chimica e arte • gianni michelon • università ca’foscari • venezia vedere, guardare, osservare • ci sono edifici, monumenti, opere d’arte vicino ai quali passiamo spesso, ma senza osservarli con attenzione • osservare con attenzione significa anche osservare i particolari, guardare cioè anche con occhio “scientifico”, non solo “estetico” ciò che ci circonda • vi proporrò perciò alcune immagini di “cose” che sembreranno rarità e sono invece esempi comunissimi; faremo ipotesi scientifiche sui fenomeni e cercheremo ragionevoli soluzioni possibili (di carattere meccanico o chimico) un laboratorio:Venezia • problemi che riguardano il degrado di edifici, statue, monumenti, materiali, si presentano dovunque • Venezia li presenta in modo macroscopico anche perché quasi tutti questi problemi sono legati alla presenza dell’acqua • se ci trovassimo in ambiente “anidro” quasi tutti scomparirebbero, ma… non ci saremmo nemmeno noi! • ed ora qualche immagine su cui discuteremo: mattoni 1 mattoni 2 mattoni 3 mattoni 4 mattoni 5 sculture 1 sculture 2 pietra 1 pietra 2 pietra 3 metalli su pietra osservazioni • che cosa avete notato di “anormale”? • • • • • per esempio: incrostazioni bianche sui mattoni (di che cosa?) parziale demolizione dei mattoni (perché?) distacco di intonaco dai mattoni (come mai?) pietra bianca con macchie scure (di che natura e in quali zone dell’opera?) • sculture che hanno perso loro parti (perché? e quali?) qualche domanda… • quali ipotesi si potrebbero fare sui fenomeni? • è possibile confermarle? • è possibile programmare interventi per eliminare/ridurre i problemi? • secondo quali criteri? • la chimica potrebbe servire? da sola oppure no? • la storia della chimica e della tecnologia può aiutare, come anche qualche nozione di chimica fisica delle soluzioni… qualche risposta sui mattoni… quelle incrostazioni bianche sono costituite di sali marini (basta fare una semplice analisi) • come mai ne troviamo così tanti sui mattoni di Venezia? • è colpa della “risalita capillare” • la soluzione di sali (acqua della laguna) penetra nei pori fino ad arrivare in superficie: qui parte del solvente evapora; quando si arriva alla saturazione, i sali iniziano a cristallizzare • è un problema solo estetico? il degrado dei mattoni… a parte che non è “bello” vedere queste patine bianche sul rosso del mattone… c’è qualcosa di ancora più grave: • molti sali sono igroscopici (vedi NaCl) e mantengono perciò umida la muratura • alcuni sali possono diventare “idrati”, aumentando il volume e spaccando il mattone se si trovano al loro interno • se tra mattone e rivestimento esterno si ha efflorescenza salina, questa può provocare il distacco del rivestimento (oppure la soluzione è costretta a salire ancora più su) • che fare? qualche soluzione… è evidente che sarebbe auspicabile eliminare la risalita (se non si può eliminare l’acqua) si può pensare a tecniche come: • taglio orizzontale del muro (tecnica meccanica) • tecnica cuci-scuci con mattoni impermeabilizzati (mista, meccanica-chimica) • impermeabilizzazione diretta della muratura con materiali idrorepellenti fluidi (chimica) • come si interpreta teoricamente l’intervento dal punto di vista chimico? interpretazione chimico-fisica… la risalita capillare è dovuta all’interazione dell’acqua con le pareti polari dei pori • per eliminare o ridurre l’interazione occorre rendere meno polari (o apolari se possibile) le pareti dei pori; come indagare sulla polarità? a: su superficie polare a b: su superficie protetta c: su superficie apolare a: angolo di contatto forze di adesione e di coesione un esempio semplificato… il mattone è costituito di silicati, perciò la superficie ultima dei pori presenterebbe solo atomi di ossigeno: ma essendo umido l’ambiente, per Si O somma di H2O, avremo invece Si ossidrili OH Si OH Si OH gli OH interagiscono con l’acqua della soluzione mediante legami H; è come se l’acqua potesse arrampicarsi lungo le pareti dei pori come si potrebbe fare? visto che il problema sta nella polarità degli OH, dovremmo cercare di renderli “passivi”, non polari se li facessimo reagire, per esempio, con qualcosa di “apolare”, avremmo risolto il problema: Si OH Si OH Cl + Cl Si CH3 -2HCl Si O CH3 Si O Si CH3 CH3 il reagente si chiama dimetil dicloro silano e il processo “silanizzazione” passiamo a intonaci e pietre • risale ad oltre due millenni fa la scoperta delle capacità “adesive” delle malte: CaCO3 calore (T=800-900°C) +CO2 CaO + CO2 +H2O lentamente! anche 9-12 mesi Ca(OH2) che può succedere? • malte, intonaci, pietre calcaree, sono costituite di (o contengono) carbonato di calcio: SO2 da combustione + ossidazione CaCO3 SO3 in acqua CaSO4 + CO2 +H2O CaSO4 2H2O gesso e che differenza c’è? • calcare (CaCO3) e gesso (CaSO42H2O) hanno volumi diversi e solubilità diversa (il gesso è più di 100 volte più solubile del calcare) perciò: • il gesso viene portato via dall’acqua piovana molto più facilmente (parte del materiale se ne va via e si perdono i profili, se sono statue) • a causa dell’aumento di volume quando il solfato di calcio diventa gesso, si spacca la struttura della pietra ma cosa avevamo notato? • che alcune opere avevano perso loro parti ma soprattutto che alcune presentavano zone più scure della pietra di cui sono fatte • da una osservazione più accurata si può notare che le parti più scure corrispondono a zone più protette dall’acqua