“ipertrofia concentrica” con lieve ipocinesia globale e normali volumi
ventricolari sinistri; volumi e frazione di eiezione del ventricolo sinistro del
tutto normali, ma ridotta velocità di ispessimento parietale.
Una caratteristica interessante è proprio legata alla velocità con cui si realizza
l'aumento degli spessori nel momento in cui iniziano a polimerizzare le subunità
monomeriche a livello tessutale, parametro che sembra avere un significato
prognostico in caso di amiloidosi primaria.
30
A fronte di un quadro ecocardiografico suggestivo di cardiomiopatia ipertrofica,
il riscontro di voltaggi del QRS anche solo normali (non necessariamente ridotti)
deve evocare la possibilità di infiltrazione amiloidotica.
Più recentemente, l’aggiunta alle metodiche standard dell’utilizzo della
risonanza magnetica cardiaca ha consentito, in base al sospetto ecocardiografico
- pur non garantendo ovviamente una caratterizzazione tessutale che spetta solo
alla biopsia - di indirizzare il clinico verso la diagnosi di amiloidosi.
Nella fattispecie, la presenza di "delayed enhancement" (o “late enhancement”)
a doppio binario a livello subendocardico e subepicardico e le caratteristiche di
rapido svuotamento di cavità e rallentato lavaggio di parete del gadolinio
suggeriscono fortemente la possibilità di un quadro di amiloidosi cardiaca;
inoltre, è frequentemente dimostrabile un ispessimento endocardico globale che
spesso indirizza la diagnosi correttamente. 58,59
Studi di Vogelsberg e Thomson sul valore della risonanza magnetica con
gadolinio nell’amiloidosi cardiaca clinicamente sospetta hanno, infatti,
dimostrato la sua buona sensibilità e straordinaria specificità nell’evidenziare il
coinvolgimento
cardiaco
da
malattia
mediante
determinati
pattern
contrastografici, anche posta a confronto con il gold standard diagnostico
costituito dalla biopsia endomiocardica.
Nonostante i grandi progressi che hanno riguardato l’ecocardiografia, la
risonanza magnetica e le metodiche nucleari, occorre ricordare che il “gold
standard” diagnostico rimane la dimostrazione istologica dei depositi di
amiloide e che, quindi, le suddette metodiche rappresentano esclusivamente uno
strumento per la stadiazione e la definizione della prognosi.
31
4. Studio sperimentale
4.1 Scopo dello Studio
Scopo dello studio è stato quello di valutare le correlazioni esistenti fra
parametri ecocardiografici (SIV e FE), di risonanza magnetica cardiaca e
bioumorali (NT-proBNP, troponina I e sFLC) e la loro valenza diagnostica e
prognostica nei pazienti affetti da Amiloidosi AL.
Obiettivo secondario è stato quello di valutare il ruolo della risonanza magnetica
cardiaca nella stadiazione del coinvolgimento cardiaco all’esordio e la sua
eventuale capacità di offrire informazioni aggiuntive rispetto all’ecocardiografia
bidimensionale standard, utili anche dal punto di vista prognostico.
4.2 Pazienti e Metodi
4.2.1 Pazienti
Lo studio è stato eseguito su un gruppo di 10 pazienti, 8 maschi e 2 femmine,
affetti da Amiloidosi AL, di cui 7 primitive e 3 secondarie a patologia
linfoproliferativa (2 MM e 1 linfoma linfoplasmocitoide), afferiti presso la
U.O.S. Diagnosi e Cura delle Discrasie Plasmacellulari e delle Amiloidosi
dell’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma nel periodo compreso tra
Febbraio 2009 e Luglio 2011.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti a procedura diagnostica istologica mediante
agoaspirato del grasso periombelicale sottocutaneo o biopsia della ghiandola
salivare minore: i campioni ottenuti sono stati osservati mediante microscopia
ottica in luce polarizzata dopo colorazione con rosso Congo e valutati per la
birifrangenza verde mela necessaria per la corretta diagnosi di amiloidosi. In due
32
casi è stato necessario eseguire la biopsia dell’organo maggiormente coinvolto,
rispettivamente stomaco e rene, entrambe senza complicanze.
La biopsia osteomidollare con colorazione rosso Congo è stata eseguita in tutti i
casi. Tutti i pazienti studiati hanno presentato una positività alla colorazione
rosso Congo dell’agoaspirato del grasso periombelicale sottocutaneo, della
ghiandola salivare minore o della biopsia d’organo.
Dopo essere stati sottoposti alle indagini utili alla tipizzazione della malattia e
alla stratificazione del rischio, i pazienti con amiloidosi sistemica sono stati
classificati in una specifica classe di rischio, secondo quanto previsto dalle linee
guida della Società italiana per l’Amiloidosi, al fine di identificarne prognosi e
trattamento di I linea (Tabella 4.2.1).
Per quanto riguarda i protocolli terapeutici utilizzati, 7 pazienti sono stati
sottoposti ad una sola linea terapeutica, 3 dei quali con agenti alchilanti in
monoterapia o in associazione a steroidi; 3 pazienti sono stati trattati con due
linee terapeutiche, in tutti i casi comprendenti steroidi e farmaci quali
bortezomib, ciclofosfamide o lenalidomide, in associazione o meno ad agenti
alchilanti; 1 paziente con forma secondaria a linfoma linfoplasmocitoide è stato
trattato con l’associazione di ciclofosfamide, desametasone e rituximab.
