Sommario Rassegna Stampa
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Formiche.net
13/10/2015
TURCHIA, TUTTE LE DIFFICOLT? DI ERDOGAN
2
Wired.it
25/09/2015
MEDITERRANEO, LA CRISI ACCORCIA IL DIVARIO NORD-SUD
4
Formiche.net
17/09/2015
CHE SUCCEDE IN TURCHIA AI PROFUGHI?
7
Quotidianodelnord.it
16/09/2015
PAESI DEL MEDITERRANEO, CON LA CRISI DISOCCUPAZIONE E
MIGRAZIONI PROBLEMI TRASVERSALI
9
ItalyNews.it
14/09/2015
MEDITERRANEO, CON LA CRISI IL DIVARIO SI RIDUCE
12
Sanitaliaweb.it
14/09/2015
MEDITERRANEO, CON LA CRISI IL DIVARIO SI RIDUCE
14
Affaritaliani.it
12/09/2015
MIGRANTI, REDDITO PRO-CAPITE E INVESTIMENTI. COSI' LI
AIUTIAMO A CASA LORO
17
Reportcampania.it
12/09/2015
MEDITERRANEO, CON LA CRISI IL DIVARIO SI RIDUCE
19
Aise.it
11/09/2015
MEDITERRANEO: CON LA CRISI IL DIVARIO SI RIDUCE
22
Aise.it
11/09/2015
MEDITERRANEO: CON LA CRISI IL DIVARIO SI RIDUCE/ I DATI DEL
RAPPORTO ISSM-CNR
23
Denaro.it
11/09/2015
AREA MED, RAPPORTO ISSM-CNR DI NAPOLI: CON LA CRISI SI
RIDUCE IL GAP NORD-SUD
24
Ildenaro.it
11/09/2015
AREA MED, RAPPORTO ISSM-CNR DI NAPOLI: CON LA CRISI SI
RIDUCE IL GAP NORD-SUD
27
Insalute.it
11/09/2015
CNR. MEDITERRANEO, CON LA CRISI IL DIVARIO SI RIDUCE
30
Ladiscussione.org
11/09/2015
MEDITERRANEO: RAPPORTO ISSM-CNR, CON LA CRISI IL DIVARIO SI
RIDUCE
33
Meteoweb.eu
11/09/2015
RICERCA: NEL MEDITERRANEO CON LA CRISI IL DIVARIO SI RIDUCE
34
Soldiweb.com
11/09/2015
MARE NOSTRUM, IL QUADRO RESTA IN CHIAROSCURO
39
Cnr - siti web
Cnr
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la Gazzetta del Mezzogiorno
07/10/2015
COSI' NEL MEDITERRANEO NASCE E SI AFFERMA DIRITTO DI
MIGRARE
40
7
Corriere Adriatico
14/09/2015
LA DISOCCUPAZIONE E' UN FENOMENO TRASVERSALE
42
6
Il Quotidiano del Sud - Irpinia
14/09/2015
"LAVORO, LA CRISI DEL MEDITERRANEO"
43
29
il Denaro
12/09/2015
AREA MED, CON LA CRISI NORD E SUD PIU' VICINI
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Turchia, tutte le difficoltà di Erdogan
Turchia, tutte le difficoltà
di Erdogan
13 - 10 - 2015 Emanuele Rossi
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Sinodo, ecco chi sono i 13
cardinali mugugnanti che
hanno scritto a Papa
Francesco. Le foto
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La gestione della situazione interna rischia di sfuggire di mano al presidente, tra le
accuse di incapacità di garantire la sicurezza al Paese e complotti, e con i curdi che
sono ormai sul piede di guerra e lo Stato islamico che ha avviato le proprie azioni
incontrollabili.
Chi è Müller, il cardinale che
sbuffa sulle procedure del
Sinodo. Le foto di Pizzi
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IL FRONTE ESTERNO
De Vito, Frongia, Raggi e
Stefano. Chi sono i più grillini
a Roma secondo Casaleggio.
Le foto
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Ma i problemi per Erdogan arrivano anche dall’esterno, e rischiano di far abbassare
ancora di più i consensi elettorali del presidente. Il Financial Times ha scritto che
l’intervento russo nella guerra civile siriana al fianco del regime potrebbe avere
ripercussioni sui rapporti economici tra Mosca e Ankara. La Turchia è nemica della
Siria, e molto del controverso lassismo nei confronti del traffico di armi e uomini diretti al
jihad siriano si deve anche a questo: il governo lasciava muovere i combattenti diretti ai
gruppi ribelli siriani, anche all’IS, che andavano a combattere un nemico al posto suo, e
in cambio otteneva anche una sorta di tacita pace interna (prima degli ultimi mesi non
c’erano mai stati attentati dell’IS in Turchia).
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RUSSIA E TURCHIA AGLI ANTIPODI
Ora Russia e Turchia si trovano su due lati opposti e inconciliabili del conflitto siriano,
con programmi opposti: la Turchia vuole per prima cosa togliere di mezzo Assad, la
Russia no. Posizioni distanti da sempre, ma finora tenute sedate dall’assenza di un
impegno aperto e diretto nel conflitto proxy siriano. La tensione tra i due Paesi s’è alzata
quando caccia di Mosca in missione di bombardamento sulla Siria hanno violato lo
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13-10-2015
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spazio aereo turco: circostanza che s’è ripetuta più volte in questi dieci giorni di raid
russi e sempre giustificata dal Cremlino come un errore di navigazione (improbabile,
visto le tecnologie dei jet). Erdogan è chiaramente irritato perché, nonostante la visita
ufficiale a Mosca il mese scorso, non è stato avvertito dal suo omologo Vladimir Putin
dell’inizio delle operazioni siriane.
LA NATO INVOCATA
Il presidente turco ha invocato l’aiuto Nato in seguito agli sconfinamenti aerei russi (in
particolare l’articolo 5 dell’accordo di alleanza, quello secondo cui l’aggressione a un
paese membro rappresenta un’aggressione all’intera Nato), chiedendo l’invio di rinforzi,
per deterrenza. E attacca Putin anche minacciando di far saltare l’affare della
costruzione di una centrale nucleare in Turchia, un incarico da 20 miliardi di dollari, per il
momento in mano a ditte russe di consulenza. Ma il rapporto tra Mosca e Ankara è più
di dipendenza che di interdipendenza: la Russia è il secondo partner commerciale della
Turchia, che prende dalla Russia oltre il 60% di gas naturale, rendendola vulnerabile ad
eventuali interruzioni sulle forniture.
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Cucuzza, Maggioni, Moretti
Polegato, Ruspoli e Ughi al
Premio America. Foto di
Pizzi
LA CONTROVERSA GESTIONE DEI PROFUGHI SIRIANI
Tra i problemi “esterni” di Erdogan, c’è anche la crisi migratoria. La Turchia chiede
all’Europa maggiore sostegno nell’accoglienza ai migranti, e la Commissione avrebbe
pronto un piano da 1 miliardo di euro: Erdogan agli occhi del mondo su questo tema
parte da una condizione di credito, avendo già fatto spazio nei suoi territori a milioni di
rifugiati del conflitto siriano, e si teme che altri ne arriveranno visto che le operazioni
russe dirette contro i gruppi combattenti di Hama, Homs e Idlib, potrebbero portare ad un
ulteriore esodo massiccio da queste aree. Però, come sostiene la ricercatrice
dell’Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo del Cnr Eugenia Ferragina su
Formiche.net, «La Turchia non è un paese povero [differentemente dal Libano, dall'Iraq,
o al limite anche dalla Giordania, che hanno ricevuto altrettanti migranti. ndr], ma ha
semplicemente predisposto campi polverosi, senza servizi, senza assistenza di nessun
genere». E dunque, sotto quest’ottica, il governo turco ricoprirebbe anche sulla
questione-migranti un ruolo controverso: starebbe sfruttando l’esternalità prodotte dalla
guerra civile in Siria per i propri interessi. Mostrarsi operoso nell’accoglienza ai migranti,
potrebbe servire per costruirsi un credito internazionale da spendere davanti alle accuse
varie
sull’autoritarismo.
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Pizzi ricorda un Ignazio
Marino (ora defenestrato)
molto coccolato dal Pd e da
Renzi… Foto di archivio
I PROSSIMI APPUNTAMENTI
Sabato il Cancelliere tedesco Angela Merkel sarà in Turchia per incontrare il presidente
Erdogan e il premier Davutoglu, con cui aveva già tenuto un bilaterale qualche settimana
fa, a margine dell’Assemblea generale della Nazioni Unite. Si discuterà di immigrazione,
tema su cui la Merkel s’è fortemente spesa dichiarando accoglienza senza limiti ai
profughi siriani, forse anche nel tentativo di coinvolgere gli altri Paesi. Si discuterà anche
della crisi siriana e delle possibili risoluzioni, un coinvolgimento che potrebbe migliorare i
rapporti tra Turchia e UE, e ci si aspetta sbandieramenti dei media di stato, come
propaganda elettorale.
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De Bortoli, Mieli e Scott
Jovane. La sera andavamo in
via Rizzoli… Archivio Pizzi
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Turchia, perché la
strage di Ankara è
opera dell’Isis
Come si muove Isis in
Turchia
12 - 10 - 2015
Emanuele Rossi
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Emanuele Rossi
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“Corruzione e
competitività” con la
Fondazione Iniziativa
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Mediterraneo, la crisi
accorcia il divario NordSud
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Tra crisi economica, disastro libico, e la guerra in Siria il
Mediterraneo continua a essere un’area determinante per
l’economia europea, ma l’EU sembra non accorgersene
Marco Boscolo Giornalista
058509
Pubblicato settembre 25, 2015
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(La CMA CGM Jules Verne, la più grande portacontainer del mondo – Foto: Gerry Images)
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25-09-2015
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Foglio
Se gli anni Cinquanta vedevano una divaricazione tra l’economia
dell’Europa mediterranea e quella dell’Africa settentrionale, la
indirizzata verso il benessere del boom postbellico (con certi
distinguo) e la seconda ancora imbrigliata da residui coloniali e
arretratezza socio-politica, la crisi economica dalla quale stiamo
uscendo a fatica ha segnato un riavvicinamento. Non che si tratti
di un allineamento nella crescita e nello sviluppo, ma di sicuro
economie come quella tunisina, marocchina o egiziana, più
incentrate sui mercati interni rispetto a quelle europee, hanno
sentito di meno la crisi mondiale, continuando con tutte le
difficoltà a crescere e migliorare.
