Carlo Barone
È POSSIBILE SPIEGARE LE DISUGUAGLIANZE DI APPRENDIMENTO MEDIANTE LA TEORIA DEL CAPITALE
CULTURALE ?
Nelle società contemporanee l’istruzione costituisce il principale canale di trasmissione delle posizioni occupazionali da una generazione alla successiva. Non stupisce, pertanto, che gli studiosi di mobilità sociale
abbiano dedicato particolare attenzione al problema di individuare i meccanismi che regolano l’allocazione dei titoli di studio e, segnatamente, la
loro distribuzione differenziale in base alle origini sociali (Erikson e
Jonsson 1996; Farkas 1996; Goldthorpe 2000). Questo interrogativo induce, a sua volta, ad esaminare come si generano i differenziali di abilità
scolastica, ossia i cosiddetti «effetti primari» (Boudon 1979): gli studenti
provenienti dalle classi superiori ottengono, in media, voti migliori e subiscono meno bocciature, come confermano anche le ricerche condotte
nel nostro paese (Gambetta 1996; Schizzerotto 1997; Gasperoni 2002).
Le differenze di profitto condizionano fortemente le chance di conseguire credenziali educative elevate. Un rendimento soddisfacente, infatti, riduce il rischio di abbandonare gli studi e aumenta le probabilità di
iscrizione al ciclo scolastico successivo, sia a livello secondario che terziario (Abburrà 1997; Pisati 2002). Il rendimento degli studenti influenza anche la loro scelta tra licei e istituti tecnici o professionali, ed è noto
che tale scelta incide fortemente sulle possibilità di iscriversi all’università e di conseguire una laurea (Erikson e Jonsson 1996; Pisati 2002).
In breve, i migliori risultati ottenuti a scuola dai discendenti delle classi
superiori accrescono sensibilmente le loro probabilità di accedere ai titoli di studio più elevati e, di conseguenza, di raggiungere le posizioni occupazionali più vantaggiose.
La teoria del capitale culturale, elaborata da Bourdieu e colleghi
(Bourdieu e Passeron 1964; 1970; Bourdieu 1966; 1972; 1979a; 1979b;
1989), è la spiegazione sociologica più nota e ampiamente accettata degli effetti primari. Gli stessi sostenitori della teoria della scelta razionale,
pur non risparmiando critiche al lavoro di Bourdieu, ammettono che gli
effetti primari potrebbero dipendere da fattori di natura culturale (Boudon
1979; Breen e Goldthorpe 1997). In generale, seguendo una prassi interprePOLISπóλιςς, XX, 2, luglio, 2005, pp. xxx-xxx
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
tativa consolidata quanto discutibile, numerosi studiosi di stratificazione
sociale tendono spesso ad identificare quasi «meccanicamente» l’influenza del livello di scolarità dei genitori sugli esiti educativi dei figli come
espressione dei condizionamenti culturali familiari, malgrado un vasto
filone di ricerche empiriche sul capitale culturale suggerisca che tale interpretazione non è affatto scontata (Lahire 1998; 2004; Kingston 2000;
Sullivan 2002).
In questo lavoro mi propongo di esaminare il ruolo delle risorse culturali nella generazione degli effetti primari. In particolare, cercherò di
mostrare che, sebbene esse contribuiscano in misura non trascurabile a
produrre i differenziali di abilità tra classi sociali, non sembrano affatto
in grado di produrre una spiegazione esauriente. In altre parole, l’influenza
delle origini sociali sul profitto degli studenti risulta cospicua anche al
netto delle variabili espressive delle risorse culturali dei genitori. Questo
risultato verrà documentato per la prima volta nel nostro paese, grazie ai
dati dell’indagine Pisa (Programme for International Student Assessment). Successivamente, vedremo che gli studi di mobilità sociale offrono alcune indicazioni di rilievo al fine di comprendere perché il peso
delle risorse culturali nella generazione degli effetti primari sembri contenuto. Vedremo, inoltre, che l’influenza dei tradizionali indicatori di
capitale culturale sugli esiti educativi è stata oggetto di molteplici interpretazioni divergenti, o addirittura contrapposte, rispetto alla teoria del
capitale culturale. Infine, discuterò quali ulteriori fattori potrebbero contribuire a spiegare la relazione tra origini sociali e livelli di apprendimento, focalizzando l’attenzione sul ruolo delle aspirazioni sociali e sulla dinamica temporale del processo di generazione degli effetti primari.
1. La teoria del capitale culturale
Conviene ricordare, innanzitutto, che la teoria della riproduzione culturale invoca due distinti principi esplicativi delle disuguaglianze educative: l’ethos di classe e il capitale culturale. In questa sede, mi occuperò principalmente della relazione tra capitale culturale ed effetti primari,
anche se sarà opportuno chiamare in causa la concezione di ethos di
classe quando esaminerò il ruolo delle aspirazioni lavorative nella generazione dei differenziali di abilità1.
1
I dati a disposizione non consentono di affrontare, invece, la questione della spiegazione degli effetti secondari (ossia i differenziali di partecipazione a
parità di profitto), che Bourdieu e Passeron (1970, 186; Bourdieu 1972, 294)
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
La teoria del capitale culturale spiega gli effetti primari a partire da
due assunti cruciali. In primo luogo, essa presuppone che ciascuna classe sociale manifesti una forte identità culturale che si esprime in ogni
ambito della condotta individuale: dai consumi culturali a quelli alimentari, dall’abbigliamento ai repertori linguistici e agli atteggiamenti politici. Secondo Bourdieu (1979a, 103), infatti, le pratiche sociali seguono
una logica comune in contesti differenti, in quanto si originano dal medesimo «principio unificatore e generatore»: l’habitus di classe. Detto
altrimenti, gli stili di vita dei membri della stessa classe sociale presenterebbero notevoli affinità perché sarebbero espressione di un unico sistema di disposizioni coerenti e strutturate.
Secondo Bourdieu e Passeron, la cultura di ogni classe sociale deve
essere considerata come una convenzione arbitraria, nel senso che «la
struttura e le funzioni di questa cultura non sono deducibili da alcun principio universale» (1970, 49). Le classi dominanti, tuttavia, riescono ad
imporre la propria cultura come legittima: essa viene riconosciuta come
superiore dall’intera collettività, incluse le classi subordinate. In virtù di
questa legittimità generalizzata, la cultura delle classi elevate è adottata
implicitamente come standard di riferimento nelle istituzioni educative.
Questo conduce al secondo assunto della teoria del capitale culturale: le
pratiche didattiche sarebbero permeate dalle convenzioni culturali delle
classi dominanti, nell’insegnamento così come nella valutazione dell’apprendimento degli studenti. Come osserva Bourdieu, «la cultura dell’élite è così vicina alla cultura della scuola che il giovane d’estrazione
piccolo-borghese (oppure, a fortiori, contadino o operaio) non può acquisire laboriosamente ciò di cui è dotato il giovane appartenente alla
classe colta, cioè lo stile, il gusto, lo spirito» (1972, 302). Bourdieu sottolinea così l’ambiguità intrinseca dei processi di selezione educativa:
quella che di fatto costituisce un’eredità culturale familiare appare, invece, come un dono innato. La dotazione culturale assume le parvenze della dotazione naturale, legittimando così le disuguaglianze di istruzione
con una patina di ideologia meritocratica.
La spiegazione degli effetti primari elaborata da Bourdieu discende
direttamente dalle due premesse sopra menzionate. Se esistono culture
di classe fortemente differenziate e se i docenti riconoscono legittimità
agli standard culturali delle classi superiori, gli studenti di elevata estrazione sociale risultano avvantaggiati. In altre parole, tali standard sono
una vera e propria risorsa di apprendimento che facilita la comprensione,
l’acquisizione e l’esposizione dei contenuti didattici. In termini più gesviluppano soprattutto facendo riferimento all’ethos di classe.
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
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nerali, come osservano Lareau e Weininger (2003), la nozione di capitale culturale induce a concepire la cultura come una risorsa, che può
permettere l’accesso a ricompense rare, che è soggetta a forme di monopolio e che, sotto certe condizioni, può essere trasmessa tra generazioni.
Bourdieu e Passeron offrono una descrizione ricca e dettagliata del complesso di atteggiamenti e di stili interazionali degli studenti che orientano
le valutazioni dei docenti e notano che «i segni positivi o negativi
dell’agio verbale o posturale (azione oratoria, manifestazioni corporee di
imbarazzo o di ansietà come il tremare delle mani o il rossore del viso,
la maniera di parlare, improvvisando oppure leggendo degli appunti,
maniere che caratterizzano il rapporto con l’esaminatore, come la richiesta di approvazione o il distacco di buona compagnia, ecc.) sembrano
fortemente legati tra loro nonché all’origine sociale» (1970, 183).
