Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle:
comunicazione scenica e ricezione
Commissari d’esame/Membres du jury:
Prof. Paul Demont (Paris IV- La Sorbonne)
Prof.ssa Florence Dupont (Paris VII- Diderot)
Prof.ssa Antonietta Gostoli (Università della Calabria)
Prof.ssa Liana Lomiento (Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”)
Direttori/Directeurs de thèse:
Prof. Claude Calame (EHESS),
Prof. ssa Bruna Marilena Palumbo Stracca (Sapienza Università di Roma)
Dottorato in Filologia e Storia del Mondo Antico (Sapienza Università di Roma)
Formation doctorale “Histoire et civilisation”, centre ANHIMA (EHESS)
Dottorando: Eugenio Murrali
Roma, 27 settembre 2013
Commiato
Locvizza il 2 ottobre 1916
Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l’umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento
Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso
G. Ungaretti
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Premessa
Premessa
Empedocle, contemporaneo di Sofocle, ma concittadino di Pirandello, sosteneva
che i ×iz'wmata, gli elementi primi di cui la realtà è composta, il fuoco, l’aria, la
terra e l’acqua, fossero aggregati e disgregati da due forze contrastanti, la
fil'othj, l’amore, e il ne^ikoj, la discordia. L’alterna preponderanza dell’una o
dell’altra forza determinerebbe, secondo la teoria del filosofo, la vita e la morte,
ma l’equilibrio tra di esse è l’apice positivo del ciclo vitale.
Negli ultimi anni della sua vita Alberto Moravia si interessò moltissimo al
problema del nucleare, tanto che nel 1986 la Bompiani pubblicò una raccolta di
articoli, scritti tra il 1982 e il 1985, il cui titolo era L’inverno nucleare. Tornato sul
problema, il 12 giugno 1986, di fronte al Parlamento Europeo, Moravia
pronunciò, tra le altre, queste parole:
Detto questo, vorrei aggiungere che la guerra non mi interessa. La guerra moderna, atomica,
chimica, batteriologica equivale alla morte della specie; e che c' è di interessante nella morte? Ѐ il
nostro comune destino e poco importa il modo. Quello che mi interessa invece è la pace; cioè la
salvezza e la continuazione della civiltà. Io sono convinto che, anche se la guerra può essere
evitata, la civiltà potrà egualmente perire. La pace deve essere creativa; altrimenti non è vera
pace, ma agonia di paura, di apatia e di sterilità. L'uomo ha assolutamente bisogno di illudersi che
la civiltà è immortale. Senza una pace creativa, libera dalla minaccia della guerra, la civiltà non
può continuare, si ferma, muore.
Mi sono a lungo interrogato su cosa potesse intendere uno scrittore con “pace
creativa” e forse questo studio sull’Edipo Re – suggeritomi dal Professor Bruno
Gentili – mi ha aiutato a capirlo.
Credo che la tensione alla creatività, che ogni scrittore degno di questo nome
possiede, sia una caratteristica sempre viva nell’ispirazione dei grandi autori.
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Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Premessa
Con l’Edipo Re, certo, alta o bassa che ne sia la spinosa datazione, ci troviamo in
piena guerra del Peloponneso, ma ritengo che la “pace creativa” di cui parla
Moravia sia presente in qualche modo in tutte le opere di Sofocle.
La “pace creativa” deve essere quell’equilibrio empedocleo tra amore e
discordia, che in uno scrittore, e particolarmente in un tragediografo classico,
portato a ripercorrere le trame di miti noti, si esprime nell’innovazione stilistica
della sua interpretazione, nella guerra pacifica della mente per un prodotto
lontano dalla banalità, da ogni manierismo. I Corinzi sembrano descrivere
perfettamente questa tensione creativa degli Ateniesi, come ci riporta Tucidide:
Loro caratteristica è di sconvolgere l’ordine esistente: veloci nell’ideare, veloci nel realizzare ciò
che hanno deciso. Vostra caratteristica è invece l’immobilismo: non vi sforzate di ideare vie
nuove e, sul piano dell’azione, non siete all’altezza neanche dello stretto necessario. Ancora: loro
osano. Anche al di là delle loro forze, affrontano i rischi anche forzando le decisioni prese, anche
in difficoltà sanno coltivare la speranza. […] Loro sono intrepidi rispetto al vostro eterno esitare,
dinamici tanto quanto voi non vi spostate mai dalle vostre sedi: la loro idea è che dai loro
spostamenti verrà qualche frutto, il vostro timore è che cercando altro rischiate di perdere ciò
che già avete. […] E tutto questo realizzano affannandosi e correndo pericoli tutta la vita: quasi
per nulla godono di quello che hanno perché sempre protesi alla conquista del nuovo; festa altro
non è per loro se non aver realizzato ciò che si doveva, sventura invece la tranquillità inerte non
meno dell’impegno defatigante. Insomma, in una parola si potrebbe dire degli Ateniesi che sono
noti per non avere pace e non concederne agli altri.
(Tucidide, I,70. Trad. Canfora 2007, pp. 83 ss.)
Questo studio sugli hapax dell’Edipo Re risulta essere in prima istanza un’analisi
stilistica in cui si affronta la creatività della produzione o della scelta lessicale di
Sofocle, ovvero quella piccola battaglia inventiva che l’autore porta avanti per
contribuire alla costruzione di una “pace creativa”, dando vita ad una tragedia
unica a partire da un argomento fissato, pur con le sue possibili varianti. Le scelte
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Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Premessa
stilistico-lessicali sofoclee saranno considerate in relazione alla loro funzione
drammatica e lo studio assumerà così anche un aspetto pragmatico, in cui si
cercherà di capire come il poeta abbia cercato di interagire con lo spettatore, di
indirizzarlo nella ricezione dell’enunciato drammatico.
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Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Introduzione
Introduzione
Forse più nessuno si accosta all’Edipo re con l’idea di poter dire qualcosa di
nuovo, e presumere di esserne in grado sarebbe un intollerabile atto di !ubrij
carico delle sue fatali conseguenze.
Questo lavoro cercherà dunque di rileggere, con una nuova prospettiva, parte di
quanto già detto dai molti interpreti, con un taglio di luce, per quanto riuscirà,
differente, i cui due punti focali saranno da un lato lo studio di uno dei
meccanismi di invenzione poetica attraverso cui Sofocle mira ad ottenere un
effetto teatrale, di quei termini che con le nostre limitate conoscenze chiamiamo
hapax, dall’altro la continua percezione della presenza, occhi e orecchie, degli
spettatori di una tragedia, con i loro orizzonti di attesa. Uno studio che
potremmo dunque considerare stilistico e pragmatico a un tempo e d’altronde i
due aspetti non possono essere mai scissi a teatro, perché sulla scena o una
parola possiede forza comunicativa, o non è.
Ci si pone in questo studio il problema della funzione drammatica degli hapax,
soprattutto nel senso della sollecitazione operata dal poeta attraverso essi sullo
spettatore, perché si compia quell’ “attività cooperativa” tra opera e spettatore e
quest’ultimo venga in qualche modo guidato nelle sue interpretazioni. Di ciò ci
parla Eco a proposito del testo narrativo (si porrà però anche il problema di
ampliare la riflessione a altri generi tra cui il teatro):
Quando nel 1962 pubblicavo Opera aperta, mi ponevo il problema di come un’opera d’arte da un
lato postulasse un libero intervento interpretativo da parte dei propri destinatari, e dall’altro
esibisse caratteristiche strutturali che insieme stimolavano e regolavano l’ordine delle sue
interpretazioni. Come ho appreso più tardi, facevo allora senza saperlo della pragmatica del
testo, affrontavo un aspetto, l’attività cooperativa che porta il destinatario a trarre dal testo quel
che il testo non dice (ma presuppone, promette, implica e implicita), a riempire spazi vuoti, a
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Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Introduzione
connettere quello che vi è in quel testo con il tessuto dell’intertestualità da cui quel testo si
origina e in cui andrà a confluire. Movimenti cooperativi che, come poi ha mostrato Barthes,
producono e il piacere e — in casi privilegiati — il godimento del testo.
(Eco 1979, p. 5)
Già Barthes in effetti si soffermava su quel désir 1 che il testo ha verso il lettore:
Ce lecteur, il faut que je le cherche (que je le «drague»), sans savoir où il est. Un espace de la
jouissance est alors créé. Ce n’est pas la «personne» de l’autre qui m’est nécessaire, c’est
l’espace : la possibilité d’une dialectique du désir, d’une imprévision de la jouissance : que les
jeux ne soient pas faits, qu’il y ait un jeu.
2
(Barthes 2000 , p. 86)
E ancora :
Le texte est un objet fétiche et ce fétiche me désire. Le texte me choisit, par toute une disposition
d’écrans invisibles, de chicanes sélectives: le vocabulaire, les références, la lisibilité, etc.; et,
perdu au au mileu du texte (non pas derrière lui à la façon d’un dieu de machinerie), il y a
toujours l’autre, l’auteur.
2
(Barthes 2000 , p. 101)
È evidente che queste riflessioni non possono essere applicate tout court a una
tragedia di Sofocle: altra è la situazione antropologica, culturale, altro il testo che
abbiamo di fronte, un testo non destinato alla lettura, un testo non
‘onnipotente’, ma predisposto per una messa in scena unica nell’ambito di una
manifestazione religiosa nell’Atene del V secolo. Quel désir che il testo ha verso il
lettore e quel plaisir che deve essere capace di suscitare in lui in un movimento
dialettico potremmo tradurli, nella dimensione della tragedia greca, nella
necessità che il poeta ha di costituire un testo funzionale alla scena,
1
2
Scrive Ossola nella prefazione a Les plasir du texte di Barthes (2000 , p. 13): “Le désir ne s’était
alors pas encore déplacé du texte au lecteur, comme il adviendra – quelques années plus tard –
avec Lector in fabula (1979) d’Umberto Eco, mais le vieux copiste cédait déjà le pas au lecteur
désiré par le texte”.
7
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Introduzione
all’interpretazione degli attori e dei coreuti, e alla fruizione dello spettatore.
Anche una tragedia deve esprimere il suo ‘desiderio’ verso lo spettatore, ovvero
favorire il suo coinvolgimento, che è un coinvolgimento emozionale, ma
soprattutto politico e rituale, perché il cittadino ateniese, o comunque chi è
presente alla festa religiosa ateniese, deve partecipare attivamente, con la sua
attenzione e con il suo giudizio (che si esprimeva nelle reazioni a teatro, poiché il
voto spettava solo ai dieci giudici, rappresentanti delle tribù)2. Alcuni hapax,
come vedremo, contribuivano a questo coinvolgimento del pubblico, il poeta se
ne serviva per attirare l’attenzione dei suoi spettatori e anche per guidarli
nell’interpretazione, sottolineando con queste parole chiave ciò su cui voleva
porre l’accento. Anche se il compito più gravoso della comunicazione scenica
spettava agli attori, il poeta, per così dire, gli preparava il campo.
Non esiste uno studio sistematico degli hapax dell’Edipo re né di quelli sofoclei in
generale. Una monografia che affronta in maniera strutturata gli hapax tragici,
offrendo, ad un’attenta lettura, non pochi spunti è Les “hapax eiremena” et les
mots rares dans les fragments papyrologiques des trois grands tragiques grecs di
Irena Kazik-Zawadzka (Warszawa 1962), ma il corpus preso in considerazione è
appunto quello dei frammenti tragici papiracei.
2
Scrive Di Marco (2000, p. 40) a questo proposito: “La designazione dei giudici avveniva
attraverso una procedura piuttosto complessa, il cui fine era tuttvavia quello di garantire il più
possibile la trasparenza delle scelte e l’imparzialità del verdetto. Qualche tempo prima della festa
il Consiglio operava una selezione tra i cittadini di ciascuna delle dieci tribù. I loro nomi venivano
depositati in dieci urne, una per ciascuna tribù, che, debitamente sigillate, venivano custodite
sull’Acropoli: il tentativo di manometterle era passibile di pena di morte. All’inizio degli agoni
l’arconte, in teatro, estraeva un nome da ciascuna di esse: si formava così una giuria composta da
dieci membri. Al termine delle rappresentazioni ogni giurato scriveva le proprie preferenze su
una tavoletta; tra le dieci tavolette raccolte ne venivano sorteggiate cinque ed era sulla base di
queste cinque che veniva compilata la classifica finale”. […]
Il pubblico che sedeva a teatro partecipava agli spettacoli con grande vivacità, ed è naturale
supporre che le rumorose reazioni di consenso o di riprovazione con cui accompagnava la
rappresentazione delle opere in concorso incidessero sulle scelte dei giurati.
8
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Introduzione
Se gli hapax tragici non hanno riscosso un gran successo tra i ricercatori, lo studio
degli hapax omerici ha avuto al contrario un certo sviluppo: in particolare si
possono ricordare il lavoro di Martinazzoli3, alcune pagine di Garner4 , gli studi di
Kumpf 5, di Powell6.
Neanche quella di lavorare a un repertorio ragionato degli hapax di un singolo
autore o di una singola opera è dunque un’idea nuova e gli ultimi due lavori citati
sono per l’appunto dissertazioni dottorali. Questi ‘precedenti omericiʹ e le analisi
che ne sono scaturite sono stati tenuti in considerazione, anche a livello
metodologico, per un migliore sviluppo della ricerca.
Ѐ superfluo ricordare che nei commenti all’Edipo re (qui ci serviremo
principalmente di quelli di Campbell7, Jebb8, Kamerbeek9, Dawe10, Bollack11,
Longo12) si possono reperire di volta in volta brevi osservazioni sui singoli hapax,
utili indubbiamente, ma slegate, com’è naturale, le une dalle altre e di
conseguenza non nella condizione di offrire particolari slanci interpretativi,
capaci di entrare nel vivo delle tematiche tragiche dell’Edipo re. Vi sono poi delle
opere che hanno cercato di affrontare più in generale alcuni aspetti del
vocabolario tragico, in questo senso molto ricca di dati, più che di idee, è la
dissertazione di Clay13, uno studio principalmente statistico. Un’analisi più
interpretativa è quella di Earp14, interessante anche perché l’analogo studio su
Eschilo15 permette un immediato confronto tra alcuni aspetti del lessico
3
Martinazzoli 1957.
Garner 1990.
5
Kumpf 1975.
6
Powell 1988.
7
Campbell 1871.
8
Jebb 1893.
9
Kamerbeek 1967.
10
Dawe 1982.
11
Bollack 1990.
12
Longo 2007.
13
Clay 1957.
14
Earp 1944.
15
Earp 1948.
4
9
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Introduzione
impiegato dai due tragici, per esempio dal raffronto delle liste delle parole rare
delle singole tragedie è possibile rilevare immediatamente la presenza molto più
diffusa di hapax in Eschilo. Utile per il reperimento degli hapax e per la loro
classificazione sono anche le liste stilate da Nuchelmans 16.
Nell’Ottocento vi sono stati alcuni lavori – la cui validità non è sempre
indiscutibile –, che hanno il merito di aver tenuto presente e di aver sottolineato
a loro modo le peculiarità dello stile, ma soprattutto del lessico sofocleo. Di essi
abbiamo preso in considerazione quelli di L. Benloew (De sophocleae dictionis
proprietate cum Aeschyli Euripidisque dicendi genere comparata, Paris 1847), di
C.F.E Jasper (Zur Lehre von der Zusammensetzung griechischer Nomina und der
Verwendung componirter Wörter in den Tragödien des Sophokles, Altona 1868),
di A. Juris (De Sophoclis vocibus singularibus, Halle 1876), di C. Schindler (De
Sophocle verborum inventore, Bratislava 1877) e di P. Künstler (De vocibus
primum apud Sophoclem obviis, Jena 1877).
Se questi sono gli strumenti propedeutici a un approccio formale, l’analisi non
può che proseguire prendendo altre vie. Molti hapax nascondono in sé le tracce
dei percorsi che potrebbero aver seguito prima di manifestarsi nella tragedia
sofoclea, percorsi a volte puramente mentali, interni alla fantasia creativa del
poeta, fatti di analogie, di richiami intertestuali, di allusioni, di memorie foniche
di Sofocle. Per seguire questi indizi, oltre a un po’ di intuito, sono stati
indispensabili strumenti come gli scolii, i lessici, ma soprattutto il TLG, il DELG, la
Griechische Grammatik di Schwyzer o il Reverse Index of Greek Nouns di BuckPetersen, così agevole per l’analisi dei composti. A un lavoro di ricerca testuale e
intertestuale, è stato accostato, come era ovvio, un adeguato studio della
bibliografia più inerente alle problematiche emerse di volta in volta, cercando di
16
Nuchelmans 1949.
10
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Introduzione
dipanare il filo della matassa bibliografica, che per Sofocle raggiunge le
dimensioni che sappiamo.
Monografie ricche di spunti come quelle di Whitman17, di Knox18, di Winnington
Ingram19, di Segal20, di Ahl21, di Goldhill22, saggi come quelli di Vernant23 o quelli
presenti negli atti del grande convegno urbinate, Edipo. Il teatro greco e la
cultura europea24, del convegno spagnolo per il XXV centenario dalla nascita,
Sófocles el Hombre. Sófocles el Poeta25 e tanti altri ancora sono stati sempre
tenuti presenti, come era necessario.
Il corpus esaminato, l’Edipo re, presenta 25 hapax, un numero minore rispetto a
quelli registrati da Earp e Nuchelmans, poiché si è scelto di attenersi agli ‘hapax
assoluti’ in senso stretto, escludendo termini che, pur rarissimi, compaiono molti
secoli dopo, non di rado nella patristica. Giova sottolineare ulteriormente che
l’aggettivo “assoluto” con cui si suole accompagnare il termine “hapax” non
intende sottovalutare le lacune del corpus della lingua greca a noi giunto, esso ha
principalmente la funzione pratica di distinguere le parole che compaiono solo
una volta in un autore o in un’opera, ma che ritroviamo anche altrove, gli hapax
relativi, da quelle che compaiono una sola volta in tutto il corpus della lingua
greca a noi noto (pur con tutte le sue lacune), gli hapax assoluti per l’appunto.
Uno dei termini esclusi è ad esempio l’aggettivo verbale sterkt'oj “che si può
amare” di OT 1338, che Nuchelmans registra tra gli “ !apax leg'omena der
griech. Literatur”26, ma che in realtà dovrebbe inserire tra gli “!apax leg'omena
17
Whitman 1951.
Knox 1957, 1964.
19
Winnington Ingram 1980.
20
Segal 1981, 1993, 1995.
21
Ahl 1991.
22
Goldhill 2012.
23
Vernant 1972 e 1986.
24
Gentili-Pretagostini 1986.
25
Pérez Jiménez-Alcalde Martin-Caballero Sánchez 2004.
26
Nuchelmans 1949, p. 15.
18
11
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Introduzione
vor dem 4 Jhd”, perché è un pr^wton leg'omenon e ricompare nell’ Historia
Alexandri Magni, nel commento di Eustazio (1.20.2) o negli Annales (59.3) e nella
orazione Contra Latinos (2.1.22) di Giorgio Acropolite. Una volta riconsiderato il
numero degli hapax, è emersa immediata la necessità di riprendere in mano lo
studio dei processi di composizione e derivazione lessicali del greco antico, nel
tentativo di definire tipologicamente il materiale selezionato. Come vedremo la
classificazione tipologica necessiterà di talune premesse, soprattutto per quanto
riguarda la composizione, poiché le scuole di pensiero sono più d’una e spesso
distanti tra loro.
Superata la fase dell’analisi formale, sorprendentemente controversa, un’attenta
considerazione dei campi semantici cui gli hapax appartengono sarà il passo più
importante per inoltrarsi nel terreno dell’interpretazione, non per offrire, come
si è detto, qualcosa di totalmente nuovo, ma per rileggere con sguardo diverso
parte di quanto proposto da molti interpreti precedenti. I campi semantici hanno
un ruolo importante anche dal punto di vista drammatico, perché ci aiuteranno,
giova ripeterlo, a individuare alcuni dei poli intorno a cui l’autore ha voluto porre
l’accento, insistendovi anche con termini quali gli hapax, termini espressivi come
vedremo.
Poiché interpreti sono anche i traduttori, ove possibile e/o necessario ci si è
soffermati su questo grado dell’interpretazione, sollevando l’articolato problema
della traduzione degli hapax, la riflessione sul rischio di una traduzione
banalizzante recentemente riportata al centro della discussione dalla versione
sanguinetiana dell’Ippolito euripideo.
12
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Introduzione
Cosa ci resta di più affidabile e di più insidioso nelle tragedie classiche delle
parole? 27 Abbiamo perso quasi del tutto la musica, le coreografie, le intenzioni
‘registiche’, sappiamo poco o niente sulla tecnica degli attori, sulla metrica è
battaglia aperta. Credo allora che nello studio della lexis tragica non debba
restare intentata alcuna via, poiché in una società che ascoltava e memorizzava
molto più della nostra, la scelta delle parole, la loro costruzione, concatenazione
o giustapposizione erano della massima importanza e continuamente esposte al
giudizio vigile di un popolo di spettatori critici, cioè generalmente ben capaci di
discernere ed eventualmente plaudere. Ci sono molte strade per giungere al
nòcciolo di una tragedia, io ho voluto tentare questa, ben cosciente che non sia
l’unica né necessariamente la migliore.
Un’indicazione pratica: il testo dell’Edipo re riportato in greco è quello stabilito
da Lloyd-Jones-Wilson28 per le parti dialogate, mentre per le sezioni liriche ho
guardato anche al testo e alle colometrie della recente edizione di Giannachi29.
La traduzione impiegata nello sviluppo delle analisi, ove non diversamente
indicato, è di Maria Grazia Ciani30, mentre nelle tabelle che introducono ogni
analisi riporto anche quelle di Mazon31, Quasimodo32, Paduano33, Del Corno34,
Sanguineti35.
27
Scrive Calame (2000, p. 30): “Notre éventuelle connaissance des implications pragmatiques de
ces énoncés écrits, sinon de la communauté énonciative trascendentale qui les fonde, ne peut
donc se constituer qu’à partir de ces énoncés eux-mêmes”.
28
Lloyd Jones-Wilson 1990.
29
Giannachi 2009.
30
Ciani 2007.
31
Mazon 1958.
32
Quasimodo 1963.
33
Paduano 1982.
34
Del Corno 2000.
35
Sanguineti 2006.
13
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Perché uno studio sugli hapax
Perché uno studio sugli hapax: che cos’è uno hapax e obiettivi della
ricerca
Perché mai uno studio sugli hapax?
Un’iniziale risposta a questa legittima domanda la offre Martinazzoli, il primo
vero teorico degli hapax:
36
Eppure, nonostante ogni motivazione, siffatta mancanza d’una ricerca storica sugli h. ll. : siffatta
scarsezza di ricerche sugli h. ll. presso i singoli scrittori, siffatta asciuttezza, parallelamente, di
esegesi nelle scarse monografie pur esistenti – quasi che davvero tutto quanto si possa fare per
gli h ll. sia l’elencarli e niente più –, non mancano di stupire. […] Primo, la critica testuale
moderna dà grande importanza alle singolarità che si incontrano negli scrittori; quelle singolarità
che un filologo come il Pasquali
37
qualificava «per noi moderni preziose». Secondo, tra questi
vocaboli ve ne sono di quelli i quali […] possono dischiudere al nostro sguardo l’officina dello
scrittore o del poeta, mostrandocelo per un momento nella sua attività del poie^in.
(Martinazzoli 1953, pp. 13s. )
Prima di valutare con maggiore precisione i possibili risvolti della nostra ricerca, è
importante soffermarsi sul termine hapax.
L’espressione tecnica !apax leg'omenon (o !apax e;irhm'enon), per quel che ne
sappiamo, è stata utilizzata la prima volta dal filologo alessandrino Aristarco,
sebbene, come sostiene Kumpf38, sia molto probabile che anche i lessicografi e i
filologi precedenti se ne siano serviti. In generale si può pensare che la nozione di
!apax leg'omenon – ben argomenta Martinazzoli nella monografia citata – , sia
un’eredità dell’omerologia antica. Indicati talvolta da Aristarco con una dipl^h
(>), talvolta in uno scolio, gli hapax potevano essere – come era ovvio nella
prospettiva di allora – degli !apax leg'omena parà t^_ poihtØ, oppure, ad
36
Leggi hapax legomena.
Pasquali 1952, p. 238.
38
Kumpf 1975, p.1.
37
14
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Perché uno studio sugli hapax
esempio, !apax leg'omena parà tØ ; Ili'adi kaì tØ ; Odusse'i=. Quando lo
hapax era, per così dire, disgiunto, cioè occorreva una sola volta nell’Iliade e una
sola volta nell’Odissea, era un d'ij leg'omenon e si è pensato che Aristarco abbia
segnalato tali termini come uno degli argomenti atti a confutare le tesi dei
Chorizontes. In questo senso delle parole rare diventerebbero dei segnalatori
stilistici, delle spie39. Kumpf40 osserva anche che l’attento studio degli hapax di
un autore può rivelarsi un utile strumento di analisi per dei passi di dubbia
autenticità. Lo studioso riporta a questo proposito alcune osservazioni di
Monro41 sulla Doloneia. I numerosi hapax omerici sarebbero termini tecnici
appartenenti al campo semantico della battaglia (saurwt'hr v. 135, “puntale di
ferro”, kata^^itux v. 258, “elmetto”, p^iloj v. 265, “feltro (usato come
rivestimento di elmi)”, ;epidifri'aj v. 475, “parapetto di carro”, etc.). Un tale
numero di termini di ambito bellico, che ci si aspetterebbe di ritrovare in altre
scene di guerra dell’Iliade e che invece sono tutti hapax omerici qui concentrati,
sarebbe un argomento a favore della tardività del passo. Il passo sarebbe infatti
composto alla maniera di, ma tradirebbe in questo ‘concentrato di unicità’
l’artificio di una costruzione a posteriori. Al contrario, Stanford42, in merito ai vv.
229s. del XXIV canto dell’Odissea, nota che qui gli hapax relativi (knhm^idaj
“schinieri”, grapt'uj “graffiatura” e ceir^idaj “guanti”) sono adatti all’unicità
della scena e questa unicità sarebbe in favore della paternità omerica. Kumpf
conclude (p. 42):
We can see from these two notable cases that the study of the Homeric hapax legomena has
been used in the investigation of passages of doubtful authenticity.
39
Martinazzoli (1953, p. 14) scrive: “[…] l’accertamento e lo spoglio degli h. ll. non è altro che un
risultato della ricerca sistematica condotta sull’usus, cioè appunto sulla sun'hqeia”.
40
Kumpf 1975, p. 42.
41
Monro 1890, p. 353: “It is not likely, indie, that the book ever existed as a separate poem; but
that it is later than the bulk of the Iliad is almost certain”.
42
Stanford 1958, pp. 420s.
15
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Perché uno studio sugli hapax
L’argomento dell’ ‘unicità’ presunta, che è quasi sempre ‘rarità’ certa, non può
che essere una traccia da considerare con grande equilibrio, osservando
attraverso lo studio morfologico come uno hapax si inserisca nella tradizione,
tenendo sempre ben presenti contesto e circostanza, onde evitare dogmatiche
prese di posizione basate su asciutti dati statistici, peraltro perpetuamente falsati
dalle enormi lacune della tradizione con cui il filologo si confronta di continuo.
A volte, rileva il Martinazzoli (pp. 43-56), con !apax leg'omenon potevano essere
indicati: singolarità grammaticali, epiteti (riferiti una sola volta alla data persona),
figure retoriche, usi semantici particolari.
Ma, in questa nostra ricerca, quali termini abbiamo considerato hapax?
Come si è accennato nell’introduzione, gli hapax qui analizzati sono gli hapax
assoluti43, i termini che compaiono soltanto una volta non solo in Sofocle, ma in
tutto il corpus della lingua greca antica di cui siamo a conoscenza: poesia, prosa,
epigrafi e quant’altro. La prospettiva è quindi, ovviamente, ben differente
rispetto a quella di chi abbia studiato degli hapax relativi, parole che compaiono
una sola volta in un autore o in un’opera, ma che poi troviamo altrove.
Nondimeno è necessario tenere sempre ben presenti le immense lacune nella
nostra conoscenza della produzione letteraria, e non solo, greca. William Marx,
in un capitolo della sua monografia Le tombeau d’Oedipe44, significativamente
intitolato Le corpus tragique: histoire d’un désastre et d’une trahison (pp. 71-74),
ci ricorda che:
Au total, donc, nous ne conservons que bien moins de cinq pour cent de la production de
tragédies dans la Grèce ancienne : tout le reste nous est inconnu, excepté de rares fragments ou
43
Scrive ancora il Martinazzoli (1953, p. 87): “Quanto poi al fatto che i critici antichi non si
occupassero di distinguere (com’è invece consuetudine presso i linguisti moderni) gli unica
assoluti (cioè mai più attestati dopo quella unica attestazione omerica) dagli unica relativi (i quali
ricompaiono cioè presso autori posteriori), questo prova una volta di più come l’attenzione degli
aristarchei fosse rivolta esclusivamente ad Omero, con una concentrazione d’interesse che è
propria della loro indagine”.
44
Marx 2012.
16
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Perché uno studio sugli hapax
résumés qui peinent à nous donner une image fiable des œuvres dont ils sont issus. Le désastre
est vertigineux : même un iceberg laisse à voir davantage de lui-même.
(Marx 2012, p. 72)
E tuttavia non possiamo che descrivere come ‘assoluti’ quegli hapax che non
risultano in nessun altro testo a noi pervenuto.
Anche i diversi commenti dell’Edipo re registrano come hapax gli hapax assoluti,
salvo puntuali specificazioni.
Non c’è dubbio, molti altri termini sono sicuramente significativi, a volte ancor
più significativi di taluni hapax. Vi sono dei vocaboli che, per quanto consta, sono
neologismi sofoclei e ricompaiono solo molto più tardi, non avendo molto da
invidiare quanto a unicità agli hapax qui considerati. Vi sono i dìj e i trìj
leg'omena. Tuttavia, volendo scegliere un campione del lessico specificamente
sofocleo, gli hapax rappresentano un insieme ben costituito, latore di questa, pur
minima, caratteristica distintiva: sono un unicum e allo stesso tempo (di
conseguenza), almeno apparentemente, un neologismo. Questo è un primo
dato, non indiscutibile, ma allo stato dell’arte oggettivo, che riunisce gli hapax, se
non in ‘categoriaʹ, almeno in ‘insiemeʹ. Limitare il campo di ricerca era
necessario, abbiamo cercato di farlo scegliendo un criterio riconoscibile.
Sono stati inclusi nel novero degli hapax anche gli aggettivi verbali, come
blept'oj, benché possano essere considerati un unicismo grammaticale. Non
abbiamo escluso neppure termini composti che comportino una minima variatio
rispetto ai loro corrispettivi semplici, ad esempio ;epiqum'iama di fronte a
qum'iama: vedremo strada facendo le ragioni di una simile scelta.
Si potrebbe ancora obiettare che esistano degli hapax semantici, ugualmente
significativi — come già avevano intuito i filologi antichi —, in cui anzi il
discostamento operato dall’autore sul piano dell’uso suggerisce qualcosa di più
su cui riflettere. Anche questa, concordo, è un’obiezione ineccepibile.
17
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Perché uno studio sugli hapax
Nondimeno – lo si può dedurre subito mettendo a confronto alcune traduzioni –
il giudizio sugli hapax semantici ha una componente molto più alta di arbitrio, la
discussione può allora farsi accanita, infinita, sottile fino alla rarefazione: quasi
ogni inclusione o esclusione potrebbe divenire oggetto di dibattito; un vicolo
cieco questo nel quale ho preferito non introdurmi e che avrebbe reso fluttuante
l’insieme dei termini analizzati, sottoponendolo all’incertezza mia e al dubbio
altrui.
Uno hapax non è che la punta di un iceberg, perché, continuando con le
metafore, non possiamo fondarci che sui “resti della festa”: ciò non toglie che tali
epifenomeni lessicali possano avere una forte rilevanza espressiva, ancor più
considerevole quando si pensa a un testo composto per l’esecuzione scenica.
La nostra idea di teatro, benché non ne esista una univoca dopo il passaggio delle
grandi avanguardie novecentesche, e lungi da me il semplificare il problema, è
comunque ben lontana da quella degli Ateniesi del V sec. a. C.
Un testo che è già un classico e che offre una chiara spiegazione della nostra
maniera moderna di intendere e fraintendere il teatro antico, soprattutto a
causa della lente della Poetica di Aristotele e al relativo “impérialisme su
muthos”, è quello di F. Dupont, Aristote ou le vampire du théâtre occidental:
Aristote, en arrachant volontairement le théâtre à son contexte énonciatif, lui ôtait toute sa force
d’institution. Une tragédie aristotélicienne est faite par n’importe qui, pour n’importe qui, elle
peut être jouée n’importe où, n’importe quand. C’est pourquoi elle n’a aucune force
performative et n’utilise pas la métathéâtralité.[…]
Ce que mettait en place la Poétique était une machine de guerre contre la fonction identitaire du
théâtre à Athènes, en fondant un théâtre littéraire, élitiste, profane, austère et solitaire, sans
corps ni musique, un théâtre de lecteurs.
(Dupont 2007, pp. 74s.)
45
45
Anche Lanza (1987), nella sua introduzione alla Poetica di Aristotele mette in guardia dal
prendere l’opera del filosofo quale guida attraverso cui comprendere il teatro greco de V secolo
18
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Perché uno studio sugli hapax
Della stessa autrice da non dimenticare inoltre un lavoro sulle tre grandi
rivisitazioni tragiche del mito di Elettra, L’insignifiance tragique (Paris 2001), dove
leggiamo un forte monito su cui spesso torna la studiosa:
Commençons par rappeler l’essentiel dont découlera tout le reste: la tragédie était en Grèce, et
plus précisement à Athènes, une «performance» et non un genre littéraire, c’était en outre une
performance rituelle. La tragédie était un spectacle choral offert à Dionysos, aux citoyens
d’Athènes et à leurs hôtes étrangers lors de la fête des Grandes Dionysies.
(Dupont 2001, p. 16)
Su questa linea anche A. Rodighiero, che scrive :
La ‘storicità’ dell’esperienza greca riposa nella sua stessa irripetibilità antropologica, resa ancora
più marcatamente evidente, nel caso di Sofocle, dal fatto che la sua opera si colloca in uno dei
periodi più alti e per nostra fortuna meglio testimoniati della civiltà classica, e nella città di Atene,
che di quella civiltà allora intendeva offrirsi quale paradigma esemplare e modello, «scuola della
Grecia», come afferma il Pericle tucidideo.
(Rodighiero 2000, pp. 9s)
Nondimeno il teatro ha due universali quasi invariabili: l’istanza aurale-orale e
quella visiva. In questa dimensione possiamo renderci ancor oggi conto di quanto
a teatro una parola inconsueta possa godere di grande forza espressiva. Credo
sia utile, per darne prova, fare qualche esempio più vicino a noi. Riferendomi alla
modernità e a delle lingue vive, però, parlare di hapax assoluti non è possibile46,
(p. 74): “Assumere la Poetica quale esauriente descrizione e autentica interpretazione del teatro
greco del secolo precedente risulta poco soddisfacente”. E ancora (p. 77): “Certo, Aristotele, in
quanto lettore, tende a ridurre la tragedia da spettacolo a libro, cancellandone o ignorandone
ogni elemento eccedente la scrittura”. In W. Marx (2012) troviamo altre riflessioni sull’indagine
aristotelica (cfr. pp. 34-36, pp. 52-54, etc.). Lo studioso inoltre (pp. 54-57) amplia l’indagine di
quella che lui chiama la “dérealisation” della tragedia, passando anche attraverso l’idealismo di
Schelling .
46
Anche in relazione al corpus della lingua greca parlare di hapax assoluti è un paradosso, poiché,
non ci stanchiamo di ripeterlo, le lacune sono enormi e un papiro può privare da un momento
all’altro un termine del suo “status” di hapax assoluto, tuttavia, come si è detto, si usa la
definizione al fine pratico di distinguere i termini che troviamo una solo volta in tutto il corpus
19
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Perché uno studio sugli hapax
prenderò allora vocaboli che presentano alcune caratteristiche rinvenibili negli
hapax: hapax relativi a singoli autori, neologismi di un autore più o meno
fortunati, parole rarissime. Ne I promessi sposi alla prova (1984) di Giovanni
Testori47, che era un grande sperimentatore linguistico, per offrire un’immagine
forte ai suoi attori, il personaggio del Maestro utilizza il termine, alquanto raro,
“inossarsi”. Ma anche all’inizio della nostra letteratura, un grande autore
drammatico, Jacopone da Todi, si serve in Donna de paradiso, di parole pregne di
espressività come “desciliato”, “sdenodato”. Nel caso di Testori, il Maestro sta
affrontando il problema dell’immedesimazione di un attore nel personaggio, ed
ecco in una situazione tutta metateatrale emerge un termine davvero inatteso
che aiuta gli attori (che recitano la parte degli attori) e il pubblico a sentire, quasi
carnalmente vorrei dire, il processo di interiorizzazione del personaggio che un
interprete deve compiere secondo le regole di molte moderne teorie della
recitazione.
In Jacopone invece per descrivere lo strazio subito dal corpo del Cristo il poeta
utilizza in Donna de Paradiso48 i termini rarissimi “sdenodato” (v. 75) e
“desciliato” (v. 83), ad indicare le giunture sciolte.
Esempi simili sono disseminati ovunque nel teatro mondiale, li troviamo in
Shakespeare, ma anche in Molière, quando in Sganarelle (1660, sc. XVI, v. 352)
l’autore impiega il verbo-neologismo, marcatamente comico, poi largamente
diffusosi, “cocufier”49.
della lingua greca a noi giunto, da quelli che troviamo una solo volta in un autore o in un’opera,
ma che troviamo poi altrove (hapax relativi).
47
Testori 2013, p. 849.
48
Canettieri 2001, pp. 223-230.
49
Molière 1964, p. 267. Un interessante accenno a questo ed altri neologismi in Molière è in F.
e
Bar, ‘Les néologismes chez les burlesques du XVII siècleʹ, in Cahiers de l’Association
Internationale des études françaises 25, 1973, pp. 45-58, ma soprattutto nella discussione che
segue (pp. 319-381).
20
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Perché uno studio sugli hapax
Shakespeare è stato un instancabile creatore di neologismi, l’Oxford English
Dictionary gliene attribuisce circa 2000. Spesso le sue creazioni sono entrate
nell’uso, come “accomodation” (Measure for Measure, III, sc. I, v. 14), usata dal
personaggio del Duca per indicare quegli inutili escamotages che la vita
cercherebbe contro la morte. Un altro neologismo shakespeariano è ad esempio
“sanctimonious” (Measure for Measure, I, sc. II, v. 7 e The Tempest, IV, sc. I, v.
16)50. Interessantissimo a questo proposito è il lavoro di traduzione de La
Tempesta che operano Agostino Lombardo e Giorgio Strehler. Grazie ad
un’intelligente edizione51 è possibile osservare come Lombardo avesse in una
prima traduzione solitaria reso il termine con “sacrosanto”, per poi cambiarlo,
dopo il confronto con Strehler, in “sacramentale”, così da rendere al meglio la
solennità che Shakespeare vuole dare al termine, attributo di quelle
“ceremonies” che ratificheranno il matrimonio tra Miranda e Ferdinando. Le due
traduzioni del passo sono:
T1 Prendi mia figlia. Ma bada,
se infrangerai il suo nodo verginale
prima che siano celebrate
con ogni sacro rito
tutte le sacrosante cerimonie
T2 Prendi mia figlia. Ma bada,
se infrangi il suo nodo verginale
prima che celebrate siano
50
Shakespeare utilizza la prima volta questo termine in Measure for Measure nel senso di
2
“falsamente pio”, M. Praz (2001 , p. 199) lo traduce con “santocchio”. J. McQuain e S. Malless
(1998) precisano anche l’esito che le due diverse accezioni hanno avuto nei secoli (p. 206): “Since
Shakespeare’s time, the «holy» sense of sanctimonious has become obsolete, but use of the
word to mean «hypocritically pious» has continued in full force. In fact, Shakespeare’s first use of
the adjective in Measure for Measure is very similar to its typical use today, in which the word is
often wedded to a noun in the disparaging phrase «sanctimonious hypocrite» ”.
51
Lombardo- Strehler 2007, pp. 266s.
21
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Perché uno studio sugli hapax
con ogni santo rito
tutte le sacramentali cerimonie
Nella T2, effettivamente, da un lato la sostituzione del futuro con il presente
(infrangerai>infrangi) rende più perentorio l’ammonimento di Prospero,
dall’altro la dislocazione a destra dell’ausiliare (celebrate siano) e la sostituzione
di “sacrosante” con un termine più aulico e raro come “sacramentali” elevano il
tono della battuta, rendendolo più rispondente all’originale, che mette in rilievo
la solennità del rito. Anche l’attore ovviamente gioca la sua parte. Qui ad
esempio Tino Carraro, nel ruolo di Prospero, utilizza una dizione scandita e un
ritmo lento ma continuo per dare forza rituale alla minaccia di maledizione che
incombe su Ferdinando: l’attore sceglie inoltre di insistere sull’espressione
“santo rito” con un’appoggiatura della voce, mentre, forse per non caricare
eccessivamente l’interpretazione, evita di attardarsi su “sacramentali cerimonie”,
espressione già di per sé ricca.
Alcuni neologismi, come è il caso di questi shakespeariani, che in un determinato
momento della loro esistenza, la nascita, sono stati hapax, vengono accolti dalla
comunità linguistica, altri restano nella tradizione letteraria come hapax o parole
rare.
In definitiva, per una ragione o per l’altra, uno hapax è sempre un grande
escluso.
Certo non solo il teatro favorisce la nascita di neologismi e la presenza di termini
rari. In poesia è generalmente opportuno condensare il senso in poche parole,
per lasciare qualcosa al lettore/uditore. Dante inventa verbi come “indiarsi”
(Paradiso, IV, v. 2852):
D’i Serafin colui che più s’india ,
52
Sermonti 2000, p. 58.
22
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Perché uno studio sugli hapax
Moïsè, Samuel e quel Giovanni
che prender vuoli, io dico, non Maria, 30
non hanno in altro cielo i loro scanni
che questi spirti che mo t’appariro,
né hanno a l’esser lor più o meno anni […]
Beatrice sta spiegando a Dante che tutte le anime si trovano nell’Empireo e
anche coloro che non hanno potuto compiere il bene a causa della violenza altrui
non hanno una sede diversa e non vi passano un periodo maggiore o minore di
colui tra i Serafini, “che più s’india”, che è cioè più vicino a Dio, laddove la
vicinanza a Dio non è solo spaziale (in una parola il poeta è riuscito a sintetizzare
un concetto teologico articolato).
Montale, che molto amava Dante e spesso arricchiva i suoi testi con dantismi, in
un endecasillabo di matrice decisamente dantesca53 crea il verbo “infinitarsi”
(Casa sul mare54 in Ossi di Seppia, 1920-27):
Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Nella sua teologia negativa, Montale attenuerebbe l’“indiarsi” dantesco,
coniando un più generico “infinitarsi”.
E così via, gli esempi potrebbero continuare ad libitum.
53
54
Baldi-Giusso-Razetti-Zaccaria 2001, p. 940.
Montale 2000, p. 93.
23
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Perché uno studio sugli hapax
La parola rara, nel nostro caso specifico gli hapax, ha spesso un valore espressivo
in contesti in cui la comunicazione deve risultare incisiva ed efficace. Voglio fare
un altro esempio che può risultare stonato, ma utile. Non è un caso che oggi dei
grandi creatori di neologismi siano i giornalisti. Il neologismo per sua natura è
portato a nascere laddove vi sia un vuoto espressivo o la necessità di dare una
coloritura più accesa a un concetto che è già rappresentato da un altro
significante. Evidentemente quelli del linguaggio giornalistico saranno spesso
termini legati a qualcosa di più quotidiano. Nel 2012, nei giorni in cui in Italia è
stata varata la riforma delle pensioni, abbiamo visto nascere il vocabolo
“esodato” e quando il Tevere è esondato, un giornalista si è messo a giocare con
le parole (Metro, 15 novembre 2012): “Una piena di rabbia. L’Italia provata dal
dissesto del territorio è la stessa che combatte contro il maltempo economico e
la morsa della crisi. Ieri in migliaia sono scesi nelle piazze contro il Palazzo che
umilia lavoratori e studenti, esodati ed esondati”. Ecco che una comunicazione
giornalistica veloce ed efficace si serve di metafore, assonanze, omoteleuti, di un
termine che in quel momento risultava nuovo come “esodati” e di uno,
“esondati”, che non era mai stato usato con quell’accezione.
Riveniamo adesso agli hapax e all’Atene del V secolo, perché comparare epoche
e culture diverse può essere utile, ma bisogna tenere sempre presenti le
categorie indigene, secondo le regole della comparatistica differenziale. Scrive
infatti Calame (20002, p. 22): “[…] les oeuvres de l’Antiquité nous «parlent»
encore, même si le lecteur moderne n’a pratiquement plus aucun point commun
avec l’auditeur-énonciataire à qui les destinait leur énonciateur originaire!”.
Il greco antico è una lingua in cui il procedimento della composizione risulta
molto produttivo e di questo bisogna tenere conto quando ci si pone il problema
della ricezione. Un uomo greco è pronto ad accogliere con più naturalezza un
termine mai sentito prima, e questo certamente lima un po’ le affermazioni
24
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Perché uno studio sugli hapax
precedenti, perché è evidente che l’ ‘effetto sorpresa’, se mi si concede questa
espressione, sarà meno consistente, entro certi limiti, per gli antichi spettatori
del teatro di Dioniso, rispetto a quello che possiamo provare noi parlanti e
ascoltatori di lingue neolatine. Ovviamente però c’è hapax e hapax (come c’è
neologismo e neologismo), è fin troppo evidente che il verbo ;ekqe'aomai, al
verso 1253 dell’Edipo re, non possa essere considerato allo stesso modo
dell’aggettivo #apouroj (v. 194), perché il primo è un composto preposizionale
trasparente, cioè dal significato immediatamente deducibile, in cui la variazione
rispetto al verbo semplice è minima, benché non trascurabile, il secondo resta,
probabilmente anche per molti spettatori del V secolo a.C., piuttosto oscuro di
primo acchito. Non è neppure detto però che uno hapax trasparente debba per
forza essere meno incisivo di uno hapax meno comprensibile: anche di questo
renderemo conto nell’analisi. Sofocle certo, pur non disdegnando termini nuovi e
a volte carichi, non arrivò mai alla magniloquenza eschilea, a quel grado di #ogkoj
che fece dire ad Aristofane per bocca del personaggio di Euripide la fin troppo
nota battuta:
k#apeit’;epeid`h ta^uta lhr'hseie kaì tò dr^ama
#hdh meso'ih, :r'hmat’$an b'oeia d'wdek’e%ipen,
;ofr^uj #econta kaì l'ofouj, de'in’ #atta mormorwpà 925
#agnwta to^ij qewm'enoij
Poi, dopo averla tirata in lungo così, ormai a metà del
dramma, poteva buttare là una dozzina di paroloni grossi
come buoi, pieni di cipiglio e di pennacchi, che il pubblico non
2
conosceva neppure (Trad. Del Corno 1992 , p. 97)
La pur abusata citazione resta sempre un’indicazione importante sulla ricezione,
sulla possibile posizione del pubblico di fronte alle bizzarrie lessicali dei tragici.
25
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Perché uno studio sugli hapax
Sia l’attore che l’uditore erano più avvezzi alle parole inconsuete, ma ciò non
significa che restassero del tutto indifferenti. Vedremo poi nel particolare fino a
che punto Sofocle giudicherà lecito spingersi nella sua ricerca e ricercatezza
lessicale e potremo allora, solo dopo un’attenta analisi che non prescinda mai dal
contesto,
riflettere
sull’efficacia
probabile
di
ogni
singolo
hapax.
Cosa permetterebbe dunque di comprendere lo studio sugli hapax assoluti di una
singola opera?
Anzitutto se si restringe il campo di indagine agli hapax di una singola tragedia
bisognerà tenere sempre presenti la tematica o le tematiche affrontate
dall’opera, i topic55, perché da un raffronto tra essi e i campi semantici cui
appartengono gli hapax potrebbero evidenziarsi fruttuose affinità. Per fare
ancora un esempio pratico: laddove nell’Edipo re ci troviamo a confrontarci con
lo hapax semn'omantij (“venerando indovino”, v. 556), è lecito, quasi scontato,
domandarsi se non vi sia un legame diretto tra un tale unicismo e la tematica
della divinazione e del fato ovunque presenti in questa tragedia. Questo dato,
questa affinità non ci dirà forse molto di più sul quid dell’Edipo re, ma saprà
invece aiutarci a capire “come” il poeta possa aver pensato di comunicare quel
quid, di insistervi. L’‘insistenza’ può aumentare l’espressività del testo e fa spesso
parte della comunicazione extradiegetica tipica del teatro come nota molto
opportunamente Condello56, della dimensione aurale-orale. In secondo luogo,
una prudente ricerca dei loci similes — o meglio delle voces similes, cioè di
55
Cfr. Eco 1979, pp. 87-92.
Condello 2009, p. LV; qui lo studioso sta riflettendo sulle cosiddette ‘autobiografie parallele’ di
Edipo e Giocasta, che non è il caso di accusare di inverisimiglianza perché “significa scordare le
concenzioni teatrali più ovvie, prima fra tutte quella tipica ridondanza informativa che maschera
da comunicazione intradiegetica — fra personaggio e personaggio, cioè fra ‘narratore’ e
‘narratario’ — quella che è in realtà comunicazione extradiegetica, fra autore e pubblico, cioè fra
‘destinatore’ e ‘destinatario’”.
56
26
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Perché uno studio sugli hapax
vocaboli dalla struttura e dal significato analoghi57 ai nostri hapax — presenti
negli altri tragici o nella tradizione lirica ed epica precedente, può aiutarci a
“entrare nell’officina” sofoclea, a riconoscere meglio i modelli cui il poeta
potrebbe aver attinto per le sue scelte o per le sue creazioni lessicali.
Una panoramica più completa degli hapax aiuta anche sul piano filologico.
Avviene infatti talvolta, e lo vedremo, che si tenda a considerare sospetto un
termine per la sua sola natura di unicismo. Un’analisi attenta che dimostri
l’importanza a volte rivestita dagli hapax aiuterà se non a eliminare almeno a
moderare certi pregiudizi. In un caso, duso'uristoj, v. 1315, vedremo che a un
pregiudizio nei confronti dell’unicismo corrisponderà anche un pregiudizio
metrico nei confronti della responsione libera, potremo così fare prova di certe
sclerosi che a tutt’oggi affliggono la critica.
Lo sviluppo più interessante sarà però soprattutto sul piano dello studio stilistico
e pragmatico, perché gli hapax offrono, è vero, un campione ridotto, ridottissimo
del lessico di un autore, ma essi sono anche una sua peculiarità forte, oserei dire
una via in qualche modo privilegiata attraverso cui addentrarsi in taluni aspetti
della tecnica poetica dell’autore e delle sue scelte stilistiche, compiute anche in
funzione del suo pubblico. Non di rado gli hapax, nel loro essere veicoli espressivi
forti, non sono abbandonati a se stessi, ma vengono inseriti dall’autore in una
ricca costruzione retorica che ne potenzia la funzione comunicativa ed
espressiva.
Ancora un’indicazione pratica: oltre al termine hapax, potranno essere utilizzati,
come sinonimi, il vocabolo latino unicum o la parola italiana “unicismo”,
introdotta da Bruno Migliorini58.
57
Ad esempio, il nostro hapax ceir'odeiktoj (OT 902) trova un corrispondente assai vicino nel
termine eschileo daktul'odeiktoj (Ag. 1332).
58
Battaglia 2002, s.v.
27
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Un punto sintetico sulla composizione nominale
Un punto sintetico sulla composizione nominale in vista dell’analisi
degli hapax
Poiché, e neanche questo è un caso, molti hapax, anzi la maggior parte, risultano
essere dei composti, verbali o nominali, non ci si può esimere dal tentare una
sintesi quanto più efficace sui composti del greco antico.
Dai grammatici antichi non abbiamo molte informazioni sui composti in greco. La
sola distinzione che ci offrono, come nota Schwyzer (1939, p. 428), è quella tra
composti, s'unqeta, e giustapposizioni, par'aqeta.
Immagino che, a proposito di composti, risuonino in molti le parole di
Benveniste59, che scriveva: “La composition nominale est une micro-syntaxe”. I
suoi “fondamenti sintattici” hanno aperto a nuove prospettive lo studio dei
composti nominali.
Molte sono le opere cui si può fare riferimento: la già citata grammatica di
Schwyzer60, ma anche i diversi lavori di Risch61, lo studio di Williger62 e, per certi
aspetti stilistici, anche a Meyer63. Tuttavia, alla ricerca di chiarezza e di sintesi,
vale la pena prendere in considerazione l’articolo di Meissner e Tribulato
Nominal Composition in Mycenaean Greek (2002), che offre un’accurata
ricapitolazione della classificazione dei composti in greco antico. Questo articolo
è importante, oltretutto, perché mostra che i composti sono stati troppo spesso
considerati caratteristici dei soli linguaggi poetici o tecnici, mentre il loro uso è
vasto anche in testi non letterari.
59
Benveniste 1967, p. 15.
Schwyzer 1939, pp. 425-455.
61
Risch 1937, 1944, 1945, 1949.
62
Williger 1928.
63
Meyer 1923.
60
28
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Un punto sintetico sulla composizione nominale
Utili per farsi un’idea generale sono inoltre le pagine di Bisetto-Scalise64 e, per
certi versi l’articolo di Grandi-Pompei65, sebbene le proposte classificatorie cui si
spingono gli autori risultino piuttosto cabalistiche (ma hanno il merito di mettere
in evidenza la complessità del problema e la limitatezza, spesso la rigidità, degli
strumenti fin qui adottati).
La terminologia e la classificazione applicate ai composti greci sono state a lungo
e in parte sono tuttora quelle elaborate dai grammatici sanscriti. Lo Schwyzer se
ne serve dividendo i composti greci in due categorie.
a) Un primo tipo di composti nominali sarebbe costituito dai composti
copulativi o Dvandva (Kopulativkomposita secondo la terminologia
tedesca), in cui la relazione logica tra i due membri, che sono equipotenti,
è quella di una coordinazione asindetica. Non sono molto numerosi in
greco questi composti, e un esempio ne è nucq'hmeron (“durata di un
giorno e una notte”) o :udr'elaion (“miscuglio di acqua e olio”).
Generalmente sono endocentrici, rispondono, come si suol dire, alla
domanda “è un”, hanno la testa al loro interno, ma possono risultare
anche esocentrici come nel caso di ;andr'ogunon. Non incontreremo tra i
nostri hapax composti di questo tipo.
b) Una seconda categoria, molto più vasta, è quella dei composti
determinativi.
I composti determinativi (Determinativkomposita secondo la terminologia
tedesca) possono essere divisi in due tipi: descrittivi o Karmadhāraya
(altresì detti attributivi e appositivi), ad esempio ;akr'opolij (“città
alta”), oppure dipendenti o Tatpurușa (anche chiamati subordinativi, o di
64
65
Bisetto-Scalise 2008, pp. 117-143.
Grandi-Pompei 2010.
29
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Un punto sintetico sulla composizione nominale
reggenza o Rektionskomposita) come patrokas'ignhtoj (“fratello del
padre”).
c) Su queste due categorie ne interverrebbe una terza, basata sulla
centricità del composto: quella dei Bahuvrihi, i composti esocentrici, cui
apparterrebbero tutti i composti possessivi (Possessivkomposita), per
esempio leuk'wlenoj (“dalle braccia bianche”). Di fatto nell’uso comune
sembra che i Bahuvrihi siano intesi come una sottocategoria dei composti
determinativi.
In verità questa classificazione non riesce a inquadrare bene la realtà dei
composti greci e spesso ci si trova nell’incapacità di distinguere con certezza un
tipo di composto dall’altro.
In questa ricerca si è deciso di utilizzare la classificazione che ad oggi risulta
ancora la più completa e la più chiara tra tutte: quella elaborata da Risch66.
In questa classificazione i composti di reggenza (Rektionkomposita) tatpurușa
costituiscono categoria a sé, anzi, due categorie distinte: i Präpositionale
Rektionkomposita (ad es. ;apoq'umioj, “sgradito, odioso”) e i Verbale
Rektionkomposita (ad es. faes'imbrotoj, “che dà luce ai mortali”).
66
Risch 1937, pp. 165-192.
30
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Una panoramica degli hapax
Una panoramica: hapax dei dialoghi e hapax lirici nell’Edipo re
Dei 25 hapax assoluti che è possibile rintracciare nell’Edipo re 12 si trovano tra i
313 versi delle parti liriche, 13 nei restanti 1217 versi.
Edipo
pronuncia
13
unicismi,
4
dei
quali
nel
secondo
kommos.
Il coro ne pronuncia 9. Tiresia, Giocasta e il II Messaggero 1.
