Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle: comunicazione scenica e ricezione Commissari d’esame/Membres du jury: Prof. Paul Demont (Paris IV- La Sorbonne) Prof.ssa Florence Dupont (Paris VII- Diderot) Prof.ssa Antonietta Gostoli (Università della Calabria) Prof.ssa Liana Lomiento (Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”) Direttori/Directeurs de thèse: Prof. Claude Calame (EHESS), Prof. ssa Bruna Marilena Palumbo Stracca (Sapienza Università di Roma) Dottorato in Filologia e Storia del Mondo Antico (Sapienza Università di Roma) Formation doctorale “Histoire et civilisation”, centre ANHIMA (EHESS) Dottorando: Eugenio Murrali Roma, 27 settembre 2013 Commiato Locvizza il 2 ottobre 1916 Gentile Ettore Serra poesia è il mondo l’umanità la propria vita fioriti dalla parola la limpida meraviglia di un delirante fermento Quando trovo in questo mio silenzio una parola scavata è nella mia vita come un abisso G. Ungaretti Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Premessa Premessa Empedocle, contemporaneo di Sofocle, ma concittadino di Pirandello, sosteneva che i ×iz'wmata, gli elementi primi di cui la realtà è composta, il fuoco, l’aria, la terra e l’acqua, fossero aggregati e disgregati da due forze contrastanti, la fil'othj, l’amore, e il ne^ikoj, la discordia. L’alterna preponderanza dell’una o dell’altra forza determinerebbe, secondo la teoria del filosofo, la vita e la morte, ma l’equilibrio tra di esse è l’apice positivo del ciclo vitale. Negli ultimi anni della sua vita Alberto Moravia si interessò moltissimo al problema del nucleare, tanto che nel 1986 la Bompiani pubblicò una raccolta di articoli, scritti tra il 1982 e il 1985, il cui titolo era L’inverno nucleare. Tornato sul problema, il 12 giugno 1986, di fronte al Parlamento Europeo, Moravia pronunciò, tra le altre, queste parole: Detto questo, vorrei aggiungere che la guerra non mi interessa. La guerra moderna, atomica, chimica, batteriologica equivale alla morte della specie; e che c' è di interessante nella morte? Ѐ il nostro comune destino e poco importa il modo. Quello che mi interessa invece è la pace; cioè la salvezza e la continuazione della civiltà. Io sono convinto che, anche se la guerra può essere evitata, la civiltà potrà egualmente perire. La pace deve essere creativa; altrimenti non è vera pace, ma agonia di paura, di apatia e di sterilità. L'uomo ha assolutamente bisogno di illudersi che la civiltà è immortale. Senza una pace creativa, libera dalla minaccia della guerra, la civiltà non può continuare, si ferma, muore. Mi sono a lungo interrogato su cosa potesse intendere uno scrittore con “pace creativa” e forse questo studio sull’Edipo Re – suggeritomi dal Professor Bruno Gentili – mi ha aiutato a capirlo. Credo che la tensione alla creatività, che ogni scrittore degno di questo nome possiede, sia una caratteristica sempre viva nell’ispirazione dei grandi autori. 3 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Premessa Con l’Edipo Re, certo, alta o bassa che ne sia la spinosa datazione, ci troviamo in piena guerra del Peloponneso, ma ritengo che la “pace creativa” di cui parla Moravia sia presente in qualche modo in tutte le opere di Sofocle. La “pace creativa” deve essere quell’equilibrio empedocleo tra amore e discordia, che in uno scrittore, e particolarmente in un tragediografo classico, portato a ripercorrere le trame di miti noti, si esprime nell’innovazione stilistica della sua interpretazione, nella guerra pacifica della mente per un prodotto lontano dalla banalità, da ogni manierismo. I Corinzi sembrano descrivere perfettamente questa tensione creativa degli Ateniesi, come ci riporta Tucidide: Loro caratteristica è di sconvolgere l’ordine esistente: veloci nell’ideare, veloci nel realizzare ciò che hanno deciso. Vostra caratteristica è invece l’immobilismo: non vi sforzate di ideare vie nuove e, sul piano dell’azione, non siete all’altezza neanche dello stretto necessario. Ancora: loro osano. Anche al di là delle loro forze, affrontano i rischi anche forzando le decisioni prese, anche in difficoltà sanno coltivare la speranza. […] Loro sono intrepidi rispetto al vostro eterno esitare, dinamici tanto quanto voi non vi spostate mai dalle vostre sedi: la loro idea è che dai loro spostamenti verrà qualche frutto, il vostro timore è che cercando altro rischiate di perdere ciò che già avete. […] E tutto questo realizzano affannandosi e correndo pericoli tutta la vita: quasi per nulla godono di quello che hanno perché sempre protesi alla conquista del nuovo; festa altro non è per loro se non aver realizzato ciò che si doveva, sventura invece la tranquillità inerte non meno dell’impegno defatigante. Insomma, in una parola si potrebbe dire degli Ateniesi che sono noti per non avere pace e non concederne agli altri. (Tucidide, I,70. Trad. Canfora 2007, pp. 83 ss.) Questo studio sugli hapax dell’Edipo Re risulta essere in prima istanza un’analisi stilistica in cui si affronta la creatività della produzione o della scelta lessicale di Sofocle, ovvero quella piccola battaglia inventiva che l’autore porta avanti per contribuire alla costruzione di una “pace creativa”, dando vita ad una tragedia unica a partire da un argomento fissato, pur con le sue possibili varianti. Le scelte 4 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Premessa stilistico-lessicali sofoclee saranno considerate in relazione alla loro funzione drammatica e lo studio assumerà così anche un aspetto pragmatico, in cui si cercherà di capire come il poeta abbia cercato di interagire con lo spettatore, di indirizzarlo nella ricezione dell’enunciato drammatico. 5 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Introduzione Introduzione Forse più nessuno si accosta all’Edipo re con l’idea di poter dire qualcosa di nuovo, e presumere di esserne in grado sarebbe un intollerabile atto di !ubrij carico delle sue fatali conseguenze. Questo lavoro cercherà dunque di rileggere, con una nuova prospettiva, parte di quanto già detto dai molti interpreti, con un taglio di luce, per quanto riuscirà, differente, i cui due punti focali saranno da un lato lo studio di uno dei meccanismi di invenzione poetica attraverso cui Sofocle mira ad ottenere un effetto teatrale, di quei termini che con le nostre limitate conoscenze chiamiamo hapax, dall’altro la continua percezione della presenza, occhi e orecchie, degli spettatori di una tragedia, con i loro orizzonti di attesa. Uno studio che potremmo dunque considerare stilistico e pragmatico a un tempo e d’altronde i due aspetti non possono essere mai scissi a teatro, perché sulla scena o una parola possiede forza comunicativa, o non è. Ci si pone in questo studio il problema della funzione drammatica degli hapax, soprattutto nel senso della sollecitazione operata dal poeta attraverso essi sullo spettatore, perché si compia quell’ “attività cooperativa” tra opera e spettatore e quest’ultimo venga in qualche modo guidato nelle sue interpretazioni. Di ciò ci parla Eco a proposito del testo narrativo (si porrà però anche il problema di ampliare la riflessione a altri generi tra cui il teatro): Quando nel 1962 pubblicavo Opera aperta, mi ponevo il problema di come un’opera d’arte da un lato postulasse un libero intervento interpretativo da parte dei propri destinatari, e dall’altro esibisse caratteristiche strutturali che insieme stimolavano e regolavano l’ordine delle sue interpretazioni. Come ho appreso più tardi, facevo allora senza saperlo della pragmatica del testo, affrontavo un aspetto, l’attività cooperativa che porta il destinatario a trarre dal testo quel che il testo non dice (ma presuppone, promette, implica e implicita), a riempire spazi vuoti, a 6 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Introduzione connettere quello che vi è in quel testo con il tessuto dell’intertestualità da cui quel testo si origina e in cui andrà a confluire. Movimenti cooperativi che, come poi ha mostrato Barthes, producono e il piacere e — in casi privilegiati — il godimento del testo. (Eco 1979, p. 5) Già Barthes in effetti si soffermava su quel désir 1 che il testo ha verso il lettore: Ce lecteur, il faut que je le cherche (que je le «drague»), sans savoir où il est. Un espace de la jouissance est alors créé. Ce n’est pas la «personne» de l’autre qui m’est nécessaire, c’est l’espace : la possibilité d’une dialectique du désir, d’une imprévision de la jouissance : que les jeux ne soient pas faits, qu’il y ait un jeu. 2 (Barthes 2000 , p. 86) E ancora : Le texte est un objet fétiche et ce fétiche me désire. Le texte me choisit, par toute une disposition d’écrans invisibles, de chicanes sélectives: le vocabulaire, les références, la lisibilité, etc.; et, perdu au au mileu du texte (non pas derrière lui à la façon d’un dieu de machinerie), il y a toujours l’autre, l’auteur. 2 (Barthes 2000 , p. 101) È evidente che queste riflessioni non possono essere applicate tout court a una tragedia di Sofocle: altra è la situazione antropologica, culturale, altro il testo che abbiamo di fronte, un testo non destinato alla lettura, un testo non ‘onnipotente’, ma predisposto per una messa in scena unica nell’ambito di una manifestazione religiosa nell’Atene del V secolo. Quel désir che il testo ha verso il lettore e quel plaisir che deve essere capace di suscitare in lui in un movimento dialettico potremmo tradurli, nella dimensione della tragedia greca, nella necessità che il poeta ha di costituire un testo funzionale alla scena, 1 2 Scrive Ossola nella prefazione a Les plasir du texte di Barthes (2000 , p. 13): “Le désir ne s’était alors pas encore déplacé du texte au lecteur, comme il adviendra – quelques années plus tard – avec Lector in fabula (1979) d’Umberto Eco, mais le vieux copiste cédait déjà le pas au lecteur désiré par le texte”. 7 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Introduzione all’interpretazione degli attori e dei coreuti, e alla fruizione dello spettatore. Anche una tragedia deve esprimere il suo ‘desiderio’ verso lo spettatore, ovvero favorire il suo coinvolgimento, che è un coinvolgimento emozionale, ma soprattutto politico e rituale, perché il cittadino ateniese, o comunque chi è presente alla festa religiosa ateniese, deve partecipare attivamente, con la sua attenzione e con il suo giudizio (che si esprimeva nelle reazioni a teatro, poiché il voto spettava solo ai dieci giudici, rappresentanti delle tribù)2. Alcuni hapax, come vedremo, contribuivano a questo coinvolgimento del pubblico, il poeta se ne serviva per attirare l’attenzione dei suoi spettatori e anche per guidarli nell’interpretazione, sottolineando con queste parole chiave ciò su cui voleva porre l’accento. Anche se il compito più gravoso della comunicazione scenica spettava agli attori, il poeta, per così dire, gli preparava il campo. Non esiste uno studio sistematico degli hapax dell’Edipo re né di quelli sofoclei in generale. Una monografia che affronta in maniera strutturata gli hapax tragici, offrendo, ad un’attenta lettura, non pochi spunti è Les “hapax eiremena” et les mots rares dans les fragments papyrologiques des trois grands tragiques grecs di Irena Kazik-Zawadzka (Warszawa 1962), ma il corpus preso in considerazione è appunto quello dei frammenti tragici papiracei. 2 Scrive Di Marco (2000, p. 40) a questo proposito: “La designazione dei giudici avveniva attraverso una procedura piuttosto complessa, il cui fine era tuttvavia quello di garantire il più possibile la trasparenza delle scelte e l’imparzialità del verdetto. Qualche tempo prima della festa il Consiglio operava una selezione tra i cittadini di ciascuna delle dieci tribù. I loro nomi venivano depositati in dieci urne, una per ciascuna tribù, che, debitamente sigillate, venivano custodite sull’Acropoli: il tentativo di manometterle era passibile di pena di morte. All’inizio degli agoni l’arconte, in teatro, estraeva un nome da ciascuna di esse: si formava così una giuria composta da dieci membri. Al termine delle rappresentazioni ogni giurato scriveva le proprie preferenze su una tavoletta; tra le dieci tavolette raccolte ne venivano sorteggiate cinque ed era sulla base di queste cinque che veniva compilata la classifica finale”. […] Il pubblico che sedeva a teatro partecipava agli spettacoli con grande vivacità, ed è naturale supporre che le rumorose reazioni di consenso o di riprovazione con cui accompagnava la rappresentazione delle opere in concorso incidessero sulle scelte dei giurati. 8 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Introduzione Se gli hapax tragici non hanno riscosso un gran successo tra i ricercatori, lo studio degli hapax omerici ha avuto al contrario un certo sviluppo: in particolare si possono ricordare il lavoro di Martinazzoli3, alcune pagine di Garner4 , gli studi di Kumpf 5, di Powell6. Neanche quella di lavorare a un repertorio ragionato degli hapax di un singolo autore o di una singola opera è dunque un’idea nuova e gli ultimi due lavori citati sono per l’appunto dissertazioni dottorali. Questi ‘precedenti omericiʹ e le analisi che ne sono scaturite sono stati tenuti in considerazione, anche a livello metodologico, per un migliore sviluppo della ricerca. Ѐ superfluo ricordare che nei commenti all’Edipo re (qui ci serviremo principalmente di quelli di Campbell7, Jebb8, Kamerbeek9, Dawe10, Bollack11, Longo12) si possono reperire di volta in volta brevi osservazioni sui singoli hapax, utili indubbiamente, ma slegate, com’è naturale, le une dalle altre e di conseguenza non nella condizione di offrire particolari slanci interpretativi, capaci di entrare nel vivo delle tematiche tragiche dell’Edipo re. Vi sono poi delle opere che hanno cercato di affrontare più in generale alcuni aspetti del vocabolario tragico, in questo senso molto ricca di dati, più che di idee, è la dissertazione di Clay13, uno studio principalmente statistico. Un’analisi più interpretativa è quella di Earp14, interessante anche perché l’analogo studio su Eschilo15 permette un immediato confronto tra alcuni aspetti del lessico 3 Martinazzoli 1957. Garner 1990. 5 Kumpf 1975. 6 Powell 1988. 7 Campbell 1871. 8 Jebb 1893. 9 Kamerbeek 1967. 10 Dawe 1982. 11 Bollack 1990. 12 Longo 2007. 13 Clay 1957. 14 Earp 1944. 15 Earp 1948. 4 9 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Introduzione impiegato dai due tragici, per esempio dal raffronto delle liste delle parole rare delle singole tragedie è possibile rilevare immediatamente la presenza molto più diffusa di hapax in Eschilo. Utile per il reperimento degli hapax e per la loro classificazione sono anche le liste stilate da Nuchelmans 16. Nell’Ottocento vi sono stati alcuni lavori – la cui validità non è sempre indiscutibile –, che hanno il merito di aver tenuto presente e di aver sottolineato a loro modo le peculiarità dello stile, ma soprattutto del lessico sofocleo. Di essi abbiamo preso in considerazione quelli di L. Benloew (De sophocleae dictionis proprietate cum Aeschyli Euripidisque dicendi genere comparata, Paris 1847), di C.F.E Jasper (Zur Lehre von der Zusammensetzung griechischer Nomina und der Verwendung componirter Wörter in den Tragödien des Sophokles, Altona 1868), di A. Juris (De Sophoclis vocibus singularibus, Halle 1876), di C. Schindler (De Sophocle verborum inventore, Bratislava 1877) e di P. Künstler (De vocibus primum apud Sophoclem obviis, Jena 1877). Se questi sono gli strumenti propedeutici a un approccio formale, l’analisi non può che proseguire prendendo altre vie. Molti hapax nascondono in sé le tracce dei percorsi che potrebbero aver seguito prima di manifestarsi nella tragedia sofoclea, percorsi a volte puramente mentali, interni alla fantasia creativa del poeta, fatti di analogie, di richiami intertestuali, di allusioni, di memorie foniche di Sofocle. Per seguire questi indizi, oltre a un po’ di intuito, sono stati indispensabili strumenti come gli scolii, i lessici, ma soprattutto il TLG, il DELG, la Griechische Grammatik di Schwyzer o il Reverse Index of Greek Nouns di BuckPetersen, così agevole per l’analisi dei composti. A un lavoro di ricerca testuale e intertestuale, è stato accostato, come era ovvio, un adeguato studio della bibliografia più inerente alle problematiche emerse di volta in volta, cercando di 16 Nuchelmans 1949. 10 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Introduzione dipanare il filo della matassa bibliografica, che per Sofocle raggiunge le dimensioni che sappiamo. Monografie ricche di spunti come quelle di Whitman17, di Knox18, di Winnington Ingram19, di Segal20, di Ahl21, di Goldhill22, saggi come quelli di Vernant23 o quelli presenti negli atti del grande convegno urbinate, Edipo. Il teatro greco e la cultura europea24, del convegno spagnolo per il XXV centenario dalla nascita, Sófocles el Hombre. Sófocles el Poeta25 e tanti altri ancora sono stati sempre tenuti presenti, come era necessario. Il corpus esaminato, l’Edipo re, presenta 25 hapax, un numero minore rispetto a quelli registrati da Earp e Nuchelmans, poiché si è scelto di attenersi agli ‘hapax assoluti’ in senso stretto, escludendo termini che, pur rarissimi, compaiono molti secoli dopo, non di rado nella patristica. Giova sottolineare ulteriormente che l’aggettivo “assoluto” con cui si suole accompagnare il termine “hapax” non intende sottovalutare le lacune del corpus della lingua greca a noi giunto, esso ha principalmente la funzione pratica di distinguere le parole che compaiono solo una volta in un autore o in un’opera, ma che ritroviamo anche altrove, gli hapax relativi, da quelle che compaiono una sola volta in tutto il corpus della lingua greca a noi noto (pur con tutte le sue lacune), gli hapax assoluti per l’appunto. Uno dei termini esclusi è ad esempio l’aggettivo verbale sterkt'oj “che si può amare” di OT 1338, che Nuchelmans registra tra gli “ !apax leg'omena der griech. Literatur”26, ma che in realtà dovrebbe inserire tra gli “!apax leg'omena 17 Whitman 1951. Knox 1957, 1964. 19 Winnington Ingram 1980. 20 Segal 1981, 1993, 1995. 21 Ahl 1991. 22 Goldhill 2012. 23 Vernant 1972 e 1986. 24 Gentili-Pretagostini 1986. 25 Pérez Jiménez-Alcalde Martin-Caballero Sánchez 2004. 26 Nuchelmans 1949, p. 15. 18 11 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Introduzione vor dem 4 Jhd”, perché è un pr^wton leg'omenon e ricompare nell’ Historia Alexandri Magni, nel commento di Eustazio (1.20.2) o negli Annales (59.3) e nella orazione Contra Latinos (2.1.22) di Giorgio Acropolite. Una volta riconsiderato il numero degli hapax, è emersa immediata la necessità di riprendere in mano lo studio dei processi di composizione e derivazione lessicali del greco antico, nel tentativo di definire tipologicamente il materiale selezionato. Come vedremo la classificazione tipologica necessiterà di talune premesse, soprattutto per quanto riguarda la composizione, poiché le scuole di pensiero sono più d’una e spesso distanti tra loro. Superata la fase dell’analisi formale, sorprendentemente controversa, un’attenta considerazione dei campi semantici cui gli hapax appartengono sarà il passo più importante per inoltrarsi nel terreno dell’interpretazione, non per offrire, come si è detto, qualcosa di totalmente nuovo, ma per rileggere con sguardo diverso parte di quanto proposto da molti interpreti precedenti. I campi semantici hanno un ruolo importante anche dal punto di vista drammatico, perché ci aiuteranno, giova ripeterlo, a individuare alcuni dei poli intorno a cui l’autore ha voluto porre l’accento, insistendovi anche con termini quali gli hapax, termini espressivi come vedremo. Poiché interpreti sono anche i traduttori, ove possibile e/o necessario ci si è soffermati su questo grado dell’interpretazione, sollevando l’articolato problema della traduzione degli hapax, la riflessione sul rischio di una traduzione banalizzante recentemente riportata al centro della discussione dalla versione sanguinetiana dell’Ippolito euripideo. 12 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Introduzione Cosa ci resta di più affidabile e di più insidioso nelle tragedie classiche delle parole? 27 Abbiamo perso quasi del tutto la musica, le coreografie, le intenzioni ‘registiche’, sappiamo poco o niente sulla tecnica degli attori, sulla metrica è battaglia aperta. Credo allora che nello studio della lexis tragica non debba restare intentata alcuna via, poiché in una società che ascoltava e memorizzava molto più della nostra, la scelta delle parole, la loro costruzione, concatenazione o giustapposizione erano della massima importanza e continuamente esposte al giudizio vigile di un popolo di spettatori critici, cioè generalmente ben capaci di discernere ed eventualmente plaudere. Ci sono molte strade per giungere al nòcciolo di una tragedia, io ho voluto tentare questa, ben cosciente che non sia l’unica né necessariamente la migliore. Un’indicazione pratica: il testo dell’Edipo re riportato in greco è quello stabilito da Lloyd-Jones-Wilson28 per le parti dialogate, mentre per le sezioni liriche ho guardato anche al testo e alle colometrie della recente edizione di Giannachi29. La traduzione impiegata nello sviluppo delle analisi, ove non diversamente indicato, è di Maria Grazia Ciani30, mentre nelle tabelle che introducono ogni analisi riporto anche quelle di Mazon31, Quasimodo32, Paduano33, Del Corno34, Sanguineti35. 27 Scrive Calame (2000, p. 30): “Notre éventuelle connaissance des implications pragmatiques de ces énoncés écrits, sinon de la communauté énonciative trascendentale qui les fonde, ne peut donc se constituer qu’à partir de ces énoncés eux-mêmes”. 28 Lloyd Jones-Wilson 1990. 29 Giannachi 2009. 30 Ciani 2007. 31 Mazon 1958. 32 Quasimodo 1963. 33 Paduano 1982. 34 Del Corno 2000. 35 Sanguineti 2006. 13 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Perché uno studio sugli hapax Perché uno studio sugli hapax: che cos’è uno hapax e obiettivi della ricerca Perché mai uno studio sugli hapax? Un’iniziale risposta a questa legittima domanda la offre Martinazzoli, il primo vero teorico degli hapax: 36 Eppure, nonostante ogni motivazione, siffatta mancanza d’una ricerca storica sugli h. ll. : siffatta scarsezza di ricerche sugli h. ll. presso i singoli scrittori, siffatta asciuttezza, parallelamente, di esegesi nelle scarse monografie pur esistenti – quasi che davvero tutto quanto si possa fare per gli h ll. sia l’elencarli e niente più –, non mancano di stupire. […] Primo, la critica testuale moderna dà grande importanza alle singolarità che si incontrano negli scrittori; quelle singolarità che un filologo come il Pasquali 37 qualificava «per noi moderni preziose». Secondo, tra questi vocaboli ve ne sono di quelli i quali […] possono dischiudere al nostro sguardo l’officina dello scrittore o del poeta, mostrandocelo per un momento nella sua attività del poie^in. (Martinazzoli 1953, pp. 13s. ) Prima di valutare con maggiore precisione i possibili risvolti della nostra ricerca, è importante soffermarsi sul termine hapax. L’espressione tecnica !apax leg'omenon (o !apax e;irhm'enon), per quel che ne sappiamo, è stata utilizzata la prima volta dal filologo alessandrino Aristarco, sebbene, come sostiene Kumpf38, sia molto probabile che anche i lessicografi e i filologi precedenti se ne siano serviti. In generale si può pensare che la nozione di !apax leg'omenon – ben argomenta Martinazzoli nella monografia citata – , sia un’eredità dell’omerologia antica. Indicati talvolta da Aristarco con una dipl^h (>), talvolta in uno scolio, gli hapax potevano essere – come era ovvio nella prospettiva di allora – degli !apax leg'omena parà t^_ poihtØ, oppure, ad 36 Leggi hapax legomena. Pasquali 1952, p. 238. 38 Kumpf 1975, p.1. 