Il mondo è un bel libro, ma poco serve a chi non lo sa leggere. (dalla commedia “La Pamela Nubile”) DIANA DEBORA, MEREU FEDERICA E ZUCCA LINDA 4ªF 2011/2012 Carlo Osvaldo Goldoni (Venezia, 25 febbraio 1707 – Parigi, 6 febbraio 1793) è stato un drammaturgo, scrittore e libretti sta veneto. Goldoni è considerato uno dei padri della commedia moderna e deve parte della sua fama anche alle opere in lingua veneta. Nacque da una famiglia borghese di origini modenesi . Trovatosi in difficoltà finanziarie si trasferì a Roma per studiare medicina. Pare non fosse riuscito a conseguire la licenza di medico, ma divenne comunque farmacista; esercitò la professione a Perugia, richiamando a sé tutta la famiglia. A Venezia nel 1721, fece praticantato presso lo studio legale dello zio. Nel 1723 passò al collegio Ghislieri di Pavia ma vi venne espulso prima di concludere il terzo anno per essere l'autore di un'opera satirica. A Pavia ebbe così inizio un periodo piuttosto avventuroso della sua vita per poi riprendere gli studi a Modena. Si trasferì in Veneto dove elaborò le prime opere comiche, ancora in forma dilettantesca. La passione per il teatro caratterizzò la sua esistenza. Con l'improvvisa morte del padre, si dovette prendere carico della famiglia. Completò in seguito gli studi a Padova, ed intraprese la carriera forense. Incontrò a Verona il capocomico Giuseppe Imer e con lui tornò a Venezia dopo aver ottenuto l'incarico di scrivere testi per il teatro San Samuele. In questo periodo nacquero le prime tragicommedie scritte per questa compagnia a partire da Il Belisario fino al Giustino. Nel 1738 Goldoni diede al teatro San Samuele la sua prima vera commedia, il Momolo cortesan, con la parte del protagonista interamente scritta. A Venezia, dopo la stesura della sua prima commedia interamente scritta, La donna di garbo fu costretto a fuggire a causa dei debiti. Continuò a lavorare nel teatro durante la guerra di successione austriaca curando gli spettacoli di Rimini; poi soggiornò in Toscana. Nel 1748 scrisse per la compagnia Medebach una serie di commedie in cui, realizza i principi di una "riforma" del teatro. Dopo aver rotto con il Medebach, Goldoni assume un nuovo impegno con il teatro San Luca. Comincia quindi un periodo travagliato in cui scrive varie tragicommedie e commedie. Dovette adattare i propri testi innanzitutto per un edificio teatrale ed un palcoscenico più grandi di quelli a cui era abituato, e poi per attori che non conoscevano il suo stile: fra le tragicommedie ebbe un gran successo la Trilogia persiana; tra le commedie si possono ricordare La cameriera brillante, Il filosofo inglese ed il capolavoro Il campiello. Ebbe dei grandi risultati artistici con Gl'innamorati, commedia in italiano e in prosa, con I rusteghi, in veneziano. Nel 1761 Goldoni fu invitato a recarsi a Parigi per occuparsi della Comédie Italienne. Giunto a Parigi aderì subito alla politica francese, dovendo anche affrontare varie difficoltà a causa dello scarso spazio concesso alla Commedia Italiana e per le richieste del pubblico francese, che identificava il teatro italiano con quella commedia dell'arte da cui Goldoni si era tanto allontanato. Goldoni riprese una battaglia di riforma: la sua produzione presentava testi destinati alle scene parigine e a quelle veneziane. Goldoni insegnò l'italiano alla famiglia reale, alle figlie del re di Francia Luigi XV a Versailles. Tra il 1784 e l'87 scrisse in francese la sua autobiografia, Mémoires. La rivoluzione francese sconvolse la sua vita e, con la soppressione delle pensioni, in quanto concesse dal re, morì in miseria il 6 febbraio 1793, 19 giorni prima di compiere 86 anni. La prima volta che s'incontra la definizione di commedia dell'arte è nel 1750, nella commedia Il teatro comico di Carlo Goldoni. L'autore veneziano parla di quegli attori che recitano "le commedie dell'arte" usando delle maschere e improvvisano le loro parti, riferendosi al coinvolgimento di attori professionisti ed usa la parola "arte" nell'accezione di professione, mestiere, ovvero l'insieme di quanti esercitano tale professione. Commedia dell'arte dunque come "commedia della