Pz
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Rischio
Basso
Alto
Intermedio
Intermedio
Alto
Intermedio
Alto
Basso
Intermedio
Intermedio
Marker di rischio
No
Troponina I e T
Età
Età
Troponina I e T
P.A. < 90 mmHg
Troponina I e T
No
Età
Età, eGFR < 50 ml/min
Terapia di I linea
MDV
MD
MD
MD
VD
CyBorD
CyBorD
CyBorD
CDR
MDV
Tabella 4.2.1. Stratificazione del rischio e terapia di I linea
33
4.2.2 Metodi
Alla diagnosi ed al termine della terapia di prima linea è stata effettuata una
valutazione cardiologica completa (visita cardiologica, valutazione della classe
NYHA, ECG, Ecocardiogramma, Risonanza Magnetica cardiaca, NTpro-BNP,
troponine cardiache, funzionalità renale) e monitorato il quadro ematologico
(free light chain k e λ sieriche, elettroforesi proteica, proteinuria di Bence Jones,
biopsia osteomidollare).
Mediante l’Ecocardiografia sono stati valutati i seguenti parametri:
- volumi delle camere cardiache;
- spessori della parete ventricolare sinistra determinata in modalità M-mode;
- spessore del setto interventricolare (valore in diastole < 12 mm);
- frazione di eiezione;
- Doppler pulsato del flusso e delle velocità transmitralica e polmonare;
- Onda E, onda A e rapporto E/A;
- Deceleration time;
- Tissue Doppler Imaging;
- infiltrazione dell’apparato valvolare;
- presenza di versamento pericardico;
- valutazione morfofunzionale delle camere destre.
Mediante la Risonanza Magnetica si sono andate a ricercare eventuali
alterazioni di segnale tipiche della patologia ed in particolare:
- ispessimento miocardico diffuso;
- ispessimento della parete libera del VD e del setto interatriale;
- ispessimento valvolare ed eventuale insufficienza valvolare;
34
- tardivo potenziamento subendocardico diffuso (“late enhancement”);
- accelerata cinetica del gadolinio nel sangue ed a livello miocardico;
- versamento pleurico e pericardico non ravvisabili all’ecocardiografia.
Dal punto di vista ematologico, l’andamento della patologia è stato valutato
principalmente mediante il dosaggio sierico delle free light chain (serum free
light chain k e λ - sFLC); hanno completato la valutazione lo studio proteico
sierico ed urinario mediante elettroforesi proteica ed immunofissazione, lo
studio delle urine delle 24 ore per la ricerca e quantificazione della proteinuria di
Bence-Jones ed, infine, la biopsia osteomidollare.
Lo studio proteico è stato eseguito mediante i seguenti test:
Elettroforesi proteica capillare sierica/urinaria
Sistema Capillarys Protein(E) 6 Sebia basato sul principio dell’elettroforesi
capillare in fase libera su campione di siero o urine in tampone alcalino a pH
specifico; le proteine sono rilevate direttamente per spettrofotometria di
assorbimento ad una lunghezza d’onda di 200nm.
v.n. Albumina 55.8-66.1%; Alfa-1 globuline 2.9-4.9%; Alfa-2 globuline 7.111.8%; Beta-1 globuline 4.7-7.2%; Beta-2 globuline 3.2-6.5%; Gamma
globuline 11.1-18.8%.
Immunofissazione proteica sierica e urinaria
Sistema Hydragel Sebia destinato al rilevamento delle proteine monoclonali nel
siero e nelle urine mediante immunofissazione. Le proteine, separate mediante
35
elettroforesi su gel di agarosio tamponato in mezzo alcalino, sono incubate con
singoli antisieri rispettivamente specifici anti catene pesanti gamma (IgG), alfa
(IgA), e mu (IgM) ed anti catene leggere kappa e lambda (libere e legate).Gli
immunoprecipitati sono colorati con violetto acido o con amidoschwarz; gli
elettroforegrammi sono interpretati visivamente per valutare la presenza di
reazioni specifiche con le sospette proteine monoclonali.
Protidemia totale sierica
Test colorimetrico basato sulla reazione del biureto VITROS TP per la misura
quantitativa delle proteine totali nel siero e nel plasma.
v.n. 6.6-8.7 g/dL
Proteinuria delle 24 ore
Test colorimetrico VITROS UPRO per la misura quantitativa della
concentrazione delle proteine nell’urina.
v.n. 40-150 mg/24h
Proteinuria di Bence-Jones
Sistema Hydragel Bence Jones Sebia utilizzato per l’identificazione delle
proteine di Bence Jones, o catene leggere libere (kappa o lambda), nelle urine e
nel siero, mediante elettroforesi ed immunofissazione su gel d’agarosio
tamponato a pH alcalino (pH 9.1). Le proteine dei campioni vengono fatte
migrare ed immunofissate mediante antisieri con le seguenti specificità:
Antisiero Trivalente: anti catene pesanti gamma (IgG), alfa (IgA), e mu (IgM);
36
antisiero anti catene leggere, libere e legate, kappa; antisiero anti catene leggere,
libere e legate, lambda; antisiero anti catene leggere libere kappa; antisiero anti
catene leggere libere lambda. Dopo l’immunofissazione le proteine precipitate
sono colorate con violetto acido e l’eccesso di colorante è rimosso con una
soluzione acida.
Dosaggio sierico delle catene leggere libere circolanti (sFLC)
Sistema nefelometrico automatizzato Freelite kappa e lambda libere umane
Binding Site su analizzatore Radim Delta in grado di quantificare le catene
leggere libere k e λ (catene leggere non legate alle immunoglobuline complete)
secrete dalle plasmacellule. Un rapporto anormale k/λ libere indica l’eccesso di
una catena rispetto all’altra e viene interpretato come un indice di espansione
clonale in base a test eseguiti su volontari sani, pazienti affetti da mieloma
multiplo ed amiloidosi (Katzmann et al, Clinical Chemistry 2002).
Il livello normale di catene leggere libere k sieriche è 3.3-19.4 mg/L, mentre il
livello normale per le catene leggere λ sieriche è 5.7-26.3 mg/L. Il rapporto
normale k/λ libere è 0.26-1.65.