37 14 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Perché uno studio sugli hapax esempio, !apax leg'omena parà tØ ; Ili'adi kaì tØ ; Odusse'i=. Quando lo hapax era, per così dire, disgiunto, cioè occorreva una sola volta nell’Iliade e una sola volta nell’Odissea, era un d'ij leg'omenon e si è pensato che Aristarco abbia segnalato tali termini come uno degli argomenti atti a confutare le tesi dei Chorizontes. In questo senso delle parole rare diventerebbero dei segnalatori stilistici, delle spie39. Kumpf40 osserva anche che l’attento studio degli hapax di un autore può rivelarsi un utile strumento di analisi per dei passi di dubbia autenticità. Lo studioso riporta a questo proposito alcune osservazioni di Monro41 sulla Doloneia. I numerosi hapax omerici sarebbero termini tecnici appartenenti al campo semantico della battaglia (saurwt'hr v. 135, “puntale di ferro”, kata^^itux v. 258, “elmetto”, p^iloj v. 265, “feltro (usato come rivestimento di elmi)”, ;epidifri'aj v. 475, “parapetto di carro”, etc.). Un tale numero di termini di ambito bellico, che ci si aspetterebbe di ritrovare in altre scene di guerra dell’Iliade e che invece sono tutti hapax omerici qui concentrati, sarebbe un argomento a favore della tardività del passo. Il passo sarebbe infatti composto alla maniera di, ma tradirebbe in questo ‘concentrato di unicità’ l’artificio di una costruzione a posteriori. Al contrario, Stanford42, in merito ai vv. 229s. del XXIV canto dell’Odissea, nota che qui gli hapax relativi (knhm^idaj “schinieri”, grapt'uj “graffiatura” e ceir^idaj “guanti”) sono adatti all’unicità della scena e questa unicità sarebbe in favore della paternità omerica. Kumpf conclude (p. 42): We can see from these two notable cases that the study of the Homeric hapax legomena has been used in the investigation of passages of doubtful authenticity. 39 Martinazzoli (1953, p. 14) scrive: “[…] l’accertamento e lo spoglio degli h. ll. non è altro che un risultato della ricerca sistematica condotta sull’usus, cioè appunto sulla sun'hqeia”. 40 Kumpf 1975, p. 42. 41 Monro 1890, p. 353: “It is not likely, indie, that the book ever existed as a separate poem; but that it is later than the bulk of the Iliad is almost certain”. 42 Stanford 1958, pp. 420s. 15 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Perché uno studio sugli hapax L’argomento dell’ ‘unicità’ presunta, che è quasi sempre ‘rarità’ certa, non può che essere una traccia da considerare con grande equilibrio, osservando attraverso lo studio morfologico come uno hapax si inserisca nella tradizione, tenendo sempre ben presenti contesto e circostanza, onde evitare dogmatiche prese di posizione basate su asciutti dati statistici, peraltro perpetuamente falsati dalle enormi lacune della tradizione con cui il filologo si confronta di continuo. A volte, rileva il Martinazzoli (pp. 43-56), con !apax leg'omenon potevano essere indicati: singolarità grammaticali, epiteti (riferiti una sola volta alla data persona), figure retoriche, usi semantici particolari. Ma, in questa nostra ricerca, quali termini abbiamo considerato hapax? Come si è accennato nell’introduzione, gli hapax qui analizzati sono gli hapax assoluti43, i termini che compaiono soltanto una volta non solo in Sofocle, ma in tutto il corpus della lingua greca antica di cui siamo a conoscenza: poesia, prosa, epigrafi e quant’altro. La prospettiva è quindi, ovviamente, ben differente rispetto a quella di chi abbia studiato degli hapax relativi, parole che compaiono una sola volta in un autore o in un’opera, ma che poi troviamo altrove. Nondimeno è necessario tenere sempre ben presenti le immense lacune nella nostra conoscenza della produzione letteraria, e non solo, greca. William Marx, in un capitolo della sua monografia Le tombeau d’Oedipe44, significativamente intitolato Le corpus tragique: histoire d’un désastre et d’une trahison (pp. 71-74), ci ricorda che: Au total, donc, nous ne conservons que bien moins de cinq pour cent de la production de tragédies dans la Grèce ancienne : tout le reste nous est inconnu, excepté de rares fragments ou 43 Scrive ancora il Martinazzoli (1953, p. 87): “Quanto poi al fatto che i critici antichi non si occupassero di distinguere (com’è invece consuetudine presso i linguisti moderni) gli unica assoluti (cioè mai più attestati dopo quella unica attestazione omerica) dagli unica relativi (i quali ricompaiono cioè presso autori posteriori), questo prova una volta di più come l’attenzione degli aristarchei fosse rivolta esclusivamente ad Omero, con una concentrazione d’interesse che è propria della loro indagine”. 44 Marx 2012. 16 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Perché uno studio sugli hapax résumés qui peinent à nous donner une image fiable des œuvres dont ils sont issus. Le désastre est vertigineux : même un iceberg laisse à voir davantage de lui-même. (Marx 2012, p. 72) E tuttavia non possiamo che descrivere come ‘assoluti’ quegli hapax che non risultano in nessun altro testo a noi pervenuto. Anche i diversi commenti dell’Edipo re registrano come hapax gli hapax assoluti, salvo puntuali specificazioni. Non c’è dubbio, molti altri termini sono sicuramente significativi, a volte ancor più significativi di taluni hapax. Vi sono dei vocaboli che, per quanto consta, sono neologismi sofoclei e ricompaiono solo molto più tardi, non avendo molto da invidiare quanto a unicità agli hapax qui considerati. Vi sono i dìj e i trìj leg'omena. Tuttavia, volendo scegliere un campione del lessico specificamente sofocleo, gli hapax rappresentano un insieme ben costituito, latore di questa, pur minima, caratteristica distintiva: sono un unicum e allo stesso tempo (di conseguenza), almeno apparentemente, un neologismo. Questo è un primo dato, non indiscutibile, ma allo stato dell’arte oggettivo, che riunisce gli hapax, se non in ‘categoriaʹ, almeno in ‘insiemeʹ. Limitare il campo di ricerca era necessario, abbiamo cercato di farlo scegliendo un criterio riconoscibile. Sono stati inclusi nel novero degli hapax anche gli aggettivi verbali, come blept'oj, benché possano essere considerati un unicismo grammaticale. Non abbiamo escluso neppure termini composti che comportino una minima variatio rispetto ai loro corrispettivi semplici, ad esempio ;epiqum'iama di fronte a qum'iama: vedremo strada facendo le ragioni di una simile scelta. Si potrebbe ancora obiettare che esistano degli hapax semantici, ugualmente significativi — come già avevano intuito i filologi antichi —, in cui anzi il discostamento operato dall’autore sul piano dell’uso suggerisce qualcosa di più su cui riflettere. Anche questa, concordo, è un’obiezione ineccepibile. 17 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Perché uno studio sugli hapax Nondimeno – lo si può dedurre subito mettendo a confronto alcune traduzioni – il giudizio sugli hapax semantici ha una componente molto più alta di arbitrio, la discussione può allora farsi accanita, infinita, sottile fino alla rarefazione: quasi ogni inclusione o esclusione potrebbe divenire oggetto di dibattito; un vicolo cieco questo nel quale ho preferito non introdurmi e che avrebbe reso fluttuante l’insieme dei termini analizzati, sottoponendolo all’incertezza mia e al dubbio altrui. Uno hapax non è che la punta di un iceberg, perché, continuando con le metafore, non possiamo fondarci che sui “resti della festa”: ciò non toglie che tali epifenomeni lessicali possano avere una forte rilevanza espressiva, ancor più considerevole quando si pensa a un testo composto per l’esecuzione scenica. La nostra idea di teatro, benché non ne esista una univoca dopo il passaggio delle grandi avanguardie novecentesche, e lungi da me il semplificare il problema, è comunque ben lontana da quella degli Ateniesi del V sec. a. C. Un testo che è già un classico e che offre una chiara spiegazione della nostra maniera moderna di intendere e fraintendere il teatro antico, soprattutto a causa della lente della Poetica di Aristotele e al relativo “impérialisme su muthos”, è quello di F. Dupont, Aristote ou le vampire du théâtre occidental: Aristote, en arrachant volontairement le théâtre à son contexte énonciatif, lui ôtait toute sa force d’institution. Une tragédie aristotélicienne est faite par n’importe qui, pour n’importe qui, elle peut être jouée n’importe où, n’importe quand. C’est pourquoi elle n’a aucune force performative et n’utilise pas la métathéâtralité.[…] Ce que mettait en place la Poétique était une machine de guerre contre la fonction identitaire du théâtre à Athènes, en fondant un théâtre littéraire, élitiste, profane, austère et solitaire, sans corps ni musique, un théâtre de lecteurs. (Dupont 2007, pp. 74s.) 45 45 Anche Lanza (1987), nella sua introduzione alla Poetica di Aristotele mette in guardia dal prendere l’opera del filosofo quale guida attraverso cui comprendere il teatro greco de V secolo 18 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Perché uno studio sugli hapax Della stessa autrice da non dimenticare inoltre un lavoro sulle tre grandi rivisitazioni tragiche del mito di Elettra, L’insignifiance tragique (Paris 2001), dove leggiamo un forte monito su cui spesso torna la studiosa: Commençons par rappeler l’essentiel dont découlera tout le reste: la tragédie était en Grèce, et plus précisement à Athènes, une «performance» et non un genre littéraire, c’était en outre une performance rituelle. La tragédie était un spectacle choral offert à Dionysos, aux citoyens d’Athènes et à leurs hôtes étrangers lors de la fête des Grandes Dionysies. (Dupont 2001, p. 16) Su questa linea anche A. Rodighiero, che scrive : La ‘storicità’ dell’esperienza greca riposa nella sua stessa irripetibilità antropologica, resa ancora più marcatamente evidente, nel caso di Sofocle, dal fatto che la sua opera si colloca in uno dei periodi più alti e per nostra fortuna meglio testimoniati della civiltà classica, e nella città di Atene, che di quella civiltà allora intendeva offrirsi quale paradigma esemplare e modello, «scuola della Grecia», come afferma il Pericle tucidideo. (Rodighiero 2000, pp. 9s) Nondimeno il teatro ha due universali quasi invariabili: l’istanza aurale-orale e quella visiva. In questa dimensione possiamo renderci ancor oggi conto di quanto a teatro una parola inconsueta possa godere di grande forza espressiva. Credo sia utile, per darne prova, fare qualche esempio più vicino a noi. Riferendomi alla modernità e a delle lingue vive, però, parlare di hapax assoluti non è possibile46, (p. 74): “Assumere la Poetica quale esauriente descrizione e autentica interpretazione del teatro greco del secolo precedente risulta poco soddisfacente”. E ancora (p. 77): “Certo, Aristotele, in quanto lettore, tende a ridurre la tragedia da spettacolo a libro, cancellandone o ignorandone ogni elemento eccedente la scrittura”. In W. Marx (2012) troviamo altre riflessioni sull’indagine aristotelica (cfr. pp. 34-36, pp. 52-54, etc.). Lo studioso inoltre (pp. 54-57) amplia l’indagine di quella che lui chiama la “dérealisation” della tragedia, passando anche attraverso l’idealismo di Schelling . 46 Anche in relazione al corpus della lingua greca parlare di hapax assoluti è un paradosso, poiché, non ci stanchiamo di ripeterlo, le lacune sono enormi e un papiro può privare da un momento all’altro un termine del suo “status” di hapax assoluto, tuttavia, come si è detto, si usa la definizione al fine pratico di distinguere i termini che troviamo una solo volta in tutto il corpus 19 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Perché uno studio sugli hapax prenderò allora vocaboli che presentano alcune caratteristiche rinvenibili negli hapax: hapax relativi a singoli autori, neologismi di un autore più o meno fortunati, parole rarissime. Ne I promessi sposi alla prova (1984) di Giovanni Testori47, che era un grande sperimentatore linguistico, per offrire un’immagine forte ai suoi attori, il personaggio del Maestro utilizza il termine, alquanto raro, “inossarsi”. Ma anche all’inizio della nostra letteratura, un grande autore drammatico, Jacopone da Todi, si serve in Donna de paradiso, di parole pregne di espressività come “desciliato”, “sdenodato”. Nel caso di Testori, il Maestro sta affrontando il problema dell’immedesimazione di un attore nel personaggio, ed ecco in una situazione tutta metateatrale emerge un termine davvero inatteso che aiuta gli attori (che recitano la parte degli attori) e il pubblico a sentire, quasi carnalmente vorrei dire, il processo di interiorizzazione del personaggio che un interprete deve compiere secondo le regole di molte moderne teorie della recitazione. In Jacopone invece per descrivere lo strazio subito dal corpo del Cristo il poeta utilizza in Donna de Paradiso48 i termini rarissimi “sdenodato” (v. 75) e “desciliato” (v. 83), ad indicare le giunture sciolte. Esempi simili sono disseminati ovunque nel teatro mondiale, li troviamo in Shakespeare, ma anche in Molière, quando in Sganarelle (1660, sc. XVI, v. 352) l’autore impiega il verbo-neologismo, marcatamente comico, poi largamente diffusosi, “cocufier”49. della lingua greca a noi giunto, da quelli che troviamo una solo volta in un autore o in un’opera, ma che troviamo poi altrove (hapax relativi). 47 Testori 2013, p. 849. 48 Canettieri 2001, pp. 223-230. 49 Molière 1964, p. 267. Un interessante accenno a questo ed altri neologismi in Molière è in F. e Bar, ‘Les néologismes chez les burlesques du XVII siècleʹ, in Cahiers de l’Association Internationale des études françaises 25, 1973, pp. 45-58, ma soprattutto nella discussione che segue (pp. 319-381). 20 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Perché uno studio sugli hapax Shakespeare è stato un instancabile creatore di neologismi, l’Oxford English Dictionary gliene attribuisce circa 2000. Spesso le sue creazioni sono entrate nell’uso, come “accomodation” (Measure for Measure, III, sc. I, v. 14), usata dal personaggio del Duca per indicare quegli inutili escamotages che la vita cercherebbe contro la morte. Un altro neologismo shakespeariano è ad esempio “sanctimonious” (Measure for Measure, I, sc. II, v. 7 e The Tempest, IV, sc. I, v. 16)50. Interessantissimo a questo proposito è il lavoro di traduzione de La Tempesta che operano Agostino Lombardo e Giorgio Strehler. Grazie ad un’intelligente edizione51 è possibile osservare come Lombardo avesse in una prima traduzione solitaria reso il termine con “sacrosanto”, per poi cambiarlo, dopo il confronto con Strehler, in “sacramentale”, così da rendere al meglio la solennità che Shakespeare vuole dare al termine, attributo di quelle “ceremonies” che ratificheranno il matrimonio tra Miranda e Ferdinando. Le due traduzioni del passo sono: T1 Prendi mia figlia. Ma bada, se infrangerai il suo nodo verginale prima che siano celebrate con ogni sacro rito tutte le sacrosante cerimonie T2 Prendi mia figlia. Ma bada, se infrangi il suo nodo verginale prima che celebrate siano 50 Shakespeare utilizza la prima volta questo termine in Measure for Measure nel senso di 2 “falsamente pio”, M. Praz (2001 , p. 199) lo traduce con “santocchio”. J. McQuain e S. Malless (1998) precisano anche l’esito che le due diverse accezioni hanno avuto nei secoli (p. 206): “Since Shakespeare’s time, the «holy» sense of sanctimonious has become obsolete, but use of the word to mean «hypocritically pious» has continued in full force. In fact, Shakespeare’s first use of the adjective in Measure for Measure is very similar to its typical use today, in which the word is often wedded to a noun in the disparaging phrase «sanctimonious hypocrite» ”. 51 Lombardo- Strehler 2007, pp. 266s. 21 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Perché uno studio sugli hapax con ogni santo rito tutte le sacramentali cerimonie Nella T2, effettivamente, da un lato la sostituzione del futuro con il presente (infrangerai>infrangi) rende più perentorio l’ammonimento di Prospero, dall’altro la dislocazione a destra dell’ausiliare (celebrate siano) e la sostituzione di “sacrosante” con un termine più aulico e raro come “sacramentali” elevano il tono della battuta, rendendolo più rispondente all’originale, che mette in rilievo la solennità del rito. Anche l’attore ovviamente gioca la sua parte. Qui ad esempio Tino Carraro, nel ruolo di Prospero, utilizza una dizione scandita e un ritmo lento ma continuo per dare forza rituale alla minaccia di maledizione che incombe su Ferdinando: l’attore sceglie inoltre di insistere sull’espressione “santo rito” con un’appoggiatura della voce, mentre, forse per non caricare eccessivamente l’interpretazione, evita di attardarsi su “sacramentali cerimonie”, espressione già di per sé ricca. Alcuni neologismi, come è il caso di questi shakespeariani, che in un determinato momento della loro esistenza, la nascita, sono stati hapax, vengono accolti dalla comunità linguistica, altri restano nella tradizione letteraria come hapax o parole rare. In definitiva, per una ragione o per l’altra, uno hapax è sempre un grande escluso. Certo non solo il teatro favorisce la nascita di neologismi e la presenza di termini rari. In poesia è generalmente opportuno condensare il senso in poche parole, per lasciare qualcosa al lettore/uditore. Dante inventa verbi come “indiarsi” (Paradiso, IV, v. 2852): D’i Serafin colui che più s’india , 52 Sermonti 2000, p. 58. 22 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Perché uno studio sugli hapax Moïsè, Samuel e quel Giovanni che prender vuoli, io dico, non Maria, 30 non hanno in altro cielo i loro scanni che questi spirti che mo t’appariro, né hanno a l’esser lor più o meno anni […] Beatrice sta spiegando a Dante che tutte le anime si trovano nell’Empireo e anche coloro che non hanno potuto compiere il bene a causa della violenza altrui non hanno una sede diversa e non vi passano un periodo maggiore o minore di colui tra i Serafini, “che più s’india”, che è cioè più vicino a Dio, laddove la vicinanza a Dio non è solo spaziale (in una parola il poeta è riuscito a sintetizzare un concetto teologico articolato). Montale, che molto amava Dante e spesso arricchiva i suoi testi con dantismi, in un endecasillabo di matrice decisamente dantesca53 crea il verbo “infinitarsi” (Casa sul mare54 in Ossi di Seppia, 1920-27): Tu chiedi se così tutto vanisce in questa poca nebbia di memorie; se nell’ora che torpe o nel sospiro del frangente si compie ogni destino. Vorrei dirti che no, che ti s’appressa l’ora che passerai di là dal tempo; forse solo chi vuole s’infinita, e questo tu potrai, chissà, non io. Nella sua teologia negativa, Montale attenuerebbe l’“indiarsi” dantesco, coniando un più generico “infinitarsi”. E così via, gli esempi potrebbero continuare ad libitum. 53 54 Baldi-Giusso-Razetti-Zaccaria 2001, p. 940. Montale 2000, p. 93. 23 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Perché uno studio sugli hapax La parola rara, nel nostro caso specifico gli hapax, ha spesso un valore espressivo in contesti in cui la comunicazione deve risultare incisiva ed efficace. Voglio fare un altro esempio che può risultare stonato, ma utile. Non è un caso che oggi dei grandi creatori di neologismi siano i giornalisti. Il neologismo per sua natura è portato a nascere laddove vi sia un vuoto espressivo o la necessità di dare una coloritura più accesa a un concetto che è già rappresentato da un altro significante. Evidentemente quelli del linguaggio giornalistico saranno spesso termini legati a qualcosa di più quotidiano. Nel 2012, nei giorni in cui in Italia è stata varata la riforma delle pensioni, abbiamo visto nascere il vocabolo “esodato” e quando il Tevere è esondato, un giornalista si è messo a giocare con le parole (Metro, 15 novembre 2012): “Una piena di rabbia. L’Italia provata dal dissesto del territorio è la stessa che combatte contro il maltempo economico e la morsa della crisi. Ieri in migliaia sono scesi nelle piazze contro il Palazzo che umilia lavoratori e studenti, esodati ed esondati”. Ecco che una comunicazione giornalistica veloce ed efficace si serve di metafore, assonanze, omoteleuti, di un termine che in quel momento risultava nuovo come “esodati” e di uno, “esondati”, che non era mai stato usato con quell’accezione. Riveniamo adesso agli hapax e all’Atene del V secolo, perché comparare epoche e culture diverse può essere utile, ma bisogna tenere sempre presenti le categorie indigene, secondo le regole della comparatistica differenziale. Scrive infatti Calame (20002, p. 22): “[…] les oeuvres de l’Antiquité nous «parlent» encore, même si le lecteur moderne n’a pratiquement plus aucun point commun avec l’auditeur-énonciataire à qui les destinait leur énonciateur originaire!”. Il greco antico è una lingua in cui il procedimento della composizione risulta molto produttivo e di questo bisogna tenere conto quando ci si pone il problema della ricezione. Un uomo greco è pronto ad accogliere con più naturalezza un termine mai sentito prima, e questo certamente lima un po’ le affermazioni 24 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Perché uno studio sugli hapax precedenti, perché è evidente che l’ ‘effetto sorpresa’, se mi si concede questa espressione, sarà meno consistente, entro certi limiti, per gli antichi spettatori del teatro di Dioniso, rispetto a quello che possiamo provare noi parlanti e ascoltatori di lingue neolatine. Ovviamente però c’è hapax e hapax (come c’è neologismo e neologismo), è fin troppo evidente che il verbo ;ekqe'aomai, al verso 1253 dell’Edipo re, non possa essere considerato allo stesso modo dell’aggettivo #apouroj (v. 194), perché il primo è un composto preposizionale trasparente, cioè dal significato immediatamente deducibile, in cui la variazione rispetto al verbo semplice è minima, benché non trascurabile, il secondo resta, probabilmente anche per molti spettatori del V secolo a.C., piuttosto oscuro di primo acchito. Non è neppure detto però che uno hapax trasparente debba per forza essere meno incisivo di uno hapax meno comprensibile: anche di questo renderemo conto nell’analisi. Sofocle certo, pur non disdegnando termini nuovi e a volte carichi, non arrivò mai alla magniloquenza eschilea, a quel grado di #ogkoj che fece dire ad Aristofane per bocca del personaggio di Euripide la fin troppo nota battuta: k#apeit’;epeid`h ta^uta lhr'hseie kaì tò dr^ama #hdh meso'ih, :r'hmat’$an b'oeia d'wdek’e%ipen, ;ofr^uj #econta kaì l'ofouj, de'in’ #atta mormorwpà 925 #agnwta to^ij qewm'enoij Poi, dopo averla tirata in lungo così, ormai a metà del dramma, poteva buttare là una dozzina di paroloni grossi come buoi, pieni di cipiglio e di pennacchi, che il pubblico non 2 conosceva neppure (Trad. Del Corno 1992 , p. 97) La pur abusata citazione resta sempre un’indicazione importante sulla ricezione, sulla possibile posizione del pubblico di fronte alle bizzarrie lessicali dei tragici. 25 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Perché uno studio sugli hapax Sia l’attore che l’uditore erano più avvezzi alle parole inconsuete, ma ciò non significa che restassero del tutto indifferenti. Vedremo poi nel particolare fino a che punto Sofocle giudicherà lecito spingersi nella sua ricerca e ricercatezza lessicale e potremo allora, solo dopo un’attenta analisi che non prescinda mai dal contesto, riflettere sull’efficacia probabile di ogni singolo hapax. Cosa permetterebbe dunque di comprendere lo studio sugli hapax assoluti di una singola opera? Anzitutto se si restringe il campo di indagine agli hapax di una singola tragedia bisognerà tenere sempre presenti la tematica o le tematiche affrontate dall’opera, i topic55, perché da un raffronto tra essi e i campi semantici cui appartengono gli hapax potrebbero evidenziarsi fruttuose affinità. Per fare ancora un esempio pratico: laddove nell’Edipo re ci troviamo a confrontarci con lo hapax semn'omantij (“venerando indovino”, v. 556), è lecito, quasi scontato, domandarsi se non vi sia un legame diretto tra un tale unicismo e la tematica della divinazione e del fato ovunque presenti in questa tragedia. Questo dato, questa affinità non ci dirà forse molto di più sul quid dell’Edipo re, ma saprà invece aiutarci a capire “come” il poeta possa aver pensato di comunicare quel quid, di insistervi. L’‘insistenza’ può aumentare l’espressività del testo e fa spesso parte della comunicazione extradiegetica tipica del teatro come nota molto opportunamente Condello56, della dimensione aurale-orale. In secondo luogo, una prudente ricerca dei loci similes — o meglio delle voces similes, cioè di 55 Cfr. Eco 1979, pp. 87-92. Condello 2009, p. LV; qui lo studioso sta riflettendo sulle cosiddette ‘autobiografie parallele’ di Edipo e Giocasta, che non è il caso di accusare di inverisimiglianza perché “significa scordare le concenzioni teatrali più ovvie, prima fra tutte quella tipica ridondanza informativa che maschera da comunicazione intradiegetica — fra personaggio e personaggio, cioè fra ‘narratore’ e ‘narratario’ — quella che è in realtà comunicazione extradiegetica, fra autore e pubblico, cioè fra ‘destinatore’ e ‘destinatario’”. 