professione" o "dei professionisti". In effetti in italiano il termine "arte" aveva due significati: quello di opera dell'ingegno ma anche quello di mestiere, lavoro, professione (le Corporazioni delle arti e mestieri). La commedia dell'arte però è nata in Italia nel XVI secolo e rimasta popolare sino al XVIII secolo, grazie ad una serie di contingenze fortunate che si susseguirono intorno a quegli anni ovvero le condizioni politiche e sociali che sconsigliavano una produzione teatrale incentrata sui contenuti, sull'impegno politico e sulla polemica sociale. Non si trattava di un genere di rappresentazione teatrale, bensì di una diversa modalità di produzione degli spettacoli. Le rappresentazioni non erano basate su testi scritti ma dei canovacci detti anche scenari, i primi tempi erano tenute all'aperto con una scenografia fatta di pochi oggetti. Le compagnie erano composte da dieci persone: otto uomini e due donne. All'estero era conosciuta come "Commedia italiana". Goldoni, che con la sua riforma del teatro eliminò il cattivo gusto della commedia dell’arte, abolì gradualmente l’uso delle maschere e sostituì il canovaccio con un copione. Goldoni più che un letterato, era un uomo di teatro che lavorava a diretto contatto con il pubblico, di cui ne conosceva i gusti e le preferenze. Obbligò gli attori a riferirsi a un testo scritto, rinunciò alle facili buffonerie, eliminò gradualmente le maschere, conferendo loro un'individualità sempre più marcata, trasformando la commedia dell'arte in "commedia di carattere" e inserì l'azione nel concreto tessuto sociale della classe borghese mercantile, mentre il tradizionalista Carlo Gozzi ricorse ad argomenti fiabeschi ed esotici con note patetiche e satirici riferimenti a personaggi e costumi contemporanei. La risposta negativa da parte di attori e pubblico fu ovvia: gli attori si vedevano tolte le loro abitudini e il pubblico assisteva non più a commedie dove si rideva di gusto, bensì dove si "sorrideva" per la sottigliezza di alcune battute. Inoltre la fama degli attori era minore, la bravura stava nello scrittore dell'opera, molto meno nell'esposizione del personaggio. Altra novità di Goldoni è la sua esigenza moralizzatrice: la commedia deve insegnare il buon senso borghese, senza moralismi, anzi con grande fiducia nella natura umana: non per caso Goldoni appartiene al ’700 illuminista, animato da ideali di tolleranza e pacifica convivenza tra gli uomini. Così Goldoni cambia le ambientazioni, cambia i personaggi rappresentati. Non si tratta più del ricco col servo povero, ma si parla di una simpatica e furba locandiera, come Mirandolina, o di un attento "caffettiere", come Ridolfo; è con tali personaggi che Goldoni dice "stop" all'idealizzazione. Arlecchino, Colombina è la notissima maschera bergamasca, è il servo imbroglione, perennemente affamato, per lui Carlo Goldoni scrisse ’’Il servitore di due padroni’’. servetta. Fa spesso coppia con Arlecchino, e le sue doti sono la malizia e una certa furbizia e senso pratico. Pantalone, o il Pulcinella, è la notissima Magnifico, è una famosissima maschera veneziana. Anziano mercante, entra spesso in competizione con i giovani nel tentativo di conquistare qualche giovane donna. maschera napoletana. Una delle più famose, forse la più famosa per riconoscibilità e per caratteristiche caratteriali e comportamentali. Servo spesso malinconico, mescola le caratteristiche del servo sciocco con una buona dose di saggezza popolare. Il Capitano: è Brighella, spesso nei panni di "primo Zann i", è il servo furbo, in contrapposiz ione con il "secondo Za nni", Arlecchino. il militare spaccone e buffonesco, fra i Capitani più celebri ci sono Capitan Spaventa, Capit an Rodomonte e C apitan Cardone. Pierrot, o Pedrolino, nasce come Zanni modificandosi poi nel famoso personaggio romantico grazie al mimo Jean-Gaspard Debureau. Stenterello, maschera fiorentina che ebbe molta fortuna in Toscana tra la fine del Settecento e tutto il secolo successivo Tartaglia, mezzo cieco e balbuziente, entra tra il numero dei "vecchi" spesso nel ruolo del notaio. Il capolavoro degli anni fra il 1750 ed il 1753, e forse la sua opera