Il range normale di riferimento utilizzato con la metodica delle sFLC riflette un
livello più alto di catene leggere libere λ che non ci si aspetterebbe in base al
normale rapporto k/λ delle immunoglobuline complete che è pari a 3. Questa
differenza è dovuta al fatto che l’escrezione renale di catene leggere libere k
(che esistono normalmente in forma monomerica) è più veloce dell’escrezione
delle catene leggere libere λ (normalmente presenti in forma dimerica).
Pazienti con rapporto sFLC k/λ < 0.26 presentano una catena leggera libera λ
monoclonale, mentre quelli con rapporto > 1.65 una catena leggera libera k
monoclonale.
37
Alla luce di quanto riportato, appare chiaro come un importante contributo nella
difficile diagnosi di Amiloidosi AL possa giungere dal ricorso al dosaggio
sierico delle catene leggere libere delle immunoglobuline (serum free light chain
- sFLC) che offre i seguenti vantaggi:
• maggiore sensibilità e precisione rispetto all’elettroforesi ed immunofissazione
sierica;
• fornire un risultato numerico utile per il monitoraggio della malattia;
• comodità di un test eseguibile su siero;
• identificazione di pazienti che non hanno una componente monoclonale
ravvisabile con le comuni tecniche di laboratorio;
• marker più accurato di remissione completa/progressione della malattia
rispetto a quelli attualmente utilizzati;
• rapida valutazione della risposta al trattamento grazie alla breve emivita (2-6
ore);
• miglior valutazione dei pazienti sintomatici.
Il dosaggio delle sFLC è stato introdotto dal Gennaio 2008.
v.n. catene leggere libere k sieriche 3.3-19.4 mg/L;
catene leggere λ sieriche 5.7-26.3 mg/L;
ratio k/λ libere 0.26-1.65
Lo studio del danno cardiaco è stato eseguito mediante i seguenti test:
NT-proBNP II Elecsys (N-terminal pro-brain natriuretic peptide)
Test immunologico Cobas Roche per la determinazione quantitativa in vitro del
precursore del peptide natriuretico di tipo B N-terminale nel siero e nel plasma
38
umani (Immunoassay in elettrochemiluminescenza “ECLIA”).
v.n. Uomini < 50 aa: < 88 pg/mL; Donne < 50 aa: < 153 pg/mL;
Uomini > 50 aa: < 227 pg/mL; Donne > 50 aa: < 334 pg/mL.
Troponin I Elecsys
Test immunologico Cobas Roche per la determinazione quantitativa in vitro
della troponina I cardiaca nel siero e nel plasma umani (Immunoassay in
elettrochemiluminescenza “ECLIA”).
v.n. 0.00 – 0.06 ng/mL
Troponin T Elecsys
Test immunologico Cobas Roche per la determinazione quantitativa in vitro
della troponina T cardiaca nel siero e nel plasma umani (Immunoassay in
elettrochemiluminescenza “ECLIA”).
v.n. 0.00 – 0.10 ng/mL
La valutazione ecocardiografica è stata eseguita mediate ecocardiografo Esaote
My Lab 30 CV; la risonanza magnetica nucleare cardiaca è stata eseguita
mediante RMN GE Healthcare.
La valutazione dei campioni ottenuti mediante l’agoaspirato del grasso
periombelicale sottocutaneo o la biopsia delle ghiandole salivari minori per la
ricerca di sostanza amiloide è stato eseguito mediante colorazione rosso Congo
Highman e osservazione alla microscopia ottica a luce polarizzata, in grado di
evidenziare la classica birifrangenza verde mela in caso di riscontro positivo.
39
4.3 Valutazione della risposta alla terapia
La valutazione della risposta alla terapia, effettuata mediante misurazione dei
marcatori biochimici di disfunzione d’organo e delle sFLC, segue i
nuovi
criteri proposti dall’International Society of Amyloidosis 2011.
La risposta alla terapia deve essere valutata almeno ogni due cicli (o tre mesi
dopo autotrapianto di cellule staminali).
L’obiettivo della terapia è il raggiungimento della risposta completa o almeno di
una risposta parziale associata a risposta d’organo.
Risposta ematologica
Risposta
completa
(CR):
assenza
di
componenti
monoclonali
all’immunofissazione di siero e urine e normale rapporto / delle catene leggere
libere circolanti.
Risposta parziale molto buona (VGPR): differenza tra la concentrazione delle
catene leggere libere circolanti amiloidogeniche e non amiloidogeniche (dFLC)
<40 mg/L.
Risposta parziale (PR): riduzione di dFLC >50%.
Tutti gli altri pazienti si considerano non responsivi.
40
Risposta d’organo
Rene
Riduzione 50% della proteinuria (che deve essere almeno 0.5 g/24h prima della
terapia) in assenza di comparsa o progressione di insufficienza renale (definita
come una riduzione della velocità di filtrazione stimata (eGFR) ≥25 mL/min ×
1.73 m2 e aumento della creatininemia di almeno 0.5 mg/dL).
Cuore
Riduzione di almeno due classi NYHA (in pazienti che sono in classe NYHA III
o IV prima dell’inizio della terapia), riduzione 30% e ≥300 ng/L del NTproBNP (in assenza di comparsa o progressione d’insufficienza renale definita
come una riduzione eGFR ≥25 mL/min × 1.73 m2 e aumento della creatininemia
di almeno 0.5 mg/dL).
Fegato (almeno un criterio deve essere soddisfatto)
Riduzione 2 cm delle dimensioni del fegato alla TC o all’ecografia addominale,
riduzione 50% della fosfatasi alcalina.
Il consenso degli esperti dell’International Society of Amyloidosis è che non ci
sono
metodi
validati
per
definire
la
risposta
e
la
progressione
dell’interessamento del sistema nervoso periferico e di quello autonomo.