Questi segnali e molti altri (inclusi l’abbigliamento, la gestualità,
l’atteggiamento di naturalezza e di padronanza nei confronti dell’alta cultura) guidano, seppure spesso inconsapevolmente, il giudizio degli insegnanti. Questi tendono ad assumere come scontato (e a premiare) il possesso di capitale culturale, senza che agli studenti di bassa estrazione sociale sia data la possibilità di impadronirsene completamente. Il loro rendimento scolastico, pertanto, risente dello «shock culturale» che si produce nella misura in cui essi entrano in contatto con un sistema di valori,
di atteggiamenti e di stili di vita profondamente diverso dal proprio.
Le opportunità di apprendimento, dunque, sarebbero direttamente
proporzionali al grado di prossimità culturale tra l’ambiente familiare e
il sistema educativo. È questa la proposizione centrale della teoria del
capitale culturale, da cui è possibile derivare le seguenti ipotesi: 1a) le
risorse culturali della famiglia di provenienza influenzano positivamente
i risultati scolastici conseguiti; 1b) l’associazione statistica tra origini
sociali e risultati scolastici è mediata dalle variabili espressive delle risorse culturali della famiglia di provenienza.
Possiamo formulare due ulteriori ipotesi, in aggiunta a quelle appena
esposte. Le risorse culturali sono mobilitate con maggiore frequenza e
più sistematicamente nelle materie umanistiche rispetto a quelle scientifiche (Bourdieu e Passeron 1970): basti confrontare le abilità richieste
per la risoluzione di un’equazione algebrica con quelle necessarie a redigere una relazione di storia o a scrivere un tema. Si può, quindi, ipotizzare che: 2a) le risorse culturali della famiglia di provenienza influenzano più i risultati scolastici in ambito linguistico, piuttosto che in ambito matematico; 2b) le risorse culturali della famiglia di provenienza mediano più l’associazione statistica tra origini sociali e apprendimento linguistico, rispetto a quella tra origini sociali e apprendimento matematico.
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
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Nei prossimi paragrafi descriverò in che misura le ipotesi appena richiamate trovino riscontro nelle ricerche empiriche sinora condotte e proverò a sottoporle a vaglio empirico nel caso del nostro paese. Conviene
però discutere, preliminarmente, i problemi di natura metodologica che
ostacolano un accurato e attendibile controllo delle predizioni in parola.
2. La traduzione empirica della nozione di capitale culturale
La precedente discussione ha messo in evidenza come il capitale culturale attivamente mobilitato a scuola comprenda una multiforme e sfaccettata varietà di elementi linguistici, gestuali e interazionali, ma anche
un complesso di atteggiamenti e preferenze che sarebbe illusorio pretendere di rilevare direttamente ed esaustivamente, per lo meno attraverso un’indagine quantitativa. È ampiamente riconosciuto, in effetti, che la densità
di significati e la natura polisemica del concetto in parola pongono serie
difficoltà a qualunque tentativo di traduzione empirica (Lareau e Lamont
1988; Kingston 2000). Lo stesso Bourdieu non ha mai inteso sottrarsi a
tale compito, pur avvertendo sovente il lettore dei rischi di semplificazione che esso comporta. La distinction rappresenta forse il suo contributo empirico che ha più influenzato la corrente di ricerca sulle disuguaglianze educative direttamente ispirata alla teoria del capitale culturale
(Lareau e Weininger 2003). In questo lavoro, Bourdieu (1979a) ha proposto una vera e propria descrizione della morfologia dello spazio sociale, usando principalmente un insieme di indicatori di consumo culturale
per caratterizzare gli stili di vita che esprimono le differenti dotazioni di
capitale culturale di ciascuna classe sociale. Tra questi indicatori, possiamo menzionare, ad esempio, la frequentazione di musei e mostre,
l’uso della televisione, l’iscrizione a una biblioteca, la lettura di giornali,
il possesso di un pianoforte e di altri oggetti di alta cultura.
È evidente che una distanza semantica nient’affatto esigua separa
questo genere di indicatori dalle risorse comunicative e relazionali, mobilitate nell’interazione in classe, che funzionano come capitale culturale
a scuola. Va inoltre precisato che, secondo Bourdieu, le differenze tra
classi negli stili di vita si esprimono in molti altri ambiti, come l’arredamento, le pratiche alimentari, l’abbigliamento, gli orientamenti politici e
così via. Non stupisce che egli sia stato accusato di avere impiegato in
modo ambiguo il concetto di capitale culturale, ostacolando così la sua
univoca operativizzazione (Kingston 2000; Sullivan 2001; 2002)2.
2
Si potrebbe rispondere a queste critiche che le maggiori difficoltà di tradu-
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
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Comunque, la teoria della riproduzione culturale identifica esplicitamente un criterio che può orientare la selezione degli indicatori di capitale culturale. Bourdieu (1979a) rileva che non tutti gli aspetti delle culture di classe sono rilevanti in ogni campo sociale. Tali culture andrebbero viste, piuttosto, come repertori, dai quali si attingono le risorse interazionali pertinenti ai diversi contesti d’azione (Di Maggio 1982).
Questo significa che le forme di capitale culturale che vengono mobilitate
nel corso delle carriere scolastiche, nei consumi di alta cultura o nei processi di selezione occupazionale sono tra loro significativamente differenti, e di siffatta variabilità è utile, ed anzi necessario, tenere conto. Detto
altrimenti, non conviene chiedersi cosa designi, in linea generale,
l’espressione «capitale culturale», bensì quali specifici tratti della cultura
delle classi superiori influenzino, ad esempio, il successo scolastico. A
tali tratti occorre fare riferimento nell’operativizzazione della nozione di
capitale culturale in ambito educativo. In questo senso, si può affermare
che le scelte operative dipendano dalla specificazione dei meccanismi causali che trasformano le risorse culturali in fattori di successo scolastico.
È in questa prospettiva che può trovare giustificazione il ricorso ad
indici di consumo culturale. Non solo perché le competenze acquisite in
alcuni ambiti dell’alta cultura, quali ad esempio l’arte e la letteratura,
trovano diretto riconoscimento a scuola (Bourdieu 1979a). Ma anche
perché Bourdieu e Passeron (1970) osservano che crescere in una famiglia istruita significa essere circondati, sin dalla prima infanzia, da un
universo di cose erudite che, attraverso un susseguirsi di esperienze non
premeditate, induce un atteggiamento di naturalezza e di spigliatezza nei
confronti dell’alta cultura che «rende» a scuola. I discendenti delle classi
superiori entrano in contatto precocemente con «un mondo di persone,
di pratiche e di oggetti colti» (Bourdieu 1979a, 71): questo permette loro
di acquisire una forma di padronanza della cultura legittima che viene
fortemente apprezzata dagli insegnanti, i quali la considerano come un
indizio di talento innato, come abbiamo visto nel paragrafo precedente.
Bourdieu afferma che «l’insegnamento, e più in particolare quello letterario, si rivolge (oggettivamente) di preferenza ai giovani provenienti
dalla classe colta in quanto si fa portatore di significati di secondo grado,
dando per scontato tutto un tesoro d’esperienze di primo grado: letture,
zione operativa dipendono proprio dal successo della teoria del capitale culturale: l’ampia risonanza delle tesi di Bourdieu, unitamente alle ambiguità semantiche insite nella nozione di «cultura», ha prodotto una sovrapposizione di significati associati all’espressione «capitale culturale» tale da indebolire il concetto
introdotto da Bourdieu (in modo del tutto analogo a quanto accaduto con altri
concetti-ombrello, come quello di capitale sociale).
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
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spettacoli, viaggi» (1972, 301). In breve, questa familiarità nei confronti
dell’alta cultura favorisce in modo determinante il successo scolastico
(Bourdieu e Passeron 1964).
Nell’interazione quotidiana in classe, inoltre, il possesso di capitale
culturale si tradurrebbe innanzitutto nella possibilità di disporre di un
repertorio di risorse comunicative più appropriate al contesto scolastico:
«di tutti gli ostacoli culturali, quelli che riguardano la lingua parlata
nell’ambiente familiare sono senza dubbio i più gravi e i più insidiosi,
soprattutto nei primi anni di scuola, quando la comprensione e la padronanza della lingua costituiscono il punto di riferimento principale per il
giudizio degli insegnanti» (Bourdieu 1972, 293). Si noti che la partecipazione all’alta cultura assicura una padronanza espressiva che non si
riduce a mera competenza linguistica, ma che è parte di un atteggiamento più generale di naturale disinvoltura nella conversazione colta. Solo
così si spiega, secondo Bourdieu e Passeron, perché siano più spesso gli
studenti delle classi privilegiate ad «azzardare una definizione di una
parola inesistente, introdotta appositamente in un test di vocabolario (gerofagia)» (1970, 182).
In sintesi, l’impiego di indicatori di consumo culturale è un tentativo
di cogliere indirettamente l’insieme di competenze e di atteggiamenti
che vengono premiati dagli insegnanti. Pare opportuno ribadire che si
tratta di una necessaria semplificazione rispetto alle «sottili» dinamiche
di attivazione del capitale culturale a scuola, peraltro difficili da rilevare
mediante tecniche standardizzate di raccolta dati. Come ci accingiamo a
vedere, questa strategia di operativizzazione trova ampia diffusione nell’ambito delle ricerche quantitative sul capitale culturale.