Il numero consistente di composti ‘nuovi’ nelle parti liriche delle tragedie
sofoclee ha portato gli studiosi a delle osservazioni preliminari. De La Villa ad
esempio vi ha visto un riflesso immediato di ciò che lui chiama “carácter
literariamente elevado”67 di tali composti. Inoltre secondo lo studioso, che si
richiama a Earp, questi nuovi composti tendono a diminuire nella produzione
sofoclea in ragione del graduale allontanamento dall’ #ogkoj eschileo. Di qui, De
La Villa tira una conclusione sull’Edipo re che non smette di sorprendere:
Edipo Rey ocupa un puesto central, que por otro lado tiene características propias; ello se debe a
la enorme fuerza de la acción en este drama, que deja menor margen para los efectos estilísticos
del lenguaje. Esto explica la introducción relativamente menor de los compuestos nuevos en esta
obra.
(De La Villa 2004, p. 344)
Se da un lato è vero che Edipo re presenta il minor numero di composti nominali
esclusivamente sofoclei – De La Villa ne conta 38, di cui 12 di reggenza attiva
(31,5 %), 3 di reggenza passiva (7,9 %), 19 possessivi (50 %), 3 determinativi (7,9
%), escludendo il problematico :hd'upolij (v. 510) – è alquanto rischioso sia
basarsi su dati che presi seccamente hanno poco a che vedere con l’evoluzione
stilistica, sia spiegare l’anomalia del dato dell’Edipo re, la cui datazione è
oltretutto un vero enigma, con la preponderanza della forza dell’azione su quella
67
De La Villa 2004, p. 344 : “En prácticamente todas las obras aparecen más compuestos nuevos
en las partes líricas que en las dialogadas, lo que es un indicio del carácter literariamente elevado
de estos compuestos”. Lo studioso si basa sui dati raccolti da Earp (1944).
31
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Una panoramica degli hapax
del linguaggio. Sofocle può aver semplicemente scelto di servirsi anche di altre
vie per veicolare il suo messaggio. La forza drammatica, d’azione per l’appunto,
di un Aiace e di un’Antigone non lo hanno scoraggiato dall’uso di composti
‘nuoviʹ.
Vediamo ora i 12 unica delle parti cosiddette liriche.
Parodo
Nella parodo il coro leva una preghiera rivolgendosi a molte divinità – Atena,
Artemide, Apollo, Zeus, Bacco – perché scaccino Ares, il dio che pur senza armi
sta distruggendo Tebe. Qui rintracciamo un composto preposizionale, #apouroj
(v. 194), che Schindler68 indicava così: “membrum determinans, quod praecedit,
est praepositio”. È sempre molto difficile, come notano spesso gli studiosi,
inquadrare i composti preposizionali, per i quali già Risch69 indicava la
complessità di definizione, poiché spesso essi possono essere letti sia come
composti di reggenza, sia come composti possessivi70. Vedremo che #apouroj è
problematico, perché sembra che l’ ;apo- regga il sostantivo successivo p'atraj,
nel qual caso potrebbe effettivamente interpretarsi come un determinativopossessivo: “che ha il confine lontano da”, riferito dal coro ad Ares, di cui spera
l’allontanamento dalla città.
Il secondo, ;agla'wy (v. 194, composto determinativo-possessivo), fa parte di
quel gruppo di aggettivi in -wy, che, scrive Schindler (p. 98), “adeo oribus et
auribus Graecorum erant consueta, ut persaepe membrum posterìus ad meri
inclinamenti
speciem,
totumque
compositum
ad
simplicis
nominis
significationem proxime accederet”.
68
Schindler 1877, p. 25.
Risch 1937, p. 171.
70
Vedi in proposito anche Meissner-Tribulato 2002, p. 300.
69
32
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Una panoramica degli hapax
Primo stasimo
Il coro reagisce alla lite tra Tiresia e Edipo, invoca la vendetta sull’assassino di
Laio, ma non arriva ad accusare l’uomo che un tempo liberò Tebe dalla Sfinge. Al
verso 463 vi è un primo hapax, qespi'epeia, un composto determinativopossessivo, un aggettivo che definisce la Delfìj p'etra come “fatidica”. Al verso
484 Sofocle si serve del termine o;iwnoq'ethj, composto di reggenza, il cui
“membrum regens est verbum” e il cui “membrum sospensum vim habet
accusativi” (Schindler 1877, p. 30), questo nomen agentis significa “colui che
interpreta gli uccelli”, il coro si riferisce a Tiresia.
Ultimo hapax dello stasimo è il complesso :hd'upolij (v. 510), “gradito alla
città”, forse interpretabile come composto di reggenza. Il coro definisce con
questo aggettivo Edipo, ricordando i suoi meriti verso Tebe.
Secondo stasimo
Il secondo stasimo è in tutti sensi un passo centrale di questa tragedia. Il coro
leva un canto in cui ribadisce l’importanza del rispetto delle leggi divine, affronta
il tema della !ubrij e mostra la sua angoscia per le profezie di Apollo che
sembrano cadere nel disprezzo generale. È lo stasimo del celebre tì de^i me
core'uein>71.
Al verso 864, all’inizio della prima strofe, registriamo lo hapax e#useptoj,
composto di reggenza, questo aggettivo verbale si riferisce alla “purezza”, che è
“molto rispettosa”, sembra più logico il senso attivo, anche se il senso passivo
“molto venerabile” non è da escludere.
71
Importanti sviluppi sul ruolo del coro scaturiti da questo e altri passi nel celebre articolo di A.
Henrichs, ‘ “Why should I dance?” Choral Self-Referentiality in Greek Tragedy, Arion, n° 1, 199495, pp. 56-111.
33
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Una panoramica degli hapax
Subito dopo, al verso 866, :uy'ipouj, “eccelso”, composto determinativopossessivo, il cui secondo membro, po'uj, porta in sé un’allusione, per contrasto,
ad Edipo.
Nella seconda antistrofe, il controverso ceir'odeiktoj (v. 902), “che si può
additare”, composto di reggenza, accordato con un t'ade, che non si sa di preciso
a cosa riferire.
Esodo (secondo kommos)
Nel secondo kommos il pathos è altissimo, perché Edipo esce dal palazzo, con gli
occhi trafitti e dialoga con il coro in anapesti (vv. 1297-1311). Al verso 1312 un
trimetro
giambico
segna
il
confine
tra
anapesti
e
metro
lirico.
Nella prima strofe reperiamo lo hapax variamente interpretato, spesso
arbitrariamente corretto,
duso'uriston (v. 1315), composto di reggenza,
riferito al metaforico n'efoj, la nube “spinta da un vento infaustamente
favorevole”, che attanaglia Edipo. Nell’antistrofe, sempre il protagonista,
definirà il coro con l’unicum ;ep'ipoloj “amico”, deverbativo da ;epip'elomai,
composto preposizionale determinativo.
Certo sorprendente è lo hapax
blept'oj (v. 1337), “da vedere”, aggettivo
verbale in odore di hapax morfologico, ma importante in questo contesto,
sovrabbondante di lessico legato alla vista.
Infine nella seconda antistrofe il problematico composto determinativo
;epip'odioj (v. 1350), “che è ai piedi”, spesso maltrattato dai filologi.
Nei dialoghi invece gli hapax sono così distribuiti:
34
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Una panoramica degli hapax
Prologo
Dopo il dialogo con il sacerdote venuto insieme a una folla di supplici a esortare il
re perché trovi una soluzione, all’inizio dello scambio verbale tra Edipo e Creonte
troviamo lo hapax prode'idw (v. 90), “temere prima”, un composto verbale.
Primo episodio
Il cuore di questo episodio è lo scontro tra Edipo e Tiresia. Già tuttavia all’inizio,
quando il re si rivolge al coro per chiedere collaborazione e pronunciare un
bando contro l’assassino di Laio, rintracciamo lo hapax ;anako'ufisij (v. 218),
“sollievo”, nomen actionis, composto di reggenza.
Nel duro scambio con Tiresia compaiono invece quattro hapax: l’aggettivo
verbale a;itht'oj, “domandato”, e il composto verbale e;isceir'izw, “mettere in
mano”, al v. 384, in un punto in cui Edipo precisa la sua posizione nei confronti
del potere e della città che si trova a gestire.
Al verso 418 ancora uno hapax composto intorno al termine po'uj, dein'opouj,
determinativo-possessivo, riferito da Tiresia all’ ;ar'a, la maledizione che
incombe su Edipo.
Infine a;inikt'oj (v. 439), “espresso per enigmi”, un altro aggettivo verbale:
questa volta è Edipo che accusa Tiresia di parlare in maniera poco comprensibile.
Secondo episodio
Qui Edipo si scaglia contro Creonte e solo l’intervento del coro e di Giocasta
potranno placarlo evitando che condanni a morte lo zio-cognato. Dopo il
kommos il re si confronta con la sovrana e ricorda, ancora ignaro, l’uccisione di
Laio, mentre aspetta l’arrivo del pastore, unico superstite del seguito di Laio.
Al verso 556, Edipo usa il composto determinativo semn'omantij, “indovino
venerando”, per indicare Tiresia.
35
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Una panoramica degli hapax
Durante la ‘confessioneʹ di Edipo con Giocasta vediamo il re utilizzare 3 hapax. Il
primo è un composto verbale al verso 804: sunanti'azw, “incontrare”. Il
secondo, al verso 816, è un composto di reggenza, ;ecqroda'imwn, “inviso agli
dei”. Il terzo, al verso 846, di difficile interpretazione, è un composto
determinativo-possessivo, o;i'ozwnoj, “che viaggia solo”.
Terzo episodio
Nel terzo episodio solo uno hapax, ;epiqum'iama (v. 913), nomen rei actae,
composto di reggenza, “offerta di incenso”, che la tormentata Giocasta intende
offrire ad Apollo Licio.
Esodo
Nell’esodo due hapax legati al campo semantico della vista. Al verso 1253 il
composto verbale ;ekqe'aomai, “contemplare”, al verso 1313 il composto di
reggenza ;ep'oyimoj, “visibile”.
Da questa breve rassegna preliminare si può intuire che i termini in questione
sono tutti composti, tranne tre aggettivi verbali semplici. Gli hapax dei canti
hanno spesso, ma non sempre, un carattere più elevato. Dei dodici unica
registrati almeno cinque: #apouroj, ceir'odeiktoj, duso'uristoj, ;ep'ipoloj,
;epip'odioj non sono composti immediatamente accessibili, certamente a noi, ma
anche a quegli ascoltatori meno avvezzi ai giochi della lingua poetica. Nei dialoghi
invece, tutti gli hapax sono facilmente desumibili, salvo forse o;i'ozwnoj, il cui
primo membro era però sufficiente a chiarire l’essenziale, cioè che se l’assassino
di Laio era uno solo e non tanti Edipo è colpevole. Non è possibile definire più di
tanto la trasparenza di un composto in base alla sua natura, un composto di
reggenza come ;ecqroda'imwn
è semanticamente chiaro tanto quanto
dein'opouj. Troviamo hapax di diversi tipi tanto nelle parti liriche quanto nei
36
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Una panoramica degli hapax
dialoghi e anche i campi semantici di appartenenza sono quasi sempre legati alle
tematiche della tragedia: dunque gli unicismi sono in entrambi i contesti
piuttosto funzionali, se non alla completezza del messaggio (vedremo casi di
pleonasmi), almeno all’efficacia della comunicazione scenica. Il poeta offre
attraverso questi termini pregnanti, spesso in combinazione con figure retoriche,
specialmente figure d’elocuzione, un surplus di informazione per lo spettatore,
aumentando così le sue possibilità di ricezione e/o la qualità della ricezione
stessa. In questo senso gli hapax indirizzano l’interpretazione degli spettatori.
Quanto alle differenze tra hapax lirici e hapax dei dialoghi, preliminarmente
bisogna limitarsi a dare un sommario giudizio sull’intelligibilità degli hapax,
certamente maggiore nell’ambito dei dialoghi.
37
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Tabelle riassuntive e classificatorie
Tabella riassuntiva e classificatoria degli unicismi dell’Edipo re
Collocazione
Hapax
Elementi di
Categoria
formazione
Secondo la
Campo semantico
classificazione di
Risch
Prologo v. 90,
Divino/
prode'idw
Inizio del dialogo
Avv. + Verbo
Composto
« temere prima »
con Creonte
pr'o + de'idw
verbale
destino
Composto
Rapporto con la
città
#apouroj
Parodo v. 194,
Prep. + nome
Composto
preposizionale
« che ha i confini
Strofe III
;ap'o + !oroj
nominale
determinativo
(aggettivo)
(possessivo)
Composto
Composto
lontano da»
;agla'wy « che ha la
Parodo v. 214,
Agg. + Nome
Nominale
determinativo
fiamma brillante »
Antistrofe III
;agla'oj + #wy
(aggettivo)
(possessivo)
Nomen
Composto
;anako'ufisij
Primo episodio v.
actionis da
preposizionale
«sollievo»
218
;anakouf'izw
di reggenza
Vista
Medicina
(Typus 10)
Aggettivo
Rapporto con la
città
a;itht'oj
Primo episodio v.
verbale di
« domandato »
384
a;it'ew
e;isceir'izw
Primo episodio v.
Prep. + Verbo
« mettere in mano »
384
e;ij + ceir'izw
Composto
Rapporto con la
verbale
città
Composto
Composto
dein'opouj «che ha
Primo episodo v.
Agg. + Nome
nominale
determinativo
il piede terribile»
418
dein'oj + po'uj
(aggettivo)
(possessivo)
Camminare
Aggettivo
Divino/
destino
a;inikt'oj «espresso
Primo episodio v.
verbale da
per enigmi»
439
a;in'issw
Composto
Composto
Divino/
38
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Tabelle riassuntive e classificatorie
qespi'epeia «che ha
Primo stasimo v.
Agg. + Nome
nominale
determinativo
parole ispirate dalla
463
q'espij + #epoj
(aggettivo)
(possessivo)
Composto
Composto di
Divino/
destino
destino
divinità»
o;iwnoq'etaj
Primo stasimo v.
Nome + Verbo
nominale
reggenza
«indovino»
484
o;iwn'oj +
(nomen
(Typus ;a-gn^w-
t'iqhmi
agentis)
t-ej)
Composto
Composto di
Rapporto con la
reggenza
città e l’uomo
Composto
Composto
Divino/
destino
:hd'upolij «gradito
Primo stasimo v.
Agg. + Nome
nominale
alla città»
510
:hd'uj + p'olij
(aggettivo)
semn'omantij
Secondo episodio
Agg. + Nome
nominale
determinativo
«venerando
v. 556
semn'oj +
(nome)
endocentrico
indovino»
m'antij
Composto
sunanti'azw
Secondo episodio
Prep.+Verbo
«incontrare»
v. 804
s'un +
Camminare
verbale
;anti'azw
Composto
Composto di
Divino/
reggenza
destino
Composto
Composto
Camminare
nominale
determinativo
;ecqroda'imwn
Secondo episodio
Agg. + Nome
nominale
«inviso agli dei»
v. 816
;ecqr'oj +
(aggettivo)
da'imwn
o;i'ozwnoj «che
Secondo
Agg.+Nome
viaggia solo»
episodio v. 846
o%ioj + z'wnh
e#useptoj
Secondo stasimo
Avv.+ Verbo
«venerando»
v. 864
e%u + s'ebw
(possessivo)
Aggettivo
Composto di
Divino/
verbale
reggenza
destino
(Typus
qe'odmhtoj)
Composto
Composto
:uy'ipouj «che ha i
Secondo stasimo
Avv.+ Verbo
nominale
determinativo
piedi in alto»
v. 866
!uyi + po'uj
(aggettivo)
(possessivo)
Camminare
39
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Tabelle riassuntive e classificatorie
Composto
Composto di
reggenza
ceir'odeiktoj «da
Secondo stasimo
Sost. + Verbo
nominale
mostrare a dito»
v. 902
ce'ir +
(aggettivo)
Vista
de'iknumi
Nomen rei
Composto
Divino/
destino
;epiqum'iama
Terzo episodio
actae da
preposizionale
«offerta di incenso»
v. 913
;epiqumi'aw
di reggenza
(Typus 10)
Composto
;ekqe'aomai
Esodo, v. 1253
«contemplare»
;ep'oyimoj
Prep. + Verbo
Esodo v. 1313
Esodo v. 1315
Prefisso +
«spinto da vento
Verbo
sfavorevole»
d'uj + o;ur'izw
;ep'ipoloj «amico»
verbale
;ek + qe'aomai
«visibile»
duso'uristoj
Vista
Esodo v. 1322
Aggettivo
Composto
denominativo
preposizionale
da #epoyij
di reggenza
Aggettivo
Composto di
Divino/
verbale
reggenza
destino
Nome
Composto
Relazione con la
deverbativo
preposizionale
città
da
di reggenza
;epip'elomai
(Typus 9)
Aggettivo
blept'oj
Esodo v. 1337
piedi»
Vista
verbale da
«ammirabile»
;epip'odioj «che è ai
Vista
bl'epw
Esodo v. 1350
Composto
Composto
Prep. + Verbo
nominale
preposizionale
;ep'i + po'uj
(aggettivo)
determinativo
Camminare
40
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Tabelle riassuntive e classificatorie
Veduta d’insieme
Personaggio
Prologo
Inizio del dialogo con Creonte
EDIPO
1) v. 90 prode'idw (“temere
prima del tempo”) ;
Parodo
Strofe III
CORO
2) #apouroj v. 194
(“allontanato”);
Antistrofe III
3) ;agla'wy v. 214 (“dalla
fiamma brillante”);
Primo Episodio
Rhesis iniziale
4) ;anako'ufisij v. 218
(“sollievo”);
Dibattito con Tiresia
EDIPO
5) a;itht'oj v. 384
(“domandato”);
6) e;isceir'izw v. 384 (“mettere
in mano”);
TIRESIA
7) dein'opouj v. 418 (“dal piede
terribile”);
EDIPO
8) a;inikt'oj v. 439
(“enigmatico”);
Primo stasimo
9) qespi'epeia v. 463
41
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Tabelle riassuntive e classificatorie
(“fatidica”) ;
CORO
10) o;iwnoq'etaj v. 484
(“indovino”);
11) :hd'upolij v. 510 (“gradito
alla città”);
Secondo episodio
Dibattito con Creonte
12) semn'omantij v. 556
(“venerando indovino”);
Racconto dell’uccisione di Laio
EDIPO
13) xunanti'azw v. 804
(“incontro”);
14) ;ecqroda'imwn v. 816
(“inviso agli dei”);
Dialogo con Giocasta
15) o;i'ozwnoj v. 846 (“che
viaggia solo”);
Secondo stasimo
16) e#useptoj v. 864
(“venerando”);
CORO
17) :uy'ipouj v. 866 (“eccelso”);
18) ceir'odeiktoj v. 902 (“da
mostrarsi a dito”);
Terzo episodio
GIOCASTA
19) ;epiqum'iama v. 913 (“offerta
di incenso”);
Terzo stasimo
/
42
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Tabelle riassuntive e classificatorie
Quarto episodio
/
Quarto stasimo
/
Esodo
II MESSAGGERO
20) ;ekqe'aomai v. 1253
(“contemplare”);
CORO
21)
;ep'oyimoj
(“visibile”);
v.
1312
Secondo kommos
22) duso'uristoj v. 1315
(“spinto da vento sfavorevole”);
EDIPO
23) ;ep'ipoloj v. 1322 (“socio”);
24) blept'on, v. 1337
(“ammirabile”);
25) ;epip'odioj v. 1350 (“ai
piedi”) .
43
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Una definizione di stile
Una definizione di stile
Partirei dalla sintetica ma puntuale definizione di stile offerta da Ducrot e
Schaffer:
On peut définir le style comme résultant de la combinaison du choix que tout discours doit
opérer parmi un certain nombre de disponibilités contenues dans la langue et des variations qu’il
introduit par rapport à ces disponibilités.
(Schaffer 1995, p. 654)
Possiamo affermare che lo stile di un testo non è, in effetti, solo l’espressione di
quel cosiddetto “scarto” operato nei confronti di una “norma”, ma anche della
scelta delle variabili offerte dalla tradizione precedente.
In altri termini, scrive Roland Barthes:
[…] sous le nom de style se forme un langage autarcique qui ne plonge que dans la mythologie
personelle et secrète de l’auteur, dans cette hypophisique de la parole, où se forme le premier
couple des mots et des choses, où s’installent une fois pour toutes les grands thèmes verbaux de
son existence. […] L’horizon de la langue et la verticalité du style dessinent donc pour l’écrivain
une nature, car il ne choisit ni l’une ni l’autre.
(Barthes 1952, pp. 16s.)
Barthes oppone l’orizzontalità della lingua alla verticalità dello stile, di cui la
scrittura sarebbe sintesi:
L’écriture est précisement ce compromis entre une liberté et un souvenir, elle est cette liberté
souvenante qui n’est liberté que dans le geste du choix, mais déjà plus dans sa durée.
(Barthes 1952, p. 20)
Il critico, anni dopo, vede nell’allontanamento da una lingua canonica la
possibilità della scrittura di creare piacere. Tra le ruptures che l’autore può
proporre sono menzionati anche i neologismi:
44
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Una definizione di stile
[…] le plaisir de la lecture vient évidemment de certaines ruptures (ou de certaines collisions) :
des codes antipathiques (le noble et le trivial, par exemple) entrent en contact ; des néologismes
pompeux et dérisoires sont créés ; des messages pornographiques viennet de se mouler dans des
phrases si pures qu’on le prendrait pour des exemples de grammaire. Comme dit la théorie du
texte : la langue est redistribuée. Or cette redistribution se fait toujours par coupure. Deux bords
sont tracés : un bord sage, conforme , plagiaire (il s’agit de copier la langue dans son état
canonique, tel qu’il a été fixé par l’école, le bon usage, la littérature, la culture), et un autre bord,
mobile, vide (apte à prendre n’importe quels contours), qui n’est jamais que le lieu de son effet :
là où s’entrevoit la mort du langage. Ces deux bords, le compromis qu’ils mettent en scène, sont
nécessaires.
2
(Barthes 2000 , p. 87)
Qui considereremo istanze dello stile sia la scelta cosciente di riferirsi alla
tradizione, sia lo slancio personale verso l’innovazione.
Un’analisi stilistica può interessare differenti piani. Se seguiamo la divisione
operata da Todorov72, possiamo dire che un’analisi stilistica può agire sia sul
piano dell’enunciato (fonografologico, sintattico, semantico), sia su quello
dell’enunciazione (locutore, ricettore, referente).
Non si ha qui la pretesa di offrire alla fine di questo lavoro generalizzazioni sullo
stile sofocleo ed è bene ricordare inoltre che un autore può servirsi di stili diversi,
come autori diversi possono avere uno stesso stile. Qui si affronterà un aspetto
molto ristretto e molto particolare del piano semantico dell’enunciato, e si
cercherà, per questo tramite, di risalire a qualche traccia dell’enunciazione – la
grande assente – perché, come osservano ancora Ducrot e Schaffer73, “de ce
dernier plan relèvent aussi les facteurs pragmatiques du style”.
Benché lo studio degli hapax verta principalmente sul dominio del lessico, sui
campi semantici (per certi versi sull’isotopia, sulla ridondanza), sulle voces
similes, esso sarà spesso accompagnato da più ampie considerazioni su aspetti
72
73
Ducrot - Todorov 1972, p. 383-388.
Ducrot - Schaeffer 1995, p. 658.
45
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Una definizione di stile
che un tempo erano territorio della retorica: le figure e i tropi che accompagnano
gli hapax o nei quali gli hapax sono coinvolti, in particolare le figure d’elocuzione.
Gli hapax, presentandocisi come peculiarità, più o meno marcata, aiutano a
definire lo stile poetico soprattutto nel senso dello “scarto”, per quanto lo studio
dei possibili riferimenti alla tradizione poetica, per mezzo delle voces similes,
riconduca anche alla nozione di “scelta”. Uno hapax può essere un termine
scelto tra le “disponibilità” del lessico già esistente e siamo noi ad averlo recepito
come unicum per le incertezze della sorte, ma può essere anche un termine che il
poeta crea prendendo a modello dalla tradizione poetica un altro termine, come
può essere infine un termine creato dal poeta, che però decide di distaccarsi
decisamente dalla tradizione poetica precedente o dai suoi contemporanei.
Lo stile poetico ci avvicina alla verità storica di una tragedia, perché è il segno
tangibile della dialettica tra quelle categorie di permanence e impermanence così
ben definite da Florence Dupont contro ogni tentativo di universalizzare i valori e
le circostanze particolari delle singole tragedie. Scrive la Dupont:
De nos jours, la mise en scène relève de l’impermanence et le texte de la permanence, ce qui a
pour conséquence que l’événement théâtral se situe dans l’interpretation du texte par le metteur
en scène, qui lui impose une esthétique et une signification nouvelles.[…] À Athènes, au
contraire, l’espace, le jeu, les masques sont des données préalables. Seul le texte, les mots
prononcés, changent et sont inconnus du public. […] L’impermanence dans la tragédie est donc
aussi indispensable que la permanence ; or cette impermanence est située essentiellement dans
le texte. […] Cette négociation entre instant et éternité crée une esthétique : elle impose à
chaque performance des écarts sans cesse rénouvelés par rapport à la norme implicitement
conservée par la tradition, constituée par la nebuleuse des performances passées, chacune
marquant elle-même un écart. Ces écarts définissent le style de chaque poète, chacun ayant sa
façon e négocier avec l’actualité […]
(Dupont 2001, pp. 22 ss.)
46
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Una definizione di stile
Taluni hapax sono un segno molto forte di questa impermanence e ci aiutano a
capire qualcosa di più sulla maniera in cui Sofocle ha voluto costruire il suo Edipo
re.
47
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Sintesi degli studi intorno alla datazione
Breve sintesi degli studi intorno alla datazione della tragedia
Si è compiuto qualsiasi sforzo interpretativo per dare all’Edipo re una datazione
plausibile (o anche implausibile). La critica non è riuscita a trovare un accordo su
una data, sia pure indicativa, poiché tutte le posizioni risultano, per un aspetto o
per l’altro, opinabili.
L’ipotesi di datazione più alta (456 a.C.), oggi recisamente rifiutata, è stata
proposta da Bruhn74, quella più bassa (413 a.C.) da Perrotta75. Le differenti
supposizioni articolano le loro argomentazioni su tre versanti. Si è cercato di
riconoscere nella tragedia riflessi di eventi storici contemporanei che
permettessero di stabilire un terminus post quem. In questo senso tra le
osservazioni più interessanti vi sono quelle di Knox76 che vede nella descrizione
della peste riferimenti non tanto alla prima ondata di epidemia del 430 a. C.,
quanto alla seconda del 427-26 a. C. e in particolare all’estate del 426 a. C.,
individuando come data privilegiata per l’esecuzione dell’ Edipo re la primavera
del 425 a. C.
Si sono poi cercati richiami intertestuali all’Edipo re in altre tragedie e commedie,
per definire un terminus ante quem. In questa direzione si è mosso, ad esempio
Milio77 che ha ritenuto di rinvenire nei Cavalieri di Aristofane (424 a. C.) una
parodia strutturale dell’Edipo re. Zieliński,
78
ha visto invece nello scontro tra
Teseo e Ippolito (vv. 1008-1020 dell’ Ippolito euripideo, 428 a. C.) quello tra
Edipo e Creonte.
74
Bruhn 1910, p. 36.
Perrotta 1935, pp. 257-268.
76
Knox 1956.
77
Milio 1928-9, pp. 203-5.
78
Zielinski 1896, p. 523.
75
48
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Sintesi degli studi intorno alla datazione
Infine c’è chi, come il Perrotta, ha basato le sue ipotesi sul confronto stilistico con
altre tragedie, prendendo ad argomento alcuni aspetti metrici come l’impiego
nel finale79 dei tetrametri trocaici.
Come ben osserva Condello80, le cui dossografie sono sempre di grande utilità,
non si può dare una risposta definitiva perché tutti gli argomenti sono stati
facilmente confutati ora dall’uno, ora dall’altro studioso. In particolare i richiami
intertestuali sono stati considerati spesso troppo generici e le ipotesi basate su
analisi stilistiche, che pretendevano di definire cronologie interne tra le tragedie,
deboli e fondate su dati insufficienti.
La datazione oscilla ancora oggi, dunque, tra quella proposta da Müller81 (434-33
a. C.) che vede nella descrizione della peste una costruzione del tutto ‘letterariaʹ,
e quella portata avanti da Perrotta82, che, come si è detto, prendeva la mosse
principalmente da dati stilistici, e guardava con favore all’opinione di Weil83, più
volte ripresa, secondo cui non era affatto certo che l’ Edipo re potesse essere
stato rappresentato in un periodo troppo vicino al flagello della peste, essendo i
poeti tragici memori della sorte di Frinico, multato per la sua Presa di Mileto che
aveva toccato il pubblico troppo da vicino (un argomento questo piuttosto
debole).
79
Il finale dell’Edipo è peraltro controverso e Dawe (1982) lo espunge sulla scorta di Ritter (1861).
Condello 2009, pp. CIX-CXV.
81
Müller 1984, pp. 47-59.
82
Perrotta 1935, pp. 257-268.
83
Weil 1844.
80
49
CAPITOLO I: ANALISI DEGLI HAPAX
50
Gli hapax dei dialoghi
51
prode'idw
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
prode'idw v. 90
Oi.
[…]
#anax, ;emòn k'hdeuma, paî Menoik'ewj,
t'in’ :hmìn !hkeij toû qeoû f'hmhn f'erwn>
85
Kr.
;esql'hn< l'egw gàr kaì tà d'usfor’, e;i t'ucoi
kat’ ;orqòn ;exi'onta, p'ant’ $an e;utuceîn.
Oi.
#estin dè poîon to#upoj> o#ute gàr qrasùj
o#ut’o%un prode'isaj e;imì t^_ ge nûn l'og_
Traduzione Paul Mazon
Oedipe.
O prince, cher beau-frère, ô fils de Ménécée, quelle
réponse du dieu nous rapportes-tu donc ?
Créon entre par la gauche
Créon.
Une réponse heureuse. Crois-moi, les faits les plus
fâcheux, lorsqu’ils prennent la bonne route, peuvent tous
tourner au bonheur.
90
Traduzione Dario Del Corno
Ed.
Principe, fratello mio, figlio di Meneceo,
qual è la sentenza del dio che tu ci porti?
Cr.
Buona; e dico che anche le sventure, se si prende
la via giusta, possono finire in bene.
Ed.
E il responso, com’è? Le tue parole non mi danno coraggio
né mi spaventano prima di conoscerlo.
Oedipe.
Mais quelle est-elle exactement ? Ce que tu dis – sans
m’alarmer – ne me rassure guère.
Traduzione Guido Paduano
Ed.
Figlio di Meneceo, mio caro congiunto, quale parola ci
porti da parte del dio?
[Entra Creonte]
Traduzione Salvatore Quasimodo
Ed.
O Signore,
o mio congiunto, o figlio di Meníceo,
che oracolo ci porti?
Cr.
Buona. Anche una situazione difficile può risolversi
felicemente, purché ci si incammini per la via giusta.
Cr.
Buono. E dico che anche le sventure,
se bene seguite, hanno esito felice.
Ed.
Ma qual è la parola? Fino ad ora il tuo discorso non mi
ispira né paura né coraggio.
Ed.
E qual è l’oracolo? Né coraggio,
né timore prima di conoscerlo,
mi viene, intanto, dalle tue parole.
Traduzione Edoardo Sanguineti
Ed.
Signore, mio parente, figlio di Meneceo,
qual è la parola del dio che tu ci vieni a portare?
Traduzione di Maria Grazia Ciani
EDI.
Signore! Cognato mio! Figlio di Meneceo! Che notizie porti?
Qual è il responso del dio?
Cr.
CRE.
Favorevole. Io dico, infatti, che anche le cose sgradevoli, se Buono. Se le difficoltà trovano soluzione,
accade che riescono diritte, accadono tutte con fortuna.
tutto potrebbe andare per il meglio.
Ed.
EDI.
Ma qual è la parola? Perché io, dal tuo discorso, non sono Ma le parole, quali sono? Ciò che dici
né incoraggiato, né intimorito.
Non mi spaventa, ma non mi rassicura.
52
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
prode'idw
prode'idw v. 90
prode'idw. Composto di pr'o e de'idw letteralmente “temere prima” (Ellendt84:
praemetuo. Liddell-Scott: Fear prematurely). de'idw è presente solo in Omero e
negli Alessandrini85. Jebb86 osserva nel suo commento (ad loc.) che in
composizione con un verbo di “premura” (caring for), pr{o corrisponde talvolta a
:up'er e cita il caso di prok{hdomai (Ant. 741).
Siamo nel prologo. Dei supplici, comparse mute, sono raccolti sotto il palazzo di
Edipo, a Tebe. Il secondo attore, che nel prologo impersona il sacerdote, si è
rivolto a Edipo (primo attore). I versi iniziali della tragedia hanno reso nota agli
spettatori la situazione in cui si trova la città di Tebe, funestata dal morbo della
peste. Edipo ha informato il sacerdote e i supplici presenti di aver inviato
Creonte, suo cognato, a Delfi, per interrogare l’oracolo e ricevere istruzioni. Ecco
allora che Creonte torna e subito viene interrogato da Edipo.
Già in questo piccolo stralcio del dialogo tra i due cognati possiamo apprezzare le
qualità sofoclee nella caratterizzazione del personaggio. Edipo non appena vede
Creonte giungere, gli pone una domanda. Creonte risponde brevemente, senza
approfondire, allora Edipo lo incalza con altre numerose richieste, in parte
dovute, come è logico, alla sua posizione nel dialogo (il detentore di una
maggiore conoscenza in quel momento è Creonte), in parte allo stile della
sticomitia, che, spezzando, rateizzando l’informazione in un veloce scambio,
vivifica il ritmo dopo le rheseis iniziali di Edipo e del sacerdote. L’intenso
susseguirsi di interrogative è evidentemente però anche una precisa scelta
sofoclea nella costruzione del carattere volontaristico e inquisitorio di Edipo che
è motore di tutta l’azione tragica. Scrive Whitman:
84
Ellendt 1872, s.v.
cfr. DELG s.v.
86
Jebb 1893, ad loc.
85
53
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
prode'idw
[…] in the figure of the Oedipus, the man of supreme insight, or gnome, the quest for knowledge
is itself the tragic action.
(Whitman 1966, p. 138)
Dodds vede in questa spinta alla conoscenza della verità e nella capacità di
accettazione di Edipo la sua grandezza:
Oedipus is great, not in virtue of a great worldly position – for his worldly position is an illusion
which will vanish like a dream – but in virtue of his inner strength: strength to pursue the truth at
whatever personal cost, and strength to accept and endure it when found.
(Dodds 1966, p. 48)
Tornando all’unicismo in questione: esso assume particolare rilevanza in questo
contesto di indagine87. Nel termine pro-de{idw è contenuto quel desiderio del
presentimento, della previsione che percorre tutta questa tragedia. Le ‘previsioni’ dell’oracolo hanno conseguenze sulle scelte del protagonista, il ‘premunirsi’ e il ‘pre-monire’ di Edipo sono anche i catalizzatori della sua caduta.
Dopo la caduta e l’accecamento però, Edipo conquisterà finalmente questa
veggenza (veggenza soprattutto sul passato, ma in parte anche sul futuro se si
pensa a O.C. 1511ss.), punto di contatto tra umano e divino.
Sofocle fa dire a Edipo in questo verso 90: o#ut’o%un prode'isaj e;imì t^_ ge nûn
l'og_. Una traduzione alla lettera potrebbe essere: “né certo sono uno che teme
prima con queste parole”. Le parole di Creonte non sono sufficienti alla
previsione del bene o del male.
87
Alcuni studiosi hanno assimilato l’indagine portata avanti dal protagonista nell’Edipo re alla
detective story, e spesso si sono lanciati in una poco proficua ‘caccia all’errore’. Una ricca e come
sempre utile panoramica della questione è proposta in Condello 2009, pp. LVIII-LX. Tra gli
argomenti cogenti contro una tale interpretazione dell’Edipo re conviene ricordare che il
detective e il colpevole verrebbero a corrispondere (cfr. Chesterton 2002, p. 36), che il pubblico
conosce già il colpevole.
54
prode'idw
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Jebb88 richiama un passo sofocleo in cui compare il verbo protarb{ew (Ant. 83).
Ismene si rivolge alla sorella che mette a rischio la sua vita ricoprendo Polinice di
terra e le mostra la sua preoccupazione, o#imoi, tala{inhj :wj :uperd{edoik{a
sou (v. 82: “ahimè, infelice, come temo per te”), ma Antigone con fierezza e una
sottile ironia risponde m`h ƒmo^u prot{arbei< tòn sòn ;ex{orqou p{otmon (“non
preoccuparti prima del tempo, migliora la tua sorte”). Antigone va con fermezza
incontro alla sorte che la aspetta, la sua non è preveggenza, ma semplice
consapevolezza delle conseguenze di fronte alle quali la porterà il suo atto: in
questo senso la sorella si preoccuperebbe prima del tempo. Nei Sette a Tebe lo
stesso termine viene utilizzato dal coro che ha funesti presagi e teme in anticipo
l’esito negativo dello scontro con i sette guerrieri: bare{iaj toi t{ucaj
protarb^w (v. 332: “Grave sorte: temo già”). Se con Antigone parliamo di lucida
consapevolezza, qui siamo di fronte a un ragionevole presagio. Sia Edipo, sia
Antigone, sia il coro eschileo, nell’utilizzare un composto con pro- legato a un
verbum timendi, alludono a una svolta futura degli eventi.
In un’altra tragedia, che si presume eschilea, Prometeo incatenato, una
paretimologia89 ci dà lo spunto per una conferma della coscienza linguistica dei
tragici. Ai vv. 85-87 Potere si rivolge a Prometeo e osserva:
yeudwn'umwj se da'imonej Promhq'ea 85
Le
kalo^usin< a;utòn gàr se de^i promeq'iaj,
aj
chiamandoti Prometeo, «il preveggente»,
!otwi tr'opwi t^hsd’;ekkulisq'hshi t'ecnhj.
potenze
celesti
hanno
mentito
perché hai bisogno tu, di chi preveda
come uscire da questi nodi esperti.
Trad. Mandruzzato 1991, p. 109
88
Jebb 1893, ad loc.
Peraltro già in Esiodo una tale etimologia è desumibile dall’aggettivazione che accompagna i
nomi di Prometeo e Epimeteo ai vv. 510-11 della Teogonia: t'ikte d’ :uperk'udanta Meno'ition
;hdè Promhq'ea,/ poik'ilon a;iol'omhtin, :amart'ino'on t’ ; Epimhq'ea (“partorì l’orgoglioso
2
Menetio, e poi Prometeo, versatile e astuto, e il malaccorto Epimeteo”, trad. Arrighetti 2007 , p.
27).
89
55
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
prode'idw
In realtà Prometeo conosce il destino di Zeus, dunque effettivamente “sa prima”.
Il confronto con prode{idw è un passaggio quasi ovvio e sembra costituirsi come
un nuovo argomento in favore di una precisa scelta espressiva di Sofocle, che
d’altronde mostra una non minore capacità di gioco linguistico nell’Aiace,
quando il protagonista afferma ai versi 430s. : a;ia^i< t'ij #an pot’ #_eq’
*wd’;ep'wnumon/ to;umòn xuno'isein #onoma to^ij ;emo^ij kako^ij> (“Ahi, ahi! Chi
avrebbe mai pensato che il mio nome, Aiace, portasse in una sillaba il segno del
mio patire?”, trad. Albini-Faggi 20073). Nomen omen dunque90. Ma anche, in
qualche modo, nel nostro caso, hapax omen, se pensiamo, come si è detto, al
ruolo del presagio nell’Edipo re 91.
Mettendo a paragone le differenti traduzioni, notiamo che Quasimodo nel
rendere questi versi non si lascia sfuggire il valore “divinatorio” e allusivo del
preverbo: “E qual è l’oracolo? Né coraggio, né timore prima di conoscerlo/ mi
viene, intanto, dalle tue parole”. Così anche Dario Del Corno traduce: “E il
responso, com’è? Le tue parole non mi danno coraggio né mi spaventano prima
di conoscerlo”.
La scelta (se non la creazione) di un termine come prode{idw assume rilevanza
nel complicato ruolo che ha la divinazione all’interno della tragedia e non sembra
casuale che un tale termine sia proprio Edipo a pronunciarlo. Esso contribuisce al
delineamento del carattere febbrilmente speculativo di Edipo.
90
Per un approccio generale ai nomi parlanti sono interessanti Dornseiff 1940 e Zaccarello 2003,
anche se il materiale utilizzato da quest’ultimo è tutto relativo alla letteratura italiana. Sui nomi
parlanti in Omero cfr. Mühlestein 1969, pp. 67-94. Un lavoro più specifico sul teatro è quello di
Bonanno 1987, che tratta dei nomi parlanti in Aristofane, come anche quello di Funaioli 1984-85.
Un articolo importante sui nomi dei figli di Edipo, Eteocle e Polinice, è quello di Loraux 1988.
91
Cfr. Kane 1975, pp. 189-208.
56
; nako'ufisij
a
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
; nako'ufisij v. 218
a
Oi.
a;ite^ij< &a d’a;ite^ij, t#am’ ;eàn q{el+j #eph 216
kl{uwn d{ecesqai t^+ n{os_ q’:uphrete^in,
;alk`hn l{aboij $an k;anako{ufisin kak^wn<
Traduzione Paul Mazon
Traduzione Dario Del Corno
Oedipe.
J’entends tes prières, et à ces prières c’est moi qui
réponds. Sache écouter, accueillir mes avis, sache te
plier aux ordres du fléau, et tu auras le réconfort,
l’allégement attendu de tes peines.
Ed.
Tu preghi: e la tua preghiera otterrà forza
e sollievo dal morbo, se vorrai accogliere le mie
parole e intendere ciò che esige il nostro male.
Traduzione Guido Paduano
Traduzione Salvatore Quasimodo
Ed.
Questa è la vostra preghiera. E per essa, se vorrete
dare ascolto alle mie parole, e provvedere a questa
pestilenza, potreste ottenere un aiuto e la
liberazione dei mali.
Ed.
Tu preghi: se per la tua preghiera
vorrai accogliere ogni mia parola,
e agire contro il male,
forza e sollievo avrai nella sventura.
Traduzione Edoardo Sanguineti
Traduzione di Maria Grazia Ciani
Ed.
Tu preghi, e quello che tu preghi, se tu vuoi
accoglierle, ascoltandole, le mie parole, e operare
come impone la malattia, tu lo avrai, il vigore, il
sollievo dei mali.
EDI.
Questo tu chiedi agli dei.
Ma se vorrai dare ascolto alle mie parole
e riconoscere nel morbo la volontà divina,
troverai riparo e sollievo alla sventura
57
; nako'ufisij
a
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
anako{
;anako{ufisij v. 218
;anako{ufisij composto di ;an{a e ko{ufisij, nome d’azione di kouf{izw
“provare sollievo”. Jebb92 traduce questo termine con “relief”, così come i
traduttori italiani sono generalmente concordi su “sollievo”. “Sollievo” rende
benissimo la composizione greca, infatti il termine italiano è un derivato di
“sollevare”, dal latino sub (“sotto”, ma anche “dal basso”93 e ;an{a può indicare,
come preverbo, questo movimento dal basso verso l’alto) e levare “rendere
leggero,
alzare”,
laddove
l’aggettivo
di
partenza
levis,-e
corrisponde
semanticamente a ko^^ufoj “leggero”.
Sebbene il termine in sé sia uno hapax, è importante delineare brevemente l’uso
sofocleo di alcuni vocaboli ad esso correlati.
In un interessante studio, Giovanni Ceschi94 evidenzia le relazioni profonde che
intercorrono tra il Corpus Hippocraticum e le tragedie sofoclee. A questo
proposito analizza l’uso del verbo kouf'izw, in relazione a Ph. 73595: NE. M^wn
#algoj #isceij t^hj parest'wshj n'osou>/ FI. O;u d^ht’#egwg’, ;all’#arti
kouf'izein dok^w (“NE. Senti dolore? È un attacco della malattia?/ FI. Niente!
Niente! Mi sembra già si star meglio”, trad. Cerri 2003, p. 81). Qui kouf'izw è
usato intransitivamente, come avviene esclusivamente negli scritti ippocratici, e
Ceschi lo considera un indubbio tecnicismo.
V’è poi il verbo ;anakouf{izw, utilizzato da Sofocle in OT 23. Questo termine
compare all’inizio della tragedia, quando il sacerdote si rivolge insieme con i
supplici ad Edipo: IE. P{olij g{ar, !wsper ka;utòj e;isor^=j, #agan/ #hdh sale{uei
k;anakouf{isai k{ara/ buq^wn #et’o;uc o!ia te foin{iou s{alou (“La città – tu lo
vedi – è squassata da una tempesta/ immane e non può più risollevarsi
92
Jebb 1893.
4
Cfr. Ernout-Meillet 2001 , s.v. : “ sublevō « soulager » c’est-à-dire «alléger en soulevant»”.
94
Ceschi 2009.
95
Il verbo compare, ma con significato differente, anche in Aj. 1287, Tr. 1025, Ant. 43.
93
58
; nako'ufisij
a
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
dall’abisso/ dai sanguinosi baratri di morte”). Qui il verbo rimanda al movimento
del “sollevare” (il capo) e non ha apparentemente relazioni con la medicina, se
non fosse che il contesto lo lega strettamente a questo ambito, perché il
sacerdote descrive la pestilenza e i suoi effetti con una certa precisione. Tuttavia
la Guardasole96, sostiene che “proprio nel caso in cui Sofocle nella sua
produzione tragica avrebbe potuto dar mostra del suo sapere medico, la
pestilenza è esposta nell’eziologia, nelle manifestazioni e nella terapia in modo
esattamente opposto al razionalismo ippocratico”.
La dimensione poetica e non scientifica o storica della descrizione della peste
non è un argomento valido per negare il riferimento all’epidemia che colpì
Atene. Se può essere vero quanto sosteneva Perrotta97, che cioè la descrizione
sofoclea non sembra ricalcare se non in minima parte (i templi pieni di supplici)
quella tucididea, tuttavia questo non impedisce il riferimento all’ epidemia
storica.
Tornando al termine ;anako{ufisij, Long98, nel suo lavoro sui nomi astratti in
Sofocle, lo registra come hapax e lo avvicina al termine ;anako{ufisma, che
leggiamo in Ippocrate (diaet. II 64, 1 tà
dè
;anakin{hmata
kaì
;anakouf{ismata t``hn mèn s{arka !hkista diaterma{inei “gli esercizi di
movimento e sollevamento delle braccia riscaldano pochissimo la carne”).
La possibilità che nella creazione (o nell’impiego) del termine vi sia un’influenza
del linguaggio medico va considerata. Ricorderemo qui brevemente che, secondo
alcune testimonianze99, Sofocle sarebbe stato sacerdote di Halon, eroe guaritore,
e avrebbe altresì composto un peana in onore di Asclepio, oltre ad aver
partecipato all’introduzione del suo culto ad Atene, ospitandolo nella sua casa e
96
Guardasole 2000, p. 69.
Cfr. Perrotta 1935.
98
Long 1968, p. 31.
99
Vita Sophoclis; ma anche Etym. Magn. s.v. dex{iwn; Plut. Num. 4, 10, 62; Philostr. Vita Apoll. 3,
17.
97
59
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
; nako'ufisij
a
costruendo un altare in suo onore, ragion per cui il poeta sarebbe stato eroizzato
post mortem col nome di Dexion. Tutto questo ci porta a osservare che è
plausibile una creazione lessicale sofoclea ispirata al linguaggio medico, tanto più
che non esisteva quella divisione netta tra cultura umanistica e scientifica tipica
della nostra contemporaneità. Il contesto in cui questo hapax compare è
piuttosto significativo e questo riferimento alla medicina è interessante in sé, al
di là del fatto che il termine sia o non sia una creazione sofoclea. Siamo infatti
all’inizio del primo episodio: il coro, entrando, ha levato una preghiera nella
quale vengono invocati Zeus, Apollo (“tu che aiuti e guarisci”), Atena, Artemide e
persino Bacco, perché difendano la città dalla furia di Ares che ora assale Tebe
“senza bronzo”, fa impazzare l’epidemia per le strade. Il coro descrive gli effetti
della malattia, e, qui ci si ricollega a quanto sostenuto dalla Guardasole, non
vede una via d’uscita razionale dal flagello: o;ud’#eni front{idoj #egcoj Ñ tij
;al{exetai (vv. 170-1, “e non c’è pensiero che,/ al pari di una spada, si erga a
nostra difesa”). Cionostante, pur nella sua sfiducia verso una cura razionale al
male, fa un elenco piuttosto preciso dei “sintomi” della città: le donne non
partoriscono, gli uomini precipitano nell’Ade come uccelli in picchiata, la morte si
diffonde dai morti (perché la paura del contagio fa sì che non vengano seppelliti).
Di fronte a questa preghiera dolente, Edipo dà inizio alla sua risposta con le
parole che abbiamo visto. La solennità del momento, la sicurezza con cui Edipo
propone la soluzione dei mali, creano di per sé un effetto di grandissima ironia
tragica. In questo frangente, l’impiego di un termine di sapore medico quale
;anako{ufisij, rafforza probabilmente quest’effetto d’ironia, facendo apparire
Edipo come un fallibile taumaturgo, cui, almeno noi moderni, diremmo
volentieri: medice cura te ipsum! Chiaramente qui quest’ironia tragica procurava
piuttosto la pietà dello spettatore. La costruzione ironica e tragica di questo
Edipo solenne guaritore che ignora di essere la causa di ogni male è rafforzata
60
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
; nako'ufisij
a
anche dall’uso di un termine raro e riferibile alla medicina che si accosta, in una
callida iunctura, a un termine marcatamente poetico, epico, quale ;alk{h
(“difesa”). È forse più chiaro allora come l’introduzione di ;anako{ufisij in
questo contesto partecipi all’efficacia dell’effetto drammatico, alla migliore
espressione dell’ironia tragica, e possa essere anche un riferimento tecnico
piuttosto chiaro per gli Ateniesi, che certamente ancora avevano viva nella
memoria l’epidemia del 429 a.C., le sue conseguenze e probabilmente anche la
risposta che tentò di dare la medicina ippocratica.
61
a;itht'oj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
a;itht'oj v. 384
Oi.
% W ploûte kaì turannì kaì t'ecnh t'ecnhj 380
:uperf'erousa t^_ poluz'hl_ b'i_,
!osoj par’:umîn :o fq'onoj ful'assetai,
e;i t^hsd'e g’;arc^hj o!unec’,!hn ;emoì p'olij
dwrht'on, o;uk a;itht'on,
n e;isece'irisen,
ta'uthj Kr'ewn :o pist'oj, o:ux ;arc^hj f'iloj, 385
l'aqr= m’:upelq`wn ;ekbaleîn :ime'iretai,
:ufeìj m'agon toi'onde mhcanorr'afon,
d'olion ;ag'urthn, !ostij ;en toîj k'erdesin
m'onon d'edorke, t`hn t'ecnhn d’#efu tufl'oj.
Traduzione Paul Mazon
Œdipe.
Ah ! richesse, couronne, savoir surpassant tous autres
savoirs, vous faites sans doute la vie enviable ; mais que de
jalousies vous conservez aussi contre elle chez vous ! s’il
est vrai que, pour ce pouvoir, que Thèbes m’a mis ellemême en main, sans que je l’aie, moi, demandé jamais,
Créon, le loyal Créon, l’ami de toujours, cherche
aujourd’hui sournoisement à me jouer, à me chasser d’ici,
et qu’il a pour cela suborné ce faux prophète, ce grand
meneur d’intrigues, ce fourbe charlatan, dont les yeux sont
ouverts au gain, mais tout à fait clos pour son art.
Traduzione Guido Paduano
EDIPO
Ricchezza, potere, arte più grande di ogni altra nella lotta
per la vita, quanta è l’invidia attorno a voi! Per amore di
questo regno, che io non ho chiesto, che la città mi ha
messo in mano, Creonte, il fedele Creonte, mio amico da
sempre, desidera cacciarmi via insinuandosi di soppiatto; e
ha subornato questo ciarlatano, mestatore, questo
impostore astuto che è cieco nella sua arte, ma vede
benissimo il profitto.
Traduzione Edoardo Sanguineti
EDIPO
O ricchezza, tirannia, arte che superi
l’arte, a un’invidiata vita
quanto odio è riservato, per voi,
se per questo mio dominio, che la città mi ha messo
nelle mie mani, donato e non richiesto
da questo desidera rovesciarmi, insinuandosi
occultamente, Creonte il fedele, l’amico mio primo,
infilandomi qui un tale mago, che intesse inganni,
un impostore illusionista, che soltanto
nei guadagni ci vede, ma che nell’arte è nato cieco.
Traduzione Dario Del Corno
EDIPO
O ricchezza, potere! O mia sapienza, che superi
ogni altra arte! Tutti invidiano la mia vita,
ma quanto odio nascondete in voi.
Questo regno me l’ha affidato in dono
la città, non l’ho chiesto io;
e Creonte, il mio fedele, l’amico della prima ora,
adesso lo vuole, e tende insidie per farmi cadere.
Ecco che manda avanti questo mago intrigante,
questo ciarlatano bugiardo, che solo per il guadagno
ha buona vista, ma nell’arte sua è cieco.
Traduzione Salvatore Quasimodo
EDIPO
O ricchezza o forza del potere, o arte
che supera ogni arte nella vita,
quanta invidia per voi sta in agguato,
se per questo regno che m’offrirono i tebani,
il fedele Creonte, amico dei primi giorni,
in segreto desidera cacciarmi con inganno.
Egli mi ha messo contro questa razza d’indovino
che inventa favole, un vagabondo insidioso
che vede solo nei guadagni e mai nella sua arte.
Traduzione di Maria Grazia Ciani
EDI.
Ricchezza e potere, arte che supera ogni arte
in questa vita piena di invidie! E quanta invidia
avete accumulato verso di me
se per questo potere che non ho chiesto io,
che mi è stato donato dalla città – Creonte,
il fedele Creonte, il mio primo amico
trama nell’ombra per cacciarmi via
e aizza contro di me questo stregone,
questo truffatore cieco dalla nascita
che ci vede bene solo quando
c’è di mezzo il guadagno!
62
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
a;itht'oj
a;itht'oj v. 384
Nel primo episodio, dopo la sticomitia che lo vede contrapposto a Tiresia, Edipo
pronuncia una tirata contro l’indovino, accusandolo di essere un truffatore100.
In un interessante articolo Gherardo Ugolini101 analizza le relazioni tra Tiresia e i
sovrani di Tebe, delineando un vero e proprio topos del litigio che si
cristallizzerebbe nella tragedia attica, comparendo nell’Antigone, nell’Edipo Re,
nelle Fenicie e nelle Baccanti. Lo scontro tra indovini e uomini di potere, tra
regalità e sacralità, ha inoltre alcuni precedenti, tra cui il più emblematico è
l’episodio omerico, citato dagli scolii, in cui Agamennone si scaglia contro
Calcante102.
Edipo vuole dimostrare la malafede di Tiresia, la sua collusione con Creonte e
inoltre l’incapacità profetica, riallacciandosi all’episodio della sfinge. Il
protagonista si sente vittima di un complotto, vive la sua posizione di sovrano
percependo intorno a sé invidia e odio.
Nel difendersi da quello che sente come un attacco deliberato contro la sua
carica, Edipo si serve dell’aggettivo a;itht'oj: uno hapax. Jebb e Dawe103
affermano che sia dwrht'on sia a;itht'on sono aggettivi femminili.
a;itht'oj104 è un aggettivo verbale da a;it'ew, significa “domandare, richiedere”. Il
senso, grazie anche all’accostamento con dwrht'on risulta chiarissimo:
“richiesto”. Più tardi compariranno anche i composti paraitht'oj “che si può
piegare” e ;apara'ithtoj “che non si può piegare (con preghiere)” (quest’ultimo
100
Questa accusa contro Tiresia ricorre anche al v. 1055 dell’Antigone per bocca di Creonte. Ma
in generale la polemica contro la mantica è un tema ricorrente nel teatro ateniese: Euripide
Ifigenia in Aulide (520 s., 956 ss.), Elena (744 ss.), Ifigenia Taurica (570 ss.), etc.
101
Ugolini 1991. Ma per l’analisi di questo scontro cfr. anche Drexler 1956; Galeotti Papi 1996;
Sgobbi 2004.
102
Ma a questo proposito possiamo ricordare anche gli scontri tra Eurimaco/Aliterse (Od. 2.157
ss.) e Ettore/Polidamante (Il. 12.195 ss.)
103
Dawe 1982, ad loc.; Jebb 1893, ad loc.
104
Per il suffisso –toj cfr. Chantraine 1979, pp. 302 ss.
63
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
a;itht'oj
si è mantenuto anche in greco moderno). Il confronto con questi due composti ci
aiuta a comprendere come Edipo voglia sottolineare con un tale termine di non
avere pregato nessuno per ottenere il regno. Un aggettivo verbale di un verbo
comune come a;itéw, per quanto hapax, potrebbe non avere una grande
rilevanza, né doveva suonare molto impressionante alle orecchie degli spettatori.
Il significato che veicola tuttavia, unito al suo status di hapax invita alla
riflessione. Se di per sé a;itht'oj può passare inosservato, quando ci rendiamo
conto che al v. 384 sono presenti anche un termine (dwrht'on in omoteleuto
grammaticale) che ha in precedenza solo un’occorrenza omerica (Il. 9.526) e poi
uno hapax come e;isceir'izw (“mettere in mano”), la prospettiva cambia.