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Ecco su cosa si
baseranno Jurassic
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12:13
NOVITÀ
Il ritratto del Mare Nostrum che emerge dall’edizione 2015 del
Innovation Award
Rapporto sulle economia del Mediterraneo è in chiaroscuro, a
volte apparentemente contraddittorio. Ma restituisce
AZIENDE
AZIENDE
un’immagine più aderente alla realtà delle analisi politiche che i
governi europei stanno sviluppando attorno alle tratte migratorie.
Memio
“Gli indicatori economici continuano a mostrare tassi di crescita
importanti per l’area del Maghreb e per l’Egitto”, spiega la
curatrice del rapporto Eugenia Ferragina, ricercatrice all’Istituto di
studi sulle società del Mediterraneo del CNR di Napoli. Questo,
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nonostante siano presenti situazioni di tensione come quella
libica e quella egiziana.
“Durante gli anni Novanta”, continua Ferragina, “molti paesi di
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quell’area sono stati oggetto di importanti piani di
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aggiustamento“, qualcosa di simile alle riforme di cui si parla
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molto oggi in Europa. “Non si può dimenticare che hanno portato
a impatti talvolta anche devastanti sul divario sociale,
peggiorandolo”, ma i processi di liberalizzazione sono stati il
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traino di processi di trasformazione che hanno permesso almeno
a una parte di quelle società di farsi trainare dall’economia in
crescita. Così oggi le differenze risultano meno marcate che in
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passato.
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E l’Italia? Il nostro paese si è allineato alle posizioni dell’Europa,
non riuscendo davvero a cogliere le opportunità economiche che
300 serie tv da non perdere
il Mediterraneo presenta. Tra le economie del Vecchio Continente,
2
siamo tra i principali partner commerciali dell’area mediterranee.
di fronte a regimi politici poco democratici di alcuni paesi”. E il
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50 film davvero innovativi
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mosso in modo maldestro”, spiega Ferragina, “chiudendo gli occhi
058509
Ma ciononostante, “nel corso degli anni il nostro paese si è spesso
Pag. 5
25-09-2015
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Foglio
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disastro libico, certo non solo italiano, è la conferma lampante. In
3
generale, la politica sul Mediterraneo dell’Italia e dei paesi del Sud
dell’Europa “è stata debole sia sul fronte politico che su quello
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economico”.
La situazione dei profughi, con l’emigrazione di Siria e Libia che
4
ha raggiunto i livelli dell’area balcanica durante il conflitto degli
anni Novanta, è un banco di prova determinante per capire che
I migliori smartphone del mondo
strada l’Europa e l’Italia vogliono prendere nei prossimi anni.
“L’EU dovrebbe agire sul piano umanitario e politico, ma dovrebbe
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capire che l’unica soluzione deriva dal guardare il fenomeno nel
suo complesso” e lavorare in concerto con i paesi limitrofi a quelli
in conflitto aperto. La vera domanda “non è quanti profughi, ma
Le 50 foto più assurde di sempre
perché”, ragiona Ferragina. Domanda che al momento viene elusa
non solo dall’Italia, ma dall’Europa tutta.
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Che succede in Turchia ai profughi?
Che succede in Turchia ai
profughi?
17 - 09 - 2015 Michele Pierri
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Tutti i politici (e non solo)
alla festa del sigaro Toscano.
Foto di Pizzi
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Quanto è controllato e quanto è frutto del caso l’afflusso di migranti che sempre più
copiosi arrivano in queste ore nel Vecchio Continente? La domanda si fa spazio in un
dibattito dove ha prevalso sinora l’analisi umana, un po’ meno quella politica.
LE AMBIGUITÀ DI ANKARA
Cuba e Fidel Castro si
preparano per dare il
benvenuto a Papa Francesco.
Tutte le foto
Alcuni analisti rilevano che, facendo salva l’oggettiva necessità di fuggire dai conflitti e
dalla povertà, molti immigrati – siano essi politici, di guerra ed economici – troverebbero
spesso sulla loro strada sostegno compiacente di governi intenzionati ad usare la leva
migratoria come una clava o di sollevarsi da un peso. Le critiche sono diverse. Un
esempio, spiega Media-Press Info, sarebbe quello della Turchia, che “distribuirebbe
passaporti falsi sui quali le capitanerie chiuderebbero un occhio”. Mentre Eugenia
Ferragina, ricercatrice dell’Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo del Cnr, e
curatrice del “Rapporto sulle economie del Mediterraneo” uscito il 10 settembre per Il
Mulino, ha evidenziato a Formiche.net come Ankara favorisca l’afflusso di profughi
siriani in Europa. “La Turchia non è un paese povero, ma ha semplicemente predisposto
campi polverosi, senza servizi, senza assistenza di nessun genere”, anche per questo i
profughi si dirigono verso il ricco continente europeo, ha detto.
FOTO
Boschi e Bonifazi festeggiano
il sigaro Toscano. Le foto di
Pizzi
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L’articolo di Media-Press ricorda anche la vicenda di Françoise Olcay, l’ormai ex
console onorario della Francia a Bodrum, sulla costa sud-occidentale della Turchia,
pizzicata a vendere gommoni ai clandestini attraverso un suo negozio di materiale
nautico. Mentre in un editoriale su Le Point, Jean Guisnel si sofferma sul lavoro
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IL RUOLO DELLA FRANCIA
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17-09-2015
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Foglio
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dell’intelligence transalpina, ben a conoscenza dei numeri di questo esodo, dei punti di
smistamento dei migranti, persino delle organizzazioni che nell’ombra controllano
questo traffico.
LE RILEVAZIONI DI PARIGI
Che Parigi abbia a disposizione un quadro completo della situazione lo dimostrano le
parole pronunciate l’11 settembre scorso in una conferenza presso la Società di
Geografia da Christophe Gomart, generale di corpo d’armata a capo della DRM, la
Direction du renseignement militaire incaricata della raccolta tutte le possibili
informazioni che possono aiutare la Francia a prendere le sue decisioni militari. Secondo
l’alto ufficiale, “da 800 mila a un milione di migranti si apprestano a partire dall’altra
sponda del Mediterraneo per approdare in Europa”. Secondo il generale, non previsioni
basate su intuizioni, ma su sofisticate apparecchiature che hanno consentito di mappare
e scoprire nel dettaglio ogni movimento che va dall’Africa subsahariana al nord del
continente. Informazioni che, secondo il militare, sarebbero anche state inviate dalla
Francia al personale della missione europea nel Mediterraneo EUNAVFOR Med,
lanciato lo scorso maggio. Eppure poco o nulla viene fatto. La domanda sottintesa è:
perché?
FOTO
Il terremoto che ha scosso il
Cile. Le foto
LE IPOTESI
“Io – ha scritto l’analista Germano Dottori – sono sempre più convinto che sia in corso
una vera e propria aggressione all’Europa, condotta tramite una tenaglia che ha i suoi
estremi nell’Egeo e nel Canale di Sicilia”.
Una tenaglia che secondo l’editorialista Guido Salerno Aletta, che sul tema ha scritto
un articolo per Teleborsa, sarebbe stata innescata principalmente da Berlino.
“L’annuncio improvviso della Cancelliera Angela Merkel, secondo cui la Germania
avrebbe accolto senza limiti tutti i profughi siriani, è stato accompagnato da fotografie
che ritraevano poveri bimbi con in testa i berretti dei poliziotti tedeschi mentre i loro padri
ostentavano le foto della Cancelliera. E’ stata una bomba mediatica, che ha messo in
moto verso l’Europa balcanica milioni di persone… Ancora una volta – come nella crisi
greca – occorre creare una situazione di crisi endemica, contagiare tutti i Paesi europei
con il flusso di profughi, per rendere immediatamente evidente la gravità della situazione
e la necessità di intervenire. Svuotata dai profughi, la Siria sarà solo un campo di
battaglia, un poligono di tiro”, facendo gli interessi della Turchia. Un copione già noto che
in questo caso coinvolgerebbe, appunto, anche la Turchia. “Ancora una volta… è la
Germania a scuotere l’albero della guerra, combattuta da altri, ma a suo beneficio
economico e strategico. Le sue relazioni con la Turchia sono secolari; l’ambizione di
Ankara ad espandersi verso sud è ancora più antica, perché riconquisterebbe territori
che furono dell’Impero Ottomano. Dopo aver piegato la Grecia, la Germania farebbe da
sponda alle ambizioni della Turchia, che è a sua volta parte della Nato”.
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Chi ha incontrato in Italia il
premier del Kuwait. Tutte le
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Chi ha letto questo ha letto anche:
Renzi e Grasso, tutte le foto
più glaciali. Archivio Pizzi
Vi spiego cosa pensa
Merkel
dell’immigrazione.
Parla De Romanis
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Simona Sotgiu
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16 - 09 - 2015
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Paesi del Mediterraneo, con la crisi
disoccupazione e migrazioni problemi
trasversali
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• SETTEMBRE 16, 2015
disuguaglianza nella concentrazione della ricchezza tra la sponda
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(Sesto Potere) – Bologna – 16 settembre 2015 – Esiste una profonda
MCOLONNA
settentrionale e quella nordafricana, mediorientale e balcanica del
della riva Nord e quelle della riva Sud del Bacino, in parte attribuibile al
rallentamento dei processi di crescita che gli stati europei hanno subito in
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Codice abbonamento:
Mediterraneo , anche se si rileva una relativa convergenza tra le economie
conseguenza della crisi del 2008. Uno dei fenomeni che colpisce in modo
trasversale tutta l’area , però, è quello della disoccupazione
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Questo emerge nell’ undicesima
edizione del ‘Rapporto sulle
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economie del Mediterraneo’,
curata da Eugenia Ferragina
dell’Istituto di studi sulle società
del Mediterraneo del Consiglio
nazionale delle ricerche di
Napoli (Issm-Cnr) ed edita dalla
IMMIGRATI A BORDO DI NAVE CARRETTA
casa editrice di Bologna: “il
CNR
ECONOMIA
IL MULINO
IMMIGRAZIONE
POLITICA
Mulino”, analizza – a 20 anni
dalla Conferenza di Barcellona – criticità, differenze e similitudini dei 25 stati
appartenenti a una delle aree strategicamente più rilevanti del globo: dalle
cause degli attuali flussi migratori all’instabilità politica e istituzionale delle
POLITICA ESTERA
UNIVERSITÀ DI
BOLOGNA
sponde Sud e Sud Est; dalle fluttuazioni della disoccupazione all’erosione
della ricchezza della classe media.