3. La letteratura empirica sul capitale culturale
È stato osservato da più parti che le evidenze empiriche offerte da
Bourdieu a sostegno della propria teoria presentano limiti non trascurabili (Kingston 2000; Sullivan 2002). Infatti, egli mostra che i discendenti
delle classi superiori sono dotati di maggiore capitale culturale e che ottengono un migliore profitto negli studi, ma questo non permette di concludere che proprio le risorse culturali spieghino il successo scolastico.
In altre parole, le analisi bivariate condotte da Bourdieu non consentono
di stabilire se (e soprattutto in che misura) la teoria del capitale culturale
sia in grado di rendere conto degli effetti primari. È necessario, invece,
specificare modelli di path analysis che accertino se l’effetto complessivo delle origini sociali sui risultati scolastici sia mediato dagli indicatori
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
di capitale culturale. Un ampio filone di studi quantitativi ha tentato di
rispondere a questo interrogativo.
Bisogna riconoscere, peraltro, che questo obiettivo si scontra con difficoltà considerevoli3. Come osservano Dumais (2000) e Sullivan (2002),
infatti, non esiste alcun consenso in merito a quali siano gli indicatori
più appropriati di capitale culturale. Alcune ricerche, infatti, fanno riferimento alle diverse forme di partecipazione culturale e rilevano, ad esempio, la frequenza delle visite a mostre e musei (Kraaykamp 2002; De
Graaf e De Graaf 2001; Dumais 2000); altre prendono in considerazione
l’interesse dichiarato per l’arte, la filosofia o la letteratura (Di Maggio
1982; De Graaf 1988), e altre ancora cercano di valutare le competenze
culturali in base alla capacità degli intervistati di menzionare le opere di
pittori o di compositori celebri (Di Maggio 1982; Sullivan 2001). Alcuni
studi, infine, rilevano il possesso di oggetti direttamente connessi ai consumi culturali (quadri, libri di poesia), oppure utilizzano indicatori di
partecipazione a corsi scolastici ed extrascolastici di contenuto artistico
(Teachman 1987; Aschaffenburg e Maas 1997).
È probabile che l’eterogeneità delle strategie di operativizzazione
della nozione in parola sia responsabile, almeno in parte, della variabilità dei risultati in merito alle tesi di Bourdieu. A questo proposito, basti
osservare che nell’analisi condotta da Lamb (1989) l’associazione statistica tra origini sociali ed esiti scolastici risulta pressoché interamente
ascrivibile all’influenza del capitale culturale, mentre negli studi di Robinson e Garnier (1985), di De Graaf (1986; 1988) e di Katsillis e Rubinson (1990) questo effetto di mediazione sembra, invece, modesto. Di
Maggio (1982; 1985) si spinge, addirittura, ad affermare che le risorse
culturali non costituiscono primariamente un fattore di riproduzione intergenerazionale delle disparità educative, ma piuttosto favoriscono l’ascesa sociale degli studenti di bassa estrazione sociale più dotati e ambiziosi: è l’ipotesi della mobilità culturale, simmetrica e opposta alle tesi di
Bourdieu. Secondo Di Maggio, infatti, il capitale culturale costituisce un
fattore di fluidificazione della struttura di classe, più che di conservazione delle disuguaglianze esistenti. La sua conclusione, che trova conferma anche nei lavori successivi di Aschaffenburg e Maas (1997) e di De
Graaf et al. (2000), poggia sulla convinzione che, per gli studenti più
brillanti delle classi subordinate, le risorse culturali valorizzate a scuola
siano meno inaccessibili di quanto supponesse Bourdieu. Di Maggio non
3
Occorre ricordare, inoltre, che Bourdieu (1979) aveva manifestato forti
perplessità nei confronti delle tecniche di scomposizione degli effetti causali. Le
sue obiezioni, comunque, sembrano soprattutto rivolte contro alcune applicazioni distorte di tali tecniche, prevalenti nella ricerca empirica statunitense.
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
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nega, dunque, che il capitale culturale influenzi in modo sostanziale i
processi di selezione educativa, ma sostiene che, attraverso l’esposizione
a stimoli culturali appropriati, esso possa essere accumulato (e utilmente
investito a scuola) anche dagli studenti di modesta estrazione sociale.
Nel complesso, gli studi empirici sulla teoria del capitale culturale
indicano che essa sembra possedere un potere esplicativo limitato. Al
contempo, non sappiamo in che misura questa conclusione sia generalizzabile anche in Italia. In questo lavoro, userò i dati Pisa per suggerire,
pur con le cautele legate ai problemi metodologici sopra discussi (vedi
anche appendice), che anche nel caso italiano l’analisi di Bourdieu pare
offrire un contributo parziale e non esauriente alla spiegazione degli effetti primari. Successivamente, esaminerò la possibilità di articolare tale
spiegazione attraverso l’introduzione di nuovi fattori causali.
4. L’indagine Pisa e la rilevazione dei livelli di apprendimento
Pisa è un’indagine comparativa promossa nel 2000 dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico con l’obiettivo di esaminare le competenze cognitive degli studenti quindicenni di 32 paesi. La
ricerca è avvenuta tramite questionari autosomministrati che si articolavano in una prima parte predisposta per la rilevazione dei livelli di apprendimento e in una seconda parte dedicata alla raccolta di informazioni di tipo individuale ed ecologico a fini esplicativi.
In Italia i rispondenti sono stati selezionati tramite un disegno di
campionamento casuale stratificato a due stadi4. Il tasso di risposta è pari
al 93%, e i controlli ex post sulla rappresentatività del campione effettivo conducono a risultati alquanto rassicuranti (Oecd 2002). Al fine di
garantire comunque la massima comparabilità con le precedenti analisi
basate sugli stessi dati, ho utilizzato il sistema di ponderazione messo a
punto dall’équipe Pisa.
Nei modelli statistici specificati in questo lavoro, gli esiti educativi
sono descritti mediante i punteggi di apprendimento in ambito linguistico e matematico. Non si fa riferimento, pertanto, ai voti scolastici degli
4
Le variabili di stratificazione sono tre: la dimensione dell’istituto, il ramo
educativo e il tipo di indirizzo scolastico. Nel primo stadio, sono state selezionate le scuole, con probabilità proporzionali alle dimensioni di ciascun istituto. Nel
secondo stadio, per ogni scuola sono stati estratti, tramite un metodo casuale, 35
studenti. I lettori interessati a maggiori dettagli di natura metodologica possono
consultare il manuale degli utenti Pisa (Oecd 2001), contenente un’accurata descrizione del disegno di ricerca di Pisa.
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
studenti, bensì ai risultati dei test standardizzati somministrati nel corso
dell’indagine5. Questa scelta richiede una precisazione. Pare evidente,
infatti, che nella prospettiva della teoria del capitale culturale si potrebbe
argomentare che i punteggi di apprendimento non siano interpretabili
come misure «neutrali» di competenza cognitiva e presuppongano, invece, convenzioni linguistiche e schemi di ragionamento propri della cultura delle classi superiori (vedi par. 2). Si noti, però, che questa osservazione non mina la scelta di usare tali punteggi; anzi semmai la rafforza.
L’obiettivo di questo lavoro, infatti, non è rilevare in modo imparziale le competenze cognitive, ammesso che ciò sia effettivamente possibile. Mi propongo, invece, di esaminare l’importanza delle risorse culturali familiari per la spiegazione degli effetti primari. Bourdieu sostiene che
gli insegnanti valorizzano e premiano l’acquisizione di competenze
permeate dalle convenzioni culturali delle classi elevate, pertanto proprio a questo genere di abilità dobbiamo fare riferimento. Detto altrimenti, se intendiamo fare luce sui meccanismi che regolano le chance di
successo a scuola, non conta necessariamente la qualità effettiva dell’apprendimento, definita sulla base di uno standard «imparziale», bensì l’acquisizione delle conoscenze e competenze che vengono apprezzate dagli
insegnati. La rilevazione degli esiti educativi tramite i punteggi di apprendimento sembra giustificata, dunque, nella misura in cui essi riflettono il possesso di abilità rilevanti per il successo a scuola6.
Per le variabili espressive delle risorse culturali familiari ho usato due
indici, costruiti a partire da altrettante batterie di domande7. La prima
batteria comprende indicatori relativi alla frequenza delle conversazioni
tra genitori e figli su tematiche «culturali» (ad esempio, la musica classica). La seconda serie riguarda, invece, la presenza nelle abitazioni degli
studenti di oggetti di alta cultura (ad esempio, quadri o testi letterari).
5
Questo dipende dal fatto che le dichiarazioni rese dagli studenti in merito ai
voti scolastici ottenuti nel semestre precedente all’intervista risultano scarsamente attendibili, in quanto gli intervistati tendono a sopravvalutare sistematicamente e in misura cospicua il proprio rendimento.