più famosa, è La locandiera. La locandiera Mirandolina che gestisce la locanda lasciatale dal padre è corteggiata dai suoi clienti, il marchese di Forlipopoli ed il conte d’Albafiorita, che sono per causa sua affezionati clienti della locanda. Il cameriere Fabrizio, a cui il padre di Mirandolina aveva promesso la figlia, è geloso per i doni e le attenzioni degli ospiti, ma la locandiera lo trattiene presso di se promettendogli di sposarlo. Nonostante i litigi tra il conte ed il marchese, tutto va per il meglio per Mirandolina, che anzi riceve molti regali dagli spasimanti. Alla locanda giunge un nuovo cliente, il cavaliere di Ripafratta, che fa mostra di disprezzare le donne, e ancor più Mirandolina che vede circondata dalle attenzioni dei due nobili. Mirandolina si prende però abilmente gioco di lui assecondandolo nel suo odio per le donne, gli dedica particolari attenzioni facendo credere che non vuole gratitudine. Il cavaliere trovandosi innamorato decide di partire, ma Mirandolina fingendo qualche lacrima ed uno svenimento lo trattiene, tormentato dall’amore, dalla vergogna, dalla gelosia per Fabrizio. Mirandolina rifiuta i regali del cavaliere; si burla di lui che gli confessa di amarla, fingendo di non credergli; lo ingelosisce. Il cavaliere sdegnato reagisce in maniera imprevedibile: minaccia il Fabrizio e il marchese, sfida il conte a duello perché non vuole ammettere di essere innamorato della locandiera. A questo punto intervengono Fabrizio e Mirandolina, la quale dichiara che il cavaliere non e’ innamorato di lei, e rivela di aver solo finto di piangere e svenire; per finire, a maggior prova di quanto ha detto sui sentimenti del cavaliere, poiché chi non ama non prova gelosia, annuncia il suo matrimonio con Fabrizio. Il cavaliere, irato per l’inganno, maledice Mirandolina e lascia immediatamente la locanda. Mirandolina, dopo i rischi che ha corso a causa del cavaliere, decide di dedicarsi al matrimonio e chiede al conte e al marchese di lasciare la locanda. Mirandolina: e’ la maliziosa locandiera che accetta la corte dei suoi clienti, riuscendo contemporaneamente a tenere legato a se il cameriere promesso sposo Fabrizio. Rappresenta le donne che si dilettano a tenere in proprio potere gli uomini, strapazzandoli e usandoli in qualsiasi modo desiderano. Il trionfo di Mirandolina su coloro che disprezzano le donne è solo apparente: in questa commedia riceve la sua punizione: il cavaliere che a tutti costi vuole umiliare, a causa delle sue scenate violente, la costringe a correre ai ripari e a sposare Fabrizio. Cavaliere di Ripafratta: ha la presunzione di essere inattaccabile al fascino femminile, oppone alle arti delle donne il proprio disprezzo, ma è facilmente vinto da Mirandolina. Si vergogna dei suoi sentimenti di fronte ai conoscenti. Alla fine ammette che per vincere le donne non basta disprezzarle, ma fuggirle. Fabrizio: è il cameriere di Mirandolina e suo futuro marito, di cui la locandiera fa quello che vuole. Nonostante la sua perplessità di fronte al comportamento di Mirandolina, che accetta la corte degli avventori e si diletta ad innamorare gli uomini, si fa presto convincere a sposarla, con solo poche parole e qualche moina. Marchese di Forlipopoli: rappresenta il nobile decaduto, fuori dal suo tempo, che continua a fare affidamento sul suo titolo nobiliare, mentre quello che conta è il denaro. è avaro, ma vanitoso e presuntuoso. Conte d’Albafiorita: è un membro della nobiltà ricca, che ammette di dovere la sua influenza al denaro e lo considera molto più importante della presunta influenza del marchese e della protezione che egli può offrire alla locandiera. I temi della locandiera Ambientazione spaziotemporale Nella commedia non ci sono riferimenti al di fuori del mondo reale e sensibile. I temi sono quelli della seduzione, dell’amore inteso come sentimento umano ed ingannevole, della presunzione di poter controllare razionalmente i propri sentimenti. la donna in questa commedia è un nemico da fuggire, che maltratta e sfrutta coloro che prende al suo laccio (l’amore come arma), mentre gli uomini sono ai suoi piedi, incapaci di comprendere in che modo