Nella sequenza del v. 384 dwrht'on, o;uk a;itht'on, e;isece'irisen possiamo
notare una climax ascendente in cui Sofocle concentra con grande arte un
importante argomento di difesa che Edipo oppone non tanto al problema
realmente sollevato da Tiresia, quanto al complotto che si figura nella mente.
Edipo con il v. 384 fa sapere che lui non ha mai cercato quel potere che la città gli
ha messo in mano, per così dire, suo malgrado o comunque offrendoglielo in
dono. Ecco allora che il concentrarsi del gioco omoteleutico, il crescendo con uno
hapax che spiega e rafforza il senso del vocabolo precedente e, infine, l’uso di un
termine icastico come e;isceir'izw danno al verso un potere comunicativo
straordinariamente denso, offrendo subito all’interlocutore come agli spettatori
la sintesi di una difesa che si dipana su una più ampia arringa.
64
e;isceir'izw
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e;isceir'izw v. 384
Oi.
% W ploûte kaì turannì kaì t'ecnh t'ecnhj 380
:uperf'erousa t^_ poluz'hl_ b'i_,
!osoj par’:umîn :o fq'onoj ful'assetai,
e;i t^hsd'e g’;arc^hj o!unec’,!hn ;emoì p'olij
dwrht'on, o;uk a;itht'on, e;isece'irisen,
risen
ta'uthj Kr'ewn :o pist'oj, o:ux ;arc^hj f'iloj, 385
l'aqr= m’:upelq`wn ;ekbaleîn :ime'iretai,
:ufeìj m'agon toi'onde mhcanorr'afon,
d'olion ;ag'urthn, !ostij ;en toîj k'erdesin
m'onon d'edorke, t`hn t'ecnhn d’#efu tufl'oj.
Traduzione Paul Mazon
Œdipe.
Ah ! richesse, couronne, savoir surpassant tous autres
savoirs, vous faites sans doute la vie enviable ; mais que de
jalousies vous conservez aussi contre elle chez vous ! s’il
est vrai que, pour ce pouvoir, que Thèbes m’a mis ellemême en main, sans que je l’aie, moi, demandé jamais,
Créon, le loyal Créon, l’ami de toujours, cherche
aujourd’hui sournoisement à me jouer, à me chasser d’ici,
et qu’il a pour cela suborné ce faux prophète, ce grand
meneur d’intrigues, ce fourbe charlatan, dont les yeux sont
ouverts au gain, mais tout à fait clos pour son art.
Traduzione Guido Paduano
EDIPO
Ricchezza, potere, arte più grande di ogni altra nella lotta
per la vita, quanta è l’invidia attorno a voi! Per amore di
questo regno, che io non ho chiesto, che la città mi ha
messo in mano, Creonte, il fedele Creonte, mio amico da
sempre, desidera cacciarmi via insinuandosi di soppiatto; e
ha subornato questo ciarlatano, mestatore, questo
impostore astuto che è cieco nella sua arte, ma vede
benissimo il profitto.
Traduzione Edoardo Sanguineti
EDIPO
O ricchezza, tirannia, arte che superi
l’arte, a un’invidiata vita
quanto odio è riservato, per voi,
se per questo mio dominio, che la città mi ha messo
nelle mie mani, donato e non richiesto
da questo desidera rovesciarmi, insinuandosi
occultamente, Creonte il fedele, l’amico mio primo,
infilandomi qui un tale mago, che intesse inganni,
un impostore illusionista, che soltanto
nei guadagni ci vede, ma che nell’arte è nato cieco.
Traduzione Dario Del Corno
EDIPO
O ricchezza, potere! O mia sapienza, che superi
ogni altra arte! Tutti invidiano la mia vita,
ma quanto odio nascondete in voi.
Questo regno me l’ha affidato in dono
la città, non l’ho chiesto io;
e Creonte, il mio fedele, l’amico della prima ora,
adesso lo vuole, e tende insidie per farmi cadere.
Ecco che manda avanti questo mago intrigante,
questo ciarlatano bugiardo, che solo per il guadagno
ha buona vista, ma nell’arte sua è cieco.
Traduzione Salvatore Quasimodo
EDIPO
O ricchezza o forza del potere, o arte
che supera ogni arte nella vita,
quanta invidia per voi sta in agguato,
se per questo regno che m’offrirono i tebani,
il fedele Creonte, amico dei primi giorni,
in segreto desidera cacciarmi con inganno.
Egli mi ha messo contro questa razza d’indovino
che inventa favole, un vagabondo insidioso
che vede solo nei guadagni e mai nella sua arte.
Traduzione di Maria Grazia Ciani
EDI.
Ricchezza e potere, arte che supera ogni arte
in questa vita piena di invidie! E quanta invidia
avete accumulato verso di me
se per questo potere che non ho chiesto io,
che mi è stato donato dalla città – Creonte,
il fedele Creonte, il mio primo amico
trama nell’ombra per cacciarmi via
e aizza contro di me questo stregone,
questo truffatore cieco dalla nascita
che ci vede bene solo quando
c’è di mezzo il guadagno!
65
e;isceir'izw
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
E;iscei
sceir'izw v. 384
Nuovamente ci troviamo di fronte a uno hapax composto. E;isceir'izw significa
propriamente “mettere nelle mani” e il soggetto che mette nelle mani di Edipo il
potere è la città105, grata all’uomo, come è noto, per essere stata liberata dal
flagello della sfinge, argomento quest’ultimo su cui il re insiste volendo
dimostrare l’incapacità mantica del ‘profeta di sventura’, che non è stato capace
a suo tempo di liberare la città dal loim'oj.
E;isceir'izw, verbo denominativo da ce'ir, è una variante sofoclea del più
comune ;egceir'izw che compare già in Erodoto (5.72.1) con lo stesso valore
sofocleo, perché lo storico racconta che Cleomene tàj ;arcàj ;enece'irize,
affidava i poteri di governo alla fazione di Isagora (meno interessante è il passo
Hdt. 5.92 G, in cui il verbo compare nel senso proprio di “mettere in braccio”)106.
Felix Budelmann107 nell’analizzare l’importanza del termine p'olij all’interno
dell’Edipo, osserva che i versi 628-30 del diverbio tra il protagonista e Creonte
richiamerebbero i versi 383-4 dello scontro con Tiresia “when Oedipus stressed
that the polis put the rule into his hands without him asking for it”. Se questo
richiamo interno è credibile, esso non potrebbe che basarsi sulla forza espressiva
dei versi rievocati. In effetti Budelmann può sostenere la sua tesi grazie al
ricomparire di due concetti decisivi, quelli di p'olij e di ;arc'h:
vv. 383-4
e;i t^hsd'e g’;arc^
arc^hj o!unec’,&hn ;emoì p'olij
dwrht'on, o;uk a;itht'on, e;isece'irisen
vv. 383-4
se per questo potere che non ho chiesto io
che mi è stato donato dalla città
vv. 628-630
Kr. E;i dè xun'ihj mhd'en>
vv. 626-630
CRE. E se non avessi capito nulla?
Oi. ;arkt'eon g’ !omwj.
105
Osserva Paduano (1982, ad loc.) che Edipo sottolineerà il ruolo della città anche in Edipo a
Colono, vv. 525s., 539ss.
106
Un interessante e sintetico studio sulla ‘presenza’ di Erodoto nell’opera sofoclea e nell’Edipo
Re in particolare è quello di Catenacci (2000, p. 202) che scrive: “Ad alta ‘densità erodotea’
sembrano infine i vv. 380 ss. dell’Edipo Re”. Ma lo stesso Catenacci cita anche altri studi, come
Rasch 1913, Podlecki 1966, Müller 1996.
107
Budelmann 2000, p. 212.
66
e;isceir'izw
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Kr. O#utoi kak^wj g’#arcontoj.
arcontoj Oi. %w p'olij p'olij.
arcontoj
lij
Kr. K;amoì p'olewj m'etestin, o;ucì soì m'on_.
EDI. Devi obbedire in ogni caso.
CRE. No, se tu governi male.
EDI. O città, città di Tebe.
CRE. Ne faccio parte anch’io, non tu soltanto.
È fortissima la visività di quest’immagine che contempla un soggetto e un
oggetto di grande valore concettuale (oltre che concretissimi), come la p'olij e l’
;arc'h, uniti attraverso un predicato significativo e unico quale e;isceir'izw.
D’altronde questa scena, in cui Edipo ha così collericamente (eppure
comprensibilmente) reagito alle parole di Tiresia, possiede proprio nel linguaggio
e nelle immagini da esso create un’espressività macroscopica capace di suscitare
lo stupore di più di uno studioso: infatti quest’ira, questo flusso argomentativo
irruente di Edipo sono stati considerati incoerenti, tanto da richiedere la
spiegazione dell’inconscio. Penso all’articolo di Carel108: “By introducing the
category of the unconscious the story can be made coherent, as the unconscious
status of Oedipus’ knowledge explains his incoherent behavior, slips of tongue
and excessive rage at Tiresias”. Riprendendo la questione della colpevolezza di
Edipo già molto discussa109 Carel ipotizza che Tiresia sia la verità inconscia
sepolta da Edipo, e questo spiegherebbe perché divampi così violenta la reazione
alle parole dell’indovino. Ma nel verso in questione, il 384, Oddone Longo110
troverebbe invece un argomento in favore dell’inconsapevolezza di Edipo di
fronte all’incesto. Il verso 384, nel quale vediamo dichiarata forte e chiara la
responsabilità della p'olij, fa pendant ed è corroborato dai vv. 525s. e 539s.
dell’Edipo a Colono, che recitano:
vv. 525s.
Oi. Kak^^= m; e;un^= p'olij o;udèn #idrin
g'amwn ;en'edhsen #at=.
vv.525s.
Ed. La città, con un empio letto, del tutto
ignaro mi avvinse nella maledizione delle
108
Carel 2006, p. 111.
Cfr. ad es. Vellacott 1964 e 1971; Rudnytsky 1987; Zimmermann 1997.
110
Cfr. Longo 2007, p. XIX.
109
67
e;isceir'izw
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
vv. 539ss.
Co. #erexaj - Oi. o;uk #erexa. Co. t'i g'ar;
Oi. ;edex'amhn
d^^wron, &o m'hpot; ;eg`w talak'ardioj
111
;epwf'elhsaj p'oleoj ;exel'esqai.
nozze.
vv.539s.
Co. Facesti Ed. Non feci. Co. Come? Ed.
Ricevetti un dono che io, infelice, dopo aver
portato vantaggio, non avrei mai dovuto
ricevere dalla città.
Ai vv. 539 ss. nuovamente ritorna quest’immagine del dono che Edipo riceve
dalla città, un dono funesto, che mai avrebbe dovuto ricevere. Ma qui
l’attenzione è spostata, Edipo non insiste più tanto sull’azione del dono, quanto
piuttosto sull’idea che mai quest’azione sarebbe dovuta avvenire. Questo divide
in fondo un Edipo inconsapevole, che porta argomenti di difesa, e un Edipo
disilluso e ferito, che vive nel rimpianto di ciò che è stato.
Vi è ancora un’altra osservazione da fare in merito a questo unicismo. C’è da dire
che su un termine di uso comune anche le variazioni minime hanno un forte
effetto: il pubblico si domanderà per quale ragione se Sofocle aveva a sua
disposizione ;egceir'izw, abbia deciso di servirsi di un quantomeno inusitato
e;isceir'izw. Il parallelo è lontano e forse poco calzante, ma se uno scrittore
italiano contemporaneo usasse il plurale “pomidoro” invece di “pomodori”, tutti
si domanderebbero perché mai l’abbia fatto. Alcuni penseranno che sia un errore
di stampa, altri il vezzo di uno scrittore originale e vagamente snob, altri ancora
riconosceranno in una tale forma un arcaismo e allora cercheranno di spiegarsi la
ragione della sua presenza (lo scrittore sta tentando di ricostruire gli usi
linguistici
dell’ambientazione
storica
del
suo
soggetto,
oppure
sta
caratterizzando un personaggio, magari un vecchio emigrato che parla
servendosi ancora degli usi linguistici precedenti la sua partenza, e così via).
Tornando però alle categorie indigene, va aggiunto che l’attico, almeno in questa
fase, è piuttosto sensibile alla differenza, e;ij (moto a luogo) / ;en (stato in
luogo), e forse la variazione è in questo caso più significativa rispetto a quanto
111
Qui Lloyd Jones- Wilson accoglie la lezione di Rauchenstein #ofelon, ma sembra più
ragionevole restare fedeli ai codici, che riportano p'olij.
68
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e;isceir'izw
noi moderni possiamo percepire alla prima lettura. In questo contesto la scelta di
Sofocle non è priva di risvolti. Quando Longo dice, come abbiamo visto, che da
questo verso si evince l’incosapevolezza di Edipo, sta toccando nel vivo una
questione dibattutissima, che ha visto gli interpreti scontrarsi duramente. Molti
hanno posto infatti al centro del dibattito sulla tragedia il problema della
responsabilità di Edipo. La critica colpevolista si è mossa principalmente su due
filoni, uno moralista, il cui principale rappresentante è senza dubbio Vellacott
con il suo già menzionato articolo The guilt of Oedipus (1964), l’altro politico, tra
le cui posizioni sono importanti quelle di Vernant (1972), di Lanza (1977), etc.
Vellacott mette in campo una serie di osservazioni puntuali quanto opinabili sulla
consapevolezza di Edipo, che determina con le sue scelte imprudenti il suo
destino (conoscendo l’oracolo avrebbe dovuto mettersi subito alla ricerca
dell’identità dell’uomo da lui ucciso, non avrebbe dovuto sposare una donna più
anziana di lui, etc.). Secondo Lanza l’Edipo re è articolato in tre tempi, “all’Edipo
buon sovrano succede un Edipo despota intollerante che non teme neppure di
giungere alla blasfemia e all’empietà. Da ultimo, dopo la rivelazione della propria
identità, l’Edipo che punisce se stesso”112. L’ira del sovrano è per Lanza alla base
della sua caduta:
[…] la tirannide permette di stravolgere il personaggio di Edipo, di straniarlo e di contrapporlo agli
altri, di trasformare il padre dei suoi sudditi in un dominatore solitario, separato dagli uomini da
una barriera di reciproca paura. È la paura che fa scattare il processo di rapida trasformazione, è
la paura che sucita l’ira, veicolo di ogni altra degenerazione […]
(Lanza 1977, p. 144)
112
Lanza 1977, pp. 141s.
69
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e;isceir'izw
Sull’impropria ricerca di una specifica :amart'ia, hanno scritto pagine importanti
Knox (1957)113 e Dodds (1966). Già Whitman (1951, p. 131) aveva attenuato il
giudizio sul carattere tirannico di Edipo. In particolare sullo scontro tra Tiresia e
Edipo interviene con decisione, riprendendo le diverse posizioni degli studiosi,
Paduano (1982, pp. 450s.), che non vede nel comportamento di Edipo né la
reazione irosa di chi sa, a livello conscio o inconscio, che il profeta dica la verità,
né quella di un tiranno dall’ ;org'h sproporzionata, il problema è invece nella
reticenza di Tiresia, che secondo la percezione di Edipo si rifiuta di collaborare
con la giustizia:
[…] già nel bando si era notata una certa tendenza ad accomunare nello stesso livello di
colpevolezza il comportamento antisociale massimo (il delitto) e quello minore (l’omertà). Per
Edipo Tiresia è uno che sa la verità e non vuole dirla (ha interesse a non dirla), quindi un complice
determinante (347). Che stia dicendo la verità, non viene nemmeno preso in considerazione da
chi vi legge solo una provocazione (360).
(Paduano 1982, p. 451)
Quanto alla consapevolezza di Edipo di fronte ai due tabù infranti, il parricidio e
l’incesto, viene da dire che la questione non è all’ordine del giorno nell’Edipo re:
la tesi secondo cui quello di Edipo sarebbe un ravvedimento operoso è, per così
dire, piuttosto ‘originale’ (“ricostruzione romanzata”, definisce Paduano114 la tesi
113
Knox 1957, p. 31: “The catastrophe of Oedipus is a product not of any one quality of Oedipus
but of the total man. And the total man is, to use Aristotle’s phrase, more good than bad. The
decisive actions are the product of an admirable character; with the possible exception of his
anger (and even that springs initially from his devotion to the city), their source is the greatness
and nobility of the man and the ruler. Which makes the play correspond fairly closely to
Aristotle’s description of what tragedy should avoid: «the spectacle of a virtuous man brought
from prosperity to adversity – this moves neither pity not fear: it merely shock us ».
It shocks us especially in the case of Oedipus becaue the catastrophe is one of such tremendous
proportions. The catastrophe consists of Oedipus’recognition of his true identity, but this
constitutes in itself a reversal of the most fearful kind”.
114
Paduano 1982, p. 450.
70
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e;isceir'izw
di Vellacott115). Anche se la querelle esula dagli interessi principali di questa
ricerca, che vorrebbe riportare al centro della discussione il poieîn sofocleo,
nondimeno qui l’unicismo, o meglio, gli unicismi del verso 394 sono indirizzati
verso un’affermazione dell’inconsapevolezza di Edipo, inconsapevolezza che
ribadisce principalmente la distanza tra il protagonista e il pubblico, il quale
conosce le vicende di Edipo tanto quanto Tiresia. Questo potere offerto in dono,
non richiesto, è pórto a Edipo con un movimento di tensione verso di lui. Il passo
assume significati pressoché allegorici, la città si tende verso (e;is-) Edipo, porge
il potere verso le sue mani. In questo senso la risposta del sovrano sottolinea agli
occhi degli spettatori il suo agire #akwn, compiendo quelle azioni che, come ha
ben mostrato Vernant116, ricadono sul soggetto, ma Edipo poi compie :ek'wn
l’inchiesta che determina nella tragedia la sua rovina e la sua auto-punizione.
Questo hapax mette in rilievo un punto molto importante a proposito della
determinazione del destino di Edipo. La p'olij offrendo il potere al protagonista
contribuisce a determinare sia il destino di Edipo, sia quello della comunità
stessa. La p'olij agisce anch’essa secondo l’opposizione #akousa / :eko^usa,
poiché volendo ricompensare chi la salvò dalla sfinge, mette, non volendo, sul
trono il regicida, volendo dargli in sposa la regina, la dà in sposa all’assassino del
marito, che è anche suo figlio. L’opposizione volontà degli dei (fato)/ volontà di
Edipo non basta a spiegare fino in fondo questa tragedia, è lo stesso protagonista
a chiamare in causa un altro agente: la p'olij.
115
Vellacott 1964.
Vernant 1972, p. 71 : “Ainsi Œdipe, sans avoir rien commis de plein gré qui lui soit
personellement imputable du point de vue du droit, se retrouve, à la fin de l’enquête qu’en sa
passion de la justice il mène pour le salut de la cité, un criminel, un hors-la-loi, chargé par les
dieux de la plus horrible souillure”.
116
71
dein'opouj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
dein'opouj v. 418
Te. E;i kaì turanne^ij, ;exiswt'eon tò go^un
#is’;antil'exai< to^ude gàr k;ag`w krat^w.
O;u g'ar ti soì z^w do^uloj, ;allà Lox'i=< 410
!wst’o;u Kr'eontoj prost'atou gegr'ayomai.
L'egw d’, ;epeid`h kaì tufl'on m’;wne'idisaj<
su kaì d'edorkaj ko;u bl'epeij !in’e%i kako^u,
o;ud’#enqa na'ieij, o;ud’!otwn o;ike^ij m'eta
%ar; o%isq’;af’*wn e%i> kaì l'elhqaj ;ecqròj $wn 415
to^ij so^isin a;uto^u n'erqe k;apì g^hj #anw,
ka'i s’;amfipl`hx mhtr'oj te k;ap`o to^u patròj
;el^= pot’;ek g^hj t^hsde dein'opouj ;ar'a,
bl'eponta n^un mèn #orq’, #epeita dè sk'oton.
Traduzione Paul Mazon
Tirésias. – Tu règnes ; mais j’ai mon droit aussi, que tu dois
reconnaître, le droit de te répondre point pour point à
mon tour, et il est a moi sans conteste. Je ne suis pas à tes
ordres, je suis à ceux de Loxias ; je n’aurai pas dès lors à
réclamer le patronage de Créon. Et voici ce que je te dis.
Tu me reproches d’être aveugle ; mais toi, toi qui y vois,
comment ne vois-tu pas à quel point de misère tu te
trouves à cette heure ? et sous quel toit, tu vis, en
compagnie de qui ? – sais-tu seulement de qui tu es né ? –
Tu ne te doutes pas que tu es en horreur aux tiens, dans
l’enfer comme sur la terre. Bientôt, comme un double
fouet, la malédiction d’un père et d’une mère, qui
approche terrible, va te chasser d’ici. Tu vois le jour : tu ne
verras bientôt plus que la nuit.
Traduzione Guido Paduano
Ti. Se anche tu sei il re, il mio diritto di parlare è pari al tuo;
almeno questo potere appartiene anche a me. Io sono
servo di Apollo, non tuo; e Creonte non è il mio patrono.
Poiché tu mi hai rinfacciato la mia cecità, ti dico che tu hai
gli occhi, ma non vedi il male dentro il quale ti trovi, non
vedi dove sei e con chi vivi. Ma tu sai da chi nasci? Ignori di
essere odioso ai tuoi cari, ai vivi e ai morti; ma un giorno la
doppia maledizione tremenda di tuo padre e di tua madre
ti caccerà da questa terra, e gli occhi che ora vedono non
vedranno che il buio.
Traduzione Edoardo Sanguineti
TIRESIA Se anche tu sei il tiranno, bisogna pure uguagliarlo,
il rispondere, da uguali: per questo, ho la mia forza, io.
Perché non sono schiavo, per te, ma per il dio Obliquo, e
non sarò iscritto come cliente di un Creonte protettore.
Ma io ti dico, poiché mi hai offeso come un cieco:
tu ci vedi, e non vedi dove sei giunto, tu, nel male,
e dove ti ritrovi, qui, e con quelli che tu ci vivi, insieme.
Ma sai, tu, di chi sei, tu che non sai che sei orribile,
per i tuoi, per chi è giù, e per chi è sopra la terra, qui?
Con un doppio colpo, della tua madre e del tuo padre, un
giorno, te
spingerà, da questa terra, con il suo piede terribile, via, la
maledizione,
te che, vedi, diritto, adesso, ma, più tardi, la tenebra.
Traduzione Dario Del Corno
TIRESIA Tu sei il re; ma io ho il diritto di risponderti
da pari a pari, poiché questo mi appartiene.
Nella mia vita io non sono servo tuo , ma di Apollo;
e non ho certo bisogno che Creonte mi protegga.
Tu mi hai chiamato cieco con disprezzo: ascolta dunque.
Tu hai la vista, ma non vedi la sciagura in cui ti trovi,
non comprendi dove abiti, non conosci con chi vivi.
Lo sai forse da chi sei nato? Sei nemico dei tuoi,
e non ti accorgi: di chi è morto e di chi vive.
Come una scure doppia, s’avvicina tremenda la maledizione
di tuo padre e di tua madre, e ti scaccerà da questa terra.
Ora vedi la luce, poi non vedrai che il buio.
Traduzione Salvatore Quasimodo
Tiresia Tu sei re, ma anch’io ho come te diritto di parlare.
Delle parole sono padrone anch’io.
Io non sono tuo servo ma d’Apollo.
E non mi troverai protetto di Creonte.
Tu m’hai chiamato cieco con disprezzo,
e io dico a te che vedi: non capisci
a quale limite del male sei disceso,
né dove, né chi abita con te. Conosci la tua origine,
e come sei odioso ai tuoi morti e ai tuoi vivi?
La maledizione del padre e della madre,
col piede tremendo, ti caccerà da questa terra.
Tu vedi ora la luce e non vedrai che tenebre […]
Traduzione di Maria Grazia Ciani
TIR. Tu sei il re. Ma ho un potere anch’io,
e il diritto di replicare a te, da pari a pari.
Non son tuo servo, il mio signore è Apollo.
E della protezione di Creonte, io, non ho bisogno.
Hai offeso anche la mia cecità. E allora ti dirò:
tu possiedi la vista ma non vedi la tua sciagura,
non ti accorgi dove vivi e con chi.
Sai forse di chi sei figlio? No, tu ignori
di essere un nemico per i tuoi
sulla terra e sottoterra.
Con doppia sferzata, inesorabile,
ti colpirà la maledizione del padre e della madre,
e ti caccerà da questo paese.
Tu, che ora guardi la luce, non vedrai che tenebra.
72
dein'opouj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Dein'opouj v. 418
La durissima replica di Tiresia alle offese di Edipo si arricchisce di uno degli hapax
più
significativi
dell’intera
opera:
dein'opouj.
Composto
nominale,
determinativo-possessivo, creato a partire dall’aggettivo dein'oj “terribile” e da
po^uj “piede”. Il Liddell-Scott (s.v.) lo rende con “with terrible foot” e aggiunge
“;Ar'a, as if she were a hound upon the track”. Meyer si sofferma distintamente
su questo composto e lo classifica come compositum abundans di Tipo A, cioè tra
quei composti in cui il secondo termine tende a scomparire, ma che in questa
classe particolare aggiunge qualcosa al significato generale del sintagma. Scrive
Meyer (1923, p. 93): “die ;arà ist nicht bloβ „schrecklich“; ihr „Schreiten“ und
„Kommen“ ist furchtbar”.
Da una breve ricognizione tra i composti che contengono uno dei due membri
del nostro termine emerge una situazione abbastanza impressionante, che non
era sfuggita allo sguardo profondo di Jebb117.
In Esiodo troviamo lo hapax deinwp'oj (“dallo sguardo terribile”) riferito alle dee
della notte, le Chere (figlie di Nyx secondo Hes. Th. 217), che sul campo di
battaglia si contendono il sangue dei morti e che Eschilo non esiterà a definire
Erinni (Sept. 1055). L’unica ripresa significativa di questo composto, ma con
diversa morfologia (dein'wy), è in Sofocle, al v. 84 dell’Edipo a Colono, dove
Edipo giunto a Colono si è fermato in un luogo consacrato alle Erinni e, dopo gli
avvertimenti dello straniero, leva una preghiera alle divinità invocandole come
p'otniai dein^wpej. Jebb cita tre termini legati al nostro per via del secondo
membro. Il primo è l’omericissimo calk'opouj118 (Soph. El. 491) riferito
all’Erinni che verrà a punire Clitennestra. Il secondo, uno hapax, accompagna
117
Cfr. Jebb 1893, p. 66.
Cfr. Il. 8.41 , 13.23, ma in Omero questo termine è usato per indicare gli zoccoli dei cavalli “dal
piede di bronzo”, sono i cavalli di Zeus e, in una ripresa formulare, quelli di Poseidone.
118
73
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
dein'opouj
nuovamente un’invocazione alle Erinni ed è Aiace (Aj. 837) che, poco prima del
suicidio, invita le dee tan'upodaj (“dal rapido piede”) a vedere la sua morte e la
sorte che gli Atridi gli hanno riservato. Ancora infine all’Erinni si riferisce un altro
hapax, kamy'ipouj (“che piega i piedi”, cioè “dal piede rapido”) pronunciato dal
coro dei Sette a Tebe (v. 791) che teme che si compia la maledizione di Edipo sui
due figli Eteocle e Polinice.
dein'opouj è legato al termine ;ar'a, “maledizione” (dein'opouj ;ar'a), e vale la
pena ricordare, dopo quanto visto, che in Eschilo (Eum. 417) le Erinni si
autodefiniscono anche ;Ara'i: ;Araì dŒ;en o#ikoij g^hj :upaì kekl'hmeqa
(“Maledizioni ci chiamiamo nelle dimore sotterranee della terra”).
A questo proposito Dawe :
de'inopouj:
nopouj the -pouj compound suggests to the mind an identity between the ;Ar'a and the
; Erin'uj, for kamy'ipouj (Aesch. Sept. 791), tan'upouj (Ai. 837), calk'opouj (El. 491) are
epithets of the latter. The two concepts are elsewhere too very closely related. It would be a
piece of hideous over-interpretation to see here any allusion to Oedipus’lame feet.
2
(Dawe 2006 , p. 418)
Le traduzioni dei tre poeti, Hölderlin (“der Fluch gewaltig wandelnd”119),
Quasimodo (“La maledizione del padre e della madre, col piede tremendo”), e
Sanguineti (“Con un doppio colpo, della tua madre e del tuo padre, un giorno, te
spingerà, da questa terra, con il suo piede terribile, via la maledizione”) rendono
al meglio questo hapax, esse non tralasciano infatti l’immagine del “piede
terribile” e dunque provano a rendere lo hapax nella sua completezza.
Dawe, forse con troppa sicurezza, afferma che sarebbe “un’orribile
sovrinterpretazione” vedere in questo termine un richiamo al piede ferito di
Edipo, mentre non dobbiamo escludere l’ipotesi che Sofocle faccia riferimento
119
2
Cavallo 2008 , p. 94.
74
dein'opouj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
con questo hapax anche all’omen di cui è portatore il nomen di Edipo120. Certo è
che il principale legame di questo termine è quello con le Erinni. Longo si
domanda quale sia però questa doppia maledizione che Edipo riceve, doppia
perché del padre e della madre121. Le ipotesi potrebbero essere molte.
Entrambe le maledizioni potrebbero avere a che vedere con la morte del padre e
allora
dovremmo
pensare
o
alla
maledizione
dell’infanzia,
quando
preventivamente Edipo fu esposto per volontà del padre, consegnato al servo
dalla madre, o altrimenti alla maledizione che ricade su Edipo adulto al momento
dell’uccisione del padre e poi al momento dello scioglimento, quando Giocasta
scopre che il figlio (e nuovo sposo) è l’assassino di Laio.
Non è da escludere in assoluto che la maledizione sia doppia perché riguarda sia
la morte del padre, sia la morte della madre, una morte provocata da Edipo. La
responsabilità di Edipo nel suicidio della madre è di per sé evidente, infatti Edipo
forse non ne è il colpevole, ma ne risulta il responsabile. E Edipo stesso nella
tragedia ci offre lo spunto della “responsabilità indiretta” quando, in relazione a
Polibo, afferma ai vv. 969s. : e#i ti m`h t;wm^_ p'oq_/ kat'efqiq’<o!utw d’ a
$ n
qan`wn e#ih Œx ;emo^u122.
Tuttavia, questa ;ar'a, è una maledizione per un atto compiuto e può ben essere
doppia, perché doppio è il m'iasma di Edipo: egli ha compiuto il parricidio e
l’incesto.
120
È anche vero tuttavia che la ricerca di riferimenti al nome dell’eroe ha assunto dimensioni
talvolta esagerate, cfr. Ahl 1991, pp. 180-191.
121
Longo 2007, p. 165: “Non è chiaro quale sia la «maledizione dal passo terribile» (dein'opouj
;ar'a) pronunciata dai due genitori, che dovrebbe scacciare Edipo da Tebe: forse Tiresia “sapeva”
di una maledizione scagliata da Laio sul figlio nel momento in cui quegli gli si parò dinanzi, e di
un’altra scagliata su di lui dalla madre, nel momento in cui la relazione incestuosa venne alla
luce”.
122
“Forse l’ha ucciso la nostalgia di me? In questo senso deriverebbe da me la sua morte”.
75
dein'opouj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Questo hapax appare quindi molto rilevante sotto due aspetti: da un lato riporta
l’attenzione sulla responsabilità di Edipo, ricordando le Erinni che sanciscono, se
non la colpa, la partecipazione attiva di Edipo a un delitto contro i consanguinei,
dall’altro potrebbe essere una sottolineatura che passa attraverso un gioco
fonetico-etimologico e che ci riporterebbe proprio a quel destino segnato fin
dalla nascita sui piedi bucati di Edipo, esposto per volontà dei genitori.
In primis va ricordato che esiste nella tragedia un riferimento esplicito al
significato del nome Edipo:
OI. T'i d’#algoj #iscont’;en kako^ij me lambáneij>
AG. Pod^wn $an #arqra matur'hseien tà s'a.
OI. O#imoi, t'i to^ut’;arca^ion ;enn'epeij kak'on>
AG. L'uw s’#econta diat'orouj podo^in ;akm'aj.
OI. Dein'on g’#oneidoj sparg'anwn ;aneil'omhn. 1035
AG.! Wst’;wnom'asqhj ;ek t'uchj ta'uthj &oj e%i.
EDI. Di che male soffrivo, quando mi hai raccolto?
MES.Le cicatrici ai tuoi piedi lo mostrano.
EDI. Ahimè perché ricordi questo male antico?
MES. Avevi le caviglie trafitte, io ti liberai dalle
catene.
EDI. Che tremendo oltraggio ho subito, ancora in
fasce.
MES. Di qui deriva il nome che porti ancora adesso.
Calame osserva come Sofocle si serva di questo nome per dare all’eroe
un’identità provvisoria che verrà poi capovolta nel corso della tragedia: da figlio
della fortuna a figlio della sua vittima e della sua sposa:
S’inscrivant dans une tradition qui remonte aux poèmes homériques, Sophocle a donc bel et bien
joué sur le nom propre d’Œdipe. Mais c’est moins pour attribuer à cet anthroponyme un signifié
précis que pour conférer au héros une identité provisoire. D’abord enfant de l’accident et du
hasard, Œdipe va progressivement devenir le fils de sa victime et de son épouse. Toute la tension
dramatique de la tragédie s’articule autour de ce renversement progressif de l’identité du héros,
une identité que l’acte de l’aveuglement doit nier comme était censée la gommer la blessure
accompagnant l’exposition du nouveau-né. En réalité la lésion marquait le premier malheur du
destin œdipien comme l’auto-aveuglement en est le dernier.
(Calame 1986, p. 403)
76
dein'opouj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Dunque il nome di Edipo, dal punto di vista drammaturgico, assume un ruolo
importante. In questo senso anche Vernant123, ha tratteggiato il percorso che
Edipo compie e che è scritto nel suo nome, osservando che Edipo non solo è
l’uomo i cui piedi sono stati caratterizzati dal gonfiore (o%idoj), ma anche colui
che sa (o%ida), né va dimenticata la radice di questo verbo ( ;id, o;id, e;id), legata al
“vedere”.
Jebb (ad loc.) in effetti è convinto che al verso 397 “ :o mhdèn e;id^wj O;id'ipouj
suggests a play on o%ida”. Anche altri studiosi, come Masqueray (ad loc.) e Earle
(1901, p. 40) hanno notato come Edipo sia l’uomo e;id`wj tò perì t^wn pod^wn
a#inigma, cioè colui che ha risolto l’indovinello concernente i piedi.
Knox, dopo aver osservato che “hypsipodes and deinopous are like punning
forms of the name itself” (1957, p. 183), richiama un passaggio in cui il gioco
etimologico è piuttosto insistente. Si tratta dei vv. 924-926, la prima battuta del
messaggero:
%ar’$an par’ :um^wn, %w x'enoi, m'aqoim’
oim’ !opou
tà to^u tur'annou d'wmat’ ;estìn O;id'ipou>
pou
m'alista d’a;utòn e#ipat’e;i k'aqisq’!
isq’!opou.
pou
MES. Potrei sapere da voi, stranieri,
dov’è il palazzo del re Edipo?
O meglio ancora, ditemi dov’è lui,
se lo sapete.
Così visto, il termine assume nuova luce nel processo comunicativo della
performance e la reazione violenta di Edipo marcherà ancor più l’ironia tragica di
un pubblico spesso richiamato alla consapevolezza, alla sua pre-scienza.
123
Vernant 1972B, p. 113 : “Il n’est jusqu’au nom d’Œdipe quin ne prête à ces effets de
renversement. Ambigu, il porte en lui le même caractère énigmatique qui marque toute la
tragédie. Œdipe, c’est l’homme au pied enflé (oîdos), infirmité qui rappelle l’enfant maudit, rejeté
par ses parents, exposé pour y périr dans la nature sauvage. Mais Œdipe, c’est aussi l’homme qui
sait (oîda) l’énigme du pied, qui réussit à déchiffrer, sans le prendre à rebours, l’ «oracle» de la
sinistre prophétesse, de la Sphinx au chant obscur. Et ce savoir intronise dans Thèbes le héros
étranger, l’établit sur le trône à la place des rois légitimes ”.
77
a;inikt'oj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
a;inikt'oj v. 439
Te. O;ud’:ik'omhn #egwg’#an, e;i sù m`h ;k'aleij.
Oi. O;u gàr t'i s’#+dh m^wra fwn'hsont’, ;epeì
scol^+^ s’$an o#ikouj toùj ;emoùj ;esteil'amhn.
Te. :hme^ij toio'id’#efumen, :wj mèn soì doke^i,
435
m^wroi, gone^usi d’, o!i s’#efusan, #emfronej.
Oi. po'ioisi> me^inon. t'ij d'e m’ ;ekf'uei brot^wn>
Te.!hd’:hm'era f'usei se kaì diafqere^i.
Oi. :wj p'ant’#agan a;iniktà k;asaf^h l'egeij.
Te. O#ukoun sù ta^ut’#aristoj e;ur'iskein m'egan.440
Traduzione Paul Mazon
Tirésias. – Je ne fusse pas venu de moi-même : c’est toi
seul qui m’as appelé.
Œdipe. – Pouvais-je donc savoir que tu ne dirais que
sottises ? J’aurais pris sans cela mon temps pour te
mander jusqu’ici.
Tirésias. – Je t’apparais donc sous l’aspect d’un sot ?
Pourtant j’étais un sage aux yeux de tes parents.
Œdipe. – Quels parents ? Reste là. De qui suis-je le fils ?
Tirésias. – Ce jour te fera naître et mourir à la fois.
Œdipe. – Tu ne peux donc user que de mots obscurs et
d’énigmes ?
Tirésias. – Quoi ! Tu n’excelles plus à trouver les énigmes ?
Traduzione Guido Paduano
TI. Non sarei neppure venuto, se tu non mi avessi
chiamato.
ED. Non sapevo che avresti detto queste follie; altrimenti
non avrei avuto tanta fretta di chiamarti a casa mia.
TI. Questa è la mia natura, che mi porta a sembrare pazzo
ai tuoi occhi, savio a quello dei tuoi genitori.
ED. Di chi? Aspetta. Chi sarebbero i miei genitori?
TI. È questo giorno che ti dà la luce, è questo giorno che ti
distrugge.
ED. Come tutto ciò che dici è enigmatico e oscuro!
TI. Ma non sei tu il più abile solutore di enigmi?
Traduzione Edoardo Sanguineti
TIRESIA Non ci venivo, io, se non mi chiamavi tu.
EDIPO Perché non ti conoscevo, te, che parlavi come un
pazzo, perché non ti introducevo davvero, qui, nelle mie
case.
TIRESIA Noi siamo nati così: come sembra a te, pazzi, ma, ai
genitori che ti hanno generato, saggi.
EDIPO A quali? Rimani: chi, tra i mortali, mi ha fatto?
TIRESIA Questo giorno ti avrà fatto e disfatto.
EDIPO Come tu dici cose tutte troppo enigmatiche e oscure!
TIRESIA Non sei nato ottimo, tu, a ritrovarle?
Traduzione Dario Del Corno
TIRESIA Da me non sarei venuto. Tu mi hai chiamato.
EDIPO Non perché tu dicessi queste follie; non lo
prevedevo, altrimenti non ti avrei fatto venire alla mia casa.
TIRESIA Folle sembro a te, ma io sono saggio per i tuoi
genitori, che ti hanno dato la vita.
EDIPO Quali? Fermati! Chi mi ha dato la vita?
TIRESIA Questo giorno ti darà la vita e insieme la morte.
EDIPO Che enigma misterioso è ogni tua parola!
TIRESIA Gli enigmi! non sei tu il più bravo a scioglierli?
Traduzione Salvatore Quasimodo
Tiresia Se tu non m’avessi chiamato, non sarei venuto.
Edipo Ignoravo che dici parole prive di ogni senso;
certo non t’avrei fatto venire a casa mia.
Tiresia Questa la mia sorte: per te sembrare preso da follia,
ma saggio per tuo padre e per tua madre.
(Fa segno di allontanarsi)
Edipo Quali? Rimani. Chi fu a darmi la vita?
Tiresia In questo giorno nasci per essere annientato.
Edipo Che parole mi dici misteriose e oscure!
Tiresia Non sai più, dunque, sciogliere gli enigmi?
Traduzione di Maria Grazia Ciani
TIR. Io non sarei venuto
se tu non mi avessi convocato.
EDI. Non lo avrei fatto, se avessi saputo
quali folli parole avresti pronunciato.
TIR. Folle: così io sembro a te,
ma per coloro che ti hanno generato sono saggio.
EDI. Coloro… Quali? Aspetta! Chi mi ha generato?
TIR. Questo giorno ti vedrà nascere e morire.
EDI. Tu parli per enigmi, in modo oscuro.
TIR. Non sei forse tu il migliore per sciogliere gli enigmi?
78
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
a;inikt'oj
Ainikt'
;inikt'oj v. 439
Questo hapax è un aggettivo verbale di a;in'issomai che troviamo da Pindaro (P.
8.40) in poi con il significato di “dire parole difficili da comprendere” a partire dal
senso originale di “dire parole significative”124. Il verbo a;in'issomai ricorre
anche in Sofocle, quando Aiace (Aj. 1158) dà a chiare lettere dello stupido a
Menelao e alla fine della battuta domanda molto ironicamente se si sia espresso
per enigmi.
Tra i derivati più importanti è bene qui ricordare a#inigma, “enigma”, che ha due
ricorrenze nell’ Edipo re, perché il richiamo interno tra esse e il nostro hapax è
forte (393, 1525). Nella lunga tirata dei vv. 380-404 Edipo, come abbiamo visto, si
scaglia contro Tiresia, accusandolo di essere un ciarlatano e rinfacciandogli di
non aver saputo risolvere l’enigma della Sfinge. In questa lunga battuta il re
opponeva all’afasica arte profetica di Tiresia la sua intelligenza che era stata
capace di sciogliere l’indovinello del temibile mostro.
Nella chiusa finale del coro ai vv. 1524-30, che sono forse un’interpolazione
attoriale successiva125, gli anziani indicano Edipo ormai distrutto dalle disgrazie
come “colui che scioglieva i famosi enigmi”, invitando i cittadini a guardare
sempre alla singola giornata di ogni uomo e a non dirlo mai felice finché non sia
passato senza affanni al di là della vita. Nella prima occorrenza Edipo attacca
l’arte di Tiresia, nell’ultima il coro sancisce la verità delle parole dell’indovino su
quelle del re, che aveva sì risolto l’enigma della Sfinge, ma troppo tardi quello
della sua esistenza.
Poco dopo la fiera risposta di Edipo nella quale compare a#inigma, Sofocle
inserisce con grandissima arte uno dei primi cedimenti della psiche di Edipo.
124
125
Cfr. DELG s.v. a%inoj.
Su questi versi cfr., fra gli altri, Burian 2009.
79
a;inikt'oj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Proprio lui infatti che neanche cinquanta versi prima si era vantato di aver risolto
l’enigma della Sfinge, ora, toccato su un punto delicato, i suoi genitori, cade in
una piccola contraddizione, affermando che le parole di Tiresia sono tutte troppo
“enigmatiche e oscure”. Questa pennellata del poeta ci preannuncia d’altronde
quel dubbio che tormenta Edipo e che è alla base della sua partenza da Corinto.
Pasolini nel suo film, come Vernant126 nel saggio già ricordato, dà molta rilevanza
a questo punto e rappresenta la scena di Edipo a Corinto che durante una lite
con un suo compagno di gioco viene definito: “Trovatello! Figlio della fortuna!
Figlio falso di tuo padre e di tua madre!”. Il dubbio instillato ad Edipo dal suo
compagno di gioco è l’inizio del suo lungo percorso di conoscenza. Edipo partirà
per interrogare l’oracolo. Quello che Pasolini, per scelte cinematografiche,
anticipa e in parte modifica, nella tragedia di Sofocle verremo a saperlo con
grande chiarezza ai vv. 774-789 in cui il re si rivolge a Giocasta:
;emoì pat`hr mèn P'oluboj %hn Kor'inqioj,
m'hthr dè Mer'oph Dwr'ij. ;hg'omhn dŒ ;an`hr 775
;ast^wn m'egistoj t^wn ;eke^i, pr'in moi t'uch
toi'adŒ;ep'esth, qaum'asai mèn ;ax'ia,
spoud^hj ge m'entoi t^hj ;em^hj o;uk ;ax'ia.
;an`hr gàr ;en de'ipnoij m’:uperplhsqeìj m'eqhj
kale^i par’o#in_ plastòj :wj e#ihn patr'i. 780
k;ag`w barunqeìj t`hn mèn o%usan :hm'eran
m'olij kat'escon, q;ht'er= dŒ;i`wn p'elaj
mhtròj patr'oj t’#hlegcon< o:i dè dusf'orwj
to#uneidoj %hgon t^_ meq'enti tòn l'ogon.
K;ag`w tà mèn ke'inoin ;eterp'omhn, !omwj d’ 785
#ekn'iz'e mŒ ;aeì to^uqŒ< :ufe^irpe gàr pol'u.
l'aqr= dè mhtròj kaì patròj pore'uomai
Puq'wde […]
126
Mio padre, tu lo sai, era Polibo di Corinto
e la dorica Merope mia madre. 775
Là ero considerato il primo fra tutti [i
cittadini].
Ma poi mi capitò un fatto strano,
che mi riempì di un’angoscia oltre misura.
Durante un banchetto, un uomo, già
ubriaco,
tra i fumi dell’ultima bevuta,
mi apostrofò chiamandomi bastardo. 780
Io mi adirai e a stento mi trattenni, quel
giorno,
ma il giorno dopo andai a interrogare
mia madre e mio padre: ed essi si
sdegnarono
contro chi aveva lanciato quell’oltraggio.
Io ne fui lieto, ma quella parola 785
Era penetrata a fondo dentro di me
E mi assillava senza darmi tregua.
Di nascosto da mio padre e da mia madre
mi recai a Delfi […]
Vernant 1972, p. 92.
80
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
a;inikt'oj
Da questi versi è evidente quanto il problema della nascita assillasse Edipo e
come questo dubbio sia stato il motore primo, il primo enigma per l’appunto,
quello che spingerà Edipo alla ricerca e alla caduta.
Il secondo enigma di Edipo è certamente l’oracolo di Delfi, che produrrà
l’allontanamento da Corinto, l’uccisione di Laio e l’arrivo a Tebe, ma sarà la
risoluzione del terzo enigma, quello della Sfinge, a dare inizio all’irreversibile
processo di annullamento della stirpe dei Labdacidi. La morte della Sfinge è la
rovina di Edipo e della sua discendenza.
Basti questo per prendere atto del ruolo che l’enigma ha in questa tragedia e
della pregnanza che assume di conseguenza il nostro hapax. La preveggenza,di
cui abbiamo parlato grazie a prode'idw, e l’enigma sono d’altronde molto
correlati. Tuttavia l’analisi può rendersi ancora più interessante, andando al di là
del mero riferimento alle principali tematiche della tragedia.
Longo127 osserva che a;inikt'oj è usato in luogo del più comune a;inigmat'wdhj,
ma che anche il successivo ;asaf'hj è raro. Nuovamente notiamo che l’unicismo
non è isolato, ma si accompagna a parole inconsuete.
Sofocle fa quasi un intervento metateatrale, mettendo sulle labbra di Tiresia una
sottile ma sferzantissima ironia, che risponde all’ironia tragica che lo spettatore
avverte. Lo statuto di Tiresia e quello degli spettatori sono simili in effetti:
entrambi sanno, pur in maniera diversa, come andrà a finire. Nelle parole di
Tiresia vedremo per un attimo riflesso il sentimento di un pubblico onnisciente
che guarda con apprensione e ironia l’eroe mentre si incammina verso il suo
destino.
Questo passaggio era molto importante per instaurare un dialogo con il pubblico
e renderlo ancor più partecipe. Per preparare la sarcastica battuta di Tiresia,
127
Longo 2007, p. 169.
81
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
a;inikt'oj
emblema di quello scontro tra “illuminismo” e tradizione, tra intelligenza
razionale e sapere religioso, Sofocle carica con uno hapax e un termine raro
giustapposti e, in fondo, tautologici, la perplessità di Edipo, che toccato sul suo
punto debole è già dimentico di essersi proclamato poco prima gran risolutore di
enigmi. E d’altronde era credibilmente enigmatica per Edipo la frase “questo
giorno ti farà nascere e ti distruggerà”, laddove gli spettatori, onniscienti come
Tiresia, comprendono che Edipo nascerà, nel senso che finalmente conoscerà i
suoi natali, ma che questa conoscenza lo ucciderà, almeno metaforicamente.
82
semn'omantij
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
semn'omantij v. 556
Oi. E#i toi nom'izeij #andra suggen^h kak^wj
dr^wn o;uc :uf'exein t`hn d'ikhn, o;uk e%u frone^ij.
Kr. X'umfhm'i soi taût’#endik’e;ir^hsqai. Tò dè
p'aqhm’:opoîon f`hj paqeîn d'idaské me.
Oi. # Epeiqej, $h o;uk #epeiqej, :wj cre'ih m’;epì 555
tòn semn'omantin #andra p'emyasqa'i tina;
Kr. Kaì nûn #eq’a:ut'oj e;imi tÐ boule'umati.
Traduzione Paul Mazon
Œdipe. – Si vraiment tu t‘imagines qu’un parent qui trahit
les siens n’en doit pas être châtié, tu as perdu aussi le
sens.
Créon. – J’en suis d’accord. Rien de plus juste. Mais quel
tort prétends-tu avoir subi de moi ? dis-le.
Œdipe. – Oui ou non, soutenais-tu que je devais envoyer
quérir l’auguste devin ?
Créon. – Et, à cette heure encore, je suis du même avis.
Traduzione Guido Paduano
ED. Se tu ritieni che sia possibile far del male a un
congiunto e non doverne scontare la pena, sbagli.
CR. Su questo sono d’accordo con te; ma dimmi qual è il
male che dici di subire da parte mia.
Ed. Hai o no sostenuto che bisognava mandare a chiamare
l’indovino.
Cr. Sì, e sono ancora dello stesso avviso.
Traduzione Edoardo Sanguineti
EDIPO Se tu ti credo che un uomo che è un parente, tu lo
tratti colpevolmente, e non subirai la giustizia, non ci
ragioni bene.
CREONTE Concordo con te, che queste cose sono state
dette giuste: ma il patimento, quale dici che lo hai patito,
me lo devi insegnare.
EDIPO Mi hai persuaso e non mi hai persuaso, che era
necessario che io gli mandavo un messo, per quell’uomo, il
profeta santo?
CREONTE Anche adesso, ancora, io sono così, nel mio
parere.
Traduzione Dario Del Corno
EDIPO Tu credi che non porterai la pena di agire male
contro un tuo parente: ma non ragioni bene.
CREONTE In questo, sono d’accordo che parli giustamente:
ma tu spiegami qual è il torto che credi di patire.
EDIPO Sei stato tu, o no, a darmi quel consiglio di far venire
qui l’indovino venerando?
CREONTE Sì, e non ho cambiato idea.
Traduzione Salvatore Quasimodo
Edipo Certo, se ti credi libero da pena, per il male fatto a un
congiunto, non pensi cosa giusta.
Creonte Consento con te, hai ragione, ma provami il grave
danno che dici d’avere subito.
Edipo Mi hai o no consigliato che occorreva
mandare qualcuno dal celebre indovino?
Creonte E non ho mutato la mia idea.
Traduzione di Maria Grazia Ciani
EDI. Se credi di poter tramare contro un parente
e rimanere impunito, non ragioni bene.
CRE. Sono d’accordo, hai detto cose giuste.
Ma spiegami: quale sarebbe il male che ti ho fatto?
EDI. Mi hai convinto a consultare quell’indovino,
quel presuntuoso veggente: è vero o non è vero?
CRE. E’ vero e non ho cambiato idea.
83
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
semn'omantij
Semn'omantij v. 556
Questo hapax per le sue caratteristiche e la sua collocazione sembrerebbe essere
plausibilmente una creazione sofoclea.
Ci troviamo nel secondo episodio. Tiresia, alla fine del primo, dopo l’acceso
alterco che lo ha opposto al re è andato via e il coro, nello stasimo, ha levato un
canto in cui afferma da un lato che Apollo e le Chere sono sulle tracce del
colpevole, dall’altro che non può credere che il colpevole sia Edipo, lui che ha
liberato la città dalla Sfinge. A questo punto entra Creonte e si dice informato
delle accuse mossegli dal cognato. Edipo non appena lo vede si scaglia contro di
lui accusandolo di tramare contro il suo trono. Quando Creonte gli chiede di
specificargli la sua colpa, Edipo duramente replica con una domanda retorica con
la quale vuole metterlo alle strette, creando una polarità ineludibile, # Epeiqej, h
$
o;uk #epeiqej, :wj cre'ih m’;epì tòn semn'omantin #andra p'emyasqa'i tina;
“Mi hai persuaso o non mi hai persuaso che fosse necessario ch’io inviassi
qualcuno dal sacrindovino?”: delle due l’una. Come se l’invito di Creonte a
consultare l’indovino facesse parte di un preciso piano per rovesciare il potere di
Edipo.
Jebb centra immediatamente il problema del valore di questo hapax, affermando
che esso viene utilizzato ironicamente128 e così Longo parla di hapax “carico di
sarcasmo”129.
In questo caso anche un’analisi del significante ci viene in aiuto e osserviamo che
semn
mn'
ntin
n presenta un’allitterazione130 interna molto marcata, ben cinque
mnoman
128
Jebb 1893, p. 82: “While such words as ;arist'omantij, ;orq'omantij are seriously used in a
good sense, semn'omantij refers ironically to a solemn manner: cp. semnologe^in,
semnoproswpe^in, semnopano^urgoj, semnopar'asitoj, etc.”
129
Cfr. Longo 2007, p.185.
130
Sul tema dell’allitterazione in Sofocle, cfr. Rodighiero 2000, Cuny 2007. Importante è anche
ricordare l’articolo di Defradas (1958), in cui lo studioso rileva l’importanza dell’allitterazione
nelle formule di preghiera, nei proverbi, osservando che questa tecnica non è meno utilizzata
nella poesia greca che nella poesia latina. Defradas sottolinea l’importanza dell’allitterazione
84
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
semn'omantij
nasali, di cui due m e tre n: hapax e retoricamente carico, questo termine non
passa certo inosservato per lo spettatore e appare totalmente in linea con la
caratterizzazione del personaggio di Edipo, qui agitato da un sentimento di
minaccia e di ira.
Come nota Jebb, altri composti in -mantij non sono portatori di alcuna ironia,
però possono risultare utili per capire a quale livello di lingua possa aver attinto
Sofocle e eventualmente quale distorsione abbia attuato per modificarlo a
vantaggio del suo intento comunicativo.
I composti in –mantij accompagnano la figura di Tiresia fin da Pindaro che, nella
Nemea I, 61, definisce l’uomo ;orqom'antij: Anfitrione, padre putativo di Eracle,
constatati gli oracoli falsi mandati precedentemente dagli dei, vedendo la forza
con cui il figlio strangola i serpenti inviati da Era, decide di chiamare Tiresia,
“l’indovino che non sbaglia”, per avere delucidazioni sul futuro del figlio. In
Pindaro dunque Tiresia viene chiamato da un sovrano e considerato profeta
attendibile.
Interessantissimo è il precedente erodoteo, nel IV libro delle Storie. Nel logos
scitico lo storico descrive un uso concernente gli indovini che appare molto
significativo, anche per comprendere un certo distacco razionale che contempla
la fallibilità della divinazione. Qui Erodoto usa il termine yeud'omantij.
68. ; Epeàn dè basileùj :o Skuq'ewn k'am+,
metap'empetai t^wn mant'iwn #andraj tre^ij
toùj e;udokim'eontaj m'alista, o&i tr'op_ t^_
e;irhm'en_ mante'uontai< kaì l'egousi o*utoi
:wj tò ;ep'ipan m'alista t'ade, :wj tàj
basilh'iaj :ist'iaj ;epi'wrkhke &oj kaì !oj,
l'egontej t^wn ;ast^wn tòn #an d`h l'egwsi< tàj
dè basilh'iaj :ist'iaj n'omoj Sk'uq+si tà
m'alist'a ;esti ;omn'unai t'ote ;epeàn tòn
Quando il re degli Sciti cade ammalato manda
a chiamare tre degli indovini che godono della
massima reputazione, i quali svolgono le loro
pratiche nel modo che s’è detto; per lo più,
essi si esprimono generalmente così; cioè, il
tale e il tal altro (indicando fra i cittadini quello
cui si riferiscono) ha prestato giuramento
falso, invocando il focolare regale; poiché gli
nella memorizzazione e la considera una figura molto antica, tipica dell’oralità, dell’epica, ancora
molto usata dai tragici greci e dagli autori di poesia in generale, pur con un graduale diminuendo,
cui fanno eccezione esempi di autori come Teocrito, imbevuto della traduzione poetica e in
particolare epica precedente.