56 26 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Perché uno studio sugli hapax vocaboli dalla struttura e dal significato analoghi57 ai nostri hapax — presenti negli altri tragici o nella tradizione lirica ed epica precedente, può aiutarci a “entrare nell’officina” sofoclea, a riconoscere meglio i modelli cui il poeta potrebbe aver attinto per le sue scelte o per le sue creazioni lessicali. Una panoramica più completa degli hapax aiuta anche sul piano filologico. Avviene infatti talvolta, e lo vedremo, che si tenda a considerare sospetto un termine per la sua sola natura di unicismo. Un’analisi attenta che dimostri l’importanza a volte rivestita dagli hapax aiuterà se non a eliminare almeno a moderare certi pregiudizi. In un caso, duso'uristoj, v. 1315, vedremo che a un pregiudizio nei confronti dell’unicismo corrisponderà anche un pregiudizio metrico nei confronti della responsione libera, potremo così fare prova di certe sclerosi che a tutt’oggi affliggono la critica. Lo sviluppo più interessante sarà però soprattutto sul piano dello studio stilistico e pragmatico, perché gli hapax offrono, è vero, un campione ridotto, ridottissimo del lessico di un autore, ma essi sono anche una sua peculiarità forte, oserei dire una via in qualche modo privilegiata attraverso cui addentrarsi in taluni aspetti della tecnica poetica dell’autore e delle sue scelte stilistiche, compiute anche in funzione del suo pubblico. Non di rado gli hapax, nel loro essere veicoli espressivi forti, non sono abbandonati a se stessi, ma vengono inseriti dall’autore in una ricca costruzione retorica che ne potenzia la funzione comunicativa ed espressiva. Ancora un’indicazione pratica: oltre al termine hapax, potranno essere utilizzati, come sinonimi, il vocabolo latino unicum o la parola italiana “unicismo”, introdotta da Bruno Migliorini58. 57 Ad esempio, il nostro hapax ceir'odeiktoj (OT 902) trova un corrispondente assai vicino nel termine eschileo daktul'odeiktoj (Ag. 1332). 58 Battaglia 2002, s.v. 27 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Un punto sintetico sulla composizione nominale Un punto sintetico sulla composizione nominale in vista dell’analisi degli hapax Poiché, e neanche questo è un caso, molti hapax, anzi la maggior parte, risultano essere dei composti, verbali o nominali, non ci si può esimere dal tentare una sintesi quanto più efficace sui composti del greco antico. Dai grammatici antichi non abbiamo molte informazioni sui composti in greco. La sola distinzione che ci offrono, come nota Schwyzer (1939, p. 428), è quella tra composti, s'unqeta, e giustapposizioni, par'aqeta. Immagino che, a proposito di composti, risuonino in molti le parole di Benveniste59, che scriveva: “La composition nominale est une micro-syntaxe”. I suoi “fondamenti sintattici” hanno aperto a nuove prospettive lo studio dei composti nominali. Molte sono le opere cui si può fare riferimento: la già citata grammatica di Schwyzer60, ma anche i diversi lavori di Risch61, lo studio di Williger62 e, per certi aspetti stilistici, anche a Meyer63. Tuttavia, alla ricerca di chiarezza e di sintesi, vale la pena prendere in considerazione l’articolo di Meissner e Tribulato Nominal Composition in Mycenaean Greek (2002), che offre un’accurata ricapitolazione della classificazione dei composti in greco antico. Questo articolo è importante, oltretutto, perché mostra che i composti sono stati troppo spesso considerati caratteristici dei soli linguaggi poetici o tecnici, mentre il loro uso è vasto anche in testi non letterari. 59 Benveniste 1967, p. 15. Schwyzer 1939, pp. 425-455. 61 Risch 1937, 1944, 1945, 1949. 62 Williger 1928. 63 Meyer 1923. 60 28 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Un punto sintetico sulla composizione nominale Utili per farsi un’idea generale sono inoltre le pagine di Bisetto-Scalise64 e, per certi versi l’articolo di Grandi-Pompei65, sebbene le proposte classificatorie cui si spingono gli autori risultino piuttosto cabalistiche (ma hanno il merito di mettere in evidenza la complessità del problema e la limitatezza, spesso la rigidità, degli strumenti fin qui adottati). La terminologia e la classificazione applicate ai composti greci sono state a lungo e in parte sono tuttora quelle elaborate dai grammatici sanscriti. Lo Schwyzer se ne serve dividendo i composti greci in due categorie. a) Un primo tipo di composti nominali sarebbe costituito dai composti copulativi o Dvandva (Kopulativkomposita secondo la terminologia tedesca), in cui la relazione logica tra i due membri, che sono equipotenti, è quella di una coordinazione asindetica. Non sono molto numerosi in greco questi composti, e un esempio ne è nucq'hmeron (“durata di un giorno e una notte”) o :udr'elaion (“miscuglio di acqua e olio”). Generalmente sono endocentrici, rispondono, come si suol dire, alla domanda “è un”, hanno la testa al loro interno, ma possono risultare anche esocentrici come nel caso di ;andr'ogunon. Non incontreremo tra i nostri hapax composti di questo tipo. b) Una seconda categoria, molto più vasta, è quella dei composti determinativi. I composti determinativi (Determinativkomposita secondo la terminologia tedesca) possono essere divisi in due tipi: descrittivi o Karmadhāraya (altresì detti attributivi e appositivi), ad esempio ;akr'opolij (“città alta”), oppure dipendenti o Tatpurușa (anche chiamati subordinativi, o di 64 65 Bisetto-Scalise 2008, pp. 117-143. Grandi-Pompei 2010. 29 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Un punto sintetico sulla composizione nominale reggenza o Rektionskomposita) come patrokas'ignhtoj (“fratello del padre”). c) Su queste due categorie ne interverrebbe una terza, basata sulla centricità del composto: quella dei Bahuvrihi, i composti esocentrici, cui apparterrebbero tutti i composti possessivi (Possessivkomposita), per esempio leuk'wlenoj (“dalle braccia bianche”). Di fatto nell’uso comune sembra che i Bahuvrihi siano intesi come una sottocategoria dei composti determinativi. In verità questa classificazione non riesce a inquadrare bene la realtà dei composti greci e spesso ci si trova nell’incapacità di distinguere con certezza un tipo di composto dall’altro. In questa ricerca si è deciso di utilizzare la classificazione che ad oggi risulta ancora la più completa e la più chiara tra tutte: quella elaborata da Risch66. In questa classificazione i composti di reggenza (Rektionkomposita) tatpurușa costituiscono categoria a sé, anzi, due categorie distinte: i Präpositionale Rektionkomposita (ad es. ;apoq'umioj, “sgradito, odioso”) e i Verbale Rektionkomposita (ad es. faes'imbrotoj, “che dà luce ai mortali”). 66 Risch 1937, pp. 165-192. 30 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Una panoramica degli hapax Una panoramica: hapax dei dialoghi e hapax lirici nell’Edipo re Dei 25 hapax assoluti che è possibile rintracciare nell’Edipo re 12 si trovano tra i 313 versi delle parti liriche, 13 nei restanti 1217 versi. Edipo pronuncia 13 unicismi, 4 dei quali nel secondo kommos. Il coro ne pronuncia 9. Tiresia, Giocasta e il II Messaggero 1. Il numero consistente di composti ‘nuovi’ nelle parti liriche delle tragedie sofoclee ha portato gli studiosi a delle osservazioni preliminari. De La Villa ad esempio vi ha visto un riflesso immediato di ciò che lui chiama “carácter literariamente elevado”67 di tali composti. Inoltre secondo lo studioso, che si richiama a Earp, questi nuovi composti tendono a diminuire nella produzione sofoclea in ragione del graduale allontanamento dall’ #ogkoj eschileo. Di qui, De La Villa tira una conclusione sull’Edipo re che non smette di sorprendere: Edipo Rey ocupa un puesto central, que por otro lado tiene características propias; ello se debe a la enorme fuerza de la acción en este drama, que deja menor margen para los efectos estilísticos del lenguaje. Esto explica la introducción relativamente menor de los compuestos nuevos en esta obra. (De La Villa 2004, p. 344) Se da un lato è vero che Edipo re presenta il minor numero di composti nominali esclusivamente sofoclei – De La Villa ne conta 38, di cui 12 di reggenza attiva (31,5 %), 3 di reggenza passiva (7,9 %), 19 possessivi (50 %), 3 determinativi (7,9 %), escludendo il problematico :hd'upolij (v. 510) – è alquanto rischioso sia basarsi su dati che presi seccamente hanno poco a che vedere con l’evoluzione stilistica, sia spiegare l’anomalia del dato dell’Edipo re, la cui datazione è oltretutto un vero enigma, con la preponderanza della forza dell’azione su quella 67 De La Villa 2004, p. 344 : “En prácticamente todas las obras aparecen más compuestos nuevos en las partes líricas que en las dialogadas, lo que es un indicio del carácter literariamente elevado de estos compuestos”. Lo studioso si basa sui dati raccolti da Earp (1944). 31 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Una panoramica degli hapax del linguaggio. Sofocle può aver semplicemente scelto di servirsi anche di altre vie per veicolare il suo messaggio. La forza drammatica, d’azione per l’appunto, di un Aiace e di un’Antigone non lo hanno scoraggiato dall’uso di composti ‘nuoviʹ. Vediamo ora i 12 unica delle parti cosiddette liriche. Parodo Nella parodo il coro leva una preghiera rivolgendosi a molte divinità – Atena, Artemide, Apollo, Zeus, Bacco – perché scaccino Ares, il dio che pur senza armi sta distruggendo Tebe. Qui rintracciamo un composto preposizionale, #apouroj (v. 194), che Schindler68 indicava così: “membrum determinans, quod praecedit, est praepositio”. È sempre molto difficile, come notano spesso gli studiosi, inquadrare i composti preposizionali, per i quali già Risch69 indicava la complessità di definizione, poiché spesso essi possono essere letti sia come composti di reggenza, sia come composti possessivi70. Vedremo che #apouroj è problematico, perché sembra che l’ ;apo- regga il sostantivo successivo p'atraj, nel qual caso potrebbe effettivamente interpretarsi come un determinativopossessivo: “che ha il confine lontano da”, riferito dal coro ad Ares, di cui spera l’allontanamento dalla città. Il secondo, ;agla'wy (v. 194, composto determinativo-possessivo), fa parte di quel gruppo di aggettivi in -wy, che, scrive Schindler (p. 98), “adeo oribus et auribus Graecorum erant consueta, ut persaepe membrum posterìus ad meri inclinamenti speciem, totumque compositum ad simplicis nominis significationem proxime accederet”. 68 Schindler 1877, p. 25. Risch 1937, p. 171. 70 Vedi in proposito anche Meissner-Tribulato 2002, p. 300. 69 32 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Una panoramica degli hapax Primo stasimo Il coro reagisce alla lite tra Tiresia e Edipo, invoca la vendetta sull’assassino di Laio, ma non arriva ad accusare l’uomo che un tempo liberò Tebe dalla Sfinge. Al verso 463 vi è un primo hapax, qespi'epeia, un composto determinativopossessivo, un aggettivo che definisce la Delfìj p'etra come “fatidica”. Al verso 484 Sofocle si serve del termine o;iwnoq'ethj, composto di reggenza, il cui “membrum regens est verbum” e il cui “membrum sospensum vim habet accusativi” (Schindler 1877, p. 30), questo nomen agentis significa “colui che interpreta gli uccelli”, il coro si riferisce a Tiresia. Ultimo hapax dello stasimo è il complesso :hd'upolij (v. 510), “gradito alla città”, forse interpretabile come composto di reggenza. Il coro definisce con questo aggettivo Edipo, ricordando i suoi meriti verso Tebe. Secondo stasimo Il secondo stasimo è in tutti sensi un passo centrale di questa tragedia. Il coro leva un canto in cui ribadisce l’importanza del rispetto delle leggi divine, affronta il tema della !ubrij e mostra la sua angoscia per le profezie di Apollo che sembrano cadere nel disprezzo generale. È lo stasimo del celebre tì de^i me core'uein>71. Al verso 864, all’inizio della prima strofe, registriamo lo hapax e#useptoj, composto di reggenza, questo aggettivo verbale si riferisce alla “purezza”, che è “molto rispettosa”, sembra più logico il senso attivo, anche se il senso passivo “molto venerabile” non è da escludere. 71 Importanti sviluppi sul ruolo del coro scaturiti da questo e altri passi nel celebre articolo di A. Henrichs, ‘ “Why should I dance?” Choral Self-Referentiality in Greek Tragedy, Arion, n° 1, 199495, pp. 56-111. 33 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Una panoramica degli hapax Subito dopo, al verso 866, :uy'ipouj, “eccelso”, composto determinativopossessivo, il cui secondo membro, po'uj, porta in sé un’allusione, per contrasto, ad Edipo. Nella seconda antistrofe, il controverso ceir'odeiktoj (v. 902), “che si può additare”, composto di reggenza, accordato con un t'ade, che non si sa di preciso a cosa riferire. Esodo (secondo kommos) Nel secondo kommos il pathos è altissimo, perché Edipo esce dal palazzo, con gli occhi trafitti e dialoga con il coro in anapesti (vv. 1297-1311). Al verso 1312 un trimetro giambico segna il confine tra anapesti e metro lirico. Nella prima strofe reperiamo lo hapax variamente interpretato, spesso arbitrariamente corretto, duso'uriston (v. 1315), composto di reggenza, riferito al metaforico n'efoj, la nube “spinta da un vento infaustamente favorevole”, che attanaglia Edipo. Nell’antistrofe, sempre il protagonista, definirà il coro con l’unicum ;ep'ipoloj “amico”, deverbativo da ;epip'elomai, composto preposizionale determinativo. Certo sorprendente è lo hapax blept'oj (v. 1337), “da vedere”, aggettivo verbale in odore di hapax morfologico, ma importante in questo contesto, sovrabbondante di lessico legato alla vista. Infine nella seconda antistrofe il problematico composto determinativo ;epip'odioj (v. 1350), “che è ai piedi”, spesso maltrattato dai filologi. Nei dialoghi invece gli hapax sono così distribuiti: 34 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Una panoramica degli hapax Prologo Dopo il dialogo con il sacerdote venuto insieme a una folla di supplici a esortare il re perché trovi una soluzione, all’inizio dello scambio verbale tra Edipo e Creonte troviamo lo hapax prode'idw (v. 90), “temere prima”, un composto verbale. Primo episodio Il cuore di questo episodio è lo scontro tra Edipo e Tiresia. Già tuttavia all’inizio, quando il re si rivolge al coro per chiedere collaborazione e pronunciare un bando contro l’assassino di Laio, rintracciamo lo hapax ;anako'ufisij (v. 218), “sollievo”, nomen actionis, composto di reggenza. Nel duro scambio con Tiresia compaiono invece quattro hapax: l’aggettivo verbale a;itht'oj, “domandato”, e il composto verbale e;isceir'izw, “mettere in mano”, al v. 384, in un punto in cui Edipo precisa la sua posizione nei confronti del potere e della città che si trova a gestire. Al verso 418 ancora uno hapax composto intorno al termine po'uj, dein'opouj, determinativo-possessivo, riferito da Tiresia all’ ;ar'a, la maledizione che incombe su Edipo. Infine a;inikt'oj (v. 439), “espresso per enigmi”, un altro aggettivo verbale: questa volta è Edipo che accusa Tiresia di parlare in maniera poco comprensibile. Secondo episodio Qui Edipo si scaglia contro Creonte e solo l’intervento del coro e di Giocasta potranno placarlo evitando che condanni a morte lo zio-cognato. Dopo il kommos il re si confronta con la sovrana e ricorda, ancora ignaro, l’uccisione di Laio, mentre aspetta l’arrivo del pastore, unico superstite del seguito di Laio. Al verso 556, Edipo usa il composto determinativo semn'omantij, “indovino venerando”, per indicare Tiresia. 35 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Una panoramica degli hapax Durante la ‘confessioneʹ di Edipo con Giocasta vediamo il re utilizzare 3 hapax. Il primo è un composto verbale al verso 804: sunanti'azw, “incontrare”. Il secondo, al verso 816, è un composto di reggenza, ;ecqroda'imwn, “inviso agli dei”. Il terzo, al verso 846, di difficile interpretazione, è un composto determinativo-possessivo, o;i'ozwnoj, “che viaggia solo”. Terzo episodio Nel terzo episodio solo uno hapax, ;epiqum'iama (v. 913), nomen rei actae, composto di reggenza, “offerta di incenso”, che la tormentata Giocasta intende offrire ad Apollo Licio. Esodo Nell’esodo due hapax legati al campo semantico della vista. Al verso 1253 il composto verbale ;ekqe'aomai, “contemplare”, al verso 1313 il composto di reggenza ;ep'oyimoj, “visibile”. Da questa breve rassegna preliminare si può intuire che i termini in questione sono tutti composti, tranne tre aggettivi verbali semplici. Gli hapax dei canti hanno spesso, ma non sempre, un carattere più elevato. Dei dodici unica registrati almeno cinque: #apouroj, ceir'odeiktoj, duso'uristoj, ;ep'ipoloj, ;epip'odioj non sono composti immediatamente accessibili, certamente a noi, ma anche a quegli ascoltatori meno avvezzi ai giochi della lingua poetica. Nei dialoghi invece, tutti gli hapax sono facilmente desumibili, salvo forse o;i'ozwnoj, il cui primo membro era però sufficiente a chiarire l’essenziale, cioè che se l’assassino di Laio era uno solo e non tanti Edipo è colpevole. Non è possibile definire più di tanto la trasparenza di un composto in base alla sua natura, un composto di reggenza come ;ecqroda'imwn è semanticamente chiaro tanto quanto dein'opouj. Troviamo hapax di diversi tipi tanto nelle parti liriche quanto nei 36 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Una panoramica degli hapax dialoghi e anche i campi semantici di appartenenza sono quasi sempre legati alle tematiche della tragedia: dunque gli unicismi sono in entrambi i contesti piuttosto funzionali, se non alla completezza del messaggio (vedremo casi di pleonasmi), almeno all’efficacia della comunicazione scenica. Il poeta offre attraverso questi termini pregnanti, spesso in combinazione con figure retoriche, specialmente figure d’elocuzione, un surplus di informazione per lo spettatore, aumentando così le sue possibilità di ricezione e/o la qualità della ricezione stessa. In questo senso gli hapax indirizzano l’interpretazione degli spettatori. Quanto alle differenze tra hapax lirici e hapax dei dialoghi, preliminarmente bisogna limitarsi a dare un sommario giudizio sull’intelligibilità degli hapax, certamente maggiore nell’ambito dei dialoghi. 37 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Tabelle riassuntive e classificatorie Tabella riassuntiva e classificatoria degli unicismi dell’Edipo re Collocazione Hapax Elementi di Categoria formazione Secondo la Campo semantico classificazione di Risch Prologo v. 90, Divino/ prode'idw Inizio del dialogo Avv. + Verbo Composto « temere prima » con Creonte pr'o + de'idw verbale destino Composto Rapporto con la città #apouroj Parodo v. 194, Prep. + nome Composto preposizionale « che ha i confini Strofe III ;ap'o + !oroj nominale determinativo (aggettivo) (possessivo) Composto Composto lontano da» ;agla'wy « che ha la Parodo v. 214, Agg. + Nome Nominale determinativo fiamma brillante » Antistrofe III ;agla'oj + #wy (aggettivo) (possessivo) Nomen Composto ;anako'ufisij Primo episodio v. actionis da preposizionale «sollievo» 218 ;anakouf'izw di reggenza Vista Medicina (Typus 10) Aggettivo Rapporto con la città a;itht'oj Primo episodio v. verbale di « domandato » 384 a;it'ew e;isceir'izw Primo episodio v. Prep. + Verbo « mettere in mano » 384 e;ij + ceir'izw Composto Rapporto con la verbale città Composto Composto dein'opouj «che ha Primo episodo v. Agg. + Nome nominale determinativo il piede terribile» 418 dein'oj + po'uj (aggettivo) (possessivo) Camminare Aggettivo Divino/ destino a;inikt'oj «espresso Primo episodio v. verbale da per enigmi» 439 a;in'issw Composto Composto Divino/ 38 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Tabelle riassuntive e classificatorie qespi'epeia «che ha Primo stasimo v. Agg. + Nome nominale determinativo parole ispirate dalla 463 q'espij + #epoj (aggettivo) (possessivo) Composto Composto di Divino/ destino destino divinità» o;iwnoq'etaj Primo stasimo v. Nome + Verbo nominale reggenza «indovino» 484 o;iwn'oj + (nomen (Typus ;a-gn^w- t'iqhmi agentis) t-ej) Composto Composto di Rapporto con la reggenza città e l’uomo Composto Composto Divino/ destino :hd'upolij «gradito Primo stasimo v. Agg. + Nome nominale alla città» 510 :hd'uj + p'olij (aggettivo) semn'omantij Secondo episodio Agg. + Nome nominale determinativo «venerando v. 556 semn'oj + (nome) endocentrico indovino» m'antij Composto sunanti'azw Secondo episodio Prep.+Verbo «incontrare» v. 804 s'un + Camminare verbale ;anti'azw Composto Composto di Divino/ reggenza destino Composto Composto Camminare nominale determinativo ;ecqroda'imwn Secondo episodio Agg. + Nome nominale «inviso agli dei» v. 816 ;ecqr'oj + (aggettivo) da'imwn o;i'ozwnoj «che Secondo Agg.+Nome viaggia solo» episodio v. 846 o%ioj + z'wnh e#useptoj Secondo stasimo Avv.+ Verbo «venerando» v. 864 e%u + s'ebw (possessivo) Aggettivo Composto di Divino/ verbale reggenza destino (Typus qe'odmhtoj) Composto Composto :uy'ipouj «che ha i Secondo stasimo Avv.+ Verbo nominale determinativo piedi in alto» v. 866 !uyi + po'uj (aggettivo) (possessivo) Camminare 39 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Tabelle riassuntive e classificatorie Composto Composto di reggenza ceir'odeiktoj «da Secondo stasimo Sost. + Verbo nominale mostrare a dito» v. 902 ce'ir + (aggettivo) Vista de'iknumi Nomen rei Composto Divino/ destino ;epiqum'iama Terzo episodio actae da preposizionale «offerta di incenso» v. 913 ;epiqumi'aw di reggenza (Typus 10) Composto ;ekqe'aomai Esodo, v. 1253 «contemplare» ;ep'oyimoj Prep. + Verbo Esodo v. 1313 Esodo v. 1315 Prefisso + «spinto da vento Verbo sfavorevole» d'uj + o;ur'izw ;ep'ipoloj «amico» verbale ;ek + qe'aomai «visibile» duso'uristoj Vista Esodo v. 1322 Aggettivo Composto denominativo preposizionale da #epoyij di reggenza Aggettivo Composto di Divino/ verbale reggenza destino Nome Composto Relazione con la deverbativo preposizionale città da di reggenza ;epip'elomai (Typus 9) Aggettivo blept'oj Esodo v. 1337 piedi» Vista verbale da «ammirabile» ;epip'odioj «che è ai Vista bl'epw Esodo v. 1350 Composto Composto Prep. + Verbo nominale preposizionale ;ep'i + po'uj (aggettivo) determinativo Camminare 40 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Tabelle riassuntive e classificatorie Veduta d’insieme Personaggio Prologo Inizio del dialogo con Creonte EDIPO 1) v. 90 prode'idw (“temere prima del tempo”) ; Parodo Strofe III CORO 2) #apouroj v. 194 (“allontanato”); Antistrofe III 3) ;agla'wy v. 214 (“dalla fiamma brillante”); Primo Episodio Rhesis iniziale 4) ;anako'ufisij v. 218 (“sollievo”); Dibattito con Tiresia EDIPO 5) a;itht'oj v. 384 (“domandato”); 6) e;isceir'izw v. 384 (“mettere in mano”); TIRESIA 7) dein'opouj v. 418 (“dal piede terribile”); EDIPO 8) a;inikt'oj v. 439 (“enigmatico”); Primo stasimo 9) qespi'epeia v. 463 41 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Tabelle riassuntive e classificatorie (“fatidica”) ; CORO 10) o;iwnoq'etaj v. 484 (“indovino”); 11) :hd'upolij v. 510 (“gradito alla città”); Secondo episodio Dibattito con Creonte 12) semn'omantij v. 556 (“venerando indovino”); Racconto dell’uccisione di Laio EDIPO 13) xunanti'azw v. 804 (“incontro”); 14) ;ecqroda'imwn v. 816 (“inviso agli dei”); Dialogo con Giocasta 15) o;i'ozwnoj v. 846 (“che viaggia solo”); Secondo stasimo 16) e#useptoj v. 864 (“venerando”); CORO 17) :uy'ipouj v. 866 (“eccelso”); 18) ceir'odeiktoj v. 902 (“da mostrarsi a dito”); Terzo episodio GIOCASTA 19) ;epiqum'iama v. 913 (“offerta di incenso”); Terzo stasimo / 42 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Tabelle riassuntive e classificatorie Quarto episodio / Quarto stasimo / Esodo II MESSAGGERO 20) ;ekqe'aomai v. 1253 (“contemplare”); CORO 21) ;ep'oyimoj (“visibile”); v. 1312 Secondo kommos 22) duso'uristoj v. 1315 (“spinto da vento sfavorevole”); EDIPO 23) ;ep'ipoloj v. 1322 (“socio”); 24) blept'on, v. 1337 (“ammirabile”); 25) ;epip'odioj v. 1350 (“ai piedi”) . 