41
4.4 Analisi statistica
Le distribuzioni dei dati sono state verificate con il test di D'Agostino & Pearson
normality test. Le differenze tra i tempi t0 e t1 sono state valutate con il Paired ttest oppure con il Wilcoxont-test a seconda della distribuzione dei dati.
Le correlazioni sono state calcolate con il test parametrico di Person.
Infine sono state analizzate le curve di sopravvivenza tra i tre gruppi
Progressione, Risposta d'organo e non risposta mediante il Log-rank (MentelCox). La significatività dei test è stata considerata p<0.05. Per l'analisi dei dati è
stato impiegato il software Graphpad 5.0.
4.5 Risultati
Il paziente 1 è stato trattato in I linea con MDV (Melfalan 0.22 mg/kg p.o. gg 14, Desametasone 20 mg/die per os gg 1-4, Bortezomib 1 mg/mq ev. gg 1,4, 8, 11
per un totale di 6 cicli ogni 28 gg) mostrando una risposta ematologica completa
(CR) ma un iniziale peggioramento della proteinuria nefrosica; tuttavia, la stessa
si è progressivamente e spontaneamente normalizzata nel corso del follow-up
giunto a 32 mesi.
Il paziente 2 è stato trattato in I linea con MDex (Melfalan 0.22 mg/kg p.o. gg
1-4, Desametasone 20 mg/die per os gg 1-4 per un totale di 8 cicli ogni 28 gg)
mostrando una risposta ematologica parziale (PR) associata a risposta d’organo
con miglioramento del quadro cardiologico stabile al follow-up giunto a 36
mesi.
42
Il paziente 3 è stato trattato in I linea con Melfalan per os (Melfalan 0.18 mg/kg
per os gg 1-4 per un totale di 3 cicli ogni 28 gg) presentando un quadro di non
risposta al trattamento (NR) e conferma endoscopica della persistente
localizzazione gastrica; successivamente è stato trattato con terapia di II linea
con Bortezomib (1.3 mg/mq ev. gg 1, 8, 15, 22 per un totale di 6 cicli ogni 35
gg), quindi di III linea con Lenalidomide (15 mg/die per 21 gg ogni 28 gg per un
totale di 5 cicli) ed attualmente di IV linea con Ciclofosfamide per os senza
ottenere una risposta ematologica e d’organo, mantenendo a distanza di 36 mesi
dall’esordio clinico un quadro di malattia stabile. Da sottolineare, fin dalla
conclusione del trattamento di I linea, il progressivo incremento dei valori di
NT-proBNP fino a valori francamente patologici ( > 1500 pg/mL), in assenza,
tuttavia,
di
modificazioni
ecocardiografiche.
In
considerazione
della
localizzazione gastrica con anamnesi positiva per sanguinamento locale con
ematemesi ripetute e conseguente anemizzazione, l’utilizzo di steroidi non è
stato mai associato al trattamento principale.
Il paziente 4 è stato trattato in I linea con MD (Melfalan 0.18 mg/kg ridotto del
25% della D.T. per os gg 1-4, Desametasone 20 mg/die per os gg 1-4 per un
totale di 3 cicli ogni 28 gg) presentando un quadro di non risposta al trattamento
(NR) associato a progressivo peggioramento della funzionalità renale fino al
trattamento emodialitico; successivamente è stato trattato con terapia di II linea
VD (Bortezomib 1 mg/mq ev. gg 1, 4, 8, 11 e Desametasone 20 mg/die ev gg 1,
4, 8, 11 per un totale di 4 cicli ogni 21 gg) senza ottenere risposta e, quindi, è
stato sottoposto a III linea con Lenalidomide (15 mg p.o. a gg alterni per un
totale di 2 cicli) mostrando progressione di malattia ed exitus a 2 anni
dall’esordio della patologia.
43
Il paziente 5 è stato sottoposto a terapia di I linea con VD (Bortezomib 1 mg/mq
ev. gg 1, 4, 8, 11 e Desametasone 20 mg/die ev gg 1, 4, 8, 11 per un totale di 4
cicli ogni 21 gg), mostrando una risposta ematologica parziale (PR) ma grave
progressione del danno d’organo cardiaco e renale fino al trattamento
emodialitico con exitus sopraggiunto a 6 mesi dall’esordio della patologia.
Il paziente 6 è stato trattato in I linea con CyBorD (Ciclofosfamide 300 mg/mq
per os gg 1, 8, 15 e 22, Bortezomib 1.3 mg/mq gg 1, 4, 8 e 11, Desametasone 20
mg per os gg 1, 8, 15 e 22 per un totale di 2 cicli ogni 28gg) presentando un
quadro di non risposta al trattamento (NR) associato a progressivo
peggioramento della funzionalità cardiaca; successivamente è stato trattato con
terapia di II linea RD (Lenalidomide 10 mg/die p.o. per 21 gg ogni 28 gg,
Desametasone 20 mg p.o. gg 1-4) interrotta durante il primo ciclo per exitus
dovuto ad arresto cardiaco giunto a 4 mesi dall’esordio della patologia.
Il paziente 7 è stato trattato in I linea con CyBorD (Ciclofosfamide 300 mg/mq
per os gg 1, 8, 15 e 22, Bortezomib 0.7 mg/mq gg 1, 8, 15 e 22, Desametasone
20 mg per os gg 1, 8, 15 e 22 per un totale di 3 cicli ogni 28gg) presentando un
quadro di risposta parziale molto buona al trattamento (VGPR), associato,
tuttavia, a progressivo peggioramento della funzionalità cardiaca fino all’exitus
giunto a 4 mesi dall’esordio della patologia.