85
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
m'egiston !orkon ;eq'elwsi ;omn'unai. A;ut'ika
dè dial'elamm'enoj #agetai o*utoj tòn $an d`h
f^wsi ;epiork^hsai, ;apigm'enon dè ;el'egcousi
o:i m'antiej :wj ;epiork'hsaj fa'inetai ;en t^+
mantik^+ tàj basilh'iaj :ist'iaj kaì dià
ta^uta ;alg'eei :o basile'uj. :O dè ;arn''eetai,
o;u f'amenoj ;epiork^hsai, ka'i
deinolog'eetai. ;Arneom'enou dè to'utou :o
basileùj metap'empetai #allouj
diplhs'iouj m'antij<kaì $hn m'en “min” kaì
o*utoi e;sor^wntej ;ej t`hn mantik`hn
katad'hswsi ;epiork^hsai, to^u dè ;iq'ewj t`hn
kefal`hn ;apot'amnousi kaì tà cr'hmata
a;uto^u dialagc'anousi o:i pr^wtoi t^wn
mant'iwn< $hn dè o:i ;epelq'ontej m'antiej
;apol'uswsi, #alloi p'areisi m'antiej kaì
m'ala #alloi< $hn %wn o:i pl'eonej tòn
#anqrwpon ;apol'uswsi, d'edoktai to^isi
pr'wtoisi t^wn mant'iwn a;uto^isi
;ap'ollusqai.
69. ;Apoll'uousi d^hta a;utoùj tr'op_
toi^_de.; Epeàn !amaxan kam'arhj frug'anwn
pl'hswsi kaì :upoze'uxwsi bo^uj,
;empod'isantej toùj m'antij kaì ce^iraj
;op'isw d'hsantej kaì stom'wsantej
katergn'uousi ;ej m'esa tà fr'ugana,
:upopr'hsantej dè autà ;apie^isi
fob'hsantej toùj bo^uj. Polloì mèn d`h
sugkataka'iontai to^isi m'antisi b'oej,
pollo'i dè perikekaum'enoi ;apofe'ugousi,
;epeàn a;ut^wn :o :rumòj katakauq^+.
Kataka'iousi dè tr'op_ t^_ e;irhm'en_ kaì
diŒ #allaj a;it'iaj toùj m'antij,
yeudom'antij kal'eontej. Toùj d; $an
;apokte'in+ basile'uj, to'utwn o;udè toùj
pa^idaj le'ipei, ;allà p'anta tà #ersena, tà
dè q'hlea o;uk ;adik'eei.
semn'omantij
Sciti hanno l’abitudine di giurare in preferenza
per il focolare del re, allorquando intendono
pronunciare il giuramento più solenne. Tosto
viene arrestato e condotto al re colui che essi
indicano come spergiuro e appena arrivato, gli
indovini gli rivolgono l’accusa che dai riti
divinatori risulta che egli ha giurato il falso per
il focolare regale e questa è la ragione per cui il
re si trova a soffrire. Quello, naturalmente,
protesta che non è vero, che non ha
spergiurato e si lamenta risentito. Alle sue
proteste, il re manda a chiamare altri indovini,
in numero doppio; e se anche questi,
ricorrendo alla divinazione lo condannano
come spergiuro, senz’altro gli tagliano la testa
e i suoi beni vengono ripartiti fra i primi
indovini. Se, invece, gli indovini sopraggiunti lo
dichiarano innocente, ne vengono chiamati
altri e altri ancora: se la maggior parte di essi si
dichiarano per l’innocenza di quell’uomo, è
stabilito che i primi indovini debbano essi
stessi morire.
69. Ed ecco in che modo li fanno morire.
Riempito un carro con un cumulo di legna da
ardere, vi si aggiogano dei buoi; quindi gli
indovini, con i ceppi ai piedi, le mani legate
dietro le spalle e un bavaglio alla bocca,
vengono stipati in mezzo alla legna, cui si dà
fuoco e i lasciano partire i buoi dopo averli
spaventati.
Insieme con gli indovini spesso anche i buoi
restano preda del fuoco; ma molti, anche
mezzo bruciati, riescono a sfuggire, quando il
timone del carro sia stato distrutto dalle
fiamme.
Anche per altre colpe gli indovini vengono
bruciati nel modo che s’è detto, perché
accusati di falsa divinazione. Però, di quelli che
manda a morte il re, non risparmia nemmeno i
figli; sicché fa uccidere tutti i maschi, mentre
non fa alcun male alle figlie.
2
Trad. Annibaletto 2007 , pp.706 ss
86
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
semn'omantij
La situazione descritta da Erodoto ha curiose analogie con quello che avviene a
Tebe131. Un re chiama un indovino per capire la causa di una malattia. L’indovino
che dà una falsa profezia è definito yeud'omantij. Questo termine ha almeno
altre tre ricorrenze degne di nota e che compaiono nei tre tragici.
In Eschilo (Agamennone) Cassandra stessa rivolgendosi al coro ricorda “il
simposio di carne umana” avvenuto nella reggia degli Atridi; dopo aver “fiutato”
le tragedie che hanno attraversato la casa, chiede: !hmarton, $h kur^w ti
tox'othj tij !wj>/ $h yeud'omant'ij e;imi qurok'opoj fl'edwn> vv. 1194s. (“Ho
sbagliato, oppure colpisco il bersagio come un arciere? O sono una falsa
profetessa, una ciarlatana che batte di porta in porta?”132).
Nello scioglimento finale dell’Oreste di Euripide, il protagonista rivolgendosi ad
Apollo afferma: %w Lox'ia mante^ie, s^wn qespism'atwn/ o;u yeud'omantij
%hsq’#arŒ, ;allŒ ;et'htumoj vv. 1666s. (“Febo, profeta, non sei stato mai fallace
nei vaticinî, ma verace sempre”133).
Nell’Edipo a Colono il coro afferma nel secondo stasimo v.1080: m'antij
e#imŒ;esql^wn ;ag'wnwn (“sono vate di propizia battaglia”134), perché sostiene che
Teseo riuscirà a riportare ad Edipo le figlie. Vedendo le figlie di Edipo tornare nel
terzo episodio, il coro afferma: %w xe^in’;al^hta, t^_ skop^_ mèn o;uk ;ere^ij/ w
: j
yeud'omantij vv. 1096s. (“O straniero errante, da quello che vedo non dirai che
sono falso profeta”135).
Restando ai composti in -mantij di qualche interesse per questo studio, va
osservato che un altro hapax sofocleo appare in Filottete 1338. Nel quarto
episodio Neottolemo cerca di convincere Filottete a prendere di nuovo parte alla
131
Più in generale su alcune analogie tra la visione di Erodoto e quella dei contemporanei cfr.
Zoia 2005, dove ci si sofferma su alcuni passi dell’Edipo Re.
132
2
Medda 1997 .
133
2
Pontani 2007 , p. 295.
134
2
Albini-Faggi 2007 , p.639.
135
2
Albini-Faggi 2007 , p. 640.
87
semn'omantij
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
guerra contro Troia, rivelandogli che Eleno, ;arist'omantij, ha predetto la
vittoria (vv. 1337-1342):
;an`hr gàr :hm^in #estin ;ek Tro'iaj :alo'uj,
Abbiamo un prigioniero preso a Troia, Eleno,
! Elenoj ;arist'omantij, &oj l'egei saf^wj
un grande profeta, il quale dice con chiarezza
:wj de^i gen'esqai ta^uta<kaì pròj to^isdŒ#eti,
che ciò deve avvenire, e poi ancora che è
:wj #est’;an'agkh to^u parest^wtoj q'erouj
necessario
Tro'ian :al^wnai p^asan<#h d'idwsŒ:ek`wn
kte'inein :eaut'on, $hn t'ade yeusq^+ l'egwn.
che Troia cada questa stessa estate
da cima a fondo; in caso contrario è disposto
a farsi ammazzare, se quanto dice risultasse
falso.
Trad. Cerri 2003, pp. 138s.
Anche qui appare evidente l’importanza comunicativa dello hapax, che migliora e
rende più incisiva la dialettica interna dei personaggi. Neottolemo deve
convincere Filottete e dunque la profezia su Troia non può che venire da un
;arist'omantij, cioè da un indovino che non fallisca. Se accostiamo semn'omantij
e ;arist'omantij ci rendiamo subito conto di quanto due termini dal significato
letterale positivo possano assumere due sensi addirittura opposti per via del
contesto e anche, come abbiamo visto, della loro veste fonetica: se
;arist'omantij è altisonante, non ha certo quell’ironia che contraddistingue
semn'omantij già solo nella sua impalcatura fonetica. Il nostro semn'omantij
viene a corrispondere a yeud'omantij.
Non è secondario che anche questo hapax sottolinei un tema predominante
nell’Edipo: la divinazione.
Per concludere la rassegna dei composti in –mantij bisogna soffermarsi
brevemente su mous'omantij, “profeta delle muse” che compare negli Edoni di
Eschilo, prima tragedia della trilogia di Licurgo, e negli Uccelli di Aristofane (v.
276).
PEI. n`h D'iʹ!eteroj d^^hta co%utoj #exedron c'wran
PISETERO: Per Zeus, è proprio un altro.
88
semn'omantij
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
#ecwn. 275
t'ij pot’#esq’;
EP.
:o mus'omantij #atopoj #ornij
;orob'athj.
#onoma to'ut_ M^hd'oj ;esti.
EU.
M^hdoj; %wnax :
Viene anche lui da lontano. Chi è mai?
UPUPA: Il profeta delle Muse, un
uccello stravagante, che va in giro sulle
montagne. Il suo nome è Medo.
EVELPIDE: Medo? Eracle signore! Ma
se è un Medo, come ha fatto a volare
qui senza cammello?
Hr'akleij.
e%ita p^wj #aneu kam'hlou Mhd'oj $wn ;es'eptato;
6
Trad. Del Corno 2005 , pp. 40s.
Va osservato anzitutto che tale termine compare in ambito comico,
nell’esilarante rassegna degli uccelli del coro che avviene durante la parodo nel
dialogo tra l’Upupa, Evelpide e Pisetero136. Una commedia in cui si scherza molto
sulla divinazione, sull’arte augurale: l’uccello Medo, viene definito “profeta delle
Muse”. Una commedia inoltre in cui è ben presente anche l’ombra di Sofocle,
che viene citato esplicitamente al verso 100, dove l’allusione alla tragedia
perduta Tereo è più che evidente.
Che la moquerie sia interna al dialogo, se la battuta è riferibile a Pisetero, o che
sia rivolta principalmente al pubblico, se a pronunciarla è Upupa, resta il fatto
che siamo di fronte a un passo paratragico. Lo scoliasta cita un verso eschileo137,
unica occorrenza precedente: (fr. 60 Radt) t'ij pot’#esq’:o mous'omantij º
#alloj ;abratoûj &on sq'enei º. La Palumbo138 è intervenuta efficacemente
sulla ricostruzione che di questo frammento fa Mette139 (fr. 75), proponendo:
136
6
Zanetto 2005 , p. 208) attribuisce la seconda parte del v. 276 a Upupa, con queste
motivazioni: “I codici, seguiti dalla grande maggioranza degli editori, attribuiscono entrambi i
versi a Pisetero. A me pare però che molto difficilmente l’eroe- che non ha identificato l’uccellopossa chiamarlo mous'omantij e ;orob'athj; ho assegnato pertanto la seconda parte del v. 276 a
Upupa, la cui risposta continua nel primo emistichio del verso successivo. Questa soluzione
presenta, peraltro, lo svantaggio di spezzare in due diverse battute la citazione eschilea”.
137
Cfr. anche Suida s.v. mous'omantij.
138
Palumbo 1967.
139
Mette 1959, p. 27: t'ij pot’ ;est{a}ì :o mous'omantij, #alaloj < _
sq'enei ............ .
Â
> :abr<ob>at'hj>/ &on
89
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
semn'omantij
t'ij pot’ #esq’ :o mous'omantij #alaloj :abr'oj, &oj sq'enei (“Chi è mai questo
impostore silenzioso, effeminato, che (pure) ha forza…”).
In conclusione semn'omantij è uno hapax in cui leggiamo il disprezzo e l’ironia di
Edipo verso capacità divinatoria di Tiresia in particolare, ma più in generale verso
la categoria degli indovini, ai quali, come abbiamo già visto, l’eroe oppone il suo
sapere razionale, lo stesso sapere che qui lo porta, sbagliando, a sospettare un
complotto ai suoi danni. Il termine, come prode'idw, come a;inikt'oj, è
portatore, in questo caso molto esplicito, di un riferimento al tema della
divinazione, uno dei motori portanti dell’intero dramma. Semn'omantij ha
precedenti analoghi nella lirica, nella storiografia e nella stessa tragedia, ma il
suo uso ironico ha somiglianze solo con il termine mousom'antij per come se ne
serve Aristofane. La scelta sofoclea di servirsi di un tale termine trova la sua
giustificazione prima di tutto nella dialettica interna dei personaggi, cioè
nell’intenzione ironica di Edipo, poi nella caratterizzazione che l’autore fa
dell’eroe, così convinto delle sue capacità razionali di indagine, al limite
dell’!ubrij. In secondo luogo un termine simile ha certamente, anche nel suo
allitterante significante, finalità e potenzialità espressive tali da imporsi
all’attenzione dello spettatore e da contribuire a veicolare il messaggio nel senso
voluto dall’autore.
90
xunanti'azw
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
xunanti'azw v. 804
ka'i soi, g'unai, t;alhqèj ;exer^w. Tripl^^hj 800
!ot’%h kele'uqou t^hsd’:odoipor^wn p'elaj,
;enqa^ut'a moi k^hrux te k;apì pwlik^hj
;an`hr ;ap'hnhj ;embeb^wj, o*ion sù f'hj,
xunhnt'iazon<
azon k;ax :odo^u m’!o q’:hgem`wn
a;ut'oj q’:o pr'esbuj pròj b'ian ;hlaun'ethn. 805
Traduzione Paul Mazon
Eh bien ! à toi, femme, je dirai la vérité tout entière. Au
moment où, suivant ma route, je m’approchais du
croisement de deux chemins, un héraut, puis, sur un
chariot attelé de pouliches, un homme tout pareil à celui
que tu me décris, venaient à ma rencontre. Le guide, ainsi
que le vieillard lui-même, cherche à me repousser de
force.
Traduzione Guido Paduano
Ti dirò la verità. Quando nel mio vagare sono arrivato
presso al crocicchio mi è venuto incontro un araldo e poi
un uomo seduto su un carro, come quello che tu dici. Il
guidatore e il vecchio, tutti e due, mi volevano buttare
fuori strada.
Traduzione Edoardo Sanguineti
E a te, signora, io dirò la verità. Quando io ero
In viaggio, vicino a quel triplice sentiero,
allora un avvisatore, e un uomo che era salito
sopra un carro equestre, come dici tu,
io l’ho incontrato: e, dalla strada, il guidatore,
e anche quello, il vecchio, mi scacciavano con la forza.
Traduzione Dario Del Corno
E a te, donna, non voglio tacere la verità.
Andavo a piedi; e quando fui vicino al trivio,
vennero incontro a me un araldo e un uomo
che viaggiava sopra un carro tirato da cavalli,
come hai detto tu. Volendo scacciarmi dalla strada, la guida
e il vecchio fecero per investirmi.
Traduzione Salvatore Quasimodo
A te,
donna, dirò la verità. Vicino al trivio,
un araldo mi venne incontro, e un uomo
(il suo aspetto già me l’hai descritto)
che stava su un carro tirato da cavalli.
E l’auriga ed il vecchio tentavano a forza
di spingermi via dalla strada.
Traduzione di Maria Grazia Ciani
Ora io ti dirò ciò che accadde veramente.
Quando arrivai nei pressi di quel trivio
mi si fecero incontro un araldo, e poi un carro,
trainato da puledri,che trasportava un uomo
simile a quello che mi hai descritto.
Il conducente dei cavalli, e il vecchio,
cercavano di spingermi a forza fuori strada.
91
xunanti'azw
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Xunanti'azw v. 804
In sé per sé questo hapax non ha nulla di straordinario, perché altro non è che
una variazione del già esistente sunant'aw. (Xun);anti'azw è un verbo
denominativo da ;ant'ia, neutro avverbiale da ;ant'ioj, mentre alla base di
(sun);ant'aw è #anta. Tuttavia vedremo che proprio l’apparente “inutilità” di
una
tale
sfumatura
nasconde
una
Il preverbo sun- (xun- è coloritura attica)
scelta
espressiva
precisa.
può avere generalmente in
composizione un valore comitativo o rafforzativo. Da ;ant'ia e #anta può
derivare il semplice senso locativo, per cui “essere di fronte”, “incontrarsi”, ma
può anche aggiungersi un’accezione di ostilità: “scontrarsi” o “venire contro”.
Molti rendono il verbo con “venire incontro”, ma una tale traduzione, come
vedremo, non lascia emergere pienamente l’espressività del termine.
Siamo nel secondo episodio. Alla fine del primo episodio Giocasta era uscita
dalla reggia, come ci fa sapere il coro, vv. 631-33, piena di preoccupazione per la
lite tra Edipo e Creonte. La regina redarguisce i due congiunti: visto dall’esterno il
rimprovero ha un che di comico, sembra rivolto a due ragazzini, come anche
hanno un sapore infantile le giustificazioni e le accuse successive di Creonte e
Edipo. Ma il tono è invece ovviamente molto serio, eventualmente teso a
smorzare una contesa pericolosa, e la regina esorta il marito a rispettare il
giuramento sacro di Creonte. Edipo lascia, o piuttosto chiede, che Creonte vada
via. Restano in scena lui, Giocasta e il coro. Edipo ripete alla moglie l’accusa che il
cognato gli muoverebbe tramite Tiresia, e la donna pensa di tranquillizzarlo
dicendo che nessun uomo possiede davvero l’arte del vaticinio, perché un
ministro di Apollo rivelò che Laio sarebbe stato ucciso dal figlio e ciò non può
essere avvenuto. Nel racconto di Giocasta l’espressione tripla^^ij :amaxito^ij l’
“incrocio di tre strade” al quale sarebbe stato ucciso Laio, attira l’attenzione di
92
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
xunanti'azw
Edipo e ne aumenta l’angoscia. Il sovrano a questo punto interroga la madre sui
particolari dell’uccisione di Laio e vuole che l’unico sopravvissuto alla strage che
ha coinvolto il suo predecessore sia rintracciato e portato alla reggia. Intanto
però la regina chiede al consorte maggiori delucidazioni e Edipo inizia così a
raccontare la sua storia dal principio. Dopo che ad un banchetto qualcuno gli
diede del bastardo andò a consultare l’oracolo di Delfi. Apollo non diede risposta
alle sue domande, ma gli rivelò che avrebbe generato dei figli con la madre e
ucciso il padre. Edipo racconta ancora che fuggì da Corinto e che, arrivato a quel
trivio, un araldo e un uomo su un carro trascinato da puledre gli “si paravano
dinanzi minacciosamente”. Questo hapax può essere davvero compreso nella
sua forza espressiva solo se si prendono in considerazione il valore di ostilità
insito in ;ant'ia e, visto il contesto, non si lascia da parte neanche il preverbo
xun-, che o rafforza l’ostilità, oppure, nel suo valore comitativo, rende meglio
l’immagine dei due, araldo e Laio, che vengono contro Edipo. Ma questo
potrebbe essere anche solo un problema di traduzione, valido tanto per
xunanti'azw che per sunant'aw . L’interesse di questo termine è anche nella
sua collocazione al’interno della tragedia. Da un punto di vista del contesto
interno, esso può meglio descrivere lo stato d’animo di Edipo che, preso
dall’angoscia, aumenta l’idea di legittima difesa, difesa della sua persona ma
anche del suo orgoglio regale (che poi è stato uno dei motivi della sua partenza
da Corinto come abbiamo visto). Dal lato comunicativo invece, va osservato che
questo hapax compare, a distanza di più di 200 versi dal precedente, in un
momento che sembrerebbe addirittura un gioco di parole definire “cruciale”:
l’incontro all’incrocio delle tre strade140.
140
Un interessantissimo parallelo moderno che ci permette di comprendere in parte privilegi
codificati, laddove oggi vedremmo solo atti di puro sopruso, è il IV capitolo dei Promessi sposi. Ci
racconta il Manzoni che Fra Cristoforo, allora Lodovico, si scontra con un uomo che gli impedisce
di passare: “Tutt’e due camminavan rasente al muro; ma Lodovico (notate bene) lo strisciava col
93
xunanti'azw
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
La variazione su un termine conosciuto, come era sunant'aw, può creare nello
spettatore un brevissimo istante di perplessità che vale un sussulto della sua
percezione. Forse questo effetto scenico è tutto quanto si può notare a
proposito di questo hapax, a meno di non riscontrare qualche rilevante
differenza con sunant'aw, ma non sembra questo il caso come vedremo subito
di seguito.
Sunant'aw compare già in Omero, sia nell’Iliade (17.134), che nell’Odissea
(16.333).
Nell’Iliade il termine è utilizzato a proposito di Aiace che difende il corpo di
Patroclo:
A#iaj d’amfì Menoiti'ad+ s'akoj e;urù
Aiace coprendo con l’ampio scudo il
kal'uyaj
Meneziade
:est'hkei !wj t'ij te l'ewn perì o*isi t'ekessin,
stette come un leone intorno ai suoi piccoli,
*_ :r'a te n'hpi’#agonti sunant'hswntai ;en
!ul+
#andrej ;epakt^hrej<
a cui, mentre conduce i suoi piccoli, vadano
incontro uomini cacciatori.
Trad. Cerri 2006, p. 381 .
Nell’Odissea l’araldo ed Eumeo si incontrano alla reggia perché entrambi vanno
ad avvisare la regina che Telemaco è tornato da Pilo, anche se Eumeo preciserà
che il ragazzo preferisce restare ancora nei campi e non tornare alla reggia.
t`w dè sunant'hthn k^hrux kaì d^ioj
Si incontrarono i due, l’araldo e l’illustre
:uforbòj
porcaro,
t^^hj a;ut^hj !enek’aggel'ihj, ;er'eonte gunaik'i.
per il medesimo annunzio, per dirlo alla donna.
2
Trad. Privitera 2007 , p. 495.
lato destro; e ciò, secondo una consuetudine, gli dava il diritto (dove mai si va a ficcare il diritto!)
di non istaccarsi dal detto muro, per dar passo a chi si fosse; cosa della quale allora si faceva gran
caso”. Lo scontro ha curiose analogie con quello di Edipo. Nel Seicento vigeva tutto un “codice
cavalleresco”, in Edipo vediamo lo scontro di due onori regali.
94
xunanti'azw
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Nel passo iliadico, come in quello sofocleo, c’è una situazione di ostilità, anche se
l’immagine omerica prevede un Aiace statico, come un leone che protegga i suoi
cuccioli, e un Ettore in movimento, come dei cacciatori che si dirigano contro i
cuccioli, trovandosi però di fronte il padre minaccioso. Nel passo odissiaco invece
l’incontro non prospetta alcuna ostilità, ma il duale entra in perfetta risonanza
con il preverbo sun-
e dà l’idea dell’arrivo concomitante di Eumeo e del
messaggero dalla regina.
sunant'aw
e
xunanti'azw
sembrerebbero
dunque
perfettamente
sovrapponibili, e quindi all’origine di xunanti'azw potrebbe esserci una mera
ragione metrica.
È di un certo interesse tuttavia il confronto con i passi euripidei dello Ione. In
questa tragedia il verbo sunant'aw la fa da padrone, nel senso che compare
niente meno che nell’oracolo delfico. Quando il re Xuto si rivolge all’oracolo di
Delfi per sapere per quale ragione non riuscisse ad avere figli, l’oracolo gli rivela
che il primo che incontrerà uscendo dal tempio sarà suo figlio. Questa è dunque
una parte del dialogo tra Ione e Xuto all’uscita del tempio:
Iw. Kaì t'i moi l'exeij> Xo. pat`hr s'oj e;imi kaì su pa^ij ;em'oj. 530
Iw. t'ij l'egei t'ad’> Xo. !oj s’#eqreyen #onta Lox'iaj ;em'on.
IONE: Che vuoi dirmi?
XUTO: Io sono tuo padre e tu sei mio figlio.
IONE: Chi lo dice?
XUTO: Il dio che crebbe te, che appartenevi a me.
Iw. Marture^ij saut^_. Xo. Tà to^u qeo^u g’;ekmaq`wn crhst'hria.
IONE: È una tesi tua.
XUTO: Da Febo, dall’oracolo lo so .
Iw. ;esf'alhj a#inigm’ ;ako'usaj. Xo. O;uk #ar’ #orq’;ako'uomen.
IONE: Hai frainteso la risposta….
XUTO:Dunque non ci sentirò?.
Iw. :o dè l'ogoj t'ij ;esti Fo'ibou> Xo. tòn sunant'hsant'a moi...
Iw. t'ina sun'anthsin>
nthsin Xo. d'omwn t^wnd’;exi'onti to^u qeo^u. 535
IONE: Ma l’oracolo qual era?
XUTO: «Quel che incontro ti verrà…»
IONE: Quale incontro?
XUTO:«…Nell’uscire dalla casa, qua, del dio…».
2
Trad. Pontani 2007 . p.609
95
xunanti'azw
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il verbo ritornerà a distanza di circa 250 versi quando, ai vv. 787s. il coro rivela a
Creusa, moglie di Xuto, che Apollo ha dato un figlio al marito.
Come nell’Edipo re, l’incontro tra padre e figlio è un nodo fondamentale della
vicenda. Nell’Edipo re quest’incontro senza riconoscimento è causa di morte e di
rovina, nello Ione invece, l’incontro con riconoscimento, grazie all’intervento
delle
divinità,
contribuirà
a
determinare
un
futuro
propizio.
L’importanza dell’uso di sunant'aw nello Ione sta nel fatto che a un tema chiave
della tragedia, l’incontro, corrisponde una particolare insistenza (anche lessicale)
di Euripide. Il drammaturgo, per sua scelta stilistica, decide di mettere in risalto
l’incontro tra padre e figlio prima servendosi di una figura etimologica
(sunant'
sunant'hsantasanta-sun'anthsin)
nthsin e poi riutilizzando lo stesso verbo composto,
quando il coro richiama l’oracolo di Apollo.
Sofocle, viene da dire, sceglie un’altra strada, quella dello hapax, che dovrebbe
avere sullo spettatore lo stesso effetto della figura etimologica euripidea.
96
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e; cqroda'imwn
e; cqroda'imwn v. 816
kte'inw dè toùj x'umpantaj. e;i dè t^_ x'en_
to'ut_ pros'hkei LaÈ_ ti suggen'ej,
t'ij to^ude g’ ;andròj n^un $an ;aqli'wteroj, 815
t'ij ;ecqroda'imwn m^allon $an g'enoit’;an'hr,
&on m`h x'enwn #exesti mhd’;ast^wn tini
d'omoij d'ecesqai, mhdè prosfwne^in tina,
;wqe^in d’;ap’o#ikwn> kaì t'ad’o#utij #alloj %hn
$h Œg`w ŒpŒ;emaut^_ t'asd’;aràj :o prostiqe'ij. 820
Traduzione Paul Mazon
[...] et je les tue tous… Si quelque lien existe entre Laïos et
cet inconnu, est-il à cette heure un mortel plus à plaindre
que celui que tu vois ? Est-il homme plus abhorré des
dieux ? Étranger citoyen, personne ne peut plus me
recevoir chez lui, m’adresser la parole, chacun me doit
écarter de son seuil. Bien plus , c’est moi-même qui me
trouve haujourd’hui avoir lancé contre moi-même les
imprécations que tu sais.
Traduzione Dario Del Corno
EDIPO: [...]Tutti gli altri
li ho uccisi. Se tra quello sconosciuto e Laio
c’è qualcosa in comune, chi è più sventurato,
ora, dell’uomo che ti sta di fronte,
chi più di me è odiato dagli dei?
A nessuno, né straniero, né tebano è lecito
ospitarmi nella sua casa, rivolgermi la parola:
tutti dovranno cacciarmi via. E questa maledizione
sono stato io a scaternamela addosso, soltanto io.
Traduzione Guido Paduano
Traduzione Salvatore Quasimodo
Poi uccido tutti gli altri. Ora se quello straniero ha qualche Edipo [...] E poi uccisi tutti.
rapporto con Laio, chi è più infelice di me? Chi è più in odio E se l’ignoto e Laio sono una cosa sola,
agli dèi? Né cittadini, né forestieri potranno accogliermi o chi ora è più infelice di me?
rivolgermi la parola; dovranno cacciarmi dalle loro case. E Chi può essere tanto odioso agli dèi?
queste maledizioni io stesso, io e nessun altro le ho Cacciato da ogni casa, né straniero o tebano
attirate sul mio capo.
può ospitarlo e rivolgergli parola.
Io stesso ho lanciato a me la maledizione
Traduzione Edoardo Sanguineti
Traduzione di Maria Grazia Ciani
E io li uccido tutti insieme. E se a questo
Tutti quanti li ho uccisi.
straniero tocca una qualche parentela con Laio,
Ma se vi è qualche legame tra questo straniero
chi c’è, adesso, più disgraziato di quest’uomo qui?
e Laio, chi è più sventurato di me?
Quale uomo può esistere, più odiato dai dèmoni,
Chi fra gli uomini è il più odiato dagli dei?
che non è possibile che è ospitato dentro, da nessuno,
Nessuno al mondo potrà mai accogliermi
né da stranieri, né da cittadini, e che nessuno gli può in casa sua, rivolgermi la parola,
parlare,
sarò cacciato da tutti: e sono stato io, io stesso,
ma scacciarlo via dalle sue case? E queste, non c’è stato un a scagliare contro di me queste maledizioni.
altro,
ma io, che a me stesso le ho imposte queste maledizioni.
97
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
;ecqroda'
ecqroda'imwn
e; cqroda'imwn
v.816
Edipo re è notoriamente anche stata considerata la tragedia del destino. Abbiamo
potuto apprezzare l’attenzione di Sofocle per questo campo semantico analizzando, tra
gli altri, termini come semn'omantij (v. 556), vedremo poi o;iwnoq'etaj (v. 484). Ma se
questi ultimi due composti sono rivolti alla figura dell’indovino che cerca di decifrare i
segni degli dei, in questo caso Sofocle si serve di un aggettivo attraverso il quale
descrivere perfettamente la posizione dell’uomo, di Edipo, davanti al dio.
;ecqroda'imwn è senza dubbio un composto prägnant, le informazioni in esso
contenute non sono “decorative”, ma quanto mai allusive a uno stato cronico
dell’esistenza edipea, quello di un uomo perseguitato dagli dei.
Il secondo membro, da'imwn, ha dato vita a una lunghissima serie di composti, alcuni
dei quali molto fortunati, pensiamo a e;uda'imwn.
Da'imwn, di per sé, è un termine complesso. Servirebbe fin da Omero ad indicare una
potenza divina, ma arriva a significare anche destino, mentre il cristianesimo se ne
servirà per indicare gli spiriti maligni.
Molto interessante risulta l’osservazione di Chantraine sui composti di da'imwn141:
“Une série de type possessif concerne le plus souvent la destinée que la divinité fait à
l’homme”. Ma difficilmente possiamo considerare questo hapax un composto
possessivo.
Longo (ad loc.) sostiene che lo hapax ;ecqroda'imwn sia stato creato a partire dal più
comune kakoda'imwn, il quale però farebbe parte del lessico tipico della commedia e
sarebbe dunque evitato dai tragici (ma lo vediamo comparire in Eur. Hipp. 1362,
quando il giovane Ippolito si definisce così poco prima di morire). In commedia
141
DELG, p. 246
98
e; cqroda'imwn
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
effettivamente compare ma non con significato identico ad ;ecqroda'imwn,
ad
esempio in Aristofane ha un valore peggiorativo in Nub. 104, riferito a Socrate, mentre
proverbialmente diviene “povero diavolo” in Pl. 386 e “cattivo genio” in Eq. 112. Oltre
a kakoda'imwn tuttavia esistono altri composti con un senso analogo. Prendiamo
baruda'imwn, che fa la sua prima apparizione in Alceo (fr. 348, 2 Voigt, dove viene così
definita la città, “nata sotto una cattiva stella”) ed è presente in Euripide (in Alc. 865,
Admeto, invocando la morte, definisce così la madre che lo ha generato e in Tr. 112,
Ecuba lamenta la sua sorte miserevole) e Aristofane (Ec. 1102, qui è il ragazzo conteso
dalle tre vecchie a darsi dello sventurato), ma anche dusda'imwn che troviamo in
Eschilo (Sept. 827) e Sofocle, proprio nell’Edipo Re (1302). Queste ultime due
occorrenze suggeriscono qualcosa. Eschilo fa chiamare così i due figli di Edipo, Eteocle
e Polinice, in uno di quei passi in cui il gioco etimologico tra il nome e il destino degli
eroi si fa incalzante (c’è un guasto per quanto riguarda l’attributo relativo a Eteocle);
Polinice sarebbe poluneik'hj, “litigioso”:
$h toùj mogeroùj kaì dusda'imonaj
O devo invece per quegli infelici, per quei
;at'eknouj kla'usw polem'arcouj,
disgraziati
o&i d^ht’ ;orq^wj kat’;epwnum'ian
piangere forte, per quei principi che non lasciano
“kleino'i t’;eteòn kaì poluneike^ij” 830
figli?
#wlont’;asebe^i diano'i=
Non è stato proprio come i loro nomi
promettevano?
<Eteocli> e Polinici: gloriosi nel nome di Eteocle,
rissosi nel nome di Polinice,
morti ora per loro empia risoluzione.
2
Trad. Centanni 2007 , p. 175.
Quest’idea di dusdaimon'ia, di infelicità, ma più precisamente direi di disgrazia di
fronte al da'imwn, alla divinità, è coerente con il m'iasma dei Labdacidi e si allarga
logicamente a tutta la famiglia: tanto i padri quanto i figli ne sono colpiti. Eschilo fa
99
e; cqroda'imwn
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
registrare al coro la cattiva sorte che la divinità ha riservato ai due fratelli, così come
Sofocle fa per Edipo nell’esodo, dopo l’accecamento:
Cor'oj
Corifea
%w deinòn ;ide^in p'aqoj ;anqr'wpoij,
O terribile, da vedere, patimento per gli uomini,
%w dein'otaton p'antwn !os’ ;eg`w
il più terribile tra tutti quelli
pros'ekurs’#hdh< t'ij s’, %w tl^hmon,
che ho già incontrato! Quale follia,
pros'ebh man'ia> t'ij :o phd'hsaj 1300
me'izona da'imwn t^wn mak'istwn
pròj s^+ dusda'imoni mo'ir=<
sventurato, ti ha raggiunto? E quale è il demone
che ha fatto salti maggiori dei peggiori,
sopra la tua sorte infelice?
Trad. Sanguineti 2006, p.263
In questo punto ricco di tensione, in cui vediamo comparire termini come p'aqoj e gli
anapesti preludono al sistema docmiaco, Sofocle si serve di molte figure retoriche, da
climax morfologiche come deinòn... dein'otaton a insistenti ripetizioni come pros/pros-/pr'oj. In un tale contesto osserviamo come Sofocle rinforzi anche il il ruolo del
da'imwn giocando con la figura etimologica da'imwn/dusda'imoni e coronando il tutto
con la parola mo'ir=.
In questo punto della tragedia Edipo è ormai completamente a conoscenza del suo
destino e così si spiega l’insistenza sul campo semantico del divino e della sorte.
Al verso 816, quando Edipo si dice potenzialmente ;ecqroda'imwn, sta solo ipotizzando
di avere ucciso Laio, non come padre, ma solo come precedente re di Tebe e sposo di
Giocasta. Con lo hapax si insinua il dubbio che Edipo sia in odio agli dei, un dubbio che
verrà confermato poi dai fatti e che il coro constaterà a più riprese e con l’energia che
abbiamo visto nell’esodo.
Finora non abbiamo incontrato composti di da'imwn che risalissero più in là di Alceo,
ma Chantraine ne segnala uno, il solo termine omerico: ;olbioda'imwn (Il. 3.182), “dal
destino felice”. Siamo in un momento della teicoscopia. Priamo ha chiesto ad Elena chi
100
e; cqroda'imwn
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
fosse uno degli eroi greci e la donna ha spiegato al vecchio re che si tratta di
Agamennone, il capo degli Achei. Priamo definisce allora il primus inter pares
moirhgen'hj e ;olbioda'imwn.
Entrambi questi composti contengono la nozione di
destino e disegnano il ruolo del divino nell’umano. Agamennone, figlio di Atreo, è, agli
occhi di Priamo, un uomo baciato dalla sorte, che ha il privilegio di primeggiare sulla
schiera infinita degli Achei. Per l’ascoltatore gli aggettivi utilizzati da Priamo sono
invece quasi dei contenitori di ironia tragica ante litteram, ben sapendo la sorte che
aspetta lo sventurato Agamennone. La concezione religiosa di Priamo è disseminata in
gran parte del suo discorso e non è poi lontana da quella sofoclea. Priamo appare
come un uomo che con grande saggezza legge la realtà come prodotto delle scelte
divine. Così Agamennone è m'akar, termine utilizzato per definire anche gli dei, e la
sua sorte felice è determinata dall’alto; allo stesso modo Elena non è responsabile del
male scaturito intorno alla sua fuga: o#u t'i moi a;it'ih ;ess'i, qeo'i n'u moi a#itio'i e;isin
(Il. 3.164).
Proseguendo la rassegna dei composti in da'imwn troviamo ancora i tardi :omoda'imwn
(Olymp., Phd. p. 190 N.) e filoda'imwn.
Chantraine registra un secondo tipo di composti in da'imwn, i composti diretti, in cui il
primo termine qualifica il secondo. Da un punto di vista tipologico, questi vocaboli
potrebbero rientrare nella classe dei composti determinativi. Chantraine riporta i
seguenti termini, specificando che essi sono tardi ma dovevano essere presenti già in
epoca classica nel vocabolaro tragico: ;agaqoda'imwn (tardo), ;anqrwpoda'imwn (Eur.
Rh. 971), ;arcida'imwn (Pap. Mag. Par. 1.1349), a;utoda'imwn (Plot. 3..5.6),
brotoda'imwn, qeoda'imwn, neku- e nekuo-da'imwn (Pap. Mag. Par. 1.368),
planoda'imwn (Pap. Mag. Lond. 121. 636), fugadoda'imwn. Questa serie di sostantivi
tuttavia si pone su un piano differente dalla prima, cui appartiene ;ecqroda'imwn, e se
101
e; cqroda'imwn
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
da un lato ci dimostra la produttività di questi composti, dall’altro non aggiunge nulla
per noi.
Più interessante è la serie di composti a struttura libera che ci riportano in ambito
comico. Ad essa appartengono termini come: blepeda'imwn, Kronoda'imwn,
nakoda'imwn che crea un gioco di parole con kakoda'imwn, soroda'imwn,
trugoda'imwn, koilioda'imwn. Di questi certamente il più singolare è trugoda'imwn
costruito da Aristofane a partire da trug_d'oj e kakoda'imwn. Se ne serve Socrate
nelle Nuvole quando invita Strepsiade a non levare alle dee un canto simile a quello di
un povero poeta comico. Chiaramente trugoda'imwn è emanazione del gioco di parole
trag_d'ia-trug_d'ia e in generale la ripresa parodica che i comici fanno di questi
composti ne sottolinea il carattere eminentemente tragico.
Infine Chantraine riporta il termine deisida'imwn che già Aristotele (Pol. 1315a) utilizza
per indicare un uomo “timorato di dio”.
Lo studio del primo membro del composto apre prospettive più larghe.
Il termine ;ecqroda'imwn sembra la sintesi della perifrasi qeo^ij ;ecqr'oj che compare
già in epoca arcaica con Esiodo (Th. 766):
[…];ecqròj
dè
kaì
;aqan'atoisi
qeo^isin
(“odioso
persino
agli
dei”).
Esiodo sta parlando di Q'anatoj. Qui evidentemente Q'anatoj è in odio agli dei in
senso proprio, perché esecutore di un fato che sovrasta anch’essi: al contrario di
Edipo, Q'anatoj non è in odio agli dei per quello che gli fanno, ma per quello che non
possono fare contro di lui.
Vediamo comparire ancora questa espressione in Teognide (I, v. 601).
Sofocle stesso si serve molto del termine ;ecqr'oj sia nell’Edipo Re sia altrove. Nella
nostra tragedia lo vediamo comparire più volte.
102
e; cqroda'imwn
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Spesso questo aggettivo è legato al rapporto uomo-dio. Ai vv. 27s. subito sentiamo il
sacerdote affermare che si è abbattuto sulla città […] :o purf'oroj qeòj/loimòj
#ecqistoj, “il dio della febbre, la peste odiosissima”.
Nei vv. 216-275, Edipo pronuncia il suo proclama, con il quale bandisce dal regno il
responsabile del delitto di Laio. Alla fine del suo discorso leggiamo quanto segue:
kaì ta^uta to^ij m`h dr^wsin e#ucomai qeoùj
m'ht’#aroton a;uto^ij g^hj ;ani'enai tin'a, 270
m'ht’o%un gunaik^wn pa^idaj, ;allà t^_ p'otm_
t^_ n^un fqere^isqai k#ati to^ud’;ecq'ioni.
:um^in dè to^ij #alloisi Kadme'ioij, !osoij
t'ad’#est’;ar'eskonq’, !h te s'ummacoj D'ikh
co;i p'antej e%u xune^ien e;isaeì qeo'i. 275
Quelli che non obbediranno… prego gli dei
perché la loro terra non dia frutti
e le loro donne non partoriscano figli:
siano travolti dalla nostra stessa sorte
o da un più terribile destino.
Giustizia invece sia alleata dei Cadmei
che approvano quanto è stato detto,
e gli dei tutti siano accanto a loro, per sempre.
Edipo augura ai trasgressori un p'otmoj, un destino di morte, da p'iptw, uguale a quello
che ha colto i Cadmei, o ancora “più odioso”(;ecq'ioni). Sta agendo in questo momento
l’ironia tragica, e nuovamente il campo semantico dell’odio e quello del destino sono
legati.
Ancora nel discorso di Tiresia, l’indovino accusa Edipo di inconsapevolezza e di essere
“odioso ai suoi sulla terra e sotto terra” (v. 415 s.):
[…]kaì l'elhqaj ;ecqròj $wn
to^ij so^isin a;uto^u n'erqe k;apì g^hj #anw
Edipo è odioso ai suoi, anche perché attraverso le sue azioni si compie gran parte del
destino dei Labdacidi. Ma se questa può essere una forzatura del legame odio-destino,
vediamo due passi in cui compare l’espressione incontrata già in Esiodo e Teognide:
Oi. t'i d^ht’ ;emoì bleptòn $h
sterkt'on, $h pros'hgoron
#et’ #est’ ;ako'uein :hdon^=, f'iloi>
EDI. Per me non c’è più nulla da contemplare
con amore,
nessuna voce da ascoltare
103
e; cqroda'imwn
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
;ap'aget’;ekt'opion !oti t'acist'a me, 1340
;ap'aget’, %w f'iloi, tòn m'eg’;ol'eqrion,
tòn katarat'otaton, #eti dè kaì qeo^ij
;ecqr'otaton brot^wn.
con gioia.
E allora portatemi via,
portate via da questa terra
il funesto, il maledetto Edipo,
l’uomo più odiato dagli dei!
Edipo si è tolto la vista e spiega al coro, qui nel secondo kommos, che non ha più nulla
da vedere e si definisce con due superlativi: katarat'otatoj in cui è presente la
radice di ;ar'a, e l’inusuale forma ;ecqr'otatoj (già presente in Pi. N. 1.65). Qui si è
avverata quella che nel caso del nostro hapax era solo un’ipotesi, Edipo è
effettivamente l’uomo più in odio agli dei, come ribadirà anche a Creonte, nel secondo
passo, al v. 1519 Oi. ;allà qeo^ij g’#ecqistoj !hkw (“Ma io sono l’uomo più odiato
dagli dei”).
In Sofocle questa stessa espressione è Filottete ad impiegarla per offendere Odisseo al
v. 1031 (%w qeo^ij #ecqiste), mentre ritroveremo un uso simile di ;ecqr'oj in Euripide,
ma con richiamo a Esiodo, in quanto siamo nel prologo dell’Alcesti (v. 61s. ) e Apollo
offende Thanatos apostrofandolo così:
Qa. o;u d^ht’<;ep'istasai dè toùj ;emoùj tr'opouj.
Ap. ;ecqroùj ge qnhto^ij kaì qeo^ij stugoum'enouj.
Ta. No certo: e poi lo sai come son fatto.
Ap. Agli uomini spiacente, odioso ai numi.
2
Trad. Pontani 2007 , p. 27
Va osservato che l’uso dello hapax ;ecqroda'imwn, un composto ben comprensibile,
compare precisamente nel senso dell’espressione ;ecqr'oj to^ij qeo^ij che abbiamo
visto al superlativo ai versi 1344 e 1519. Il composto diviene una forma sintetica e
attenuata della perifrasi al superlativo, che Edipo utilizzerà solo quando il dubbio
diviene certezza. Non si può non rilevare l’importanza di questo legame che si
stabilisce tra il campo semantico dell’odio e quello del divino e che Sofocle mette a
104
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e; cqroda'imwn
fuoco nello hapax in un punto della tragedia in cui Edipo è alla ricerca della verità.
L’unicismo, a metà circa della tragedia, contribuisce a focalizzare il problema del fato
nell’esistenza di Edipo e fa da cerniera al concatenarsi di questo binomio dall’inizio alla
fine, tra un prima fatto di dubbi e di domande e un dopo di consapevolezza e
disperazione.
Invertendo l’ordine dei fattori il risultato cambia. Aristofane (Ve. 418) utilizzerà per la
prima volta il termine qeoisecqr'ia per indicare l’odio degli uomini verso gli dei,
l’empietà.
105
o;i'ozwnoj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
o;i'ozwnoj v. 846
Oi. l+stàj #efaskej a;utòn #andraj ;enn'epein
!wj nin katakte'ineian. E;i mèn o%un #eti
l'exei tòn a;utòn ;ariqm'on, o;uk ;eg`w ;ktanon<
o;u gàr g'enoitŒ$an e*ij ge to^ij pollo^ij #isoj< 845
e;i dŒ#andrŒ!en o;i'ozwnon a;ud'hsei saf^wj,
to^ut’;estìn #hdh to#urgon e;ij ;emè :r'epon.
Traduzione Paul Mazon
Œdipe. – C’étaient des brigands, disais-tu, qui avaient,
selon lui, tué Laïos. Qu’il répète donc ce pluriel, et ce n’est
plus moi l’assassin : un homme seul ne fait pas une foule.
Au contraire, s’il parle d’un homme, un voyageur isolé,
voilà le crime qui retombe clairement sur mes épaules.
Traduzione Dario Del Corno
EDIPO: Questo: che secondo lui furono dei banditi a
uccidere Laio. Se lo ripete ancora, se dice che erano in tanti,
non l’ho ucciso io: uno e tanti non sono la stessa cosa. Ma
se parlerà di un viaggiatore solitario, tutto è chiaro: e il
delitto ricade su di me.
Traduzione Guido Paduano
Ed. Hai detto che sono stati dei banditi a ucciderlo. Se lui
mantiene questo plurale, non sono stato io, perché una
persona singola non è lo stesso di molte. Se invece parla di
una persona, questo fatto si rovescia con ogni evidenza
addosso a me.
Traduzione Salvatore Quasimodo
Edipo. Tu m’hai detto che il pastore afferma
che molti ladroni uccisero il re di Tebe;
se, dunque, anche ora dirà la stessa cosa,
io non sono certo quello che l’uccise.
Infatti uno solo non è uguale a molti,
ma se dirà che il viandante era solo,
è chiaro che la colpa ricade su di me.
Traduzione di Maria Grazia Ciani
EDI. Hai detto che, secondo lui, furono dei briganti
a uccidere Laio. Se ripeterà che furono molti,
allora non sono stato io: uno non equivale a molti.
Ma se parlerà di uno solo, di un viaggiatore solitario,
allora è su di me che ricade il peso del delitto.
Traduzione Edoardo Sanguineti
EDIPO: Affermavi che quello racconta che uomini, banditi,
lo hanno ucciso. Se dunque ancora dirà lo stesso numero,
non sono io che l’ho ucciso:
e uno solo, infatti, non può essere uguale ai molti. Ma se
discorrerà di un solo uomo, un viaggiatore, chiaramente
questa azione si piega verso di me.
106
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
o;i'ozwnoj
o;i'ozwnoj v. 846
Composto di o%ioj (“solo”) e z'wnh (“cintura”, di chi marcia), lo potremmo far
rientrare nella categoria dei Possessivkomposita, “che ha la cintura di marcia
solitaria” e tradurlo, fuor di metafora: “che viaggia solo”142. Meyer da parte sua
lo inserisce tra i composita abundantia di tipo b, classe III, cioè tra quei termini
künstlichsten von allen Wörtern il cui secondo membro tende a sparire nella
traduzione: “solo-cintura”, in fondo, non manterrebbe altro che il senso
contenuto in “solo”.
Longo143 spiega che le vesti di Edipo erano sollevate grazie alla cintura (z'wnh)
“per procedere più agevolmente e speditamente, era, per dirla con Orazio, altius
praecinctus”. Dawe144 propone anche una seconda interpretazione secondo la
quale o;i'ozwnoj sarebbe sinonimo di mon'ozwnoj (che è una delle possibilità
proposte dagli scholia vetera insieme a m'onoj) cioè “soldato che ha una sola
cintura” da cui “soldato armato alla leggera” o anche “bandito”. Jebb145 osserva
invece, citando numerosi esempi, la particolarità del composto in cui il secondo
membro diviene un epiteto separato del nome: “with solitary girdle, signifies,
alone, and girt up”.
Ritornerermo più tardi sul problema semantico, dopo aver preso in
considerazione alcuni composti di natura simile.
Stando al Buck-Petersen, i composti in –zwnoj sarebbero ben 27. I composti
omerici sono: e#uzwnoj (Il. 1.429; 6.467; 9.366, 590 e 667; 23.261 e 760),
kall'izwnoj (Il. 7.139; 24.698; Od. 23.147) e baq'uzwnoj (Il. 9.594, Od. 3.154).
Il primo passo dell’Iliade è contenuto all’interno del racconto dell’incontro tra
142
Cfr. mon'ostoloj.
Longo 2007, p. 226.
144
Dawe 1982, p. 145.
145
Jebb 1893, p. 114.
143
107
o;i'ozwnoj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Achille e sua madre Teti: la donna dalla bella cintura è ovviamente Briseide. Qui,
come negli altri brani iliadici, il composto è utilizzato in senso proprio, non c’è
metonimia come nel composto sofocleo. e#uzwnoj poi compare anche in
Erodoto (1.72) dove però sembra assumere lo stesso significato del nostro
composto:
O!utwj :o !Aluj potamòj ;apot'amnei scedòn
p'anta t^hj ;As'ihj tà k'atw ;ek qal'asshj
t^hj ;ant'ion K'uprou ;ej tòn E#uxeinon
p'onton< #esti dè a;uc`hn o*utoj t^hj c'wrhj
ta'uthj :ap'ashj< m^hkoj :odo^u e;uz'wn_ ;andrì
p'ente :hm'erai ;anaisimo^untai.
Così il fiume Alis separa dal continente quasi
tutta l’Asia inferiore, a partire dal mare che è
di fronte a Cipro, fino al Ponto Eussino: è
questo, si può dire, il “collo” di tutto il paese;
la sua larghezza è tale, che uomo spedito può
percorrerla in cinque giorni.
2
Trad. Annibaletto 2007 , p. 85
Un uomo e#uzwnoj è un individuo che cammini con la tunica stretta e alzata
sopra la cinta per permettere alle gambe un movimento più libero. La stessa
accezione compare anche altrove, come in Tucidide (2.97.1).
Analogo a e#uzwnoj, nel suo primo significato, è l’aggettivo kall'izwnoj, che
gode di occorrenze meno numerose, ma compare anche nella lirica, in Bacchilide
(Ep. 5, 89) che lo usa in riferimento ad Era.
baq'uzwnoj infine, può voler dire sia “dalla alta cintura” (se il primo membro ha
piuttosto valore aggettivale) sia “dalla bassa cintura” (se ha valore avverbiale).
Oltre che in Omero, questo composto è presente in Pindaro (O. 3.35; P. 9.2; I.
6.74; ), Bacchilide (Ep. 1.118; 5.9; 11.16) e arriva nella tragedia attraverso Eschilo
(Pers. 155; Ch. 169).
Il composto è utilizzato sia in relazione a donne umane, anche barbare, che a
divinità. Anche in questo caso, può esserci uno scambio metonimico di causaeffetto. Come nel caso del nostro composto il fatto di avere la cintura da viaggio
implica l’essere un viandante, così qui il fatto di avere la cintura bassa, viene
108
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
o;i'ozwnoj
interpretato con formule come “dalla vita sottile”, oppure “dalle forme sinuose”.
Numerosi sono poi gli altri composti in –zwnoj per lo più successivi al nostro.
Due altri composti sono invece precedenti e compaiono per la prima volta nella
lirica. lipar'ozwnoj, “dallo splendido cinto”, lo troviamo in Bacchilide (Ep. 9.49)
e poi in tragedia in Euripide (Ph. 175).
Fatta questa disamina è opportuno concludere ritornando al problema
semantico del nostro composto. Come abbiamo avuto modo di vedere la critica
(e gli scolii) fluttua tra due differenti possibilità: “che viaggia solitario” e
“bandito”.Dawe propende per la seconda possibilità, chiamando in causa le
glosse, che riportano mon'ozwnon e #enoplon.
Il problema non è banale. Edipo sta ragionando su quanto riportato dal servo
superstite di Laio, il quale, parlando dell’assassino del re, potrebbe averlo
definito anche “bandito”. Solo il contesto può essere chiarificatore in questo
caso, e anche la funzione pregnante degli hapax , così come si sta man mano
rivelando nel corso di questo studio.
Nel commento di Longo è adeguatamente sostenuta l’ipotesi di o;i'ozwnoj come
“che viaggia solitario”. Guardando al contesto ci si rende conto che in effetti
questa soluzione è la più calzante. Se è vero da una parte che il superstite
avrebbe definito gli uccisori di Laio l+sta'i, d’altro canto tutto il discorso gira
intorno a una questione di numeri, qui il ragionamento di Edipo non mira a
modificare un giudizio morale formulato su di lui, il suo interesse è quello di
dimostrare o di verificare semplicemente la sua innocenza di fronte allo specifico
delitto del suo predecessore e l’appiglio fondamentale su cui poggia tutta la sua
dimostrazione è il numero degli aggressori di Laio. Se il servo ha parlato di molti,
molti non è uguale a uno e lui era un viandante solitario, che non può dunque
aver ucciso Laio.
109
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
o;i'ozwnoj
Il lessico della solitudine, della singolarità e quello della pluralità si incontrano in
questo punto, dove in generale è presente un lessico ‘aritmetico’ e assume
importanza l’aspetto morfologico del numero (singolare/plurale).
Oi. l+stàj #efaskej a;utòn #andraj ;enn'epein
!wj nin katakte'ineian. E;i mèn o%un #eti
l'exei tòn a;utòn ;ariqm'on,
n o;uk ;eg`
eg`w ;ktanon<
o;u gàr g'enoitŒ$an e*ij ge to^ij pollo^ij #isoj< 845
e;i dŒ#andrŒ!en’
en o;i'ozwnon a;ud'hsei saf^wj,
en
to^ut’;estìn #hdh to#urgon e;ij emè
;emè :r'epon.
Io. ;all’:wj fan'en ge to#upoj *wd’;ep'istaso,
ko;uk #estin a;ut^_ to^ut'o g’;ekbale^in p'alin<
p'olij gàr #hkous’, o;uk ;eg`w m'onh,
nh t'ade.
Il plurale morfologico di l+stàj #andraj si oppone vistosamente a concetti (e
morfologie) singolari come quelli di ;eg`w/ e*ij/*ena/;emè, così se vi sarà la conferma
del plurale (tòn a;utòn ;ariqm'on) Edipo sarà scagionato dalla regola
matematica e*ij≠pollo'i.
Va aggiunto che Giocasta subito dopo cercherà di rassicurare Edipo con un
argomento simile. Anche la regina infatti tira in ballo la questione numerica,
affermando che la collettività ha udito le parole del servo e quell’ #epoj non può
essere ritrattato in quanto non lei sola (;eg`w mon'h) è testimone ma tutta la città
(p'olij), ovvero la pluralità dei cittadini.
Di fronte a una tale ragionata composizione delle argomentazioni di Edipo e
Giocasta, sembra naturale osservare, d’accordo con le traduzioni qui riportate,
che il nostro composto in questo punto assuma piuttosto il senso di “che viaggia
solo”, in quanto contribuisce, e con quel potere marcante che hanno gli hapax, a
costruire l’argomentazione di Edipo imponendosi in una cornice che mette in
forte rilievo i termini della questione: se 1≠>1, Edipo è innocente. Un
ragionamento perfetto e ineccepibile, che partiva tuttavia da premesse sbagliate,
110
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
o;i'ozwnoj
perché il secondo termine non era >1. Il destino di Edipo si dimostrerà superiore
alla sua matematica.
