LA LIBERTA’ DI
MANIFESTAZIONE DEL
PENSIERO NELLA
COSTITUZIONE
1. PREMESSA
Il modello generale di tutela dei diritti fondamentali voluto dal
costituente del 1948 si caratterizza per due scelte fondamentali:
1)
Per la scelta di una Costituzione rigida, cioè dotata di una
particolare forza di resistenza passiva nei confronti di tutte le
altre fonti normative subcostituzionali, comprese le leggi del
Parlamento.
Infatti, la legge non può avere contenuti contrari a quanto disposto
dalla Costituzione, pena l’espulsione della legge stessa
dall’Ordinamento giuridico ad opera della Corte Costituzionale,
chiamata appunto a garantirne la rigidità.
Questa scelta di Costituzione rigida “rompe” la continuità con
l’esperienza liberale, la quale aveva scelto un modello di Carta
che poteva essere piegata e abusata dal legislatore, sulle spinte
delle varie maggioranze politiche che si alternavano in
Parlamento.
Nell’esperienza liberale, lo Statuto Albertino agli artt. 24-32
sanciva solennemente i principi “Dei diritti e dei doveri dei
cittadini”, salvo poi che il legislatore liberale interpretava molto
restrittivamente questi diritti, introducendo dei limiti legislativi
tali da svuotare di significato la proclamazione dei diritti.
E’ proprio alla luce di questa esperienza, che i
costituenti vollero porre rimedio agli abusi del
legislatore, introducendo l’istituto della
GIUSTIZIA COSTITUZIONALE, concepito e
sperimentato negli Stati Uniti a partire dai primi anni
dell’ 800.
2) Altra scelta fondamentale, di grande novità rispetto alle
scelte precedenti, quella di introdurre in Costituzione
una dimensione partecipativa dei diritti, cioè che
intende i diritti come strumenti di partecipazione alla vita
dello Stato, e come obiettivo primario dei poteri pubblici
(art. 3, comma 2°).
Dunque, non più solo libertà negative, intese come sfere di
autonomia privata da difendere contro indebite interferenze
pubbliche e private, ma anche libertà positive,
intese riassuntivamente come diritto
all’eguaglianza sostanziale,indicatore principale
del tasso di democraticità effettivo del sistema.
2. LE SCELTE DI TUTELA DEI DIRITTI
FONDAMENTALI NELLA COSTITUZIONE
Nel 1948 entra in vigore la Costituzione: il passaggio dalla
forma di Stato fascista alla forma di Stato di diritto e sociale
coincide con l’introduzione di un nuovo modello di tutela dei
diritti fondamentali che è totalmente nuovo rispetto sia
all’epoca fascista (è ovvio), sia all’epoca liberale. Da
quest’ultima, però, si “mutuano” alcuni importanti elementi:
così l’inserimento in Costituzione di un catalogo di diritti e la
riserva al legislatore di disciplinarne in concreto i limiti di
esercizio dei diritti (anche se altri elementi della Costituzione
contribuiscono ad un modello di garanzia dei diritti
completamente nuovo).
2.1 UN NUOVO CATALOGO DI DIRITTI
L’elenco dei diritti della Costituzione è assai più ricco di
quello statutario.
1) Accanto alle libertà individuali (già previste nello Statuto
Albertino) ricevono valorizzazione le c.d. LIBERTA’
COLLETTIVE, quali la libertà di riunione (art. 17), la
libertà di associazione (art. 18) sia sindacale (art. 39) che
politica (art. 49), oltre naturalmente alla garanzia dei diritti
fondamentali delle formazioni sociali (ad es la famiglia, le
comunità locali, le minoranze linguistiche..)
2) Nuova categoria di diritti anche quella dei DIRITTI
SOCIALI, ancorati al disposto dell’art. 3 comma 2°(“E’
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli economici
e sociali..”), essi attengono agli aspetti primari della vita
sociale: per es. il diritto al lavoro (art. 4), alla salute (art.
32), allo studio (art. 33), alla assistenza e previdenza
sociale (art. 38) allo sciopero (art. 40).