“Se si confrontano i dati relativi al Prodotto interno lordo pro capite in base ai dati aggiornati al 2013 –
afferma Alessandro Romagnoli dell’Università di Bologna – risulta che il Pil pro-capite delle economie
dell’area, in percentuale di quello italiano, si colloca per i Paesi mediterranei aderenti all’euro e Israele
fra il 122 per cento della Francia e il 62 per cento del Portogallo e della Grecia, l’intervallo all’interno del
quale si situano le economie balcanico anatoliche varia invece fra il 38 per cento della Croazia e il 10 per
cento della Bosnia-Erzegovina, e su percentuali anche inferiori si attestano i Paesi arabi della riva Sud
(Tunisia con il 13 per cento, Algeria con l’11 per cento, Giordania con il 10 per cento, Marocco con 9), ed
Egitto, il cui Pil pro-capite è il 5 per cento di quello dell’Italia”.
La distanza economica tra Nord e Sud rimane quindi un fattore caratterizzante del Bacino nonostante le
prestazioni positive di cui le economie sud-orientali della zona sono state protagoniste ancora di
recente. “L’Egitto ha visto aumentare il reddito nazionale lordo pro-capite dai 2.510 dollari del 2010 ai
3.140 del 2013, il Marocco da 2.870 dollari a 3.020, la Tunisia da 4.160 dollari a 4.200”, ricorda Marco
Zupi del Centro studi di politica internazionale (Cespi), e guardando i dati relativi alla povertà estrema
tra le diverse aree del pianeta, “Nord Africa e Medio Oriente risultano in tutto il periodo considerato
dagli obiettivi di sviluppo del millennio (cioè dal 1990 a oggi), la regione con la minor gravità dal
problema, ma anche con meno miglioramenti”. La popolazione che vive con meno di 1,25 dollari al
giorno (valori 2005) nella sponda meridionale del Mediterraneo è nel 2012 del 43%, mentre negli altri
Paesi in via di sviluppo è del 62%. L’aumento del Pil nelle aree sud e sud-est del Bacino, però, “non è
sufficiente a proteggere dal rischio di povertà e al contempo non esiste un sistema di welfare e di
protezioni che rappresenti un’ancora di salvezza”.
Uno dei fenomeni che colpisce in modo trasversale tutta l’area è quello della disoccupazione.
“Certamente l’area che risente maggiormente del
problema è quella balcanica. La fascia che raggruppa
invece il maggior numero di Paesi è quella in cui il tasso è
compreso tra il 13,3 per cento (Tunisia) e il 9,2 per cento
(Marocco). Dentro tale fascia troviamo Paesi diversi tra
loro ma accomunati da una disoccupazione simile: Egitto,
Giordania, Italia, Francia, Slovenia, Turchia, Algeria”,
conclude Zupi. Ad aggravare il divario è invece il minor
afflusso degli investimenti diretti esteri (Ide) nelle aree
SBARCO-IMMIGRATI-A-LAMPEDUSA
politicamente instabili. “I Paesi con le perdite più serie –
nota Anna Ferragina dell’Università di Salerno – sia in termini di stabilità politica che di flussi di Ide
sono stati la Siria, la Libia, l’Egitto, l’Algeria e la Giordania. Gli Ide in Egitto, dopo il picco di 11,6
miliardi di dollari e il successivo collasso a 6,7 nel 2009, tre anni dopo non avevano ancora recuperato a
causa della situazione politica critica e della scarsa sicurezza. In Israele, dopo la cifra record di 20
058509
miliardi di dollari nel 2006, gli Ide sono caduti a meno di 8 miliardi nel 2009, recuperando solo in parte
con 13 miliardi nel 2012”.
Codice abbonamento:
Le debolezze strutturali responsabili di questa scarsa attrattività sono il modello di specializzazione
basato prevalentemente sulle risorse naturali e le dimensioni limitate dei mercati e degli scambi tra i
Paesi della riva Sud. Un altro indice delle potenzialità dell’area è l’incremento dello scambio marittimo.
“Nell’arco degli ultimi 20 anni il Mediterraneo ha riacquistato una nuova centralità nell’interscambio
mondiale di merci, che si accompagna ad una crescita della quota di traffico merci che transita nei porti
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16-09-2015
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della riva Sud del Bacino”, dicono Alessandro Panaro e Luca Forte del Centro studi e ricerche per il
Mezzogiorno (Srm). Per quanto riguarda la movimentazione container, però, “l’Italia è passata dal 46
per cento del totale del 2008 al 43 per cento del 2013, mentre Marocco, Egitto e i Paesi del Medio Oriente
sono cresciuti, nello stesso periodo, dal 35 al 39 per cento”.
Per quanto riguarda le demografie e i flussi migratori, senz’altro il fenomeno di maggior rilevanza
dell’area nel periodo recente, secondo il Rapporto nel quinquennio 2010-2015 il maggiore tasso
immigratorio è quello del Libano (21 per mille), seguito da Giordania e Cipro (rispettivamente 11 e 6):
valori notevolmente superiori a quelli registrati da Italia, Grecia, Spagna e Francia (al massimo del 3 per
mille). “Considerata la situazione precedente al 2010, però, Italia, Spagna, Grecia e Francia contano una
quota di immigrati di origine terzomondiale vicina alla soglia del 10 per cento, uniformandosi ai livelli
che caratterizzano da decenni altri Paesi dell’Unione come Germania, Belgio e Olanda”, osserva
Eugenia Ferragina. Il fenomeno nell’arco degli ultimi 50 anni, osservano Luigi di Comite e Stefania
Girone dell’Università di Bari, assume “un’entità significativamente notevole solo in presenza di
particolari episodi come calamità naturali, grandi crisi politiche ed eventi bellici ed un’entità più esigua
allorché siano dovuti essenzialmente a motivi economici”. Non a caso, in Siria e Libia i tassi di
emigrazione nel 2010-15 hanno raggiunto rispettivamente il 14 e l’8 per mille, mentre in precedenza i
due Paesi erano moderatamente o per nulla interessati da emigrazione: quote paragonabili a quelle
raggiunte da Bosnia Erzegovina, Croazia e Albania nel 1990-95, durante la guerra dei Balcani e la caduta
dei regimi nell’area (rispettivamente 51, 4 e 23 per mille). Nei prossimi anni, l’incremento della
popolazione straniera “potrebbe cominciare a interessare anche qualche Paese mediterraneo non
europeo, come a esempio la Tunisia”.
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Londra – L’undicesima edizione del ‘Rapporto sulle economie del Mediterraneo’, curata da
Eugenia Ferragina dell’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio
nazionale delle ricerche di Napoli (Issm-Cnr) ed edita dal Mulino, analizza – a vent’anni
dalla Conferenza di Barcellona – criticità, differenze e similitudini dei 25 stati appartenenti
a una delle aree strategicamente più rilevanti del globo: dalle cause degli attuali flussi
migratori all’instabilità politica e istituzionale delle sponde Sud e Sud Est; dalle
fluttuazioni della disoccupazione all’erosione della ricchezza della classe media.
Il Rapporto 2015 conferma la disuguaglianza nella concentrazione della ricchezza tra la
sponda settentrionale e quella nordafricana, mediorientale e balcanica, già emersa dalle
precedenti edizioni, anche se rileva una “relativa convergenza tra le economie della riva
Nord e quelle della riva Sud del Bacino, in parte attribuibile al rallentamento dei processi
di crescita che gli stati europei hanno subito in conseguenza della crisi del 2008”, come
spiega Ferragina. “Se si confrontano i dati relativi al Prodotto interno lordo pro capite in
base ai dati aggiornati al 2013 – afferma Alessandro Romagnoli dell’Università di Bologna
– risulta che il Pil pro-capite delle economie dell’area, in percentuale di quello italiano, si
colloca per i Paesi mediterranei aderenti all’euro e Israele fra il 122 per cento della
Francia e il 62 per cento del Portogallo e della Grecia, l’intervallo all’interno del quale si
situano le economie balcanico anatoliche varia invece fra il 38 per cento della Croazia e il
10 per cento della Bosnia-Erzegovina, e su percentuali anche inferiori si attestano i Paesi
arabi della riva Sud (Tunisia con il 13 per cento, Algeria con l’11 per cento, Giordania con
il 10 per cento, Marocco con 9), ed Egitto, il cui Pil pro-capite è il 5 per cento di quello
dell’Italia”.
La distanza economica tra Nord e Sud rimane quindi un fattore caratterizzante del Bacino
nonostante le prestazioni positive di cui le economie sud-orientali della zona sono state
protagoniste ancora di recente. “L’Egitto ha visto aumentare il reddito nazionale lordo procapite dai 2.510 dollari del 2010 ai 3.140 del 2013, il Marocco da 2.870 dollari a 3.020, la
Tunisia da 4.160 dollari a 4.200”, ricorda Marco Zupi del Centro studi di politica
internazionale (Cespi), e guardando i dati relativi alla povertà estrema tra le diverse aree
del pianeta, “Nord Africa e Medio Oriente risultano in tutto il periodo considerato dagli
obiettivi di sviluppo del millennio (cioè dal 1990 a oggi), la regione con la minor gravità dal
problema, ma anche con meno miglioramenti”. La popolazione che vive con meno di 1,25
dollari al giorno (valori 2005) nella sponda meridionale del Mediterraneo è nel 2012 del
43%, mentre negli altri Paesi in via di sviluppo è del 62%. L’aumento del Pil nelle aree
sud e sud-est del Bacino, però, “non è sufficiente a proteggere dal rischio di povertà e al
contempo non esiste un sistema di welfare e di protezioni che rappresenti un’ancora di
salvezza”.
Uno dei fenomeni che colpisce in modo trasversale tutta l’area è quello della
disoccupazione. “Certamente l’area che risente maggiormente del problema è quella
balcanica. La fascia che raggruppa invece il maggior numero di Paesi è quella in cui il
tasso è compreso tra il 13,3 per cento (Tunisia) e il 9,2 per cento (Marocco). Dentro tale
fascia troviamo Paesi diversi tra loro ma accomunati da una disoccupazione simile:
Egitto, Giordania, Italia, Francia, Slovenia, Turchia, Algeria”, conclude Zupi. Ad aggravare
il divario è invece il minor afflusso degli investimenti diretti esteri (Ide) nelle aree
politicamente instabili. “I Paesi con le perdite più serie – nota Anna Ferragina
dell’Università di Salerno – sia in termini di stabilità politica che di flussi di Ide sono stati
la Siria, la Libia, l’Egitto, l’Algeria e la Giordania. Gli Ide in Egitto, dopo il picco di 11,6
miliardi di dollari e il successivo collasso a 6,7 nel 2009, tre anni dopo non avevano
ancora recuperato a causa della situazione politica critica e della scarsa sicurezza. In
Israele, dopo la cifra record di 20 miliardi di dollari nel 2006, gli Ide sono caduti a meno di
8 miliardi nel 2009, recuperando solo in parte con 13 miliardi nel 2012”.