111
e; piqum'iama
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e; piqum'iama v. 913
Io. c'wraj #anaktej, d'oxa moi parest'aqh
naoùj :ik'esqai daim'onwn, t'adŒ;en cero^in
st'efh labo^us+ k;apiqumi'
piqumi'amata.
mata
:uyo^u gàr a#irei qumòn O;id'ipouj #agan
l'upaisi panto'iaisin< o;udŒ:opo^iŒ;an`hr
915
#ennouj tà kainà to^ij p'alai tekma'iretai,
;allŒ;estì to^u l'egontoj, $hn f'obouj l'eg+.
Traduzione Paul Mazon
Œdipe. Chefs de ce pays, l’idée m’est venue d’aller dans
les temples des dieux leur porter de mes mains ces
guirlandes, ces parfums. Œdipe laisse ses chagrins ébranler
un peu trop son cœur. Il ne sait pas juger avec sang-froid
du présent par le passé. Il appartient à qui lui parle,
lorsqu’on lui parle de malheur.
Traduzione Guido Paduano
Gio. Signori, ho pensato di accostarmi ai templi degli dèi,
portando l’incenso e le sacre bende. Nel profondo del
cuore Edipo è sconvolto da angosce di ogni genere; e non
riesce più, come ogni uomo ragionevole, a giudicare il
presente sulla scorta del passato; ma è preda di chi a volta
a volta gli parla, purché parli di orrori.
Traduzione Edoardo Sanguineti
GIOCASTA: Signori di questa regione, mi è venuta l’idea di
andare nei santuari dei dèmoni, portando queste corone
con le mie mani e questi incensi:
perché Piedone se lo solleva in alto il suo animo, troppo,
con dolori di ogni genere, e non sa valutare, come uomo
assennato, dalle cose vecchie, le nuove,
ma è tutto di chi gli parla, se gli parla di paure.
Traduzione Dario Del Corno
GIOCASTA: Signori di questa terra, mi è parso opportuno
presentarmi supplice ai templi sacri degli dei, portando
nelle mie mani corone e offerte d’incenso. Nel profondo del
suo animo Edipo fa crescere angosce infinite, e non è più la
ragione a guidarlo: il presente gli sfugge, e non sa spiegarlo
con il passato. Chiunque gli parli di orrori è padrone della
sua mente.
Traduzione Salvatore Quasimodo
Giocasta
Uomini eletti di questa terra, ho pensato
di recarmi in qualche tempio degli dèi,
portando questi rami e queste offerte di incenso.
L’anima di Edipo è molto agitata
da infiniti dolori; né, come chi ha sana la mente,
sa più giudicare dalle antiche vicende
ciò che accade oggi. E si abbandona
a chi parla, se dice di terrori.
Traduzione di Maria Grazia Ciani
GIO. Popolo di Tebe, mi è sembrato
che questo fosse il momento opportuno
per recarmi ai templi degli dei
con rami votivi e incensi per pregare.
L’anima di Edipo è sconvolta dall’angoscia,
egli non è più in sé, non riesce a interpretare
il presente sulla base del passato.
112
e; piqum'iama
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
;epiqum'
epiqum'iama v. 913
Questo hapax, nuovamente un composto, è di definizione più complessa. Di
primo acchito non è semplice inquadrarlo in nessuna delle categorie semantiche
che abbiamo incontrato: destino, divinazione, marcia. Quanto al senso siamo di
fronte al nomen rei actae del verbo ;epiqumi'aw che poi altro non significa se non
“offrire incenso”. ;epiqum'iama è dunque molto semplicemente una “offerta di
incenso”. Facciamo come sempre una veloce panoramica del termine a partire
da ;epiqumi'aw per proseguire con il nome semplice qum'iama e poi con gli altri
composti simili al nostro che ci propone il Buck-Petersen: ;anaqum'iama
(Chrysipp., “vapore esalato”) e :upoqum'iama (Hipp., “suffimigio”).
;epiqumi'aw non è attestato prima di Plutarco, che se ne serve in Alex. 25.7,
ricordando un avvenimento divertente della vita di Alessandro, quando cioè il re,
avendo espugnato Gaza, inviò a Leonida, governatore di Olimpia, una grossa
quantità di incenso e mirra perché tempo prima avevano avuto questo scambio:
‘! otan t^hj ;arwmatof'orou krat'hs+j,
;Al'exandre, plous'iwj, o!utwj epiqumi'
;epiqumi'aseij<
seij
n^un dè feidom'enwj cr^w to^ij paro^usi’ t'ote
o%un ;Al'exandroj #egraye pròj a;ut'on
‘;apest'alkam'en soi libanwtòn #afqonon
kaì sm'urnan , !opwj pa'us+ pròj toùj
“Alessandro, quando avrai conquistato il paese
che produce gli aromi, potrai offrire incenso
così prodigalmente: ora invece è necessario
essere parchi”. Allora Alessandro gli scrisse: “Ti
abbiamo inviato una ricca provvigione di
incenso e di mirra, affinché tu smetta di essere
così avaro verso gli dei”
qeoùj mikrologo^umenoj’
Già da questo esempio deduciamo il contesto divino-divinatorio nel quale
vengono usati spesso termini legati alla radice del verbo q'uw, che porta in sé
l’idea della combustione sacrificale e del fumo che ne segue.
qum'iama, da qumi'aw, è utilizzato da Erodoto (2.86.4; 2.130.1), da Aristofane
(Av. 1716) ma anche dallo stesso Sofocle nell’Edipo re. Erodoto ci parla di aromi e
incensi utilizzati in Egitto, sia per l’imbalsamazione che per offerte sacre.
113
e; piqum'iama
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Aristofane in uno dei cori parla nuovamente “delle spire del fumo degli incensi”,
che salgono verso il cielo. L’incenso è importantissimo nella descrizione iniziale
che Edipo fa della città. L’incipit della tragedia recita così:
OIDIPOUS
* W t'ekna, K'admou to^u p'alai n'ea trof'h,
t'inaj poq’!edraj t'asde moi qo'azete
:ikthr'ioij kl'adoisin ;exestemm'enoi>
p'olij d’:omo^u mèn qumiam'atwn g'emei,
:omo^u dè pai'anwn te kaì stenagm'atwn<
EDIPO
Figli, ultimo germoglio dell’antica
stirpe di Cadmo, cosa fate qui,
prostrati; e questi rami,
avvolti nelle bende dei supplici?
Fumi d’incenso si levano dalla città,
e lamenti e canti di preghiera.
(Trad. Maria Grazia Ciani)
“La città è piena di fumi di incenso, di canti di preghiera e di gemiti”, con pochi
tratti Edipo immortala la condizione di una città disperata, in cui si avverte la
tensione dell’uomo verso il divino, una spinta verso l’alto che si esprime in canti
di preghiera e fumi di incenso, accompagnati tuttavia anche dai lamenti della
disperazione.
:upoqum'iama appartiene al linguaggio medico (Hipp. 2.206) come anche in
alcuni casi qum'iama (molto presente in Galeno) e indica i suffumigi, dal latino
suffumigare (sub-fumigare, che sembrerebbe parallelo a :upoqumi'aw) e dà l’idea
di un fumo che si sprigioni dal basso.
;anaqum'iama è utilizzato dal filosofo Crisippo (2.196) e starebbe a significare il
risultato dell’esalazione, che giustamente, come indica la preposizione, muove
dal basso verso l’alto.
Veniamo ora ad ;epiqum'iama. Siamo all’inizio del terzo episodio. Il coro ha
appena levato un canto in cui biasima duramente chi non rispetti le leggi degli
dei e in particolare chi non dia credito ad Apollo e ai suoi oracoli. Giocasta, dopo
aver pronunciato alla fine del secondo episodio frasi che si possono facilmente
considerare empie, sembra aver ascoltato il monito del coro e si presenta con in
114
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e; piqum'iama
mano rami e offerte di incenso per Apollo Liceo. Questi ;epiqumi'amata
richiamano certamente i qumi'amata con cui ha inizio l’Edipo. La preposizione
;ep'i potrebbe avere un importante significato scenico, in quanto Giocasta doveva
offrire l’incenso ;epì t^_ bwm^_. In effetti vicino alla casa verosimilmente era
presente un altare dedicato ad Apollo Liceo e non è escluso che Giocasta uscisse
dalla reggia dopo lo stasimo portando realmente in mano rami e offerte di
incenso, un gesto quest’ultimo che prepara teatralmente il veloce precipitare
della situazione, mettendo in evidenza davanti al pubblico il dubbio che inizia ad
approfondirsi in Giocasta di fronte al comportamento di Edipo. Una prima
avvisaglia del duro confronto tra umano e divino, che vedrà la razionalità
speculativa dell’uomo (Edipo) e l’incredulità (di Giocasta) soccombere di fronte
alla forza trascinante del destino.
Da quanto detto si evince che lo hapax potrebbe avere una funzione scenica, in
quanto aiuterebbe a descrivere il movimento di Giocasta che posa le offerte di
incenso sull’altare. Uno dei pochi studiosi che si soffermi su questo hapax è
Long146, il quale anzitutto osserva che i nomi in -ma sono più frequenti in
tragedia che in altre forme della letteratura greca. Lo studioso, appoggiandosi
anche alla Clay, rileva 48 nomi in –ma peculiari di Sofocle, 80 di Eschilo, 134 di
Euripide. Long analizza alcune categorie di nomi in –ma, ;epiqum'iama compare
tra quei nomi in -ma tipici dei dialoghi che si trovano in particolare alla fine del
verso ed hanno come un effetto di rallentamento. Interessante d’altronde è
anche l’osservazione riportata in nota a proposito di ;epiqum'iama come forma
alternativa per qum'iama, che compare, come si è visto, al verso 4: “Aristotle (Po.
1458b 2) observes that lenghtened ‘forms’, ;epekt'aseij, are a means of elevating
style without sacrificing clarity”. Ritorniamo su questo passo della Poetica
146
Long 1968, p. 45
115
e; piqum'iama
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
(1458b):
O;uk ;el'aciston dè m'eroj sumb'allontai
e;ij tò safèj t^hj l'exewj kaì m`h ;idiwtikòn
a:i ;epekt'aseij kaì ;apokopaì kaì
;exallagaì t^wn ;onom'atwn< dià mèn gàr tò
#allwj #ecein $h :wj tò k'urion, parà tò
e;iwqòj gign'omenon, tò m`h ;idiwtikòn
poi'hsei, dià dè tò koinwne^in to^u e;iwq'otoj
Non minore contributo alla chiarezza del
linguaggio che sia anche non triviale portano
gli allungamenti, i troncamenti e le alterazioni
delle parole: per il loro discostarsi dalla
normalità, che è contro l’uso, daranno luogo al
non triviale, mentre dallo stretto rapporto con
l’uso deriverà la chiarezza.
Trad. Lanza 1987, p. 197
tò safèj #estai.
Questo della Poetica è riferito specialmente agli allungamenti metrici, ma risulta
chiarificatore anche per quelle minime traformazioni compiute dal poeta su dei
termini noti e potrebbe essere preso come punto di riferimento non solo per
questo hapax, ma per buona parte degli unicismi presenti in Sofocle. In effetti, a
ben vedere, gli hapax dell’Edipo re sono per lo più trasparenti e all’ascolto
dovevano fornire quell’extraquotidianità di cui parla Aristotele, quella
lontananza dalla trivialità, senza tuttavia andare a scapito della chiarezza, e in
questo Sofocle si distingueva forse da Eschilo.
116
e; kqe'aomai
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e; kqe'aomai v. 1253
Bo^wn gàr e;is'epaisen O;id'ipouj, :ufŒo*u
o;uk %hn tò ke'inhj ;ekqe'asasqai kak'on,
;all’e;ij ;eke^inon peripolo^unt’;ele'ussomen.
Foit^= gàr :hm^aj #egcoj ;exait^wn pore^in, 1255
guna^ik'a t’o;u guna^ika, mhtr^_an d’!opou
k'icoi dipl^hn #arouran o*u te kaì t'eknwn.
Traduzione Paul Mazon
[…] car à ce moment Œdipe, hurlant, tombe au milieu de
nous, nous empêchant d’assister à sa fin : nous ne
pouvons plus regarder que lui. Il fait le tour de notre
groupe; il va, il vient, nous suppliant de lui fournir une
arme, nous demandant où il pourra trouver « l’épouse qui
n’est pas son épouse, mais qui fut un champ maternel à la
fois pour lui e pour ses enfants ».
Traduzione Guido Paduano
Edipo irruppe in casa gridando e da allora non fu più
possibile guardare alla sciagura di lei, ma tutti ci fissammo
su di lui, che andava in giro furiosamente, chiedendo che
gli venisse data una spada, e cercava la sua donna, no, non
la sua donna, il grembo materno comune a lui e ai suoi
figli.
Traduzione Edoardo Sanguineti
Perché, gridando, Piedone, si è gettato dentro, e così
non era possibile osservarla, la disgrazia di quella,
ma lo guardavamo, quello, che girava lì intorno.
Perché viene che cerca che gli diamo una spada, noi,
e dove la trova, la signora che non è la sua signora,
il suo doppio seminato materno , che è il suo e dei suoi figli.
Traduzione Dario Del Corno
Perché si è precipitato dentro Edipo, urlando,
e non ci fu possibile assistere al male della donna,
ma soltanto lui guardavamo, che vagava smarrito.
Correva da uno all’altro invocando un spada,
chiedeva dove trovare la moglie- no, non sua moglie,
ma il doppio solco dov’erano nati lui e i suoi figli.
Traduzione Salvatore Quasimodo
[…] perché Edipo venne urlando. E noi lo guardavamo
andare qua e là chiedendo un’arma
e il luogo dove trovare Giocasta, madre e sposa
Traduzione di Maria Grazia Ciani
Edipo irruppe nel palazzo urlando
e non riuscimmo a vedere la sua fine.
Il nostro sguardo ora è su di lui
che senza tregua si aggira, e va e viene,
ci chiede di procurargli una spada,
ci domanda dov’è quella sua sposa non sposa
che fu solco per lui e per i suoi figli.
117
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e; kqe'aomai
e; kqe'aomai v. 1253
Questo hapax certo è morfologicamente banale: una forma composta del verbo
qe'aomai . Il primo desiderio è di passare subito oltre, limitandosi a dire che la
preposizione, come spesso avviene in Sofocle, rafforza il senso del verbo.
Tuttavia una piccola stonatura di senso richiama l’attenzione perché a ben
pensarci questo verbo è qui apparentemente fuori luogo.
Sebbene infatti Sofocle si ‘divertaʹ in questo punto della tragedia a insistere di
continuo sul lessico della vista, come avremo modo di rilevare ancora, qui,
osserva giustamente Longo (ad loc.), non dovrebbe essere utilizzato, in quanto
Giocasta ha sbarrato la porta e tutti sono rimasti fuori. Longo continua
sostenenedo che, presumibilmente, i servi stanno cercando di guardare
“attraverso qualche rima dei battenti”. Questo particolare voyeuristico, o
“ghoulish”, come lo definisce Dawe (ad loc.), può avere un suo fondamento e
rivelare anche un ruolo funzionale della preposizione ;ek-, utile a sottolineare la
distanza dall’oggetto della visione. Confrontiamo questo verbo con ;exor'aw.
Esso è utilizzato in Iliade (20.342, ;exide^in), per indicare che Achille riprende a
vedere dopo che Poseidone Enosictono gli ha offuscato la vista per permettere a
Enea di fuggire. In Sofocle troviamo ancora l’aoristo (;exido^u, Phil. 851) e il valore
è quello di “guardare bene”, ma il passo è controverso (cfr. Pucci, ad loc.). In
Euripide invece troviamo degli infiniti presenti (;exor^asqai, Her. 675; Hel. 1269)
in cui è chiaramente sottolineata l’idea di vedere qualcosa a distanza. Non c’è
dubbio, se i servi stanno guardando “attraverso qualche rima dei battenti”, è ben
plausibile che Sofocle abbia voluto porre l’accento su questa distanza.
Al di là però della preposizione ;ek- , credo che due aspetti siano molti più
interessanti. Il primo verte sul piano semantico ed è legato al verbo qe'aomai,
che può avere anche il significato di “essere spettatore a teatro” (Isoc . 4.44) e il
118
e; kqe'aomai
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
cui participio sostantivato o:i qe'wmenoi è più volte utilizzato per designare gli
spettatori (ad es. Aristoph. Ran. 2, Nub. 518).
Altro dato interessante è il fatto che questo sia uno di quei rari hapax non
pronunciati da Edipo o dal Coro.
Questi due aspetti, uniti all’apparente incongruenza di questo verbo di
percezione che può qui apparire alquanto sinestetico se non si accetta l’ipotesi di
Longo, aumentano la probabilità che Sofocle abbia voluto marcare
deliberatamente la mano sul tema della vista. Tuttavia in questo caso particolare,
il verbo, oltre a richiamare l’attenzione sull’immagine puramente verbale
raccontata dal messaggero, coinvolge il pubblico, perché il personaggio si fa
spettatore,
in
un
gioco
di
immedesimazione
reciproca.
Un
articolo
interessantissimo a questo proposito è stato recentemente scritto da Goldhill e si
intitola The Audience on Stage (2012, pp. 38-55). Lo studioso riflette su alcuni
momenti delle tragedie in cui Sofocle offrirebbe allo spettatore un ‘personaggiospettatore’, cioè un personaggio che osserva e interpreta. Scrive Goldhill:
The effect of putting an audience on stage is to provide a mirror to the audience of its own
processes of reaction. It works to distance the audience from a direct emotional absorption and
to see itself watching.
(Goldhill 2012, p. 54)
Anche in questa scena avviene quanto descritto da Goldhill: Sofocle sta dando
un’indicazione al suo pubblico.
119
e; p'oyimoj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e; p'oyimoj v. 1312
Oi. a;ia^i a;ia^i, d'ustanoj ;eg'w,
po^i g^aj f'eromai tl'amwn> p^= moi
fqoggà diapwt^atai for'adan> 1310
;i`w da^imon !in’ ;ex'hlou.
Co. ;ej dein'on, o;ud’;akoust'on, o;ud’ ;ep'
ep'oyimon.
yimon
Traduzione Paul Mazon
Œdipe. – Hélas ! hélas ! malheureux que je suis ! Où
m’emportent mes pas, misérable ? où s’envolve ma voix,
en s’égarant dans l’air ? Ah ! mon destin, où as-tu été te
précipiter ?
Le Coryfhée. – Dans un désastre, hélas ! effrayant à voir
autant qu’à entendre.
Traduzione Dario Del Corno
EDIPO Ahimè, infelice,
dove mi porta la mia miseria? Dove
si sperde il mio grido nell’aria?
Ah, mio destino, a che punto sei precipitato!
CORIFEO In una pena che non si può udire né vedere.
Traduzione Guido Paduano
EDIPO Ahimè! Dove vado, infelice, dove si perde il suono
della mia voce? O destino, come sei piombato addosso a
me!
Traduzione Salvatore Quasimodo
Edipo
Ahi, o me infelice!
In quale luogo mi conducono,
dove ora va nell’aria la mia voce?
O mia sorte dove sei precipitata?
CORO Terribile a vedere e a sentire.
Corifeo
Nell’orrore che non si vorrebbe udire né vedere.
Traduzione Edoardo Sanguineti
Traduzione di Maria Grazia Ciani
EDIPO Ah ah, povero me,
EDI. Misero me!
dove, sopra la terra, io mi rivolgo, sventurato? Dove
Dove sono, dove sto andando,
vola la mia voce veloce? Oh, mio demone, dove ti sei dove si disperde volando la mia voce?
gettato?
Mio demone, dove sei piombato?
CORO In un terrore che non si può sentire, che non si può COR. In un mare di sciagure,
vedere.
atroci da vedere e da ascoltare.
120
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e; p'oyimoj
;ep'
ep'oyimoj v. 1312
Siamo nel secondo kommos (1297-1368) e il verso 1312 è un trimetro giambico
che segue gli anapesti del coro e di Edipo e precede la coppia strofica.
Long147 osserva che Sofocle utilizza 20 diversi aggettivi in -simoj (15 in Eschilo e
11 in Euripide), spesso molto legati al corrispondente nome in –sij, nonché
dotati di un valore verbale. Il nomen actionis alla base del nostro unicismo è
#epoyij “vista” (o più precisamente “il vedere su”, “view over”), che incontriamo
per la prima volta in Erodoto (1.64.2). Quest’idea del “vedere dall’alto verso il
basso” si esprime ancor più chiaramente nell’aggettivo ;ep'oyioj che troviamo
ben due volte in Sofocle (e mai prima di lui), una prima volta nell’Antigone (v.
1110) per indicare un’altura, un ;ep'oyion t'opon, “un luogo che guarda
dall’alto”, una seconda volta, nel Filottete (v. 1040), dove diviene epiteto divino
qeo'i t’ ;ep'oyioi “o dei che tutto vedete”.
Il lessico della vista in tutta questa prima parte dell’esodo, come ha in parte
notato Segal148, assume considerevole spazio e raggiunge un’altissima frequenza.
Al suo arrivo il messaggero esordisce (vv. 1224-1226): %w g^hj m'egista t^hsd’;aeì
tim'wmenoi,/ o*i’#erg’;ako'usesq’, o*ia d’e;e;is'oyesq’,
yesq’ !oson d’/ ;are^isqe p'enqoj
[…], “Oh voi, che in questa terra/ siete da sempre onorati, quali orrori dovrete
ascoltare, quale spettacolo vedere coi vostri occhi, quanto dolore raccoglierete”,
affermazione cui farà ecco quella pronunciata dal coro: Co. ;ej dein'on,
o;ud’;akoust'on, o;ud’ ;ep'
ep'oyimon,
yimon “in un mare di sciagure, atroci da vedere e da
ascoltare”. Al verso 1229 il messaggero introduce anche il verbo fa'inw, […] , un
preludio alla successiva vivissima descrizione, che è un vero e proprio pianosequenza cinematografico. Ai vv. 1237s. il messaggero si esprime in questi
termini, ribadendo di fatto agli spettatori una delle regole principali della
147
148
Long 1968, p. 32
Segal 1986, p. 481
121
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e; p'oyimoj
tragedia: […]t^wn dè pracq'entwn tà mèn/ #algist’#apestin< :h gàr #oyij o;u
p'ara, che Sanguineti (p. 262) traduce “Ma i più dolorosi, tra i fatti, qui sono
assenti, perché non è presente, qui, la visione”149.
Lo sguardo del messaggero si blocca e non riesce a carpire la fine della regina,
perché viene attirato da Edipo e dalla sua furia fuori controllo (vv. 1252-1254):
bo^wn gàr e;is'epaisen O;id'ipouj, :uf’o*u/ o;uk %hn tò ke'inhj e; kqe'asasqai
asasqai
kak'on/ ;all’e;ij eke^inon peripolo^unt’;ele'
ele'ussomen,
ssomen “Che cosa avvenne poi,
non lo so./ Non so come morì, la regina. Edipo/ irruppe nel palazzo urlando/ e
non riuscimmo a vedere la sua fine. Il nostro sguardo ora è su di lui […]”. A
questo punto gli occhi del messaggero accompagnano gli occhi di Edipo che forza
la porta della stanza regale. Tutti, anche gli spettatori con la loro immaginazione,
vedono (vv. 1263-1267): o*u d`h kremast`hn t`hn guna^ik’;ese'
ese'idomen,/plekta^
ij
domen
;e'wraij ;empeplegm'enhn< :o dè o
: rÙ nin, deinà bruchqeìj t'alaj,/ calÙ
kremat`hn ;art'anhn< ;epeì dè g^+/ #ekeito tl'hmwn, dein^a d’%hn t;anq'end’:or^
or^an,
n
“E lì vediamo la regina, appesa a un laccio/ di fili ritorti, che le stringeva il collo./
Impiccata./ La vede l’infelice re, e con un sordo gemito/ allenta il cappio che la
tiene appesa./ Quando il corpo della sventurata fu steso a terra, un altro evento
atroce si offriva ai nostri occhi”.
Il messaggero ora abbandona il campo visivo condiviso con Edipo, perché l’eroe
diviene nuovamente oggetto del suo sguardo (vv. 1270-1274): #araj #epaisen
#arqra t^wn a;uto^u k'uklwn,/
oyoit'o
klwn a;ud^wn toia^uq’, :oqo'unek’o;uk #oyoit'
nin/o#uq’o*i’#epascen o#uq’:opo^i’#edra kak'a,/ ;all’;en sk'ot_ tò loipòn o&uj
mèn o;uk #edei/:oyo'
oyo'iaq’,
aq’ o&uj d’#ecr+zen o;u gnwso'iato,
ato
“Dalle vesti della
sposa Edipo strappò/ le fibbie d’oro di cui era adorna/ e se le conficcò nelle
orbite, gridando:/ «così non vedrete i mali che ho patito,/ né quelli che ho inflitto
149
Credo sia importante ricordare qui le parole di Baldry 1972, p. 71: “Ciò che il pubblico di Atene
si aspettava di vedere, non era la violenza stessa, ma le sue conseguenze”.
122
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e; p'oyimoj
ad altri,/ e, per tutto il tempo che mi resta/ le tenebre vi nasconderanno coloro
che mai avrei dovuto vedere/ e quelli che invece avrei dovuto riconoscere» ”. Nel
verbo gnwso'iato si concentrano poi due modalità della vista, perché il
riconoscere implica sia il vedere fisicamente, che il vedere con la mente, che sarà
argomento di ulteriori sviluppi. In qualche modo in questo verbo, che è prima di
tutto un verbo di conoscenza, Edipo riassume e ammette il suo errore, confessa
di aver troppo visto e poco capito fino a quel momento. Secondo Longo150 il
primo relativo plurale sarebbe generalizzante e si riferirebbe alla madre, che
Edipo non avrebbe dovuto vedere (nell’intimità matrimoniale), mentre il secondo
a entrambi i genitori. Stella151, nel suo recente studio, lo attribuirebbe ai soli figli.
Io credo che invece questo primo plurale possa riferirsi tanto alla madre che ai
figli, tanto al m'iasma consumato con la madre, quanto alle sue conseguenze. Il
tò loip'on, l’indicazione del futuro (che dunque dovrebbe in teoria suggerirci
che Edipo non stia parlando della madre, e del padre, poiché sono entrambi
morti e i suoi occhi non li avrebbero comunque visti) non smentisce a mio avviso
il riferimento ai genitori, necessario per il secondo relativo, e alla madre in
particolare, insieme ai figli, quanto al primo o&uj. Edipo si infligge la punizione
che Atena riservò a Tiresia, gli occhi che hanno visto più di quello che è concesso
vengono privati della luce e in entrambi i casi, oltre che una punizione, sembra
anche un modo di cancellare la memoria visiva, come se essa risiedesse negli
occhi: toia^ut’;efumn^wn poll'akij te ko;uc !apax/ #hrass’;epa'irwn bl'efara
[…] “Così gridava imprecando e si colpiva gli occhi/ più e più volte”.
L’inarrestabile flusso del lessico visivo, che continuerà almeno per tutto il
secondo kommos, raggiunge un ultimo apice nelle parole del messaggero che
segna il passaggio dalla visione mentale dello spettatore alla visione fisica
150
151
Longo 2007, p. 287
Stella 2010, p. 290
123
e; p'oyimoj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
(meccanismo opposto a quello che subisce Edipo, il quale passa dalla visione
fisica a quella mentale), gli spettatori che non vedevano, vedono Edipo che non
vede più (vv. 1294-1296): de'ixei dè kaì so'i< kl^+qra gàr pul^wn t'ade
/dio'igetai<
q'eama
d’e;is'oyei
t'aca/toio^uton
o*ion
kaì
stugo^unt’;epoikt'isai, “Vedrai tu stesso. Ecco: si aprono le porte./ Fra poco
assisterai a uno spettacolo/ che muoverebbe a l pianto anche un nemico”. Come
sempre nella tragedia classica, si passa da un teatro di narrazione a un teatro
d’azione (moderata), dal racconto al dialogo.
Entra Edipo e il coro leva in anapesti il suo doloroso lamento, tutto all’insegna di
una continua allitterazione di
-d- e di -p-, senza dimenticare il riferimento
costante alla vista (vv. 1297-1299): %w deinòn ide^
;ide^in p'aqoj ;anqr'wpoij,/ w
%
dein'otaton p'antwn !os’;eg`w, “O strazio, strazio tremendo,/ il più atroce fra
quanti ho mai veduti!”. Il lessico della vista continua a comparire (v.1303
;eside^in, v. 1305 ;aqr^hsai) e le parole del coro in questa specie di chiusura che
precede il dialogo lirico con Edipo richiamano quelle con cui il messaggero aveva
aperto l’esodo, perché l’udito e la vista sono entrambi chiamati in causa: vv.
1223s.“Quali orrori dovrete ascoltare (;ako'usesqe)/quale spettacolo vedere
(e;is'oyesqe) coi vostri occhi”, v. 1312 “in un mare di sciagure,/ atroci da vedere
(;ep'oyimon) e da ascoltare (;akoustòn)”. Il kommos inizierà riprendendo ancora
il tema della vista e dell’ascolto, t'i d^ht’;emoì bleptòn $h/ sterkt'on, h
$
pros'hgoron/ #et’#est’;ako'uein :hdon^=, f'iloi> , “Per me non c’è più nulla da
contemplare/ con amore, nessuna voce da ascoltare/ con gioia”. Blept'on è
nuovamente uno hapax.
Alla fine di questa veloce ricognizione attraverso la prima parte dell’esodo, si può
ben constatare la centralità data da Sofocle al tema della vista, sia attraverso il
lessico,
sia
grazie
a
un
gioco
di
inquadrature
che
si
alternano.
124
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e; p'oyimoj
In questo contesto il nostro hapax rinforza indubbiamente l’impianto retorico
allestito da Sofocle, trascinando nel vortice intenso di questo momento forte
della tragedia anche lo spettatore più distratto. Per quanto si è detto a proposito
dell’uso che il poeta fa dell’aggettivo ;ep'oyioj, la scelta di un termine come
;ep'oyimoj potrebbe non essere dettata da una semplice ricerca d’effetto
all’interno di una costruzione tutta giocata sul lessico visivo, né, d’altra parte,
una costruzione “di comodo”, buona “per fare il verso”. Una più profonda scelta
semantica, capace di sottolineare ancor più la drammaticità della situazione,
potrebbe nascondersi dietro un tale composto, che sembra indicare la posizione
dell’oggetto guardato rispetto al soggetto che guarda. Lo stesso termine #epoyij
sembra indicare, in Erodoto (1.64.2) e Tucidide (7.71.2), la veduta che si ha da un
luogo più elevato su uno meno elevato (nel caso di Tucidide il luogo è anche più
sicuro, perché è la terraferma rispetto al mare su cui si svolge la battaglia). Maria
Grazia Ciani nella sua traduzione introduce l’immagine del “mare di sciagure”, in
qualche modo vicina all’#epoyij che le truppe di terra avevano sulla flotta
durante l’angosciante battaglia navale tra Siracusani e Ateniesi per come
Tucidide la racconta, in toni magnifici e toccanti.
“Il mare di sciagure” di Edipo non si può né vedere, né ascoltare. Il coro sembra
voler dire che la sventura di Edipo, la sua caduta, in una dimensione più bassa
dell’umanità, è insopportabile alla vista anche di chi la guarda dall’alto, insomma
degli uomini che non l’hanno subita, ma, perché no, anche forse a quei qeo'i
;ep'oyioi invocati da Filottete.
125
Gli hapax delle parti liriche
126
#apouroj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
#apouroj v. 194
#Are'a te tòn maleròn, !oj 190
n^un #acalkoj ;asp'idwn 191
fl'egei me perib'oatoj ;anti'azwn,
pal'issuton dr'amhma nwt'isai p'atraj
#apouron, e#it’;ej m'egan
q'alamon ;Amfitr'itaj, 195
e#it’;ej tòn ;ap'oxenon !ormon
Qr+kion kl'udwna<
Tele^in g'ar, e#i ti nùx ;af^+,
to^ut’;ep’^hmar #ercetai<
t'on, %w t^an purf'orwn ;astrap^an 200
kr'ath n'emwn, %w Ze^u p'ater, 201
:upò s^_ fq'ison keraun^_.
Traduzione Paul Mazon
Arès le Brutal renonce cette fois au bouclier de bronze. Il
vient, enveloppé d’une immense clameur, nous assaillir,
nous consumer.
Ah ! qu’il fasse donc volte-face, rebroussant chemin à
toute vitesse, ou jusque dans la vaste demeure
d’Amphitrite, ou jusque vers ces flots de Thrace où ne se
montre aucun rivage hospitalier !
Si la nuit a laissé quelque chose à faire, c’est le jour qui
vient terminer sa tàche. Sur ce cruel, ô Zeus Père, maître
de l’éclair enflammé, lâche ta foudre, écrase-le !
Traduzione Guido Paduano
Ares violento, che ora senza le armi di bronzo mi brucia
nell’urlo di guerra, deve correre indietro, via, lontano dalla
nostra terra; e un vento propizio lo porti alla grande casa
di Anfitrite o all’onde inospitali di Tracia.
Ora, se qualche orrore tralascia la notte, il giorno si
precipita a compierlo. Zeus padre, tu che amministri il
potere delle folgori, abbattilo sotto il tuo fulmine.
Traduzione Dario Del Corno
E Ares vorace, che ora
senza il bronzo degli scudi
mi assale urlante e mi brucia,
volga infine il suo corso via
dalla mia patria, verso il letto
vasto di Anfitrite,
o verso il mare di Tracia,
approdo ingrato per lo straniero.
Se alla notte sopravvive qualcosa,
per esso giunge infine il giorno.
Signore dei fulmini ardenti,
Zeus padre, stermina tu Ares
al colpo della tua fiamma.
Traduzione Salvatore Quasimodo
Strofe III
E ad Ares, il distruttore, che senza bronzo
di scudi, ora urlando mi assale e brucia,
volgi le spalle, in fuga inversa,
lontano dai confini della patria,
verso il vasto letto d’Anfitrite
o verso i flutti della Tracia,
ormeggio inospitale.
Perché su cosa che la notte tralascia,
per la sua fine, poi s’avventa il giorno.
O tu che reggi la forza dei lampi
Che portano il fuoco, o Zeus padre,
annienta Ares col fulmine.
Traduzione Edoardo Sanguineti
Traduzione di Maria Grazia Ciani
Ares il forte, che adesso, senza il bronzo degli scudi,
Ares, il dio della violenza,
mi brucia, aggredendomi, urlando,
che ora mi incendia assalendomi senz’armi
deve voltarle via, da questa patria, le sue spalle, in in mezzo alle grida di dolore –
precipitosa corsa,
volti le spalle alla mia terra
lontano, verso il grande
e torni a rituffarsi tra le onde
letto di Anfitrite,
nel gran letto di Anfitrite
o verso il flutto inospitale
o nel mare di Tracia
delle spiagge di Tracia:
dalle coste impervie e inospitali.
perché, se qualche cosa a noi lascia la notte,
(Quel che la notte ha risparmiato
viene il giorno, che ce la porta via.
E quello, tu che governi le forze
lo porta a compimento il giorno)
dei lampi, che portano il fuoco,
O Zeus , signore delle folgori di fuoco,
o padre Zeus, distruggilo sotto il tuo fulmine.
colpiscilo,padre, domalo con un tuo fulmine!
127
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
#apouroj
#apouroj v. 194
Questo termine è una varia lectio, Jebb non la accoglie, e legge invece #epouron
che compare nel codice L e sarebbe prodotto della prima mano, mentre
#apouron apparterrebbe a una mano successiva. La questione è dibattuta.
Insieme a Jebb anche Lloyd-Jones sostiene #epouroj mentre Dawe, Dain e Longo
leggono #apouroj.
Iniziamo allora a considerare la lezione #epouroj. Chantraine lo registra come
derivato inverso da ;epour'izw “soffiare”, che a sua volta si basa su o%uroj
“vento favorevole”. #epouroj, significherebbe dunque “che soffia favorevole”.
Jebb traduce così il testo:
“And grant that the fierce god of death, who now with no brazen shields, yet
amid cries as of battle, wraps me in the flame of his onset, may turn his back in
speedy flight from our land, borne by a fair wind to the great deep of
Amphitritè”.
Jebb osserva in nota che “#epouron=;epouriz'omenon (ironical)”, il vento sarebbe
cioè non favorevole per Ares, ma piuttosto per la città. La soluzione è suggestiva
e non priva di fondamento. #epouroj non è uno hapax e tuttavia compare per la
prima volta in Sofocle per poi riapparire solo con Clemente Alessandrino, mentre
in Esichio (s.v.) troviamo solo la definizione e%idoj ;icq'uoj (“tipo di pesce”). In
breve, sebbene non sia uno hapax, questo vocabolo gode solo di due occorrenze,
a distanza di secoli l’una dall’altra.
Sofocle se ne serve nelle Trachinie (v. 954):
e#iq’;anem'oess'a tij g'enoit’#epouroj :esti^wtij a#ura,
!htij m’;apoik'iseien ;ek t'opwn, !opwj
tòn Zhnòj #alkimon g'onon
m`h tarbal'ea q'anoimi
mo^unon e;isido^us’#afar
Il respiro del vento, il turbine
mi travolga lontano da qui!
Il figlio di Zeus,
non voglio morire
per il terrore, nel vederlo:
sinistro spettacolo
il suo ritorno a casa,
groviglio di dolore irrimediabile.
2
Trad. Albini-Faggi 2007 , p. 343
128
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
#apouroj
Le donne di Trachis nel quarto stasimo cantano il loro dolore per la perdita di
Eracle e di Deianira, che si è da poco data la morte con un pugnale, come ha
raccontato la nutrice. Il vento è un’immagine lirica, nell’Edipo re servirebbe ad
allontanare il male dalla patria, nelle Trachinie al contrario il coro vorrebbe che il
vento lo allontanasse dalla patria per non vedere le tragedie che si sono
consumate.
La situazione cambia nettamente se si accetta lo hapax #apouroj.
Questo semplice scambio di iniziale, provocherebbe tuttavia, secondo Jebb e
Dawe, una riconsiderazione dell’etimologia del termine. #apouroj deriverebbe
infatti da ;apò + !oroj (ion. o%uroj, la forma attica #aforoj non era in uso, se
non come derivato di f'erw) e assumerebbe dunque il senso di “lontano dai
confini”, perfetto anch’esso in questo contesto. La veste ionica non porrebbe poi
alcun problema, poiché Sofocle si serve spesso di ionismi e qui siamo inoltre in
ambito lirico.
Il Buck-Petersen registra numerosi composti con !oroj/o%uroj al secondo
membro, ne riportiamo alcuni:
d'ioroj “pietra usata nel gioco ;efedrism'oj”(Poll. 9.119, Hsch.), per'ioroj
“segnato da una pietra di confine” (Eust. 1535.40), thlour'oj “che ha confini
lontani”(Aesch. Pr. 1 e 807; Eur. Andr. 889, Or. 1325, Ap. Rod. 2.543), !omoroj
“limitrofo di, adiacente a”(in Hdt., Thuc., Xen., Aristot., etc.), pros'omouroj
“adiacente, limitrofo” (Hdt. 4.173), s'unoroj “confinante” (Aesch. Ag. 495,
Aristot. etc…), ;as'unoron (Hsch.), #exoroj=;ex'orioj “esiliato” (Poll. 6.198),
pr'osoroj/pr'osouroj “confinante”(in Hdt. 2.18 etc., Soph. Phil. 691),
m'essoroj “pietra di confine” (Tab. Heracl. I. 63, 69), #antoroj forma dialettale
129
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
#apouroj
di #anqoroj “confine opposto” (Tab. Heracl. I. 60), e;uq'uoron (EM 391.48,
Phot.), #agcouroj “vicino” (Lyc. 418 etc.).
Un primo sguardo a questa lista ci conferma quanto già detto sugli ionismi.
Anzitutto il termine thlour'oj che compare in tragedia con Eschilo e Euripide e
in epica con Apollonio Rodio, ma soprattutto pr'osoroj che compare nella
forma ionica solo in Erodoto (2.18.2; 3.97.2 etc.) e Sofocle (Phil. 691).
Passiamo in veloce rassegna i passi tragici richiamati dai numerosi composti. Nel
Prometeo di Eschilo il thlour'on p'edon (v.1) è il luogo in cui si trova Prometeo e
la thlour'oj g^h (v. 807) indica “i confini della terra” ai quali arriverà Io nelle sue
peregrinazioni. In Euripide compare nell’Andromaca (889) per indicare Ermione,
cara ad Oreste, pur abitando “lontana”, ed è sempre Ermione che trovandosi
“lontana” (Or. 1325) ha udito il grido di Elettra, condannata a morte insieme ad
Oreste dalla città. x'unouroj nell’Agamennone (495) è attributo della polvere
(k'onij) “vicina del fango” (phlo^u x'unouroj diy'ia k'onij).
Paradossalmente, il nostro hapax è appoggiato da una maggiore tradizione di
composti rispetto al termine #epouroj, che è unico nel suo genere, ma ciò non è
significativo in questo caso.
Le due lectiones sono entrambe possibili, lo hapax #apouron si legherebbe al
p'atraj che precede (“lontano dai confini della patria”), #epouron, “spinto da
un buon vento”, sarebbe riferito ad #Area e si legherebbe al successivo e; j
m'egan/q'alamon ;Amfitr'itaj. La differenza maggiore con il passo delle
Trachinie è che qui il significato di #epouroj passerebbe di colpo da attivo a
passivo e questo aspetto non convince molto; inoltre non sembra ragionevole, in
questo punto dell’Edipo re, l’uso di ironia, il tono dello stasimo è tutt’altro che
ironico. C’è da aggiungere una certa predominanza dell’allitterazione in ;a in
quest’antistrofe, legata anche al gioco pa-ap e inoltre con il nostro hapax il
130
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
#apouroj
suffisso ;apò verrebbe a ripetersi ben tre volte nella singola strofe (#apouron,
#ap'oxenon, #af^+).
Forse questi non sono argomenti sufficienti a sostenere questa lezione a
discapito di #epouroj, ma #apouroj è anche lectio difficilior.
Certo nelle parti liriche gli hapax sono forse meno significativi, perché hanno
spesso un semplice compito stilistico di elevazione dello stile, tuttavia qui non si
deve sottovalutare il forte valore ‘apo-tropaico’ della preghiera del coro.
131
; gla'wy
a
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
; gla'wy v. 213
a
L'ukei’#anax, t'a te sà crusostr'ofwn ;ap’ ;agkul^wn 204
b'elea q'eloim’ $an #ad'amast’ ;endate^istai 205
;arwgà prostaq'enta t'aj te purf'orouj
;Art'emidoj a#iglaj, xùn a*ij
L'uki’#orea di^=ssei<
tòn crusom'itran te kikl'hskw,
t^asd’;ep'wnumon g^aj, 210
o;in^wpa B'akcon e#uion,
Main'adwn :om'ostolon
pelasq^hnai fl'egont’;agla^
agla^wpi “-u-” pe'uk= ’pì tòn 214
;ap'otimon ;en qeo^ij qe'on. 215
Traduzione Paul Mazon
Et toi aussi, dieu Lycien, je voudrais voir les traits partis de
ton arc d’or se disperser, invincibles, pour me secourir,
pour me protéger, en même temps que ces flambeaux
dont la lueur illumine Artémis, quand elle court,
bondissante, à travers les monts de Lycie. J’appelle enfin le
dieu au diadème d’or, celui qui a donné le nom à mon
pays, le dieu de l’évohé, Bacchos au visage empourpré, le
compagnon des Ménades errantes. Ah ! qu’il vienne,
éclairé d’une torche ardente, attaquer le dieu à qui tout
honneur est réfusé parmi les dieux !
Traduzione Guido Paduano
Apollo Liceo, vorrei che dalla corda d’oro ritorta
diffondessi i tuoi dardi invincibili a nostra difesa; e così le
fiaccole lucenti con cui artemide percorre i monti della
Licia. E invochiamo anche il dio dalla mitra d’oro che ha
dato il nome a questa terra: Bacco, dio del vino, compagno
delle Menadi, si avvicini con la torcia ardente […] contro il
dio che tra gli dei non ha onore.
Traduzione Edoardo Sanguineti
O signore della Licia, dalle tue curve corde d’oro
lancia, ti prego, le indomabili frecce,
scagliale a soccorso, e le torce
di Artemide, che portano il fuoco,
che con quelle percorre le montagne della Licia.
E invoco il dio con la mitra d’oro,
che ha il suo nome da questa regione,
il vinoso, il rumoroso Bacco,
che isolato dalle Menadi
si accosti soccorrevole,
con le sue ardenti fiaccole lucenti,
contro il dio che tra gli dei non ha onore.
Traduzione Dario Del Corno
Apollo Liceo, potessi vedere
le tue saette invincibili scattare
dalla corda dorata dell’arco
a proteggermi, e protese a difesa
le torce infocate di Artemide, che fanno luce alla dea
nelle sue corse per i monti di Licia.
E il dio dalla mitra d’oro invoco,
che ha dato nome alla mia terra,
Bacco, cui il vino arrossa il volto,
compagno delle Menadi,
perché si avventi
con la fiamma dei pini
contro il dio senza onore fra gli dei.
Traduzione Salvatore Quasimodo
O Apollo Liceo,
vorrei che i tuoi dardi inesorabili,
dalla corda d’oro dell’arco
fossero lanciati per difenderci,
e poste innanzi
le torce ardenti con le quali Artémide
corre per i monti della Licia.
E il dio dalla mitra d’oro, pure invoco,
che ha nome da questa terra,
Bacco dal viso colore del vino,
compagno delle Menadi:
anche il dio felice s’avvicini
col pino fiammeggiante
contro il dio odioso agli altri dèi.
Traduzione di Maria Grazia Ciani
O Apollo, signore dei lupi,
dalle corde tese del tuo arco d’oro
spargi le tue frecce immortali,
e tu, Artemide, che sui monti della Licia
corri con fiaccole di fiamma…
e te invoco, Bacco,
dio dalla mitra d’oro,
signore di questa nostra città,
Bacco color di porpora
Compagno della Menadi:
vieni con la tua torcia ardente
contro questo dio,
che tra gli dei è il più odiato.
132
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
; gla'wy
a
; gla'wy v. 214
a
Questo hapax è un composto possessivo, esito dell’unione dell’aggettivo
;agla'oj “lucente” e del sostantivo #wy “viso, occhio”. Il senso dovrebbe essere
più o meno quello di “dall’occhio lucente” oppure più sinteticamente i lessici
registrano “splendente”.
Siamo ancora nella parodo, ormai agli ultimi versi. Il coro, in preda alla
disperazione per quanto sta avvenendo nella città, ha invocato, tra gli altri, i due
figli di Latona, Apollo e Artemide, e ha concluso la preghiera rivolgendosi anche a
Bacco. Il coro ha dunque tentato un’operazione invocatoria a tutto tondo, nella
speranza di allontanare dalla città Ares, il dio privo di onore tra gli dei. Come i
commentatori ricordano, questa visione negativa di Ares è già presente in
Omero, in Iliade (5.890) quando Zeus rivolgendoglisi afferma: #ecqistoj d'e mo'i
;essi qe^wn o!i # Olumpon #ecousin. Ares, pur senza armi, starebbe mettendo a
ferro e fuoco la città.
Entrambi i membri del composto hanno avuto una certa fertilità nella
composizione lessicale greca. Si possono reperire molti vocaboli con ;agla'oj al
primo membro, eccone alcuni:
;agla'obotruj “dagli splendidi grappoli” (Nonn. Dionys. 18.4), ;agla'oguioj
“dalle belle membra” (Pind. N. 7.4), ;agla'odendroj “dai begli alberi” (Pind. O.
9.20), ;aglaoqhl'ej “tenero, delicato” (Hsch.), ;agla'oqronoj “dallo splendido
trono” (Pind. O. 13.96, N. 10.1, Bacchyl. 17.124), ;agla'okarpoj “dagli splendidi
frutti” (Od. 7.115, etc.), ;agla'okolpoj “dallo splendido seno” (Pind. N. 3.56),
;agla'okouroj “dalla splendida gioventù”(Pind. O. 13.6 ), ;agla'okwmoj “che dà
splendore alla festa” (Pind. O. 3.6), ;agla'omhtij “di rara saggezza” (Greg. Carm
133
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
; gla'wy
a
1.2.339.3 etc.), ;agla'omorfoj “di belle forme” (A.P. 5.199.1 etc. ), ;agla'opaij
“dai bei ragazzi” (Opp. 2.41), ;agla'ophcuj “dalle splendide braccia” (Nonn.
Dionys. 32.80), ;agla'opistoj “splendidamente fedele” (Hsch.), ;aglaotr'iaina
“signore dal risplendente tridente” (Pind., O. 1.40), ;agla'ofortoj “che reca uno
splendido carico” (Nonn. Dionys. 7.253), ;aglaoca'itaj “dalla splendida chioma”
(Pind. Pae. 7e.2).
Nello scorrere questa lunga lista di composti è possibile mettere in rilievo alcuni
aspetti: principalmente si tratta di poesia, dall’epica omerica, alla lirica di Pindaro
e di Bacchilide, dall’Antologia Palatina alle Dionisiache di Nonno di Panopoli; la
tragedia e la commedia non compaiono mai, se non con questo passo di Sofocle.
D’altro canto va notato che questi composti sono spesso epiteti divini o, come
nel nostro caso, hanno una stretta relazione con il divino, che gode non di rado di
caratteristiche legate allo splendore e alla luce.
Il Buck-Petersen ci aiuta poi a reperire i composti in cui al secondo membro
compare #wy, ne riportiamo alcuni:
;ala'wy “cieco” (Synes. Hymn. 1.584), flog'wy “fiammeggiante” (Aesch. Pr.
791), gorg'wy “dallo sguardo terribile” (Eur. El. 1257, Or. 261), ;elik'wy “dallo
sguardo vivace”(Il. 1.389 etc.), tetraelik'wy (Hsch.), glauk'wy “dagli occhi
splendenti” (Pind. O. 6.45, P. 4.249 etc.), ;ambl'wy “offuscato” (Soph. fr. 1001
Radt, Eur. Rh. 737, etc.), sugk'uklwy “compagno del Ciclope” (Eustath.
1622.49), misok'uklwy “che odia i Ciclopi” (Eust. 1643.22), n'wy (Hsch.) “che
non vede”, kelain'wy “dal nero aspetto” (Pind. P. 4.212), dein'wy “dallo
sguardo terribile” (Soph. OC 84), o;in'wy “del colore del vino” (Soph. OT 211),
mon'wy/moun'wy “che ha un solo occhio” (Eschl. Pr. 804, Eur. Cycl. 21, etc.),
134
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
; gla'wy
a
crus'wy “splendente come oro” (Eur. Bacch. 553), e;u'wy “di bell’aspetto”
(Soph. Ant. 530, OT. 189), polu'wy “tutto traforato” (A.P. 6.65.9, 9.765.3),
m'uwy “miope” (Aristot. Rh. 1413a4, etc.).
Forse la necessità visiva del teatro ha fatto sì che vi fossero così numerose
occorrenze tragiche di composti con #wy, d’altronde uno degli aspetti principali
della tragedia greca è l’importanza della descrizione visiva, laddove non sia
possibile la visione, potremmo parlare di una sorta di ipotiposi.
Anche questo tipo di composti risale a Omero, ;el'ikwy è un epiteto tipico degli
Achei e lo incontriamo già in Il. 1.389, ma per l’appunto è riferito a esseri umani.
Pindaro poi ci offre anche in questo caso degli esempi come glauk'wy riferito a
serpenti sia in O. 6.45 che in P. 4.249, o kelain'wy, per indicare i colchi “dal nero
volto” in P. 4.212. Passiamo quindi ai passi tragici per trovare in Eschilo il
composto flog'wy (Pr. 791) “fiammeggiante”, che ricorda il nostro hapax, ed
indica i raggi del sole sorgente, mo'unwy “con un occhio solo”, riferito ai cavalieri
Arimaspi in Pr. 804 (Erodoto d’altronde in IV.27 ci offre un’etimologia in lingua
scitica per cui “arima” significherebbe “uno”e “spu” “occhio”), lo stesso epiteto è
riferito da Euripide al Ciclope nell’omonimo dramma satiresco (v. 21). Euripide
poi impiega gorg'wy, “dallo sguardo terribile”, riferito al k'uklon (El. 1257), il
cerchio dello scudo di Atena, su cui era rappresentata la Gorgone capace di
allontanare le Erinni da Oreste, mentre nella tragedia Oreste (261) il protagonista
attribuirà quest’epiteto alle Erinni stesse. Nel Reso (737) gli occhi (a;uga'i) del
coro sono ;ambl^wpej “offuscati”. Interessante è il caso di Baccanti 553 in cui il
coro riferisce il termine crus'wy, “splendente come oro” a un altro oggetto
tipico di Bacco: il tirso.
135
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
; gla'wy
a
Infine prendiamo in considerazione i passi di Sofocle stesso: intanto dein'wy
“dallo sguardo terribile” riferito ancora una volta alle Erinni, nel cui santuario si è
fermato Edipo in OC 84, poi ;eu'wy “di bell’aspetto” aggettivo attribuito dal coro
al volto (parei'a) di Ismene (Ant. 530), e invece a un concetto astratto l’;alk'h, l’
“aiuto” (di Atena) in OT 189. Un discorso a parte, come vedremo fra poco, merita
o;in'wy di OT 211.
Quel che subito va osservato è che in tragedia, a differenza che nell’epica e nella
lirica precedenti, i composti in -wy vengono riferiti non solo ad essere animati,
ma anche ad oggetti inanimati, come è il caso dei raggi solari in Eschilo (Pr. 791),
del tirso in Euripide (Bacch. 553), del soccorso di Atena (OT 189) o della torcia
fatta di legno di pino nel passo sofocleo in questione: oggetti inanimati o
addirittura concetti astratti, benché legati alla sfera del divino.
Ѐ bene notare poi che se i composti tragici sono dello stesso tipo dell’epica e
della lirica, tuttavia, per quel che ne sappiamo, non sono mai gli stessi, come dire
che il riferimento in questo caso sembrerebbe solo stilistico, ma secondo una
rivisitazione tragica capace di spostare certe caratteristiche visive (l’aspetto, lo
splendore) da un piano animato, a un piano anche inanimato e persino astratto.
Tornando ai versi della parodo dell’Edipo re, i commentatori chiamano a
confronto le Baccanti di Euripide (che sono successive all’Edipo re) e in
particolare i versi della parodo (v. 145): […] :o Bakceùj ;an'ecwn/purs'wdh
fl'oga pe'ukaj ;ek n'arqhkoj (“Bacco solleva nel suo tirso/ la fiamma ardente
del pino” trad. Sanguineti) e Dodds nel suo commento richiama anche lo Ione
(716) B'akcioj ;amfip'urouj ;an'ecwn pe'ukaj.
136
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
; gla'wy
a
Se da un lato sono importanti gli aspetti intertestuali su cui ci porta a ragionare
ogni singolo termine, il livello linguistico nel quale si pone, la tradizione in cui si
inserisce, è, credo, altrettanto importante prestare attenzione, specialmente
nelle parti corali, agli strumenti retorici messi in atto dal poeta.
Nel passo preso in considerazione il nostro hapax ;agla'wy (v. 214) è in evidente
correlazione con il precedente o;in^wpa:
L'ukei’#anax, t'a te sà crusostr'ofwn ;ap’ ;agkul^wn 204
b'elea q'eloim’ $an #ad'amast’ ;endate^istai 205
;arwgà prostaq'enta t'aj te purf'orouj
;Art'emidoj a#iglaj, xùn a*ij
L'uki’#orea di^=ssei<
tòn crusom'itran te kikl'hskw,
t^asd’;ep'wnumon g^aj, 210
o;in^wpa B'akcon e#uion,
Main'adwn :om'ostolon
pelasq^hnai fl'egont’;;agla^wpi “-u-” pe'uk= ’pì tòn 214
;ap'otimon ;en qeo^ij qe'on. 215
Qui è presente una figura etimologica di un certo effetto, perché costruita con
due composti decisamente rari, che da un lato contribuiscono all’elevazione
dello stile, dall’altro hanno un fortissimo potere icastico che aiuta a riassumere in
pochi versi alcuni punti cardine di un culto fatto di vino, ma anche di fuoco152.
Questo hapax non ha dunque grande rilievo tematico, anche se si potrebbe
riflettere sulla radice :op- e riferirsi a quanto c’è nella tragedia di legato al vedere
152
2
Cfr. Burkert 2003 , pp. 155ss.
137
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
; gla'wy
a
e al non vedere, sul lessico della luce e della tenebra, ma l’interesse dello hapax
è qui più strettamente retorico.
138
qespi'epeia
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
qespi'epeia v. 463
str. a’
CO. t'ij !ontin’ :a qespi'epeia Delf`ij e%ipe p'etra
#arrht’;arr'htwn tel'esanta foin'iaisi cers'in>
!wra nin ;aell'adwn
!ippwn sqenar'wteron
fug^^= p'oda nwmân.
#enoploj gàr ;ep’a;ut`on ;epenqr'_skei
pur`i ka`i steropaîj :o Di`oj gen'etaj<
deina`i d’!am’!epontai
K^hrej ;anapl'akhtoi.
Traduzione Paul Mazon
Traduzione Dario Del Corno
Quel est donc celui qu’à Delphes a désigné la roche
prophétique comme ayant de sa main sanglante
consommé des forfaits passant tous les forfaits ?