Essi sono diversi dai diritti tradizionali, poiché, non essendo
direttamente esigibili davanti ad un giudice, comportano
necessariamente un intervento positivo dello Stato.
2.2 LE NUOVE GARANZIE: LE RISERVE DI
LEGGE E DI GIURISDIZIONE
La novità più importante è il modello di tutela dei diritti
fondamentali, che coniuga insieme la proclamazione dei
diritti e la loro effettività, questa nuova tutela si esplica:
1)
nella RISERVA DI LEGGE, cioè l’obbligo
costituzionale che sia solo la legge del Parlamento a
disciplinare l’esercizio dei singoli diritti.
In questo senso inoltre, legge non è più libera di determinare a suo
piacimento i motivi che limitano l’esercizio dei diritti: tali
motivi sono già espressamente previsti in Costituzione
(principio di tassatività dei limiti). Ad es., la libertà di
espressione viene limitata dalla clausola generale del buon
costume (art. 21).
- Ciò non esclude che ulteriori limiti possano essere ritenuti
ammissibili, ma sempre e soltanto quando siano
riconducibili con certezza agli interessi costituzionali:
- ad esempio, la libertà di espressione può essere limitata
dall’onore e dalla reputazione delle persone (in quanto diritto
costituzionale di pari grado), il diritto di informazione può
essere limitato dal diritto alla riservatezza (privacy).
2) La nuova tutela dei diritti fondamentali si
esplica inoltre nella RISERVA DI
GIURISDIZIONE, cioè nella riserva al
giudice del potere di applicare ai singoli casi
concreti le limitazioni all’esercizio dei diritti,
disposte dalla legge.
Nella scelta di questo modello di tutela, i Costituenti si avvalsero dei
modelli delle due grandi esperienze che determinarono la nascita del
costituzionalismo moderno:
- L’ESPERIENZA AMERICANA, (Costituzione garanzia)
dalla quale mutuarono l’idea di una Costituzione come
fonte primaria dei diritti fondamentali e come loro
garanzia dell’effettivo rispetto da parte dei poteri pubblici.
- L’ESPERIENZA FRANCESE, (Costituzione garanzia e
Costituzione programma) dalla quale mutuarono l’idea di
una Costituzione come programma delle linee direttive
della futura azione dei poteri pubblici.
3. L’art. 21 della Costituzione: genesi.
Secondo quanto già detto, la genesi dell’art. 21 della Cost. esprime il
tentativo operato dai costituenti di combinare insieme due diverse
impostazioni:
1)
Un’impostazione legata alla concezione di diritti intesi come libertà
negative, come sfere di autonomia da difendere (modello
americano): in questa impostazione è essenziale il rapporto tra apparato
repressivo dei poteri pubblici e singolo titolare del diritto di libertà.
2)
l’altra impostazione legata ad una dimensione attiva dei diritti, quali
strumenti di partecipazione per una compiuta realizzazione del
sistema democratico (modello francese): in questa impostazione lo
Stato ha il compito di garantire la più ampia e piena realizzazione della
libertà di espressione da parte dei singoli, ma anche il compito di garantire
ai cittadini un’informazione il più possibile completa ed imparziale (così
elevando il tasso di democraticità del sistema attraverso una partecipazione
consapevole alla vita dello stesso).
LIBERTA’ DI ESPRESSIONE COME LIBERTA’ NEGATIVA
Come reazione all’esperienza autoritaria fascista, l’impianto
principale legato alla libertà di manifestazione del pensiero
(prevalentemente dedicato alla stampa) risulta tutto centrato
sui principi per arginare indebite interferenze dei poteri
pubblici (dunque a difendere il diritto in termini negativi): in
questo senso il divieto di sottoporre le stampa a divieti o
censure, la rigorosa delimitazione del sequestro della stampa.
LIBERTA’ DI ESPRESSIONE COME DIRITTO DI PARTECIPAZIONE
Tracce significative di questo tipo di impostazione non mancano ove si allarghi lo
sguardo dall’art. 21 ad altre disposizioni costituzionali.