vengono raggirati (tema dell’intontimento amoroso?). L’amore per la donna è un mezzo per avere influenza, così come lo è il denaro per il conte ed il titolo per il marchese. L’autore sembra incoraggiare l’odio verso le donne come Mirandolina, nella terribile invettiva del Cavaliere, quando gli viene svelato di essere stato raggirato. La commedia è ambientata a Firenze in una locanda. Il tempo è contemporaneo a quello in cui scrive l’autore, che per la sua nuova commedia si rifà alla vita di tutti i giorni. Il 1700 è il secolo dell’illuminismo in cui ogni riferimento al di fuori del mondo reale non è considerato, così come non vi sono accenni alla religione. In questo periodo la nobiltà in quanto tale perde d’importanza, mentre è fondamentale il potere economico dei nobili, specie al di fuori dei loro territori. La commedia infatti si riferisce al mondo della borghesia che incomincia ad avere in questo secolo grande importanza (bisogna aver presente la rivoluzione francese),e che costituiva il pubblico delle commedie di Goldoni. MARCHESE: Fra voi e me ci è qualche differenza. CONTE: Sulla locanda1 tanto vale il vostro denaro, quanto vale il mio. MARCHESE: Ma se la locandiera usa a me delle distinzioni, mi si convengono più che a voi. CONTE: Per quale ragione? MARCHESE: Io sono il Marchese di Forlipopoli. CONTE: Ed io sono il conte di Albafiorita. MARCHESE: Si, Conte! Contea2 comprata. CONTE: Io ho comprato la contea, quando voi avete venduto il marchesato. 1.sulla locanda: alla locanda; 2.contea comprata: il conte è un arricchito che si è comprato il titolo; 3. venduto il marchesato: il marchese, nobile spiantato, ha dovuto vendere le terre che costituivano il suo feudo. MARCHESE: Oh basta: son chi sono, e mi si deve portare rispetto. CONTE: Chi ve lo perde il rispetto? Voi siete quello, che con troppa libertà parlando… MARCHESE: Io sono in questa locanda, perché amo la locandiera. Tutti lo sanno, e tutti devono rispettare una donna che piace a me. CONTE: Oh, quest’è bella! Voi mi vorreste impedire ch’io amassi Mirandolina? Perché credete ch’io sia in questa locanda? MARCHESE: Oh bene. Voi non farete niente.4 CONTE: Io no, e voi si? MARCHESE: Io si e voi no. Io son chi sono. Mirandolina ha bisogno della mia protezione5. 4.non farete niente: non concluderete niente; 5. della mia protezione: lo spiantato marchese non può fare grandi regali come il conte. SERVITORE: Signora padrona, prima di partire son venuto a riverirvi. MIRANDOLINA: Andate via? SERVITORE: Sì. Il padrone va alla Posta. Fa attaccare: mi aspetta colla roba, e ce ne andiamo a Livorno. MIRANDOLINA: Compatite, se non vi ho fatto... SERVITORE: Non ho tempo da trattenermi. Vi ringrazio, e vi riverisco. (Parte.) MIRANDOLINA: Grazie al cielo, è partito. Mi resta qualche rimorso; certamente è partito con poco gusto. Di questi spassi non me ne cavo mai più. CONTE: Mirandolina, fanciulla o maritata che siate, sarò lo stesso per voi. MARCHESE: Fate pure capitale della mia protezione. MIRANDOLINA: Signori miei, ora che mi marito, non voglio protettori, non voglio spasimanti, non voglio regali. Sinora mi sono divertita, e ho fatto male, e mi sono arrischiata troppo, e non lo voglio fare mai più. Questi è mio marito... FABRIZIO: Ma piano, signora... MIRANDOLINA: Che piano! Che cosa c'è? Che difficoltà ci sono? Andiamo. Datemi quella mano. FABRIZIO: Vorrei che facessimo prima i nostri patti. MIRANDOLINA: Che patti? Il patto è questo: o dammi la mano, o vattene al tuo paese. FABRIZIO: Vi darò la mano... ma poi... MIRANDOLINA: Ma poi, sì, caro, sarò tutta tua; non dubitare di me ti amerò sempre, sarai l'anima mia. FABRIZIO: Tenete, cara, non posso più. (Le dà la mano.) MIRANDOLINA: (Anche questa è fatta). (Da sé.) CONTE: Mirandolina, voi siete una gran donna, voi avete l'abilità di condur gli uomini dove volete. MARCHESE: Certamente la vostra maniera obbliga infinitamente. MIRANDOLINA: Se è vero ch'io possa sperar grazie da lor signori, una ne chiedo loro per ultimo. CONTE: Dite pure. MARCHESE: Parlate. FABRIZIO: (Che cosa mai adesso domanderà?). (Da sé.) MIRANDOLINA: Le supplico per atto di grazia, a provvedersi di un'altra