6
Anche nel nostro paese, i livelli di apprendimento, rilevati tramite test
standardizzati, risultano correlati in misura sostanziale al rendimento scolastico
(così come viene valutato dagli insegnanti), come ha mostrato Gasperoni (1996),
cui si rimanda per una discussione articolata dell’uso dei test strutturati.
7
Per garantire la comparabilità dei risultati con le altre analisi statistiche basate sui dati Pisa, ho utilizzato direttamente gli indici di cultural communications
e di cultural possessions resi disponibili nel dataset ufficiale di Pisa. Per
un’accurata descrizione delle procedure di costruzione degli indici, si rimanda a
Oecd (2001; 2002). Nell’appendice di questo lavoro vengono comunque riportate alcune informazioni di base in merito.
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
È possibile, inoltre, utilizzare anche una terza batteria di quattro domande che fanno riferimento ai consumi culturali degli studenti (ad esempio, la frequenza delle visite a mostre d’arte o della partecipazione a
concerti di musica classica). In questo caso, però, non si rilevano le risorse culturali della famiglia di origine, bensì quelle acquisite dallo studente. Queste potrebbero dipendere anche da fattori sostanzialmente «estranei» alla teoria del capitale culturale, quali il talento innato o la motivazione all’achievement (Di Maggio 1982; Aschaffenburg e Maas 1997):
si rischia pertanto di sovrastimare l’influenza effettiva del capitale culturale familiare. Ho scelto di presentare comunque i risultati cui si perviene con questa strategia alternativa di operativizzazione, peraltro adottata
frequentemente negli studi empirici sul capitale culturale, per controllare
la robustezza delle conclusioni raggiunte in questo lavoro, soprattutto in
relazione alla questione della scelta degli indicatori di capitale culturale.
5. I risultati dell’analisi
Il primo passo dell’analisi consiste nello stimare l’effetto complessivo delle origini sociali sulle competenze cognitive, mediante tecniche di
regressione ordinary least squares8. Successivamente, introdurrò le variabili relative alle risorse culturali familiari, al fine di stabilire in che
misura esse medino l’influenza delle provenienze sociali. La tab. 1 riporta le stime puntuali e intervallari dell’effetto totale delle origini sociali sui livelli di apprendimento linguistico. Il genere, l’età in mesi degli
studenti e lo status di immigrato dei loro genitori sono introdotti come
variabili di controllo9.
Al fine di interpretare correttamente le stime relative all’influenza
delle origini sociali, occorre tenere presente che il livello di scolarità dei
genitori, rilevato inizialmente tramite lo schema di classificazione Isced,
è stato ricodificato successivamente in anni di studio equivalenti. Lo status sociale della famiglia di origine, definito in base alla posizione occu8
I modelli stimati rilassano gli assunti di omoschedasticità e di indipendenza
statistica tra osservazioni. In particolare, ho utilizzato lo stimatore robusto di
Hubner e la procedura di clusterizzazione per i casi di studenti che frequentano
la stessa scuola.
9
I parametri relativi al genere e all’età degli studenti vanno nella direzione
attesa: i maschi e i più giovani raggiungono, in media, livelli di apprendimento
inferiori. Può sorprendere, invece, che i figli di immigrati non differiscano in
misura apprezzabile dai figli di italiani in termini di rendimento scolastico. Si
tenga conto, però, che si tratta di un effetto stimato al netto dello status sociale e
dei livelli di istruzione dei genitori.
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
TAB. 1. Effetto totale delle origini sociali sui livelli di apprendimento linguistico (Italia, 2000; N = 4.619)
Limite inferiore
Stima
Limite superiore
della stima
puntuale
della stima
Status sociale familiare
Livello istruzione familiare
Età in mesi
Genere (maschio)
Genitori immigrati
+0,82
+1,88
+0,49
–39,45
–9,62
+1,09
+3,02
+1,33
–29,99
+0,90
+1,35
+4,17
+2,17
–20,54
+11,44
Intervallo di confidenza = 95%, R2 = 0,111.
pazionale ricoperta dai genitori, viene operativizzato mediante la scala
internazionale di Ganzeboom che varia da 16 a 90 punti10.
Le disuguaglianze di apprendimento connesse alle origini sociali appaiono di considerevole entità. Il valore +1,09 della stima puntuale relativa all’effetto dello status sociale indica che gli studenti provenienti dalle famiglie collocate al vertice della gerarchia occupazionale ottengono
in media 81 punti in più rispetto ai compagni di bassa estrazione sociale
nella scala di competenza linguistica11. Se teniamo presente che l’intervallo di variazione di questa scala è pari a 330 punti (da 310 a 640), possiamo farci un’idea della consistenza elevata delle disparità osservate.
Lo scarto di 81 punti si riferisce al confronto tra i due estremi della gerarchia di status sociale: in tal caso, l’influenza della posizione lavorativa dei genitori dispiega, ovviamente, la massima intensità. Anche se
prendiamo in considerazione occupazioni meno distanti tra loro nella
scala di status, comunque, le disuguaglianze di apprendimento appaiono
ragguardevoli. Ad esempio, possiamo confrontare le prestazioni dei figli
di insegnanti e di piccoli artigiani: il differenziale di apprendimento a
favore dei primi ammonta a 44 punti, in base alle stime del modello qui
presentato. A queste disparità, per di più, si «sommano» quelle connesse
10
Per entrambe le variabili, ho applicato il criterio di dominanza (Erikson
1988; Schizzerotto e Schadee 1990) che seleziona il livello di istruzione e il punteggio di status sociale più elevati tra quelli del padre e della madre. Per la ricodifica dei titoli di studio in anni di scolarità ho seguito le indicazioni fornite nel
rapporto ufficiale Pisa (Oecd 2002).
11
Infatti, abbiamo visto che la scala di Ganzeboom varia tra 16 e 90 punti,
sicché lo scarto tra i due estremi è pari a 74 unità che vanno moltiplicate per il
valore del parametro (1,09). Analoghe considerazioni valgono per l’effetto del
livello di istruzione dei genitori: in questo caso, si farà riferimento a uno scarto
pari a 11 unità, corrispondente alla differenza in anni di studio tra licenza media
e laurea (Oecd 2002).
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
TAB. 2. Effetto totale del capitale culturale familiare sui livelli di apprendimento linguistico (Italia, 2000; N = 4.619)
Limite infer.
Stima
Limite super.
della stima
puntuale
della stima
Status sociale familiare
Livello di istruzione familiare
Età in mesi
Genere (maschio)
Genitori immigrati
Capitale culturale materiale
Capitale culturale interazionale
+0,68
+1,23
+0,40
–35,94
–6,89
+4,81
+6,12
+0,93
+2,40
+1,24
–26,77
+3,02
+9,02
+9,43
+1,18
+3,56
+2,09
–17,60
+12,93
+13,22
+12,73
Intervallo di confidenza = 95%, R2 = 0,132.
al livello di istruzione dei genitori. Il parametro stimato corrispondente a
questo secondo effetto è pari a +3,02 e segnala che, ad esempio, la laurea del genitore assicura, a parità di status sociale di origine, un vantaggio di 33 punti nella scala di competenza linguistica rispetto a chi proviene da famiglie dove i genitori si sono fermati alla licenza media12.
Si noti inoltre che, se teniamo conto dell’incertezza campionaria delle stime, è possibile affermare con elevata confidenza ( = 5%) che, nell’universo di riferimento, il «valore vero» del parametro relativo allo status sociale non è inferiore a +0,82. Questo equivale a uno scarto pari a
61 punti tra i due estremi della scala di status. Analogamente, si può
concludere che il vantaggio netto assicurato dalla laurea dei genitori rispetto al possesso della sola licenza media non è inferiore a 21 punti. In
breve, anche se si tiene in considerazione l’esistenza di rilevanti margini
di errore campionario nelle stime, sembra difficile sottrarsi alla conclusione che le origini sociali influenzano sostanzialmente i livelli di competenza cognitiva13.
12
I dati Pisa ufficiali resi disponibili alla comunità scientifica non contengono informazioni sulla zona di residenza degli studenti italiani. Questo limite
comporta il rischio che siano presenti distorsioni nelle stime relative all’influenza delle origini sociali, se si ipotizza una rilevante associazione tra area geografica e origini sociali. Le analisi condotte in merito a tale evenienza, basate sui
dati dell’Indagine longitudinale sulle famiglie italiane, consentono però di escludere tale possibilità (elaborazioni disponibili su richiesta).
13
Si noti che, in base alla teoria della stratificazione sociale proposta da Bourdieu (1979), sarebbe preferibile utilizzare la classe di origine piuttosto che lo
status sociale dei genitori. Sfortunatamente, questo non è possibile con i dati a
disposizione. In ogni caso, non si vede alcun motivo per cui i risultati ai quali
perverremo potrebbero dipendere in modo sostanziale da questa «scelta forzata».