Principalmente, si può dire che nell’espressione <<Tutti sono liberi di manifestare
liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione>> è presente sia la libertà dei contenuti dei messaggi comunicativi,
sia la loro libera diffusione attraverso qualsiasi mezzo: ciò richiama tutta la
tematica dei <<mezzi>> di comunicazione, degli interessi di chi comunica, e di
chi è destinatario della comunicazione.
Secondariamente, si segnala la distinzione tra libertà di manifestare il pensiero e
libertà di comunicazione interpersonale (art. 15, corrispondenza), nella quale è
implicito il riconoscimento che la prima si rivolge ad un pubblico
indifferenziato.
Infine, si pensi al nesso tra tutela dei diritti e partecipazione politica e sociale (art.
3, c. 2°) che trova proprio nella libertà di manifestazione del pensiero una delle
sue espressioni più importanti.
Proprio su questi argomenti, sulla libertà di
manifestazione del pensiero come libertà
negativa e come diritto di partecipazione,
verranno impostati e risolti gli innumerevoli
problemi che il grande sviluppo dei mezzi
di comunicazione sociale ha suscitato, e sui
quali sono stati chiamati a cimentarsi sia il
legislatore che la Corte Costituzionale.
3.1 IL CONTENUTO DELLA GARANZIA COSTITUZIONALE
Come abbiamo già detto, il diritto oggetto di tutela dell’art. 21, non è il
diritto di comunicare liberamente con un destinatario determinato
(situazione tutelata dall’art. 15), ma il diritto di comunicare
liberamente il proprio pensiero al pubblico.
L’art. 21 comma 1°, nella sua dizione così generica, copre infatti tutte le
forme di possibili comunicazioni (radio, televisione, cinema, teatro,
telecomunicazioni, etc).
Nei restanti 6 commi successivi dell’art. 21, il costituente si preoccupò di
disciplinare soprattutto la libertà di stampa, considerata allora come
l’espressione principale della libertà di espressione: a questo
riguardo, l’art. 21 pone 3 principi fondamentali:
1)
2)
3)
Il DIVIETO DI AUTORIZZAZZIONI O CENSURE, da
intendersi come divieto di sottoporre a misure di controllo
amministrativo preventivo sia la produzione di stampati
(autorizzazioni) sia il contenuto degli stampati (censura);
Il DIVIETO DI RICORRERE ALL’ISTITUTO DEL
SEQUESTRO, cioè una forma di intervento successiva alla
pubblicazione, se non per un atto dell’autorità giudiziaria ed
in casi del tutto eccezionali, ossia:
a) quando venga commesso un delitto a mezzo stampa, per il
quale la legge stessa l’autorizzi;
b) quando vengano violate le norme stabilite dalla legge per
l’indicazione dei responsabili dello stampato
l’OBBLIGO DI RENDERE NOTI I MEZZI DI
FINANZIAMENTO DELLA STAMPA PERIODICA, qualora
il legislatore lo stabilisca con una norma.
3.2 IL LIMITE DEL BUON COSTUME E I LIMITI ULTERIORI
L’unico motivo che può giustificare l’introduzione di limiti alla libertà di
espressione è quello previsto dall’ultimo comma dell’art. 21, cioè il
BUON COSTUME: prescrive inoltre l’art. 21 della Cost. che <<la
legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le
violazioni (del buon costume)>>.
Sulla base degli sviluppi della giurisprudenza e sui contributi della
dottrina, è stata abbandonata un’interpretazione ampia del buon
costume, inteso come “morale comune” o “Etica sociale”. Oggi,
l’interpretazione più restrittiva intende il buon costume solo come
riferito alla sfera del pudore sessuale, con particolare riferimento
all’età dello sviluppo dei minori.
Infatti la Corte Costituzionale, con sentenza nr. 9 del 1965, ha inteso il
limite del buon costume come quell’<<insieme di precetti che
impongono un determinato comportamento nella vita sociale di
relazione, la inosservanza dei quali comporta la violazione del pudore
sessuale ..omissis.. della dignità personale che con esso si congiunge
del sentimento morale dei giovani…>>.