Le debolezze strutturali responsabili di questa scarsa attrattività sono il modello di
specializzazione basato prevalentemente sulle risorse naturali e le dimensioni limitate dei
mercati e degli scambi tra i Paesi della riva Sud. Un altro indice delle potenzialità
dell’area è l’incremento dello scambio marittimo. “Nell’arco degli ultimi 20 anni il
Mediterraneo ha riacquistato una nuova centralità nell’interscambio mondiale di merci,
Terremoto Abruzzo, come aiutare le
popolazioni colpite dal terremoto
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che si accompagna ad una crescita della quota di traffico merci che transita nei porti della
riva Sud del Bacino”, dicono Alessandro Panaro e Luca Forte del Centro studi e ricerche
per il Mezzogiorno (Srm). Per quanto riguarda la movimentazione container, però, “l’Italia
è passata dal 46 per cento del totale del 2008 al 43 per cento del 2013, mentre Marocco,
Egitto e i Paesi del Medio Oriente sono cresciuti, nello stesso periodo, dal 35 al 39 per
cento”.
Per quanto riguarda le demografie e i flussi migratori, senz’altro il fenomeno di maggior
rilevanza dell’area nel periodo recente, secondo il Rapporto nel quinquennio 2010-2015 il
maggiore tasso immigratorio è quello del Libano (21 per mille), seguito da Giordania e
Cipro (rispettivamente 11 e 6): valori notevolmente superiori a quelli registrati da Italia,
Grecia, Spagna e Francia (al massimo del 3 per mille). “Considerata la situazione
precedente al 2010, però, Italia, Spagna, Grecia e Francia contano una quota di immigrati
di origine terzomondiale vicina alla soglia del 10 per cento, uniformandosi ai livelli che
caratterizzano da decenni altri Paesi dell’Unione come Germania, Belgio e Olanda”,
osserva Eugenia Ferragina. Il fenomeno nell’arco degli ultimi cinquant’anni, osservano
Luigi di Comite e Stefania Girone dell’Università di Bari, assume “un’entità
significativamente notevole solo in presenza di particolari episodi come calamità naturali,
grandi crisi politiche ed eventi bellici ed un’entità più esigua allorché siano dovuti
essenzialmente a motivi economici”. Non a caso, in Siria e Libia i tassi di emigrazione nel
2010-15 hanno raggiunto rispettivamente il 14 e l’8 per mille, mentre in precedenza i due
Paesi erano moderatamente o per nulla interessati da emigrazione: quote paragonabili a
quelle raggiunte da Bosnia Erzegovina, Croazia e Albania nel 1990-95, durante la guerra
dei Balcani e la caduta dei regimi nell’area (rispettivamente 51, 4 e 23 per mille). Nei
prossimi anni, l’incremento della popolazione straniera “potrebbe cominciare a interessare
anche qualche Paese mediterraneo non europeo, come a esempio la Tunisia”.
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Mediterraneo, con la crisi il divario si riduce
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Caserta - L’ultimo rapporto sulle economie del mare nostrum, curato da Eugenia
Ferragina dell’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Cnr di Napoli, evidenzia
nelle sponde Sud e Sud Est un quadro in chiaroscuro: aumento del Pil ma scarso
welfare, investimenti stranieri in calo ma aumento del traffico merci marittimo… Mentre
la disoccupazione e le migrazioni sono problematiche trasversali al Bacino.
L’undicesima edizione del ‘Rapporto sulle economie del Mediterraneo’, curata da
Eugenia Ferragina dell’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio
nazionale delle ricerche di Napoli (Issm-Cnr) ed edita dal Mulino, analizza - a vent’anni
dalla Conferenza di Barcellona - criticità, differenze e similitudini dei 25 stati appartenenti
a una delle aree strategicamente più rilevanti del globo: dalle cause degli attuali flussi
migratori all’instabilità politica e istituzionale delle sponde Sud e Sud Est; dalle
fluttuazioni della disoccupazione all’erosione della ricchezza della classe media.
Il Rapporto 2015 conferma la disuguaglianza nella concentrazione della ricchezza tra la
sponda settentrionale e quella nordafricana, mediorientale e balcanica, già emersa dalle
precedenti edizioni, anche se rileva una “relativa convergenza tra le economie della riva
Nord e quelle della riva Sud del Bacino, in parte attribuibile al rallentamento dei processi
di crescita che gli stati europei hanno subito in conseguenza della crisi del 2008”, come
spiega Ferragina. “Se si confrontano i dati relativi al Prodotto interno lordo pro capite in
base ai dati aggiornati al 2013 – afferma Alessandro Romagnoli dell’Università di
Bologna - risulta che il Pil pro-capite delle economie dell’area, in percentuale di quello
italiano, si colloca per i Paesi mediterranei aderenti all’euro e Israele fra il 122 per cento
della Francia e il 62 per cento del Portogallo e della Grecia, l’intervallo all’interno del
quale si situano le economie balcanico anatoliche varia invece fra il 38 per cento della
Croazia e il 10 per cento della Bosnia-Erzegovina, e su percentuali anche inferiori si
attestano i Paesi arabi della riva Sud (Tunisia con il 13 per cento, Algeria con l’11 per
cento, Giordania con il 10 per cento, Marocco con 9), ed Egitto, il cui Pil pro-capite è il 5
per cento di quello dell’Italia”.
La distanza economica tra Nord e Sud rimane quindi un fattore caratterizzante del
Bacino nonostante le prestazioni positive di cui le economie sud-orientali della zona
sono state protagoniste ancora di recente. “L’Egitto ha visto aumentare il reddito
nazionale lordo pro-capite dai 2.510 dollari del 2010 ai 3.140 del 2013, il Marocco da
2.870 dollari a 3.020, la Tunisia da 4.160 dollari a 4.200”, ricorda Marco Zupi del Centro
studi di politica internazionale (Cespi), e guardando i dati relativi alla povertà estrema tra
le diverse aree del pianeta, “Nord Africa e Medio Oriente risultano in tutto il periodo
considerato dagli obiettivi di sviluppo del millennio (cioè dal 1990 a oggi), la regione con
la minor gravità dal problema, ma anche con meno miglioramenti”. La popolazione che
vive con meno di 1,25 dollari al giorno (valori 2005) nella sponda meridionale del
Mediterraneo è nel 2012 del 43%, mentre negli altri Paesi in via di sviluppo è del 62%.
L’aumento del Pil nelle aree sud e sud-est del Bacino, però, “non è sufficiente a
proteggere dal rischio di povertà e al contempo non esiste un sistema di welfare e di
protezioni che rappresenti un’ancora di salvezza”.
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tasso è compreso tra il 13,3 per cento (Tunisia) e il 9,2 per cento (Marocco). Dentro tale
fascia troviamo Paesi diversi tra loro ma accomunati da una disoccupazione simile:
Egitto, Giordania, Italia, Francia, Slovenia, Turchia, Algeria”, conclude Zupi. Ad
aggravare il divario è invece il minor afflusso degli investimenti diretti esteri (Ide) nelle
aree politicamente instabili. “I Paesi con le perdite più serie – nota Anna Ferragina
dell’Università di Salerno - sia in termini di stabilità politica che di flussi di Ide sono stati
la Siria, la Libia, l’Egitto, l’Algeria e la Giordania. Gli Ide in Egitto, dopo il picco di 11,6
miliardi di dollari e il successivo collasso a 6,7 nel 2009, tre anni dopo non avevano
ancora recuperato a causa della situazione politica critica e della scarsa sicurezza. In
Israele, dopo la cifra record di 20 miliardi di dollari nel 2006, gli Ide sono caduti a meno
di 8 miliardi nel 2009, recuperando solo in parte con 13 miliardi nel 2012”.
Le debolezze strutturali responsabili di questa scarsa attrattività sono il modello di
specializzazione basato prevalentemente sulle risorse naturali e le dimensioni limitate
dei mercati e degli scambi tra i Paesi della riva Sud. Un altro indice delle potenzialità
dell’area è l’incremento dello scambio marittimo. “Nell’arco degli ultimi 20 anni il
Mediterraneo ha riacquistato una nuova centralità nell’interscambio mondiale di merci,
che si accompagna ad una crescita della quota di traffico merci che transita nei porti
della riva Sud del Bacino”, dicono Alessandro Panaro e Luca Forte del Centro studi e
ricerche per il Mezzogiorno (Srm). Per quanto riguarda la movimentazione container,
però, “l’Italia è passata dal 46 per cento del totale del 2008 al 43 per cento del 2013,
mentre Marocco, Egitto e i Paesi del Medio Oriente sono cresciuti, nello stesso periodo,
dal 35 al 39 per cento”.
Per quanto riguarda le demografie e i flussi migratori, senz’altro il fenomeno di maggior
rilevanza dell’area nel periodo recente, secondo il Rapporto nel quinquennio 2010-2015 il
maggiore tasso immigratorio è quello del Libano (21 per mille), seguito da Giordania e
Cipro (rispettivamente 11 e 6): valori notevolmente superiori a quelli registrati da Italia,
Grecia, Spagna e Francia (al massimo del 3 per mille). “Considerata la situazione
precedente al 2010, però, Italia, Spagna, Grecia e Francia contano una quota di
immigrati di origine terzomondiale vicina alla soglia del 10 per cento, uniformandosi ai
livelli che caratterizzano da decenni altri Paesi dell’Unione come Germania, Belgio e
Olanda”, osserva Eugenia Ferragina. Il fenomeno nell’arco degli ultimi cinquant’anni,
osservano Luigi di Comite e Stefania Girone dell’Università di Bari, assume “un’entità
significativamente notevole solo in presenza di particolari episodi come calamità naturali,
grandi crisi politiche ed eventi bellici ed un’entità più esigua allorché siano dovuti
essenzialmente a motivi economici”. Non a caso, in Siria e Libia i tassi di emigrazione
nel 2010-15 hanno raggiunto rispettivamente il 14 e l’8 per mille, mentre in precedenza i
due Paesi erano moderatamente o per nulla interessati da emigrazione: quote
paragonabili a quelle raggiunte da Bosnia Erzegovina, Croazia e Albania nel 1990-95,
durante la guerra dei Balcani e la caduta dei regimi nell’area (rispettivamente 51, 4 e 23
per mille). Nei prossimi anni, l’incremento della popolazione straniera “potrebbe
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Migranti, reddito pro-capite e
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armati e crisi economica, ma secondo un rapporto del Cnr la distanza tra le economie delle due
sponde del Mediterraneo si sta attenuando, anche se ancora troppo lentamente. Se l'Europa
riuscirà a spegnere i focolai di tensione e garantire la pace e nuovi flussi di investimenti esteri, la
situazione potrebbe tuttavia stabilizzarsi, con benefiche ricadute per l'ulteriore sviluppo dei
traffici commerciali della regione
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Sabato, 12 settembre 2015 - 13:56:00
Le scene apocalittiche della massa di disperati che dalla sponda Sud del Mediterraneo sbarca
sulle coste italiane o greche, incuranti del costo in termini di vite umane che spesso tali viaggi
comportano, per poi abbattere una dopo l’altra le frontiere dei paesi europei, in una migrazione
verso i paesi del Nord, hanno scosso le coscienze di molti, ma la risposta europea tarda a
manifestarsi in modo unitario. Nel frattempo però uno studio sulle economie dei 25 paesi che si
affacciano sul Mediterraneo, curato da Eugenia Ferragina dell’Istituto di studi sulle società del
Mediterraneo del Cnr di Napoli, permette di fare luce sul fenomeno, evidenziando un quadro in
chiaroscuro. La distanza economica tra Nord e Sud rimane infatti un fattore caratterizzante del
bacino, nonostante le prestazioni positive di cui le economie sud-orientali della zona sono state
protagoniste ancora di recente, riducendo almeno in parte il divario.