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
La tab. 2 consente di esaminare in che misura la relazione tra provenienze sociali ed esiti di apprendimento sia mediata dalle risorse culturali familiari. Queste influenzano positivamente le competenze cognitive
degli studenti, come mostra la seconda colonna della tabella: un risultato
in linea con l’ipotesi 1a) formulata in precedenza. Si tratta, inoltre, di
effetti di entità elevata. Al primo indice, relativo alla presenza in casa di
oggetti di alta cultura, è associato un parametro pari a +9,02. Questo equivale a un effetto di oltre 27 punti nella scala di competenza cognitiva14. A questo valore va sommato quello relativo al secondo indice che
fa riferimento alla frequenza delle conversazioni tra genitori e figli su
tematiche «culturali». Il parametro corrispondente è pari a +9,43 e questo si traduce in un effetto causale che può raggiungere quasi i 50 punti,
se confrontiamo i due estremi della distribuzione di questa variabile. Nel
complesso, l’influenza delle risorse culturali familiari sui livelli di apprendimento sembra dunque cospicua (Esping-Andersen e Mester 2003;
Checchi 2004), in linea con le tesi di Bourdieu e colleghi.
Esaminiamo adesso in che misura le stime dei parametri relativi
all’influenza delle origini sociali siano mutate, a seguito dell’introduzione delle variabili espressive delle risorse culturali. Dalla tab. 2 si può desumere agevolmente che tali stime rimangono di entità elevata. L’effetto
dello status sociale familiare si è ridotto solo del 15% rispetto a quello
riportato in tab. 1. Analogamente, l’influenza del livello di istruzione dei
genitori cala solo del 21%. In breve, le risorse culturali sembrano rendere conto solo di una quota minoritaria dell’effetto complessivo delle origini sociali. Naturalmente, non si tratta di un contributo esplicativo trascurabile, né si può escludere che esso potrebbe risultare maggiore, se
fosse possibile rilevare con maggiore accuratezza le risorse culturali familiari. Al contempo, in linea con le conclusioni raggiunte per altri paesi, anche i risultati presentati in questa sede sembrano confermare che
appare limitata la capacità esplicativa della teoria del capitale culturale.
A supporto della precedente affermazione, si può esaminare quali risultati si ottengono se, in luogo dei due indici che abbiamo appena utilizzato, si introduce una misura delle risorse culturali a disposizione degli studenti che fa riferimento alle loro occasioni di partecipazione ad
Si noti, a questo proposito, che le precedenti analisi sul ruolo del capitale culturale che hanno utilizzato schemi di classe conducono a conclusioni analoghe
alle nostre (Katsillis e Rubinson 1990; Sullivan 2001).
14
L’intervallo di variazione di questa variabile ammonta, infatti, a circa tre
unità. Il valore 27 si riferisce, dunque, al confronto tra studenti provenienti da
famiglie collocate ai due estremi di questa scala di capitale culturale. Per il secondo indice che esamineremo, l’intervallo di variazione è pari a circa 5 unità.
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
TAB. 3. Effetto totale del capitale culturale degli studenti sui livelli di apprendimento linguistico (Italia, 2000; N = 4.619)
Limite infer.
Stima
Limite super.
della stima
puntuale
della stima
Status sociale familiare
Livello di istruzione familiare
Età in mesi
Genere (maschio)
Genitori immigrati
Capitale culturale degli studenti
+0,73
+1,58
+0,41
–37,34
–11,74
+5,88
+0,99
+2,70
+1,25
–27,97
–0,94
+9,47
+1,25
+3,83
+2,09
–18,61
+9,86
+13,07
Intervallo di confidenza = 95%, R2 = 0,120.
eventi di alta cultura (ad esempio, visite a musei15). Dal confronto tra le
stime puntuali relative all’influenza delle origini sociali riportate nella
tab. 3 con quelle presentate in tab. 1, si può desumere che il capitale culturale degli studenti media il 9% dell’effetto dello status sociale familiare e il 10% dell’influenza dei livelli di scolarità dei genitori.
Infine, possiamo replicare lo stesso schema di analisi per lo studio
dei livelli di apprendimento in ambito matematico. La prima colonna
della tab. 4 riporta gli effetti del modello lordo. Si noti che l’influenza
complessiva delle origini sociali risulta minore rispetto a quanto si è visto per le competenze linguistiche. La seconda colonna contiene le stime
del modello netto, dove si introducono gli indici di capitale culturale
familiare. Anche in questo caso, essi «spiegano» una quota minoritaria
dei differenziali di apprendimento in base all’origine sociale. Più precisamente, l’influenza del livello di istruzione dei genitori si riduce del
28% e quella dello status sociale familiare cala dell’11%.
In sintesi, i diversi modelli presi in considerazione conducono al medesimo risultato: le variabili espressive delle risorse culturali familiari
esercitano un’influenza sostanziale sui livelli di apprendimento, ma mediano solo una porzione minoritaria dell’effetto delle origini sociali.
Una possibile spiegazione di questo risultato prende le mosse dall’ispezione dei coefficienti di correlazione parziale16 tra le origini sociali
15
Si è usato l’indice Pisa di student cultural activity (Oecd 2001; 2002; vedi
anche appendice).
16
Si è stimata la correlazione tra le variabili in parola tenendo sotto controllo
il genere, l’età degli studenti e lo status di immigrato dei loro genitori. Le analisi
preliminari non hanno evidenziato la presenza di significative relazioni non lineari tra origini e capitale culturale, sicché l’analisi di correlazione non sembra
inappropriata. Per una discussione dell’errore di misurazione negli indici di capi-
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
TAB. 4. Effetto totale del capitale culturale familiare sui livelli di apprendimento matematico (Italia, 2000, N = 2.562)
Modello lordo
Modello netto
Status sociale familiare
Livello di istruzione familiare
Età in mesi
Genere (maschio)
Genitori immigrati
Capitale culturale materiale
Capitale culturale interazionale
R2
+0,91
+1,77
+1,04
+15,82
+4,43
–
–
+0,81
+1,26
+1,01
+18,13
+5,65
+8,14
+3,02
0,051
0,058
Nota: La riduzione della numerosità campionaria nelle analisi sull’apprendimento matematico rispetto ai modelli statistici presentati in precedenza dipende dal
disegno di ricerca di Pisa. Questo prevedeva la raccolta di informazioni in tale
ambito solo per un sottocampione di studenti.
TAB. 5. Coefficienti di correlazione parziale tra origini sociali e indici di capitale culturale (Italia, 2000, N = 4.619)
Capitale culturale
... della famiglia ... della famiglia
... degli
(dimensione
(dimensione
studenti
interazionale)
materiale)
Status sociale genitori
Livello istruzione genitori
+0,15
+0,14
+0,30
+0,31
+0,20
+0,22
e i due indici di capitale culturale. Come mostra la tab. 5, la collocazione
della famiglia nella gerarchia sociale, descritta tramite lo status sociale
dei genitori o il loro livello di scolarità, sembra collegata debolmente
alla sua collocazione nella gerarchia culturale. I coefficienti di correlazione parziale, infatti, oscillano tra +0,14 e +0,31.
Questo risultato non sembra dipendere dalla scelta degli specifici indicatori qui usati (vedi appendice). Infatti, esso trova conferma in numerosi altri studi empirici, dai quali è emerso che l’associazione statistica
tra capitale culturale e status occupazionale risulta modesta (Robinson e
Garnier 1985; Di Maggio 1982; 1985). Ad esempio, Davis (1982) esamina 49 variabili relative ad atteggiamenti e comportamenti nei più ditale culturale, che potrebbe distorcere le stime delle correlazioni parziali, si veda
Oecd (2001) e si consulti l’appendice alla fine a questo articolo.
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
versi ambiti (consumi culturali, lettura di giornali, credenze religiose,
orientamenti politici, ecc.) e trova che esse sono solo debolmente associati alla classe sociale di appartenenza e al livello di istruzione17.
Gli studi di mobilità sociale offrono una convincente spiegazione
della debole omogeneità culturale delle classi sociali (Goldthorpe 1983).
Essa dipende, almeno in parte, dall’elevata eterogeneità delle origini sociali e dei titoli di studio dei membri della stessa classe. Ad esempio, in
Italia si osserva nella borghesia l’incidenza maggiore di individui che
provengono da questa stessa classe, ma essa risulta pari solo al 21%; analogamente, nella borghesia si riscontra la massima quota di laureati, ma
essa non supera il 49%18. Questo dipende dalla rapida espansione della
classe di servizio negli ultimi decenni che ha imposto la necessità di reclutare membri di prima generazione e individui che si sono fermati al
diploma o, addirittura, alla licenza media. Possiamo attenderci che questi soggetti seguano modelli di consumo culturale significativamente diversi da quelli dei restanti membri della classe di servizio. Del resto,
questo è quanto ipotizzava lo stesso Bourdieu (1979a), il quale riteneva,
però, che i tassi di mobilità sociale fossero piuttosto contenuti, al punto
da non intaccare l’omogeneità culturale delle classi sociali. Di conseguenza, egli tendeva ad assumere l’esistenza di uno stretto legame tra la
gerarchia socio-economica e quella culturale, rischiando pertanto di sovrastimare la portata esplicativa della teoria del capitale culturale. Sembra ormai ampiamente assodato, invece, che nel corso della seconda metà del XX secolo i paesi occidentali hanno conosciuto intensi flussi di
mobilità sociale (Erikson e Goldthorpe 1992; Schizzerotto 2002; Breen
2004) che hanno verosimilmente indebolito in misura considerevole
l’identità culturale delle classi sociali nelle società contemporanee.