Inteso in questo senso, il concetto costituzionale di buon costume finisce
per coincidere con l’art. 529 del Codice penale, il quale precisa che
<<agli effetti della legge penale, si considerano “osceni” gli atti o gli
oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore>>.
L’interpretazione data dalla Corte Cost., sebbene restrittiva del solo limite
del pudore sessuale, ha suscitato una serie di problemi, legati alla
difficoltà di definire in modo stabile dei parametri su cui accertare la
violazione del limite del buon costume, proprio perché l’art. 529 c.p.
allude al “comune sentimento” quale bussola orientativa degli interventi
repressivi del giudice, con la conseguenza di sentenze di giudici non
univoche nel definire il “comune sentimento”.
Altri problemi di applicazione del limite del buon costume sono legati al
fatto se il limite si riferisca a tutti, o solo ai minori, aspetto che
approfondiremo nella lezione dedicata alla Stampa.
Ulteriori problemi di applicazione di tale limite sono legati agli strumenti
utilizzabili per assicurare la tutela del buon costume, in particolare
l’istituto della censura preventiva sugli spettacoli che vedremo nella
parte dedicata al cinema ed al teatro.
* * * *
Oltre al limite espresso del buon costume, la libertà di espressione
subisce ALTRI LIMITI, tutti comunque riconducibili ad interessi
costituzionalmente protetti, essi sono:
1) Il limite dell’ ONORE E REPUTAZIONE
2) Il limite del REGOLARE FUNZIONAMENTO DELLA
GIUSTIZIA
3) Il limite della SICUREZZA DELLO STATO
4) Il limite del diritto alla RISERVATEZZA
Anche il limite dell’ONORE e della REPUTAZIONE si radica nel
principio generale della dignità sociale di cui all’art. 3 comma 1°
Cost.
Il rispetto di tale limite è disciplinato da alcune fattispecie penali, quali
l’ingiuria (art. 549 c.p.), la diffamazione (art. 595 c.p.), le varie
fattispecie di oltraggio e vilipendio.
Quanto al reato di diffamazione, per evitare che esso costituisse un
ostacolo eccessivo all’esercizio del diritto di cronaca, la
giurisprudenza (Corte Cost. e Cass. Pen.) ha stabilito una serie di
presupposti, ricorrendo i quali ne viene esclusa la punibilità. Queste
esimenti dalla diffamazione per diritto di cronaca sono:
a) La verità del fatto descritto
b) L’utilità sociale della notizia
c) La correttezza nell’esposizione della notizia
La giurisprudenza costituz e di cassazione ha fatto dunque un’opera di
bilanciamento di due opposti interessi di rango costituzionale.
1)
2) Il limite del REGOLARE FUNZIONAMENTO DELLA
GIUSTIZIA risponde all’esigenza di assicurare una corretta
informazione sulle vicende giudiziarie e di non compromettere
procedimenti giudiziari in corso, per es. a causa di una fuga di notizie .
Il limite è stato disciplinato dagli artt. 684 c.p. (pubblicazione arbitraria di
atti di un procedimento penale) e 685 c.p. (indebita pubblicazione di
notizie concernenti un procedimento penale). Entrambi questi articolo
vanno però letti alla luce del nuovo (1989) codice di procedura penale,
là dove disciplina minuziosamente cosa si può e non si può pubblicare
(art. 114 c.p.p.), tenendo conto di entrambe le esigenze sopra
richiamate, ossia la tutela del corretto svolgimento della giustizia ed il
diritto-dovere di cronaca.
3) Il limite della SICUREZZA DELLO STATO si trova espresso nelle
disposizioni penalistiche degli art. 261 e 262 c.p. che puniscono la
rivelazione di segreti di Stato, cioè notizie che devono rimanere segrete
<<nell’interesse politico, interno o internazionale dello Stato>>.
Il fondamento di questo limite è stato rinvenuto dalla Corte Cost.
nell’interesse della sicurezza nazionale che trova espressione nella
formula solenne dell’art. 52 Cost. che afferma che <<la difesa della
Patria è sacro dovere del cittadino>>.