43 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Una definizione di stile Una definizione di stile Partirei dalla sintetica ma puntuale definizione di stile offerta da Ducrot e Schaffer: On peut définir le style comme résultant de la combinaison du choix que tout discours doit opérer parmi un certain nombre de disponibilités contenues dans la langue et des variations qu’il introduit par rapport à ces disponibilités. (Schaffer 1995, p. 654) Possiamo affermare che lo stile di un testo non è, in effetti, solo l’espressione di quel cosiddetto “scarto” operato nei confronti di una “norma”, ma anche della scelta delle variabili offerte dalla tradizione precedente. In altri termini, scrive Roland Barthes: […] sous le nom de style se forme un langage autarcique qui ne plonge que dans la mythologie personelle et secrète de l’auteur, dans cette hypophisique de la parole, où se forme le premier couple des mots et des choses, où s’installent une fois pour toutes les grands thèmes verbaux de son existence. […] L’horizon de la langue et la verticalité du style dessinent donc pour l’écrivain une nature, car il ne choisit ni l’une ni l’autre. (Barthes 1952, pp. 16s.) Barthes oppone l’orizzontalità della lingua alla verticalità dello stile, di cui la scrittura sarebbe sintesi: L’écriture est précisement ce compromis entre une liberté et un souvenir, elle est cette liberté souvenante qui n’est liberté que dans le geste du choix, mais déjà plus dans sa durée. (Barthes 1952, p. 20) Il critico, anni dopo, vede nell’allontanamento da una lingua canonica la possibilità della scrittura di creare piacere. Tra le ruptures che l’autore può proporre sono menzionati anche i neologismi: 44 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Una definizione di stile […] le plaisir de la lecture vient évidemment de certaines ruptures (ou de certaines collisions) : des codes antipathiques (le noble et le trivial, par exemple) entrent en contact ; des néologismes pompeux et dérisoires sont créés ; des messages pornographiques viennet de se mouler dans des phrases si pures qu’on le prendrait pour des exemples de grammaire. Comme dit la théorie du texte : la langue est redistribuée. Or cette redistribution se fait toujours par coupure. Deux bords sont tracés : un bord sage, conforme , plagiaire (il s’agit de copier la langue dans son état canonique, tel qu’il a été fixé par l’école, le bon usage, la littérature, la culture), et un autre bord, mobile, vide (apte à prendre n’importe quels contours), qui n’est jamais que le lieu de son effet : là où s’entrevoit la mort du langage. Ces deux bords, le compromis qu’ils mettent en scène, sont nécessaires. 2 (Barthes 2000 , p. 87) Qui considereremo istanze dello stile sia la scelta cosciente di riferirsi alla tradizione, sia lo slancio personale verso l’innovazione. Un’analisi stilistica può interessare differenti piani. Se seguiamo la divisione operata da Todorov72, possiamo dire che un’analisi stilistica può agire sia sul piano dell’enunciato (fonografologico, sintattico, semantico), sia su quello dell’enunciazione (locutore, ricettore, referente). Non si ha qui la pretesa di offrire alla fine di questo lavoro generalizzazioni sullo stile sofocleo ed è bene ricordare inoltre che un autore può servirsi di stili diversi, come autori diversi possono avere uno stesso stile. Qui si affronterà un aspetto molto ristretto e molto particolare del piano semantico dell’enunciato, e si cercherà, per questo tramite, di risalire a qualche traccia dell’enunciazione – la grande assente – perché, come osservano ancora Ducrot e Schaffer73, “de ce dernier plan relèvent aussi les facteurs pragmatiques du style”. Benché lo studio degli hapax verta principalmente sul dominio del lessico, sui campi semantici (per certi versi sull’isotopia, sulla ridondanza), sulle voces similes, esso sarà spesso accompagnato da più ampie considerazioni su aspetti 72 73 Ducrot - Todorov 1972, p. 383-388. Ducrot - Schaeffer 1995, p. 658. 45 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Una definizione di stile che un tempo erano territorio della retorica: le figure e i tropi che accompagnano gli hapax o nei quali gli hapax sono coinvolti, in particolare le figure d’elocuzione. Gli hapax, presentandocisi come peculiarità, più o meno marcata, aiutano a definire lo stile poetico soprattutto nel senso dello “scarto”, per quanto lo studio dei possibili riferimenti alla tradizione poetica, per mezzo delle voces similes, riconduca anche alla nozione di “scelta”. Uno hapax può essere un termine scelto tra le “disponibilità” del lessico già esistente e siamo noi ad averlo recepito come unicum per le incertezze della sorte, ma può essere anche un termine che il poeta crea prendendo a modello dalla tradizione poetica un altro termine, come può essere infine un termine creato dal poeta, che però decide di distaccarsi decisamente dalla tradizione poetica precedente o dai suoi contemporanei. Lo stile poetico ci avvicina alla verità storica di una tragedia, perché è il segno tangibile della dialettica tra quelle categorie di permanence e impermanence così ben definite da Florence Dupont contro ogni tentativo di universalizzare i valori e le circostanze particolari delle singole tragedie. Scrive la Dupont: De nos jours, la mise en scène relève de l’impermanence et le texte de la permanence, ce qui a pour conséquence que l’événement théâtral se situe dans l’interpretation du texte par le metteur en scène, qui lui impose une esthétique et une signification nouvelles.[…] À Athènes, au contraire, l’espace, le jeu, les masques sont des données préalables. Seul le texte, les mots prononcés, changent et sont inconnus du public. […] L’impermanence dans la tragédie est donc aussi indispensable que la permanence ; or cette impermanence est située essentiellement dans le texte. […] Cette négociation entre instant et éternité crée une esthétique : elle impose à chaque performance des écarts sans cesse rénouvelés par rapport à la norme implicitement conservée par la tradition, constituée par la nebuleuse des performances passées, chacune marquant elle-même un écart. Ces écarts définissent le style de chaque poète, chacun ayant sa façon e négocier avec l’actualité […] (Dupont 2001, pp. 22 ss.) 46 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Una definizione di stile Taluni hapax sono un segno molto forte di questa impermanence e ci aiutano a capire qualcosa di più sulla maniera in cui Sofocle ha voluto costruire il suo Edipo re. 47 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Sintesi degli studi intorno alla datazione Breve sintesi degli studi intorno alla datazione della tragedia Si è compiuto qualsiasi sforzo interpretativo per dare all’Edipo re una datazione plausibile (o anche implausibile). La critica non è riuscita a trovare un accordo su una data, sia pure indicativa, poiché tutte le posizioni risultano, per un aspetto o per l’altro, opinabili. L’ipotesi di datazione più alta (456 a.C.), oggi recisamente rifiutata, è stata proposta da Bruhn74, quella più bassa (413 a.C.) da Perrotta75. Le differenti supposizioni articolano le loro argomentazioni su tre versanti. Si è cercato di riconoscere nella tragedia riflessi di eventi storici contemporanei che permettessero di stabilire un terminus post quem. In questo senso tra le osservazioni più interessanti vi sono quelle di Knox76 che vede nella descrizione della peste riferimenti non tanto alla prima ondata di epidemia del 430 a. C., quanto alla seconda del 427-26 a. C. e in particolare all’estate del 426 a. C., individuando come data privilegiata per l’esecuzione dell’ Edipo re la primavera del 425 a. C. Si sono poi cercati richiami intertestuali all’Edipo re in altre tragedie e commedie, per definire un terminus ante quem. In questa direzione si è mosso, ad esempio Milio77 che ha ritenuto di rinvenire nei Cavalieri di Aristofane (424 a. C.) una parodia strutturale dell’Edipo re. Zieliński, 78 ha visto invece nello scontro tra Teseo e Ippolito (vv. 1008-1020 dell’ Ippolito euripideo, 428 a. C.) quello tra Edipo e Creonte. 74 Bruhn 1910, p. 36. Perrotta 1935, pp. 257-268. 76 Knox 1956. 77 Milio 1928-9, pp. 203-5. 78 Zielinski 1896, p. 523. 75 48 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Sintesi degli studi intorno alla datazione Infine c’è chi, come il Perrotta, ha basato le sue ipotesi sul confronto stilistico con altre tragedie, prendendo ad argomento alcuni aspetti metrici come l’impiego nel finale79 dei tetrametri trocaici. Come ben osserva Condello80, le cui dossografie sono sempre di grande utilità, non si può dare una risposta definitiva perché tutti gli argomenti sono stati facilmente confutati ora dall’uno, ora dall’altro studioso. In particolare i richiami intertestuali sono stati considerati spesso troppo generici e le ipotesi basate su analisi stilistiche, che pretendevano di definire cronologie interne tra le tragedie, deboli e fondate su dati insufficienti. La datazione oscilla ancora oggi, dunque, tra quella proposta da Müller81 (434-33 a. C.) che vede nella descrizione della peste una costruzione del tutto ‘letterariaʹ, e quella portata avanti da Perrotta82, che, come si è detto, prendeva la mosse principalmente da dati stilistici, e guardava con favore all’opinione di Weil83, più volte ripresa, secondo cui non era affatto certo che l’ Edipo re potesse essere stato rappresentato in un periodo troppo vicino al flagello della peste, essendo i poeti tragici memori della sorte di Frinico, multato per la sua Presa di Mileto che aveva toccato il pubblico troppo da vicino (un argomento questo piuttosto debole). 79 Il finale dell’Edipo è peraltro controverso e Dawe (1982) lo espunge sulla scorta di Ritter (1861). Condello 2009, pp. CIX-CXV. 81 Müller 1984, pp. 47-59. 82 Perrotta 1935, pp. 257-268. 83 Weil 1844. 80 49 CAPITOLO I: ANALISI DEGLI HAPAX 50 Gli hapax dei dialoghi 51 prode'idw Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle prode'idw v. 90 Oi. […] #anax, ;emòn k'hdeuma, paî Menoik'ewj, t'in’ :hmìn !hkeij toû qeoû f'hmhn f'erwn> 85 Kr. ;esql'hn< l'egw gàr kaì tà d'usfor’, e;i t'ucoi kat’ ;orqòn ;exi'onta, p'ant’ $an e;utuceîn. Oi. #estin dè poîon to#upoj> o#ute gàr qrasùj o#ut’o%un prode'isaj e;imì t^_ ge nûn l'og_ Traduzione Paul Mazon Oedipe. O prince, cher beau-frère, ô fils de Ménécée, quelle réponse du dieu nous rapportes-tu donc ? Créon entre par la gauche Créon. Une réponse heureuse. Crois-moi, les faits les plus fâcheux, lorsqu’ils prennent la bonne route, peuvent tous tourner au bonheur. 90 Traduzione Dario Del Corno Ed. Principe, fratello mio, figlio di Meneceo, qual è la sentenza del dio che tu ci porti? Cr. Buona; e dico che anche le sventure, se si prende la via giusta, possono finire in bene. Ed. E il responso, com’è? Le tue parole non mi danno coraggio né mi spaventano prima di conoscerlo. Oedipe. Mais quelle est-elle exactement ? Ce que tu dis – sans m’alarmer – ne me rassure guère. Traduzione Guido Paduano Ed. Figlio di Meneceo, mio caro congiunto, quale parola ci porti da parte del dio? [Entra Creonte] Traduzione Salvatore Quasimodo Ed. O Signore, o mio congiunto, o figlio di Meníceo, che oracolo ci porti? Cr. Buona. Anche una situazione difficile può risolversi felicemente, purché ci si incammini per la via giusta. Cr. Buono. E dico che anche le sventure, se bene seguite, hanno esito felice. Ed. Ma qual è la parola? Fino ad ora il tuo discorso non mi ispira né paura né coraggio. Ed. E qual è l’oracolo? Né coraggio, né timore prima di conoscerlo, mi viene, intanto, dalle tue parole. Traduzione Edoardo Sanguineti Ed. Signore, mio parente, figlio di Meneceo, qual è la parola del dio che tu ci vieni a portare? Traduzione di Maria Grazia Ciani EDI. Signore! Cognato mio! Figlio di Meneceo! Che notizie porti? Qual è il responso del dio? Cr. CRE. Favorevole. Io dico, infatti, che anche le cose sgradevoli, se Buono. Se le difficoltà trovano soluzione, accade che riescono diritte, accadono tutte con fortuna. tutto potrebbe andare per il meglio. Ed. EDI. Ma qual è la parola? Perché io, dal tuo discorso, non sono Ma le parole, quali sono? Ciò che dici né incoraggiato, né intimorito. Non mi spaventa, ma non mi rassicura. 52 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle prode'idw prode'idw v. 90 prode'idw. Composto di pr'o e de'idw letteralmente “temere prima” (Ellendt84: praemetuo. Liddell-Scott: Fear prematurely). de'idw è presente solo in Omero e negli Alessandrini85. Jebb86 osserva nel suo commento (ad loc.) che in composizione con un verbo di “premura” (caring for), pr{o corrisponde talvolta a :up'er e cita il caso di prok{hdomai (Ant. 741). Siamo nel prologo. Dei supplici, comparse mute, sono raccolti sotto il palazzo di Edipo, a Tebe. Il secondo attore, che nel prologo impersona il sacerdote, si è rivolto a Edipo (primo attore). I versi iniziali della tragedia hanno reso nota agli spettatori la situazione in cui si trova la città di Tebe, funestata dal morbo della peste. Edipo ha informato il sacerdote e i supplici presenti di aver inviato Creonte, suo cognato, a Delfi, per interrogare l’oracolo e ricevere istruzioni. Ecco allora che Creonte torna e subito viene interrogato da Edipo. Già in questo piccolo stralcio del dialogo tra i due cognati possiamo apprezzare le qualità sofoclee nella caratterizzazione del personaggio. Edipo non appena vede Creonte giungere, gli pone una domanda. Creonte risponde brevemente, senza approfondire, allora Edipo lo incalza con altre numerose richieste, in parte dovute, come è logico, alla sua posizione nel dialogo (il detentore di una maggiore conoscenza in quel momento è Creonte), in parte allo stile della sticomitia, che, spezzando, rateizzando l’informazione in un veloce scambio, vivifica il ritmo dopo le rheseis iniziali di Edipo e del sacerdote. L’intenso susseguirsi di interrogative è evidentemente però anche una precisa scelta sofoclea nella costruzione del carattere volontaristico e inquisitorio di Edipo che è motore di tutta l’azione tragica. Scrive Whitman: 84 Ellendt 1872, s.v. cfr. DELG s.v. 86 Jebb 1893, ad loc. 85 53 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle prode'idw […] in the figure of the Oedipus, the man of supreme insight, or gnome, the quest for knowledge is itself the tragic action. (Whitman 1966, p. 138) Dodds vede in questa spinta alla conoscenza della verità e nella capacità di accettazione di Edipo la sua grandezza: Oedipus is great, not in virtue of a great worldly position – for his worldly position is an illusion which will vanish like a dream – but in virtue of his inner strength: strength to pursue the truth at whatever personal cost, and strength to accept and endure it when found. (Dodds 1966, p. 48) Tornando all’unicismo in questione: esso assume particolare rilevanza in questo contesto di indagine87. Nel termine pro-de{idw è contenuto quel desiderio del presentimento, della previsione che percorre tutta questa tragedia. Le ‘previsioni’ dell’oracolo hanno conseguenze sulle scelte del protagonista, il ‘premunirsi’ e il ‘pre-monire’ di Edipo sono anche i catalizzatori della sua caduta. Dopo la caduta e l’accecamento però, Edipo conquisterà finalmente questa veggenza (veggenza soprattutto sul passato, ma in parte anche sul futuro se si pensa a O.C. 1511ss.), punto di contatto tra umano e divino. Sofocle fa dire a Edipo in questo verso 90: o#ut’o%un prode'isaj e;imì t^_ ge nûn l'og_. Una traduzione alla lettera potrebbe essere: “né certo sono uno che teme prima con queste parole”. Le parole di Creonte non sono sufficienti alla previsione del bene o del male. 87 Alcuni studiosi hanno assimilato l’indagine portata avanti dal protagonista nell’Edipo re alla detective story, e spesso si sono lanciati in una poco proficua ‘caccia all’errore’. Una ricca e come sempre utile panoramica della questione è proposta in Condello 2009, pp. LVIII-LX. Tra gli argomenti cogenti contro una tale interpretazione dell’Edipo re conviene ricordare che il detective e il colpevole verrebbero a corrispondere (cfr. Chesterton 2002, p. 36), che il pubblico conosce già il colpevole. 54 prode'idw Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Jebb88 richiama un passo sofocleo in cui compare il verbo protarb{ew (Ant. 83). Ismene si rivolge alla sorella che mette a rischio la sua vita ricoprendo Polinice di terra e le mostra la sua preoccupazione, o#imoi, tala{inhj :wj :uperd{edoik{a sou (v. 82: “ahimè, infelice, come temo per te”), ma Antigone con fierezza e una sottile ironia risponde m`h ƒmo^u prot{arbei< tòn sòn ;ex{orqou p{otmon (“non preoccuparti prima del tempo, migliora la tua sorte”). Antigone va con fermezza incontro alla sorte che la aspetta, la sua non è preveggenza, ma semplice consapevolezza delle conseguenze di fronte alle quali la porterà il suo atto: in questo senso la sorella si preoccuperebbe prima del tempo. Nei Sette a Tebe lo stesso termine viene utilizzato dal coro che ha funesti presagi e teme in anticipo l’esito negativo dello scontro con i sette guerrieri: bare{iaj toi t{ucaj protarb^w (v. 332: “Grave sorte: temo già”). Se con Antigone parliamo di lucida consapevolezza, qui siamo di fronte a un ragionevole presagio. Sia Edipo, sia Antigone, sia il coro eschileo, nell’utilizzare un composto con pro- legato a un verbum timendi, alludono a una svolta futura degli eventi. In un’altra tragedia, che si presume eschilea, Prometeo incatenato, una paretimologia89 ci dà lo spunto per una conferma della coscienza linguistica dei tragici. Ai vv. 85-87 Potere si rivolge a Prometeo e osserva: yeudwn'umwj se da'imonej Promhq'ea 85 Le kalo^usin< a;utòn gàr se de^i promeq'iaj, aj chiamandoti Prometeo, «il preveggente», !otwi tr'opwi t^hsd’;ekkulisq'hshi t'ecnhj. potenze celesti hanno mentito perché hai bisogno tu, di chi preveda come uscire da questi nodi esperti. Trad. Mandruzzato 1991, p. 109 88 Jebb 1893, ad loc. Peraltro già in Esiodo una tale etimologia è desumibile dall’aggettivazione che accompagna i nomi di Prometeo e Epimeteo ai vv. 510-11 della Teogonia: t'ikte d’ :uperk'udanta Meno'ition ;hdè Promhq'ea,/ poik'ilon a;iol'omhtin, :amart'ino'on t’ ; Epimhq'ea (“partorì l’orgoglioso 2 Menetio, e poi Prometeo, versatile e astuto, e il malaccorto Epimeteo”, trad. Arrighetti 2007 , p. 27). 89 55 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle prode'idw In realtà Prometeo conosce il destino di Zeus, dunque effettivamente “sa prima”. Il confronto con prode{idw è un passaggio quasi ovvio e sembra costituirsi come un nuovo argomento in favore di una precisa scelta espressiva di Sofocle, che d’altronde mostra una non minore capacità di gioco linguistico nell’Aiace, quando il protagonista afferma ai versi 430s. : a;ia^i< t'ij #an pot’ #_eq’ *wd’;ep'wnumon/ to;umòn xuno'isein #onoma to^ij ;emo^ij kako^ij> (“Ahi, ahi! Chi avrebbe mai pensato che il mio nome, Aiace, portasse in una sillaba il segno del mio patire?”, trad. Albini-Faggi 20073). Nomen omen dunque90. Ma anche, in qualche modo, nel nostro caso, hapax omen, se pensiamo, come si è detto, al ruolo del presagio nell’Edipo re 91. Mettendo a paragone le differenti traduzioni, notiamo che Quasimodo nel rendere questi versi non si lascia sfuggire il valore “divinatorio” e allusivo del preverbo: “E qual è l’oracolo? Né coraggio, né timore prima di conoscerlo/ mi viene, intanto, dalle tue parole”. Così anche Dario Del Corno traduce: “E il responso, com’è? Le tue parole non mi danno coraggio né mi spaventano prima di conoscerlo”. La scelta (se non la creazione) di un termine come prode{idw assume rilevanza nel complicato ruolo che ha la divinazione all’interno della tragedia e non sembra casuale che un tale termine sia proprio Edipo a pronunciarlo. Esso contribuisce al delineamento del carattere febbrilmente speculativo di Edipo. 90 Per un approccio generale ai nomi parlanti sono interessanti Dornseiff 1940 e Zaccarello 2003, anche se il materiale utilizzato da quest’ultimo è tutto relativo alla letteratura italiana. Sui nomi parlanti in Omero cfr. Mühlestein 1969, pp. 67-94. Un lavoro più specifico sul teatro è quello di Bonanno 1987, che tratta dei nomi parlanti in Aristofane, come anche quello di Funaioli 1984-85. Un articolo importante sui nomi dei figli di Edipo, Eteocle e Polinice, è quello di Loraux 1988. 91 Cfr. Kane 1975, pp. 189-208. 56 ; nako'ufisij a Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ; nako'ufisij v. 218 a Oi. a;ite^ij< &a d’a;ite^ij, t#am’ ;eàn q{el+j #eph 216 kl{uwn d{ecesqai t^+ n{os_ q’:uphrete^in, ;alk`hn l{aboij $an k;anako{ufisin kak^wn< Traduzione Paul Mazon Traduzione Dario Del Corno Oedipe. J’entends tes prières, et à ces prières c’est moi qui réponds. Sache écouter, accueillir mes avis, sache te plier aux ordres du fléau, et tu auras le réconfort, l’allégement attendu de tes peines. Ed. Tu preghi: e la tua preghiera otterrà forza e sollievo dal morbo, se vorrai accogliere le mie parole e intendere ciò che esige il nostro male. Traduzione Guido Paduano Traduzione Salvatore Quasimodo Ed. Questa è la vostra preghiera. E per essa, se vorrete dare ascolto alle mie parole, e provvedere a questa pestilenza, potreste ottenere un aiuto e la liberazione dei mali. Ed. Tu preghi: se per la tua preghiera vorrai accogliere ogni mia parola, e agire contro il male, forza e sollievo avrai nella sventura. Traduzione Edoardo Sanguineti Traduzione di Maria Grazia Ciani Ed. Tu preghi, e quello che tu preghi, se tu vuoi accoglierle, ascoltandole, le mie parole, e operare come impone la malattia, tu lo avrai, il vigore, il sollievo dei mali. EDI. Questo tu chiedi agli dei. Ma se vorrai dare ascolto alle mie parole e riconoscere nel morbo la volontà divina, troverai riparo e sollievo alla sventura 57 ; nako'ufisij a Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle anako{ ;anako{ufisij v. 218 ;anako{ufisij composto di ;an{a e ko{ufisij, nome d’azione di kouf{izw “provare sollievo”. Jebb92 traduce questo termine con “relief”, così come i traduttori italiani sono generalmente concordi su “sollievo”. “Sollievo” rende benissimo la composizione greca, infatti il termine italiano è un derivato di “sollevare”, dal latino sub (“sotto”, ma anche “dal basso”93 e ;an{a può indicare, come preverbo, questo movimento dal basso verso l’alto) e levare “rendere leggero, alzare”, laddove l’aggettivo di partenza levis,-e corrisponde semanticamente a ko^^ufoj “leggero”. Sebbene il termine in sé sia uno hapax, è importante delineare brevemente l’uso sofocleo di alcuni vocaboli ad esso correlati. In un interessante studio, Giovanni Ceschi94 evidenzia le relazioni profonde che intercorrono tra il Corpus Hippocraticum e le tragedie sofoclee. A questo proposito analizza l’uso del verbo kouf'izw, in relazione a Ph. 73595: NE. M^wn #algoj #isceij t^hj parest'wshj n'osou>/ FI. O;u d^ht’#egwg’, ;all’#arti kouf'izein dok^w (“NE. Senti dolore? È un attacco della malattia?/ FI. Niente! Niente! Mi sembra già si star meglio”, trad. Cerri 2003, p. 81). Qui kouf'izw è usato intransitivamente, come avviene esclusivamente negli scritti ippocratici, e Ceschi lo considera un indubbio tecnicismo. V’è poi il verbo ;anakouf{izw, utilizzato da Sofocle in OT 23. Questo termine compare all’inizio della tragedia, quando il sacerdote si rivolge insieme con i supplici ad Edipo: IE. P{olij g{ar, !wsper ka;utòj e;isor^=j, #agan/ #hdh sale{uei k;anakouf{isai k{ara/ buq^wn #et’o;uc o!ia te foin{iou s{alou (“La città – tu lo vedi – è squassata da una tempesta/ immane e non può più risollevarsi 92 Jebb 1893. 4 Cfr. Ernout-Meillet 2001 , s.v. : “ sublevō « soulager » c’est-à-dire «alléger en soulevant»”. 94 Ceschi 2009. 95 Il verbo compare, ma con significato differente, anche in Aj. 1287, Tr. 1025, Ant. 43. 93 58 ; nako'ufisij a Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle dall’abisso/ dai sanguinosi baratri di morte”). Qui il verbo rimanda al movimento del “sollevare” (il capo) e non ha apparentemente relazioni con la medicina, se non fosse che il contesto lo lega strettamente a questo ambito, perché il sacerdote descrive la pestilenza e i suoi effetti con una certa precisione. Tuttavia la Guardasole96, sostiene che “proprio nel caso in cui Sofocle nella sua produzione tragica avrebbe potuto dar mostra del suo sapere medico, la pestilenza è esposta nell’eziologia, nelle manifestazioni e nella terapia in modo esattamente opposto al razionalismo ippocratico”. La dimensione poetica e non scientifica o storica della descrizione della peste non è un argomento valido per negare il riferimento all’epidemia che colpì Atene. Se può essere vero quanto sosteneva Perrotta97, che cioè la descrizione sofoclea non sembra ricalcare se non in minima parte (i templi pieni di supplici) quella tucididea, tuttavia questo non impedisce il riferimento all’ epidemia storica. Tornando al termine ;anako{ufisij, Long98, nel suo lavoro sui nomi astratti in Sofocle, lo registra come hapax e lo avvicina al termine ;anako{ufisma, che leggiamo in Ippocrate (diaet. II 64, 1 tà dè ;anakin{hmata kaì ;anakouf{ismata t``hn mèn s{arka !hkista diaterma{inei “gli esercizi di movimento e sollevamento delle braccia riscaldano pochissimo la carne”). La possibilità che nella creazione (o nell’impiego) del termine vi sia un’influenza del linguaggio medico va considerata. Ricorderemo qui brevemente che, secondo alcune testimonianze99, Sofocle sarebbe stato sacerdote di Halon, eroe guaritore, e avrebbe altresì composto un peana in onore di Asclepio, oltre ad aver partecipato all’introduzione del suo culto ad Atene, ospitandolo nella sua casa e 96 Guardasole 2000, p. 69. Cfr. Perrotta 1935. 