Il paziente 8 è stato trattato in I linea con CyBorD (Ciclofosfamide 300 mg/mq
per os gg 1, 8, 15 e 22, Bortezomib 1.3 mg/mq gg 1, 4, 8 e 11, Desametasone 40
mg per os gg 1, 8, 15 e 22 per un totale di 3 cicli ogni 28gg) presentando un
quadro di risposta ematologica parziale (PR), associato, tuttavia, a progressivo
peggioramento della funzionalità cardiaca e renale; successivamente è stato
44
trattato con terapia di II linea MD (Melfalan 0.18 mg/kg per os gg 1-4,
Desametasone 20 mg/die per os gg 1-4 per un totale di 6 cicli ogni 28 gg)
mostrando una non risposta ematologica ed un’ulteriore progressione del danno
cardiaco e renale che hanno imposto un trattamento di III linea con RD
(Lenalidomide 25 mg p.o. per 21 gg ogni 28 gg, Desametasone 20 mg p.o./sett.
per un 1 ciclo) fino ad exitus per insufficienza cardiaca sopraggiunto a 10 mesi
dall’esordio della patologia.
Il paziente 9 è stato trattato in I linea con CDR (Ciclofosfamide 100 mg/mq p.o.
gg 1-5, Desametasone 20 mg ev g 1, Rituximab 375 mg/mq g 1 per un totale di
6 cicli ogni 21 giorni) mostrando una risposta parziale ematologica (PR)
associata a scomparsa della proteinuria stabile al follow-up giunto a 17 mesi.
Il paziente 10 è stato trattato in I linea con MDV (Melfalan 0.18 mg/kg ridotto
del 25% della D.T. per os gg 1-4, Desametasone 20 mg p.o. gg 1-4, Bortezomib
1 mg/mq ev. gg 1,4, 8, 11 per un totale di 8 cicli ogni 28 gg) mostrando una
risposta parziale molto buona al trattamento (VGPR), associata al progressivo
miglioramento della funzionalità cardiaca e renale fino a totale normalizzazione
nel corso del follow-up giunto a 14 mesi dalla fine della terapia.
L’età media dei pazienti era pari a 57.1 anni (range 43-75).
La presentazione clinica era varia; in taluni casi il quadro clinico era dominato
da sintomi aspecifici, quali il calo ponderale, l’astenia e la dispnea. In altri casi, i
pazienti presentavano segni e sintomi legati alla compromissione cardiaca e/o
renale, quali ipertensione o ipotensione, edemi declivi, oliguria. Le
caratteristiche cliniche dei singoli pazienti sono riassunte in tabella 5.1.
La diagnosi istologica di Amiloidosi AL è stata posta in 9 casi su biopsia delle
45
ghiandole salivari minori; in un caso con grave sindrome nefrosica è stato
necessario ricorrere alla biopsia renale; il paziente non ha riportato complicanze
peri- e post-procedurali.
Dei 10 pazienti studiati, 8 erano affetti da Amiloidosi AL di tipo λ e 2 da
Amiloidosi AL di tipo k; alla diagnosi 6 presentavano coinvolgimento cardiaco
e renale, 3 esclusivamente cardiaco ed 1 esclusivamente renale; 3 presentavano
insufficienza renale (30%) e 3 sindrome nefrosica (30%), 2 hanno necessitato
del trattamento dialitico; il valore medio di creatininemia era di 1.39 mg/dL
(range 0.8-2.9 mg/dL); la proteinuria media delle 24 ore era di 3.7 g/24h (range
180 mg-17.6 g/24h, 3 pz <1g/24h) (tabella 5.2); la plasmocitosi midollare era in
tutti i casi primitivi inferiore al 15% della cellularità totale, mentre nelle forme
secondarie era compresa tra il 50 e 60%.
Il paziente con forma secondaria a linfoma a basso grado presentava una
percentuale midollare di linfociti maturi del 60% (tabella 5.3).
L’immunofissazione sierica ed urinaria evidenziavano la presenza di una
componente monoclonale in tutti i 10 casi.
Indici di funzionalità epatica e di colestasi alterati sono stati riscontrati in due
pazienti, che hanno mostrato caratteristico aumento delle dimensioni del fegato
all’esame ecografico.
Lo studio ecocardiografico del sistema cardiovascolare ha evidenziato
alterazioni di cinesi e spessore del setto interventricolare (SIV) in 8 casi; nei
restanti due casi non sono stati riscontrati segni ecocardiografici di
compromissione cardiaca, né rialzo di NT-proBNP e troponine (tabella 5.4).
In accordo con quanto dimostrato dall’indagine ecocardiografica e dai marcatori
cardiaci, lo studio di imaging eseguito mediante cardioRMN è risultato
patologico in 6 casi: in 4 pazienti è stata dimostrata ipertrofia miocardica diffusa
associata ad un pattern contrastografico di lento riempimento subendocardico
46
(“late enhancement”), in un caso è stata dimostrata esclusivamente ipertrofia
miocardica diffusa ed in un altro caso esclusivamente un quadro di “late
enhancement”. In 2 casi non è stato possibile eseguire l’esame per insufficienza
renale (pazienti 4 e 10).