Naturalmente, anche in questo caso, trattandosi di bilanciare l’interesse
alla libertà di espressione, il legislatore ha disciplinato la nozione di
“sicurezza nazionale” con la legge n. 801 del 1977 (art. 12: <<sono
coperti dal segreto di Stato gli atti i documenti le notizie le attività e ogni altra
cosa la cui diffusione sia idonea a recar danno alla integrità dello Stato
democratico, agli accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste
dalla Costituzione a suo fondamento, all’indipendenza dello Stato rispetto agli
altri Stati, alla preparazione militare e alla difesa..>>).
4) Il limite del DIRITTO ALLA RISERVATEZZA è da ricondursi, come
l’onore e la reputazione, ai diritti personali di cui all’art. 3 Cost.
In questo caso, l’interesse specifico consiste nella <<tutela di quelle
situazioni e vicende strettamente personali e familiari, la quali, anche se
fuori dal domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse
apprezzabile>> ( Corte Cass. N. 2199/1975).
Torna dunque il criterio dell’interesse sociale alla conoscibilità di una
certa notizia, quale scriminante dall’applicazione della legge penale che
punisce le divulgazione di fatti in violazione della riservatezza delle
persone: tale criterio viene applicato dalla giurisprudenza nelle
ipotesi in cui la notorietà del soggetto fa presumere una rinuncia
implicita alla riservatezza.
Il limite della riservatezza ha trovato ampia disciplina nel recente D.Lgs.
N. 196/2003, chiamato impropriamente Codice della Privacy, ed entrato
in vigore il 1° gennaio 2004, il quale, come vedremo, ha dovuto operare
un giusto bilanciamento tra interessi costituzionalmente protetti,
soprattutto in materia di giornalismo.
Deve invece escludersi che tra i limiti ulteriori alla libertà di espressione
possa annoverarsi il limite dell’ORDINE PUBBLICO, troppo generico,
e che consentirebbe forme d’intervento restrittive, come provato dalle
vicende storiche precedenti la Costituzione.
Oggi del generico limite dell’ORDINE PUBBLICO la Costituzione non fa
menzione, allude solo alle sue specifiche accezioni come per es. all’art.
14 (libertà di domicilio e incolumità pubblica), art. 16 – 17 (libertà di
circolazione e soggiorno, libertà di riunione).
4. CONCLUSIONI
I principi sanciti dall’art. 21 Cost., anche se in particolar modo riferiti alla
stampa, vanno intesi come riferiti a tutti i mezzi di comunicazione,
attraverso i quali si esercita la libertà di manifestazione del pensiero.
Tali principi fanno un radicale cambio di rotta rispetto alle esperienze
storiche precedenti, soprattutto sotto 4 profili:
1) Principio della tassatività dei limiti all’esercizio dei diritti
(predeterminazione in Costituzione delle sole ragioni che possono
giustificare l’introduzione di limiti alla libertà di espressione);
2) Principio della riserva di legge (riconduzione al Parlamentolegislatore del potere di disciplinare la manifestazione del pensiero)
3) Principio della riserva di giurisdizione (solo al giudice il potere di
disporre in concreto l’applicazione dei limiti imposti dal legislatore)
4) Principio di inderogabilità dei suddetti principi costituzionali
(inderogabilità assicurata dal giudice di costituzionalità delle leggi).
L’applicazione di questi 4 criteri in materia di libertà di espressione ha
determinato l’affermarsi di un nuovo equilibrio tra i poteri dello Stato e
la libertà di manifestazione del pensiero, ovvero:
all’accentuarsi del ruolo del Parlamento (potere legislativo), si è
accompagnato un attenuarsi del ruolo del Governo (potere esecutivo);
all’accentuarsi dei poteri del giudice, è corrisposto un attenuarsi dei
poteri della polizia.
Insomma, l’esatto contrario di quanto la tradizione fascista e liberale aveva
consegnato ai costituenti.
In conclusione, ed anche per quanto avremo modo di vedere più avanti,
dobbiamo sempre tenere presente che per “effettività della libertà di
espressione” si intende il rispetto, da parte di tutti, dei principi
costituzionali sopra descritti.
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libertà di espressione - Università degli Studi dell`Insubria