98 Long 1968, p. 31. 99 Vita Sophoclis; ma anche Etym. Magn. s.v. dex{iwn; Plut. Num. 4, 10, 62; Philostr. Vita Apoll. 3, 17. 97 59 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ; nako'ufisij a costruendo un altare in suo onore, ragion per cui il poeta sarebbe stato eroizzato post mortem col nome di Dexion. Tutto questo ci porta a osservare che è plausibile una creazione lessicale sofoclea ispirata al linguaggio medico, tanto più che non esisteva quella divisione netta tra cultura umanistica e scientifica tipica della nostra contemporaneità. Il contesto in cui questo hapax compare è piuttosto significativo e questo riferimento alla medicina è interessante in sé, al di là del fatto che il termine sia o non sia una creazione sofoclea. Siamo infatti all’inizio del primo episodio: il coro, entrando, ha levato una preghiera nella quale vengono invocati Zeus, Apollo (“tu che aiuti e guarisci”), Atena, Artemide e persino Bacco, perché difendano la città dalla furia di Ares che ora assale Tebe “senza bronzo”, fa impazzare l’epidemia per le strade. Il coro descrive gli effetti della malattia, e, qui ci si ricollega a quanto sostenuto dalla Guardasole, non vede una via d’uscita razionale dal flagello: o;ud’#eni front{idoj #egcoj Ñ tij ;al{exetai (vv. 170-1, “e non c’è pensiero che,/ al pari di una spada, si erga a nostra difesa”). Cionostante, pur nella sua sfiducia verso una cura razionale al male, fa un elenco piuttosto preciso dei “sintomi” della città: le donne non partoriscono, gli uomini precipitano nell’Ade come uccelli in picchiata, la morte si diffonde dai morti (perché la paura del contagio fa sì che non vengano seppelliti). Di fronte a questa preghiera dolente, Edipo dà inizio alla sua risposta con le parole che abbiamo visto. La solennità del momento, la sicurezza con cui Edipo propone la soluzione dei mali, creano di per sé un effetto di grandissima ironia tragica. In questo frangente, l’impiego di un termine di sapore medico quale ;anako{ufisij, rafforza probabilmente quest’effetto d’ironia, facendo apparire Edipo come un fallibile taumaturgo, cui, almeno noi moderni, diremmo volentieri: medice cura te ipsum! Chiaramente qui quest’ironia tragica procurava piuttosto la pietà dello spettatore. La costruzione ironica e tragica di questo Edipo solenne guaritore che ignora di essere la causa di ogni male è rafforzata 60 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ; nako'ufisij a anche dall’uso di un termine raro e riferibile alla medicina che si accosta, in una callida iunctura, a un termine marcatamente poetico, epico, quale ;alk{h (“difesa”). È forse più chiaro allora come l’introduzione di ;anako{ufisij in questo contesto partecipi all’efficacia dell’effetto drammatico, alla migliore espressione dell’ironia tragica, e possa essere anche un riferimento tecnico piuttosto chiaro per gli Ateniesi, che certamente ancora avevano viva nella memoria l’epidemia del 429 a.C., le sue conseguenze e probabilmente anche la risposta che tentò di dare la medicina ippocratica. 61 a;itht'oj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle a;itht'oj v. 384 Oi. % W ploûte kaì turannì kaì t'ecnh t'ecnhj 380 :uperf'erousa t^_ poluz'hl_ b'i_, !osoj par’:umîn :o fq'onoj ful'assetai, e;i t^hsd'e g’;arc^hj o!unec’,!hn ;emoì p'olij dwrht'on, o;uk a;itht'on, n e;isece'irisen, ta'uthj Kr'ewn :o pist'oj, o:ux ;arc^hj f'iloj, 385 l'aqr= m’:upelq`wn ;ekbaleîn :ime'iretai, :ufeìj m'agon toi'onde mhcanorr'afon, d'olion ;ag'urthn, !ostij ;en toîj k'erdesin m'onon d'edorke, t`hn t'ecnhn d’#efu tufl'oj. Traduzione Paul Mazon Œdipe. Ah ! richesse, couronne, savoir surpassant tous autres savoirs, vous faites sans doute la vie enviable ; mais que de jalousies vous conservez aussi contre elle chez vous ! s’il est vrai que, pour ce pouvoir, que Thèbes m’a mis ellemême en main, sans que je l’aie, moi, demandé jamais, Créon, le loyal Créon, l’ami de toujours, cherche aujourd’hui sournoisement à me jouer, à me chasser d’ici, et qu’il a pour cela suborné ce faux prophète, ce grand meneur d’intrigues, ce fourbe charlatan, dont les yeux sont ouverts au gain, mais tout à fait clos pour son art. Traduzione Guido Paduano EDIPO Ricchezza, potere, arte più grande di ogni altra nella lotta per la vita, quanta è l’invidia attorno a voi! Per amore di questo regno, che io non ho chiesto, che la città mi ha messo in mano, Creonte, il fedele Creonte, mio amico da sempre, desidera cacciarmi via insinuandosi di soppiatto; e ha subornato questo ciarlatano, mestatore, questo impostore astuto che è cieco nella sua arte, ma vede benissimo il profitto. Traduzione Edoardo Sanguineti EDIPO O ricchezza, tirannia, arte che superi l’arte, a un’invidiata vita quanto odio è riservato, per voi, se per questo mio dominio, che la città mi ha messo nelle mie mani, donato e non richiesto da questo desidera rovesciarmi, insinuandosi occultamente, Creonte il fedele, l’amico mio primo, infilandomi qui un tale mago, che intesse inganni, un impostore illusionista, che soltanto nei guadagni ci vede, ma che nell’arte è nato cieco. Traduzione Dario Del Corno EDIPO O ricchezza, potere! O mia sapienza, che superi ogni altra arte! Tutti invidiano la mia vita, ma quanto odio nascondete in voi. Questo regno me l’ha affidato in dono la città, non l’ho chiesto io; e Creonte, il mio fedele, l’amico della prima ora, adesso lo vuole, e tende insidie per farmi cadere. Ecco che manda avanti questo mago intrigante, questo ciarlatano bugiardo, che solo per il guadagno ha buona vista, ma nell’arte sua è cieco. Traduzione Salvatore Quasimodo EDIPO O ricchezza o forza del potere, o arte che supera ogni arte nella vita, quanta invidia per voi sta in agguato, se per questo regno che m’offrirono i tebani, il fedele Creonte, amico dei primi giorni, in segreto desidera cacciarmi con inganno. Egli mi ha messo contro questa razza d’indovino che inventa favole, un vagabondo insidioso che vede solo nei guadagni e mai nella sua arte. Traduzione di Maria Grazia Ciani EDI. Ricchezza e potere, arte che supera ogni arte in questa vita piena di invidie! E quanta invidia avete accumulato verso di me se per questo potere che non ho chiesto io, che mi è stato donato dalla città – Creonte, il fedele Creonte, il mio primo amico trama nell’ombra per cacciarmi via e aizza contro di me questo stregone, questo truffatore cieco dalla nascita che ci vede bene solo quando c’è di mezzo il guadagno! 62 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle a;itht'oj a;itht'oj v. 384 Nel primo episodio, dopo la sticomitia che lo vede contrapposto a Tiresia, Edipo pronuncia una tirata contro l’indovino, accusandolo di essere un truffatore100. In un interessante articolo Gherardo Ugolini101 analizza le relazioni tra Tiresia e i sovrani di Tebe, delineando un vero e proprio topos del litigio che si cristallizzerebbe nella tragedia attica, comparendo nell’Antigone, nell’Edipo Re, nelle Fenicie e nelle Baccanti. Lo scontro tra indovini e uomini di potere, tra regalità e sacralità, ha inoltre alcuni precedenti, tra cui il più emblematico è l’episodio omerico, citato dagli scolii, in cui Agamennone si scaglia contro Calcante102. Edipo vuole dimostrare la malafede di Tiresia, la sua collusione con Creonte e inoltre l’incapacità profetica, riallacciandosi all’episodio della sfinge. Il protagonista si sente vittima di un complotto, vive la sua posizione di sovrano percependo intorno a sé invidia e odio. Nel difendersi da quello che sente come un attacco deliberato contro la sua carica, Edipo si serve dell’aggettivo a;itht'oj: uno hapax. Jebb e Dawe103 affermano che sia dwrht'on sia a;itht'on sono aggettivi femminili. a;itht'oj104 è un aggettivo verbale da a;it'ew, significa “domandare, richiedere”. Il senso, grazie anche all’accostamento con dwrht'on risulta chiarissimo: “richiesto”. Più tardi compariranno anche i composti paraitht'oj “che si può piegare” e ;apara'ithtoj “che non si può piegare (con preghiere)” (quest’ultimo 100 Questa accusa contro Tiresia ricorre anche al v. 1055 dell’Antigone per bocca di Creonte. Ma in generale la polemica contro la mantica è un tema ricorrente nel teatro ateniese: Euripide Ifigenia in Aulide (520 s., 956 ss.), Elena (744 ss.), Ifigenia Taurica (570 ss.), etc. 101 Ugolini 1991. Ma per l’analisi di questo scontro cfr. anche Drexler 1956; Galeotti Papi 1996; Sgobbi 2004. 102 Ma a questo proposito possiamo ricordare anche gli scontri tra Eurimaco/Aliterse (Od. 2.157 ss.) e Ettore/Polidamante (Il. 12.195 ss.) 103 Dawe 1982, ad loc.; Jebb 1893, ad loc. 104 Per il suffisso –toj cfr. Chantraine 1979, pp. 302 ss. 63 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle a;itht'oj si è mantenuto anche in greco moderno). Il confronto con questi due composti ci aiuta a comprendere come Edipo voglia sottolineare con un tale termine di non avere pregato nessuno per ottenere il regno. Un aggettivo verbale di un verbo comune come a;itéw, per quanto hapax, potrebbe non avere una grande rilevanza, né doveva suonare molto impressionante alle orecchie degli spettatori. Il significato che veicola tuttavia, unito al suo status di hapax invita alla riflessione. Se di per sé a;itht'oj può passare inosservato, quando ci rendiamo conto che al v. 384 sono presenti anche un termine (dwrht'on in omoteleuto grammaticale) che ha in precedenza solo un’occorrenza omerica (Il. 9.526) e poi uno hapax come e;isceir'izw (“mettere in mano”), la prospettiva cambia. Nella sequenza del v. 384 dwrht'on, o;uk a;itht'on, e;isece'irisen possiamo notare una climax ascendente in cui Sofocle concentra con grande arte un importante argomento di difesa che Edipo oppone non tanto al problema realmente sollevato da Tiresia, quanto al complotto che si figura nella mente. Edipo con il v. 384 fa sapere che lui non ha mai cercato quel potere che la città gli ha messo in mano, per così dire, suo malgrado o comunque offrendoglielo in dono. Ecco allora che il concentrarsi del gioco omoteleutico, il crescendo con uno hapax che spiega e rafforza il senso del vocabolo precedente e, infine, l’uso di un termine icastico come e;isceir'izw danno al verso un potere comunicativo straordinariamente denso, offrendo subito all’interlocutore come agli spettatori la sintesi di una difesa che si dipana su una più ampia arringa. 64 e;isceir'izw Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e;isceir'izw v. 384 Oi. % W ploûte kaì turannì kaì t'ecnh t'ecnhj 380 :uperf'erousa t^_ poluz'hl_ b'i_, !osoj par’:umîn :o fq'onoj ful'assetai, e;i t^hsd'e g’;arc^hj o!unec’,!hn ;emoì p'olij dwrht'on, o;uk a;itht'on, e;isece'irisen, risen ta'uthj Kr'ewn :o pist'oj, o:ux ;arc^hj f'iloj, 385 l'aqr= m’:upelq`wn ;ekbaleîn :ime'iretai, :ufeìj m'agon toi'onde mhcanorr'afon, d'olion ;ag'urthn, !ostij ;en toîj k'erdesin m'onon d'edorke, t`hn t'ecnhn d’#efu tufl'oj. Traduzione Paul Mazon Œdipe. Ah ! richesse, couronne, savoir surpassant tous autres savoirs, vous faites sans doute la vie enviable ; mais que de jalousies vous conservez aussi contre elle chez vous ! s’il est vrai que, pour ce pouvoir, que Thèbes m’a mis ellemême en main, sans que je l’aie, moi, demandé jamais, Créon, le loyal Créon, l’ami de toujours, cherche aujourd’hui sournoisement à me jouer, à me chasser d’ici, et qu’il a pour cela suborné ce faux prophète, ce grand meneur d’intrigues, ce fourbe charlatan, dont les yeux sont ouverts au gain, mais tout à fait clos pour son art. Traduzione Guido Paduano EDIPO Ricchezza, potere, arte più grande di ogni altra nella lotta per la vita, quanta è l’invidia attorno a voi! Per amore di questo regno, che io non ho chiesto, che la città mi ha messo in mano, Creonte, il fedele Creonte, mio amico da sempre, desidera cacciarmi via insinuandosi di soppiatto; e ha subornato questo ciarlatano, mestatore, questo impostore astuto che è cieco nella sua arte, ma vede benissimo il profitto. Traduzione Edoardo Sanguineti EDIPO O ricchezza, tirannia, arte che superi l’arte, a un’invidiata vita quanto odio è riservato, per voi, se per questo mio dominio, che la città mi ha messo nelle mie mani, donato e non richiesto da questo desidera rovesciarmi, insinuandosi occultamente, Creonte il fedele, l’amico mio primo, infilandomi qui un tale mago, che intesse inganni, un impostore illusionista, che soltanto nei guadagni ci vede, ma che nell’arte è nato cieco. Traduzione Dario Del Corno EDIPO O ricchezza, potere! O mia sapienza, che superi ogni altra arte! Tutti invidiano la mia vita, ma quanto odio nascondete in voi. Questo regno me l’ha affidato in dono la città, non l’ho chiesto io; e Creonte, il mio fedele, l’amico della prima ora, adesso lo vuole, e tende insidie per farmi cadere. Ecco che manda avanti questo mago intrigante, questo ciarlatano bugiardo, che solo per il guadagno ha buona vista, ma nell’arte sua è cieco. Traduzione Salvatore Quasimodo EDIPO O ricchezza o forza del potere, o arte che supera ogni arte nella vita, quanta invidia per voi sta in agguato, se per questo regno che m’offrirono i tebani, il fedele Creonte, amico dei primi giorni, in segreto desidera cacciarmi con inganno. Egli mi ha messo contro questa razza d’indovino che inventa favole, un vagabondo insidioso che vede solo nei guadagni e mai nella sua arte. Traduzione di Maria Grazia Ciani EDI. Ricchezza e potere, arte che supera ogni arte in questa vita piena di invidie! E quanta invidia avete accumulato verso di me se per questo potere che non ho chiesto io, che mi è stato donato dalla città – Creonte, il fedele Creonte, il mio primo amico trama nell’ombra per cacciarmi via e aizza contro di me questo stregone, questo truffatore cieco dalla nascita che ci vede bene solo quando c’è di mezzo il guadagno! 65 e;isceir'izw Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle E;iscei sceir'izw v. 384 Nuovamente ci troviamo di fronte a uno hapax composto. E;isceir'izw significa propriamente “mettere nelle mani” e il soggetto che mette nelle mani di Edipo il potere è la città105, grata all’uomo, come è noto, per essere stata liberata dal flagello della sfinge, argomento quest’ultimo su cui il re insiste volendo dimostrare l’incapacità mantica del ‘profeta di sventura’, che non è stato capace a suo tempo di liberare la città dal loim'oj. E;isceir'izw, verbo denominativo da ce'ir, è una variante sofoclea del più comune ;egceir'izw che compare già in Erodoto (5.72.1) con lo stesso valore sofocleo, perché lo storico racconta che Cleomene tàj ;arcàj ;enece'irize, affidava i poteri di governo alla fazione di Isagora (meno interessante è il passo Hdt. 5.92 G, in cui il verbo compare nel senso proprio di “mettere in braccio”)106. Felix Budelmann107 nell’analizzare l’importanza del termine p'olij all’interno dell’Edipo, osserva che i versi 628-30 del diverbio tra il protagonista e Creonte richiamerebbero i versi 383-4 dello scontro con Tiresia “when Oedipus stressed that the polis put the rule into his hands without him asking for it”. Se questo richiamo interno è credibile, esso non potrebbe che basarsi sulla forza espressiva dei versi rievocati. In effetti Budelmann può sostenere la sua tesi grazie al ricomparire di due concetti decisivi, quelli di p'olij e di ;arc'h: vv. 383-4 e;i t^hsd'e g’;arc^ arc^hj o!unec’,&hn ;emoì p'olij dwrht'on, o;uk a;itht'on, e;isece'irisen vv. 383-4 se per questo potere che non ho chiesto io che mi è stato donato dalla città vv. 628-630 Kr. E;i dè xun'ihj mhd'en> vv. 626-630 CRE. E se non avessi capito nulla? Oi. ;arkt'eon g’ !omwj. 105 Osserva Paduano (1982, ad loc.) che Edipo sottolineerà il ruolo della città anche in Edipo a Colono, vv. 525s., 539ss. 106 Un interessante e sintetico studio sulla ‘presenza’ di Erodoto nell’opera sofoclea e nell’Edipo Re in particolare è quello di Catenacci (2000, p. 202) che scrive: “Ad alta ‘densità erodotea’ sembrano infine i vv. 380 ss. dell’Edipo Re”. Ma lo stesso Catenacci cita anche altri studi, come Rasch 1913, Podlecki 1966, Müller 1996. 107 Budelmann 2000, p. 212. 66 e;isceir'izw Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Kr. O#utoi kak^wj g’#arcontoj. arcontoj Oi. %w p'olij p'olij. arcontoj lij Kr. K;amoì p'olewj m'etestin, o;ucì soì m'on_. EDI. Devi obbedire in ogni caso. CRE. No, se tu governi male. EDI. O città, città di Tebe. CRE. Ne faccio parte anch’io, non tu soltanto. È fortissima la visività di quest’immagine che contempla un soggetto e un oggetto di grande valore concettuale (oltre che concretissimi), come la p'olij e l’ ;arc'h, uniti attraverso un predicato significativo e unico quale e;isceir'izw. D’altronde questa scena, in cui Edipo ha così collericamente (eppure comprensibilmente) reagito alle parole di Tiresia, possiede proprio nel linguaggio e nelle immagini da esso create un’espressività macroscopica capace di suscitare lo stupore di più di uno studioso: infatti quest’ira, questo flusso argomentativo irruente di Edipo sono stati considerati incoerenti, tanto da richiedere la spiegazione dell’inconscio. Penso all’articolo di Carel108: “By introducing the category of the unconscious the story can be made coherent, as the unconscious status of Oedipus’ knowledge explains his incoherent behavior, slips of tongue and excessive rage at Tiresias”. Riprendendo la questione della colpevolezza di Edipo già molto discussa109 Carel ipotizza che Tiresia sia la verità inconscia sepolta da Edipo, e questo spiegherebbe perché divampi così violenta la reazione alle parole dell’indovino. Ma nel verso in questione, il 384, Oddone Longo110 troverebbe invece un argomento in favore dell’inconsapevolezza di Edipo di fronte all’incesto. Il verso 384, nel quale vediamo dichiarata forte e chiara la responsabilità della p'olij, fa pendant ed è corroborato dai vv. 525s. e 539s. dell’Edipo a Colono, che recitano: vv. 525s. Oi. Kak^^= m; e;un^= p'olij o;udèn #idrin g'amwn ;en'edhsen #at=. vv.525s. Ed. La città, con un empio letto, del tutto ignaro mi avvinse nella maledizione delle 108 Carel 2006, p. 111. Cfr. ad es. Vellacott 1964 e 1971; Rudnytsky 1987; Zimmermann 1997. 110 Cfr. Longo 2007, p. XIX. 109 67 e;isceir'izw Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle vv. 539ss. Co. #erexaj - Oi. o;uk #erexa. Co. t'i g'ar; Oi. ;edex'amhn d^^wron, &o m'hpot; ;eg`w talak'ardioj 111 ;epwf'elhsaj p'oleoj ;exel'esqai. nozze. vv.539s. Co. Facesti Ed. Non feci. Co. Come? Ed. Ricevetti un dono che io, infelice, dopo aver portato vantaggio, non avrei mai dovuto ricevere dalla città. Ai vv. 539 ss. nuovamente ritorna quest’immagine del dono che Edipo riceve dalla città, un dono funesto, che mai avrebbe dovuto ricevere. Ma qui l’attenzione è spostata, Edipo non insiste più tanto sull’azione del dono, quanto piuttosto sull’idea che mai quest’azione sarebbe dovuta avvenire. Questo divide in fondo un Edipo inconsapevole, che porta argomenti di difesa, e un Edipo disilluso e ferito, che vive nel rimpianto di ciò che è stato. Vi è ancora un’altra osservazione da fare in merito a questo unicismo. C’è da dire che su un termine di uso comune anche le variazioni minime hanno un forte effetto: il pubblico si domanderà per quale ragione se Sofocle aveva a sua disposizione ;egceir'izw, abbia deciso di servirsi di un quantomeno inusitato e;isceir'izw. Il parallelo è lontano e forse poco calzante, ma se uno scrittore italiano contemporaneo usasse il plurale “pomidoro” invece di “pomodori”, tutti si domanderebbero perché mai l’abbia fatto. Alcuni penseranno che sia un errore di stampa, altri il vezzo di uno scrittore originale e vagamente snob, altri ancora riconosceranno in una tale forma un arcaismo e allora cercheranno di spiegarsi la ragione della sua presenza (lo scrittore sta tentando di ricostruire gli usi linguistici dell’ambientazione storica del suo soggetto, oppure sta caratterizzando un personaggio, magari un vecchio emigrato che parla servendosi ancora degli usi linguistici precedenti la sua partenza, e così via). Tornando però alle categorie indigene, va aggiunto che l’attico, almeno in questa fase, è piuttosto sensibile alla differenza, e;ij (moto a luogo) / ;en (stato in luogo), e forse la variazione è in questo caso più significativa rispetto a quanto 111 Qui Lloyd Jones- Wilson accoglie la lezione di Rauchenstein #ofelon, ma sembra più ragionevole restare fedeli ai codici, che riportano p'olij. 68 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e;isceir'izw noi moderni possiamo percepire alla prima lettura. In questo contesto la scelta di Sofocle non è priva di risvolti. Quando Longo dice, come abbiamo visto, che da questo verso si evince l’incosapevolezza di Edipo, sta toccando nel vivo una questione dibattutissima, che ha visto gli interpreti scontrarsi duramente. Molti hanno posto infatti al centro del dibattito sulla tragedia il problema della responsabilità di Edipo. La critica colpevolista si è mossa principalmente su due filoni, uno moralista, il cui principale rappresentante è senza dubbio Vellacott con il suo già menzionato articolo The guilt of Oedipus (1964), l’altro politico, tra le cui posizioni sono importanti quelle di Vernant (1972), di Lanza (1977), etc. Vellacott mette in campo una serie di osservazioni puntuali quanto opinabili sulla consapevolezza di Edipo, che determina con le sue scelte imprudenti il suo destino (conoscendo l’oracolo avrebbe dovuto mettersi subito alla ricerca dell’identità dell’uomo da lui ucciso, non avrebbe dovuto sposare una donna più anziana di lui, etc.). Secondo Lanza l’Edipo re è articolato in tre tempi, “all’Edipo buon sovrano succede un Edipo despota intollerante che non teme neppure di giungere alla blasfemia e all’empietà. Da ultimo, dopo la rivelazione della propria identità, l’Edipo che punisce se stesso”112. L’ira del sovrano è per Lanza alla base della sua caduta: […] la tirannide permette di stravolgere il personaggio di Edipo, di straniarlo e di contrapporlo agli altri, di trasformare il padre dei suoi sudditi in un dominatore solitario, separato dagli uomini da una barriera di reciproca paura. È la paura che fa scattare il processo di rapida trasformazione, è la paura che sucita l’ira, veicolo di ogni altra degenerazione […] (Lanza 1977, p. 144) 112 Lanza 1977, pp. 141s. 69 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e;isceir'izw Sull’impropria ricerca di una specifica :amart'ia, hanno scritto pagine importanti Knox (1957)113 e Dodds (1966). Già Whitman (1951, p. 131) aveva attenuato il giudizio sul carattere tirannico di Edipo. In particolare sullo scontro tra Tiresia e Edipo interviene con decisione, riprendendo le diverse posizioni degli studiosi, Paduano (1982, pp. 450s.), che non vede nel comportamento di Edipo né la reazione irosa di chi sa, a livello conscio o inconscio, che il profeta dica la verità, né quella di un tiranno dall’ ;org'h sproporzionata, il problema è invece nella reticenza di Tiresia, che secondo la percezione di Edipo si rifiuta di collaborare con la giustizia: […] già nel bando si era notata una certa tendenza ad accomunare nello stesso livello di colpevolezza il comportamento antisociale massimo (il delitto) e quello minore (l’omertà). Per Edipo Tiresia è uno che sa la verità e non vuole dirla (ha interesse a non dirla), quindi un complice determinante (347). Che stia dicendo la verità, non viene nemmeno preso in considerazione da chi vi legge solo una provocazione (360). (Paduano 1982, p. 451) Quanto alla consapevolezza di Edipo di fronte ai due tabù infranti, il parricidio e l’incesto, viene da dire che la questione non è all’ordine del giorno nell’Edipo re: la tesi secondo cui quello di Edipo sarebbe un ravvedimento operoso è, per così dire, piuttosto ‘originale’ (“ricostruzione romanzata”, definisce Paduano114 la tesi 113 Knox 1957, p. 31: “The catastrophe of Oedipus is a product not of any one quality of Oedipus but of the total man. And the total man is, to use Aristotle’s phrase, more good than bad. The decisive actions are the product of an admirable character; with the possible exception of his anger (and even that springs initially from his devotion to the city), their source is the greatness and nobility of the man and the ruler. Which makes the play correspond fairly closely to Aristotle’s description of what tragedy should avoid: «the spectacle of a virtuous man brought from prosperity to adversity – this moves neither pity not fear: it merely shock us ». It shocks us especially in the case of Oedipus becaue the catastrophe is one of such tremendous proportions. The catastrophe consists of Oedipus’recognition of his true identity, but this constitutes in itself a reversal of the most fearful kind”. 