Pz
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Sesso
F
M
M
M
M
M
M
M
F
M
Età
60
71
75
75
43
46
61
59
71
71
Primitiva/secondaria
AL lambda
AL lambda
AL lambda
AL lambda
AL lambda
AL lambda
AL lambda
AL lambda sec. MM
AL k sec. LNH
AL k sec. MM
Organi convolti
Rene + Cuore
Cuore
Stomaco
Rene + Cuore
Cuore + Rene
Cuore + Rene
Cuore
Rene + Cuore
Rene
Cuore + Rene
Sintomi/segni d'esordio
Astenia, edemi declivi
Astenia, dispnea
Astenia, melena, calo ponderale
Astenia, dispnea, edemi declivi
Astenia, dispnea, oliguria
Astenia, dispnea, ipotensione
Astenia
Astenia, ipotensione
Dispnea, edemi declivi
Astenia, edemi declivi
Tabella 5.1. Caratteristiche dei pazienti arruolati
arruolatiarruolati
Pz
Proteinuria (mg/24h)
Cr (mg/dL)
1
3600
0,87
2
370
1,2
3
180
1,1
4
17600
2,9
5
2700
1,7
6
2700
0,9
7
180
1
8
1600
1,2
9
1760
0,8
10
6500
2,3
Tabella 5.2. Compromissione renale all’esordio
47
Pz
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
CM (g/dL)
0,7
1,42
1,6
0,34
0,3
0,86
ipo-g
2,64
0,6
2,19
sFLC k - L (mg/L); ratio
k 28,7 - L 139 ; 0,2
k 22,9 - L 1800 ; 0,01
k 7 - L 283 ; 0,02
k 7 - L 90 ; 0,07
k 48 - L 565 ; 0,08
k 8,9 - L 265 ; 0,03
k 4,23 - L 466 ; 0,009
k 4,11 - L 2850 ; 0,001
k 3700 - L 3,36 ; 1101
k 15700 - L 4,31 ; 3651
PL%
11
14
1
4
10
2
10
50
60
60 (linfociti)
Tabella 5.3. Componente monoclonale sierica (CM), catene leggere
libere monoclonali sieriche (sFLC) e plasmocitosi midollare all’esordio
Pz
SIV (mm) FE (%)
CardioRMN
NT-proBNP
Trop. I
Trop. T
1
9
65
late enhancement
2524
0,02
n.e.
2
17
45
ipertrofia + late enhancement
2516
0,11
0,09
3
14
65
neg.
369
0,02
0,01
4
15
50
n.e.
2081
0,03
0,01
5
22
40
ipertrofia + late enhancement
15256
0,44
0,29
6
20
48
ipertrofia + late enhancement
9356
0,07
0,04
7
20
50
ipertrofia + late enhancement
6325
0,22
0,12
8
16
60
ipertrofia
851
0,06
0,047
9
8
60
neg.
254
0,01
0,01
10
21
60
n.e.
23637
0,04
0,01
Tabella 5.4. Valutazione cardiologica strumentale e biochimica all’esordio
48
Il follow up medio dei pazienti osservati è stato di 16.2 mesi (range 1-36).
La sopravvivenza globale è stata del 50% (5/10 pazienti, v. figura 5.5).
La durata media di risposta al trattamento è stata di 10 mesi (range 1-36).
Non sono stati riscontrati effetti collaterali e/o complicanze di rilievo durante il
trattamento chemioterapico di I linea.
Figura 5.5. Correlazione tra sopravvivenza e risposta al trattamento
49
Considerando globalmente le risposte ottenute, 7 pazienti su 10 hanno mostrato
una risposta ematologica al trattamento di prima linea (1 CR, 2 VGPR, 4 PR): 4
hanno ottenuto una contestuale risposta d’organo duratura nel tempo (1 CR, 1
VGPR, 2 PR), mentre in 3 casi si è verificato il decesso per grave progressione
del danno d’organo, principalmente cardiaco, in un tempo compreso tra 1 e 6
mesi dopo il termine della terapia, nonostante l’ottenimento della risposta
ematologica (2 PR, 1 VGPR) (tabella 5.6).
Le risposte d’organo osservate sono state ottenute sia in caso di coinvolgimento
multiorgano (cuore e reni), sia in caso di danno esclusivamente cardiaco o
renale: in tutti i casi di interessamento cardiaco il valore dell’NT-proBNP si è
ridotto di oltre il 75% rispetto al valore d’esordio, con consensuale
miglioramento ecocardiografico del pattern di rilasciamento cardiaco e stabilità
degli spessori del SIV confermati alla cardioRMN (nessun paziente ha
presentato una riduzione dello spessore del SIV); d’altro canto, in tutti i casi di
interessamento renale con sindrome nefrosica con o senza riduzione del filtrato
glomerulare si è ravvisata la normalizzazione sia della proteinuria sia della
creatininemia entro il range fisiologico (tabelle 5.7 e 5.8).
Per quanto concerne, invece, i pazienti in risposta ematologica ma con
progressione del danno d’organo, va sottolineato come tutti e 3 i casi all’esordio
presentassero un netto incremento dei valori di proBNP (15256, 6325 e 851
ng/mL,
v.n.
<
332
pg/mL),
così
come
elevati spessori
del
SIV
all’ecocardiografia (22, 20 e 16 mm, vn < 12 mm) e riscontro di ipertrofia
diffusa e “late enhancement” alla cardioRMN, accompagnati da rapporti sFLC
k/λ francamente patologici (0.08, 0.009 e 0.001 rispettivamente).
Dei 3 pazienti non responsivi al trattamento di I linea, nessuno ha risposto ad un
trattamento successivo (di II, III o IV linea) e due di questi hanno subito un
peggioramento del danno d’organo fino al decesso, avvenuto rispettivamente
50
dopo 4 e 21 mesi; l’unico paziente vivente non responsivo alla terapia di I linea
è attualmente in trattamento di IV linea con Ciclofosfamide per os in una fase di
malattia stabile.
Per quanto concerne le variabili in studio, correlazioni statisticamente
significative
sono
state
ritrovate
all’esordio
tra
spessore
del
setto
interventricolare e NT-proBNP (r2=0,711 e p=0,021), tra spessore del setto
interventricolare e troponina I (r2=0,711 e p=0,048) e tra frazione di eiezione e
troponina I (r2=-0,73 p=0,016); al termine della terapia di I linea si conferma
esclusivamente la correlazione tra spessore del setto interventricolare e NTproBNP (r2=0,65 e p=0,041).