17
È importante sottolineare che questi studi non possono essere intesi come
tentativi di rilevare empiricamente l’habitus o il capitale culturale in senso proprio. Entrambi i concetti, infatti, non si riferiscono alle pratiche culturali in
quanto tali, bensì alle «formule generatrici» di tali pratiche (Bourdieu 1979).
L’habitus di classe è un insieme strutturato di disposizioni interiorizzate: queste
inducono differenti modelli di consumo culturale, senza però identificarsi con
questi ultimi. Si può però sostenere che, se le forme di partecipazione culturale
non risultano così nettamente differenziate, è quanto meno legittimo dubitare
che lo siano le formule generatrici sottostanti. In effetti, numerosi lavori hanno
mostrato che gli attori sociali sono esposti a una pluralità di influenze socializzanti che inducono preferenze culturali piuttosto eterogenee e, comunque, non
sempre coerenti con la propria posizione sociale (Di Maggio 1982; Lahire 1998;
1999; Erikson 1996; Ganzeboom e Nagel 2002), ad esempio perché combinano i
consumi di alta cultura con la fruizione di cultura popolare.
18
Elaborazioni condotte sui dati dell’Indagine longitudinale sulle famiglie
italiane e riferite agli individui di età non inferiore ai 30 anni.
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
6. Il ruolo delle aspirazioni sociali
I risultati esposti nel par. 5 pongono il problema di individuare quali
ulteriori meccanismi causali potrebbero spiegare l’influenza delle origini
sociali sulle opportunità di apprendimento. In questa sede, intendo suggerire un potenziale candidato: le aspirazioni sociali degli studenti. Si
tratta di un fattore che influenza in misura significativa i livelli di competenza cognitiva, come è stato ampiamente documentato in precedenza
(Oecd 2002; Kirsch et al. 2003). Al contempo, sappiamo che le ambizioni sociali degli studenti sono condizionate dalle loro origini sociali
(Need e De Jong 2002; Oecd 2002). In particolare, è noto che i discendenti delle classi superiori mirano ad «arrivare più in alto» (Keller e Zavalloni 1964; Boudon 1979; Breen e Goldthorpe 1997)19 e, di conseguenza, tendono ad attribuire maggiore importanza allo sviluppo di abilità cognitive e linguistiche e, in generale, al successo scolastico.
Questo vale per gli studenti ma anche – e forse soprattutto – per i loro genitori, i quali possono incentivare in misura variabile l’acquisizione
di competenze. Ad esempio, gli studi etnografici di Lareau (1987; 2002)
mostrano che i genitori delle classi elevate tendono a programmare in
modo sistematico il tempo libero dei propri figli, iscrivendoli molto
spesso ad attività che consentano loro di sviluppare nuove abilità cognitive
e culturali (corsi di teatro, lezioni di piano). Si può ipotizzare, inoltre, che
le differenti risorse economiche a disposizione delle famiglie «alimentino» (o deprimano) le stesse aspirazioni degli studenti e dei loro genitori.
In altre parole, le famiglie si pongono con maggiore determinazione
l’obiettivo del successo scolastico nella misura in cui possiedono i mezzi
materiali per perseguire efficacemente questo risultato (ad esempio, tramite il finanziamento di lezioni private, oppure di attività di formazione
integrativa come i corsi di lingue o di informatica).
In breve, è possibile prevedere che, se le famiglie benestanti mirano
ad assicurare destini professionali soddisfacenti ai propri discendenti e si
rendono conto che questi dipendono in misura considerevole dai loro esiti
educativi, esse cercheranno di favorire il successo scolastico dei figli.
L’ipotesi in parola può essere sottoposta a controllo empirico, esaminando se le aspirazioni occupazionali degli studenti contribuiscono a spie19
Il figlio di un libero professionista mira tipicamente a rimanere nella stessa classe di origine dei genitori e considera un risultato deludente l’accesso a
ruoli impiegatizi, mentre lo svolgimento di mansioni manuali è visto come un
fallimento che va assolutamente evitato. Questo stesso esito, invece, per il figlio
di un operaio equivale a «ripercorrere le orme» del genitore e non viene visto,
pertanto, in modo altrettanto negativo.
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
TAB. 6. Effetto totale delle ambizioni occupazionali degli studenti sui livelli di
apprendimento linguistico (Italia, 2000 ; N = 4.619)
Limite infer.
Stima
Limite super.
della stima
puntuale
della stima
Status sociale familiare
Livello di istruzione familiare
Età in mesi
Genere (maschio)
Genitori immigrati
Capitale culturale materiale
Capitale culturale relazionale
Aspirazioni occupazionali studenti
+0,44
+0,98
+0,04
–29,52
–3,81
+2,08
+5,01
+0,54
+0,68
+2,22
+0,89
–19,91
+6,99
+6,41
+8,49
+0,80
+0,92
+3,46
+1,74
–10,30
+17,79
+10,73
+11,96
+1,05
Intervallo di confidenza = 95%, R2 = 0,144.
gare l’influenza delle origini sociali sui livelli di apprendimento cognitivo.
La nuova variabile introdotta si riferisce allo status sociale del lavoro
che gli intervistati dichiarano di volere svolgere da adulti, operativizzato
tramite la scala di Ganzeboom. Come si può vedere nella tab. 6, le ambizioni lavorative degli studenti esercitano un’influenza positiva e cospicua sui livelli di apprendimento. Inoltre, esse mediano una quota non
trascurabile dell’effetto dello status sociale familiare. In particolare,
questo si riduce del 27% rispetto ai valori riportati in tab. 220.
Le analisi statistiche effettuate, dunque, non solo suggeriscono che la
teoria del capitale culturale offre una spiegazione parziale degli effetti
primari, ma indicano anche che i differenziali di ambizione costituiscono un ulteriore fattore esplicativo da prendere in considerazione. Una
possibile interpretazione di questo risultato potrebbe richiamarsi all’analisi dell’ethos di classe sviluppata dallo stesso Bourdieu (1966; 1972;
1974; 1979), nell’ambito della teoria della riproduzione culturale.
Come si è visto in precedenza, Bourdieu riteneva che le opportunità
complessive di ascesa sociale fossero assai ridotte per le classi subordinate, al punto da condizionare la loro disponibilità ad investire in istruzione. In altre parole, le esigue probabilità oggettive di promozione sociale sarebbero interiorizzate, sino a diventare aspettative soggettive di
20
Naturalmente, è ragionevole presumere che tra ambizioni ed esiti di apprendimento sussista una relazione di causazione bi-direzionale, tale per cui le
prime favoriscono il successo scolastico e, al contempo, sono da questo alimentate. È probabile, comunque, che le aspirazioni sociali siano condizionate più
direttamente dai risultati scolastici che dai livelli di apprendimento effettivo rilevati tramite test standardizzati (Barone 2003).
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
fallimento (Davis e Dollard 1972). Queste, a loro volta, deprimerebbero
le aspirazioni educative e lavorative degli studenti della classe operaia.
Si verificherebbe, in altre parole, uno slittamento tra previsione e volizione: come scrive Bourdieu (1972, 295), i membri delle classi popolari
«prendono la realtà per i propri desideri», ma questo accade perché le
ambizioni sociali dipendono dalle «condizioni oggettive che escludono
la possibilità di sperare nell’impossibile».
È opportuno sottolineare che, quando Bourdieu avanzava queste tesi,
poteva appoggiarsi alla «statistica che stabilisce per ogni figlio di operaio due probabilità su cento di accedere all’istruzione superiore» (Bourdieu 1972, 295). Secondo Bourdieu (1966, 325; 1974, 40-41), l’ethos di
classe condiziona la propensione a proseguire gli studi e la scelta del
ramo d’istruzione; inoltre, esso influenzerebbe pure il gradimento dell’esperienza scolastica da parte degli studenti e la loro disponibilità a
conformarsi alle norme che regolano l’interazione in classe. L’ethos di
classe plasma in modo coerente e globale le strategie di riproduzione
sociale delle famiglie, anche se la sua azione non discende da un calcolo
deliberato e cosciente, quanto piuttosto dall’aggiustamento di aspettative, aspirazioni e comportamenti alle condizioni oggettive d’esistenza di
ciascuna classe sociale (Bourdieu 1974).