piovana • sembra cioè che le zone chiare siano state ripulite dalla pioggia… • che sia vero? e perché? una risposta c’è • l’ipotesi che è stata fatta è che le parti scure, chiamate “croste nere”, possano essere portate via dalla pioggia; ma allora, di che cosa sono fatte, visto che il resto dell’opera non viene portato via? come si può fare per conoscerne la composizione? • si può fare una serie di analisi anche con strumenti complicati (spettri RX, Auger, massa, analisi chimiche, microscopio elettronico,…) • e che cosa si è riscontrato? cosa sono le croste nere? • le croste sono essenzialmente costituite da: • un supporto di gesso (CaSO42H2O proveniente dal degrado del calcare) che ne è la parte principale e mantiene, provvisoriamente, la forma iniziale • particelle di carbonio attivo (proveniente da combustione imperfetta, da smog), • micro particelle metalliche (Fe, Co, Ni, Pd, Pt, ecc. ora anche dalle marmitte catalitiche) • queste particelle catalizzano l’ossidazione di SO2 a SO3 e accelerano perciò il degrado cosa fa la pioggia? • l’effetto del dilavamento da parte della pioggia è quello di solubilizzare il supporto di gesso e di portare via, assieme alle particelle nerastre, anche una non indifferente quantità di materiale: • la conseguenza è che l’opera d’arte (statua o monumento o decorazione edilizia) perde il suo disegno, il profilo, e tende a diventare informe e arrotondata • dove la pioggia non arriva, resta la crosta nera, ma anche, almeno per un certo tempo, la forma… cosa si potrebbe fare? • l’ideale sarebbe proteggere l’opera dalle piogge acide, dallo smog, dal dilavamento; per esempio trasferendola al coperto in zona protetta • ciò si può fare però solo con statue (e non sempre), ma non con monumenti (che però perdono meno i loro profili: spesso ci si limita a pulire le superfici con acqua nebulizzata, non sabbiature, che asportano troppo materiale) • alternativa: operare sul posto risanando l’opera, bloccando il degrado (non ricostruendo!) e proteggendola da degrado ulteriore • ma come? e qui torna il chimico! che tipi di interventi? • l’intervento può essere complesso e prevedere diverse fasi (in sequenza rigida, però, e dopo accurate indagini preliminari): • consolidamento della crosta (se sotto la crosta c’è vuoto, anche riempimento) con sostanze consolidanti adatte • pulizia superficiale (acqua nebulizzata, tamponi con sostanze sgrassanti e assorbenti) • impregnazione del materiale con sostanze idrorepellenti (impediscono all’acqua di sostare) e traspiranti (permettono al vapore acqueo di uscire) uno può fare come vuole? • certamente no: anche se in passato sono stati fatti danni irrimediabili • l’UNESCO ha definito una serie di regole da rispettare • la prima e più importante è che l’intervento deve sempre essere reversibile (si deve poter eliminare il materiale usato per la protezione) • ciò significa che alcune sostanze sono assolutamente proibite (per es. resine epossidiche, insolubili…) • un’altra regola impone anche una accurata ricerca di carattere storico sull’opera e sui materiali usati, e di utilizzare possibilmente materiali uguali (stessa cava di marmo, per esempio…): lavoro interdisciplinare! chi si interessa di queste cose? • vista la necessità di individuare sempre nuove tecniche analitiche e di indagine, di creare materiali nuovi più efficaci, più duraturi, più protettivi, meno dannosi, più reversibili • ci sono gruppi di ricerca universitari e privati che fanno effettiva ricerca sui materiali • ci sono poi aziende che effettuano i lavori di restauro e che sperimentano anche sul campo tali materiali o nuove tecniche, spesso in stretta collaborazione con l’università • sono solo questi i campi in cui la chimica è attiva per il restauro? chimica del restauro • abbiamo parlato solo di qualche esempio, ma la chimica opera anche nel restauro di: • affreschi (tematiche simili a quelle degli intonaci, ma molto più complesse) • dipinti a olio, su tela o legno • materiali cartacei (manoscritti antichi) • opere in legno (mobili, intarsi, statue) • vetri (vetrate romaniche e gotiche) • opere in metallo (tipo la torre Eiffel) • ecc. spunti didattici partendo da questi esempi nel settore del restauro, poiché si tratta di problemi reali e perciò interdisciplinari, si può creare motivazione alle studio di vari temi in vari settori disciplinari, per esempio: chimica (reazioni redox, di precipitazione, acido base, prodotti di solubilità, cinetica chimica, equilibri in fase gassosa, polarità dei materiali, polimeri organici…) fisica (capillarità e angolo di contatto liquido/solido, variazioni di volume di sali, solubilità, …) biologia (sviluppo di muffe e batteri, e biochimica…) tecnologia (interventi di consolidamento e di protezione dei manufatti, pulitura di superfici…) conclusioni partire da un problema reale (di carattere ambientale, territoriale, sanitario, alimentare, ecc.) anziché da un “programma” precostituito; far lavorare gli studenti per cercare di capire che cosa serva loro, dal punto di vista scientifico, per riuscire a interpretare i fenomeni e per cercare di risolvere il problema è utile per motivarli ad apprendere concetti, metodi e procedure di carattere chimico e a creare connessioni tra di essi per avere una chiave di lettura della realtà la conoscenza chimica diventa così concreta ed utilizzabile (e non solo utile per superare una prova od un esame…)