114 Paduano 1982, p. 450. 70 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e;isceir'izw di Vellacott115). Anche se la querelle esula dagli interessi principali di questa ricerca, che vorrebbe riportare al centro della discussione il poieîn sofocleo, nondimeno qui l’unicismo, o meglio, gli unicismi del verso 394 sono indirizzati verso un’affermazione dell’inconsapevolezza di Edipo, inconsapevolezza che ribadisce principalmente la distanza tra il protagonista e il pubblico, il quale conosce le vicende di Edipo tanto quanto Tiresia. Questo potere offerto in dono, non richiesto, è pórto a Edipo con un movimento di tensione verso di lui. Il passo assume significati pressoché allegorici, la città si tende verso (e;is-) Edipo, porge il potere verso le sue mani. In questo senso la risposta del sovrano sottolinea agli occhi degli spettatori il suo agire #akwn, compiendo quelle azioni che, come ha ben mostrato Vernant116, ricadono sul soggetto, ma Edipo poi compie :ek'wn l’inchiesta che determina nella tragedia la sua rovina e la sua auto-punizione. Questo hapax mette in rilievo un punto molto importante a proposito della determinazione del destino di Edipo. La p'olij offrendo il potere al protagonista contribuisce a determinare sia il destino di Edipo, sia quello della comunità stessa. La p'olij agisce anch’essa secondo l’opposizione #akousa / :eko^usa, poiché volendo ricompensare chi la salvò dalla sfinge, mette, non volendo, sul trono il regicida, volendo dargli in sposa la regina, la dà in sposa all’assassino del marito, che è anche suo figlio. L’opposizione volontà degli dei (fato)/ volontà di Edipo non basta a spiegare fino in fondo questa tragedia, è lo stesso protagonista a chiamare in causa un altro agente: la p'olij. 115 Vellacott 1964. Vernant 1972, p. 71 : “Ainsi Œdipe, sans avoir rien commis de plein gré qui lui soit personellement imputable du point de vue du droit, se retrouve, à la fin de l’enquête qu’en sa passion de la justice il mène pour le salut de la cité, un criminel, un hors-la-loi, chargé par les dieux de la plus horrible souillure”. 116 71 dein'opouj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle dein'opouj v. 418 Te. E;i kaì turanne^ij, ;exiswt'eon tò go^un #is’;antil'exai< to^ude gàr k;ag`w krat^w. O;u g'ar ti soì z^w do^uloj, ;allà Lox'i=< 410 !wst’o;u Kr'eontoj prost'atou gegr'ayomai. L'egw d’, ;epeid`h kaì tufl'on m’;wne'idisaj< su kaì d'edorkaj ko;u bl'epeij !in’e%i kako^u, o;ud’#enqa na'ieij, o;ud’!otwn o;ike^ij m'eta %ar; o%isq’;af’*wn e%i> kaì l'elhqaj ;ecqròj $wn 415 to^ij so^isin a;uto^u n'erqe k;apì g^hj #anw, ka'i s’;amfipl`hx mhtr'oj te k;ap`o to^u patròj ;el^= pot’;ek g^hj t^hsde dein'opouj ;ar'a, bl'eponta n^un mèn #orq’, #epeita dè sk'oton. Traduzione Paul Mazon Tirésias. – Tu règnes ; mais j’ai mon droit aussi, que tu dois reconnaître, le droit de te répondre point pour point à mon tour, et il est a moi sans conteste. Je ne suis pas à tes ordres, je suis à ceux de Loxias ; je n’aurai pas dès lors à réclamer le patronage de Créon. Et voici ce que je te dis. Tu me reproches d’être aveugle ; mais toi, toi qui y vois, comment ne vois-tu pas à quel point de misère tu te trouves à cette heure ? et sous quel toit, tu vis, en compagnie de qui ? – sais-tu seulement de qui tu es né ? – Tu ne te doutes pas que tu es en horreur aux tiens, dans l’enfer comme sur la terre. Bientôt, comme un double fouet, la malédiction d’un père et d’une mère, qui approche terrible, va te chasser d’ici. Tu vois le jour : tu ne verras bientôt plus que la nuit. Traduzione Guido Paduano Ti. Se anche tu sei il re, il mio diritto di parlare è pari al tuo; almeno questo potere appartiene anche a me. Io sono servo di Apollo, non tuo; e Creonte non è il mio patrono. Poiché tu mi hai rinfacciato la mia cecità, ti dico che tu hai gli occhi, ma non vedi il male dentro il quale ti trovi, non vedi dove sei e con chi vivi. Ma tu sai da chi nasci? Ignori di essere odioso ai tuoi cari, ai vivi e ai morti; ma un giorno la doppia maledizione tremenda di tuo padre e di tua madre ti caccerà da questa terra, e gli occhi che ora vedono non vedranno che il buio. Traduzione Edoardo Sanguineti TIRESIA Se anche tu sei il tiranno, bisogna pure uguagliarlo, il rispondere, da uguali: per questo, ho la mia forza, io. Perché non sono schiavo, per te, ma per il dio Obliquo, e non sarò iscritto come cliente di un Creonte protettore. Ma io ti dico, poiché mi hai offeso come un cieco: tu ci vedi, e non vedi dove sei giunto, tu, nel male, e dove ti ritrovi, qui, e con quelli che tu ci vivi, insieme. Ma sai, tu, di chi sei, tu che non sai che sei orribile, per i tuoi, per chi è giù, e per chi è sopra la terra, qui? Con un doppio colpo, della tua madre e del tuo padre, un giorno, te spingerà, da questa terra, con il suo piede terribile, via, la maledizione, te che, vedi, diritto, adesso, ma, più tardi, la tenebra. Traduzione Dario Del Corno TIRESIA Tu sei il re; ma io ho il diritto di risponderti da pari a pari, poiché questo mi appartiene. Nella mia vita io non sono servo tuo , ma di Apollo; e non ho certo bisogno che Creonte mi protegga. Tu mi hai chiamato cieco con disprezzo: ascolta dunque. Tu hai la vista, ma non vedi la sciagura in cui ti trovi, non comprendi dove abiti, non conosci con chi vivi. Lo sai forse da chi sei nato? Sei nemico dei tuoi, e non ti accorgi: di chi è morto e di chi vive. Come una scure doppia, s’avvicina tremenda la maledizione di tuo padre e di tua madre, e ti scaccerà da questa terra. Ora vedi la luce, poi non vedrai che il buio. Traduzione Salvatore Quasimodo Tiresia Tu sei re, ma anch’io ho come te diritto di parlare. Delle parole sono padrone anch’io. Io non sono tuo servo ma d’Apollo. E non mi troverai protetto di Creonte. Tu m’hai chiamato cieco con disprezzo, e io dico a te che vedi: non capisci a quale limite del male sei disceso, né dove, né chi abita con te. Conosci la tua origine, e come sei odioso ai tuoi morti e ai tuoi vivi? La maledizione del padre e della madre, col piede tremendo, ti caccerà da questa terra. Tu vedi ora la luce e non vedrai che tenebre […] Traduzione di Maria Grazia Ciani TIR. Tu sei il re. Ma ho un potere anch’io, e il diritto di replicare a te, da pari a pari. Non son tuo servo, il mio signore è Apollo. E della protezione di Creonte, io, non ho bisogno. Hai offeso anche la mia cecità. E allora ti dirò: tu possiedi la vista ma non vedi la tua sciagura, non ti accorgi dove vivi e con chi. Sai forse di chi sei figlio? No, tu ignori di essere un nemico per i tuoi sulla terra e sottoterra. Con doppia sferzata, inesorabile, ti colpirà la maledizione del padre e della madre, e ti caccerà da questo paese. Tu, che ora guardi la luce, non vedrai che tenebra. 72 dein'opouj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Dein'opouj v. 418 La durissima replica di Tiresia alle offese di Edipo si arricchisce di uno degli hapax più significativi dell’intera opera: dein'opouj. Composto nominale, determinativo-possessivo, creato a partire dall’aggettivo dein'oj “terribile” e da po^uj “piede”. Il Liddell-Scott (s.v.) lo rende con “with terrible foot” e aggiunge “;Ar'a, as if she were a hound upon the track”. Meyer si sofferma distintamente su questo composto e lo classifica come compositum abundans di Tipo A, cioè tra quei composti in cui il secondo termine tende a scomparire, ma che in questa classe particolare aggiunge qualcosa al significato generale del sintagma. Scrive Meyer (1923, p. 93): “die ;arà ist nicht bloβ „schrecklich“; ihr „Schreiten“ und „Kommen“ ist furchtbar”. Da una breve ricognizione tra i composti che contengono uno dei due membri del nostro termine emerge una situazione abbastanza impressionante, che non era sfuggita allo sguardo profondo di Jebb117. In Esiodo troviamo lo hapax deinwp'oj (“dallo sguardo terribile”) riferito alle dee della notte, le Chere (figlie di Nyx secondo Hes. Th. 217), che sul campo di battaglia si contendono il sangue dei morti e che Eschilo non esiterà a definire Erinni (Sept. 1055). L’unica ripresa significativa di questo composto, ma con diversa morfologia (dein'wy), è in Sofocle, al v. 84 dell’Edipo a Colono, dove Edipo giunto a Colono si è fermato in un luogo consacrato alle Erinni e, dopo gli avvertimenti dello straniero, leva una preghiera alle divinità invocandole come p'otniai dein^wpej. Jebb cita tre termini legati al nostro per via del secondo membro. Il primo è l’omericissimo calk'opouj118 (Soph. El. 491) riferito all’Erinni che verrà a punire Clitennestra. Il secondo, uno hapax, accompagna 117 Cfr. Jebb 1893, p. 66. Cfr. Il. 8.41 , 13.23, ma in Omero questo termine è usato per indicare gli zoccoli dei cavalli “dal piede di bronzo”, sono i cavalli di Zeus e, in una ripresa formulare, quelli di Poseidone. 118 73 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle dein'opouj nuovamente un’invocazione alle Erinni ed è Aiace (Aj. 837) che, poco prima del suicidio, invita le dee tan'upodaj (“dal rapido piede”) a vedere la sua morte e la sorte che gli Atridi gli hanno riservato. Ancora infine all’Erinni si riferisce un altro hapax, kamy'ipouj (“che piega i piedi”, cioè “dal piede rapido”) pronunciato dal coro dei Sette a Tebe (v. 791) che teme che si compia la maledizione di Edipo sui due figli Eteocle e Polinice. dein'opouj è legato al termine ;ar'a, “maledizione” (dein'opouj ;ar'a), e vale la pena ricordare, dopo quanto visto, che in Eschilo (Eum. 417) le Erinni si autodefiniscono anche ;Ara'i: ;Araì dŒ;en o#ikoij g^hj :upaì kekl'hmeqa (“Maledizioni ci chiamiamo nelle dimore sotterranee della terra”). A questo proposito Dawe : de'inopouj: nopouj the -pouj compound suggests to the mind an identity between the ;Ar'a and the ; Erin'uj, for kamy'ipouj (Aesch. Sept. 791), tan'upouj (Ai. 837), calk'opouj (El. 491) are epithets of the latter. The two concepts are elsewhere too very closely related. It would be a piece of hideous over-interpretation to see here any allusion to Oedipus’lame feet. 2 (Dawe 2006 , p. 418) Le traduzioni dei tre poeti, Hölderlin (“der Fluch gewaltig wandelnd”119), Quasimodo (“La maledizione del padre e della madre, col piede tremendo”), e Sanguineti (“Con un doppio colpo, della tua madre e del tuo padre, un giorno, te spingerà, da questa terra, con il suo piede terribile, via la maledizione”) rendono al meglio questo hapax, esse non tralasciano infatti l’immagine del “piede terribile” e dunque provano a rendere lo hapax nella sua completezza. Dawe, forse con troppa sicurezza, afferma che sarebbe “un’orribile sovrinterpretazione” vedere in questo termine un richiamo al piede ferito di Edipo, mentre non dobbiamo escludere l’ipotesi che Sofocle faccia riferimento 119 2 Cavallo 2008 , p. 94. 74 dein'opouj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle con questo hapax anche all’omen di cui è portatore il nomen di Edipo120. Certo è che il principale legame di questo termine è quello con le Erinni. Longo si domanda quale sia però questa doppia maledizione che Edipo riceve, doppia perché del padre e della madre121. Le ipotesi potrebbero essere molte. Entrambe le maledizioni potrebbero avere a che vedere con la morte del padre e allora dovremmo pensare o alla maledizione dell’infanzia, quando preventivamente Edipo fu esposto per volontà del padre, consegnato al servo dalla madre, o altrimenti alla maledizione che ricade su Edipo adulto al momento dell’uccisione del padre e poi al momento dello scioglimento, quando Giocasta scopre che il figlio (e nuovo sposo) è l’assassino di Laio. Non è da escludere in assoluto che la maledizione sia doppia perché riguarda sia la morte del padre, sia la morte della madre, una morte provocata da Edipo. La responsabilità di Edipo nel suicidio della madre è di per sé evidente, infatti Edipo forse non ne è il colpevole, ma ne risulta il responsabile. E Edipo stesso nella tragedia ci offre lo spunto della “responsabilità indiretta” quando, in relazione a Polibo, afferma ai vv. 969s. : e#i ti m`h t;wm^_ p'oq_/ kat'efqiq’<o!utw d’ a $ n qan`wn e#ih Œx ;emo^u122. Tuttavia, questa ;ar'a, è una maledizione per un atto compiuto e può ben essere doppia, perché doppio è il m'iasma di Edipo: egli ha compiuto il parricidio e l’incesto. 120 È anche vero tuttavia che la ricerca di riferimenti al nome dell’eroe ha assunto dimensioni talvolta esagerate, cfr. Ahl 1991, pp. 180-191. 121 Longo 2007, p. 165: “Non è chiaro quale sia la «maledizione dal passo terribile» (dein'opouj ;ar'a) pronunciata dai due genitori, che dovrebbe scacciare Edipo da Tebe: forse Tiresia “sapeva” di una maledizione scagliata da Laio sul figlio nel momento in cui quegli gli si parò dinanzi, e di un’altra scagliata su di lui dalla madre, nel momento in cui la relazione incestuosa venne alla luce”. 122 “Forse l’ha ucciso la nostalgia di me? In questo senso deriverebbe da me la sua morte”. 75 dein'opouj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Questo hapax appare quindi molto rilevante sotto due aspetti: da un lato riporta l’attenzione sulla responsabilità di Edipo, ricordando le Erinni che sanciscono, se non la colpa, la partecipazione attiva di Edipo a un delitto contro i consanguinei, dall’altro potrebbe essere una sottolineatura che passa attraverso un gioco fonetico-etimologico e che ci riporterebbe proprio a quel destino segnato fin dalla nascita sui piedi bucati di Edipo, esposto per volontà dei genitori. In primis va ricordato che esiste nella tragedia un riferimento esplicito al significato del nome Edipo: OI. T'i d’#algoj #iscont’;en kako^ij me lambáneij> AG. Pod^wn $an #arqra matur'hseien tà s'a. OI. O#imoi, t'i to^ut’;arca^ion ;enn'epeij kak'on> AG. L'uw s’#econta diat'orouj podo^in ;akm'aj. OI. Dein'on g’#oneidoj sparg'anwn ;aneil'omhn. 1035 AG.! Wst’;wnom'asqhj ;ek t'uchj ta'uthj &oj e%i. EDI. Di che male soffrivo, quando mi hai raccolto? MES.Le cicatrici ai tuoi piedi lo mostrano. EDI. Ahimè perché ricordi questo male antico? MES. Avevi le caviglie trafitte, io ti liberai dalle catene. EDI. Che tremendo oltraggio ho subito, ancora in fasce. MES. Di qui deriva il nome che porti ancora adesso. Calame osserva come Sofocle si serva di questo nome per dare all’eroe un’identità provvisoria che verrà poi capovolta nel corso della tragedia: da figlio della fortuna a figlio della sua vittima e della sua sposa: S’inscrivant dans une tradition qui remonte aux poèmes homériques, Sophocle a donc bel et bien joué sur le nom propre d’Œdipe. Mais c’est moins pour attribuer à cet anthroponyme un signifié précis que pour conférer au héros une identité provisoire. D’abord enfant de l’accident et du hasard, Œdipe va progressivement devenir le fils de sa victime et de son épouse. Toute la tension dramatique de la tragédie s’articule autour de ce renversement progressif de l’identité du héros, une identité que l’acte de l’aveuglement doit nier comme était censée la gommer la blessure accompagnant l’exposition du nouveau-né. En réalité la lésion marquait le premier malheur du destin œdipien comme l’auto-aveuglement en est le dernier. (Calame 1986, p. 403) 76 dein'opouj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Dunque il nome di Edipo, dal punto di vista drammaturgico, assume un ruolo importante. In questo senso anche Vernant123, ha tratteggiato il percorso che Edipo compie e che è scritto nel suo nome, osservando che Edipo non solo è l’uomo i cui piedi sono stati caratterizzati dal gonfiore (o%idoj), ma anche colui che sa (o%ida), né va dimenticata la radice di questo verbo ( ;id, o;id, e;id), legata al “vedere”. Jebb (ad loc.) in effetti è convinto che al verso 397 “ :o mhdèn e;id^wj O;id'ipouj suggests a play on o%ida”. Anche altri studiosi, come Masqueray (ad loc.) e Earle (1901, p. 40) hanno notato come Edipo sia l’uomo e;id`wj tò perì t^wn pod^wn a#inigma, cioè colui che ha risolto l’indovinello concernente i piedi. Knox, dopo aver osservato che “hypsipodes and deinopous are like punning forms of the name itself” (1957, p. 183), richiama un passaggio in cui il gioco etimologico è piuttosto insistente. Si tratta dei vv. 924-926, la prima battuta del messaggero: %ar’$an par’ :um^wn, %w x'enoi, m'aqoim’ oim’ !opou tà to^u tur'annou d'wmat’ ;estìn O;id'ipou> pou m'alista d’a;utòn e#ipat’e;i k'aqisq’! isq’!opou. pou MES. Potrei sapere da voi, stranieri, dov’è il palazzo del re Edipo? O meglio ancora, ditemi dov’è lui, se lo sapete. Così visto, il termine assume nuova luce nel processo comunicativo della performance e la reazione violenta di Edipo marcherà ancor più l’ironia tragica di un pubblico spesso richiamato alla consapevolezza, alla sua pre-scienza. 123 Vernant 1972B, p. 113 : “Il n’est jusqu’au nom d’Œdipe quin ne prête à ces effets de renversement. Ambigu, il porte en lui le même caractère énigmatique qui marque toute la tragédie. Œdipe, c’est l’homme au pied enflé (oîdos), infirmité qui rappelle l’enfant maudit, rejeté par ses parents, exposé pour y périr dans la nature sauvage. Mais Œdipe, c’est aussi l’homme qui sait (oîda) l’énigme du pied, qui réussit à déchiffrer, sans le prendre à rebours, l’ «oracle» de la sinistre prophétesse, de la Sphinx au chant obscur. Et ce savoir intronise dans Thèbes le héros étranger, l’établit sur le trône à la place des rois légitimes ”. 77 a;inikt'oj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle a;inikt'oj v. 439 Te. O;ud’:ik'omhn #egwg’#an, e;i sù m`h ;k'aleij. Oi. O;u gàr t'i s’#+dh m^wra fwn'hsont’, ;epeì scol^+^ s’$an o#ikouj toùj ;emoùj ;esteil'amhn. Te. :hme^ij toio'id’#efumen, :wj mèn soì doke^i, 435 m^wroi, gone^usi d’, o!i s’#efusan, #emfronej. Oi. po'ioisi> me^inon. t'ij d'e m’ ;ekf'uei brot^wn> Te.!hd’:hm'era f'usei se kaì diafqere^i. Oi. :wj p'ant’#agan a;iniktà k;asaf^h l'egeij. Te. O#ukoun sù ta^ut’#aristoj e;ur'iskein m'egan.440 Traduzione Paul Mazon Tirésias. – Je ne fusse pas venu de moi-même : c’est toi seul qui m’as appelé. Œdipe. – Pouvais-je donc savoir que tu ne dirais que sottises ? J’aurais pris sans cela mon temps pour te mander jusqu’ici. Tirésias. – Je t’apparais donc sous l’aspect d’un sot ? Pourtant j’étais un sage aux yeux de tes parents. Œdipe. – Quels parents ? Reste là. De qui suis-je le fils ? Tirésias. – Ce jour te fera naître et mourir à la fois. Œdipe. – Tu ne peux donc user que de mots obscurs et d’énigmes ? Tirésias. – Quoi ! Tu n’excelles plus à trouver les énigmes ? Traduzione Guido Paduano TI. Non sarei neppure venuto, se tu non mi avessi chiamato. ED. Non sapevo che avresti detto queste follie; altrimenti non avrei avuto tanta fretta di chiamarti a casa mia. TI. Questa è la mia natura, che mi porta a sembrare pazzo ai tuoi occhi, savio a quello dei tuoi genitori. ED. Di chi? Aspetta. Chi sarebbero i miei genitori? TI. È questo giorno che ti dà la luce, è questo giorno che ti distrugge. ED. Come tutto ciò che dici è enigmatico e oscuro! TI. Ma non sei tu il più abile solutore di enigmi? Traduzione Edoardo Sanguineti TIRESIA Non ci venivo, io, se non mi chiamavi tu. EDIPO Perché non ti conoscevo, te, che parlavi come un pazzo, perché non ti introducevo davvero, qui, nelle mie case. TIRESIA Noi siamo nati così: come sembra a te, pazzi, ma, ai genitori che ti hanno generato, saggi. EDIPO A quali? Rimani: chi, tra i mortali, mi ha fatto? TIRESIA Questo giorno ti avrà fatto e disfatto. EDIPO Come tu dici cose tutte troppo enigmatiche e oscure! TIRESIA Non sei nato ottimo, tu, a ritrovarle? Traduzione Dario Del Corno TIRESIA Da me non sarei venuto. Tu mi hai chiamato. EDIPO Non perché tu dicessi queste follie; non lo prevedevo, altrimenti non ti avrei fatto venire alla mia casa. TIRESIA Folle sembro a te, ma io sono saggio per i tuoi genitori, che ti hanno dato la vita. EDIPO Quali? Fermati! Chi mi ha dato la vita? TIRESIA Questo giorno ti darà la vita e insieme la morte. EDIPO Che enigma misterioso è ogni tua parola! TIRESIA Gli enigmi! non sei tu il più bravo a scioglierli? Traduzione Salvatore Quasimodo Tiresia Se tu non m’avessi chiamato, non sarei venuto. Edipo Ignoravo che dici parole prive di ogni senso; certo non t’avrei fatto venire a casa mia. Tiresia Questa la mia sorte: per te sembrare preso da follia, ma saggio per tuo padre e per tua madre. (Fa segno di allontanarsi) Edipo Quali? Rimani. Chi fu a darmi la vita? Tiresia In questo giorno nasci per essere annientato. Edipo Che parole mi dici misteriose e oscure! Tiresia Non sai più, dunque, sciogliere gli enigmi? Traduzione di Maria Grazia Ciani TIR. Io non sarei venuto se tu non mi avessi convocato. EDI. Non lo avrei fatto, se avessi saputo quali folli parole avresti pronunciato. TIR. Folle: così io sembro a te, ma per coloro che ti hanno generato sono saggio. EDI. Coloro… Quali? Aspetta! Chi mi ha generato? TIR. Questo giorno ti vedrà nascere e morire. EDI. Tu parli per enigmi, in modo oscuro. TIR. Non sei forse tu il migliore per sciogliere gli enigmi? 78 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle a;inikt'oj Ainikt' ;inikt'oj v. 439 Questo hapax è un aggettivo verbale di a;in'issomai che troviamo da Pindaro (P. 8.40) in poi con il significato di “dire parole difficili da comprendere” a partire dal senso originale di “dire parole significative”124. Il verbo a;in'issomai ricorre anche in Sofocle, quando Aiace (Aj. 1158) dà a chiare lettere dello stupido a Menelao e alla fine della battuta domanda molto ironicamente se si sia espresso per enigmi. Tra i derivati più importanti è bene qui ricordare a#inigma, “enigma”, che ha due ricorrenze nell’ Edipo re, perché il richiamo interno tra esse e il nostro hapax è forte (393, 1525). Nella lunga tirata dei vv. 380-404 Edipo, come abbiamo visto, si scaglia contro Tiresia, accusandolo di essere un ciarlatano e rinfacciandogli di non aver saputo risolvere l’enigma della Sfinge. In questa lunga battuta il re opponeva all’afasica arte profetica di Tiresia la sua intelligenza che era stata capace di sciogliere l’indovinello del temibile mostro. Nella chiusa finale del coro ai vv. 1524-30, che sono forse un’interpolazione attoriale successiva125, gli anziani indicano Edipo ormai distrutto dalle disgrazie come “colui che scioglieva i famosi enigmi”, invitando i cittadini a guardare sempre alla singola giornata di ogni uomo e a non dirlo mai felice finché non sia passato senza affanni al di là della vita. Nella prima occorrenza Edipo attacca l’arte di Tiresia, nell’ultima il coro sancisce la verità delle parole dell’indovino su quelle del re, che aveva sì risolto l’enigma della Sfinge, ma troppo tardi quello della sua esistenza. Poco dopo la fiera risposta di Edipo nella quale compare a#inigma, Sofocle inserisce con grandissima arte uno dei primi cedimenti della psiche di Edipo. 124 125 Cfr. DELG s.v. a%inoj. Su questi versi cfr., fra gli altri, Burian 2009. 79 a;inikt'oj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Proprio lui infatti che neanche cinquanta versi prima si era vantato di aver risolto l’enigma della Sfinge, ora, toccato su un punto delicato, i suoi genitori, cade in una piccola contraddizione, affermando che le parole di Tiresia sono tutte troppo “enigmatiche e oscure”. Questa pennellata del poeta ci preannuncia d’altronde quel dubbio che tormenta Edipo e che è alla base della sua partenza da Corinto. Pasolini nel suo film, come Vernant126 nel saggio già ricordato, dà molta rilevanza a questo punto e rappresenta la scena di Edipo a Corinto che durante una lite con un suo compagno di gioco viene definito: “Trovatello! Figlio della fortuna! Figlio falso di tuo padre e di tua madre!”. Il dubbio instillato ad Edipo dal suo compagno di gioco è l’inizio del suo lungo percorso di conoscenza. Edipo partirà per interrogare l’oracolo. Quello che Pasolini, per scelte cinematografiche, anticipa e in parte modifica, nella tragedia di Sofocle verremo a saperlo con grande chiarezza ai vv. 774-789 in cui il re si rivolge a Giocasta: ;emoì pat`hr mèn P'oluboj %hn Kor'inqioj, m'hthr dè Mer'oph Dwr'ij. ;hg'omhn dŒ ;an`hr 775 ;ast^wn m'egistoj t^wn ;eke^i, pr'in moi t'uch toi'adŒ;ep'esth, qaum'asai mèn ;ax'ia, spoud^hj ge m'entoi t^hj ;em^hj o;uk ;ax'ia. ;an`hr gàr ;en de'ipnoij m’:uperplhsqeìj m'eqhj kale^i par’o#in_ plastòj :wj e#ihn patr'i. 780 k;ag`w barunqeìj t`hn mèn o%usan :hm'eran m'olij kat'escon, q;ht'er= dŒ;i`wn p'elaj mhtròj patr'oj t’#hlegcon< o:i dè dusf'orwj to#uneidoj %hgon t^_ meq'enti tòn l'ogon. K;ag`w tà mèn ke'inoin ;eterp'omhn, !omwj d’ 785 #ekn'iz'e mŒ ;aeì to^uqŒ< :ufe^irpe gàr pol'u. l'aqr= dè mhtròj kaì patròj pore'uomai Puq'wde […] 126 Mio padre, tu lo sai, era Polibo di Corinto e la dorica Merope mia madre. 