Voici l’heure pour lui de mouvoir dans sa fuite des jarrets
plus robustes que ceux de ces cavales qui luttent avec les
vents. Déjà sur lui le fils de Zeus s’élance, armé de flammes
et d’éclairs, et sur ses traces courent les déesses de mort,
les terribles déesses qui jamais n’ont manqué leur proie.
Chi è l’uomo che la parola di dio
dalla rupe di Delfi accusa
di avere compiuto con mani di sangue
il più nefando di tutti gli atti?
Ѐ tempo per lui di fuggire più rapidamente
che i cavalli nati dal vento.
Contro di lui s’avventa
il figlio di Zeus con fuoco di fulmini,
e tremende lo seguono
le Furie implacabili.
Traduzione Guido Paduano
Traduzione Salvatore Quasimodo
Chi è colui che la Pietra profetica di Delfi accusa di avere
compiuto, con mani lorde di sangue, i più indicibili delitti?
Per lui è tempo di fuggire con piede più rapido dei cavalli
del turbine. Contro di lui muove in armi, col fuoco, con le
folgori, il figlio di Zeus e lo seguono, tremende, le
inesorabili dee del destino.
Coro
Strofe I
Chi la rupe di Delfo, voce del dio,
accusa d’indicibile violenza
compiuta con mani di sangue?
Ora, per lui, è tempo
di fuggire più di cavallo in corsa di bufera.
Già l’assale con fulmini e fuoco
il figlio di Zeus, e le tremende Furie
inesorabili seguono il dio.
Traduzione Edoardo Sanguineti
Traduzione di Maria Grazia Ciani
CORO Chi è che la roccia profetica di delfo ha detto che ha
compiuto,
con mani sanguinose, la cosa, tra le indicibili, indicibile?
Ѐ tempo che quello più impetuoso
dei tempestosi cavalli,
agiti in fuga il suo piede.
Perché armato, addosso, si avventa,
con il fuoco e con i lampi, il figlio di Zeus,
e terribili, insieme, lo seguono,
le divinità fatali infallibili.
Chi è mai quest’uomo
che la rupe di Delfi
ispirata dal dio
ha dichiarato artefice
di fatti inenarrabili,
di spaventosi delitti?
Ora è il momento
che si dia alla fuga
come un cavallo lanciato in corsa.
Su di lui si scaglia Apolo, figlio di Zeus,
armato di folgori infuocate
e le divinità della morte lo seguono, tremende,
le Chere che non falliscono mai.
139
qespi'epeia
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
qespi'epeia v. 463
Di nuovo il fato in questo primo stasimo. Tiresia ha prodotto la sua verità dei fatti
e ora il coro, pieno di perplessità, si agita sollevando interrogativi, fino a tirare in
ballo, pur con toni moderati, la querelle che investe la figura dell’indovino.
Lo hapax qespiépeia è un aggettivo formato su q'espij e #epoj e significa
letteralmente “la cui parola è ispirata dagli dei”. Questo termine rientra
perfettamente nel campo semantico della divinazione così centrale in questa
tragedia. Nella prima strofe il coro si domanda chi sia mai l’uomo indicato dalla
profetica rupe di Delfi e lo invita a fug^= p'oda nwm^an, “volgere il piede in fuga”,
annunciando anche la furia di Apollo e delle Chere. Nell’antistrofe il coro descrive
il fuggiasco, che cerca di evitare i vaticini, ma cammina m'eleoj mel'e_ podì
“misero, con misero piede”. Nella seconda strofe gli anziani esprimono la loro
cauta incredulità rispetto alle parole di Tiresia, è come se sostenessero una
“presunzione di innocenza” di fronte all’assenza di prove contro Edipo.
Nell’antistrofe il coro afferma il principio della fallibilità interpretativa degli
uomini insieme all’infallibilità della parola divina e ricorda il ruolo di Edipo nella
liberazione della città dalla piaga della sfinge. Nel breve spazio di uno stasimo si
articola un ragionamento abbastanza preciso, in cui partendo dalla premessa che
c’è
un
colpevole
sconosciuto,
si
arriva
ad
affermare
la
fallibilità
dell’interpretazione di Tiresia e si rafforza con l’argomento della sfinge la difesa
di Edipo, come a dire che l’indagine è ancora aperta.
In questo contesto in cui le parole del coro sembrano misurate con grande
equilibrio, si staglia il nostro unicismo.
Longo nel suo commento richiama l’espressione omerica q'espij ;aoid'oj
“cantore divino” (Od. 17.385).
140
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
qespi'epeia
Uno dei composti paralleli, al cui primo membro compaia q'espij è l’omerico153
qespida'hj, “acceso da un dio”, che gode di ben otto occorenze (Il. 12.177, 441,
15.597, 20.490, 21.342, 381, 23.216; Od. 4.418). In tutti questi passi l’aggettivo si
riferisce al p^ur, al fuoco e ne sottolinea la natura prodigiosa, l’origine divina.
L’altro composto interessante è qespi_d'oj, che, per quanto consta, fa la sua
comparsa in tragedia (Aesch. Ag. 1134, Soph. fr. 456, Eur. Med. 668, Hel. 145).
Eschilo con il suo linguaggio ricco, ricchissimo, nel kommos tra Cassandra e il
coro fa reagire in questi termini gli anziani:
CO.
o;u komp'asaim’$an qesf'atwn gn'wmwn #akroj 1130
e%inai, kak^_ d'e t_ proseik'azw t'ade.
;apò dè qesf'atwn t'ij ;agaqà f'atij
broto^ij t'elletai> kak^wn gàr diaì
poluepe^ij t'ecnai qespi_d^wn
f'obon f'erousin maqe^in. 1135
CORO
Non posso certo vantarmi esperto giudice di oracoli,
ma queste profezie io le rassomiglio a un presagio funesto.
Ma dai vaticini quale buona nuova
viene mai ai mortali? Per mezzo di sventure
le arti di molte parole degli indovini
portano solo a imparare la paura.
2
Trad. Medda 1997 , p. 321
Qui la critica del coro non investe le capacità degli indovini, quanto i contenuti
sempre negativi dei loro vaticinii e l’osservazione non sorprende dal momento
che la vaticinante è Cassandra. In questi pochi versi Eschilo insiste moltissimo sul
lessico divinatorio, intensificando così il presagio del coro: qesf'atwn gn'wmwn,
qesf'atwn, t'ecnai qespi_d^wn.
Sofocle parla, nel frammento 456 Radt, di tàj qespi_doùj :ier'eaj Dwdwn'idaj,
cioè delle “profetiche sacerdotesse di Dodona”. Si tratta di uno dei frammenti
dell’ ;Odusse'uj ;akantopl'hx (frr. 453-461 Radt), che concernono l’oracolo di
Dodona154, presente già nelle Trachinie, e in effetti tale oracolo ha forse predetto
ad Ulisse che sarebbe morto per mano del figlio, cioè di Telegono, nato
153
Una recente riflessione sull’influenza omerica nella lingua sofoclea è quella di Davidson 2006.
Cfr. Jebb 1917, pp. 112s. e in generale sull’oracolo di Dodona l’appendice di Jebb alle
Trachinie, 1892, pp. 200 ss.
154
141
qespi'epeia
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
dall’unione con Circe. Divertente, ma certo casuale, parallelo con la storia di
Edipo questo oracolo che predice il parricidio. L’interesse è soprattutto
nell’attestazione di tale termine nei tre tragici, che lo riferiscono sempre a un
contesto mantico (Euripide in Medea lo attribuisce all’ ;omfal'oj di Delfi, in
Elena a Teonoe, la sacerdotessa egiziana), non è più la descrizione eziologica di
un fenomeno naturale, come qespida'hj, riferito al solo fuoco, ma investe il
campo della mediazione tra uomo e dio.
Il Buck-Petersen invece registra, oltre al nostro, altri 16 composti di épeia.
Il più antico che conosciamo è ;artiépeia, uno hapax di illustre occorrenza,
perché compare in Esiodo, nella Teogonia (vv. 26s.) e segue quella che
potremmo definire la prima dichiarazione di poetica della storia della letteratura
occidentale:
«poim'enej #agrauloi, k'ak’;el'egcea gast'erej o%ion,
“O pastori, che avete i campi per casa, obbrobrio, solo ventre;
#idmen ye'udea pollà l'egein ;et'umoisin :omo^ia,
noi sappiamo dire molte menzogne simili al vero,
#idmen d’e%ut’;eq'elwmen ;alhq'ea ghr'usasqai».
ma sappiamo, quando vogliamo, cose vere cantare”.
&wj #efasan ko^urai meg'alou Diòj a
; rti'epeiai
Così dissero le figlie del grande Zeus, abili nel parlare.
2
Trad. Arrighetti 2007 , pp.3s.
Anche in questo caso ci troviamo nell’ambito della relazione tra uomo e divinità,
le muse parlano al poeta e il poeta è un mediatore, un profeta che riferisce
quanto le muse gli suggeriscono.
A ben vedere tuttavia questo termine si può ricondurre all’aggettivo,
normalmente a due uscite, ;artiep'hj che troviamo in Iliade 22.281, uno dei
passaggi più determinanti del poema: lo scontro tra Achille ed Ettore. Qui l’eroe
troiano si serve dell’aggettivo ;artiep`hj per offendere il nemico, dunque gli dà la
connotazione negativa di “chiacchierone”. Lo stesso termine compare poi in
Pindaro (O. 6.61, I. 5.46), ma con accezione positiva.
142
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
qespi'epeia
Ancora centrale è il termine e;u'epeia, perché compare, per la prima volta, in
Sofocle e precisamente nell’Edipo re, nel terzo episodio, quando Giocasta
accoglie il messaggero, latore della notizia della morte di Polibo, e rispondendo al
suo augurio di felicità lo ricambia per il suo “buon parlare”, la e;u'epeia (v. 932).
Importante, come sottolinea Longo155, il valore augurale delle parole per i Greci,
tuttavia forse più importante a livello drammaturgico l’ironia tragica sottesa
all’e;u'epeia del messaggero: davvero Giocasta non sa quanto di lì a poco
travolgerà lei e la casa.
Tutti gli altri composti riportati dal Buck-Petersen, benché testimonino una certa
produttività, compaiono tuttavia in contesti non poetici e successivamente a
Sofocle.
Tornando a qespi'epeia, è notevole, e si richiama a quanto già osservato a
proposito di ;artiep'hj, quel che Davidson scrive:
Next, he draws attention to Sophocles’use (unique in extant tragedy) in the first line of the OT
parodos (151) of the Homeric :hduep'hj (used, as a hapax, of Nestor at Iliad 1.248), pointing out
that this is then echoed by qespi'epeia in the opening line of the OT first stasimon (463), which,
like the parodos, begins with a question about the significance of the oracular utterance from
Delphi.
(Davidson 2006, p. 36)
In effetti sembra davvero esserci un richiamo interno, di significante e significato,
tra la Diòj ;aduep`hj f'atij della parodo, “la voce dalla dolce parola di Zeus”, il
cui responso è arrivato da Delfi a Tebe tramite Creonte, e la nostra qespi'epeia
Delf'ij p'etra, “la rocca fatidica di Delfi”. ;hduep'hj, come nota Davidson, che
poi si richiama a Garner156, compare in Omero (Il. 1.248), ma anche in Esiodo (Th.
965; 1021) e Pindaro (N. 1.4, 7.21; O. 10.93): Omero lo riferisce a Nestore, Esiodo
155
156
Longo 2007, p. 236.
Garner 1990, pp. 136s.
143
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
qespi'epeia
alle Muse e Pindaro rispettivamente a Ortigia, Omero e alla lira.
Nella scelta di un termine che gode di paralleli così illustri in poesia, c’è senza
dubbio l’opzione del poeta per un registro elevato che si adatti al contesto lirico
dello stasimo. Più preciso sembra il riferimento al kommos eschileo, quasi fosse
la prosecuzione di un dibattito sul ruolo degli oracoli. Qui qespi'epeia sembra
assumere particolare rilevanza nella distinzione tra oracolo e interpretazione
dello stesso. Il coro incredulo, ma mai empio, riafferma la matrice divina degli
oracoli, la rocca di Delfi è “ispirata dal dio”, mentre gli indovini sono comunque
umani e possono sbagliare.
144
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
o;iwnoq'etaj
o;iwnoq'etaj v. 483
Deinà mèn o%un, deinà tar'assei
sofòj o;iwnoq'etaj,
taj
o#ute doko^unt’o#ut’;apof'askonq’<
!o ti l'exw d’;apor^w. 485
p'etomai d’;elp'isin o#ut’ ;enq'ad’:or^wn o#ut’;op'isw. 487
Traduzione Paul Mazon
Sans doute il me trouble, me trouble étrangement, le sage
devin. Je ne puis le croire ni le démentir. Que dire? Je ne
sais. Je flotte au vent de mes craintes et ne vois plus rien ni
devant ni derrière moi.
Traduzione Dario Del Corno
Terribile, terribile mi agita
il sapiente che conosce la verità:
non gli credo, né gli nego fede,
e non ho parole.
Mi tengono sospeso i miei pensieri
Non vedo il presente, non il futuro.
Traduzione Guido Paduano
Mi sconvolge, mi sconvolge orrendamente l’esperto
augure Tiresia; ciò che dice non posso né accettarlo né
respingerlo. Non so che dire. Sulle ali dell’attesa non vedo
né il presente né il futuro.
Traduzione Salvatore Quasimodo
Il saggio indovino mi tormenta
con forte paura: e non so accogliere o allontanare la sua
voce. E non ho parole.
E sono inquieto nell’attesa,
ignorando il presente ed il futuro.
Traduzione Edoardo Sanguineti
Traduzione di Maria Grazia Ciani
Terribili, dunque, terribili cose agita il sapiente interprete Le parole del saggio sacerdote
degli uccelli,
mi turbano, mi sconvolgono
cose che non affermano e non negano: e io dubito nelle mie orribilmente.
parole,
Non posso credere,
io che vedo con le mie speranze, e non vedo davanti né e non posso non credere:
indietro.
non so che cosa dire.
Sospeso nell’attesa
non mi è chiaro il presente,
mi è oscuro il passato.
145
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
o;iwnoq'etaj
o;iwnoq'etaj
taj v. 483
Questo hapax è ovviamente in stretta continuità con il precedente: o;iwn'oj
significa “uccello” e in particolare Chantraine ci dice che in Omero e nei poeti lo
troviamo con il senso di “uccello che annuncia l’avvenire” e l’o;iwnoq'ethj è
l’“interprete del volo o del canto degli uccelli”. L’importanza del termine nel
campo della mantica è sottolineata dal verbo o;iwn'izomai e dai composti,
sinonimi, in cui compare al primo membro: o;iwn'omantij, o;iwnop'oloj,
o;iwnosk'opoj.
Il termine o;iwn'omantij compare nelle Fenicie (767) di Euripide, e in questo
caso si può forse pensare a un richiamo intertestuale che si rifaccia proprio a
questi versi sofoclei. Prosegue in effetti il dibattito sulla mantica. Eteocle manda
qui Meneceo, figlio di Creonte, a prendere Tiresia per avere qualche eventuale
oracolo prima dello scontro con Polinice. Eteocle sottolinea che Tiresia sarà dolce
con Creonte, ma nei suoi confronti serba invece rancore, poiché un tempo ha
disprezzato davanti all’indovino l’arte divinatoria. Su questo passo interviene
Ugolini, che nel già citato articolo Tiresia e i sovrani di Tebe157, osserva come
questi versi testimonino che una scena di litigio tra Eteocle e Tiresia deve essere
circolata nel teatro ateniese, anche se non la conosciamo.
Ma non è certo Sofocle ad aver fatto scuola, poiché troviamo il sinonimo
o;iwnop'oloj in due passi omerici. Nel primo (Il. 1.69) è utilizzato per designare
Calcante, o;iwnop'olwn #oc’#aristoj, prima che Agamennone lo definisca m'anti
kak^wn, nel secondo (Il. 6.67) per indicare, con uguale formula, o;iwnop'olwn
#oc’#aristoj, Eleno, l’indovino figlio di Priamo.
157
Ugolini 1991, p. 23.
146
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
o;iwnoq'etaj
Eschilo si serve di questo composto nelle Supplici (57), quando il coro afferma
che se ci fosse un auspice interpreterebbe la loro voce come la voce della sposa
di Tereo (Procne).
Euripide, nelle Supplici (500), fa definire Anfiarao o;iwnosk'opoj dall’araldo.
Anfiarao era dotato appunto del dono della preveggenza e prenderà parte suo
malgrado alla lotta contro Tebe guidata da Polinice.
Esistono poi altri composti con significati differenti: o;iwn'obrwtoj “che deve
essere divorato dagli uccelli” (presente nel Vecchio Testamento, Mac. 2.9.15,
etc.); o;iwn'oqrooj “emesso da uccello” (Aesch. Ag. 56); o;iwnokt'onoj “che
uccide o fa strage di uccelli” (Aesch. Ag. 563), o;iwn'omiktoj “per metà volatile”
(Lycoph. 595).
Si nota immediatamente l’uso quasi “massiccio” che Eschilo fa di composti di
o;iwn'oj e la loro forte connotazione poetica si evince anche dal fatto che
Licofrone, il poeta erudita ellenistico autore dell’Alessandra, se ne serva, forse
proprio alla ricerca di quel linguaggio tragico che caratterizza la sua opera.
Il panorama è già abbastanza chiaro: siamo di fronte a un termine di registro
elevato, che ha almeno un omologo in Omero e Euripide e più d’uno in Eschilo.
Il Buck-Petersen riporta in tutto 36 composti in -qethj, che diviene pressoché un
suffisso di nomen agentis. Inutile riportarli tutti, dal momento che essi, a parte il
nostro, non appaiono in contesto poetico (solo una volta in Aristofane, come
vedremo), ma eccone alcuni notevoli: diaq'ethj “ordinatore” (Hdt. 7.6.3),
sunq'ethj “scrittore” (Plat. Leg. 722e; Paus. 10.26.1, logoq'ethj “logoteta” (Cod.
Iust. 10.30.4.2 etc.), ;aqloq'ethj “atloteta” (Plat. Leg. 764d etc.), qesmoq'ethj
“tesmoteta”(Aristoph. Ve. 775, etc.) ; etc.
147
o;iwnoq'etaj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Aristofane si serve del termine qesmoq'ethj mutuandolo dal linguaggio giuridico
in
una
commedia,
le
Vespe,
tutta
incentrata
sui
processi.
Quel che colpisce è l’uso che Sofocle fa all’interno di un coro tragico di un
termine che ha un suffisso per così dire istituzionalizzante ed è per di più uno
hapax. L’o;iwnoq'ethj è sì l’augure, ma un augure ufficialmente riconosciuto.
Le parole del primo stasimo vanno soppesate senza perdere di vista l’evoluzione
del coro nel corso del suo ragionamento logico. Nella prima coppia strofica tutto
è incentrato sull’oracolo e sull’ “uomo sconosciuto”, e i lapsus del coro che, come
abbiamo visto, utilizza le espressioni p'oda nwm^an, ma soprattutto mel'e_ podì,
sembrano suggerire agli spettatori il nome di Edipo. Nella seconda coppia
strofica si comprende che l’ipotesi che il colpevole dell’omicidio (e non solo) sia
Edipo è un pensiero terribile, da sottolineare con quelle potentissime ripetizioni
espressive che Sofocle inserisce con rara arte: Deinà mèn o%un, deinà. Questi
pensieri terribili derivano ovviamente dalle parole di Tiresia, che viene definito
appunto sofòj o;iwnoq'etaj. La definizione che il coro dà dell’indovino sembra
essere fin troppo solenne e ci si potrebbe domandare persino se non sia mossa
da un intento ironico, ma in realtà si comprende agevolmente che sofòj
o;iwnoq'etaj è piuttosto dettato dalla cautela e dal rispetto che il coro vuole
mostrare, quasi ostentare verso Tiresia per poter poi anche mettere in dubbio la
sua parola. Il coro sottolinea la sua indecisione, insinua subito con arte un
argomento, pur vago, in difesa di Edipo, dice cioè di non aver mai sentito di una
lite tra Edipo e Laio. Nell’antistrofe il coro esordisce con una devota affermazione
dell’onniscienza di Zeus e Apollo cui segue una molto meno devota osservazione
sull’indovino, che non è più un sofòj o;iwnoq'etaj, ma semplicemente un
;andr^wn m'antij, cioè “un indovino tra gli uomini”, che non è detto che valga più
di lui.
148
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
o;iwnoq'etaj
In questa antistrofe inoltre, osserva Longo158, si può notare che “la omologazione
sof'ia-t'ecnh, in cui la sof'ia è considerata non più che una specie di t'ecnh, è
del resto comune nella cultura del V secolo”.
Credo che in questa chiave vada letto dunque il nostro hapax: esso favorisce la
anticlimax del rispetto verso l’indovino o, se si preferisce, la climax dei dubbi del
coro. Si passa da uno stato di grande titubanza e di ossequio a un’esternazione
quasi piccata nei confronti dell’indovino. La sfiducia del coro verso gli indovini
non arriverà mai però a quegli eccessi di dileggio che percorrono il dialogo tra
Edipo e Giocasta (v. 709, vv.857-859) e che saranno oggetti di una reprimenda
del coro stesso.
158
Longo 2007, p. 178.
149
: d'upolij
h
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
: d'upolij v. 509
h
Fanerà gàr ;ep’a;ut^_
pter'oess’%hlte k'ora
pot'e, kaì sofòj #wfqh
bas'an_ q’:hd'
hd'upolij<
polij
t^_ pròj ;em^aj frenòj o#u- 510
pot’;ofl'hsei kak'ian.
Traduzione Paul Mazon
Ce qui demeure manifest, c’est que la Vierge ailée un jour
s’en prit à lui, et qu’il prouva alors et sa sagesse et son
amour pour Thèbes. Et c’est pourquoi jamais mon cœur ne
lui imputera un crime.
Traduzione Dario Del Corno
Abbiamo visto tutti, quando
la vergine alata venne contro di lui:
apparve allora la sua sapienza,
e l’amore della città. Mai nel mio cuore
lo incolperò di un delitto.
Traduzione Guido Paduano
Alla luce del sole venne un tempo contro di lui la fanciulla
alata, e allora si è dimostrato saggio e amico della città;
per conto nostro non gli possiamo rivolgere nessuna
accusa.
Traduzione Edoardo Sanguineti
Perché addosso, visibile, gli è venuta la vergine alata,
una volta: è stato visto sapiente, alla prova e dolce alla
città.
E mai, così, la mia mente lo accuserà di un peccato.
Traduzione Salvatore Quasimodo
Per lui fu chiara un tempo la vergine alata,
e allora apparve sapiente e degno alla città.
Quindi per me non può essere malvagio.
Traduzione di Maria Grazia Ciani
Un tempo, quando la fanciulla alata
si avventò contro di lui,
sotto gli occhi di tutti,
abile si mostrò alla prova
e recò gioia alla nostra città.
Per questo, nel mio cuore,
non potrò mai accusarlo
di un’azione infame.
150
: d'upolij
h
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
hd'
:hd'upolij v. 509
Longo159 dà al composto un valore attivo, “che reca gioia alla città”, e non
dunque “gradito alla città”. Jebb160 intende invece questo termine come
:and'anwn t^+ p'olei “che piace alla città” e osserva che sarebbe costruito in
analogia
con
composti
come
fil'opolij=fil^wn
t`hn
p'olin
o
;orq'opolij=;orq^wn t`hn p'olin (Pind. O. 2.7), mentre l’:uy'ipolij di Ant. 370
sarebbe analogo ma non esattamente sovrapponibile perché significherebbe
:uyhlòj ;en p'olei e non :uyhl`hn p'olin #ecwn.
Si pone un primo problema ermeneutico di fronte al termine bas'an_. Jebb è
convinto che vada legato a :hd'upolij, Dawe161 che sia meglio riferirlo a sof'oj,
Longo lo riferisce a entrambi. Il b'asanoj è la “prova”, Edipo si dimostrò saggio
e/o caro alla città dandone prova.
Prima di tornare su b'asanoj analizziamo più attentamente ;hd'upolij. Sia il
primo che il secondo membro hanno avuto enorme fortuna in composizione,
perché sono entrambi termini comuni, fanno parte del vocabolario di base.
I composti nominali con :hd'uj al primo membro sono oltre cinquanta, ma di
questi solo due compaiono già in Omero: :hduep'hj ed :hd'upotoj. Il primo lo
abbiamo già incontrato ed è in Il. 1.248 ed è un epiteto di Nestore “dalla dolce
parola”, il secondo in Od. 2.340 è riferito al vino “piacevole da bere” della
dispensa di Odisseo, dove Telemaco, che progetta un viaggio a Sparta e a Pilo, si
reca per chiedere a Euriclea di preparargli anfore di vino e otri di farina, ma è
detto anche del vino di Nestore (3.391) e di quello che Telemaco vuole offrire ai
compagni in ricompensa tornato da Sparta (15.509).
159
Longo 2007, p. 179.
Jebb 1893, p. 77.
161
Dawe 1982, p. 118.
160
151
: d'upolij
h
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Più semplice classificare il primo, che è un Possessivkompositum, sul secondo
non è molto facile pronunciarsi: Risch162 lo colloca tra i nomi a secondo elemento
verbale, domandandosi se non sia un antico possessivo. In ogni caso la sintassi
interna di :hd'upolij si distingue da quella di entrambi i composti omerici e in
generale nessun composto in :hd'uj è assimilabile.
Jebb, l’abbiamo visto, osserva che :hd'upolij è piuttosto costruito come altri
composti in p'olij il cui primo membro sarebbe riconducibile a un significato
verbale più che attributivo. Certamente valido è l’esempio, già citato, di
fil'opolij, che troviamo in Pindaro (O. 4.16), Eschilo (Sept. 176), Euripide
(fil'optolij Rh. 158) e Aristofane (Pl. 726, 900, 901, Lys. 547). In Pindaro colei
che ama la città è l’:asuc'ia, cioè la “pace”, ancor più evidente è l’idea di azione
verbale attiva in Eschilo, dove il coro affida la città agli dei perché non venga
espugnata da un esercito di lingua straniera e dimostrino dunque di amarla, qui
poi il parallelo con l’Edipo re è più immediato, poiché sia gli dei sia Edipo
avrebbero un ruolo salvifico, rispettivamente nel passato e nel presente, nei
confronti di Tebe. Questa assimilazione di Edipo a un dio per la città è molto ben
presentata da Knox163, che cita lo scolio al v. 16 e in particolare si sofferma
sull’espressione bwmo^isi to^ij so^ij: “They come to the altars built in front of
the palace as to the altars of a god”: e cosa è in fondo l’Edipo re se non la storia
della dedivinizzazione di un uomo che si era illuso di poter sfuggire al suo
destino?!
Altro esempio citato da Jebb è ;orq'opolij sempre in Pindaro (O. 2.7), attributo
di
Terone,
tiranno
di
Agrigento
“che
rettamente
dirige
la
città”.
In Omero troviamo un composto che si avvicina al nostro nel senso, ma non per
la sintassi interna, ad esempio il composto a primo membro verbale :rus'iptolij
162
163
Risch 1937, p. 189.
Knox 1957, p. 159.
152
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
: d'upolij
h
(o ;erus'iptolij) in Il. 6.305, tanto qui quanto in Eschilo (Sept. 130) riferito ad
Atena “protettrice della città”.
Certo è che il termine p'olij così ricco di significato per la Grecia, è molto
presente nei composti utilizzati dai tre tragici ed è spesso al centro di una
riflessione importante. Così il termine #apolij riassume la condizione di Edipo in
OC 1357 ed è parte integrante dell’accusa che Edipo rivolge al figlio Polinice, che,
in questa versione del mito, l’avrebbe allontanato da Tebe e privato dunque della
patria. Nell’Antigone poi (v. 370) #apolij, in contrasto con :uy'ipolij (“che ha
una posizione di riguardo nella città”), nel celebre primo stasimo, è l’uomo “che
si congiunge al male”. #apolij si definisce Filottete nell’omonima tragedia (v.
1018). Non va inoltre dimenticato il p'olij ;apolij di Aesch. Eum. v. 457, con il
quale Oreste descrive Troia dopo il passaggio dei Greci e di suo padre
Agamennone in particolare.
L’ :el'epolij è in Eschilo (Ag. 689) come in Euripide (IA. 1476, 1511) colei “che
distrugge la città”. Sempre centrale è il termine :om'optolij in Ant. 733, poiché è
un aggettivo riferito da Emone al le'wj, il popolo che non è concorde nel definire
“malvagia” Antigone (o#u fhsi Q'hbhj t^hsd’ :om'optolij le'wj).
Questi dati ci portano a riflettere sul fatto che, particolarmente nell’Atene del V
sec., un composto che incorporasse in sé la parola p'olij164 dovesse essere di per
sé alquanto significativo. A questa prima osservazione dobbiamo aggiungere che
:hd'upolij ha una costruzione particolare, per cui pur avendo un primo membro
aggettivale ha un valore piuttosto assimilabile a quello dei composti a primo
elemento verbale.
164
Sull’importanza dell’uso di questo termine nell’Edipo re e in particolare in questo stasimo cfr.
Budelmann 2000, p. 219s.
153
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
: d'upolij
h
Quanto al bas'an_ da cui si era partiti, questo valore attivo del composto
sembra avvalorare l’ipotesi che esso si riferisca al nostro hapax, anche perché,
come già abbiamo visto, gli hapax si trovano spesso quando un personaggio
cerca di rafforzare una propria dimostrazione. Il b'asanoj, che è poi l’argomento
più forte su cui si appoggia il coro, è la vittoria di Edipo sulla Sfinge, e quel che
più importa non è tanto la sof'ia di Edipo, che semmai è stata uno strumento,
quanto l’effetto sulla città, che poi è un argomento forte almeno quanto la sua
sof'ia per salvarlo dalle accuse. D’altronde è il punto di vista della p'olij che
viene espresso per mezzo del coro in questo momento e la p'olij non può che
essere riconoscente ad Edipo per quanto ha fatto e rifiutare l’idea che egli sia la
causa della piaga che la sta affliggendo.
Questo hapax fa un po’ pendant con quelli del v. 384 a;itht'oj e e;isece'irisen.
In quel momento Edipo stesso tira in ballo la p'olij per ricordare la gratitudine
nei suoi confronti, ma soprattutto la spontaneità con la quale ha posto il potere
nelle sue mani senza che lui lo avesse richiesto, motivo in più per non
considerare attendibili le parole di Tiresia che lo vorrebbero regicida.
Dobbiamo dunque porre questo hapax tra quelli che descrivono il rapporto di
Edipo con la città e il potere e che contribuiscono alla dimostrazione della sua
innocenza, o quantomeno dell’innocenza del suo ‘peccato’.
154
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e#useptoj
e#useptoj v. 864
Co. e#i moi xune'ih f'eronti mo^ira tàn
e#usepton :agne'ian l'ogwn
#ergwn te p'antwn, *wn n'omoi pr'okeintai 865
:uy'ipodej, o;uran'ian
Di’ a;iq'era teknwq'entej, *wn
# Olumpoj pat`hr m'onoj, o;ud'e nin
qnatà f'usij ;an'erwn #etikten,
o;udè m'hpote l'aqa katakoim'as+< 870
m'egaj ;en to'utoij qe'oj,
o;udè ghr'askei.
Traduzione Paul Mazon
Ah ! Fasse le Destin que toujours je conserve la sainte
pureté dans tous mes mots, dans tous mes actes. Les lois
qui leur commandent
siègent dans les hauteurs : elles sont nées dans le céleste
éther, et l’Olympe
est leur seul père ; aucun être mortel ne leur donna le
jour ; jamais l’oubli ne les endormira : un dieu puissant est
en elles, un dieu qui ne vieillit pas.
Traduzione Dario Del Corno
Che il fato mi conceda di serbare
sacra purezza in ogni parola
e in ogni azione, come esigono
le leggi supreme, generate
nell’alto dei cieli: unico padre loro
è l’Olimpo, ed a crearle
non fu natura mortale
di uomini, né mai
giaceranno nell’oblio:
in sé hanno un dio grande, senza tempo.
Traduzione Guido Paduano
Traduzione Salvatore Quasimodo
Possa il destino conservarci la santa purezza nelle parole e Oh, il fato mi conceda,
nelle opere, secondo le leggi eccelse, generate nel cielo, di in ogni parola e nelle opere,
cui l’Olimpo è unico padre; non sono nate da stirpe la mia sacra purezza
mortale, e non c’è oblio che possa seppellirle. In esse si secondo le leggi supreme
rivela la grandezza del dio, che non invecchia.
create nell’alto cielo,
il cui unico padre è l’Olimpo:
non furono dettate
da discendenza mortale,
e mai su esse potrà il sonno dell’oblio.
In esse c’è Dio grande che non invecchia mai.
Traduzione Edoardo Sanguineti
Traduzione di Maria Grazia Ciani
Oh, se ci sarà, per me, la sorte di ottenere
La sorte mi conceda sempre
la sacra innocenza di tutte
purezza e devozione
le parole e le opere! Così stanno le leggi,
di parole e di azioni:
alte sopra i loro piedi, generate
su di esse vegliano le leggi
attraverso l’etere celeste: e l’Olimpo,
altissime, generate
di quelle è il solo padre:
nell’etere celeste.
e la mortale natura degli uomini
Loro padre è l’Olimpo,
non le ha generate, e mai
non sono nate
la dimenticanza le addormenta:
dalla stirpe mortale
un grande dio sta in quelle, e non invecchia.
degli umani. Il sonno
dell’oblio mai scenderà
su di loro. Grande
vive in esse un dio
che non invecchia.
155
e#useptoj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e#useptoj v. 864
Il secondo stasimo è stato oggetto di moltissime riflessioni165. Questo canto corale è
tanto denso di significato che Winnington Ingram riesce attraverso di esso ad entrare
nel vivo dell’intera tragedia e persino nella visione sofoclea più in generale. È il famoso
stasimo
di
!ubrij
fute'uei
t'urannon
e
poi
ancora
dell’impressionante
disorientamento del coro: t'i deî me core'uein>
Havelock poi lo descrive forse nella maniera più chiara, dicendo che questo secondo
stasimo
responds to the premature confidence expressed by Oedipus and Jocasta- and especially Jocasta- that
they have outwitted the oracles addressed to them. This time it is not a supplication or imprecation, but
deprecation, a solemn litany designed to avert what might be dangerous- namely skepticism or impiety
at expense of powerful god
(Havelock 1986, p 509).
In quest’atmosfera di rimprovero era quasi inevitabile che il coro ponesse l’attenzione
in qualche modo sull’ e;us'ebeia, in contrapposizione alle parole dette da Giocasta ed
Edipo nell’episodio subito precedente (in particolare vv. 857-859). L’unicismo che qui
analizziamo va precisamente in queste senso: e#useptoj “piena di rispetto”, riferito
all’ :agne'ian l'ogwn/ #ergwn te p'antwn che il coro augura a se stesso, suona come un
monito per lo spettatore e contribuisce ad offrirgli un codice etico in cui il ruolo
dell’umano e del divino sono ben definiti. Scrive Winnington Ingram a questo
proposito:
Purity (:agne'ia) is especially a matter of deeds, of acts (which, irrespective of motive, can automatically
render a man impure); it is impossible not to recall the word ‘impure’ (#anagnoj, 823), which Oedipus
165
Cfr. Winnington Ingram 1980, pp. 179-204; Anderson 1965, pp. 39-41; Müller 1967, pp.269-291;
Hölscher 1975, pp. 376-393; Scodel 1982, pp. 214-223; Carey 1986, pp.175-9; Gellie 1964, pp. 113-123;
Sidwell 1992, pp. 106-22.
156
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e#useptoj
applied to himself. Piety (e;us'ebeia) can be a matter of deed or word. Here e#useptoj (‘wellreverencing’) will remind us of the ‘impiety’ of Jocasta towards oracles; and stem is picked up twice
(886, 898f.) in the closing stanza. The combination of e#useptoj :agne'ia, moreover, echoes the
apostrophe of Oedipus to ‘pure and awful gods’ (%w qe^wn :agnon s'ebaj, 830). The gods are themselves
pure (:agno'i), and they demand reverence (s'ebaj). And now the words of Oedipus and Jocasta have
diffused an atmosphere of impurity and impiety, vague and hard to seize. The Chorus is disquieted and
prays for pious purity. (Winnington Ingram 1980, p. 186)
Nel nostro composto il primo membro è evidentemente, come spesso e;u-, rafforzativo
e già in questo si può leggere il desiderio che Sofocle ha di insistere sull’idea di
“rispetto per gli dei”, in quella che è una tensione etico-religiosa di tutto il suo teatro.
Dawe166 osserva che il secondo membro del composto sarebbe scelto, “come spesso in
poesia”, per la sua quasi sinonimia con il sostantivo che qualifica, ma lo studioso rileva
anche, cosa più interessante, il richiamo interno allo stasimo stesso e#useptoj/
#aseptoj (v. 890): kak'a nin !eloito mo^ira/dusp'otmou c'arin clid^aj,/ e;i m`h tò
k'erdoj kerdane^i dika'iwj/kaì t^wn ;as'eptwn #erxetai (“mala sorte lo colga!/
Sciagurata è la sua ricchezza/ se non guadagnerà secondo giustizia/ se compirà azioni
empie).
Anche in questo caso è di grande aiuto il Buck-Petersen per approfondire i composti
con -septoj come secondo elemento. In Eschilo, Eum. 1038, leggiamo per'isepta,
che Medda traduce “solennemente venerate”, in riferimento ovviamente alle Erinni
ormai divenute Eumenidi. In questo esodo di Eschilo apparentemente siamo di fronte
a un neologismo, ma al di là di questo, non credo necessario ricordare quanto sia
centrale il problema della “venerazione” e del rispetto della divinità nelle Eumenidi,
ancor più che nell’Edipo re.
166
Dawe 1982, p. 147.
157
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e#useptoj
L’unico altro passo degno di nota è Aristofane Nub. 292, in cui Socrate, con un
linguaggio decisamente parodico, si rivolge alle Nuvole e poi a Strepsiade: % W m'ega
semnaì Nef'elai, faner^wj ;hmo'usat'e mou kal'esantoj.# Hisqou fwn^hj !ama kaì
bront^hj mukesam'enhj qeos'eptou; (“Nuvole grandemente divine, avete dunque
ascoltato chi vi invoca! Ne udisti la voce, nonché il tuono sacrosantamente
mugghiare?”, trad. Marzullo 20082, p. 209).
Al di là dunque della diffusione di questo tipo di composti, anche a fini comici, ci
interessa rilevare, più che un richiamo intertestuale a Eschilo, che è rischioso supporre,
l’antitesi interna e#useptoj/ #aseptoj, importante nella dialettica tra divino e umano,
tra scetticismo e riaffermazione del rispetto verso la divinità.
158
: y'ipouj
u
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
: y'ipouj v. 866
u
Co. e#i moi xune'ih f'eronti mo^ira tàn
e#usepton :agne'ian l'ogwn
#ergwn te p'antwn, *wn n'omoi pr'okeintai 865
:uy'ipodej,
uy'
podej o;uran'i=
Di’ a;iq'era teknwq'entej, *wn
# Olumpoj pat`hr m'onoj, o;ud'e nin
qnatà f'usij ;an'erwn #etikten,
o;udè m'hpote l'aqa katakoim'as+< 870
m'egaj ;en to'utoij qe'oj,
o;udè ghr'askei.
Traduzione Paul Mazon
Ah ! Fasse le Destin que toujours je conserve la sainte
pureté dans tous mes mots, dans tous mes actes. Les lois
qui leur commandent
siègent dans les hauteurs : elles sont nées dans le céleste
éther, et l’Olympe
est leur seul père ; aucun être mortel ne leur donna le
jour ; jamais l’oubli ne les endormira : un dieu puissant est
en elles, un dieu qui ne vieillit pas.
Traduzione Guido Paduano
Possa il destino conservarci la santa purezza nelle parole e
nelle opere, secondo le leggi eccelse, generate nel cielo, di
cui l’Olimpo è unico padre; non sono nate da stirpe
mortale, e non c’è oblio che possa seppellirle. In esse si
rivela la grandezza del dio, che non invecchia.
Traduzione Edoardo Sanguineti
Oh, se ci sarà, per me, la sorte di ottenere
la sacra innocenza di tutte
le parole e le opere! Così stanno le leggi,
alte sopra i loro piedi, generate
attraverso l’etere celeste: e l’Olimpo,
di quelle è il solo padre:
e la mortale natura degli uomini
non le ha generate, e mai
la dimenticanza le addormenta:
un grande dio sta in quelle, e non invecchia.
Traduzione Dario Del Corno
Che il fato mi conceda di serbare
sacra purezza in ogni parola
e in ogni azione, come esigono
le leggi supreme, generate
nell’alto dei cieli: unico padre loro
è l’Olimpo, ed a crearle
non fu natura mortale
di uomini, né mai
giaceranno nell’oblio:
in sé hanno un dio grande, senza tempo.
Traduzione Salvatore Quasimodo
Oh, il fato mi conceda,
in ogni parola e nelle opere,
la mia sacra purezza
secondo le leggi supreme
create nell’alto cielo,
il cui unico padre è l’Olimpo:
non furono dettate
da discendenza mortale,
e mai su esse potrà il sonno dell’oblio.
In esse c’è Dio grande che non invecchia mai.
Traduzione di Maria Grazia Ciani
La sorte mi conceda sempre
purezza e devozione
di parole e di azioni:
su di esse vegliano le leggi
altissime, generate
nell’etere celeste.
Loro padre è l’Olimpo,
non sono nate
dalla stirpe mortale
degli umani. Il sonno
dell’oblio mai scenderà
su di loro. Grande
vive in esse un dio
che non invecchia.
159
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
: y'ipouj
u
:uy'
uy'ipouj v. 866
Composto dall’avverbio !uyi, “in alto”, e dal sostantivo po'uj, “piede”, questo
unicismo si colloca nella prima strofe del secondo stasimo. Siamo di fronte al
secondo hapax formato sul sostantivo po'uj (cfr. dein'opouj, p. 73).
Se per altri termini trattati non è stato semplice determinare il grado di
consapevolezza del poeta nella scelta lessicale, in questo caso possiamo
affermare con certezza che l’opzione di Sofocle per un tale aggettivo è voluta e
ponderata. Bisogna considerare la presenza di :uy'ipouj dettata da una forte
volontà comunicativa, tanto che persino Dawe parla di “poetic flight of fancy as
:uy'ipodej”, dandoci ad intendere che il poeta potrebbe aver creato
appositamente questo aggettivo.
Qui nel secondo stasimo, questo termine si inscrive perfettamente in quella
reazione (mai vocabolo fu più adatto) del coro rispetto a quanto è stato
sostenuto nell’episodio precedente da Edipo e Giocasta. La regina ha espresso la
sua perplessità nei confronti degli oracoli: !wst’o;ucì mante'iaj g’ $an o#ute
t^+^ d’;eg`w/ bl'eyaim’$an o!unek’o#ute t+d’ $an !usteron (vv. 857 s. “Come per un
vaticinio d’ora in poi io non volgerei lo sguardo né di qua, né di là!”). Edipo di
fronte allo scetticismo di Giocasta ha risposto: kal^wj nom'izeij “Pensi bene”.
Più tenue è la conferma di Edipo al v. 986, in cui, pur dando ragione a Giocasta
che sostiene il ruolo del caso nelle vicende umane, esprime timori in riferimento
all’oracolo, poiché la ‘madre’, Merope, è ancora in vita a Corinto. Ovviamente
tutto lo scetticismo di Edipo, la sua “matematica” come scrive Longo, l’abbiamo
potuta vedere in azione contro Tiresia nel primo episodio, ma le parole di Edipo
in quel contesto erano dettate da ira e erano rivolte particolarmente contro gli
interpreti degli oracoli più che contro gli oracoli (vv. 393-6).
160
: y'ipouj
u
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Winnington Ingram, nel già citato saggio167, è convinto prima di tutto che il coro
stia reagendo a quanto detto nell’episodio precedente dai personaggi e poi
intravede quel gioco di parole che nasconde qualcosa di molto più profondo tra
O;id'ipouj e :uy'ipouj. Se si accetta che Sofocle abbia voluto indicare qualcosa
con questo gioco intorno alla parola po'uj, il discorso può farsi interessantissimo.
Lo stesso Winnington Ingram si richiama a Knox168 e a Vernant169. Il primo aveva
anche messo in evidenza le acrobazie di Sofocle intorno al nome O;id'ipouj, in
particolare ai vv. 924-926, il secondo scriveva parole che vale la pena riportare,
anche per capire l’importanza di dein'opouj precedentemente analizzato:
Poús: le pied- marque imposée de la naissance à celui dont le destin est de finir comme il a
170
commencé, en exclu, semblable à la bête sauvage que son pied fait fuir , que son pied isole des
171
humains, dans l’espoir vain d’échapper aux oracles , poursuivi par la malédiction au pied
terrible
172
173
pour avoir enfreint les lois sacrées au pied élévé , et incapable désormais de se sortir
174
le pied des maux où il s’est précipité en se hissant au faîte du pouvoir . Toute la tragédie
d’Œdipe est donc comme contenue dans le jeu auquel se prête l’enigme de son nom.
(Vernant 1972B, p. 113)
Basterebbero le osservazioni di Knox e la rassegna di Vernant per comprendere
appieno quanto questo nomen omen di Edipo abbia pesato nel gioco
drammaturgico, è il caso di dirlo, messo in piedi da Sofocle. La bibliografia
relativa a questo stasimo è in realtà molto più vasta, quasi incontenibile, perché
è vero quel che dice Scodel: “Perhaps the only point on which almost all scholars
agree is that the ode is critical to understanding the play” (Scodel 1982, p. 214).
Senza però troppo girare intorno al problema specifico che investe :uy'ipodej
167
Winnington Ingram 1980, 179-204.
Knox 1957, pp. 182-184.
169
Vernant 1972, pp. 113s.
170
v. 467 fugÙ p'oda nwm^an.
171
v. 479 m'eleoj mel'e_ podì chre'uwn
172
v. 418 dein'opouj ;ar'a.
173
v. 866 :uy'ipodej.
174
v. 878 #enq’o;u podì crhs'imw.
168
161
: y'ipouj
u
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
chiediamo subito e ancora una volta in prestito a Winnington Ingram qualche
parola:
They are :uy'ipodej, [...] their feet move on high, which is the natural place, since they are not of
‘mortal nature’ like all the children of men- and like Oedipus.
(Winnington Ingram 1980, p.188)
È chiarissimo allora che possiamo leggere questo termine prima di tutto, come
già altre volte, da un punto di vista del linguaggio teatrale, della comunicazione
nella relazione che il drammaturgo deve stabilire con il suo pubblico, e non solo.
È utile soffermarsi e riflettere anche sullo svolgimento degli agoni drammatici ad
Atene175. Il concorso tragico prevedeva tre giorni in cui venivano presentate agli
spettatori nove tragedie (e tre drammi satireschi). Oltretutto le tragedie
riproponevano miti che erano già notissimi all’uditorio, o almeno noti.
Prendiamo il caso della vicenda di Edipo. Questo mito era stato già messo in
scena nel 467 a. C. da Eschilo, che vinse il primo premio con la tetralogia: Laio,
Edipo, I sette a Tebe più il dramma satiresco La sfinge.
Bisognava far apprezzare la grandezza della propria opera ai dieci giudici delle
tribù ateniesi, era opportuno essere originali (non nel senso moderno del
termine), era cioè necessario far apprezzare la propria lettura del mito,
attraverso la scelta delle varianti, la loro ricomposizione e spesso relazionandosi
con la storia contemporanea. Tuttavia nei tre giorni degli agoni tragici la lotta era
sufficientemente equilibrata. Con un coro a disposizione e la possibilità di
rappresentare tutta la tetralogia, la sfida era comunque tra tre poeti e, ferma
restando la necessità di essere acclamati da un pubblico variegato e quindi di una
costruzione e di un linguaggio quanto più incisivi e adatti alla dizione, alla
performance, l’impresa non era poi impossibile. Certo però non si può
175
2
A questo proposito rimando a Pickard Cambridge (1968 ); Di Benedetto-Medda (1997); Di
Marco (2000).
162
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
: y'ipouj
u
dimenticare che le tetralogie presentate agli agoni tragici erano il frutto di una
preselezione operata dall’arconte eponimo176. I poeti che volevano coròn
a;ite^in, dovevano leggere dei brani delle loro opere (forse dei passi lirici)
all’arconte. La preselezione era più difficile della selezione stessa: da un lato c’era
un problema di censura preventiva, dall’altro anche quello di far comprendere da
uno specimen il valore dei loro testi. Sarebbe interessante, se si avessero più dati
a disposizione, riflettere anche su queste preselezioni per poter forse capire di
quanti strumenti avesse bisogno il poeta per rendere le proprie tragedie potenti
ed efficaci, capaci di immediatezza.
Ciò detto veniamo più chiaramente allo hapax :uy'ipodej. Questa che mi sembra
di poter ormai chiamare ‘invenzione’ lessicale sofoclea contribuisce a creare uno
stasimo cruciale, critical come diceva Scodel (a scanso di equivoci è bene ripetere
che questo studio non intende dimostrare che gli hapax, sarebbe assurdo, siano
il solo strumento o lo strumento principale attraverso cui il poeta fa passare al
pubblico i temi portanti e le intenzioni scenico-recitative della sua tragedia, ma
che essi contribuiscono a formare un quadro comunicativo molto complesso).
Sicuramente un secondo stasimo così costruito poteva essere un pezzo forte da
presentare all’arconte con successo.
Già di per sé :uy'ipodej non passa inosservato e Sanguineti lo mostra come
meglio forse è possibile fare in traduzione: “Così stanno le leggi, alte sopra i loro
piedi”. Queste leggi “altipede” sono fatte di materia celeste, sono divine e non
umane. Questo dato è basilare. Sofocle crea un dualismo tra un piede che sta “in
alto” (!uyi), cioè celeste, e uno mortale cui avviene quanto descritto
nell’antistrofe:
176
Cfr. Demont-Lebeau 1996, p. 39.
163
: y'ipouj
u
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
! Ubrij fute'uei t'urannon< !ubrij, e;i
La superbia produce il tiranno: e la superbia,
poll^wn :uperplhsqØ m'atan
che follemente di molte cose di gonfia,
!a mÕ ƒp'ikaira mhdè sumf'eronta 875
che non sono né opportune né convenienti,
;akrot'atan e;isanab^as’ 876
è salita sopra un altissimo vertice,
;ap'otomon #wrousen e;ij 877
si è gettata in una stretta scoscesa,
;an'agkan, #enq’o;u podì crhs'im_
dove non può utilizzarlo,
cr^htai. Tò kal^wj d’#econ p'olei p'alaisma m'hpote l^usai qeòn a;ito^umai< 880
qeòn o;u l'hxw potè 881
prost'atan #iscwn.
il suo piede, come utile. Ma io prego il mio dio
di non scioglierlo mai, lo sforzo
che fa bene alla città:
non smetterò mai di tenerlo, come il mio patrono , il mio dio.
Il primo verso dell’antistrofe è oggetto di una querelle impressionante, che vede
un partito di ! Ubrij fute'uei t'urannon e uno di ! Ubrin fute'uei turann'ij,
congettura proposta da Blaydes e accettata da molti editori. Qui riportiamo la
lezione dei codici e in ogni caso è il secondo !ubrij che ci interessa. Quest’!ubrij
altro non è che l’arroganza di Edipo (e in parte di Giocasta), l’arroganza di chi
vuole camminare in domini che non gli competono. L’intelligenza di Edipo
cammina con piede incerto negli spazi di un destino superno e ineludibile. Il
nostro protagonista di fronte al destino ha i piedi gonfi, mentre le leggi degli dei
hanno piedi che stanno in alto, al di sopra delle intelligenze umane. Ecco allora
che il nostro unicismo si inscrive in un disegno di espressività scenica e di antitesi
interna allo stasimo, divenendo parte anche della figura etimologica: (O;id'ipouj),
;uy'ipodej, podì.
164
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
ceir'odektoj
ceir'odektoj v. 900
O;uk'eti tòn #aqikton e%imi
g^aj ;ep’;omfalòn s'ebwn,
o;u’;ej tòn ;Aba^isi na'on,
o;udè tàn ;Olump'ian,
e;i m`h t'ade ceir'odeikta 900
p^asin :arm'osei brot^oij.
Traduzione Paul Mazon
Non, je n’irai plus vénérer le centre auguste de la terre, je
n’irai plus aux sanctuaires ni d’Abae ni d’Olympie, si tous
les humains ne sont pas d’accord pour flétrir de telles
pratiques.
Traduzione Dario Del Corno
Non andrò più riverente
all’ombelico sacro della terra,
né al tempio di Abe,
né ad Olimpia, se tutti gli uomini
non decideranno d’accordo
di aborrire questi fatti.
Traduzione Guido Paduano
Non andremo più a venerare il sacro centro del mondo,
non al tempio di Abe, non a Olimpia, se l’ordine di questi
eventi non apparirà manifesto agli occhi di tutti gli uomini.
Traduzione Edoardo Sanguineti
Non andrò più, a venerarlo, mai l’intoccabile ombelico
della terra, né il tempio di Abe,
né Olimpia,
se queste cose non si verificano
evidenti per tutti i mortali.
Traduzione Salvatore Quasimodo
Non andrò più a Delfo a pregare,
né al tempio di Abe, né ad Olimpia,
se i presagi sono vani.
Traduzione di Maria Grazia Ciani
Mai più andrò in pellegrinaggio
a venerare il tempio di Apollo a Delfi,
il sacro Ombelico del Mondo,
e quello di Abe, e Olimpia,
se tutti gli uomini non saranno concordi
nel condannare questi atti
mostrandoli a dito.
165
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
ceir'odektoj
ceir'odeiktoj v. 900
Un passo di difficile interpretazione, come si capisce anche dalle traduzioni, piuttosto
ellittiche e oscure.
Il composto si presenta come un aggettivo verbale il cui primo membro ha la funzione
di complemento di causa efficiente.
Bisogna chiarire a cosa t'ade si riferisca. Secondo Jebb e Dawe alla profezia
concernente Laio, secondo Longo alle toia'ide pr'axeij del v. 905, le “simili azioni”
empie elencate nella strofe 2. Chiaramente una tale precisazione ha immediate
conseguenze sul nostro unicismo. Cerchiamo di procedere in senso inverso, partendo
dal nostro hapax.
ceir'odeiktoj, composto di ce'ir e de'iknumi, ricorda nel senso i famosi versi del V
canto dell’Inferno dantesco “e più di mille/ ombre mostrommi e nominommi a dito” (v.
68), perché il senso letterale è quello di “che si può mostrare con la mano”. Ellendt
(s.v.) forse offre una delle spiegazioni più chiare:
ceir'odeiktoj digito monstratus. e;i m`h t'ade ceir'odeikta p^asin :arm'osei broto^ij OR 901 ch.
Persuasum chorus habet oraculi veracitatem ostensum iri.
Quindi il coro penserebbe alla veridicità dell’oracolo come a qualcosa che dovrà essere
mostrata manifestamente.
Ellendt è ancor più chiaro a proposito di :arm'ozw :
nisi haec in manifestum exemplum cedant omnibus eventui congruentia. Sic iam schol.: e;i m`h fanerà
kaì kat'adhla g'enhtai.
Da un punto di vista meramente tipologico, troviamo in Omero alcuni composti di
questa natura, come per esempio dor'ikthtoj (Il. 9.343), ;ArhÈfatoj (Il. 19.31), etc.
166
ceir'odektoj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Esistono poi in Eschilo due composti vicini a ceir'odeiktoj. Uno di essi,
daktul'odeiktoj, si pone in un rapporto di sinonimia con il nostro hapax. Questo
termine compare in un corale anapestico dell’Agamennone (v. 1332), subito prima che
nella casa degli Atridi si consumi il delitto di Clitennestra e Egisto:
Co. tò mèn e%u pr'assein ;ak'oreston #efu
p^asi broto^isin< daktulode'iktwn d’
o#utij ;apeip`wn e#irgei mel'aqrwn
“mhk'et’ ;es'elq+j” t'ade fwn^wn.
CORO Della prosperità sono insaziabili
tutti i mortali, e nessuno la esclude
dalle stanze che si mostrano a dito
vietandole l’ingresso
con queste parole: “Non entrare più”.
2
Trad. Medda 1997 , p. 337
Molti critici, tra cui Fraenkel, sostengono che dobbiamo leggere daktulode'iktwn e
non il participio daktulodeikt^wn, questo aggettivo si accorderebbe con mel'aqrwn,
dando come risultato “dalle stanze che si mostrano a dito”, cioè “dalle stanze celebri”.
Quindi qui il composto avrebbe un valore positivo, sono stanze che tutti indicano,
perché abitate dalla prosperità.
Altro composto eschileo il cui secondo membro coincide con quello del nostro
unicismo è ;apr'osdeiktoj (Supplici 794). Il coro di supplici nel terzo stasimo, sogna un
luogo in cui fuggire dal maschio indesiderato, una roccia liscia e sospesa, “che l’occhio
non afferra” (Pontani), solitaria. Anche qui l’aggettivo nel contesto assume
un’accezione positiva, perché la roccia “che non si può mostrare” e dunque “non si
può vedere” diventa protezione per le supplici.