Pz
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Risposta Ematologica
CR
PR
NR
NR
PR
NR
VGPR
PR
PR
VGPR
Risposta d'organo
Sì
Sì
No
No
Progressione
Progressione
Progressione
Progressione
Sì
Sì
Follow-up (mesi)
32
36
32
Deceduto (21)
Deceduto (6)
Deceduto (2)
Deceduto (1)
Deceduto (6)
17
14
Terapia di salvataggio
No
No
VD, Len, CTX
VD, RD
No
No
No
MD, RD
No
No
Tabella 5.6 Risposta al trattamento di I linea e follow-up
51
Pz
NT-proBNP
NT-proBNP
Proteinuria/24h
Proteinuria/24h
Cr
Cr
T0
T1
T0
T1
T0
T1
1
2524
652
3600
77
0,87
1
2
2516
592
370
75
1,2
1
3
369
715
180
250
1,1
1,1
4
2081
3882
17600
15300
2,9
3,9
5
15256
33834
2700
1800
1,7
2,1
6
9356
23648
2700
2650
0,9
0,8
7
6325
29231
180
238
1
1,1
8
851
2058
1600
3174
1,2
1
9
254
341
1760
201
0,8
0,8
10
23637
665
6500
273
2,3
1,3
Tabella 5.7. Valori di NT-proBNP, proteinuria delle 24 ore e creatininemia prima (T0) e
dopo (T1) la chemioterapia
Pz
sFLC ratio
sFLC ratio
SIV
SIV
FE%
FE%
T0
T1
T0
T1
T0
T1
1
0,2
1,52
9
inv.
65
inv.
2
0,01
0,13
17
inv.
45
55
3
0,02
0,02
14
inv.
65
inv.
4
0,07
0,1
15
inv.
50
inv.
5
0,08
0,29
22
inv.
40
35
6
0,03
0,04
20
inv.
48
inv.
7
0,009
0,19
20
inv.
50
inv.
8
0,001
0,02
16
inv.
60
55
9
1101
94
8
inv.
60
65
10
3651
0,85
21
inv.
60
inv.
Tabella 5.8. Valori di rapporto sFLC k/λ, setto interventricolare e frazione di eiezione
misurata in ecocardiografia prima (T0) e dopo (T1) la chemioterapia
52
4.6 Discussione
L’Amiloidosi AL è una patologia insidiosa e potenzialmente fatale; una diagnosi
precoce ed una rapida definizione dell’estensione dei depositi di amiloide è
essenziale per istaurare prontamente la terapia più corretta. In particolare, risulta
cruciale la distinzione tra le forme localizzate e le forme sistemiche, che
richiedono un approccio terapeutico più aggressivo, volto a ridurre la sintesi del
precursore amiloidogenico mediante soppressione del sottostante clone
plasmacellulare. Si rende cioè necessario, in pazienti con estesa compromissione
da amiloidosi, l’utilizzo di terapie che possano portare ad un rapido recupero
della funzione degli organi coinvolti. 34 Altrettanto importante risulta il
monitoraggio della risposta alla terapia, al fine di individuare tempestivamente i
pazienti che non rispondono e intervenire modificando di conseguenza la
strategia terapeutica. Il principale strumento per la valutazione della risposta
ematologica è rappresentato, al momento attuale, dalla determinazione della
concentrazione delle catene leggere libere circolanti (sFLC); la misurazione dei
marcatori biochimici di disfunzione cardiaca costituisce, viceversa, il più
importante indice di risposta d’organo.56 Lo sviluppo e la disponibilità di nuovi
farmaci per il trattamento dell’Amiloidosi AL, suggerisce l’opportunità di
identificare altre molecole coinvolte nella patogenesi della malattia e di
studiarne le modificazioni durante il trattamento, al fine di individuare nuovi
potenziali markers di risposta alla terapia.
Nel presente studio abbiamo valutato all’esordio ed al termine del trattamento
chemioterapico di I linea il coinvolgimento sistemico della patologia mediante i
principali marcatori biochimici e parametri ecocardiografici (sFLC, NTproBNP, troponina I, creatininemia e proteinuria, SIV e FE), ricorrendo, in
aggiunta, all’imaging fornito dalla cardioRMN per identificarne l’utilità sia in
fase diagnostica che prognostica.
53
Dai dati emersi dalla nostra analisi si evince come, nella maggior parte dei
pazienti con coinvolgimento cardiaco (7 su 8), vi sia una rispondenza tra gli
incrementati valori di NT-proBNP (marcatore più sensibile rispetto alla
troponina I) e lo spessore del setto interventricolare misurato mediante
ecocardiografia standard; parimenti, la cardioRMN eseguita negli stessi soggetti
ha evidenziato un quadro francamente patologico, in particolare dominato dal
contemporaneo riscontro di diffusa ipertrofia miocardica e lento potenziamento
subendocardico dopo iniezione del mezzo di contrasto. Fa eccezione a questo
discorso il paziente 1 che, a fronte di un elevato valore di NT-proBNP basale e
di un pattern contrastografico alla cardioRMN di “late enhancement”, non
presenta alterazioni morfofunzionali di rilievo all’ecocardiografia standard.
Tuttavia la cardioRMN, seppur dimostri una discreta sensibilità nell’evidenziare
alterazioni patologiche della morfologia e della funzionalità cardiache, non
aggiunge maggiori informazioni dal punto di vista diagnostico e prognostico di
quanto non riesca a fare l’ecocardiografia bidimensionale standard in mani
esperte; inoltre, la cardioRMN presenta degli indubbi svantaggi quali la limitata
accessibilità, gli elevati costi di utilizzo e, non ultima, la possibile ridotta
compliance del paziente (protesi metalliche, insufficienza renale, claustrofobia,
allergia al mezzo di contrasto, ecc.).