775 Là ero considerato il primo fra tutti [i cittadini]. Ma poi mi capitò un fatto strano, che mi riempì di un’angoscia oltre misura. Durante un banchetto, un uomo, già ubriaco, tra i fumi dell’ultima bevuta, mi apostrofò chiamandomi bastardo. 780 Io mi adirai e a stento mi trattenni, quel giorno, ma il giorno dopo andai a interrogare mia madre e mio padre: ed essi si sdegnarono contro chi aveva lanciato quell’oltraggio. Io ne fui lieto, ma quella parola 785 Era penetrata a fondo dentro di me E mi assillava senza darmi tregua. Di nascosto da mio padre e da mia madre mi recai a Delfi […] Vernant 1972, p. 92. 80 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle a;inikt'oj Da questi versi è evidente quanto il problema della nascita assillasse Edipo e come questo dubbio sia stato il motore primo, il primo enigma per l’appunto, quello che spingerà Edipo alla ricerca e alla caduta. Il secondo enigma di Edipo è certamente l’oracolo di Delfi, che produrrà l’allontanamento da Corinto, l’uccisione di Laio e l’arrivo a Tebe, ma sarà la risoluzione del terzo enigma, quello della Sfinge, a dare inizio all’irreversibile processo di annullamento della stirpe dei Labdacidi. La morte della Sfinge è la rovina di Edipo e della sua discendenza. Basti questo per prendere atto del ruolo che l’enigma ha in questa tragedia e della pregnanza che assume di conseguenza il nostro hapax. La preveggenza,di cui abbiamo parlato grazie a prode'idw, e l’enigma sono d’altronde molto correlati. Tuttavia l’analisi può rendersi ancora più interessante, andando al di là del mero riferimento alle principali tematiche della tragedia. Longo127 osserva che a;inikt'oj è usato in luogo del più comune a;inigmat'wdhj, ma che anche il successivo ;asaf'hj è raro. Nuovamente notiamo che l’unicismo non è isolato, ma si accompagna a parole inconsuete. Sofocle fa quasi un intervento metateatrale, mettendo sulle labbra di Tiresia una sottile ma sferzantissima ironia, che risponde all’ironia tragica che lo spettatore avverte. Lo statuto di Tiresia e quello degli spettatori sono simili in effetti: entrambi sanno, pur in maniera diversa, come andrà a finire. Nelle parole di Tiresia vedremo per un attimo riflesso il sentimento di un pubblico onnisciente che guarda con apprensione e ironia l’eroe mentre si incammina verso il suo destino. Questo passaggio era molto importante per instaurare un dialogo con il pubblico e renderlo ancor più partecipe. Per preparare la sarcastica battuta di Tiresia, 127 Longo 2007, p. 169. 81 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle a;inikt'oj emblema di quello scontro tra “illuminismo” e tradizione, tra intelligenza razionale e sapere religioso, Sofocle carica con uno hapax e un termine raro giustapposti e, in fondo, tautologici, la perplessità di Edipo, che toccato sul suo punto debole è già dimentico di essersi proclamato poco prima gran risolutore di enigmi. E d’altronde era credibilmente enigmatica per Edipo la frase “questo giorno ti farà nascere e ti distruggerà”, laddove gli spettatori, onniscienti come Tiresia, comprendono che Edipo nascerà, nel senso che finalmente conoscerà i suoi natali, ma che questa conoscenza lo ucciderà, almeno metaforicamente. 82 semn'omantij Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle semn'omantij v. 556 Oi. E#i toi nom'izeij #andra suggen^h kak^wj dr^wn o;uc :uf'exein t`hn d'ikhn, o;uk e%u frone^ij. Kr. X'umfhm'i soi taût’#endik’e;ir^hsqai. Tò dè p'aqhm’:opoîon f`hj paqeîn d'idaské me. Oi. # Epeiqej, $h o;uk #epeiqej, :wj cre'ih m’;epì 555 tòn semn'omantin #andra p'emyasqa'i tina; Kr. Kaì nûn #eq’a:ut'oj e;imi tÐ boule'umati. Traduzione Paul Mazon Œdipe. – Si vraiment tu t‘imagines qu’un parent qui trahit les siens n’en doit pas être châtié, tu as perdu aussi le sens. Créon. – J’en suis d’accord. Rien de plus juste. Mais quel tort prétends-tu avoir subi de moi ? dis-le. Œdipe. – Oui ou non, soutenais-tu que je devais envoyer quérir l’auguste devin ? Créon. – Et, à cette heure encore, je suis du même avis. Traduzione Guido Paduano ED. Se tu ritieni che sia possibile far del male a un congiunto e non doverne scontare la pena, sbagli. CR. Su questo sono d’accordo con te; ma dimmi qual è il male che dici di subire da parte mia. Ed. Hai o no sostenuto che bisognava mandare a chiamare l’indovino. Cr. Sì, e sono ancora dello stesso avviso. Traduzione Edoardo Sanguineti EDIPO Se tu ti credo che un uomo che è un parente, tu lo tratti colpevolmente, e non subirai la giustizia, non ci ragioni bene. CREONTE Concordo con te, che queste cose sono state dette giuste: ma il patimento, quale dici che lo hai patito, me lo devi insegnare. EDIPO Mi hai persuaso e non mi hai persuaso, che era necessario che io gli mandavo un messo, per quell’uomo, il profeta santo? CREONTE Anche adesso, ancora, io sono così, nel mio parere. Traduzione Dario Del Corno EDIPO Tu credi che non porterai la pena di agire male contro un tuo parente: ma non ragioni bene. CREONTE In questo, sono d’accordo che parli giustamente: ma tu spiegami qual è il torto che credi di patire. EDIPO Sei stato tu, o no, a darmi quel consiglio di far venire qui l’indovino venerando? CREONTE Sì, e non ho cambiato idea. Traduzione Salvatore Quasimodo Edipo Certo, se ti credi libero da pena, per il male fatto a un congiunto, non pensi cosa giusta. Creonte Consento con te, hai ragione, ma provami il grave danno che dici d’avere subito. Edipo Mi hai o no consigliato che occorreva mandare qualcuno dal celebre indovino? Creonte E non ho mutato la mia idea. Traduzione di Maria Grazia Ciani EDI. Se credi di poter tramare contro un parente e rimanere impunito, non ragioni bene. CRE. Sono d’accordo, hai detto cose giuste. Ma spiegami: quale sarebbe il male che ti ho fatto? EDI. Mi hai convinto a consultare quell’indovino, quel presuntuoso veggente: è vero o non è vero? CRE. E’ vero e non ho cambiato idea. 83 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle semn'omantij Semn'omantij v. 556 Questo hapax per le sue caratteristiche e la sua collocazione sembrerebbe essere plausibilmente una creazione sofoclea. Ci troviamo nel secondo episodio. Tiresia, alla fine del primo, dopo l’acceso alterco che lo ha opposto al re è andato via e il coro, nello stasimo, ha levato un canto in cui afferma da un lato che Apollo e le Chere sono sulle tracce del colpevole, dall’altro che non può credere che il colpevole sia Edipo, lui che ha liberato la città dalla Sfinge. A questo punto entra Creonte e si dice informato delle accuse mossegli dal cognato. Edipo non appena lo vede si scaglia contro di lui accusandolo di tramare contro il suo trono. Quando Creonte gli chiede di specificargli la sua colpa, Edipo duramente replica con una domanda retorica con la quale vuole metterlo alle strette, creando una polarità ineludibile, # Epeiqej, h $ o;uk #epeiqej, :wj cre'ih m’;epì tòn semn'omantin #andra p'emyasqa'i tina; “Mi hai persuaso o non mi hai persuaso che fosse necessario ch’io inviassi qualcuno dal sacrindovino?”: delle due l’una. Come se l’invito di Creonte a consultare l’indovino facesse parte di un preciso piano per rovesciare il potere di Edipo. Jebb centra immediatamente il problema del valore di questo hapax, affermando che esso viene utilizzato ironicamente128 e così Longo parla di hapax “carico di sarcasmo”129. In questo caso anche un’analisi del significante ci viene in aiuto e osserviamo che semn mn' ntin n presenta un’allitterazione130 interna molto marcata, ben cinque mnoman 128 Jebb 1893, p. 82: “While such words as ;arist'omantij, ;orq'omantij are seriously used in a good sense, semn'omantij refers ironically to a solemn manner: cp. semnologe^in, semnoproswpe^in, semnopano^urgoj, semnopar'asitoj, etc.” 129 Cfr. Longo 2007, p.185. 130 Sul tema dell’allitterazione in Sofocle, cfr. Rodighiero 2000, Cuny 2007. Importante è anche ricordare l’articolo di Defradas (1958), in cui lo studioso rileva l’importanza dell’allitterazione nelle formule di preghiera, nei proverbi, osservando che questa tecnica non è meno utilizzata nella poesia greca che nella poesia latina. Defradas sottolinea l’importanza dell’allitterazione 84 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle semn'omantij nasali, di cui due m e tre n: hapax e retoricamente carico, questo termine non passa certo inosservato per lo spettatore e appare totalmente in linea con la caratterizzazione del personaggio di Edipo, qui agitato da un sentimento di minaccia e di ira. Come nota Jebb, altri composti in -mantij non sono portatori di alcuna ironia, però possono risultare utili per capire a quale livello di lingua possa aver attinto Sofocle e eventualmente quale distorsione abbia attuato per modificarlo a vantaggio del suo intento comunicativo. I composti in –mantij accompagnano la figura di Tiresia fin da Pindaro che, nella Nemea I, 61, definisce l’uomo ;orqom'antij: Anfitrione, padre putativo di Eracle, constatati gli oracoli falsi mandati precedentemente dagli dei, vedendo la forza con cui il figlio strangola i serpenti inviati da Era, decide di chiamare Tiresia, “l’indovino che non sbaglia”, per avere delucidazioni sul futuro del figlio. In Pindaro dunque Tiresia viene chiamato da un sovrano e considerato profeta attendibile. Interessantissimo è il precedente erodoteo, nel IV libro delle Storie. Nel logos scitico lo storico descrive un uso concernente gli indovini che appare molto significativo, anche per comprendere un certo distacco razionale che contempla la fallibilità della divinazione. Qui Erodoto usa il termine yeud'omantij. 68. ; Epeàn dè basileùj :o Skuq'ewn k'am+, metap'empetai t^wn mant'iwn #andraj tre^ij toùj e;udokim'eontaj m'alista, o&i tr'op_ t^_ e;irhm'en_ mante'uontai< kaì l'egousi o*utoi :wj tò ;ep'ipan m'alista t'ade, :wj tàj basilh'iaj :ist'iaj ;epi'wrkhke &oj kaì !oj, l'egontej t^wn ;ast^wn tòn #an d`h l'egwsi< tàj dè basilh'iaj :ist'iaj n'omoj Sk'uq+si tà m'alist'a ;esti ;omn'unai t'ote ;epeàn tòn Quando il re degli Sciti cade ammalato manda a chiamare tre degli indovini che godono della massima reputazione, i quali svolgono le loro pratiche nel modo che s’è detto; per lo più, essi si esprimono generalmente così; cioè, il tale e il tal altro (indicando fra i cittadini quello cui si riferiscono) ha prestato giuramento falso, invocando il focolare regale; poiché gli nella memorizzazione e la considera una figura molto antica, tipica dell’oralità, dell’epica, ancora molto usata dai tragici greci e dagli autori di poesia in generale, pur con un graduale diminuendo, cui fanno eccezione esempi di autori come Teocrito, imbevuto della traduzione poetica e in particolare epica precedente. 85 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle m'egiston !orkon ;eq'elwsi ;omn'unai. A;ut'ika dè dial'elamm'enoj #agetai o*utoj tòn $an d`h f^wsi ;epiork^hsai, ;apigm'enon dè ;el'egcousi o:i m'antiej :wj ;epiork'hsaj fa'inetai ;en t^+ mantik^+ tàj basilh'iaj :ist'iaj kaì dià ta^uta ;alg'eei :o basile'uj. :O dè ;arn''eetai, o;u f'amenoj ;epiork^hsai, ka'i deinolog'eetai. ;Arneom'enou dè to'utou :o basileùj metap'empetai #allouj diplhs'iouj m'antij<kaì $hn m'en “min” kaì o*utoi e;sor^wntej ;ej t`hn mantik`hn katad'hswsi ;epiork^hsai, to^u dè ;iq'ewj t`hn kefal`hn ;apot'amnousi kaì tà cr'hmata a;uto^u dialagc'anousi o:i pr^wtoi t^wn mant'iwn< $hn dè o:i ;epelq'ontej m'antiej ;apol'uswsi, #alloi p'areisi m'antiej kaì m'ala #alloi< $hn %wn o:i pl'eonej tòn #anqrwpon ;apol'uswsi, d'edoktai to^isi pr'wtoisi t^wn mant'iwn a;uto^isi ;ap'ollusqai. 69. ;Apoll'uousi d^hta a;utoùj tr'op_ toi^_de.; Epeàn !amaxan kam'arhj frug'anwn pl'hswsi kaì :upoze'uxwsi bo^uj, ;empod'isantej toùj m'antij kaì ce^iraj ;op'isw d'hsantej kaì stom'wsantej katergn'uousi ;ej m'esa tà fr'ugana, :upopr'hsantej dè autà ;apie^isi fob'hsantej toùj bo^uj. Polloì mèn d`h sugkataka'iontai to^isi m'antisi b'oej, pollo'i dè perikekaum'enoi ;apofe'ugousi, ;epeàn a;ut^wn :o :rumòj katakauq^+. Kataka'iousi dè tr'op_ t^_ e;irhm'en_ kaì diŒ #allaj a;it'iaj toùj m'antij, yeudom'antij kal'eontej. Toùj d; $an ;apokte'in+ basile'uj, to'utwn o;udè toùj pa^idaj le'ipei, ;allà p'anta tà #ersena, tà dè q'hlea o;uk ;adik'eei. semn'omantij Sciti hanno l’abitudine di giurare in preferenza per il focolare del re, allorquando intendono pronunciare il giuramento più solenne. Tosto viene arrestato e condotto al re colui che essi indicano come spergiuro e appena arrivato, gli indovini gli rivolgono l’accusa che dai riti divinatori risulta che egli ha giurato il falso per il focolare regale e questa è la ragione per cui il re si trova a soffrire. Quello, naturalmente, protesta che non è vero, che non ha spergiurato e si lamenta risentito. Alle sue proteste, il re manda a chiamare altri indovini, in numero doppio; e se anche questi, ricorrendo alla divinazione lo condannano come spergiuro, senz’altro gli tagliano la testa e i suoi beni vengono ripartiti fra i primi indovini. Se, invece, gli indovini sopraggiunti lo dichiarano innocente, ne vengono chiamati altri e altri ancora: se la maggior parte di essi si dichiarano per l’innocenza di quell’uomo, è stabilito che i primi indovini debbano essi stessi morire. 69. Ed ecco in che modo li fanno morire. Riempito un carro con un cumulo di legna da ardere, vi si aggiogano dei buoi; quindi gli indovini, con i ceppi ai piedi, le mani legate dietro le spalle e un bavaglio alla bocca, vengono stipati in mezzo alla legna, cui si dà fuoco e i lasciano partire i buoi dopo averli spaventati. Insieme con gli indovini spesso anche i buoi restano preda del fuoco; ma molti, anche mezzo bruciati, riescono a sfuggire, quando il timone del carro sia stato distrutto dalle fiamme. Anche per altre colpe gli indovini vengono bruciati nel modo che s’è detto, perché accusati di falsa divinazione. Però, di quelli che manda a morte il re, non risparmia nemmeno i figli; sicché fa uccidere tutti i maschi, mentre non fa alcun male alle figlie. 2 Trad. Annibaletto 2007 , pp.706 ss 86 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle semn'omantij La situazione descritta da Erodoto ha curiose analogie con quello che avviene a Tebe131. Un re chiama un indovino per capire la causa di una malattia. L’indovino che dà una falsa profezia è definito yeud'omantij. Questo termine ha almeno altre tre ricorrenze degne di nota e che compaiono nei tre tragici. In Eschilo (Agamennone) Cassandra stessa rivolgendosi al coro ricorda “il simposio di carne umana” avvenuto nella reggia degli Atridi; dopo aver “fiutato” le tragedie che hanno attraversato la casa, chiede: !hmarton, $h kur^w ti tox'othj tij !wj>/ $h yeud'omant'ij e;imi qurok'opoj fl'edwn> vv. 1194s. (“Ho sbagliato, oppure colpisco il bersagio come un arciere? O sono una falsa profetessa, una ciarlatana che batte di porta in porta?”132). Nello scioglimento finale dell’Oreste di Euripide, il protagonista rivolgendosi ad Apollo afferma: %w Lox'ia mante^ie, s^wn qespism'atwn/ o;u yeud'omantij %hsq’#arŒ, ;allŒ ;et'htumoj vv. 1666s. (“Febo, profeta, non sei stato mai fallace nei vaticinî, ma verace sempre”133). Nell’Edipo a Colono il coro afferma nel secondo stasimo v.1080: m'antij e#imŒ;esql^wn ;ag'wnwn (“sono vate di propizia battaglia”134), perché sostiene che Teseo riuscirà a riportare ad Edipo le figlie. Vedendo le figlie di Edipo tornare nel terzo episodio, il coro afferma: %w xe^in’;al^hta, t^_ skop^_ mèn o;uk ;ere^ij/ w : j yeud'omantij vv. 1096s. (“O straniero errante, da quello che vedo non dirai che sono falso profeta”135). Restando ai composti in -mantij di qualche interesse per questo studio, va osservato che un altro hapax sofocleo appare in Filottete 1338. Nel quarto episodio Neottolemo cerca di convincere Filottete a prendere di nuovo parte alla 131 Più in generale su alcune analogie tra la visione di Erodoto e quella dei contemporanei cfr. Zoia 2005, dove ci si sofferma su alcuni passi dell’Edipo Re. 132 2 Medda 1997 . 133 2 Pontani 2007 , p. 295. 134 2 Albini-Faggi 2007 , p.639. 135 2 Albini-Faggi 2007 , p. 640. 87 semn'omantij Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle guerra contro Troia, rivelandogli che Eleno, ;arist'omantij, ha predetto la vittoria (vv. 1337-1342): ;an`hr gàr :hm^in #estin ;ek Tro'iaj :alo'uj, Abbiamo un prigioniero preso a Troia, Eleno, ! Elenoj ;arist'omantij, &oj l'egei saf^wj un grande profeta, il quale dice con chiarezza :wj de^i gen'esqai ta^uta<kaì pròj to^isdŒ#eti, che ciò deve avvenire, e poi ancora che è :wj #est’;an'agkh to^u parest^wtoj q'erouj necessario Tro'ian :al^wnai p^asan<#h d'idwsŒ:ek`wn kte'inein :eaut'on, $hn t'ade yeusq^+ l'egwn. che Troia cada questa stessa estate da cima a fondo; in caso contrario è disposto a farsi ammazzare, se quanto dice risultasse falso. Trad. Cerri 2003, pp. 138s. Anche qui appare evidente l’importanza comunicativa dello hapax, che migliora e rende più incisiva la dialettica interna dei personaggi. Neottolemo deve convincere Filottete e dunque la profezia su Troia non può che venire da un ;arist'omantij, cioè da un indovino che non fallisca. Se accostiamo semn'omantij e ;arist'omantij ci rendiamo subito conto di quanto due termini dal significato letterale positivo possano assumere due sensi addirittura opposti per via del contesto e anche, come abbiamo visto, della loro veste fonetica: se ;arist'omantij è altisonante, non ha certo quell’ironia che contraddistingue semn'omantij già solo nella sua impalcatura fonetica. Il nostro semn'omantij viene a corrispondere a yeud'omantij. Non è secondario che anche questo hapax sottolinei un tema predominante nell’Edipo: la divinazione. Per concludere la rassegna dei composti in –mantij bisogna soffermarsi brevemente su mous'omantij, “profeta delle muse” che compare negli Edoni di Eschilo, prima tragedia della trilogia di Licurgo, e negli Uccelli di Aristofane (v. 276). PEI. n`h D'iʹ!eteroj d^^hta co%utoj #exedron c'wran PISETERO: Per Zeus, è proprio un altro. 88 semn'omantij Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle #ecwn. 275 t'ij pot’#esq’; EP. :o mus'omantij #atopoj #ornij ;orob'athj. #onoma to'ut_ M^hd'oj ;esti. EU. M^hdoj; %wnax : Viene anche lui da lontano. Chi è mai? UPUPA: Il profeta delle Muse, un uccello stravagante, che va in giro sulle montagne. Il suo nome è Medo. EVELPIDE: Medo? Eracle signore! Ma se è un Medo, come ha fatto a volare qui senza cammello? Hr'akleij. e%ita p^wj #aneu kam'hlou Mhd'oj $wn ;es'eptato; 6 Trad. Del Corno 2005 , pp. 40s. Va osservato anzitutto che tale termine compare in ambito comico, nell’esilarante rassegna degli uccelli del coro che avviene durante la parodo nel dialogo tra l’Upupa, Evelpide e Pisetero136. Una commedia in cui si scherza molto sulla divinazione, sull’arte augurale: l’uccello Medo, viene definito “profeta delle Muse”. Una commedia inoltre in cui è ben presente anche l’ombra di Sofocle, che viene citato esplicitamente al verso 100, dove l’allusione alla tragedia perduta Tereo è più che evidente. Che la moquerie sia interna al dialogo, se la battuta è riferibile a Pisetero, o che sia rivolta principalmente al pubblico, se a pronunciarla è Upupa, resta il fatto che siamo di fronte a un passo paratragico. Lo scoliasta cita un verso eschileo137, unica occorrenza precedente: (fr. 60 Radt) t'ij pot’#esq’:o mous'omantij º #alloj ;abratoûj &on sq'enei º. La Palumbo138 è intervenuta efficacemente sulla ricostruzione che di questo frammento fa Mette139 (fr. 75), proponendo: 136 6 Zanetto 2005 , p. 208) attribuisce la seconda parte del v. 276 a Upupa, con queste motivazioni: “I codici, seguiti dalla grande maggioranza degli editori, attribuiscono entrambi i versi a Pisetero. A me pare però che molto difficilmente l’eroe- che non ha identificato l’uccellopossa chiamarlo mous'omantij e ;orob'athj; ho assegnato pertanto la seconda parte del v. 276 a Upupa, la cui risposta continua nel primo emistichio del verso successivo. Questa soluzione presenta, peraltro, lo svantaggio di spezzare in due diverse battute la citazione eschilea”. 137 Cfr. anche Suida s.v. mous'omantij. 138 Palumbo 1967. 139 Mette 1959, p. 27: t'ij pot’ ;est{a}ì :o mous'omantij, #alaloj < _ sq'enei ............ .  > :abr<ob>at'hj>/ &on 89 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle semn'omantij t'ij pot’ #esq’ :o mous'omantij #alaloj :abr'oj, &oj sq'enei (“Chi è mai questo impostore silenzioso, effeminato, che (pure) ha forza…”). In conclusione semn'omantij è uno hapax in cui leggiamo il disprezzo e l’ironia di Edipo verso capacità divinatoria di Tiresia in particolare, ma più in generale verso la categoria degli indovini, ai quali, come abbiamo già visto, l’eroe oppone il suo sapere razionale, lo stesso sapere che qui lo porta, sbagliando, a sospettare un complotto ai suoi danni. Il termine, come prode'idw, come a;inikt'oj, è portatore, in questo caso molto esplicito, di un riferimento al tema della divinazione, uno dei motori portanti dell’intero dramma. Semn'omantij ha precedenti analoghi nella lirica, nella storiografia e nella stessa tragedia, ma il suo uso ironico ha somiglianze solo con il termine mousom'antij per come se ne serve Aristofane. La scelta sofoclea di servirsi di un tale termine trova la sua giustificazione prima di tutto nella dialettica interna dei personaggi, cioè nell’intenzione ironica di Edipo, poi nella caratterizzazione che l’autore fa dell’eroe, così convinto delle sue capacità razionali di indagine, al limite dell’!ubrij. In secondo luogo un termine simile ha certamente, anche nel suo allitterante significante, finalità e potenzialità espressive tali da imporsi all’attenzione dello spettatore e da contribuire a veicolare il messaggio nel senso voluto dall’autore. 90 xunanti'azw Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle xunanti'azw v. 804 ka'i soi, g'unai, t;alhqèj ;exer^w. Tripl^^hj 800 !ot’%h kele'uqou t^hsd’:odoipor^wn p'elaj, ;enqa^ut'a moi k^hrux te k;apì pwlik^hj ;an`hr ;ap'hnhj ;embeb^wj, o*ion sù f'hj, xunhnt'iazon< azon k;ax :odo^u m’!o q’:hgem`wn a;ut'oj q’:o pr'esbuj pròj b'ian ;hlaun'ethn. 805 Traduzione Paul Mazon Eh bien ! à toi, femme, je dirai la vérité tout entière. Au moment où, suivant ma route, je m’approchais du croisement de deux chemins, un héraut, puis, sur un chariot attelé de pouliches, un homme tout pareil à celui que tu me décris, venaient à ma rencontre. Le guide, ainsi que le vieillard lui-même, cherche à me repousser de force. Traduzione Guido Paduano Ti dirò la verità. Quando nel mio vagare sono arrivato presso al crocicchio mi è venuto incontro un araldo e poi un uomo seduto su un carro, come quello che tu dici. Il guidatore e il vecchio, tutti e due, mi volevano buttare fuori strada. Traduzione Edoardo Sanguineti E a te, signora, io dirò la verità. Quando io ero In viaggio, vicino a quel triplice sentiero, allora un avvisatore, e un uomo che era salito sopra un carro equestre, come dici tu, io l’ho incontrato: e, dalla strada, il guidatore, e anche quello, il vecchio, mi scacciavano con la forza. Traduzione Dario Del Corno E a te, donna, non voglio tacere la verità. Andavo a piedi; e quando fui vicino al trivio, vennero incontro a me un araldo e un uomo che viaggiava sopra un carro tirato da cavalli, come hai detto tu. Volendo scacciarmi dalla strada, la guida e il vecchio fecero per investirmi. Traduzione Salvatore Quasimodo A te, donna, dirò la verità. Vicino al trivio, un araldo mi venne incontro, e un uomo (il suo aspetto già me l’hai descritto) che stava su un carro tirato da cavalli. E l’auriga ed il vecchio tentavano a forza di spingermi via dalla strada. Traduzione di Maria Grazia Ciani Ora io ti dirò ciò che accadde veramente. Quando arrivai nei pressi di quel trivio mi si fecero incontro un araldo, e poi un carro, trainato da puledri,che trasportava un uomo simile a quello che mi hai descritto. Il conducente dei cavalli, e il vecchio, cercavano di spingermi a forza fuori strada. 