La linea di argomentazione appena esposta potrebbe consentire di
rendere conto dell’associazione statistica tra classe di origine e ambizioni sociali. Queste influenzerebbero gli esiti educativi, secondo Bourdieu,
nella misura in cui generano un sovradattamento ai vincoli esterni, di
modo che le classi subordinate contribuiscono autonomamente a costruirsi il proprio destino di fallimento sociale. In particolare, gli studenti
di modesta estrazione sociale, anche quando conseguono incoraggianti
risultati scolastici, non credono che la scuola possa funzionare come canale di mobilità sociale e, di conseguenza, sono poco propensi ad investire in istruzione, anche quando questo investimento potrebbe avere ragionevoli probabilità di successo.
L’interpretazione di Bourdieu, tuttavia, trova debole riscontro empirico nelle ricerche sulle disuguaglianze educative. Queste indicano che
le classi subordinate sono disponibili ad investire in istruzione quando i
loro figli ottengono risultati scolastici soddisfacenti (Halsey et al. 1980;
Gambetta 1996; Goldthorpe 2000; Goldthorpe et al. 2004; Schizzerotto
e Barone 200521). In altre parole, esse non sembrano soggette all’effetto
21
I dati della già citata Indagine longitudinale sulle famiglie italiane indicano, anzi, che la propensione ad investire in istruzione (espressa tramite i tassi di
passaggio all’università) aumenta al crescere del rendimento scolastico (descritto
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
di scoraggiamento previsto da Bourdieu.
Esattamente come per la teoria del capitale culturale, si può sostenere
che l’argomentazione di Bourdieu relativa al ruolo delle aspirazioni sociali sia viziata dall’errata ipotesi di partenza secondo cui i tassi di mobilità sociale nelle società contemporanee sarebbero assai contenuti. Come
si è detto, infatti, secondo Bourdieu le ridotte aspirazioni delle classi subordinate sono radicate nelle scarse opportunità effettive di ascesa sociale.
Pare significativa, in proposito, la sua affermazione secondo cui «è senza
dubbio a causa di un effetto di inerzia culturale che si può continuare a
considerare il sistema scolastico come un fattore di mobilità sociale, secondo l’ideologia della “scuola liberatrice”» (Bourdieu 1966, 325).
Sappiamo, però, che gli studi di mobilità sociale documentano l’esistenza di intensi movimenti tra le classi sociali da una generazione alla
successiva. Inoltre, nelle società contemporanee le credenziali educative
elevate garantiscono alte probabilità di successo lavorativo, anche a chi
proviene dalla classe operaia (Cobalti e Schizzerotto 1994; Cobalti 1996;
Mueller e Shavit 1998), al contrario di quanto riteneva Bourdieu (1979a).
Le premesse delle tesi sull’ethos di classe sembrano, dunque, empiricamente infondate, o quanto meno esse paiono non più applicabili alla realtà dell’istruzione di massa delle società contemporanee. Pertanto, sembra poco promettente utilizzare tale concezione al fine di spiegare
l’influenza delle aspirazioni sociali sugli esiti di apprendimento.
I dati a disposizione consentono di svolgere soltanto un’analisi di tipo cross-sectional che impedisce di descrivere come variano nel corso
dell’intera carriera educativa le disparità di apprendimento. È probabile,
tuttavia, che un’analisi dinamica permetterebbe di fare piena luce sui
meccanismi di generazione dei differenziali di abilità. È noto, infatti, che
i processi di apprendimento comportano una forte componente cumulativa, tale per cui uno dei fattori che più condizionano le chance di accrescere le proprie competenze cognitive al tempo t è la dotazione di competenze acquisite al tempo t–1 (Entwisle e Alexander 1993; Alexander
et al. 1997). Questo significa che i cospicui differenziali di abilità che
abbiamo osservato tra gli studenti quindicenni potrebbero originarsi da
differenze relativamente modeste nelle risorse di apprendimento all’inizio
dell’iter educativo, differenze che producono però effetti progressivamente amplificati, proprio perché l’apprendimento è un processo cumulativo.
tramite il voto di diploma), secondo un tasso costante nella classe operaia e nella
classe di servizio (Schizzerotto e Barone 2005).
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
7. Conclusioni
Nell’introduzione di questo lavoro ho osservato che i sociologi tendono spesso ad interpretare l’effetto del livello di istruzione dei genitori
sugli esiti educativi dei figli come espressione dei condizionamenti culturali familiari. Le analisi che ho presentato suggeriscono tuttavia che, a
dispetto della popolarità di cui gode tale interpretazione, essa sembra
rendere conto solo di una quota minoritaria – ancorché non trascurabile
– dell’influenza del grado di istruzione dei genitori sul rendimento scolastico. Naturalmente, è possibile sostenere che, se riuscissimo a rilevare
le dotazioni di capitale culturale con maggiore accuratezza, gli esiti dei
test empirici potrebbero essere più favorevoli alle tesi di Bourdieu.
Le indicazioni sul limitato potere esplicativo della teoria del capitale
culturale andranno sicuramente verificate con nuovi dati. Tuttavia, va
ricordato che esse trovano conferma in numerosi altri studi empirici
(par. 3) che hanno utilizzato un repertorio persino troppo vasto di indicatori di capitale culturale. Inoltre, mi pare che esistano dopotutto plausibili ragioni di carattere sostantivo per attendersi questo risultato, dal momento che nelle società contemporanee le identità culturali delle classi
sociali sono meno contrapposte, meno nettamente differenziate e più
sfumate rispetto al passato; di conseguenza, il legame tra provenienze
sociali e risorse culturali possedute potrebbe essere di intensità moderata. Si noti che le analisi condotte hanno confermato le tesi di Bourdieu
sull’importanza delle risorse culturali per il successo scolastico, ma suggeriscono che tali risorse sono meno strettamente legate alle origini sociali di quanto si potrebbe supporre. Del resto, questo risultato pare coerente anche con gli studi che documentano la pluralità, l’eterogeneità e
la frequente contraddittorietà degli universi culturali che plasmano i valori, gli atteggiamenti e le abilità degli adolescenti nelle società contemporanee ad elevato grado di differenziazione (Lahire 1998).
Nel conto va poi messo che non è necessario che la relazione tra indici dei consumi culturali familiari e risultati scolastici vada interpretata
tramite la teoria del capitale culturale. Questa lettura, anzi, è stata messa
in discussione in anni recenti. Innanzitutto, la relazione in parola è compatibile anche con altri approcci teorici che sottolineano il ruolo della
dimensione simbolica ed espressiva nei processi di stratificazione sociale. In particolare, Collins (1994; 2004) mostra che le forme di partecipazione culturale, così come le occasioni di socialità delle élite, possono
essere lette come rituali sociali nei quali le classi elevate celebrano la
propria superiorità e, al contempo, «cementano» il senso di appartenenza
comune elaborando un insieme di pratiche e di simboli condivisi.
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
L’analisi di Collins indica che le possibilità di partecipazione ai rituali dell’alta cultura non dipendono esclusivamente, né prevalentemente, da risorse di natura economica, bensì anche da fattori di natura simbolica e relazionale. In questa direzione, Collins riprende la distinzione
weberiana tra classe e ceto, proprio per sottolineare che la sovrapposizione tra la dimensione occupazionale e quella culturale dei processi di
stratificazione sociale è solo parziale e alquanto imperfetta, come è emerso anche dalle nostre analisi. Questo accade perché le differenze culturali tra classi non sono una conseguenza necessaria dell’asimmetria
strutturale di potere tra classi sociali – come, invece, sostengono Bourdieu e Passeron (1970) – ma vengono attivamente costruite dagli individui attraverso le dinamiche di inclusione e di esclusione da una molteplicità di cerchie sociali. Rispetto all’analisi di Bourdieu, inoltre, Collins
attribuisce maggiore importanza ai processi di socializzazione secondaria e alla loro capacità di «rimescolare le carte» rispetto agli esiti delle
forme di acculturazione che hanno luogo nella prima infanzia.
Una seconda possibile interpretazione della relazione tra consumi
culturali ed esiti scolastici indica che i primi potrebbero esprimere l’influenza delle risorse cognitive disponibili nell’ambiente familiare (Farkas 1996; De Graaf et al. 2000). Si fa riferimento, in tal caso, non tanto
alle «sottili» convenzioni culturali delle classi elevate, quanto piuttosto
ad abilità linguistiche e di ragionamento di carattere più basilare.
Le analisi di De Graaf et al. (2000) offrono alcuni indizi empirici a
sostegno di questa interpretazione. In particolare, esse indicano che il
rendimento scolastico degli studenti dipende dalla propensione alla lettura dei loro genitori, ma non dal tipo di libri che questi prediligono: gli
indici di consumo di letteratura popolare (ad esempio, romanzi rosa o di
avventura) permettono di rendere conto degli esiti scolastici dei figli,
senza che le variabili espressive delle forme di partecipazione all’alta
cultura accrescano il potere esplicativo dei modelli stimati. Lo studio di
Farkas (1996) rileva in modo più diretto e accurato le risorse cognitive
della famiglia di origine attraverso appositi test standardizzati. I risultati
indicano che, addirittura, esse rendono conto in misura pressoché completa dell’influenza del livello di istruzione dei genitori sugli esiti educativi dei figli. Pare utile, dunque, elaborare la spiegazione degli effetti
primari in questa direzione e, in generale, sviluppare un’analisi più articolata rispetto a quanto suggerito dalla teoria del capitale culturale.