Dal punto di vista biochimico, la quantità di sFLC monoclonali prodotte non
sempre correla con l’entità del danno d’organo: i pazienti 5 e 6, che hanno
manifestato il danno cardiaco maggiore con exitus, presentano valori di sFLC
ratio più vicini al fisiologico di altri pazienti che hanno sviluppato un danno
meno esteso. Inoltre, relativamente alla risposta ematologica ottenuta, la
riduzione delle sFLC non sempre correla con la risposta d’organo e, di
conseguenza, con la prognosi: nei casi in cui il danno d’organo all’esordio sia
troppo avanzato, anche l’ottenimento di una PR o di una VGPR può non bastare
54
per evitare la progressione del danno che è sempre la principale causa
dell’exitus. Di qui nasce l’importanza di iniziare tempestivamente un
trattamento specifico che si basi su una corretta e precoce diagnosi.
In merito alle correlazioni statisticamente significative rinvenute nel presente
studio, si evince come i marcatori biochimici di danno cardiaco, principalmente
NT-proBNP e troponina I, siano ottimi surrogati dell’imaging ecocardiografico
tanto all’esordio quanto al follow up, soprattutto per la notevole corrispondenza
rinvenuta con lo spessore del setto interventricolare (ed in parte con la frazione
di eiezione) che rappresenta uno degli elementi morfologici con maggior
valenza prognostica. D’altro canto, non è stato possibile riscontrare una
correlazione netta tra i valori di sFLC ed i marcatori biochimici del danno
d’organo, sia esso cardiaco o renale, probabilmente per l’eterogeneità delle
variabili in gioco e per i molteplici quadri clinici di presentazione della
patologia. Inoltre, un ulteriore aspetto che potrebbe essere determinante in
questo senso è la latenza con cui la risposta d’organo si presenta, in media dopo
mesi, rispetto alla comparsa della risposta ematologica: questo spiega quello che
accade a quei pazienti che, nonostante una chiara risposta ematologica,
presentino una lenta ed inesorabile progressione del danno d’organo sino
all’exitus.
Dal punto di vista terapeutico, le migliori risposte ematologiche sono state
ottenute in 2 casi dallo schema MDV (Melfalan, Desametasone e Bortezomib) e
in un altro caso dallo schema CyBorD (Ciclofosfamide, Bortezomib e
Desametasone), ma solamente la prima associazione ha consentito il
raggiungimento della risposta d’organo. Tuttavia, in considerazione dell’esiguità
e dell’eterogeneità del campione in studio, non è possibile stabilire quale sia il
trattamento di I linea più efficace. Indubbiamente è possibile sottolineare
55
l’importanza dell’efficacia del trattamento di I linea, fallito il quale nessun altra
terapia di salvataggio si è dimostrata in grado di raggiungere la risposta
ematologica, con conseguente progressione del danno d’organo.
4.7 Conclusioni
Alla luce dei risultati presentati in questo studio emerge come l’amiloidosi AL
sia una patologia estremamente complessa, non soltanto dal punto di vista
diagnostico per l’estrema variabilità di presentazione clinica, ma anche dal
punto di vista strettamente biologico per la difficoltà di interpretazione dei vari
marcatori ad oggi disponibili, sia all’esordio della malattia che nella sua
valutazione in corso di terapia.
Ciò che più chiaramente è emerso è la correlazione tra i marcatori bioumorali di
danno cardiaco e l’indagine strumentale ecocardiografica, sia alla diagnosi che
al controllo al termine della terapia di I linea: i valori sierici di NT-proBNP e
troponina I correlano in maniera significativa soprattutto con il valore dello
spessore del SIV ed in maniera minore con la frazione di eiezione, a significare
un’estrema sensibilità dei due marcatori di predire il danno d’organo. Lo stesso,
purtroppo, non può ancora dirsi per il dosaggio sierico delle catene leggere
libere monoclonali (sFLC): non è stato, infatti, possibile dimostrare una
correlazione significativa tra il loro andamento e quello del danno d’organo
valutato con gli specifici marcatori, sia esso cardiaco o renale; ancor di più, non
sembra esservi una chiara relazione tra la quantità di sFLC prodotte e l’entità del
danno d’organo riscontrato.
Per quanto riguarda l’utilizzo della cardioRMN, essa rappresenta indubbiamente
56
un valido strumento di conferma del danno cardiaco, soprattutto in quei pazienti
con sospetto di amiloidosi sistemica che si presentino con un quadro
ecocardiografico di cardiomiopatia restrittiva, ma riduce la sua validità in fase
diagnostica e prognostica rispetto all’ecocardiografia stessa per una serie di
evidenti limitazioni intrinseche: accessibilità, costi, compliance del paziente.
Entrambe le metodiche strumentali di valutazione del danno cardiaco, tuttavia,
possono non risultare di aiuto in quei pazienti con compromissione iniziale: è lì,
invece, che i marcatori biologici quali NT-proBNP e troponina I e T risultano
fondamentali nel contribuire ad una diagnosi precoce di amiloidosi.
Meritano un cenno per il loro fondamentale ruolo nella diagnosi precoce, tanto
all’esordio quanto alla recidiva, le catene leggere monoclonali sieriche libere
(sFLC) che, nonostante nel presente studio non abbiano mostrato correlazioni
significative con gli altri biomarker di danno d’organo, rappresentano il
principale marcatore-guida del trattamento chemioterapico di questa patologia,
la cui importanza si evince dalla centralità che ricoprono all’interno dei criteri
internazionali di risposta alla terapia correntemente utilizzati.
In considerazione di quanto descritto, si rende necessario nel prossimo futuro il
ricorso a biomarcatori sempre più sensibili e specifici della compromissione
d’organo, quali ad esempio MCP-1 e VEGF, al fine di rendere questa patologia
sempre meno misconosciuta e potenzialmente curabile.
57
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