L’uso di :arm'ozw non lascia qui senza qualche perplessità, una delle poche strade
percorribili credo sia quella di dargli il senso di “unirsi”, quindi piuttosto “venire a
corrispondere, venire a coincidere” e di considerare t'ade un deittico che
anticiperebbe q'esfata. Ecco allora che sarebbe possibile una traduzione come: “se
questi oracoli non si corrisponderanno e non saranno manifesti a tutti mortali”.
167
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
ceir'odektoj
Che il nostro hapax vada riferito agli oracoli, e abbia quindi un senso positivo, o vada
piuttosto legato a quanto di empio ha prima enumerato il coro, e abbia in questo caso
un significato negativo (l’indicare con il dito avrebbe il valore di un atto di accusa, cfr.
la traduzione di Del Corno), è innegabile la sua forza espressiva, descrittiva, e
nuovamente icastica. Sofocle offre una volta di più un dato visivo ad un teatro fatto
principalmente di parole, in cui l’azione è più azione rituale, codificata, che azione
scenica.
168
duso'uristoj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
duso'uristoj v. 1315
str. a’
Oi. I`w sk'otou n'efoj ;emòn ;ap'otropon,
;epipl'omenon #afaton,
;ad'amast'on te kaì duso'uriston “#on”. 1315
O#imoi,
o#imoi m'al’a%uqij< o*ion e;is'edu m’ !ama
k'entrwn te t^wnd’o#istrhma kaì mn'hmh kak^wn.
Co. Kaì qa^um'a g’o;udèn ;en toso^isde p'hmasin
dipl^a se penqe^in kaì dipl^a fore^in kak'a. 1320
Traduzione Paul Mazon
Œdipe. – Ah ! Nuage de ténèbres ! Nuage abominable, qui
t’étends sur moi, immense, irrésistible, écrasant !
Ah ! comme je sens pénétrer en moi tout ensemble et
l’aiguillon de mes blessures et le souvenir de mes maux !
Le Coryphée. – Nul assurément ne sera surpris qu’au
milieu de telles épreuves tu aies double deuil, double
douleur à porter.
Traduzione Guido Paduano
ED. Mia nube orrenda di tenebre, ineffabile, indomabile,
tempestosa! Ahimè, ahimè ancora! Come penetra dentro
di me l’assillo dei colpi e la memoria dei mali!
CORO Non v’è da meravigliarsi che in mezzo a queste
angosce tu abbia doppia pena e doppio dolore.
Traduzione Dario Del Corno
EDIPO Ahi, mia nube di tenebra,
invincibile, sconfinata,
che senza pace mi copri, senza rimedio!
Ahimè,
ahimè come penetrano in me
la punta delle ferite e la memoria dei mali!
CORIFEO Non è meraviglia che in tale rovina
doppio dolore tu soffri, e doppio pensiero di mali.
Traduzione Salvatore Quasimodo
Edipo
Strofe I
O nuvola nera
da me odiata, come mi circondi, invincibile,
senza fine. Ahimè, ahimè!
Come entrano nel cuore quelle punte
E il ricordo delle mie sventure!
Corifeo
Non ci fa meraviglia che tu soffra
e sopporti più d’ una pena in questo male.
Traduzione Edoardo Sanguineti
EDIPO Oh, mia nuvola di tenebre,
intollerabile, avvolgente, indicibile,
e indomabile, e soffocante.
Ahi,
e ahi, ancora, come mi penetra, insieme,
il pungiglione di questi assilli, e la memoria dei mali.
CORO E non c’è meraviglia, che in tante pene
tu peni il doppio, e sopporti doppi mali.
Traduzione di Maria Grazia Ciani
EDI. O, mia tenebra!
Orrenda nube senza nome
scesa su di me indomabile, implacabile!
O mia miseria!
Il morso delle ferite antiche
e la memoria dei miei mali
come sono penetrati in me
profondamente!
COR. Nessuna meraviglia: duplici sventure,
doppio dolore.
169
duso'uristoj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
duso'uristoj v. 1315
Questo hapax fa parte di quei composti in dus- già presi in considerazione e
analizzati da Germán Santana Henríquez nell’articolo Neologismo y creación
léxica en el teatro de Sófocles : algunos compuestos con dus-177. Santana
Hénriquez registra 12 hapax sofoclei su un totale di 76 composti in dus- (13
sostantivi,
54 aggettivi, 7 verbi, 2 avverbi) che compaiono nell’opera del
tragediografo (per tutta la lingua greca Santana Hénriquez parla di 237
composti). Interessantissimi, insieme ai composti che compaiono raramente, tra
cui il nostro hapax, sono anche quelli di cui si registrano al contrario molte
occorrenze. Colpisce ad esempio il dato di un d'usthnoj impiegato 57 volte
nell’opera sofoclea, o di un d'usmoroj utilizzato ben 34 volte, termini entrambi
caratterizzati da un certo “peso” tragico, come lo è lo stesso prefisso dus-.
Lo scolio (p.209 Papageorgiou) spiega così il nostro hapax: duso'uriston] !oron
m`h #econ ;all’;aeì param'enon, dusperi'odeuton< ;ad'amastondè ;an'iaton, o
&
o;udeìj dam'asai dun'hsetai $h sklhròn kaì tracù ;apò to^u ;ad'amantoj.
Ellendt però scrive (s.v.): “Male schol. […]; nihilo melius glossa dusper'ilhpton.
Est
autem
ab
o%uroj,
quasi
vento
saeviter
secundo
advectus”.
Tutto questo lascia intravvedere le difficoltà interpretative incontrate nei secoli
dalla critica di fronte a questo aggettivo.
Credo che a generare imbarazzi ermeneutici sia stato uno degli aspetti più
affascinanti del termine, un suo paradosso interno. Se è vero, come osserva e
documenta Santana Hénriquez, che spesso Sofocle accosta termini antitetici (ad
esempio: t'iktousan ... d'usteknon, OT 1247s.; da'imwn … dusda'imoni, OT
1301s.), in questo caso particolare il poeta mette insieme un prefisso dal valore
negativo e un verbo, o;ur'izw, che significa indubbiamente “guidare con vento
177
Santana Hénriquez 2004.
170
duso'uristoj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
favorevole”, quest’unione, probabilmente percepita come stridente, di polo
positivo e negativo, è forse alla base delle interpretazioni che hanno preferito
un’etimologia fondata su !oroj.
Il produttivo prefisso dus- Sofocle lo utilizza significativamente in più occasioni.
Se volessimo restare legati al campo semantico del vento, viene presto alla
mente il verso 591 dell’Antigone: nel secondo stasimo leggiamo infatti una
similitudine che investe tutta la prima strofe. La stirpe dei Labdacidi è descritta
come dus'anemoi/ […] ;akta'i, come delle “rive staffilate da un vento contrario”.
Anche
questo
vento
è
rappresentazione
dell’intervento
divino.
Nell’ Edipo incontriamo due composti in dus- legati al g'enoj. Il primo è il
termine dusg'eneia (v. 1079) e credo che abbia avuto un ruolo importante nelle
ricerche di Vernant quando scrisse Oedipe sans complexe, perché, in effetti,
Edipo suppone che Giocasta tema gli sia rivelata la sua “bassa estrazione”, scrive
Vernant (1972, p. 94): “Il croit que Jocaste lui déconseille cette enquête parce
qu’elle risque de révéler sa basse extraction et de faire apparaître son mariage
de reine comme une mésalliance avec un vilain, le fils d’un ésclave. «Elle, laissezlà s’enorgueillir de son opulente famille (…) fière comme une femme, elle rougit
sans doute de ma basse naissance» ”. Qui agisce soprattutto un’ambiguità
lessicale, cara anch’essa a Vernant178, per cui la “bassa nascita” supposta da
Edipo179 è intesa dal pubblico in modo ben diverso.
Intimamente legato a questo termine è d'usteknoj, “sfortunato nei figli”,
pronunciato al verso 1248 dal secondo messaggero, kale^i tòn #hdh L'aion
p'alai nekr'on,/ mn'hmhn palai^wn sperm'atwn #ecouj’,:uf’*wn/q'anoi mèn
a;ut'oj, t`hn dè t'iktousan l'ipoi/ to^ij o*isin a;uto^u d'usteknon paidourg'ian
(“Ricorda il seme antico, sbarra la porta/ e invoca Laio, Laio che è morto da
178
179
Cfr. sempre Vernant 1972, pp. 99-132.
Scrive la Dupont (1971, p. 31): “Le mal fondamental d’Oedipe est de mal nommer la réalité”.
171
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
duso'uristoj
tempo!/ Ricorda il seme antico, che lo avrebbe ucciso/ e l’avrebbe lasciata
partorire con lui/ una discendenza sciagurata”).
I composti in dus- toccano anche un altro campo semantico centrale nel lessico
tragico, quello della “disgrazia”, intesa come assenza di benevolenza da parte
degli dei, ma ancor più come odio divino. Ne abbiamo già visto un esempio
eloquente affrontando ;ecqroda'imwn, cui faceva eco il termine dusda'imwn, che
nel secondo kommos (v.1302) il coro riferisce ad Edipo non appena lo vede
presentarsi sulla scena con gli occhi trafitti. Nell’Elettra (v. 289) l’aggettivo
d'usqeoj suona come un insulto di Clitennestra riportato dalla stessa Elettra: w
%
d'usqeon m'ishma, “oggetto d’odio, inviso agli dei”. V’è ancora un altro termine
di cui Sofocle si serve molto, e che in effetti reperiamo in tutte e sette le tragedia
superstiti. Si tratta di d'usmoroj, “infelice, dal destino sventurato”, termine che il
coro, in OT 665 si attribuisce, soffrendo per i mali della sua terra.
Altro
composto di senso del tutto adiacente a d'usmoroj è d'uspotmoj che
incontriamo nel secondo stasimo (v.888), quando il coro definisce così la clid^a,
il lusso del tiranno (con possibile riferimento ad Alcibiade). Infine si può ricordare
il verbo dustuc'ew, in uno dei punti più feroci dell’ironia tragica (v. 262) koin^wn
te paid^wn ko'in’#an, e;i ke'in_ g'enoj/m`h dust'uchsen, %hn $an ;ekpefuk'ota
(“avremmo avuto un legame di figli,/ se avesse avuto la fortuna di avere figli,/ ma
fu colpito dalla mala sorte”).
ll nostro hapax, benché si iscriva in questa produttiva famiglia dei composti in
duj-, con i loro valori peggiorativi, si fa carico di una contraddizione profonda
che caratterizza il percorso di Edipo, una strada apparentemente piena di fortuna
e che è invece la sua condanna, il prezzo da pagare per riconquistare
eroicamente la propria identità.
172
duso'uristoj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il verso presenta anche un “difetto” nella responsione metrica, che ha scatenato
molte fantasie nei filologi. Per colmare la lacuna Hermann (1830-55)180 ha
proposto di integrare il verso 1315 con “#on”, che viene accolto tra gli altri da
Jebb, Lloyd-Jones, Giannachi. Più prudente Dawe non fa che indicare la lacuna
con la semplice lunga “-”. Jebb osserva però che l’integrazione di Hermann ha
qualcosa di debole, “weak”, e che fonicamente infastidisce, per tale ragione
propone in nota di leggere duso'urist’;i'on (neutro plurale avverbiale).
Nauck (1867) invece congettura dusoi'wniston “di cattivo augurio”, mentre
Blaydes (1859-75) propone il mai attestato
dusexo'uriston “difficile da
allontanare dal confine”. Questi interventi, pur suggestivi, appaiono decisamente
invasivi.
Ci si può domandare se sia davvero necessario restituire una responsione
perfetta o se non ci si possa accontentare di una responsione: due docmi che
rispondono a docmio + docmio catalettico. Il docmio catalettico che risulterebbe
dal testo dei codici è
 - - -,
che Gentili-Lomiento181 registrano citando
l’esempio di Eur. Hypsip. Fr. 759a 1624 Kannicht= Fr. 64 II + 91 + 115,46 Cockle=
Fr. 64, 103 Bond182. Sulla questione dell’ idolon responsionis183 è efficamente
intervenuta la Andreatta184.
Ma tornando al problema dell’interpretazione semantica, trovo molto
rispondente la traduzione accennata, sulla scorta di Ellendt, da Longo (p. 292 ad
loc.): “spinto da un vento infaustamente favorevole”. Un vento che sarebbe
favorevole alla “nuvola di tenebra”
e infausto ad Edipo evidentemente.
L’uso metaforico di o%uroj ha alcuni precedenti. Prendiamo un significativo
180
181
182
Su Hermann “normalizzatore” cfr. Medda 2006.
Gentili-Lomiento 2003, p. 240.
Bond 1963 p. 127, che però cita anche Jackson 1955, p. 39, il quale scandisce
Tessier 2007.
184
Andreatta 2007.
 -  -.
183
173
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
duso'uristoj
passo eschileo dei Sette a Tebe (689ss.) in cui Eteocle afferma: ;epeì tò pr^agma
k'art’;episp'ercei qe'oj,/ #itw kat’o%uron, k^uma Kwkuto^u lac'on,/ Fo'ibwi
stughq`en p^an tò LaÈou g'enoj (“Poiché un dio certo sospinge gli eventi, si
cavalchi secondo il vento l’onda fatale del Cocito, stirpe di Laio detestata da
Febo”). Anche questo vento è tecnicamente favorevole, sfavorevole è la meta
verso cui porterà Eteocle (e Polinice).
In Sofocle questo vento favorevole che conduce verso epiloghi nefasti
accompagna anche Deianira (Tr. 815), prorompendo dagli occhi del figlio Illo. L’
o%uroj ha spesso un’origine divina a quanto pare, sia quando esso è “vento” in
senso proprio (cfr. Od. 2.420, 4.360), sia quando si tratta, come nel nostro caso,
di un “vento” metaforico (cfr. Pind. O. 13.28).
Una nube spinta da un vento infaustamente favorevole dunque, un vento di
origine divina che favorisce Edipo nella sua eroica quanto sconsiderata volontà di
conoscere se stesso fino in fondo. Come ci dice Knox, quest’avida ricerca del sé,
farà di Edipo un eroe e lo porterà allo stesso tempo all’autoannientamento:
So we will and do not will that he should discover the truth and destroy himself; we will it
because if he gives up the search, if he turns his back on action, intelligence, and clarity by failing
to resolve the riddle of his own identity, he destroys himself in any case, by ceasing to be Oedipus
(Knox 1957, p. 52).
174
;ep'
ep'ipoloj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e; p'ipoloj v. 1322
Oi. ;i`w f'iloj,
s'u mèn ;emòj ;ep'ipoloj #eti m'onimoj< #eti gàr
:upom'eneij me tòn tuflòn khde'uwn.
Fe^u fe^u<
o;u g'ar me l'hqeij, ;allà gign'wskw saf^wj, 1325
ka'iper skotein'oj, t'hn ge s`hn a;ud`hn !omwj.
Traduzione Paul Mazon
OEDIPE –Ah! Mon ami, tu restes donc encore, toi seul, à
mes côtés ? Tu consens donc encore à soigner un
aveugle ? Ah ! ce n’est pas un leurre : du fond de mes
ténèbres, très nettement, je reconnais ta voix.
Traduzione Dario Del Corno
EDIPO Ahi, amico,
soltanto tu mi rimani accanto? Ancora sopporti di assistere
me, un cieco?
Ahi, ahimè,
io so chi sei, anche se vivo nel buio,
ti riconosco, conosco la tua voce.
Traduzione Guido Paduano
Amici che mi restate fedeli, che rimanete ad occuparvi di
questo povero cieco… ahimè! Sento la vostra presenza e
anche nel buio riconosco chiaramente la vostra voce.
Traduzione Salvatore Quasimodo
O amico,
o compagno fedele, ancora resisti
e prendi cura di me che sono cieco.
Ahimè, ahimè!
Non puoi nasconderti, anche se stretto dall’ombra,
ti riconosco e odo ben chiara la tua voce.
Traduzione di Maria Grazia Ciani
EDI. O amico,
tu mi rimani ancora,
tu rimani a soccorrere il cieco.
Nelle mie tenebre ti vedo,
riconosco bene la tua voce.
Traduzione Edoardo Sanguineti
Oh, amico,
tu sei il mio assistente tenace, ancora: e ancora
mi rimani, a curarmi, me cieco.
Uh, uh,
non mi rimani nascosto, ma ti riconosco chiaramente,
quantunque ottenebrato, tuttavia, te, per la tua voce.
175
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
;ep'
ep'ipoloj
e; p'ipoloj v. 1322
Chantraine185 parla di almeno cinquanta composti in -poloj che esprimono una
attività legata alla sfera agricola, pastorale e religiosa, a parte considera però i
composti con preverbo e traduce lo hapax ;ep'ipoloj “compagnon”. Non può
sfuggire che nella I strofe di questo kommos Sofocle si serva del verbo
;epip'elomai, nella forma ;epipl'omenon. Il verbo ;epip'elomai è già in Omero e
può indicare il sopraggiungere di una malattia (Od. 15.408 in tmesi), o
l’incombere del tempo (Od. 7. 261, l’ottavo anno nell’Isola di Ogigia, l’anno della
partenza di Odisseo). Non ha dunque una connotazione né decisamente
negativa, né positiva. Nel caso sofocleo di n'efoj [...] ;epipl'omenoj, Mazon e la
Ciani traducono “qui t’étends sur moi” e “scesa su me”, mentre Quasimodo
“come mi circondi” e Sanguineti “avvolgente”, in questi due ultimi casi la
traduzione sembra avvicinare molto ;epip'elomai e perip'elomai, ma credo sia
preferibile restare più vicini al senso di ;epi-, con l’idea di moto a luogo “su”.
In ;epip'elomai non sembrerebbe essere specificamente presente un’idea di
ostilità o di vantaggio ed è piuttosto il contesto a determinarla.
Venendo a ;ep'ipoloj, su di esso si è soffermata la Van Erp Taalman Kip che
afferma:
Oedipus calls the chorus his steadfast ;ep'ipoloj , using a substantive that occurs nowhere in
Greek literature as we know it. The scholiast explains: peripol^wn ;emè kaì perim'enwn, but most
modern scholars largely ignore the word. Kamerbeek, however, notes:‘;ep'ipoloj = pr'ospolojʹ.
(2006, p. 40)
Dopo questa osservazione la studiosa confronta ;ep'ipoloj e pr'ospoloj e nota,
citando anche O.C. 1052, che i due termini, al contrario di quanto dice
Kamerbeek, non sono intercambiabili.
185
DELG, p. 877.
176
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
;ep'
ep'ipoloj
Pr'ospoloj, pur non essendo un doulikòn #onoma, porta generalmente in sé
l’accezione della subordinazione, ed ;ep'ipoloj non sarebbe concepibile in questo
contesto con una tale accezione. Il ragionamento sembra logico: sarebbe molto
strano che Edipo, nella sua posizione di debolezza e necessità, sottolineasse in
questo punto della tragedia il ruolo subalterno del coro, verso cui ha peraltro
mostrato già molto rispetto, quando ad esempio, pregato da esso, ha risparmiato
Creonte. Tutte le traduzioni qui riportate, mostrano che Edipo, qui sconvolto dai
rovesci, cerchi un appoggio nel coro, e rendono ;ep'ipoloj con “amico”. Ancora
Chantraine186 cita a;ip'oloj, bouk'oloj e ;amf'ipoloj tra i nomina agentis
derivati da p'elomai, ed è evidente che in questo senso anche il coro è invocato
da Edipo come un agente positivo nei suoi confronti e questo si desume
pacificamente dal contesto oltre che dal valore di ;epi-.
Ora la Van Erp Taalman Kip, pur avendo centrato la sfumatura semantica di
;ep'ipoloj, alla fine della sua discussione si mostra scettica verso questa parola
sconosciuta e sarebbe felice di poter legger, insieme a Kamerbeek, ;emo^ij e; pì
p'onoij. Credo che un atteggiamento critico mosso da tale diffidenza nei
confronti di termini rari, pur in contesti in cui il significato è difficilmente
equivocabile, sia metodologicamente sbagliato. Certamente è possibile
corroborare la lezione dei codici, , osservando che ;ep'ipoloj crea una ben
marcata figura etimologica con il precedente ;epipl'omenon. Se da un lato la nube
dei mali scende su Edipo, dall’altro il coro gli sta vicino, lo assiste.
186
Chantraine 1979, p. 8.
177
blept'oj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
blept'oj v. 1337
Oi. T'i d^ht’;emoì
bleptòn $h sterkt'on> $h pros'hgoron 1339
#et’#est’;ako'uein :hdon^=, f'iloi> 1340/1341
;Ap'aget’;ekt'opion !oti t'acist'a me,
;ap'aget’, %w f'iloi, tòn #oleqriov m'egan,
tòn katarat'otaton, #eti dè kaì qeo^ij
;ecqr'otaton brot^wn. 1345/1346
Traduzione Paul Mazon
Œdipe. –Oui, que pouvais-je voir qui me pût satisfaire ?
Est-il un appel encore que je puisse entendre avec joie ?
Ah ! emmenez-moi loin de ces lieux bien vite ! emmenez,
mes amis, l’exécrable fléau, le maudit entre le maudits,
l’homme qui parmi les hommes est le plus abhorré des
dieux !
Traduzione Dario Del Corno
EDIPO Cosa potevo guardare
con amore? Quale voce posso ancora udire
che mi dia gioia, amici?
Portatemi via, lontano da qui,
portatemi via, presto, amici: io, la grande peste,
l’uomo più dannato di tutti,
in odio agli dei più di ogni altro.
Traduzione Guido Paduano
ED. Vedere che cosa? Amare che cosa? Sentire che cosa,
che mi dia piacere? Portatemi via di qua, amici; portatemi
via al più presto, sciagurato, maledetto che sono, l’uomo
più in odio agli dei!
Traduzione Salvatore Quasimodo
Edipo
Che cosa posso vedere
o amare, con chi parlare,
che cosa udire con gioia?
Poratemi via, amici, presto,
portatemi via, io sono la grande peste,
io sono colui che ho maledetto,
io, tra gli uomini, il più odioso agli dei.
Traduzione di Maria Grazia Ciani
EDI. Per me non c’è più nulla da contemplare
con amore,
nessuna voce da ascoltare
con gioia.
E allora portatemi via,
portate via da questa terra
il funesto, il maledetto Edipo,
l’uomo più odiato dagli dei.
Traduzione Edoardo Sanguineti
EDIPO
Che cosa c’è, dunque, di visibile,
o di amabile, o di dicibile,
ancora, da sentire con piacere, amici?
Portatemi via, al più presto, fuori di qui,
portatemi, amici, via dalla grande rovina,
me, il più maledetto, e ancora, agli dei,
il più odioso tra i mortali.
178
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
blept'oj
blept'oj v. 1337
Terzo e ultimo hapax in forma di aggettivo verbale semplice. Anche in questo
caso, e forse ancor più per un verbo tanto comune, sembra sorprendente parlare
di unicismo; eppure questo effetto ottenuto dal poeta servendosi delle
disponibilità morfologiche della lingua appare ben degno di nota.
Edipo, nella precedente battuta del kommos ha evidenziato il ruolo che il destino
e la volontà hanno giocato nella sua storia. Ora l’eroe si è accecato, ha
guadagnato la chiaroveggenza sul suo passato e nell’Edipo a Colono (vv. 1518ss.)
la sua nuova condizione sembrerà offrirgli un dialogo diretto con gli dei, una
contropartita alla sua cecità, simile, in qualche modo, a quella di cui gode Tiresia.
Anche questo unicismo rientra a pieno titolo nel campo semantico della vista,
così felicemente impiegato da Sofocle in particolare nell’esodo. Molto è stato già
detto a proposito degli effetti ottenuti da Sofocle nell’uso di questo campo
semantico e non è il caso di ripetersi. In questo kommos la scelta di servirsi degli
aggettivi verbali blept'oj e, nondimeno, sterkt'oj (che abbiamo escluso da
questa ricerca, ma che, altrettanto significativo compare per la prima volta in
Sofocle, per poi rimanifestarsi, molti secoli dopo, come si è detto
nell’introduzione) produce un effetto emotivo molto intenso. Inutile dire che
siamo di fronte ad uno dei momenti più toccanti della performance, qui metro,
musica e testo dovevano probabilmente fondersi dando vita a un momento di
forte tensione scenica.
Voglio confrontare l’aggettivo blept'oj con blept'eon. Platone, ad esempio, si
serve di quest’ultimo nelle Leggi (965d) per indicare necessità: t'i pot’#estin e;ij
&o blept'eon “che cos’è mai questo, cui bisogna rivolgere lo sguardo?”.
179
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
blept'oj
Chantraine, come è ben noto187, ci dice: all’aggettivo in -t'eoj, che esprime
obbligo, risponde l’aggettivo in -t'oj, che esprime la possibilità.
Nella domanda retorica di Edipo (t'i d^ht’;emoì bleptòn $h sterkt'on>) che poi
riprende la precedente domanda t'i gàr/ #edei m’ :or^an,/ 8t_ g’ :or^wnti mhdèn
%hn ;ide^in gluk'u> (vv. 1333ss., “Se non ho più nulla di bello da vedere, perché
vedere ancora?”, si addensa quell’impossibilità di vedere e di amare alla quale il
personaggio sente ormai di essere definitivamente votato.
187
Chantraine 1979, pp. 306ss.
180
e; pip'odioj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e; pip'odioj v. 1350
Oi. #oloiq’ !ostij %hn !oj ;agr'iaj p'edaj
nom'aj ;epipod'
epipod'iaj m’#elab’ ;ap'o te f'onou “m’” 1350
#eruto k;an'eswsen, o;udèn ;ej c'arin pr'asswn.
T'ote gàr $an qan`wn
o;uk %h f'iloisin o;ud’;emoì tos'ond’#acoj. 1355
Traduzione Paul Mazon
Oedipe.- Ah! Quel qu’il fût, maudit soit l’homme qui
sur l’herbe d’un pâturage, me prit par ma cruelle
entrave, me sauva de la mort, me rendit à la vie ! Il
ne fit rien là qui dût me servir.
Si j’étais mort à ce moment, ni pour moi ni pour les
miens je ne fusse devenu l’affreux chagrin que je suis
aujourd’hui.
Traduzione Dario Del Corno
EDIPO
Sia maledetto colui che mi tolse dai lacci crudeli
sull’erba di quel pascolo, e mi sottrasse
alla morte, e mi salvò. Il suo atto
non fu certo una grazia per me.
Se fossi morto allora,
io e i miei cari non avremmo avuto tanto dolore.
Traduzione Guido Paduano
ED. Maledetto l’uomo che mi ha liberato i piedi dalla
selvaggia catena e mi ha salvato dalla morte quando ero
sperduto sul Citerone, non mi ha fatto che male. Se fossi
morto allora non avrei recato tanto dolore ai miei e a me
stesso.
Traduzione Salvatore Quasimodo
Edipo
Muoia, chiunque sia, colui che sciolse
i crudeli lacci dai piedi forati
e che mi prese dai pascoli del monte,
dov’ero esposto, salvandomi da morte,
cosa non lieta per me.
Se fossi morto allora
non avrei dato dolore a me e ai miei cari.
Traduzione Edoardo Sanguineti
Traduzione di Maria Grazia Ciani
Deve morire, chiunque è stato, quello che mi ha preso EDI. Muoia colui che mi raccolse
mentre pascolavo, via dalla mia pedestre catena selvaggia, abbandonato, con ceppi ai piedi,
e mi ha liberato dalla mia morte, e salvato, e non ha fatto e da quel legame mortale mi sciolse
niente di gradito.
e mi salvò la vita,
Perché io morivo, allora,
chiunque egli sia, possa morire!
e non ero, per i miei amici, e per me, un così grande dolore. Non fece il mio bene: fossi morto allora
non avrei procurato a me e ai miei cari
così grandi pene.
Traduzione Bruno Gentili
Edipo
Maledetto chiunque mi tolse
il laccio crudele che governava i miei piedi
e mi salvò liberandomi dalla morte.
Un ingrato servizio mi rese!
Se fossi morto allora, non avrei dato
tanto dolore a me e ai miei cari.
181
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e; pip'odioj
;epip'
epip'odioj v. 1350
Per poter affrontare questo hapax non si può prescindere dalla discussione di un
problema critico che lo vede coinvolto. Il mondo filologico si divide di fronte ai
vv. 1349s. e per maggiore chiarezza riportiamo qui l’apparato critico di Lloyd
Jones- Wilson:
Non tutti accettano il testo dei codici nom'adoj ;epipod'iaj. L’Elmsley corregge
nom'adoj in nom'ad’(non riportato da Lloyd Jones), emendamento accettato da
Longo e dalla Ciani che traduce: “Muoia colui che mi raccolse, abbandonato, con
i ceppi ai piedi”. Hartung corregge nom'adoj in nom'aj (accolto da Lloyd-Jones),
che sarebbe da riferirsi al pastore corinzio. Müller (congettura non riportata da
Lloyd Jones) preferisce agire su ;epipod'iaj trasformandolo in ;epì p'oaj,
correzione accolta anche da Dain, Dawe e Giannachi. Ma la traduzione sognata
dagli interpreti, “sur l’herbe d’un patûrage”, per dirla con Mazon, ha il non
piccolo difetto di pretendere da nom'aj un significato che Mazon non può che
tentare di spiegare basandosi sul francese (nom'adoj ;epì p'oaj diventerebbe
“sur l’herbe d’un patûrage” perché il significato attivo “che pascola” lo
ritroviamo anche in espressioni francesi come “une rue passante” o “une saison
navigante”).
Non si tratta qui di voler salvare lo hapax a tutti i costi, ma di ragionare
oggettivamente su un testo di difficile interpretazione, sul quale i codici sono più
182
e; pip'odioj
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
d’accordo di quanto lo siano gli interpreti moderni. ; Epipod'iaj dei codici è
lectio difficilior, è il terzo hapax composto da po'uj che troviamo, il secondo nei
cori e anch’esso, come :uy'ipouj del secondo stasimo, dà vita a una figura
etimologica (qui con p'edaj). Toccare proprio ;epipod'iaj a causa della sua unicità
non sembra essere una buona idea, tanto più che la responsione
docmio/prosodiaco docmiaco è accettabile188 e in accordo con ;agr'iaj p'edaj il
termine è spiegabile, come osservano Gentili e Sanguineti che traducono
rispettivamente: “il laccio crudele che governa i piedi” e “pedestre catena
selvaggia”.
Battezzato (1995) inoltre mostra come p'aqea, trisillabico nella strofe, seguito da
fine di periodo sia perfettamente corrispondente al testo dell’antistrofe,
accettando però la congettura nom'aj di Hartung:
:o kakà kakà tel^wn ;emà t'ad’;emà p'aqea
u uu uu u – u uu u uu u - ||
nomàj ;epipod'iaj #elab'e m’ ;ap'o te f'onou
u uu uu u – u uu u uu u - ||
Sequenza che Battezzato interpreta come docmio+docmio kaibeliano (di cui lo
studioso riporta vari esempi nei tragici e anche in Sofocle Ant. 1275~1299).
A proposito della correzione di ;epipod'iaj in ;epì p'oaj Battezzato (1995, pp.
91s.) scrive: “La congettura nom'adoj ;epì p'oaj (H. Müller, “Neue philologische
Rundschau” 1898, 217-220, non vidi), offre un testo meno incisivo, e ha trovato
meno favore, anche se è stata accolta da Dawe”.
Il vero problema è nom'adoj. Chi accetta la correzione di Elmsley, nom'ada,
traduce “abbandonato”.
Sanguineti, invece, che evidentemente l’accetta,
188
Su questo punto confronta Gentili-Lomiento 2003, pp. 240 s.; Fileni 2004; Andreatta 1998; e lo
stesso Giannachi 2009 pp. 112 s.
183
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e; pip'odioj
traduce “ mentre pascolavo ”. Jebb, che offre forse la migliore tra le soluzioni,
accetta nom'ada (nom'ad’), ma lo mette fra cruces e traduce “in the pastures”.
Gentili omette nom'adoj, mentre coloro che lo mantengono si sentono costretti
a correggere ;epipod'iaj in ;epì p'oaj e a dare a nom'adoj un senso che non ha:
“pascolo”.
Se è necessario correggere meglio seguire l’Hartung, al limite l’Elmsley, ma
certamente non Müller. Bisogna domandarsi inoltre se non sia meglio conservare
il testo dei codici.
La situazione è ancor più complessa, poiché al verso 1349 t omette l’;apò di
;ap’;agr'iaj, e al verso 1350 il codice V riporta #elab'e m’, Krp #elusen, a
trasmette #elusen. Tutto ciò però non cambia molto il senso, ma farà sì che
alcuni, come Gentili, omettendo ;ap’ e leggendo #elab'e m’, considereranno
;agr'iaj p'edaj et ;epipod'iaj accusativi plurali (cosa che sarebbe più naturale per
p'edaj), mentre dietro m’ si nasconderebbe un moi : “chiunque mi tolse/ il laccio
crudele che governava i miei piedi”. Altri, come Quasimodo, preferiscono
leggere #eluse e mantenere ;ap’ e dunque pensano a un genitivo: “chiunque
sciolse i crudeli lacci dai piedi forati”.
Il problema è molto discusso e forse irresolubile. Bollack (s.v.) propone
un’interpretazione molto metaforica di nom'adoj traducendo “ la nomade!”,
riferito alla catena.
In ogni caso, che si considerino ;agr'iaj p'edaj e ;epipod'iaj come dei genitivi o
come degli accusativi, che si legga ;ap’;agr'iaj o piuttosto ;agr'iaj, #elabe m’
oppure #eluse, nom'adoj resta il vero problema.
Cerchiamo di ragionarci a partire dalla sua etimologia, da n'emw. Se nom'aj
significa “ che erra alla ricerca di pascoli ” può indicare o un pastore (Chantraine
registra il maschile plurale come “bergers, nomades ” ) o un animale. Se si desse
a nom'adoj questa accezione potremmo tradurre: “che possa morire, chiunque
184
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e; pip'odioj
sia stato, chi mi tolse la catena crudele del pastore dai piedi” o “la catena crudele
di chi erra in cerca di pascoli dai piedi”. Eppure anche questa soluzione non è
molto convincente e la scelta di Jebb sembra la più prudente.
La questione resta aperta anche perché se la catena fosse stata messa a Edipo da
un pastore, bisognerebbe capire quali catene potesse avere un pastore, per
quale motivo gliel’avrebbe messa (perché non scappasse mentre lui controllava
le pecore?). La questione, come si diceva, resta aperta, i punti da chiarire sono
troppi e non si capisce neppure con certezza chi mise il laccio ai piedi di Edipo.
Bettini e Borghini, nel loro affascinante articolo sulla zoppìa di Edipo189,
ricordano che i piedi di Edipo, con nuovo riferimento al mondo animale, erano
stati aggiogati (;enze'ugnumi v. 718, ma da Laio sembrerebbe) . Nelle Fenicie di
Euripide, Giocasta ci informa che Laio avrebbe confitto (o fatto configgere? non è
del tutto evidente) nei piedi di Edipo dei chiodi di ferro. Gli autori dell’articolo
ricordano poi l’Hypothesis di Tommaso Magistro ai Sette a Tebe, secondo cui Laio
avrebbe forato i piedi del bambino e li avrebbe fissati con degli anelli d’oro. Di
qui viene tutta un’interpretazione interessantissima, che richiama in particolare il
verbo ;empod'izw (“impedire”, quasi “trattenere i piedi”) che ci dà la misura di
quanto metaforico e importante sia il discorso del piede, della ricerca
dell’“impedimento” del destino nel mito dei Labdacidi, un destino che però non
può essere “impedito”. Sul valore di questa metafora, legata già al nome di
Edipo, che si espande al dominio della sessualità, o dell’ipersessualità, hanno
scritto luminosissime pagine in particolare, oltre ai già citati Bettini-Borghini,
Lévi-Strauss190, Vernant191, Calame192, Gentili193 ed Edmunds194 (con le sue
189
Bettini-Borghini 1986.
Lévi-Strauss 1958.
191
Vernant 1981.
192
Calame 1986.
193
Gentili 1986.
194
Edmunds 1986.
190
185
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
e; pip'odioj
stupende osservazione sulla relazione piedi-occhi195). In questa sede non è
opportuno né utile riportare tutte le differenti tesi. Ma già da quanto detto e
citato, ci si può rendere conto di quanto significativo sia il campo semantico
legato al po'uj e di come possa essere rischioso eliminare (poi in un coro di
Eschilo o di Sofocle!) uno hapax solo in quanto termine a noi, per il resto,
sconosciuto. La “selvaggia catena che governa i piedi” impedirebbe a Edipo di
compiere il suo destino, quello cioè di uccidere il padre e giacere con la madre.
Chi scioglie il ceppo ai piedi di Edipo ne sprigiona l’ipersessualità, la capacità di
camminare liberamente anche “al di fuori della linea retta”, come dice Gentili.
Non mi sembra allora un caso che Sofocle insista nuovamente sul po'uj con la
figura etimologica p'edaj-;epipod'iaj.
195
Sulla questione dell’autoaccecamento e della relazione tra occhi e sessualità cfr. anche
Devereux 1973.
186
CAPITOLO II:
RIFLESSIONI INTERPRETATIVE A PARTIRE DALLA DIVISIONE DEGLI
HAPAX IN CAMPI SEMANTICI
187
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il campo semantico del camminare
Il campo semantico del camminare
Dei venticinque unicismi che abbiamo incontrato, uno su cinque può essere
ricondotto al campo semantico del “camminare”. Ricordiamoli velocemente.
Il primo è dein'opouj (“dal piede terribile”) al v. 418 del primo episodio, il
secondo e il terzo sono xunanti'azw (“venire incontro”) al v. 804 e o;i'ozwnoj
(“viaggiatore solitario”) al v. 846 del secondo episodio, seguono :uy'ipouj (“che
sta in alto sui piedi”) al v. 866 del secondo stasimo e ;epip'odioj (“che sta attorno
ai piedi”) al v. 1350 dell’esodo.
Si può notare che questi cinque hapax sono ben distribuiti nel testo della
tragedia e che solo nel secondo episodio, quando Edipo racconta del suo viaggio
verso Tebe, dopo essere stato a Delfi, ve ne sono due, presto seguiti da :uy'ipouj
nel secondo stasimo.
Ricostruiamo il ‘viaggioʹ di Edipo a partire da questi cinque hapax.
I piedi di Edipo sono segnati dalla nascita da quella p'edh ;epip'odia i cui segni
egli porta fin nel suo nome O;id'ipouj, come ricordato dal primo messaggero, il
pastore di Corinto:
Oi. t'i d’#algoj #iscont’;en cero^in me lamb'aneij>
Ag. pod^wn $an #arqra martur'hseien tà s'a.
Oi. o#imoi, t'i to^ut’;arcai^on ;enn'epeij kak'on>
Ag. l'uw s’#econta diat'orouj podo^in ;akm'aj.
Oi. dein'on g’#oneidoj sparg'anwn ;aneil'omhn.1035
Ag. !wst’ ;wnom'asqhj ;ek t'uchj ta'uthj &oj e%i.
EDI. Di che male soffrivo, quando mi hai raccolto?
MES. Le cicatrici ai tuoi piedi lo mostrano.
EDI. Ahimè! Perché ricordi questo male antico?
MES. Avevi le caviglie trafitte. Io ti liberai dalle catene.
EDI. Che tremendo oltraggio ho subito, ancora in fasce.
MES. Di qui deriva il nome che porti ancora addosso.
Edipo con i suoi piedi trafitti muoverà verso Delfi, infatti durante un banchetto
un uomo ubriaco lo aveva chiamato “bastardo” (vv. 779s., ;an`hr gàr e; n
de'ipnoij m’:uperplhsqeìj m'eq+/ kale^i par’o#in_ plastòj :wj e#ihn patrì), e
all’ira era seguita quell’angoscia ‘genealogicaʹ che è, secondo Vernant196, uno dei
motori principali dell’agire di Edipo. Lo sconcertante responso ricevuto a Delfi, la
196
Vernant 1972, pp. 77-98.
188
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il campo semantico del camminare
prospettiva del parricidio e dell’incesto, portano il protagonista a proseguire il
viaggio lontano dalla patria e ad un trivio, dove un araldo e un carro trainato da
puledri, con sopra un uomo, xunenti'azon (v. 804) “gli si facevano incontro”,
uccide il padre. Questo è uno dei punti di snodo della vicenda di Edipo,
l’incontro, o meglio lo scontro, con Laio e il suo seguito. Al verso 846,
proseguendo il suo racconto e il suo ragionamento con Giocasta, Edipo paventa
che i banditi del padre non siano molti come disse una volta l’unico superstite,
ma che sia uno solo (o;i'ozwnoj v. 846), come in effetti è. Questo parricidio, cui
segue in una concatenazione fatale l’incesto, sarà all’origine di una ;ar'a
dein'opouj (v. 418), che determinerà la caduta tremenda del protagonista e la
riaffermazione dei n'omoi :uy'ipodej (v. 866) degli dei .
Scrive Bettini:
Dunque Edipo è un personaggio che deve essere impedito, legato, ostacolato: ostacolato,
ovviamente, in un possibile cammino che lo veda tornare verso il padre che egli è destinato a
uccidere. E per ostacolarlo lo si colpisce proprio ai piedi, luogo dell’impedimento per eccellenza.
[…] Ma Edipo lo zoppo è riuscito tuttavia a compiere il suo tragico cammino, e la maledizione di
Pelope e Laio ha infallibilmente sortito il suo effetto.
(Bettini 1986, p. 218)
Il campo semantico del “camminare”, che si incontra dunque con una serie di
altre tematiche della nostra tragedia, riflette decisamente la perip'eteia di
Edipo.
La maledizione dein'opouj condensa in sé temi come quello del destino – non a
caso è l’unico hapax pronunciato da Tiresia – e quello del m'iasma. Il destino
della sua nascita, quello a cui riporta l’assonanza tra hapax e nome197. Ma anche
197
Scrive Condello 2009, pp. XXXVIIs.: “[…] le Erinni che già Omero connette ai crimini di Edipo, e
che erano centrali in Pindaro (O. 2.41 s.) come nel trattamento eschileo del mito, sopravvivono
solo nelle colorite espressioni dello stesso Tiresia (v. 418 dein'opouj ;ar'a, «la maledizione dal
piede terribile»”. E aggiunge, n. 88: “Per l’espressione del v. 418 («la maledizione dal piede
189
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il campo semantico del camminare
il destino del suo viaggio, nel quale incontra e uccide il padre, primo m'iasma, cui
seguirà l’incesto. L’itineranza sarà infine il destino successivo al suo
accecamento, ma la cosa è solo accennata nell’Edipo re, la sapremo per certa
dall’Edipo a Colono.
L’inserimento di una percentuale elevata di hapax dello stesso campo semantico
legato a un tema importante in questa tragedia come il “camminare” è un modo
per porre l’accento su questo dato della storia di Edipo. Il movimento
instancabile di Edipo non è solo fisico, è l’espressione della sua ricerca interiore.
Abbiamo visto che nel racconto dell’incontro con Laio le occorrenze di lessico
odeporico si fanno più intense, probabilmente perché da un punto di vista
comunicativo questo rende più vivida e dinamica la scena che è solo riportata,
descritta. Dall’altro c’è questo incrociarsi dei destini, quello del figlio e quello del
padre che si xunant'azousin, si vengono incontro, minacciosamente,
compiendo i loro destini. Tra questi hapax solo due riguardano direttamente
Edipo: il terzo, o;i'ozwnoj, e il quinto, ;epip'odioj che definisce la catena, la p'edh,
dell’esposizione. Ecco, l’ “uomo che viaggia solo”, ha superato i suoi impedimenti
come diceva Bettini. Edipo è andato incontro al suo destino, mentre però
credeva di sfuggirgli (k;ag`w ’pako'usaj ta^uta tÕn Korinq'ian/ #astroij tò
loipòn ;ekmetro'umenoj cq'ona/ #efeugon, vv. 794ss. “E io, udite queste
profezie, fuggii da Corinto/ e seguii da quel giorno il corso delle stelle”), ha
operato in maniera fortemente volontaristica credendo di poter sfuggire al suo
terribile») è d’obbligo il rinvio a Soph. El. 491 calc'opouj ; Erin'uj, alla kamy'ipouj ; Erin'uj di
Eschilo (Sept. 791, proprio in tema edipico) o già alla descrizione omerica di Ate (Il. IX 505): cf. per
es. Jebb o Roussel, ad loc. Ma è evidente che l’hapax sofocleo comprende un’allusione al nome
«Edipo»”. Degno di sviluppi l’accostamento con il passo omerico in cui leggiamo che le Lita'i, le
Preghiere, sono cwla'i te :rusa'i te parabl^wpej t’;ofqalm'w (“zoppe, grinzose con gli occhi
storti” trad. Cerri 2006, p. 219), mentre Ate è sqenar'h e ;art'ipoj (“robusta e veloce di piede”
ibid. ). Ate la vediamo comparire in vari punti della nostra tragedia (OR 165, 1205, 1284). Scrive A.
Gostoli (2006, ad loc. p. 218): “Ate è la personificazione divinizzata dell’ «accecamento» che
colpisce la mente di chi commette una colpa”.
190
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il campo semantico del camminare
destino, ma ha attirato su di sé l’ ;arà dein'opouj, è stato schiacciato dai n'omoi
:uy'ipodej. La fuga, volontaristica, razionalistica, e l’inseguimento fatale, ecco
una delle chiavi di lettura di questo mito, come ben dice Serra (1986, p. 276): “È
stato Edipo, sulla scena, il primo a parlare di sé, il primo interprete del suo mito:
non c’è astuzia che valga a eludere il destino”. Di Benedetto sembra spiegare il
senso ulteriore che tutto questo avrebbe:
Entra in crisi anche questo sistema di cultura razionalistica del V sec. di cui Edipo, all’inizio della
tragedia, è partecipe. Sofocle aveva una posizione ‘dialetticaʹ rispetto alla cultura razionalistica:
volta per volta si confrontava con questa cultura e nello stesso tempo prendeva
sistematicamente le distanze da essa.
(Di Benedetto 1986, p. 303)
Il cammino di Edipo che nasce come volontaria ricerca dell’identità, quando il
dubbio assale il protagonista, offeso durante il banchetto, si trasforma in fuga
volontaria dal destino e in involontario percorso verso il riconoscimento della
propria identità. L’ignoranza e la volontà del protagonista catalizzano il suo
destino. Edipo agisce, cammina, la sua forza è nell’azione, nell’intelligenza, nella
risoluzione veloce, non nella riflessione. Quella che lui crede, in buona fede,
essere la realizzazione della sua volontà sarà invece, questa è la sua sventura, la
concretizzazione del suo destino, perché come scrive Vernant (1972, p. 80):
“c’est moins l’agent qui explique l’acte, mais plutôt l’acte qui, révélant après
coup son sens authentique, revient sur l’agent, éclaire sa nature, découvre ce
qu’il est, et ce qu’il a réellement accompli sans le savoir”. Quando passerà
dall’ignoranza alla consapevolezza, Edipo potrà davvero dirigere la sua volontà,
non sarà più determinato dal destino, o almeno, il suo destino verrà finalmente a
coincidere con la sua volontà e allora prospetterà un nuovo cammino, quello
dell’esilio. Il primo viaggio non ha risolto il problema della sua identità, la
prosecuzione del viaggio, la fuga dal destino, la fuga dal m'iasma, ha portato
191
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il campo semantico del camminare
all’effetto esattamente contrario a quello preteso dalla volontà di Edipo. Quel
camminare continuo era però garanzia di purezza, mentre nei momenti di stasi,
Edipo ha visto consumarsi la prima e la seconda contaminazione. La prospettiva
finale dell’esilio, del ‘non-ritorno’, altro non è che il decreto e al tempo stesso la
volontà di Edipo, egli vuole allontare il m'iasma dalla città, salvare la p'olij,
giacché il g'enoj non sarà possibile risparmiarlo. Edipo chiede esplicitamente a
Creonte di essere mandato via e vorrebbe con sé le due figlie, per affrontare con
loro un lungo viaggio. L’eroe vuole riprendere a camminare, ma ormai sa chi è, sa
dirigere la sua volontà senza ulteriori capovolgimenti.
192
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il campo semantico del divino e del destino
Il campo semantico del divino e del destino
Un campo semantico in cui registriamo una percentuale di hapax ancora più alta
è quello della divinazione. Molti hanno definito Edipo re la “tragedia del destino”,
dando vita all’esegesi fatalistica (spesso colpevolista, talora innocentista).
Celebre è anche la ripresa freudiana:
Edipo re è una cosiddetta tragedia del fato; il suo effetto tragico pare basato sul contrasto fra il
supremo volere degli dei e i vani sforzi dell’uomo minacciato dalla sciagura; profondamente
colpito, lo spettatore dovrebbe apprendere dalla tragedia la rassegnazione al volere della
divinità, la cognizione della propria impotenza.
2
(trad. Musatti 1989 , p. 243)
Knox, seguito da Dodds, si pronuncerà duramente contro l’esegesi fatalistica,
rifiutandola in questi termini:
If the Oedipus Tyrannus is a “tragedy of fate”, the hero’s will is not free, and the dramatic
efficiency of the play is limited by that fact. The problem is insoluble; but luckily the problem
does not exist to start with. For in the play which Sophocles wrote the hero’s will is absolutely
free and he is fully responsible for the catastrophe. Sophocles has very carefully arranged the
material of the myth in such a way as to exclude the external factor in the life of Oedipus from
the action of the tragedy. This action is not Oedipus’ fulfillment of the prophecy, but his discovery
that he has already fulfilled it. The catastrophe of Oedipus is that he discovers his own identity;
and for this discovery he is the first and last responsible.
(Knox 1957, pp. 5s)
Difficile non concordare con Knox, o con Dodds quando scherzosamente riporta
un’affermazione dei suoi allievi, i quali sostenevano che “since he had a ;amart'ia
he could of course expect no mercy: the gods had read the Poetics”198.
Edipo re non è (solo) la tragedia del destino, ma questo ovviamente non significa
che il destino non faccia parte delle tematiche che in esso sono, a diversi livelli,
198
Dodds 1966, p. 37.
193
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il campo semantico del divino e del destino
affrontate.
I nove termini che qui riprenderemo sono legati ora alla figura dell’indovino, ora
più precisamente al rapporto tra uomo e dio. Ricordiamoli: prode'idw (“temere
prima”, qui solo il preverbo è coinvolto, dalla risposta di Creonte Edipo non può
“prevedere”, né quindi, per così dire, “pretemere”) al v. 90 del prologo, a;inikt'oj
(“espresso per enigmi”) al v. 439 del primo episodio, qespi'epeia (“che ha parole
ispirate dalla divinità”) al v. 463 del primo stasimo, o;iwnoq'ethj (“indovino”) al
v. 484 del primo episodio, semn'omantij (“venerando indovino”) al v. 556 e
;ecqroda'imwn (“odiato dagli dei”) al v. 816 del secondo episodio, e#useptoj
(“venerando”) al v. 864 del secondo stasimo, duso'uristoj (“spinto da vento
infaustamente favorevole”) al v. 1315 dell’esodo.
L’insistenza di Sofocle è palmare. Dal prologo in cui Edipo, con la diffidenza,
quella sì, tipica del tiranno, non sa prode'idein e neppure farsi coraggio
basandosi sul moderato entusiasmo con cui Creonte annuncia che l’oracolo è
positivo, al primo episodio, in cui nello scontro con l’indovino ci sarà un
sarcastico scambio, sul tema dell’ enigma (a;inikt'oj); dalla rupe delfica ispirata
dal dio (qespi'epeia), alla qualificazione ora puramente tecnica (o;iwnoq'ethj) ora
ironica (semn'omantij) della figura dell’indovino; dal rapporto tra Edipo e le
divinità (;ecqroda'imwn), al rispetto del coro verso le divinità (e#useptoj), al
rinnovato di timore di Giocasta (;epiqum'iama), alla contraddizione della storia di
Edipo, apparentemente felice, e in realtà infausta (duso'uristoj).
In questa mappa sono riassunte molte delle sfaccettature che il tema del divino
assume nel corso di questa tragedia.
Questi hapax sono per lo più
semanticamente centrati, sono espressione di quella dialettica interna alla
tragedia che investe le posizioni dei personaggi, ma anche la loro
caratterizzazione: essi riflettono una visione problematica del rapporto tra uomo
194
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il campo semantico del divino e del destino
e divino nell’epoca del ‘razionalismo’ pericleo, sono anche sintesi della
contraddizione e dell’evoluzione dei diversi personaggi nel corso della tragedia,
del disvelamento.
Come non tenere presente il contesto festivo, sacro, in cui andavano in scena le
tragedie, come dimenticare le preghiere vere e proprie che, l’abbiamo visto con il
coro, con Giocasta all’altare di Apollo Licio, vengono levate agli dei durante la
performance? Sofocle e i suoi personaggi agiscono in questo contesto di sacralità
secondo regole sceniche e religiose a un tempo. La critica più evidente che Edipo
e Giocasta muovono è quella verso la divinazione, ma lo scontro non è diretto
contro la divinità, la cui venerabilità è spesso riaffermata dai personaggi stessi.
L’esito della tragedia rivela che il coro (la comunità) può sentirsi rassicurato e
danzare ancora. La sola critica al divino lecita, scontata direi, è quella rivolta ad
Ares (:o ;ap'otimoj ;en qeo^ij qe'oj, v. 215), dio privo di onori, dio di quella guerra
che Atene si trova a combattere. In questo senso la pretesa ;amart'ia di Edipo
appare un problema secondario. La tragedia deve ‘festeggiare’ la divinità, Edipo è
volontariamente eroico nel compiere quanto prescritto dall’oracolo che Creonte
riporta da Delfi. Bisogna liberare la città dalla contaminazione, trovare
l’assassinio di Laio. Ebbene questo Edipo lo fa, senza risparmio, anche quando
capisce che effettivamente potrebbe essere lui il colpevole, insiste perché tutti
parlino, perché la verità emerga.
195
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il campo semantico del rapporto con la città
Il campo semantico del rapporto con la città
Cinque hapax potrebbero rientrare in un campo semantico particolare, forse non
evidente e immediatamente rintracciabile come i due precedenti: il rapporto tra
l’uomo e la città.
#apouroj, “lontano dal confine”, al v. 194 della parodo, a;itht'oj, “richiesto” e
e;isceir'izw “mettere in mano”, al v. 384 del primo episodio, ;hd'upolij, “gradito
alla città”, al v. 510 del primo stasimo, ;ep'ipoloj, “amico”, al v. 1322 dell’esodo.
Ripercorriamoli. Il coro al suo ingresso non ha ancora chiaro il quadro della
situazione. Leva una preghiera agli dei perché Ares sia allontanato (#apouroj).
Questo esilio di Ares, che permette a Sofocle attraverso il coro, ancora non bene
informato, di introdurre un riferimento alla guerra, mette in risalto la necessità,
più volte ripetuta dallo stesso Edipo, di allontanare il responsabile del morbo.
Formidabile è poi l’impiego degli hapax al verso 384, in cui Edipo, che accusato
da Tiresia di essere l’assassinio di Laio, ricorda come la città gli abbia messo in
mano (e;isceir'izw) un potere non richiesto (a;itht'oj). Il coro, perplesso, ricorda
che Edipo ai tempi della sfinge è stato caro alla città (:hd'upolij). Quando tutto
sarà ormai consumato, Edipo cercherà consolazione presso quello stesso coro,
rappresentante della città che egli ha strenuamente difeso, e lo chiamerà
compagno ( ;ep'ipoloj).
Da un punto di vista espressivo tutti questi hapax, come si è visto, hanno
qualcosa da dire, ma da un punto di vista interpretativo non c’è dubbio che i più
interessanti siano i tre centrali. La reazione emotiva alle accuse di Tiresia è
sincera. Il protagonista crede fermamente di esser vittima di un complotto e al v.
384 con gli unicismi che abbiamo ricordato e con il rarissimo dwrht'oj, egli
replica alle accuse di Tiresia, insistendo sulla passività con cui ha acquisito il
potere per volontà della città e non sua. Con questi argomenti egli costruisce una
196
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il campo semantico del rapporto con la città
linea di difesa, che mettendo avanti il suo agire disinteressato, sottolinea gli
interessi di Tiresia e Creonte, il loro desiderio di vederlo esiliato per
impossessarsi del potere. Il coro poi con :hd'upolij nel primo stasimo torna a
insistere sui benefici che Edipo ha portato alla città, benefici che lo rendono in
qualche modo al di sopra di ogni sospetto e portano il coro a considerare la
fallibilità dell’indovino. Ovviamente come non ha richiesto il potere, non ha
richiesto di sposare la madre Giocasta. Questo dato va contro tesi colpevoliste
come quelle di Vellacott199 o di Maiullari200. Edipo, dotato di intelligenza e
fortuna201, arriva all’apice, ma non in maniera tirannica: egli riceve la città in
dono e come afferma Knox dimostra di avere una “democratic temper” (1957, p.
25). Questo temperamento “democratico” di Edipo, collide con le tesi
colpevoliste che vedono nel comportamento tirannico del protagonista la
ragione della sua caduta. Knox ricorda a questo proposito lo hapax :ad'upolij:
The high value he places on his past services to the state is not a subjective boasting: that value is
accepted by the chorus, the people of Thebes. “At the testing time, he was pleasing to the city
(hadypolis, 510) and therefore never in my mind shall he be convicted of baseness” (Knox 1957,
p. 24)
Questo argomento, insieme ad altri, come quelli offerti ad esempio da Whitman
(1966, p. 131: “His deep respect for Jocasta is completely untyrannical”),
ridimensionano esegesi tiranniche,
tra cui quella di Vernant stesso202, ma
199
Vellacott 1971.