In questo lavoro, ho cercato di argomentare che anche i differenziali
di risorse economiche e di ambizione lavorativa potrebbero mediare la
relazione tra origini sociali e apprendimento. Il ruolo di questi due fattori si presta agevolmente ad un’interpretazione in termini di scelta razio-
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
nale che sottolinea come gli studenti e le loro famiglie siano sensibili ai
costi ed ai benefici dell’investimento in istruzione, di modo che il tempo
e gli sforzi dedicati allo studio dipendono dalle risorse materiali che le
famiglie possono destinare all’istruzione e dai progetti occupazionali di
genitori e figli (Boudon 1979; Breen e Goldthorpe 1997; Becker 2003).
Del resto, questa interpretazione è stata già ampiamente sviluppata per
quanto riguarda gli effetti secondari (i differenziali di partecipazione al
sistema educativo in base all’origine sociale, a parità di abilità scolastica): si è visto, infatti, che le disponibilità finanziarie e le aspirazioni lavorative condizionano in misura determinante la propensione ad investire in istruzione (Werfhorst 2002; Need e De Jong 2002; Barone 2005).
In questa sede, ho provato a suggerire che gli stessi fattori potrebbero
svolgere un ruolo di rilievo anche nella spiegazione delle disparità di
apprendimento. Se questa ipotesi fosse ulteriormente corroborata, disporremmo di un modello interpretativo delle disuguaglianze di istruzione unitario e parsimonioso, applicabile sia all’analisi dei differenziali di
partecipazione educativa che allo studio del rendimento scolastico.
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Appendice
Gli indicatori di capitale culturale usati nelle analisi si riferiscono: a) alla
frequenza con cui i genitori discutono con i figli di tematiche politiche o sociali;
di libri o film; di musica classica (cultural communication index); b) alla presenza in casa di libri di poesia; di letteratura classica; di lavori d’arte (cultural
possession index); c) alla frequenza con cui gli studenti si recano a musei o
gallerie d’arte; a opere o balletti; a concerti di musica classica; a spettacoli
teatrali (cultural activity index).
Le modalità di risposta alle domande del cultural communication index erano: mai o quasi mai; qualche volta l’anno; circa una volta al mese; diverse volte
al mese; diverse volte alla settimana. La seconda batteria prevedeva risposte dicotomiche (sì/no). Le modalità di risposta ai quesiti del cultural activity index
erano: mai o quasi mai; una o due volte l’anno; tre o quattro volte l’anno; più di
quattro volte l’anno. La tab. A1 riporta alcune statistiche descrittive degli indici.
Come ho argomentato nel par. 5, ritengo più corretto introdurre nei modelli
statistici i primi due indici sopra citati e, in alternativa, il terzo (ossia, il cultural
activity index). Tuttavia, le conclusioni sostantive cui perveniamo non mutano
se, invece, introduciamo i tre indici congiuntamente (elaborazioni disponibili su
richiesta). Inoltre, piuttosto di utilizzare gli indici disponibili nel dataset ufficiale
di Pisa, è possibile costruirne ex novo mediante analisi fattoriale. In particolare,
ho provato a selezionare dalle tre batterie di domande le seguenti variabili che
fanno riferimento in modo più univoco ai consumi di alta cultura: la frequenza
con cui genitori e figli parlano insieme di musica classica; la presenza a casa di
libri di letteratura classica; la presenza a casa di libri di poesia; la presenza a casa di lavori d’arte; la frequenza con cui gli studenti si recano a musei o gallerie
d’arte; a opere o balletti; a concerti di musica classica; a spettacoli teatrali.
L’indice così ottenuto conduce, però, a risultati del tutto analoghi a quelli presentati (elaborazioni disponibili su richiesta)22.
I tre indici ufficiali Pisa sono stati costruiti tramite la procedura di Warm,
che comporta l’utilizzo di uno stimatore di massima verosimiglianza ponderata,
basato sul cosiddetto one-parameter item response model. Questo costituisce
22
In nessuna delle analisi di controllo effettuate, basate su specificazioni differenti delle risorse culturali possedute, l’introduzione degli indici di capitale
culturale provoca una riduzione dell’effetto dell’istruzione familiare superiore al
31%, né un calo dell’effetto dello status sociale d’origine maggiore del 24%.
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
xx
TAB. A1. Statistiche descrittive degli indici di capitale culturale nei dati italiani del progetto Pisa (N = 4.619)
Indici PISA
Beni culturali posseduti
Communicazione culturale
Attività culturali
Media
+0,35
+0,42
–0,01
Dev. std.
0,89
0,93
0,97
Minimo
Massimo
–1,65
–2,20
–1,28
+1,15
+2,72
+2,93
un’applicazione specifica, considerata di particolare utilità per la ricerca comparativa (Oecd 2001), dell’item response theory. Tale approccio utilizza una data
batteria di domande per effettuare, congiuntamente, due operazioni: collocare
ciascun rispondente lungo un continuum che rappresenta una dimensione sottostante (un’abilità, un atteggiamento, ecc.); scalare ogni stimolo sottoposto agli
intervistati lungo la stessa dimensione (ad esempio, se gli stimoli si riferiscono a
una data abilità, è possibile differenziarli in base al grado di abilità richiesta per
rispondere correttamente).
L’équipe Pisa ha condotto anche un’analisi fattoriale confermativa mediante
modelli di equazioni strutturali per verificare che le variabili si conformassero
alle attese dei ricercatori circa la struttura fattoriale ipotizzata. Per un’illustrazione dettagliata di queste analisi di controllo e dei soddisfacenti risultati ottenuti, si rimanda al Pisa Technical Report (Oecd 2001). Si noti che ciascun indice ufficiale Pisa esibisce coefficienti di correlazione di Pearson non inferiori a
+0,9 con il corrispondente indice basato sulle stesse variabili, ma costruito mediante analisi fattoriale.
Per quanto riguarda l’attendibilità degli indici impiegati, l’alpha di Cronbach è pari rispettivamente a: 0,56 per l’indice di cultural possessions; 0,50 per
l’indice di cultural communication; 0,57 per l’indice di cultural activity. Questi
valori, benché contenuti, sono in linea con quelli che si osservano negli altri 31
paesi partecipanti al progetto Pisa (Oecd 2001).
Può essere utile provare a valutare l’attendibilità di un indice di capitale culturale concettualmente analogo a quelli desunti dai dati Pisa, ma basato su una
diversa fonte d’informazione, ossia la Quinta indagine Iard sulla condizione giovanile. Ho considerato le domande relative alla frequenza con cui i giovani italiani svolgono le seguenti attività: recarsi a un concerto di musica classica; andare a teatro; visitare un museo o una mostra d’arte; recarsi a un convegno o dibattito; frequentare una biblioteca; ascoltare musica classica. Le risposte possibili
erano: mai negli ultimi tre mesi; una o due volte negli ultimi tre mesi; una o più
volte al mese; una o più volte alla settimana. L’alpha di Cronbach per queste sei
variabili è pari a 0,59, ossia un valore pressoché identico a quello ottenuto per il
corrispondente indice Pisa di cultural activity (0,57). Poiché questo risultato ricorre in due fonti indipendenti, si può ipotizzare che esso non sia semplicemente
riconducibile a carenze nei dati a disposizione. Esso potrebbe avere, piuttosto,
un significato sostantivo: la partecipazione di un individuo a un dato ambito
dell’alta cultura non pare strettamente connessa alla sua partecipazione a un altro
ambito dell’alta cultura (ad esempio, la musica classica e il teatro), ossia i modelli di consumo culturale non sarebbero fortemente strutturati tra i giovani.
Possiamo inoltre utilizzare gli indicatori Iard per costruire un indice additivo
di partecipazione culturale degli studenti che, per ogni quesito, assegna valori da
1 (mai negli ultimi tre mesi) a 4 (una o più volte la settimana). Se calcoliamo il
coefficiente di correlazione di Pearson con il livello di istruzione dei genitori
Disuguaglianze di apprendimento e capitale culturale
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(ricodificato in anni di studio e basato sul criterio di dominanza), il valore ottenuto (+0,27) è nuovamente assai vicino a quello che si riscontra nei dati Pisa
(+0,22: tab. 5). In altre parole, i dati Iard sembrano confermare la conclusione
circa la moderata intensità del legame tra origini sociali e risorse culturali basata
sui dati Pisa.
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PRENDIMENTO MEDIANTE LA TEORIA DEL CAPITALE CULTURALE