locanda. FABRIZIO: (Brava; ora vedo che la mi vuol bene). (Da sé.) CONTE: Sì, vi capisco e vi lodo. Me ne andrò, ma dovunque io sia, assicuratevi della mia stima. MARCHESE: Ditemi: avete voi perduta una boccettina d'oro? MIRANDOLINA: Sì signore. MARCHESE: Eccola qui. L'ho ritrovata, e ve la rendo. Partirò per compiacervi, ma in ogni luogo fate pur capitale della mia protezione. MIRANDOLINA: Queste espressioni mi saran care, nei limiti della convenienza e dell'onestà. Cambiando stato, voglio cambiar costume; e lor signori ancora profittino di quanto hanno veduto, in vantaggio e sicurezza del loro cuore; e quando mai si trovassero in occasioni di dubitare, di dover cedere, di dover cadere, pensino alle malizie imparate, e si ricordino della Locandiera. Con le Smanie per la villeggiatura Goldoni inaugura una significativa trilogia intorno ai “pazzi preparativi”, alla “folle condotta” e alle “conseguenze dolorose” che provengono da un tenore di vita al di sopra delle righe, quello intrapreso appunto dalla borghesia mercantile veneziana, di cui il ciclo è specchio fedele. Tra corteggiatori, gelosie, amori passionali, sprechi e dispersioni, Goldoni costruisce con sapienza fino dalle intenzioni tre diversi momenti del villeggiare borghese. Il commediografo veneziano concepisce nel medesimo tempo l'idea di tre commedie consecutive. La prima intitolata: Le smanie per la villeggiatura; la seconda: Le avventure della villeggiatura; la terza: Il ritorno dalla villeggiatura”. Con queste commedie ora Goldoni vuole costruire una cornice più ampia alla sua critica della società: negli stessi anni in cui elabora e compone la satira della borghesia veneziana, Goldoni sembra giungere al culmine della sua analisi intorno al ceto dei mercanti arricchiti e ambiziosi, e inevitabilmente tornare all'anima popolare delle classi inferiori, come avviene infatti nelle contemporanee Baruffe chiozzotte. L'ascesa di una classe sociale ambiziosa e frivola, destinata a cogliere più tardi, con la Rivoluzione francese, risultati inattesi, viene sottoposta a un'opera di smontaggio dei propri meccanismi perversi, condannata dalla sua stessa presunzione, dagli egoismi, dalle contraddizioni morali che essa esprime. In questo senso il dialogo con il pubblico e l'interpretazione dei suoi gusti cede il passo a un bisogno più urgente, quello di associare lo sfondo sociale con i risvolti morali della crisi borghese. Nelle Smanie è la partenza per la sospirata vacanza in campagna a scandire tutto il ritmo della commedia, tra dissesti finanziari, ripicche amorose e ambizioni mondane. Nelle Avventure è la protagonista Giacinta ad attirare su di sé l'attenzione dello spettatore, per via di una ricca complessità psicologica con cui Goldoni la rappresenta al pari delle sue altre grandi figure femminili. Infine nel Ritorno le tensioni si stemperano, i caratteri si riavvicinano e le nozze sanciscono un lieto fine che tuttavia non cancella le ombre di una crisi più vasta e irreversibile. Il tema dell'inquietudine, dell'amore, della gelosia è ampliato da Goldoni nella Trilogia della villeggiatura (Le smanie per la villeggiatura, Le avventure della villeggiatura, Il ritorno dalla villeggiatura), assai impegnativa per impianto, azione e temi. Nella trilogia l'amore rischia di travolgere l'onore e le norme morali. Goldoni rappresenta un nucleo familiare messo in pericolo dalla passione amorosa e dalla dissipazione economica, causata dal fatuo desiderio di ben Figurare in società, a cui oppone una saggezza concreta e la consapevolezza dei propri limiti economici e della propria condizione sociale, in una complessa struttura di situazioni, comportamenti, caratteri, ambienti, rappresentando così l'evoluzione del sentimento amoroso, in un crescendo passionale, e riportando poi la situazione nei limiti del buon senso. Tre commedie, una sorta di “miniserie del Settecento”, per raccontare la triste educazione sentimentale di quattro giovani, Vittoria, Giacinta, Leonardo e Guglielmo, colti nel momento dei folli preparativi per le vacanze, poi nel turbinio di vicende che li travolge sul luogo della villeggiatura, infine nell’ora del ritorno in città.