Maiullari 1999.
201
2
Cfr. Catenacci 2012 , pp. 181s.
202
Vernant 1972, p. 93: “Mais à l’interrogation d’Oedipe: Polybe et Mérope sont-ils mes
parents ? – Apollon ne répond. Il avance seulement une prédiction : tu coucheras avec ta mère,
tu tueras ton père – et cette prediction, dans son horreur, laisse ouverte la question posée. C’est
donc Œdipe qui commet la faute de ne pas s’inquieter du silence du dieu et d’interpréter sa
parole comme si elle apportait la réponse au problème de son origine. Cette erreur d’Œdipe tient
à deux traits de son caractère : trop sûr de lui, trop confiant dans sa gn'ome, son jugement, il
200
197
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il campo semantico del rapporto con la città
soprattutto di Lanza203. Il comportamento di Edipo non sarebbe poi così tirannico
e, aggiunge Whitman:
Althought Sophocles conceives Oedipus throughout as capable of considerable ferocity, the
extreme outburst at Teiresias and Creon are exceptions to his usual behavior.
(Whitman 1966, p. 131)
In altre parole l’;org'h di cui spesso viene accusato Edipo va forse ridimensionata
come osserva, con buoni argomenti, Condello, che sottolinea le “insistite offese
di Tiresia” e osserva come il suo silenzio sia un atto di vera e propria illegalità.
Difficile certamente attendersi risposte esaurienti da tre semplici hapax, ma è
evidente che essi contribuiscano a dare di Edipo un’immagine moderata rispetto
a quella che molti interpreti hanno assolutizzato in negativo nel suo carattere.
n’est pas porté à mettre en doute son interprétations des faits ; d’un naturel orgueilleux, il se
veut toujours et partout le maître, le premier”.
203
Lanza 1977, pp. 141ss.
198
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il campo semantico del vedere
Il campo semantico del vedere
Ultimo campo semantico nel quale è possibile raccogliere un certo numero di
hapax è quello della vista. Cinque unicismi su venticinque, un quinto insomma.
Tre sono concentrati nell’esodo, punto in cui la tematica si fa, come ognun sa,
centrale.
Ricordiamoli: ;agla'wy, “dall’aspetto splendente”, v. 214 della parodo,
ceir'odeiktoj, “da mostrare a dito”, v. 902 del secondo stasimo, ;ekqe'aomai,
“contemplare”, v. 1253, ;ep'oyimoj, “visibile”, v. 1313, blept'oj, “che si può
vedere”, v. 1337.
Nella parodo il coro prega che Bacco allontani Ares con la torcia splendente
(pe'uka ;agla'wy). Nel secondo stasimo il coro promette di non andare più a
Delfi e a Olimpia, se gli uomini non saranno concordi che gli atti empi sono da
“mostrare a dito”, o che i vaticini sono “manifesti” (ceir'odektoj). Nell’esodo,
prima il messaggero non riesce a guardare la morte della regina (;ekqe'asasqai),
poi il coro nuovamente, nel secondo kommos, sostiene che le sciagure nelle quali
Edipo è piombato non si possano vedere (;ep'oyimoj), opinione cui fa eco quella
del protagonista che sostiene che più nulla gli sia rimasto da vedere (blept'oj)
nella vita.
Di questi cinque unicismi i più attinenti sono certamente quelli dell’esodo, in cui
abbiamo visto pullulare il lessico della vista. In particolare gli ultimi due sono
riferiti ad Edipo e portano in sé l’idea della possibilità di vedere.
Edipo, come Tiresia, ha troppo visto, e l’organo della vista, è stato detto a più
riprese204, è simbolicamente connesso con gli organi genitali. Scrive Edmunds:
204
Brelich 1978, p. 287, con il richiamo al nome Oidiphallos, ma soprattutto Edmunds 1986, pp.
237-253 .
199
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il campo semantico del vedere
Comunque, le due mutilazioni, quella dei piedi e quella degli occhi, sono connesse nel mito con i
delitti di Edipo. Con l’omicidio di Laio, Edipo ha preso il posto di suo padre nel letto di sua madre.
Una mutilazione è intesa a impedire questi delitti; l’altra a punirla. È possibile dimostrare che
tutte e due le motivazioni alludano specificamente all’incesto; e in più, che gli occhi e i piedi
significhino i genitali di Edipo
(Edmunds 1986, p. 237)
I due ultimi unicismi parlano tuttavia di due ‘viste’ differenti. Il coro con o;uk
;akoust'on o;ud’;ep'oyimon sta dicendo che il punto cui è giunto Edipo non si può
concretamente né ascoltare, né vedere. La ‘vista’ cui allude Edipo sembra essere
strettamente legata agli affetti familiari e questo lo fa credere l’accostamento
con l’altro aggettivo verbale, il rarissimo sterkt'oj. In effetti il verbo st'ergw
compare al v. 1023, ed è riferito all’amore di Polibo per Edipo, un amore paterno
di cui Edipo, saputa la notizia della sua non consanguineità con l’uomo, si
stupisce. Nell’Edipo a Colono, v. 1529, il protagonista dice di non poter
trasmettere a nessun altro che a Teseo i segreti di cui è portatore, neppure alle
figlie, “pur amandole”. Questo accostamento sottolinea il rapporto tra vista e
incesto, Edipo ha visto ciò che non era lecito vedere e ha amato chi non doveva
amare. Tutto ciò taglia i suoi rapporti con il g'enoj, egli non può più vedere, né
amare. I suoi occhi sono ciechi perché anche nell’Ade (vv. 1370ss.) non avrebbe
potuto sopportare la vista dei propri genitori. Il coro non può sostenere la vista
presente, mentre Edipo non ha potuto sostenere la vista sul suo passato e non
c’è dubbio che il suo gesto abbia un valore simbolico forte.
200
CAPITOLO III:
IL VALORE PRAGMATICO DEGLI HAPAX DELL’ EDIPO RE
201
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re
Considerazioni generali sul valore pragmatico degli hapax dell’Edipo
re
Prima di procedere ad alcune considerazioni su degli aspetti pragmatici legati ad
alcuni degli hapax, credo sia importante osservare, ove siano presenti, le
costruzioni retoriche all’interno delle quali agiscono gli unicismi.
•
prode'idw (prologo v. 90, “temere prima”). Qui Sofocle sembra lavorare
con delle ripetizioni sillabiche piuttosto insistite, come si può notare di
seguito:
Oi.
#estin dè poîon to%upoj> o#ute gàr qrasùj
o#ut’o%
o%un prode'e'isaj e;imì t^_ ge nûn l'og_
Kr.
e;i t^wnde cr'+zei
eij
ei
ei plhsiaz'ontwn kl'uein,
:eto^imoj e;ipe^in, e#ite kai ste'e'icei
ein
ei #esw.
•
#apouroj
90
EDI.
Ma le parole quali sono? Ciò che dici
non mi spaventa, ma non mi rassicura.
Cre.
Sono pronto a parlare: davanti a tutti,
se vuoi, oppure all’interno del palazzo.
(parodo, v. 194 “lontano dal confine”)
non sembra
accompagnato da particolari figure, anche se c’è nella strofe un diffuso
omoteleuto in -on.
•
;agla'wy (parodo, v. 214, “dall’aspetto splendente”), parte del verso è
lacunosa, difficile stabilire con chiarezza se Sofocle avesse creato qualche
figura retorica in questo punto.
•
;anako'ufisij (primo episodio, v. 218). L’inizio di questa battuta
presenta piuttosto delle ripetizioni vere e proprie, ma anche il gioco
allitterante sembrerebbe incisivo come si può notare:
202
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re
Oi.
a;ite^ij<
a;ite^ij,
j &a d’a;
j t#am’ ;eàn q{el+j #eph 216
kl{uwn d{ecesqai t^+ n{os_ q’:uphrete^in,
;alk
k`hn l{aboij $an k;anak
ko{ufisin kak^
kakwn<
:ag`w x'enoj mèn to^u l'ogou to^ud’;ex'er^w,
x'enoj dè to^u pracq'entoj<
•
EDI. Questo tu chiedi agli dei.
Ma se vorrai dare ascolto alle mie parole
e riconoscere nel morbo la volontà divina,
troverai sollievo e riparo dalla sventura.
Io parlerò come straniero a ciò che è stato
detto e fatto. […]
a;itht'oj (primo episodio, v. 384, “richiesto”) è in omoteleuto con il
precedente dwrht'oj, mentre
•
e;isceir'izw (primo episodio, v. 384, “messo in mano”) è già di per sé
piuttosto
•
carico
come
si
può
notare:
e;isece'
se e'irise
sen.
se
dein'opouj (primo episodio, v. 418, “dal piede terribile”) è coinvolto in
un gioco allitterante come g^hj
hj t^hsde
hsde dein'
de opouj.
•
a;inikt'oj (primo episodio, v. 439, “espresso per enigmi”) è anch’esso
coinvolto in una costruzione decisamente allitterante:
Oi. :wj p'ant’#
an agan
an a;iniktà
à k;asa
af^h l'egeij.
an
•
qespi'epeia (primo stasimo, v. 463, “che ha parole ispirate dalla divinità”)
hapax lirico già di per sé molto ricco non sembra partecipare ad alcuna
particolare figura retorica, qui è come sempre un grave danno la perdita
della musica.
203
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
•
Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re
o;iwnoq'ethj (primo stasimo, v. 484, “indovino”), anch’esso decisamente
carico, l’aggettivo precedente contribuisce all’allitterazione: so
ofò
òj
o;iwno
oq'etaj.
•
;hd'upolij (primo stasimo, v. 510, “gradito alla città”), hapax lirico, non
sembra molto rilevato retoricamente.
•
semn'omantij (secondo episodio, v. 556, “venerando indovino”), come si
è gia notato nell’analisi, è collocato in una battuta in cui troviamo
insieme ripetizione e allitterazioni:
Oi. #epei
eiqe
$ o;uk #epei
eiqe
ei ej, h
ei ej, :wj cre'e'ih m’;epì 555
tòn
n semn'
mn'omantin
#andra
an a p'emya
asqa'
a'i tina
a>
man
an
EDI. Mi hai convinto a consultare quell’indovino,
quel presuntuoso veggente: è vero o non è vero?
•
xunanti'azw (secondo episodio, v. 804, “venire incontro”) fa parte
invece di un’ accumulazione di termini legati al campo semantico del
camminare, che si susseguono velocemente in pochi versi: ste'icwn e
;ikno^umai al v. 798, kele'uqou e :odoipor^wn al v. 801, ;embeb^wj al v.
803, xunhnt'iazon e :odo^u al v. 804.
•
;ecqroda'imwn (secondo episodio, v. 816, “inviso agli dei”) termine molto
pregnante. Esso si trova in una serie di interrogative, e crea una climax
ascendente con la domanda che precede, in parte per la forza dello hapax
stesso, in parte per il comparativo analitico:
t'ij to^ud'e g’;andròj n^un $an ;aqli'wteroj, 815
t'ij ;ecqroda'imwn m^allon $an g'enoit’;an'hr
204
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re
[…] chi è più sventurato di me?
Chi fra gli uomini è il più odiato dagli dei?
•
o;i'ozwnoj (secondo episodio, v. 846, “che viaggia solo”) come si è visto,
fa parte dell’insistenza sulla singolarità e*ij-!en’o;i'ozwnon- ;em'e.
•
e#useptoj (secondo stasimo, v. 864, “venerando”) ancora uno hapax
lirico, immerso in una serie di omoteleuti:
Co. e#i moi xune'ih f'eronti mo^ira tàn
e#usepton
on :agne'ian l'ogwn
wn
#ergwn
wn te p'antwn
wn,
wn *wn n'omoi pr'okeintai 865
:uy'ipodej, o;uran'i=
Di’ a;iq'era teknwq'entej, *wn
wn
# Olumpoj pat`hr m'onoj, o;ud'e nin
qnatà f'usij ;an'erwn
wn #etikten,
o;udè m'hpote l'aqa katakoim'as+< 870
m'egaj ;en to'utoij qe'oj,
o;udè ghr'askei.
•
La sorte mi conceda sempre
purezza e devozione
di parole e di azioni:
su di esse vegliano le leggi
altissime, generate
nell’etere celeste.
Loro padre è l’Olimpo,
non sono nate
dalla stirpe mortale
degli umani. Il sonno
dell’oblio mai scenderà
su di loro. Grande
vive in esse un dio
che non invecchia.
:uy'ipouj (secondo stasimo, v. 866, “che ha i piedi in alto”) partecipa a
una figura etimologica , ma è piuttosto un’antitesi ad aggiungere valore
espressivo allo hapax.
•
ceir'odeiktoj (secondo stasimo, v. 902, “da mostrare a dito”), hapax
lirico, neanche qui vi sono particolari figure elocutive.
•
;epiqum'iama (terzo episodio, v. 913, “offerta di incenso”) in figura
etimologica con il successivo qum'oj.
205
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
•
Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re
;ekqe'aomai (esodo, v. 1253, “guadare”), nel verso, come nel caso di
;anako'ufisij, c’è una certa insistenza allitterante, ma qui non troppo
marcata: o;uk %hn tò ke'inhj ;ekqe'asasqai kak
k'on.
•
;ep'oyimoj (esodo, v. 1313, “che si può vedere”), il verso è di per sé in
rilievo, in quanto trimetro giambico di cerniera tra gli anapesti e i versi
lirici. La correlazione negativa è rafforzata dagli omoteleuti: ;ej deinòn
òn
o;ud’;
d’akoustòn
òn o;ud’;ep'oyimon
on.
on
•
duso'uristoj (esodo, v. 1315, “spinto da vento favorevole”) infine è
all’apice di una climax arricchita da una serie di omoteleuti:
str. a’
Oi. I`w sk'otou n'efoj ;emòn
òn ;ap'otropon
on,
on
;epipl'omenon
on #afaton
on,
on
;ad'amast'on
on te kaì duso'uriston
on “#on”. 1315
•
EDI. Oh, mia tenebra!
Orrenda nube senza nome
scesa su di me indomabile, implacabile!
;ep'ipoloj (esodo, v. 1322, “amico”) crea una figura etimologica con
l’;epipl'omenon della strofe. La nube di vento che assale Edipo, nube del
destino, nube del g'enoj, si pone in antitesi, nella figura etimologica, con il
sostegno che viene a Edipo dalla p'olij rappresentata dal coro.
•
blept'oj (esodo, v. 1337, “che si può vedere”). Questa volta è la
correlazione disgiuntiva di aggettivi che esprimono possibilità a essere
rafforzata con omoteleuti.
•
;epip'odioj (esodo, 1350, “che è ai piedi”)
partecipa a una figura
etimologica con p'eda. Qui anche il nome di Edipo partecipa virtualmente
206
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re
alla figura etimologica, perché si sta richiamando precisamente quel
“micro -récit”205 contenuto nel nome del protagonista.
Scrivono Ducrot e Schaeffer:
La pragmatique étudie tout ce qui, dans le sens d’un énoncé, tient à la situation, dans laquelle
l’énoncé est employé, et non à la seule structure linguistique de la phrase utilisée. […]La
pragmatique concerne non pas l’effet de la situation sur la parole, mais celui de la parole sur la
situation.
(Ducrot-Schaeffer 1995, pp. 131ss.)
Nel nostro caso non possiamo prendere la parole nel senso saussuriano di “atto
linguistico individuale del parlante”, evidentemente la l'exij tragica è un atto
linguistico più rigido, che condivide con la parole la concretezza, ma con la
langue una certa fissità, cui contribuisce la presenza di un testo e di uno schema
metrico prestabiliti, dell’impiego della memoria. La l'exij tragica, parola teatrale,
è solo in parte una riproduzione dell’atto linguistico individuale, ma in questa
riproduzione non vi è alcuna intenzione di realismo nel senso moderno del
termine (neanche una lingua teatrale “realista” sposta sulla scena gli atti
linguistici reali, essi sono sempre filtrati dal codice teatrale e come scrisse
Barthes206: “a teatro, l’esteriorità dei segni rende ridicolo il realismo”).
Credo sia un desiderio vivo in molti studiosi del teatro antico quello di poter
dedurre tratti soprasegmentali a partire dai tratti segmentali del testo tragico.
L’esercizio, inutile dirlo, è destinato a fallire. Intonazione, gesto, ritmo dell’attore
in quell’unica performance teatrale del V secolo sono per sempre perduti, non
possiamo che ipotizzare, ma ipotizzare con la certezza di non poter procedere
mai, neanche in futuro, a delle verifiche, è un atto di masochismo esegetico.
205
206
2
Per l’idea di “micro-récit” cfr; Calame 2000 , pp. 251-253.
Barthes 1953, p. 56.
207
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re
È invece possibile rilevare le tracce delle intenzioni comunicative del poeta,
intenzioni che potevano ricadere anche sull’interpretazione dell’attore,
evidentemente, ma nessuno può dirlo con certezza. Possiamo forse considerare
tali tracce delle intenzioni comunicative del poeta come indicazioni registiche
ante litteram, ma soprattutto dobbiamo riconoscere il loro ruolo nella
dimensione della performance drammatica, nella situazione, avendone già visto,
durante l’analisi, il contesto.
I campi semantici in cui abbiamo riunito i diversi hapax sono un primo
importante dato pragmatico. I termini inusuali, che richiamano già di per sé
l’attenzione degli spettatori, quando appartengono a uno stesso campo
semantico, producono una forma di ridondanza comunicativa in cui è presente
l’evidente intenzione e il plausibile effetto di potenziare il messaggio.
L’uso degli artifici retorici che abbiamo registrato può contribuire a mettere
ancor più in rilievo i significati e i significanti degli hapax. I molti omoteleuti e le
numerose allitterazioni sono un tratto così diffuso nella versificazione sofoclea
da non risultare sempre significativi ed essendo noi oltretutto troppo
disinformati sulle tecniche di dizione degli attori, non è semplice capire se tali
artifici agissero sul ritmo, sull’intenzione, o altro. Ai nostri occhi (alle nostre
orecchie che ‘ascoltano in differita’) risulta più semplice cogliere la correlazione
con i nostri hapax e la loro funzione quando tali fenomeni retorici presentano
tratti macroscopici. Gli unicismi in cui possiamo intravedere un più deciso
intervento di Sofocle anche a livello retorico con effetti pragmatici plausibili
sono:
•
V. 218, k;anak
ko{ufisin kak^
kakwn.
Qui l’immagine del “sollievo dai mali” viene in questo modo ‘ritagliata’ dal
poeta e messa in rilievo.
208
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
•
Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re
V. 556, semn'omantij .
Qui l’allitterazione interna rende il termine estremamente carico. Questo
sovrabbondante ‘peso’ retorico contribuisce a esprimere l’ironia di Edipo
verso Tiresia e Creonte, offrendo all’attore la possibilità di sottolinearla
ancor più con la sua interpretazione.
•
V. 846, e*ij-!en’o;i'ozwnon- ;em'e.
Qui l’accumulazione di termini che fanno riferimento all’idea di
singolarità è estremamente marcata e rafforza il già grande potere
espressivo dello hapax.
•
V. 866, :uy'ipouj.
Qui l’antitesi con o;u podì crhs'im_ aiuta il pubblico nella definizione dei
poli di positività e negatività, opponendo le leggi supreme degli dei con la
!ubrij mortale.
•
V. 1313, ep'oyimoj e V. 1337, blept'oj.
In entrambi i casi la correlazione di aggettivi verbali si accompagna
all’omoteleuto dando vita all’opposizione tra due differenti impossibilità,
quella del coro che concretamente non può guardare né ascoltare Edipo
per come si è ridotto, e quella di Edipo la cui conoscenza del proprio
dramma e della propria identità rende impossibile la vista, l’amore, e
ancora, l’ascolto.
209
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re
Si sono visti i termini in cui unicità e figure retoriche interagiscono dando
maggiore espressività e migliorando la chiarezza del messaggio già a livello
segmentale, favorendo la comunicazione tra attore e pubblico.
L’unico hapax che possa suggerire qualcosa a livello del movimento scenico è
;epiqum'iama.
Tra gli altri hapax possiamo dire, in base a quanto già osservato in precedenza,
che particolare rilevanza assumono i composti legati alla radice pod- (:uy'ipouj,
dein'opouj, ;epip'odioj) perché oltre a legarsi al campo semantico del
camminare e a partecipare alle figure retoriche che abbiamo visto, essi
richiamano il nome del protagonista ottenendo diversi effetti sul pubblico.
Quell’unicità che ha quasi immancabilmente un intrinseco valore pragmatico,
Sofocle la rende ancor più efficace inserendola in determinate cornici retoriche,
in accumulazioni semantiche, in un più generale richiamo a determinati temi
della tragedia, in un gioco con il nome del protagonista, dando a significati e
significanti una nuova forza comunicativa.
210
CAPITOLO IV:
LA TRADUZIONE DEGLI HAPAX DELL’ EDIPO RE
211
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
La traduzione degli hapax dell’Edipo re
Brevi considerazioni sulla traduzione degli hapax dell’Edipo re
Preziose sono le riflessioni di Bruno Gentili sulla traduzione dai lirici greci. Lo
studioso, dopo aver citato una lettera in cui d’Annunzio spiegava al suo
traduttore francese, George Herelle, che una buona traduzione doveva
avvicinare il lettore all’opera e non viceversa, osserva :
[…] una traduzione deve fare intuire, a chi per ignoranza della lingua straniera non è in grado di
averne una comprensione diretta, la qualità dell’opera originale, deve cioè lasciar trasparire, per
quanto è possibile, tutte le modalità espressive del testo di partenza, non banalizzandole o
addirittura annullando le peculiarità stilistiche dell’originale.
2
(Gentili 2006 , p. 347).
Gentili osserva altresì che una traduzione eccessivamente letterale può sortire
l’effetto della inintelligibilità:
[…] l’identità risulterebbe in ogni caso un’operazione mistificatoria di estraniamento della propria
lingua a danno della intelligibilità e della comunicabilità.
2
(Gentili 2006 , p. 351)
Le considerazioni di Gentili toccano le teorie sulla letteralità di Walter
Benjamin207, le osservazioni su melopea, fanopea, logopea, di Ezra Pound208,
offrono alcuni spunti di riflessione su traduzioni poetiche come quelle di
Quasimodo, di Hölderlin, di Traverso, concludendo che, in funzione della
comunicabilità tra culture, la traduzione, ove abbia lasciato inespressi taluni
contenuti del messaggio, sia corredata da un apparato di note con opportune
precisazioni.
Lo stesso Gentili, soffermandosi sul problema dell’intraducibilità di alcuni tratti
della poesia greca, osserva:
207
208
Benjamin 1955.
Pound 1967.
212
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
La traduzione degli hapax dell’Edipo re
Sul piano dell’esemplificazione concreta, nessuna traduzione potrà mai trasferire nella propria
lingua il colorito dialettale dei testi lirici, come approssimativa sarà sempre la resa degli epiteti,
delle parole composte (soprattutto per un traduttore di lingua italiana) e delle metafore
2
(Gentili 2006 , p. 351s.).
In una nota lo studioso ricorda che composti come quelli bacchilidei “presentano
difficoltà talora insormontabili per il traduttore italiano” e aggiunge che il
tentativo di Fagles209 di tradurre tali composti con delle perifrasi o di coniare dei
corrispettivi composti inglesi appare plausibile, anche se il conio di nuovi termini
non sempre dà risultati felici.
La teoria della traduzione è materia molto complessa. La traduzione per il teatro
ha inoltre le sue peculiarità. In particolare per Sofocle, ma l’osservazione si può
allargare a molti poeti, torna in mente quanto scrive Rodighiero:
Dopo la breve disamina di alcuni passaggi di Edipo re, pare possibile, raccolte queste tracce,
inscrivere le scelte di Sofocle entro un definito e intenzionale programma di ‘poetica del suono’.
Ciò a dire che l’autore aveva coscienza delle potenzialità e degli effetti producibili grazie al timbro
delle parole e alla loro collocazione e disposizione.
(Rodighiero 2000, p. 32)
Una tale “poetica del suono” presenta al traduttore difficoltà spesso
insormontabili, tanto che Sanguineti pensa che ogni traduzione sia un’opera di
invenzione, in cui il traduttore si nasconde dietro il testo:
Voglio insinuare l’idea, come capirete, che il più onesto, scrupoloso, e come ingenuamente si
dice, il più letterale dei traduttori, è in realtà un porco del gregge di Epicuro. Tanto per grecizzare
un po’, come qui è giusto fare, la sua impresa è una variante, letterariamente assai notabile, del
«làthe biòsas», in applicazione specifica, come un «làthe gràpsas».
(Sanguineti 1987, p. 183)
209
Fagles 1961.
213
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
La traduzione degli hapax dell’Edipo re
Di qui il progressivo avvicinamento di Sanguineti210 a quella traduzione “a calco”
volta a stabilire la lontananza più che la vicinanza, l’intraducibilità di una cultura
in un’altra cultura. Sanguineti sostiene che sia necessario “grecizzare l’italiano,
non italianizzare il greco”211.
In queste pagine proporremo qualche riflessione puntuale sulla traduzione degli
hapax che abbiamo incontrato.
Il problema della traduzione degli hapax ci pone di fronte alla questione
pragmatica della reazione che già il pubblico antico doveva avere di fronte ad
essi. Ci si potrebbe domandare se laddove lo spettatore antico era colto di
sorpresa dall’invenzione del poeta, non sia giusto far corrispondere nella
traduzione un sorprendente neologismo.
Sempre Sanguineti, di cui qui abbiamo spesso citato la traduzione dell’Edipo
Tiranno, andato in scena nel 1980 con la regia di Benno Besson, ci ha offerto lo
spunto per riflessioni su questo argomento.
La sua traduzione impressionò molto pubblico e critici212 e tra gli esperimenti
memorabili del poeta non si può non menzionare la traduzione del nome del
protagonista, che suonò “Piedone”. La letteralità paradossale cui sono state
capaci di arrivare, per aperta intenzione, le ultime due traduzioni di Sanguineti
(quella dell’Ifigenia in Aulide e quella dell’Ippolito di Euripide), è stata rilevata
puntualmente da Condello213. Certamente i neologismi sanguinetiani hanno in
qualche modo investito un problema che interessa da vicino anche i nostri
hapax. Negli esperimenti di Sanguineti, il quale probabilmente stava seguendo
210
Mi sono occupato della traduzione sanguinetiana dell’Ippolito euripideo, ponendo l’accento
sulla traduzione dei neologismi, cfr. Murrali 2011.
211
Sanguineti 2010.
212
Cfr. Macasdar-Tinterri 2006.
213
Cfr Condello 2006, 2012 a, 2012 b.
214
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
La traduzione degli hapax dell’Edipo re
una più alta linea di pensiero e interveniva su più universali querelles, come in
quelli di Fagles, è possibile rintracciare neologismi “plausibili” 214, per riprendere
il termine utilizzato da Gentili, e altri piuttosto infelici (ma è chiaro che anch’essi
rientravano pienamente nel pensiero sotteso alla traduzione sanguinetiana).
Venendo specificamente al problema della traduzione degli hapax, credo che,
per prima cosa, sia ragionevole porselo e non soprassedere come quasi sempre
avviene. In secondo luogo è opportuno considerare senza radicalismi caso per
caso e domandarsi se vi sia per l’appunto una traduzione plausibile, capace di
mantenere intelligibilità e di non obliterare tuttavia quel potenziale espressivo e
attrattivo insito in molti unicismi.
Riprendiamo i nostri hapax e le diverse traduzioni accompagnandoli con una
proposta che può anche corrispondere con quella degli altri interpreti:
Mazon
hapax
Del Corno
Paduano
Quasimodo
Sanguineti
Ciani
Traduzione
proposta
mi
v. 90, prode'idw
alarmer
mi ispira né
né timore
né
paura
prima
incoraggiato
spaventano
mi spaventa
so pretemere
volti le
spalle alla
mia terra
espulso
prima
v. 194,
/
#apouroj
via
dalla mia
patria,
éclairé
v. 214, ;agla'wy
d’une torche
v. 218,
allégement
;anako'ufisij
lontano dai
lontano dalla
via, da questa
confini della
nostra terra
patria
patria
/
/
/
lucenti
sollievo
liberazione
sollievo
sollievo
/
sollievo
dall’aspetto
lucente
sollievo
214
Cfr. L’ Ifigenia in Aulide di Euripide, tradotta nel 2007 (Sanguineti 2012) e l’Ippolito di Euripide,
tradotto nel 2010.
215
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
v. 384, ;aitht'oj
demandé
chiesto
La traduzione degli hapax dell’Edipo re
Chiesto
/
richiesto
m’offrirono
mi ha messo
nelle mie
chiesto
richiesto
ha
v. 384,
e;isceir'izw
m’a mis
elle-même
me l’ha
affidato
mi ha messo
in mano
mani
mi è stato
consegnato
donato
nelle mie
mani
v. 418,
dein'opouj
v. 439,
a;inikt'oj
v. 463,
qespi'epeia
v. 484,
o;iwnoq'ethj
v. 510,
;hd'upolij
qui
s’avvicina
col piede
con il suo
tremenda
approche
tremenda
tremendo
piede terribile
misteriose
enigmatiche
v. 804,
xunanti'azw
v. 816,
;ecqroda'imwn
v. 846,
o;i'ozwnoj
tremendo
terrible
énigmes
prophétique
enigma
/
enigmatico
Profetica
voce del dio
profetica
Augure
indovino
interprete
degli uccelli
dolce alla città
che conosce
devin
per enigmi
ispirata dal
dio
sacerdote
la verità
enigmatico
voce del dio
interprete
degli ucceli
recò gioia
son amour
l’amore
amico della
degno della
pour Thèbes
della città
città
città
alla nostra
caro alla città
città
v. 556,
semn'omantij
dal piede
inesorabile
auguste
indovino
devin
venerando
celebre
il profeta
indovino
santo
Indovino
quell’indovi
no, quel
presuntuos
o veggente
sacrindovino
venaient à
vennero
mi è venuto
mi venne
io l’ho
mi si fecero
mi si fecero
incontro
incontro
incontro
incontrato
incontro
incontro
odiato dagli
in odio agli
odiato dai
odiato dagli
odiato dagli
dèmoni
dei
dei
ma
rencontre
abhorré des
odioso agli dèi
dieux
dei
voyageur
viaggiatore
dèi
un
il viandante
un
una persona
isolé
solitario
Viaggiatore
viaggiatore
era solo
viaggiatore
solitario
solitario
v. 864,
e#useptoj
sainte
sacra
Santa
sacra
sacra
devozione
devota
216
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
v. 866,
:uy'ipouj
La traduzione degli hapax dell’Edipo re
dans les
alte sopra i
supreme
Eccelse
supreme
hauteurs
loro piedi
v. 902,
ceir'odeiktoj
flétrir
alte sopra i
altissime
aborrire
manifesto
/
evidenti
loro piedi
condannare
questi atti
mostrandoli
a dito
v. 913,
;epiqum'iama
offerte
parfums
offerte di
Incenso
d’incenso
;ekqe'aomai
assister
v. 1313,
;ep'oyimoj
assistere
Guardare
si può
à voir
offerte di
incensi
incensi
incenso
v. 1253,
/
incenso
restare
osservarla
vedere
spettatore
si vorrebbe
a vedere
vedere
che queste
azioni si
possono
additare
si può
si può vedere
da vedere
vedere
guardare
Spinta da un
v. 1315,
duso'uristoj
senza
écrasant
vento
tempestosa
senza fine
soffocante
implacabile
rimedio
infaustament
e favorevole
v. 1322,
;ep'ipoloj
v. 1337,
blept'oj
v. 1350,
;epip'odioj
ami
amico
Amici
potevo
Vedere che
guardare
cosa?
amico
amico
que
compagno
da
pouvais-je
posso vedere
visibile
voir
/
amico
contemplar
da guardare
e
/
mi ha liberato
dai piedi
Che governa i
pedestre
i piedi
forati
ai piedi
piedi (Gentili)
Da questa tabella emerge l’imbarazzo che talvolta coglie i traduttori di fronte a
certi hapax. L’esempio più evidente è quello di ;agla'wy, che oltretutto non
creerebbe grosse difficoltà di resa, ma l’immagine della torcia che brucia sembra
a molti sufficiente, e, forse proprio perché di fronte a uno hapax, eliminano
l’aggettivo che indica la lucentezza.
217
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
La traduzione degli hapax dell’Edipo re
Sul versante opposto, quasi tutti sono concordi sulla traduzione di
;anako'ufisij, come “sollievo” e in effetti, pur essendo un vocabolo piuttosto
comune, esso rappresenta al meglio la parola di partenza. In generale in italiano,
lingua non molto portata alla composizione rispetto al greco, una traduzione che
ricalchi le eventuali creazioni sofoclee rischia di risultare addirittura comica. Se
nell’analisi ho tradotto :uy'ipouj con “altipede”, resa che può essere utile nella
spiegazione del composto, un tale neologismo pronunciato sulla scena diventa
aulico e risibile. Si può forse azzardare traducendo prode'idw con “pretemere”,
poiché risulta chiaro e non comico. Anche molti neologismi di Sanguineti, nella
traduzione dell’Ippolito euripideo, furono eliminati, alcuni ingiustamente, dal
regista Carmelo Rifici, che evidentemente deve averli ritenuti impronunciabili
sulla scena.
Davvero banalizzanti tuttavia appaiono le traduzioni di duso'uristoj, per il
quale certo non ci aspettava un neologismo ad hoc , ma almeno una perifrasi
che non facesse perdere tutta l’immagine poetica e paradossale di questo vento
infaustamente favorevole.
Sicuramente si poteva osare con la creatività di fronte al termine semn'omantij,
perché in questo caso l’ironia con cui il personaggio pronuncia un tale vocabolo
avrebbe creato una complicità sorridente con il pubblico, avrebbe sottolineato lo
scherno ai danni di Tiresia e Creonte. Si è proposto di tradurlo con
“sacrindovino”, perché il contesto lo permette.
Per il resto, a volte è auspicabile, ove ciò non appesantisca troppo il ritmo della
frase, tradurre taluni unicismi con delle perifrasi che restituiscano la pienezza del
significato. Ad esempio un unicum come qespi'epeia mantiene la sua forza
espressiva nella scelta di traduzione operata da Quasimodo, che ne rende al
218
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
La traduzione degli hapax dell’Edipo re
meglio anche il significato, con l’inciso – un segno forte anche per l’attore –
“voce del dio”.
Non si può escludere che un traduttore particolarmente sensibile riesca talvolta
a rendere anche in una tragedia, e anche, in casi diversi da quello di
semn'omantij, l’unicismo con un neologismo che impressioni il pubblico italiano
senza risultare comico. Tuttavia, ove, come nella maggior parte dei casi, una tale
operazione non sia realizzabile, bisognerà cercare di rendere pregnante
l’espressione con altri strumenti che la lingua d’arrivo possiede, proprio come ha
fatto Quasimodo, isolando nell’inciso, quest’ immagine sonora e di sicuro effetto
che è la perifrasi : “voce del dio”.
219
CONCLUSIONI
220
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Conclusioni
Conclusioni
È tempo di ricomporre sinteticamente le idee emerse nel corso di questo studio.
Dalla divisione dei 25 unicismi in hapax dei dialoghi e hapax lirici, si è potuto
osservare che i secondi sono, in proporzione, più numerosi, meno trasparenti e
meno ‘incorniciati’ retoricamente con figure elocutive (forse perché era
sufficiente la musica?).
Sia gli unicismi dei dialoghi che quelli lirici sono, nella quasi totalità, legati al
campo semantico di un tema importante dell’Edipo re: il camminare, il divino, il
rapporto con la città, la vista. Questa divisione in campi semantici e l’analisi dei
25 hapax non possono essere totalmente autonome nell’interpretazione della
tragedia, ma si rivelano utili per rileggere le tesi numerose e opposte che si sono
susseguite e scontrate nel tempo. Gli unicismi del “divino” ci dicono che
nell’Edipo re fato e divinazione hanno un ruolo importante, ma gli hapax del
camminare si legano facilmente, come si è potuto vedere, al dinamismo e alla
volontà dell’eroe, alla sua capacità deliberativa, sottolineando che fato e volontà
non possono essere scissi in questa tragedia, ma si inseguono a vicenda. Tuttavia,
gli hapax del divino sembrano offrire argomenti soprattutto in merito alla
polemica sulla divinazione, più che dare conforto a una tesi fatalistica tout court,
che concerne particolarmente le vicende di Edipo precedenti a quelle trattate
nella tragedia sofoclea. Il campo semantico della relazione tra la città e l’uomo ci
aiuta a ridefinire la posizione di Edipo nei confronti della comunità di Tebe e
quella del coro rispetto all’eroe, confermando le tesi di chi si opponeva a una
visione tirannica di Edipo, nel cui comportamento iroso si sarebbe riassunto tutto
il senso della sua !ubrij, dunque della sua :amart'ia e della sua caduta. Nel
campo semantico della vista infine abbiamo potuto apprezzare, specialmente
nell’esodo, la capacità di Sofocle di coinvolgere lo spettatore insistendo al
221
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Conclusioni
momento opportuno su questo ambito lessicale, fino alla ‘metavisione’ dello
spettatore che ‘vede’ ciò che il messaggero ha visto, ciò che il coro vede da
spettatore e ciò che Edipo dice di non poter più vedere.
La tematicità degli hapax rivela la scelta fortemente consapevole del poeta e ci
può far dire più di una volta che plausibilmente siamo di fronte a una vera e
propria invenzione sofoclea, non più ripresa successivamente, per quel che ne
sappiamo.
L’analisi formale ci ha rivelato anche, come era prevedibile, il richiamo di Sofocle
alla tradizione poetica precedente, a modelli di composti già presenti nella lingua
dei poemi omerici, ma anche della poesia melica o di Eschilo.
Alcuni degli unicismi pongono problemi di intelligibilità, che in parte sono stati
chiariti e in parte restano aperti. Questo non inficia le dimostrazioni sul valore
pragmatico generale degli unicismi dell’Edipo re, capaci di colpire l’attenzione,
ma anche di farsi comprendere, almeno nel loro aspetto semantico principale,
dallo spettatore.
A questo punto si può forse osare una breve ma decisiva riflessione.
Nell’introduzione al suo già menzionato saggio Lector in fabula, Eco scriveva:
Non so se sia il caso di far notare che, a differenza di quasi tutti gli altri miei libri, questo restringe
il campo di indagine ai soli fenomeni verbali, anzi, ai soli testi scritti e tra questi ai soli testi
narrativi. Ma il concetto semiotico di testo è più vasto di quello meramente linguistico, e le
proposte teoriche che faccio aspirano, con gli opportuni aggiustamenti, a risultare applicabili a
testi non letterari e non verbali. Rimane quindi aperto il problema della cooperazione
interpretativa nella pittura, nel cinema, nel teatro.
(Eco 1979, pp. 10s.)
222
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Conclusioni
Nel nostro caso siamo di fronte a un testo nato per la scena, scritto con il solo
fine della memorizzazione attoriale e ci si può domandare se Sofocle avesse in
mente uno “spettatore modello” con cui interagire. Che Sofocle lo avesse o
meno in mente questo “spettatore modello” mentre componeva la sua tragedia,
appare evidente alla fine di questa ricerca che il poeta cercasse di indirizzare
l’interpretazione dello spettatore con degli accorgimenti, tra i quali gli hapax, ci
sembra di averlo ormai dimostrato, hanno un ruolo importante e sembrano
poter rientrare nella teoria dei topic che Eco affronta:
Il problema è piuttosto di sapere in che modo il Lettore Modello (che di solito non è oggetto di un
raggiro da parte dell’autore) viene orientato alla ricostruzione del topic. Sovente il segnale è
esplicito: il titolo appunto, o una espressione manifesta che dice di cosa appunto il testo si vuole
occupare. Talora invece il topic è da cercare. Il testo allora lo stabilisce reiterando per esempio
con molta evidenza una serie di sememi, altrimenti detti parole chiave. Altre volte queste
espressioni chiave, più che essere abbondantemente distribuite sono solo strategicamente
collocate. […]
Infine bisogna osservare che un testo non ha necessariamente un solo topic.
(Eco 1979, p. 91)
In una dimensione di oralità-auralità, come è quella teatrale, la ridondanza,
l’insistenza, la ripetizione di parole chiave o la loro collocazione in rilievo, la
creazione di parole chiave che sono di per sé in rilievo per la loro singolarità,
hanno grande importanza, perché a teatro lo spettatore non può tornare
indietro a rileggere quel che non ha capito, o che gli è sfuggito in un momento di
distrazione, ma è compito dell’autore (e dell’attore) aiutarlo a centrare il topic e
indirizzarlo nell’interpretazione o almeno nella ricezione dei contenuti rilevanti
della tragedia.
Se questo ruolo spesso rivestito dagli hapax (ruolo che come abbiamo detto non
è estraneo ad altri termini) sia valido anche per altre tragedie e altri enunciati in
223
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Conclusioni
generale non è qui possibile dirlo. Nell’Edipo re gli unicismi si intrecciano
perfettamente con le tematiche della tragedia cui appartengono e spesso
attraggono su di esse l’attenzione dello spettatore. Sarebbe invece un grave
errore pretendere di sussumere dagli hapax delle universali teorie del tragico, e
in questo senso ha grande importanza il monito della Dupont:
Donc, quand la performance échappe aux lieux communs, quand soudain un personnage invente
une parole nouvelle, celle-ci n’a de signification que pragmatique, elle ne peut se transformer en
discours générale sur le monde. Personne d’autre ne peut s’en emparer. Cette parole,
surprenante, souvent métaphorique, est indissociable du caractère fictif du sujet qu’elle sert à
construire et, de ce point de vue aussi, elle est insignifiante.
(Dupont 2001, p. 26)
Infine grazie a una prospettiva attenta alle singolarità, è stato possibile
riconsiderare anche guasti o presunti guasti della tradizione, evidenziando
l’importanza che gli hapax, a volte arbitrariamente corretti, possono avere
nell’intelaiatura della tragedia, con i suoi richiami interni, con le sue insistenze su
certi ambiti lessicali.
Avviandoci ora a concludere, proviamo a offrire un’interpretazione della tragedia
che si appoggi, in buona parte, su quanto emerso dalla presente ricerca.
Va detto che i nostri hapax sono davvero “strategicamente collocati”, la loro
‘geografia’ descrive in effetti dei picchi di tensione nella tragedia, contribuisce a
questa tensione, offrendo un apporto importante all’espressività, ma anche alla
chiarezza del contenuto. Lo spettatore, nei momenti di maggiore implicazione
emozionale, sarà guidato nella ricezione dalla ricchezza espressiva, dalla
pregnanza di molti degli hapax e, spesso, del contesto che li accompagna.
Non è un caso che nel primo momento dialettico forte della tragedia, lo scontro
con Tiresia, nel primo episodio, compaiano, a distanza piuttosto ravvicinata, ben
quattro hapax (v. 384 a;itht'oj, “richiesto”; v. 384 e;isceir'izw, “mettere nelle
224
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Conclusioni
mani”; v. 418 dein'opouj, “dal piede terribile”; v. 439 a;inikt'oj, “enigmatico”).
Nel secondo stasimo, dove il coro turbato esprime la sua perplessità, troviamo
tre hapax (v. 463 qespi'epeia, “fatidica”; v. 484 o;iwnoq'ethj, “colui che
interpreta il volo degli ucceli”; v. 510 :hd'upolij, “caro alla città”).
Nel secondo episodio, durante l’angosciata ricostruzione dell’assassinio di Laio e
nello scambio con Giocasta immediatamente successivo, Edipo, ancora
inconsapevole del suo parricidio, ma tormentato dal dubbio, pronuncia
nuovamente tre hapax (v. 804 xunanti'azw, “venire incontro”; v. 816
;ecqroda'imwn, “in odio agli dei”; v. 846 o;i'ozwnoj, “che viaggia solo”).
Nel secondo stasimo, nel quale il coro esprime energicamente la sua
indignazione verso l’empietà, si susseguono ancora una volta tre hapax (v. 864
e#useptoj, “molto venerabile”; v. 866 :uy'ipouj, “dai piedi elevati”; v. 902
ceir'odeiktoj, “che si mostra con la mano”).
Un’insistente serie di hapax, dopo oltre trecento versi di latitanza, accompagna
l’esodo, in cui, va detto, benché sia dominante il campo semantico della vista (tre
hapax su sei, equamente distribuiti tra II messaggero, coro e Edipo: v. 1253
;ekqe'aomai, “guardare attentamente”; v. 1312 ;ep'oyimoj, “visibile”; v. 1337
blept'on, “degno di essere visto” ), ricompaiono anche il campo semantico del
destino (v. 1315 duso'uristoj, “spinto da un vento infaustamente favorevole”),
del rapporto con la città (v. 1322 ;ep'ipoloj, “compagno”), del camminare
(;epip'odioj v. 1350, “che governa i piedi”).
La funzione dei singoli hapax è differente all’interno di ciascuno di questi cinque
momenti, ma l’insieme di ogni gruppo, nei diversi punti, contribuisce alla
tensione e alla chiarezza espressiva. Se il poeta insiste, se vuole che i contenuti
passino anche nei momenti di maggiore tensione è perché evidentemente è
bene che lo spettatore ne tenga conto.
225
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Conclusioni
Procediamo più propriamente nel campo dell’interpretazione. Prima di tutto è
importante sottolineare il fatto che la questione morale, più volte richiamata,
spesso messa dagli interpreti al centro del dibattito sull’Edipo re, è fuorviante.
Essa nasce dalla cattiva interpretazione della Poetica di Aristotele (53a):
Resta dunque il caso intermedio tra questi. È di questo tipo colui che, non distinguendosi per
virtù e per giustizia, non è volto in disgrazia per vizio e malvagità, ma per un errore, tra coloro che
si trovano in grande fama e fortuna, come per esempio Tieste, Edipo e gli uomini illustri
provenienti da siffatti stirpi.
(Lanza 1987, pp. 157ss.)
Molti hanno intrapreso la caccia all’errore (:amart'ia) di Edipo, caricando questo
termine di un significato morale, dandogli il senso di “colpa” tout court. L’errore
di Edipo non starebbe allora in tutto quello che involontariamente ha compiuto
(il parricidio, l’incesto), ma nella sua irosità (;org'h) o, peggio ancora, nella sua
malafede, o almeno superficialità, perché avrebbe dovuto evitare l’unione con
una donna più anziana di lui, non macchiarsi di un delitto di sangue verso un
uomo che poteva essere suo padre, e così via. Proseguendo su questa linea si
rischia di perdere di vista le questioni centrali della tragedia e di trasformare il
dibattito critico in un salotto in cui si intentano processi contro i personaggi. Se
gli dei, come scherza Dodds, hanno letto questo passo della Poetica, certamente
lo hanno inteso meglio di molti critici moralisti. In ogni caso, si è già detto che
cercare nella Poetica risposte esaustive intorno alla realtà della tragedia del V
secolo è molto rischioso. L’errore di Edipo è un motore tragico, la questione
morale non è all’ordine del giorno.
Più importante e più interessante è riflettere, insieme agli spettatori ateniesi, su
quel che immediatamente la tragedia metteva in scena e dava la possibilità di
capire a un primo (e unico) ascolto. Edipo è il re e deve risolvere il problema della
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Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Conclusioni
peste a Tebe, deve comprenderne le cause e per questo invia Creonte a Delfi. C’è
in questo un atteggiamento fiducia nel divino, ma soprattutto egli compie la
scelta del buon sovrano che non lascia intentata alcuna via. prode'idw (v. 90,
“temere prima”) ci ha reso conto dell’ansia di Edipo di capire al più presto. Egli
cerca per via razionale soluzioni che possono passare anche attraverso la
divinazione, tanto che invia Creonte a Delfi e, per non perdere tempo, fa
chiamare anche Tiresia. L’enigma va risolto e il divino diviene un mezzo della sua
intelligenza. Qui il razionalismo è chiamato in causa. Nel secondo episodio Edipo
parla subito della soluzione per i mali della città, ne parla in termini, abbiamo
visto, medici: l’;anako'ufisij ( v. 218, “il sollievo”) arriverà, ma chiede, anzi
impone in termini legali, alla sua comunità di collaborare con lui nell’indagine.
Edipo, per vie umane e razionali sta seguendo le prescrizioni divine, il colpevole
va individuato. Nella posizione di Edipo c’è rispetto verso il divino, ma anche
fierezza nelle sue capacità umane. Nello scontro con Tiresia emerge il carattere
del sovrano. Edipo, è vero, reagisce con forza, ma in questo punto egli sente
ferite la sua tim'h e la sua dikaios'unh, vive le parole di Tiresia non come
emanazione del divino, ma come macchinazione dell’umano, come un tentativo
di colpo di stato. Il re sottolinea la sua rettitudine e difende la sua posizione,
sottolineando di non avere mai chiesto (v. 384, a;itht'oj) il potere, ma di averlo
ricevuto in mano (v. 384, e;isceir'izw) dalla città. Cerca di portare avanti le sue
argomentazioni sul piano della logica, le sue premesse sono sbagliate, ma i suoi
ragionamenti giusti. La rettitudine del sovrano è così evidente al coro, che esso
arriva, nel secondo stasimo, a dubitare di Tiresia. La divinità resta salda nella
scala dei valori, giacché la rocca di Delfi è qespi'epeia (v. 439), ma l’indovino,
che all’inizio è un o;iwnoq'ethj (v. 484), alla fine dello stasimo è considerato
come un uomo fallibile, mentre di Edipo si ricorda il suo essere stato caro alla
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Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Conclusioni
città (v. 510 :hd'upolij). Edipo è un buon sovrano dunque, e qui vacillano le tesi
tiranniche, che ha cercato e cerca il bene della sua comunità.
Ma venendo all’altro picco di densità degli hapax, il secondo episodio ci offre due
hapax del campo semantico del divino e due del camminare. Edipo polemizza
ancora contro Tiresia (v. 556 semn'omantij), ma soprattutto ricostruisce
l’episodio dell’omicidio: gli hapax del camminare, si è visto, servono a
sottolineare la sua innocenza di fronte all’accusa mossagli, ma particolarmente in
o;i'ozwnoj rintracciamo quel dinamismo volontario del protagonista. Egli va solo,
sta sfuggendo al suo destino, mentre il suo destino gli viene incontro (v. 804
xunanti'azw), ecco indubbiamente un punto cruciale della dialettica tra volontà
razionale e destino. Qui il protagonista cede a un atteggiamento che ha spinto
molti interpreti a considerare Edipo re solo come tragedia del destino: il re si
ipotizza ;ecqroda'imwn (v. 816, “odiato dagli dei”).
Il secondo stasimo e l’azione di Giocasta che subito segue hanno valore rituale,
essi devono riaffermare l’importanza dell’ e;us'ebeia, non si può dunque negare
una dialettica tra volontà razionale e destino nei diversi momenti della tragedia,
ma neanche opporli toltalmente. In questo punto, si è visto, gli hapax parlano
con chiarezza innegabile, bisogna ristabilire il rispetto per la divinità: v. 864
e#useptoj, “molto venerabile”; v. 866 :uy'ipouj, “dai piedi elevati”; v. 902
ceir'odeiktoj, “che si mostra con la mano” e poi ancora il gesto importante di
Giocasta che offre ;epiqumi'amata (v. 913, “incensi”).
Infine nell’esodo abbiamo detto che gli hapax richiamano diverse tematiche che
hanno percorso la tragedia. Edipo si acceca perché non potrebbe resistere
neanche nell’al di là alla vista del padre e della madre e neppure ora può più
guardare il frutto del suo seme (vv. 1371-1375), nulla si può più vedere
(blep'toj) secondo Edipo. Ecco che il tema della vista si collega a quello del
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Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Conclusioni
g'enoj. Il re è stato tratto in errore da Apollo, ma la volontà di pagare le
conseguenze del suo errore è sua, interna più che esterna:
OID. ;Ap'ollwn t'ad’ %hn, ;Ap'ollwn, f'iloi
EDI. Apollo, amici, è stato Apollo,
:o kakà kakà tel^wn
lui ha portato a compimento
1330
;emà t'ad’;emà p''aqea.
questo mio terribile destino.
# Epaise d’a;ut'oceir nin o#utij ;all’ ;eg`w
Ma nessuno ha colpito i miei occhi,
tl'amwn. Tì gàr
#edei m’:orân,
io sono stato, io nella mia sventura!
Se non ho più nulla di bello da
!ot_ g; :or^wnti mhdèn %hn ;ideîn gluk'u> 1335/1336
vedere,
perché vedere ancora?
(Trad. Ciani 2007, p. 87)
Edipo è la forza dell’uomo che si incontra e si scontra con il divino, in questo
senso Edipo è anche tragedia della volontà. Egli risponde alla missione di salvare
la p'olij che diviene per lui compagna (v. 1322 ;ep'ipoloj). La sua volontà di
salvare la p'olij e in fondo la sua tim'h si serve del divino e allo stesso tempo si
scontra con esso, quando la ricerca del regicida si trasforma nella ricerca della
sua identità. I dubbi e le paure non frenano però Edipo, ma anzi divengono
ulteriori motori drammatici. Egli vuole salvare la p'olij, vuole dimostrare inoltre
la sua dikaios'unh, mantenere la sua tim'h, e alla fine anche comprendere la sua
stessa identità, accettare il suo destino. La sua volontà arriva a effetto. Edipo
riesce a scoprire l’origine del male: è egli stesso. Edipo si dimostra nelle
intenzioni un buon sovrano, ma nel rapporto con la sua p'olij e la sua tim'h, egli
ha incontrato il suo destino e il suo g'enoj. La tragedia della volontà è compiuta,
egli si dimostra un buon re, un buon cittadino e in fondo un buon figlio e un
uomo pio, pronto a pagare per i suoi errori, anche involontari. Sofocle mette in
scena questa volontà umana e i suoi limiti, è un’esaltazione e insieme un
229
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Conclusioni
ammonimento dell’umano: Edipo re è lo spettacolo dell’esistenza di un uomo, è
il rito offerto agli dei.
Questo, in sostanza, è quanto emerso dal nostro studio.
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245
INDICI
246
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Indici
Indice alfabetico degli hapax
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a
p. 132
y
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j
p. 78
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j
p. 62
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p. 169
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p. 65
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p. 117
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p. 181
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p. 175
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p. 120
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p. 155
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p. 150
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p. 145
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p. 52
247
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Indici
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p. 83
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p. 159
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deiktoj
p. 165
248
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Indici
INDICE
PARTE INTRODUTTIVA
Premessa....................................................................................
p. 3
Introduzione...............................................................................
p. 6
Perché uno studio sugli hapax: che cos’è uno hapax e obiettivi
della ricerca………………………………………………………………………………
p. 14
Un punto sintetico sulla composizione nominale in vista
dell’analisi degli hapax………………………………………………………………
p. 28
Una panoramica: hapax dei dialoghi e hapax lirici nell’Edipo re..
p. 31
Tabelle riassuntive e classificatorie degli unicismi dell’Edipo re…
p. 38
Una definizione di stile…………………………………………………………………
p. 44
Breve sintesi degli studi intorno alla datazione della tragedia………
p. 48
CAPITOLO I : Analisi degli hapax.………………………………………………
p. 50
Gli hapax dei dialoghi…………………………………………………………………..
p. 51
prode'idw……………………………….……………………………………………………
p. 52
;anako'ufisij…………………..………………………………………………………….
p. 57
a;itht'oj………………………………………….……………………………………………. p. 62
e;isceir'izw………………………………….………………………………………………. p. 65
dein'opouj……………………………………………………………………………………
p. 72
a;inikt'oj………………………………………………………………………………………
p. 78
semn'omantij…………………………………………………………………….………… p. 83
xunanti'azw……………………………………………………………………..…………
p. 91
;ecqroda'imwn………………………………………………………………………………
p. 97
249
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Indici
o;i'ozwnoj…………………………………………………………………………………….
p. 106
;epiqum'iama…………………………………………………………………………………
p. 112
;ekqe'aomai…………………………………………………………………………………..
p. 117
;ep'oyimoj......................................................................................... p. 120
Gli hapax lirici………………………………………………………………………………
p. 126
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p. 127
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p. 139
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p. 145
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p. 159
ceir'odeiktoj………………………………………………………………………………. p. 165
duso''uristoj................................................................................... p. 169
;ep'ipoloj.......................................................................................... p. 175
blept'oj……………………………………………………………………………………….
p. 178
;epip'odioj……………………………………………………………………………………. p. 181
CAPITOLO II : Riflessioni interpretative a partire dalla divisione
degli hapax in campi semantici …..……………………………………………. p. 187
Il campo semantico del camminare……………………………………………… p. 188
Il campo semantico del divino e del destino…………………………………
p. 193
Il campo semantico del rapporto con la città……………………………….. p. 196
250
Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle
Il campo semantico del vedere…………………………………………………….
Indici
p. 199
CAPITOLO III : Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re…….. p. 201
CAPITOLO IV : La traduzione degli hapax dell’Edipo re………………. p. 211
Conclusioni……………………………………………………………………………….. p. 220
Bibliografia……………………………………………………………………………….. p. 231
Indici…………………………………………………………………………………………
p. 246
251
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Gli hapax dell`Edipo re di Sofocle - Padis