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Il video della polizia ungherese
che lancia il cibo ai migranti
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Se a 20 anni dalla Conferenza di Barcellona la disuguaglianza nella concentrazione della
ricchezza tra la sponda settentrionale e quella nordafricana, mediorientale e balcanica viene
confermata, il rapporto 2015 rileva una “relativa convergenza tra le economie della riva Nord e
quelle della riva Sud del bacino, in parte attribuibile al rallentamento dei processi di crescita
che gli stati europei hanno subito in conseguenza della crisi del 2008”, più che ad
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un’accelerazione della crescita dei paesi meno sviluppati. Raffrontando il Pil pro-capite delle
economie dell’area quale percentuale di quello italiano, i paesi mediterranei aderenti all’euro e
Israele si collocano fra il 122% della Francia e il 62% del Portogallo e della Grecia, mentre le
economie balcanico-anatoliche registrano valori fra il 38% della Croazia e il 10% della BosniaErzegovina; su percentuali anche inferiori si attestano i paesi arabi della riva Sud (Tunisia, col
13%, Algeria con l’11%, Giordania col 10%, Marocco col 9%) con l’Egitto, il cui Pil pro-capite è pari
ad appena il 5% di quello italiano. Il perché, al di là delle situazioni di conflitto presenti, chi
possa tenti di fuggire è del tutto evidente, meno la soluzione in grado di rallentare o
interrompere tali flussi nei prossimi anni.
Qualche fragile segnale di miglioramento sembra tuttavia di scorgerlo: “L’Egitto ha visto
aumentare il reddito nazionale lordo pro-capite dai 2.510 dollari del 2010 ai 3.140 del 2013, il
Marocco da 2.870 dollari a 3.020, la Tunisia da 4.160 dollari a 4.200”, sottolinea Marco Zupi, del
Centro studi di politica internazionale (Cespi), mentre confrontando i dati relativi alla povertà
estrema tra le diverse aree del pianeta “Nord Africa e Medio Oriente risultano”, dal 1990 a oggi,
“la regione con la minor gravità dal problema, ma anche con meno miglioramenti”. Il divario,
insomma, si riduce troppo lentamente a causa in particolare di un incremento del Pil nelle aree
sud e sud-est del bacino che appare insufficiente a proteggere dal rischio di povertà e al
contempo dall’insussistenza di un sistema di welfare e di protezioni che rappresenti un’ancora
di salvezza. Ad aggravare il quadro contribuisce certamente l’instabilità politica, che scoraggia
l’afflusso di investimenti diretti esteri (Ide): i paesi con i minori flussi di flussi di Ide sono non a
caso risultati essere la Siria, la Libia, l’Egitto, l’Algeria e la Giordania.
Secondo il rapporto gli Ide in Egitto, dopo il picco di 11,6 miliardi di dollari e il successivo
collasso a 6,7 nel 2009, tre anni dopo non avevano ancora recuperato i livelli pre-crisi, a causa
della situazione politica critica e della scarsa sicurezza. In Israele, dopo la cifra record di 20
miliardi di dollari nel 2006, gli Ide sono caduti a meno di 8 miliardi nel 2009, recuperando solo in
parte con 13 miliardi nel 2012. Oltre all’instabilità politica, ad aggravare la situazione
contribuisce un modello di specializzazione basato prevalentemente sulle risorse naturali e le
dimensioni limitate dei mercati e degli scambi tra i paesi della riva Sud.
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Mediterraneo, con la crisi il divario si riduce
Admin  Set 12, 2015  Esteri  0
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L’ultimo rapporto sulle economie del
mare nostrum, curato da Eugenia
Ferragina dell’Istituto di studi sulle
società del Mediterraneo del Cnr di
Napoli, evidenzia nelle sponde Sud e
Sud Est un quadro in chiaroscuro:
aumento del Pil ma scarso welfare,
investimenti stranieri in calo ma
aumento del traffico merci
marittimo… Mentre la
disoccupazione e le migrazioni sono
problematiche trasversali al Bacino
L’undicesima edizione del ‘Rapporto
sulle economie del Mediterraneo’, curata da Eugenia Ferragina dell’Istituto di studi
sulle società del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (IssmCnr) ed edita dal Mulino, analizza – a vent’anni dalla Conferenza di Barcellona –
criticità, differenze e similitudini dei 25 stati appartenenti a una delle aree
strategicamente più rilevanti del globo: dalle cause degli attuali flussi migratori
all’instabilità politica e istituzionale delle sponde Sud e Sud Est; dalle fluttuazioni della
disoccupazione all’erosione della ricchezza della classe media.
GLI ULTIMI VIDEO
Il Rapporto 2015 conferma la disuguaglianza nella concentrazione della ricchezza tra la
sponda settentrionale e quella nordafricana, mediorientale e balcanica, già emersa
dalle precedenti edizioni, anche se rileva una “relativa convergenza tra le economie
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della riva Nord e quelle della riva Sud del Bacino, in parte attribuibile al rallentamento
dei processi di crescita che gli stati europei hanno subito in conseguenza della crisi del
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2008”, come spiega Ferragina. “Se si confrontano i dati relativi al Prodotto interno lordo
pro capite in base ai dati aggiornati al 2013 – afferma Alessandro Romagnoli
dell’Università di Bologna – risulta che il Pil pro-capite delle economie dell’area, in
percentuale di quello italiano, si colloca per i Paesi mediterranei aderenti all’euro e
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Israele fra il 122 per cento della Francia e il 62 per cento del Portogallo e della Grecia,
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l’intervallo all’interno del quale si situano le economie balcanico anatoliche varia invece
fra il 38 per cento della Croazia e il 10 per cento della Bosnia-Erzegovina, e su
percentuali anche inferiori si attestano i Paesi arabi della riva Sud (Tunisia con il 13 per
cento, Algeria con l’11 per cento, Giordania con il 10 per cento, Marocco con 9), ed
Egitto, il cui Pil pro-capite è il 5 per cento di quello dell’Italia”.
La distanza economica tra Nord e Sud rimane quindi un fattore caratterizzante del
Bacino nonostante le prestazioni positive di cui le economie sud-orientali della zona
sono state protagoniste ancora di recente. “L’Egitto ha visto aumentare il reddito
nazionale lordo pro-capite dai 2.510 dollari del 2010 ai 3.140 del 2013, il Marocco da
2.870 dollari a 3.020, la Tunisia da 4.160 dollari a 4.200”, ricorda Marco Zupi del Centro
studi di politica internazionale (Cespi), e guardando i dati relativi alla povertà estrema
tra le diverse aree del pianeta, “Nord Africa e Medio Oriente risultano in tutto il periodo
considerato dagli obiettivi di sviluppo del millennio (cioè dal 1990 a oggi), la regione
con la minor gravità dal problema, ma anche con meno miglioramenti”. La popolazione
che vive con meno di 1,25 dollari al giorno (valori 2005) nella sponda meridionale del
Mediterraneo è nel 2012 del 43%, mentre negli altri Paesi in via di sviluppo è del 62%.
L’aumento del Pil nelle aree sud e sud-est del Bacino, però, “non è sufficiente a
proteggere dal rischio di povertà e al contempo non esiste un sistema di welfare e di
protezioni che rappresenti un’ancora di salvezza”.
Uno dei fenomeni che colpisce in modo trasversale tutta l’area è quello della
disoccupazione. “Certamente l’area che risente maggiormente del problema è quella
balcanica. La fascia che raggruppa invece il maggior numero di Paesi è quella in cui il
tasso è compreso tra il 13,3 per cento (Tunisia) e il 9,2 per cento (Marocco). Dentro tale
fascia troviamo Paesi diversi tra loro ma accomunati da una disoccupazione simile:
Egitto, Giordania, Italia, Francia, Slovenia, Turchia, Algeria”, conclude Zupi. Ad aggravare
il divario è invece il minor afflusso degli investimenti diretti esteri (Ide) nelle aree
politicamente instabili. “I Paesi con le perdite più serie – nota Anna Ferragina
dell’Università di Salerno – sia in termini di stabilità politica che di flussi di Ide sono
stati la Siria, la Libia, l’Egitto, l’Algeria e la Giordania. Gli Ide in Egitto, dopo il picco di
11,6 miliardi di dollari e il successivo collasso a 6,7 nel 2009, tre anni dopo non avevano
ancora recuperato a causa della situazione politica critica e della scarsa sicurezza. In
Israele, dopo la cifra record di 20 miliardi di dollari nel 2006, gli Ide sono caduti a meno
di 8 miliardi nel 2009, recuperando solo in parte con 13 miliardi nel 2012”.
Le debolezze strutturali responsabili di questa scarsa attrattività sono il modello di
specializzazione basato prevalentemente sulle risorse naturali e le dimensioni limitate
dei mercati e degli scambi tra i Paesi della riva Sud. Un altro indice delle potenzialità
dell’area è l’incremento dello scambio marittimo. “Nell’arco degli ultimi 20 anni il
Mediterraneo ha riacquistato una nuova centralità nell’interscambio mondiale di merci,
che si accompagna ad una crescita della quota di traffico merci che transita nei porti
della riva Sud del Bacino”, dicono Alessandro Panaro e Luca Forte del Centro studi e
ricerche per il Mezzogiorno (Srm). Per quanto riguarda la movimentazione container,
però, “l’Italia è passata dal 46 per cento del totale del 2008 al 43 per cento del 2013,
mentre Marocco, Egitto e i Paesi del Medio Oriente sono cresciuti, nello stesso periodo,
dal 35 al 39 per cento”.
Per quanto riguarda le demografie e i flussi migratori, senz’altro il fenomeno di
maggior rilevanza dell’area nel periodo recente, secondo il Rapporto nel quinquennio
2010-2015 il maggiore tasso immigratorio è quello del Libano (21 per mille), seguito da
Giordania e Cipro (rispettivamente 11 e 6): valori notevolmente superiori a quelli
registrati da Italia, Grecia, Spagna e Francia (al massimo del 3 per mille). “Considerata
la situazione precedente al 2010, però, Italia, Spagna, Grecia e Francia contano una
GLI ARTICOLI PIÙ LETTI
quota di immigrati di origine terzomondiale vicina alla soglia del 10 per cento,
uniformandosi ai livelli che caratterizzano da decenni altri Paesi dell’Unione come
Germania, Belgio e Olanda”, osserva Eugenia Ferragina. Il fenomeno nell’arco degli
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ultimi cinquant’anni, osservano Luigi di Comite e Stefania Girone dell’Università di Bari,
assume “un’entità significativamente notevole solo in presenza di particolari episodi
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come calamità naturali, grandi crisi politiche ed eventi bellici ed un’entità più esigua
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allorché siano dovuti essenzialmente a motivi economici”. Non a caso, in Siria e Libia i
tassi di emigrazione nel 2010-15 hanno raggiunto rispettivamente il 14 e l’8 per mille,
mentre in precedenza i due Paesi erano moderatamente o per nulla interessati da
emigrazione: quote paragonabili a quelle raggiunte da Bosnia Erzegovina, Croazia e
Albania nel 1990-95, durante la guerra dei Balcani e la caduta dei regimi nell’area
(rispettivamente 51, 4 e 23 per mille). Nei prossimi anni, l’incremento della popolazione
straniera “potrebbe cominciare a interessare anche qualche Paese mediterraneo non
europeo, come a esempio la Tunisia”.
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MEDITERRANEO: CON LA CRISI IL DIVARIO SI RIDUCE
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da Eugenia Ferragina dell’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio nazionale
delle ricerche di Napoli (Issm-Cnr) ed edita dal Mulino, analizza - a vent’anni dalla Conferenza di
Barcellona - criticità, differenze e similitudini dei 25 stati appartenenti a una delle aree
strategicamente più rilevanti del globo: dalle cause degli attuali flussi migratori all’instabilità
politica e istituzionale delle sponde Sud e Sud Est; dalle fluttuazioni della disoccupazione
all’erosione della ricchezza della classe media. Il Rapporto 2015 conferma la disuguaglianza nella concentrazione della ricchezza tra la sponda
settentrionale e quella nordafricana, mediorientale e balcanica, già emersa dalle precedenti
edizioni, anche se rileva una “relativa convergenza tra le economie della riva Nord e quelle della
riva Sud del Bacino, in parte attribuibile al rallentamento dei processi di crescita che gli stati
europei hanno subito in conseguenza della crisi del 2008”, come spiega Ferragina. “Se si confrontano i dati relativi al Prodotto interno lordo pro capite in base ai dati aggiornati al
2013 – afferma Alessandro Romagnoli dell’Università di Bologna - risulta che il Pil pro-capite delle
economie dell’area, in percentuale di quello italiano, si colloca per i Paesi mediterranei aderenti
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all’euro e Israele fra il 122 per cento della Francia e il 62 per cento del Portogallo e della Grecia,
l’intervallo all’interno del quale si situano le economie balcanico anatoliche varia invece fra il 38
per cento della Croazia e il 10 per cento della Bosnia-Erzegovina, e su percentuali anche inferiori si
attestano i Paesi arabi della riva Sud (Tunisia con il 13 per cento, Algeria con l’11 per cento,
Giordania con il 10 per cento, Marocco con 9), ed Egitto, il cui Pil pro-capite è il 5 per cento di quello dell’Italia”.
La distanza economica tra Nord e Sud rimane quindi un fattore caratterizzante del Bacino nonostante le prestazioni positive di cui le economie sud-orientali della zona
sono state protagoniste ancora di recente. “L’Egitto ha visto aumentare il reddito nazionale lordo pro-capite dai 2.510 dollari del 2010 ai 3.140 del 2013, il Marocco da 2.870 dollari a 3.020, la Tunisia da 4.160
dollari a 4.200”, ricorda Marco Zupi del Centro studi di politica internazionale (Cespi), e guardando i dati relativi alla povertà estrema tra le diverse aree del pianeta,
“Nord Africa e Medio Oriente risultano in tutto il periodo considerato dagli obiettivi di sviluppo del millennio (cioè dal 1990 a oggi), la regione con la minor gravità dal
problema, ma anche con meno miglioramenti”. La popolazione che vive con meno di 1,25 dollari al giorno (valori 2005) nella sponda meridionale del Mediterraneo è nel 2012 del 43%, mentre negli altri Paesi in via
di sviluppo è del 62%. L’aumento del Pil nelle aree sud e sud-est del Bacino, però, “non è sufficiente a proteggere dal rischio di povertà e al contempo non esiste un
sistema di welfare e di protezioni che rappresenti un’ancora di salvezza”. Uno dei fenomeni che colpisce in modo trasversale tutta l’area è quello della disoccupazione. “Certamente l’area che risente maggiormente del problema è quella balcanica. La fascia che raggruppa invece il maggior numero di Paesi è quella in cui il tasso è
compreso tra il 13,3 per cento (Tunisia) e il 9,2 per cento (Marocco). Dentro tale fascia troviamo Paesi diversi tra loro ma accomunati da una disoccupazione simile:
Egitto, Giordania, Italia, Francia, Slovenia, Turchia, Algeria”, conclude Zupi. Ad aggravare il divario è invece il minor afflusso degli investimenti diretti esteri (Ide) nelle aree politicamente instabili. “I Paesi con le perdite più serie – nota Anna Ferragina dell’Università di Salerno - sia in termini di stabilità politica che di flussi di Ide sono stati la Siria, la Libia, l’Egitto,
l’Algeria e la Giordania. Gli Ide in Egitto, dopo il picco di 11,6 miliardi di dollari e il successivo collasso a 6,7 nel 2009, tre anni dopo non avevano ancora recuperato a
causa della situazione politica critica e della scarsa sicurezza. In Israele, dopo la cifra record di 20 miliardi di dollari nel 2006, gli Ide sono caduti a meno di 8 miliardi
nel 2009, recuperando solo in parte con 13 miliardi nel 2012”. Le debolezze strutturali responsabili di questa scarsa attrattività sono il modello di specializzazione basato prevalentemente sulle risorse naturali e le dimensioni
limitate dei mercati e degli scambi tra i Paesi della riva Sud. Un altro indice delle potenzialità dell’area è l’incremento dello scambio marittimo. “Nell’arco degli ultimi 20 anni il Mediterraneo ha riacquistato una nuova centralità nell’interscambio mondiale di merci, che si accompagna ad una crescita della quota
di traffico merci che transita nei porti della riva Sud del Bacino”, dicono Alessandro Panaro e Luca Forte del Centro studi e ricerche per il Mezzogiorno (Srm). Per quanto
riguarda la movimentazione container, però, “l’Italia è passata dal 46 per cento del totale del 2008 al 43 per cento del 2013, mentre Marocco, Egitto e i Paesi del Medio
Oriente sono cresciuti, nello stesso periodo, dal 35 al 39 per cento”.
Per quanto riguarda le demografie e i flussi migratori, senz’altro il fenomeno di maggior rilevanza dell’area nel periodo recente, secondo il Rapporto nel quinquennio
2010-2015 il maggiore tasso immigratorio è quello del Libano (21 per mille), seguito da Giordania e Cipro (rispettivamente 11 e 6): valori notevolmente superiori a
quelli registrati da Italia, Grecia, Spagna e Francia (al massimo del 3 per mille). “Considerata la situazione precedente al 2010, però, Italia, Spagna, Grecia e Francia contano una quota di immigrati di origine terzomondiale vicina alla soglia del 10
per cento, uniformandosi ai livelli che caratterizzano da decenni altri Paesi dell’Unione come Germania, Belgio e Olanda”, osserva Eugenia Ferragina. Il fenomeno nell’arco degli ultimi cinquant’anni, osservano Luigi di Comite e Stefania Girone dell’Università di Bari, assume “un’entità significativamente notevole solo
in presenza di particolari episodi come calamità naturali, grandi crisi politiche ed eventi bellici ed un’entità più esigua allorché siano dovuti essenzialmente a motivi
economici”. Non a caso, in Siria e Libia i tassi di emigrazione nel 2010-15 hanno raggiunto rispettivamente il 14 e l’8 per mille, mentre in precedenza i due Paesi
erano moderatamente o per nulla interessati da emigrazione: quote paragonabili a quelle raggiunte da Bosnia Erzegovina, Croazia e Albania nel 1990-95, durante la
guerra dei Balcani e la caduta dei regimi nell’area (rispettivamente 51, 4 e 23 per mille). Nei prossimi anni, l’incremento della popolazione straniera “potrebbe
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MEDITERRANEO: CON LA CRISI IL DIVARIO SI RIDUCE/ I DATI DEL RAPPORTO
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da Eugenia Ferragina dell’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio nazionale
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DAL DENARO
Stabilimenti Fca
Italia al 100% nel
2018
(ANSA) - CASELLE
(TORINO), 11 SET - "Per il
2018 l'utilizzo della capacità
produttiva degli stabilimenti
italiani sarà al 100%, già oggi
siamo all'80%". Lo ha detto il
responsabile Emea di Fca,
DALL'ANSA
AREA MED, RAPPORTO ISSM-CNR DI
NAPOLI: CON LA CRISI SI RIDUCE IL
GAP NORD-SUD
Alfredo Altavilla,
all'assemblea dell'Unione
Venerdì, 11 Settembre 2015
Il Denaro
Pubblicato in Approfondimenti
Industriale di Torino.…
Scritto Venerdì, 11 Settembre
2015 11:19 in ANSA Economia
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Cuba: grazia per
oltre 3.500 detenuti
Cuba concederà la grazia a
3.522 detenuti per l'arrivo di
Papa Francesco il 19
settembre. Lo ha annunciato
il quotidiano Granma,
secondo quando riferisce il
sito della Bbc in spagnolo.
"In occasione della visita di
Sua Santità, saranno
graziati…
Scritto Venerdì, 11 Settembre
2015 11:10 in ANSA - Mondo
L'undicesima edizione del 'Rapporto sulle economie del Mediterraneo', curata da Eugenia
(ANSA) - ROMA, 11 SET -
Ferragina dell'Istituto di studi sulle societa' del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche di
"Abbiamo firmato la
Napoli (Issm-Cnr) ed edita dal Mulino, analizza - a vent'anni dalla Conferenza di Barcellona - criticita',
candidatura e siamo tutti
differenze e similitudini dei 25 stati appartenenti a una delle aree strategicamente piu' rilevanti del globo:
contenti. C'è condivisione su
dalle cause degli attuali flussi migratori all'instabilita' politica e istituzionale delle sponde Sud e Sud Est;
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058509
Roma candidata alle
Olimpiadi del 2024
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Data
11-09-2015
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tutto". Lo ha annunciato il
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dalle fluttuazioni della disoccupazione all'erosione della ricchezza della classe media. Il Rapporto 2015
presidente del Coni Giovanni
conferma la
Malagò dopo una lunga
disuguaglianza nella
riunione in Campidoglio con
concentrazione della
il sindaco Ignazio Marino e…
Scritto Venerdì, 11 Settembre
ricchezza tra la sponda
2015 10:59 in ANSA - Ultima
settentrionale e quella
ora
nordafricana,
mediorientale e
Riforme: Rosato, su
art.2 non si tratta
balcanica, gia' emersa
(ANSA) - ROMA, 11 SET -
anche se rileva una
dalle precedenti edizioni,
"relativa convergenza
"Non capisco se l'obiettivo è
il merito della riforma o
tra le economie della riva Nord e quelle della riva Sud del Bacino, in parte attribuibile al
cambiare l'articolo 2. Se il
rallentamento dei processi di crescita che gli stati europei hanno subito in conseguenza della
punto resta quell'articolo non
crisi del 2008", come spiega Ferragina. "Se si confrontano i dati relativi al Prodotto interno lordo
ci incontreremo mai. Se
invece stiamo al merito e
interveniamo su altre parti
pro capite in base ai dati aggiornati al 2013 - afferma Alessandro Romagnoli dell'Universita' di
Bologna - risulta che il Pil pro-capite delle economie dell'area, in percentuale di quello italiano,
del…
si colloca per i Paesi mediterranei aderenti all'euro e Israele fra il 122 per cento della Francia e
Scritto Venerdì, 11 Settembre
il 62 per cento del Portogallo e della Grecia, l'intervallo all'interno del quale si situano le
2015 10:57 in ANSA -
economie balcanico anatoliche varia invece fra il 38 per cento della Croazia e il 10 per cento
Politica
della Bosnia-Erzegovina, e su percentuali anche inferiori si attestano i Paesi arabi della riva
Sud (Tunisia con il 13 per cento, Algeria con l'11 per cento, Giordania con il 10 per cento,
Marocco con 9), ed Egitto, il cui Pil pro-capite e' il 5 per cento di quello dell'Italia".
Aumenta il Pil, non si riduce il rischio povertà
La distanza economica tra Nord e Sud rimane quindi un fattore caratterizzante del Bacino nonostante
le prestazioni positive di cui le economie sud-orientali della zona sono state protagoniste ancora di
recente. "L'Egitto ha visto aumentare il reddito nazionale
lordo pro-capite dai 2.510 dollari del 2010 ai 3.140 del
2013, il Marocco da 2.870 dollari a 3.020, la Tunisia da
4.160 dollari a 4.200", ricorda Marco Zupi del Centro studi
di politica internazionale (Cespi), e guardando i dati relativi alla
poverta' estrema tra le diverse aree del pianeta, "Nord Africa
e Medio Oriente risultano in tutto il periodo considerato
dagli obiettivi di sviluppo del millennio (cioe' dal 1990 a
oggi), la regione con la minor gravita' dal problema, ma anche con meno miglioramenti". La
popolazione che vive con meno di 1,25 dollari al giorno (valori 2005) nella sponda meridionale del
Mediterraneo e' nel 2012 del 43%, mentre negli altri Paesi in via di sviluppo e' del 62%. L'aumento del
Pil nelle aree sud e sud-est del Bacino, pero', "non e' sufficiente a proteggere dal rischio di
poverta' e al contempo non esiste un sistema di welfare e di protezioni che rappresenti
un'ancora di salvezza".
Allarme disoccupazione
Uno dei fenomeni che colpisce in modo trasversale tutta l'area e' quello della disoccupazione.
"Certamente l'area che risente maggiormente del problema e' quella balcanica. La fascia che
raggruppa invece il maggior numero di Paesi e' quella in cui il tasso e' compreso tra il 13,3 per
Turchia, Algeria", conclude Zupi. Ad aggravare il divario e' invece il minor afflusso degli investimenti
diretti esteri (Ide) nelle aree politicamente instabili. "I Paesi con le perdite piu' serie - nota Anna
Ferragina dell'Universita' di Salerno - sia in termini di stabilita' politica che di flussi di Ide sono
stati la Siria, la Libia, l'Egitto, l'Algeria e la Giordania. Gli Ide in Egitto, dopo il picco di 11,6
miliardi di dollari e il successivo collasso a 6,7 nel 2009, tre anni dopo non avevano ancora
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ma accomunati da una disoccupazione simile: Egitto, Giordania, Italia, Francia, Slovenia,
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cento (Tunisia) e il 9,2 per cento (Marocco). Dentro tale fascia troviamo Paesi diversi tra loro
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recuperato a causa della situazione politica critica e della scarsa sicurezza. In Israele, dopo la
cifra record di 20 miliardi di dollari nel 2006, gli Ide sono caduti a meno di 8 miliardi nel 2009,
recuperando solo in parte con 13 miliardi nel 2012". Le debolezze strutturali responsabili di questa
scarsa attrattivita' sono il modello di specializzazione basato prevalentemente sulle risorse naturali e le
dimensioni limitate dei mercati e degli scambi tra i Paesi della riva Sud. Un altro indice delle
potenzialita' dell'area e' l'incremento dello scambio marittimo. "Nell'arco degli ultimi 20 anni il
Mediterraneo ha riacquistato una nuova centralita' nell'interscambio mondiale di merci, che si
accompagna ad una crescita della quota di traffico merci che transita nei porti della riva Sud
del Bacino", dicono Alessandro Panaro e Luca Forte del Centro studi e ricerche per il
Mezzogiorno (Srm). Per quanto riguarda la movimentazione container, pero', "l'Italia e' passata dal
46 per cento del totale del 2008 al 43 per cento del 2013, mentre Marocco, Egitto e i Paesi del
Medio Oriente sono cresciuti, nello stesso periodo, dal 35 al 39 per cento".
Flussi migratori
Per quanto riguarda le demografie e i flussi migratori, senz'altro il fenomeno di maggior rilevanza
dell'area nel periodo recente, secondo il Rapporto nel quinquennio 2010-2015 il maggiore tasso
immigratorio e' quello del Libano (21 per mille), seguito da Giordania e Cipro (rispettivamente 11 e 6):
valori notevolmente superiori a quelli registrati da Italia, Grecia, Spagna e Francia (al massimo del 3
per mille). "Considerata la situazione precedente al 2010, pero', Italia, Spagna, Grecia e Francia
contano una quota di immigrati di origine terzomondiale vicina alla soglia del 10 per cento,
uniformandosi ai livelli che caratterizzano da decenni altri Paesi dell'Unione come Germania,
Belgio e Olanda", osserva Eugenia Ferragina. Il fenomeno nell'arco degli ultimi cinquant'anni,
osservano Luigi di Comite e Stefania Girone dell'Universita' di Bari, assume "un'entita'
significativamente notevole solo in presenza di particolari episodi come calamita' naturali,
grandi crisi politiche ed eventi bellici ed un'entita' piu' esigua allorche' siano dovuti
essenzialmente a motivi economici". Non a caso, in Siria e Libia i tassi di emigrazione nel 2010-15
hanno raggiunto rispettivamente il 14 e l'8 per mille, mentre in precedenza i due Paesi erano
moderatamente o per nulla interessati da emigrazione: quote paragonabili a quelle raggiunte da Bosnia
Erzegovina, Croazia e Albania nel 1990-95, durante la guerra dei Balcani e la caduta dei regimi
nell'area (rispettivamente 51, 4 e 23 per mille). Nei prossimi anni, l'incremento della popolazione
straniera "potrebbe cominciare a interessare anche qualche Paese mediterraneo non europeo,
come a esempio la Tunisia".
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MEDITERRANEO: RAPPORTO ISSM-CNR, CON LA CRISI IL DIVARIO SI RIDUCE
11 Settembre 2015 di
L'undicesima edizione del 'Rapporto sulle economie del Mediterraneo', curata da Eugenia Ferragina dell'Istituto di studi sulle societa' del Mediterraneo del Consiglio
nazionale delle ricerche di Napoli (Issm-Cnr) ed edita dal Mulino, analizza - a vent'anni dalla Conferenza di Barcellona - criticita', differenze e similitudini dei 25 stati
appartenenti a una delle aree strategicamente piu' rilevanti del globo: dalle cause degli attuali flussi migratori all'instabilita' politica e istituzionale delle sponde Sud e Sud
Est; dalle fluttuazioni della disoccupazione all'erosione della ricchezza della classe media. Il Rapporto 2015 conferma la disuguaglianza nella concentrazione della
ricchezza tra la sponda settentrionale e quella nordafricana, mediorientale e balcanica, gia' emersa dalle precedenti edizioni, anche se rileva una "relativa convergenza tra
le economie della riva Nord e quelle della riva Sud del Bacino, in parte attribuibile al rallentamento dei processi di crescita che gli stati europei hanno subito in
conseguenza della crisi del 2008", come spiega Ferragina. "Se si confrontano i dati relativi al Prodotto interno lordo pro capite in base ai dati aggiornati al 2013 - afferma
Alessandro Romagnoli dell'Universita' di Bologna - risulta che il Pil pro-capite delle economie dell'area, in percentuale di quello italiano, si colloca per i Paesi mediterranei
aderenti all'euro e Israele fra il 122 per cento della Francia e il 62 per cento del Portogallo e della Grecia, l'intervallo all'interno del quale si situano le economie balcanico
anatoliche varia invece fra il 38 per cento della Croazia e il 10 per cento della Bosnia-Erzegovina, e su percentuali anche inferiori si attestano i Paesi arabi della riva Sud
(Tunisia con il 13 per cento, Algeria con l'11 per cento, Giordania con il 10 per cento, Marocco con 9), ed Egitto, il cui Pil pro-capite e' il 5 per cento di quello dell'Italia".
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Ricerca: nel Mediterraneo con la
crisi il divario si riduce
11 settembre 2015 13:03 - F.F.
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L’ultimo
rapporto sulle
economie del
Mediterraneo,
c u r a t o d a
Eugenia Ferragina dell’Istituto di
studi sulle società del
Mediterraneo del Cnr di Napoli,
evidenzia nelle sponde Sud e
Sud Est un quadro in
chiaroscuro
+24h +48h +72h
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Previsioni Meteo Lombardia: temperature
in rialzo da domani, domenica arriva la
pioggia
Il clima che cambia:
evidenze dei
cambiamenti climatici
nazionale delle ricerche di Napoli (Issm-Cnr) ed edita dal Mulino, analizza – a vent’anni
dalla Conferenza di Barcellona – criticità, di erenze e similitudini dei 25 stati
Maltempo Sicilia: danni
nel catanese, proseguono
gli interventi in provincia
appartenenti a una delle aree strategicamente più rilevanti del globo: dalle cause
degli attuali ussi migratori all’instabilità politica e istituzionale delle sponde Sud e
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Eugenia Ferragina dell’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio
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L’undicesima edizione del ‘Rapporto sulle economie del Mediterraneo’, curata da
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Sud Est; dalle fluttuazioni della disoccupazione all’erosione della ricchezza della classe
IL VIDEO DI OGGI
media.
Il Rapporto 2015 conferma la disuguaglianza nella concentrazione della ricchezza tra
la sponda settentrionale e quella nordafricana, mediorientale e balcanica, già emersa
dalle precedenti edizioni, anche se rileva una “relativa convergenza tra le economie
della riva Nord e quelle della riva Sud del Bacino, in parte attribuibile al rallentamento
dei processi di crescita che gli stati europei hanno subito in conseguenza della crisi
del 2008”, come spiega Ferragina. “Se si confrontano i dati relativi al Prodotto interno
lordo pro capite in base ai dati aggiornati al 2013 – a erma Alessandro Romagnoli
dell’Università di Bologna – risulta che il Pil pro-capite delle economie dell’area, in
Il tifone Etau flagella il Giappone, case
spazzate via dalla furia delle acque
percentuale di quello italiano, si colloca per i Paesi mediterranei aderenti all’euro e
Israele fra il 122 per cento della Francia e il 62 per cento del Portogallo e della Grecia,
l’intervallo all’interno del quale si situano le economie balcanico anatoliche varia
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invece fra il 38 per cento della Croazia e il 10 per cento della Bosnia-Erzegovina, e su
percentuali anche inferiori si attestano i Paesi arabi della riva Sud (Tunisia con il 13
per cento, Algeria con l’11 per cento, Giordania con il 10 per cento, Marocco con 9),
ed Egitto, il cui Pil pro-capite è il 5 per cento di quello dell’Italia”.
La distanza economica tra Nord e Sud rimane quindi un fattore caratterizzante del
Bacino nonostante le prestazioni positive di cui le economie sud-orientali della zona
sono state protagoniste ancora di recente. “L’Egitto ha visto aumentare il reddito
Spazio: lanciati i satelliti 9 e 10 della
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nazionale lordo pro-capite dai 2.510 dollari del 2010 ai 3.140 del 2013, il Marocco da
Gum Point: ecco come
riciclare le gomme da
masticare usate
2.870 dollari a 3.020, la Tunisia da 4.160 dollari a 4.200”, ricorda Marco Zupi del
Centro studi di politica internazionale (Cespi), e guardando i dati relativi alla povertà
estrema tra le diverse aree del pianeta, “Nord Africa e Medio Oriente risultano in
tutto il periodo considerato dagli obiettivi di sviluppo del millennio (cioè dal 1990 a
Lovers Deep Submarine:
un hotel a 5 stelle a
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oggi), la regione con la minor gravità dal problema, ma anche con meno
miglioramenti”. La popolazione che vive con meno di 1,25 dollari al giorno (valori
2005) nella sponda meridionale del Mediterraneo è nel 2012 del 43%, mentre negli
altri Paesi in via di sviluppo è del 62%. L’aumento del Pil nelle aree sud e sud-est del
Bacino, però, “non è su
ciente a proteggere dal rischio di povertà e al contempo
non esiste un sistema di welfare e di protezioni che rappresenti un’ancora di
salvezza”.
Uno dei fenomeni che colpisce in modo trasversale tutta l’area è quello della
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disoccupazione. “Certamente l’area che risente maggiormente del problema è quella
balcanica. La fascia che raggruppa invece il maggior numero di Paesi è quella in cui il
tale fascia troviamo Paesi diversi tra loro ma accomunati da una disoccupazione
Codice abbonamento:
tasso è compreso tra il 13,3 per cento (Tunisia) e il 9,2 per cento (Marocco). Dentro
SALUTE
simile: Egitto, Giordania, Italia, Francia, Slovenia, Turchia, Algeria”, conclude Zupi. Ad
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aggravare il divario è invece il minor a
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usso degli investimenti diretti esteri (Ide)
nelle aree politicamente instabili. “I Paesi con le perdite più serie – nota Anna
Ferragina dell’Università di Salerno – sia in termini di stabilità politica che di ussi di
Ide sono stati la Siria, la Libia, l’Egitto, l’Algeria e la Giordania. Gli Ide in Egitto, dopo il
picco di 11,6 miliardi di dollari e il successivo collasso a 6,7 nel 2009, tre anni dopo
non avevano ancora recuperato a causa della situazione politica critica e della scarsa
sicurezza. In Israele, dopo la cifra record di 20 miliardi di dollari nel 2006, gli Ide sono
caduti a meno di 8 miliardi nel 2009, recuperando solo in parte con 13 miliardi nel
2012”.
Giappone: il numero di centenari supera
quota 60.000
Dalle staminali
all’orecchio bionico, le
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Le debolezze strutturali responsabili di questa scarsa attrattività sono il modello di
specializzazione basato prevalentemente sulle risorse naturali e le dimensioni
limitate dei mercati e degli scambi tra i Paesi della riva Sud. Un altro indice delle
Salute: 1 italiani su 3 con
acciacchi post-ferie,
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potenzialità dell’area è l’incremento dello scambio marittimo. “Nell’arco degli ultimi
20 anni il Mediterraneo ha riacquistato una nuova centralità nell’interscambio
mondiale di merci, che si accompagna ad una crescita della quota di tra co merci
che transita nei porti della riva Sud del Bacino”, dicono Alessandro Panaro e Luca
Forte del Centro studi e ricerche per il Mezzogiorno (Srm). Per quanto riguarda la
movimentazione container, però, “l’Italia è passata dal 46 per cento del totale del
2008 al 43 per cento del 2013, mentre Marocco, Egitto e i Paesi del Medio Oriente
sono cresciuti, nello stesso periodo, dal 35 al 39 per cento”.
Per quanto riguarda le demogra e e i ussi migratori, senz’altro il fenomeno di
maggior rilevanza dell’area nel periodo recente, secondo il Rapporto nel quinquennio
2010-2015 il maggiore tasso immigratorio è quello del Libano (21 per mille), seguito
da Giordania e Cipro (rispettivamente 11 e 6): valori notevolmente superiori a quelli
registrati da Italia, Grecia, Spagna e Francia (al massimo del 3 per mille). “Considerata
la situazione precedente al 2010, però, Italia, Spagna, Grecia e Francia contano una
quota di immigrati di origine terzomondiale vicina alla soglia del 10 per cento,
uniformandosi ai livelli che caratterizzano da decenni altri Paesi dell’Unione come
Germania, Belgio e Olanda”, osserva Eugenia Ferragina. Il fenomeno nell’arco degli
ultimi cinquant’anni, osservano Luigi di Comite e Stefania Girone dell’Università di
Bari, assume “un’entità signi cativamente notevole solo in presenza di particolari
episodi come calamità naturali, grandi crisi politiche ed eventi bellici ed un’entità più
esigua allorché siano dovuti essenzialmente a motivi economici”. Non a caso, in Siria
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e Libia i tassi di emigrazione nel 2010-15 hanno raggiunto rispettivamente il 14 e l’8
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per mille, mentre in precedenza i due Paesi erano moderatamente o per nulla
interessati da emigrazione: quote paragonabili a quelle raggiunte da Bosnia
Erzegovina, Croazia e Albania nel 1990-95, durante la guerra dei Balcani e la caduta
dei regimi nell’area (rispettivamente 51, 4 e 23 per mille). Nei prossimi anni,
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l’incremento della popolazione straniera “potrebbe cominciare a interessare anche
qualche Paese mediterraneo non europeo, come a esempio la Tunisia”.
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MEDITERRANEO, UN QUADRO IN CHIAROSCURO - L’ultimo
rapporto sulle economie del Mediterraneo, curato da Eugenia Ferragina
dell’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Cnr di Napoli,
evidenzia nelle sponde Sud e Sud Est un quadro in chiaroscuro: aumento del
Pil ma scarso welfare, investimenti stranieri in calo ma aumento del traffico
merci marittimo. Lo segnala una nota dello stesso Cnr notando come la
distanza economica tra Nord e Sud rimanga un fattore caratterizzante del
bacino, nonostante le prestazioni positive di cui le economie sud-orientali della zona sono state
protagoniste ancora di recente, riducendo almeno in parte il divario.
DIVARIO TRA NORD E SUD SI RIDUCE, MA NON BASTA - La popolazione che vive con
IN BORSA
meno di 1,25 dollari al giorno (valori 2005) nella sponda meridionale del Mediterraneo nel 2012
rappresentava il 43% del totale, mentre negli altri paesi in via di sviluppo era del 62%. L’aumento del
Pil nelle aree sud e sud-est del bacino, però, “non è sufficiente a proteggere dal rischio di povertà e al
contempo non esiste un sistema di welfare e di protezioni che rappresenti un’ancora di salvezza”,
tanto più che uno dei fenomeni trasversali osservati è quello dell’elevata disoccupazione. Le
debolezze strutturali responsabili della scarsa attrattività della sponda Sud del Mediterraneo
appaiono infine legate ad un modello di specializzazione basato prevalentemente sulle risorse naturali
e le dimensioni limitate dei mercati e degli scambi tra i paesi della riva Sud.
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