91 xunanti'azw Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Xunanti'azw v. 804 In sé per sé questo hapax non ha nulla di straordinario, perché altro non è che una variazione del già esistente sunant'aw. (Xun);anti'azw è un verbo denominativo da ;ant'ia, neutro avverbiale da ;ant'ioj, mentre alla base di (sun);ant'aw è #anta. Tuttavia vedremo che proprio l’apparente “inutilità” di una tale sfumatura nasconde una Il preverbo sun- (xun- è coloritura attica) scelta espressiva precisa. può avere generalmente in composizione un valore comitativo o rafforzativo. Da ;ant'ia e #anta può derivare il semplice senso locativo, per cui “essere di fronte”, “incontrarsi”, ma può anche aggiungersi un’accezione di ostilità: “scontrarsi” o “venire contro”. Molti rendono il verbo con “venire incontro”, ma una tale traduzione, come vedremo, non lascia emergere pienamente l’espressività del termine. Siamo nel secondo episodio. Alla fine del primo episodio Giocasta era uscita dalla reggia, come ci fa sapere il coro, vv. 631-33, piena di preoccupazione per la lite tra Edipo e Creonte. La regina redarguisce i due congiunti: visto dall’esterno il rimprovero ha un che di comico, sembra rivolto a due ragazzini, come anche hanno un sapore infantile le giustificazioni e le accuse successive di Creonte e Edipo. Ma il tono è invece ovviamente molto serio, eventualmente teso a smorzare una contesa pericolosa, e la regina esorta il marito a rispettare il giuramento sacro di Creonte. Edipo lascia, o piuttosto chiede, che Creonte vada via. Restano in scena lui, Giocasta e il coro. Edipo ripete alla moglie l’accusa che il cognato gli muoverebbe tramite Tiresia, e la donna pensa di tranquillizzarlo dicendo che nessun uomo possiede davvero l’arte del vaticinio, perché un ministro di Apollo rivelò che Laio sarebbe stato ucciso dal figlio e ciò non può essere avvenuto. Nel racconto di Giocasta l’espressione tripla^^ij :amaxito^ij l’ “incrocio di tre strade” al quale sarebbe stato ucciso Laio, attira l’attenzione di 92 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle xunanti'azw Edipo e ne aumenta l’angoscia. Il sovrano a questo punto interroga la madre sui particolari dell’uccisione di Laio e vuole che l’unico sopravvissuto alla strage che ha coinvolto il suo predecessore sia rintracciato e portato alla reggia. Intanto però la regina chiede al consorte maggiori delucidazioni e Edipo inizia così a raccontare la sua storia dal principio. Dopo che ad un banchetto qualcuno gli diede del bastardo andò a consultare l’oracolo di Delfi. Apollo non diede risposta alle sue domande, ma gli rivelò che avrebbe generato dei figli con la madre e ucciso il padre. Edipo racconta ancora che fuggì da Corinto e che, arrivato a quel trivio, un araldo e un uomo su un carro trascinato da puledre gli “si paravano dinanzi minacciosamente”. Questo hapax può essere davvero compreso nella sua forza espressiva solo se si prendono in considerazione il valore di ostilità insito in ;ant'ia e, visto il contesto, non si lascia da parte neanche il preverbo xun-, che o rafforza l’ostilità, oppure, nel suo valore comitativo, rende meglio l’immagine dei due, araldo e Laio, che vengono contro Edipo. Ma questo potrebbe essere anche solo un problema di traduzione, valido tanto per xunanti'azw che per sunant'aw . L’interesse di questo termine è anche nella sua collocazione al’interno della tragedia. Da un punto di vista del contesto interno, esso può meglio descrivere lo stato d’animo di Edipo che, preso dall’angoscia, aumenta l’idea di legittima difesa, difesa della sua persona ma anche del suo orgoglio regale (che poi è stato uno dei motivi della sua partenza da Corinto come abbiamo visto). Dal lato comunicativo invece, va osservato che questo hapax compare, a distanza di più di 200 versi dal precedente, in un momento che sembrerebbe addirittura un gioco di parole definire “cruciale”: l’incontro all’incrocio delle tre strade140. 140 Un interessantissimo parallelo moderno che ci permette di comprendere in parte privilegi codificati, laddove oggi vedremmo solo atti di puro sopruso, è il IV capitolo dei Promessi sposi. Ci racconta il Manzoni che Fra Cristoforo, allora Lodovico, si scontra con un uomo che gli impedisce di passare: “Tutt’e due camminavan rasente al muro; ma Lodovico (notate bene) lo strisciava col 93 xunanti'azw Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle La variazione su un termine conosciuto, come era sunant'aw, può creare nello spettatore un brevissimo istante di perplessità che vale un sussulto della sua percezione. Forse questo effetto scenico è tutto quanto si può notare a proposito di questo hapax, a meno di non riscontrare qualche rilevante differenza con sunant'aw, ma non sembra questo il caso come vedremo subito di seguito. Sunant'aw compare già in Omero, sia nell’Iliade (17.134), che nell’Odissea (16.333). Nell’Iliade il termine è utilizzato a proposito di Aiace che difende il corpo di Patroclo: A#iaj d’amfì Menoiti'ad+ s'akoj e;urù Aiace coprendo con l’ampio scudo il kal'uyaj Meneziade :est'hkei !wj t'ij te l'ewn perì o*isi t'ekessin, stette come un leone intorno ai suoi piccoli, *_ :r'a te n'hpi’#agonti sunant'hswntai ;en !ul+ #andrej ;epakt^hrej< a cui, mentre conduce i suoi piccoli, vadano incontro uomini cacciatori. Trad. Cerri 2006, p. 381 . Nell’Odissea l’araldo ed Eumeo si incontrano alla reggia perché entrambi vanno ad avvisare la regina che Telemaco è tornato da Pilo, anche se Eumeo preciserà che il ragazzo preferisce restare ancora nei campi e non tornare alla reggia. t`w dè sunant'hthn k^hrux kaì d^ioj Si incontrarono i due, l’araldo e l’illustre :uforbòj porcaro, t^^hj a;ut^hj !enek’aggel'ihj, ;er'eonte gunaik'i. per il medesimo annunzio, per dirlo alla donna. 2 Trad. Privitera 2007 , p. 495. lato destro; e ciò, secondo una consuetudine, gli dava il diritto (dove mai si va a ficcare il diritto!) di non istaccarsi dal detto muro, per dar passo a chi si fosse; cosa della quale allora si faceva gran caso”. Lo scontro ha curiose analogie con quello di Edipo. Nel Seicento vigeva tutto un “codice cavalleresco”, in Edipo vediamo lo scontro di due onori regali. 94 xunanti'azw Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Nel passo iliadico, come in quello sofocleo, c’è una situazione di ostilità, anche se l’immagine omerica prevede un Aiace statico, come un leone che protegga i suoi cuccioli, e un Ettore in movimento, come dei cacciatori che si dirigano contro i cuccioli, trovandosi però di fronte il padre minaccioso. Nel passo odissiaco invece l’incontro non prospetta alcuna ostilità, ma il duale entra in perfetta risonanza con il preverbo sun- e dà l’idea dell’arrivo concomitante di Eumeo e del messaggero dalla regina. sunant'aw e xunanti'azw sembrerebbero dunque perfettamente sovrapponibili, e quindi all’origine di xunanti'azw potrebbe esserci una mera ragione metrica. È di un certo interesse tuttavia il confronto con i passi euripidei dello Ione. In questa tragedia il verbo sunant'aw la fa da padrone, nel senso che compare niente meno che nell’oracolo delfico. Quando il re Xuto si rivolge all’oracolo di Delfi per sapere per quale ragione non riuscisse ad avere figli, l’oracolo gli rivela che il primo che incontrerà uscendo dal tempio sarà suo figlio. Questa è dunque una parte del dialogo tra Ione e Xuto all’uscita del tempio: Iw. Kaì t'i moi l'exeij> Xo. pat`hr s'oj e;imi kaì su pa^ij ;em'oj. 530 Iw. t'ij l'egei t'ad’> Xo. !oj s’#eqreyen #onta Lox'iaj ;em'on. IONE: Che vuoi dirmi? XUTO: Io sono tuo padre e tu sei mio figlio. IONE: Chi lo dice? XUTO: Il dio che crebbe te, che appartenevi a me. Iw. Marture^ij saut^_. Xo. Tà to^u qeo^u g’;ekmaq`wn crhst'hria. IONE: È una tesi tua. XUTO: Da Febo, dall’oracolo lo so . Iw. ;esf'alhj a#inigm’ ;ako'usaj. Xo. O;uk #ar’ #orq’;ako'uomen. IONE: Hai frainteso la risposta…. XUTO:Dunque non ci sentirò?. Iw. :o dè l'ogoj t'ij ;esti Fo'ibou> Xo. tòn sunant'hsant'a moi... Iw. t'ina sun'anthsin> nthsin Xo. d'omwn t^wnd’;exi'onti to^u qeo^u. 535 IONE: Ma l’oracolo qual era? XUTO: «Quel che incontro ti verrà…» IONE: Quale incontro? XUTO:«…Nell’uscire dalla casa, qua, del dio…». 2 Trad. Pontani 2007 . p.609 95 xunanti'azw Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il verbo ritornerà a distanza di circa 250 versi quando, ai vv. 787s. il coro rivela a Creusa, moglie di Xuto, che Apollo ha dato un figlio al marito. Come nell’Edipo re, l’incontro tra padre e figlio è un nodo fondamentale della vicenda. Nell’Edipo re quest’incontro senza riconoscimento è causa di morte e di rovina, nello Ione invece, l’incontro con riconoscimento, grazie all’intervento delle divinità, contribuirà a determinare un futuro propizio. L’importanza dell’uso di sunant'aw nello Ione sta nel fatto che a un tema chiave della tragedia, l’incontro, corrisponde una particolare insistenza (anche lessicale) di Euripide. Il drammaturgo, per sua scelta stilistica, decide di mettere in risalto l’incontro tra padre e figlio prima servendosi di una figura etimologica (sunant' sunant'hsantasanta-sun'anthsin) nthsin e poi riutilizzando lo stesso verbo composto, quando il coro richiama l’oracolo di Apollo. Sofocle, viene da dire, sceglie un’altra strada, quella dello hapax, che dovrebbe avere sullo spettatore lo stesso effetto della figura etimologica euripidea. 96 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e; cqroda'imwn e; cqroda'imwn v. 816 kte'inw dè toùj x'umpantaj. e;i dè t^_ x'en_ to'ut_ pros'hkei LaÈ_ ti suggen'ej, t'ij to^ude g’ ;andròj n^un $an ;aqli'wteroj, 815 t'ij ;ecqroda'imwn m^allon $an g'enoit’;an'hr, &on m`h x'enwn #exesti mhd’;ast^wn tini d'omoij d'ecesqai, mhdè prosfwne^in tina, ;wqe^in d’;ap’o#ikwn> kaì t'ad’o#utij #alloj %hn $h Œg`w ŒpŒ;emaut^_ t'asd’;aràj :o prostiqe'ij. 820 Traduzione Paul Mazon [...] et je les tue tous… Si quelque lien existe entre Laïos et cet inconnu, est-il à cette heure un mortel plus à plaindre que celui que tu vois ? Est-il homme plus abhorré des dieux ? Étranger citoyen, personne ne peut plus me recevoir chez lui, m’adresser la parole, chacun me doit écarter de son seuil. Bien plus , c’est moi-même qui me trouve haujourd’hui avoir lancé contre moi-même les imprécations que tu sais. Traduzione Dario Del Corno EDIPO: [...]Tutti gli altri li ho uccisi. Se tra quello sconosciuto e Laio c’è qualcosa in comune, chi è più sventurato, ora, dell’uomo che ti sta di fronte, chi più di me è odiato dagli dei? A nessuno, né straniero, né tebano è lecito ospitarmi nella sua casa, rivolgermi la parola: tutti dovranno cacciarmi via. E questa maledizione sono stato io a scaternamela addosso, soltanto io. Traduzione Guido Paduano Traduzione Salvatore Quasimodo Poi uccido tutti gli altri. Ora se quello straniero ha qualche Edipo [...] E poi uccisi tutti. rapporto con Laio, chi è più infelice di me? Chi è più in odio E se l’ignoto e Laio sono una cosa sola, agli dèi? Né cittadini, né forestieri potranno accogliermi o chi ora è più infelice di me? rivolgermi la parola; dovranno cacciarmi dalle loro case. E Chi può essere tanto odioso agli dèi? queste maledizioni io stesso, io e nessun altro le ho Cacciato da ogni casa, né straniero o tebano attirate sul mio capo. può ospitarlo e rivolgergli parola. Io stesso ho lanciato a me la maledizione Traduzione Edoardo Sanguineti Traduzione di Maria Grazia Ciani E io li uccido tutti insieme. E se a questo Tutti quanti li ho uccisi. straniero tocca una qualche parentela con Laio, Ma se vi è qualche legame tra questo straniero chi c’è, adesso, più disgraziato di quest’uomo qui? e Laio, chi è più sventurato di me? Quale uomo può esistere, più odiato dai dèmoni, Chi fra gli uomini è il più odiato dagli dei? che non è possibile che è ospitato dentro, da nessuno, Nessuno al mondo potrà mai accogliermi né da stranieri, né da cittadini, e che nessuno gli può in casa sua, rivolgermi la parola, parlare, sarò cacciato da tutti: e sono stato io, io stesso, ma scacciarlo via dalle sue case? E queste, non c’è stato un a scagliare contro di me queste maledizioni. altro, ma io, che a me stesso le ho imposte queste maledizioni. 97 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ;ecqroda' ecqroda'imwn e; cqroda'imwn v.816 Edipo re è notoriamente anche stata considerata la tragedia del destino. Abbiamo potuto apprezzare l’attenzione di Sofocle per questo campo semantico analizzando, tra gli altri, termini come semn'omantij (v. 556), vedremo poi o;iwnoq'etaj (v. 484). Ma se questi ultimi due composti sono rivolti alla figura dell’indovino che cerca di decifrare i segni degli dei, in questo caso Sofocle si serve di un aggettivo attraverso il quale descrivere perfettamente la posizione dell’uomo, di Edipo, davanti al dio. ;ecqroda'imwn è senza dubbio un composto prägnant, le informazioni in esso contenute non sono “decorative”, ma quanto mai allusive a uno stato cronico dell’esistenza edipea, quello di un uomo perseguitato dagli dei. Il secondo membro, da'imwn, ha dato vita a una lunghissima serie di composti, alcuni dei quali molto fortunati, pensiamo a e;uda'imwn. Da'imwn, di per sé, è un termine complesso. Servirebbe fin da Omero ad indicare una potenza divina, ma arriva a significare anche destino, mentre il cristianesimo se ne servirà per indicare gli spiriti maligni. Molto interessante risulta l’osservazione di Chantraine sui composti di da'imwn141: “Une série de type possessif concerne le plus souvent la destinée que la divinité fait à l’homme”. Ma difficilmente possiamo considerare questo hapax un composto possessivo. Longo (ad loc.) sostiene che lo hapax ;ecqroda'imwn sia stato creato a partire dal più comune kakoda'imwn, il quale però farebbe parte del lessico tipico della commedia e sarebbe dunque evitato dai tragici (ma lo vediamo comparire in Eur. Hipp. 1362, quando il giovane Ippolito si definisce così poco prima di morire). In commedia 141 DELG, p. 246 98 e; cqroda'imwn Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle effettivamente compare ma non con significato identico ad ;ecqroda'imwn, ad esempio in Aristofane ha un valore peggiorativo in Nub. 104, riferito a Socrate, mentre proverbialmente diviene “povero diavolo” in Pl. 386 e “cattivo genio” in Eq. 112. Oltre a kakoda'imwn tuttavia esistono altri composti con un senso analogo. Prendiamo baruda'imwn, che fa la sua prima apparizione in Alceo (fr. 348, 2 Voigt, dove viene così definita la città, “nata sotto una cattiva stella”) ed è presente in Euripide (in Alc. 865, Admeto, invocando la morte, definisce così la madre che lo ha generato e in Tr. 112, Ecuba lamenta la sua sorte miserevole) e Aristofane (Ec. 1102, qui è il ragazzo conteso dalle tre vecchie a darsi dello sventurato), ma anche dusda'imwn che troviamo in Eschilo (Sept. 827) e Sofocle, proprio nell’Edipo Re (1302). Queste ultime due occorrenze suggeriscono qualcosa. Eschilo fa chiamare così i due figli di Edipo, Eteocle e Polinice, in uno di quei passi in cui il gioco etimologico tra il nome e il destino degli eroi si fa incalzante (c’è un guasto per quanto riguarda l’attributo relativo a Eteocle); Polinice sarebbe poluneik'hj, “litigioso”: $h toùj mogeroùj kaì dusda'imonaj O devo invece per quegli infelici, per quei ;at'eknouj kla'usw polem'arcouj, disgraziati o&i d^ht’ ;orq^wj kat’;epwnum'ian piangere forte, per quei principi che non lasciano “kleino'i t’;eteòn kaì poluneike^ij” 830 figli? #wlont’;asebe^i diano'i= Non è stato proprio come i loro nomi promettevano? <Eteocli> e Polinici: gloriosi nel nome di Eteocle, rissosi nel nome di Polinice, morti ora per loro empia risoluzione. 2 Trad. Centanni 2007 , p. 175. Quest’idea di dusdaimon'ia, di infelicità, ma più precisamente direi di disgrazia di fronte al da'imwn, alla divinità, è coerente con il m'iasma dei Labdacidi e si allarga logicamente a tutta la famiglia: tanto i padri quanto i figli ne sono colpiti. Eschilo fa 99 e; cqroda'imwn Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle registrare al coro la cattiva sorte che la divinità ha riservato ai due fratelli, così come Sofocle fa per Edipo nell’esodo, dopo l’accecamento: Cor'oj Corifea %w deinòn ;ide^in p'aqoj ;anqr'wpoij, O terribile, da vedere, patimento per gli uomini, %w dein'otaton p'antwn !os’ ;eg`w il più terribile tra tutti quelli pros'ekurs’#hdh< t'ij s’, %w tl^hmon, che ho già incontrato! Quale follia, pros'ebh man'ia> t'ij :o phd'hsaj 1300 me'izona da'imwn t^wn mak'istwn pròj s^+ dusda'imoni mo'ir=< sventurato, ti ha raggiunto? E quale è il demone che ha fatto salti maggiori dei peggiori, sopra la tua sorte infelice? Trad. Sanguineti 2006, p.263 In questo punto ricco di tensione, in cui vediamo comparire termini come p'aqoj e gli anapesti preludono al sistema docmiaco, Sofocle si serve di molte figure retoriche, da climax morfologiche come deinòn... dein'otaton a insistenti ripetizioni come pros/pros-/pr'oj. In un tale contesto osserviamo come Sofocle rinforzi anche il il ruolo del da'imwn giocando con la figura etimologica da'imwn/dusda'imoni e coronando il tutto con la parola mo'ir=. In questo punto della tragedia Edipo è ormai completamente a conoscenza del suo destino e così si spiega l’insistenza sul campo semantico del divino e della sorte. Al verso 816, quando Edipo si dice potenzialmente ;ecqroda'imwn, sta solo ipotizzando di avere ucciso Laio, non come padre, ma solo come precedente re di Tebe e sposo di Giocasta. Con lo hapax si insinua il dubbio che Edipo sia in odio agli dei, un dubbio che verrà confermato poi dai fatti e che il coro constaterà a più riprese e con l’energia che abbiamo visto nell’esodo. Finora non abbiamo incontrato composti di da'imwn che risalissero più in là di Alceo, ma Chantraine ne segnala uno, il solo termine omerico: ;olbioda'imwn (Il. 3.182), “dal destino felice”. Siamo in un momento della teicoscopia. Priamo ha chiesto ad Elena chi 100 e; cqroda'imwn Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle fosse uno degli eroi greci e la donna ha spiegato al vecchio re che si tratta di Agamennone, il capo degli Achei. Priamo definisce allora il primus inter pares moirhgen'hj e ;olbioda'imwn. Entrambi questi composti contengono la nozione di destino e disegnano il ruolo del divino nell’umano. Agamennone, figlio di Atreo, è, agli occhi di Priamo, un uomo baciato dalla sorte, che ha il privilegio di primeggiare sulla schiera infinita degli Achei. Per l’ascoltatore gli aggettivi utilizzati da Priamo sono invece quasi dei contenitori di ironia tragica ante litteram, ben sapendo la sorte che aspetta lo sventurato Agamennone. La concezione religiosa di Priamo è disseminata in gran parte del suo discorso e non è poi lontana da quella sofoclea. Priamo appare come un uomo che con grande saggezza legge la realtà come prodotto delle scelte divine. Così Agamennone è m'akar, termine utilizzato per definire anche gli dei, e la sua sorte felice è determinata dall’alto; allo stesso modo Elena non è responsabile del male scaturito intorno alla sua fuga: o#u t'i moi a;it'ih ;ess'i, qeo'i n'u moi a#itio'i e;isin (Il. 3.164). Proseguendo la rassegna dei composti in da'imwn troviamo ancora i tardi :omoda'imwn (Olymp., Phd. p. 190 N.) e filoda'imwn. Chantraine registra un secondo tipo di composti in da'imwn, i composti diretti, in cui il primo termine qualifica il secondo. Da un punto di vista tipologico, questi vocaboli potrebbero rientrare nella classe dei composti determinativi. Chantraine riporta i seguenti termini, specificando che essi sono tardi ma dovevano essere presenti già in epoca classica nel vocabolaro tragico: ;agaqoda'imwn (tardo), ;anqrwpoda'imwn (Eur. Rh. 971), ;arcida'imwn (Pap. Mag. Par. 1.1349), a;utoda'imwn (Plot. 3..5.6), brotoda'imwn, qeoda'imwn, neku- e nekuo-da'imwn (Pap. Mag. Par. 1.368), planoda'imwn (Pap. Mag. Lond. 121. 636), fugadoda'imwn. Questa serie di sostantivi tuttavia si pone su un piano differente dalla prima, cui appartiene ;ecqroda'imwn, e se 101 e; cqroda'imwn Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle da un lato ci dimostra la produttività di questi composti, dall’altro non aggiunge nulla per noi. Più interessante è la serie di composti a struttura libera che ci riportano in ambito comico. Ad essa appartengono termini come: blepeda'imwn, Kronoda'imwn, nakoda'imwn che crea un gioco di parole con kakoda'imwn, soroda'imwn, trugoda'imwn, koilioda'imwn. Di questi certamente il più singolare è trugoda'imwn costruito da Aristofane a partire da trug_d'oj e kakoda'imwn. Se ne serve Socrate nelle Nuvole quando invita Strepsiade a non levare alle dee un canto simile a quello di un povero poeta comico. Chiaramente trugoda'imwn è emanazione del gioco di parole trag_d'ia-trug_d'ia e in generale la ripresa parodica che i comici fanno di questi composti ne sottolinea il carattere eminentemente tragico. Infine Chantraine riporta il termine deisida'imwn che già Aristotele (Pol. 1315a) utilizza per indicare un uomo “timorato di dio”. Lo studio del primo membro del composto apre prospettive più larghe. Il termine ;ecqroda'imwn sembra la sintesi della perifrasi qeo^ij ;ecqr'oj che compare già in epoca arcaica con Esiodo (Th. 766): […];ecqròj dè kaì ;aqan'atoisi qeo^isin (“odioso persino agli dei”). Esiodo sta parlando di Q'anatoj. Qui evidentemente Q'anatoj è in odio agli dei in senso proprio, perché esecutore di un fato che sovrasta anch’essi: al contrario di Edipo, Q'anatoj non è in odio agli dei per quello che gli fanno, ma per quello che non possono fare contro di lui. Vediamo comparire ancora questa espressione in Teognide (I, v. 601). Sofocle stesso si serve molto del termine ;ecqr'oj sia nell’Edipo Re sia altrove. Nella nostra tragedia lo vediamo comparire più volte. 102 e; cqroda'imwn Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Spesso questo aggettivo è legato al rapporto uomo-dio. Ai vv. 27s. subito sentiamo il sacerdote affermare che si è abbattuto sulla città […] :o purf'oroj qeòj/loimòj #ecqistoj, “il dio della febbre, la peste odiosissima”. Nei vv. 216-275, Edipo pronuncia il suo proclama, con il quale bandisce dal regno il responsabile del delitto di Laio. Alla fine del suo discorso leggiamo quanto segue: kaì ta^uta to^ij m`h dr^wsin e#ucomai qeoùj m'ht’#aroton a;uto^ij g^hj ;ani'enai tin'a, 270 m'ht’o%un gunaik^wn pa^idaj, ;allà t^_ p'otm_ t^_ n^un fqere^isqai k#ati to^ud’;ecq'ioni. :um^in dè to^ij #alloisi Kadme'ioij, !osoij t'ad’#est’;ar'eskonq’, !h te s'ummacoj D'ikh co;i p'antej e%u xune^ien e;isaeì qeo'i. 275 Quelli che non obbediranno… prego gli dei perché la loro terra non dia frutti e le loro donne non partoriscano figli: siano travolti dalla nostra stessa sorte o da un più terribile destino. Giustizia invece sia alleata dei Cadmei che approvano quanto è stato detto, e gli dei tutti siano accanto a loro, per sempre. Edipo augura ai trasgressori un p'otmoj, un destino di morte, da p'iptw, uguale a quello che ha colto i Cadmei, o ancora “più odioso”(;ecq'ioni). Sta agendo in questo momento l’ironia tragica, e nuovamente il campo semantico dell’odio e quello del destino sono legati. Ancora nel discorso di Tiresia, l’indovino accusa Edipo di inconsapevolezza e di essere “odioso ai suoi sulla terra e sotto terra” (v. 415 s.): […]kaì l'elhqaj ;ecqròj $wn to^ij so^isin a;uto^u n'erqe k;apì g^hj #anw Edipo è odioso ai suoi, anche perché attraverso le sue azioni si compie gran parte del destino dei Labdacidi. Ma se questa può essere una forzatura del legame odio-destino, vediamo due passi in cui compare l’espressione incontrata già in Esiodo e Teognide: Oi. t'i d^ht’ ;emoì bleptòn $h sterkt'on, $h pros'hgoron #et’ #est’ ;ako'uein :hdon^=, f'iloi> EDI. Per me non c’è più nulla da contemplare con amore, nessuna voce da ascoltare 103 e; cqroda'imwn Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ;ap'aget’;ekt'opion !oti t'acist'a me, 1340 ;ap'aget’, %w f'iloi, tòn m'eg’;ol'eqrion, tòn katarat'otaton, #eti dè kaì qeo^ij ;ecqr'otaton brot^wn. con gioia. E allora portatemi via, portate via da questa terra il funesto, il maledetto Edipo, l’uomo più odiato dagli dei! Edipo si è tolto la vista e spiega al coro, qui nel secondo kommos, che non ha più nulla da vedere e si definisce con due superlativi: katarat'otatoj in cui è presente la radice di ;ar'a, e l’inusuale forma ;ecqr'otatoj (già presente in Pi. N. 1.65). Qui si è avverata quella che nel caso del nostro hapax era solo un’ipotesi, Edipo è effettivamente l’uomo più in odio agli dei, come ribadirà anche a Creonte, nel secondo passo, al v. 1519 Oi. ;allà qeo^ij g’#ecqistoj !hkw (“Ma io sono l’uomo più odiato dagli dei”). In Sofocle questa stessa espressione è Filottete ad impiegarla per offendere Odisseo al v. 1031 (%w qeo^ij #ecqiste), mentre ritroveremo un uso simile di ;ecqr'oj in Euripide, ma con richiamo a Esiodo, in quanto siamo nel prologo dell’Alcesti (v. 61s. ) e Apollo offende Thanatos apostrofandolo così: Qa. o;u d^ht’<;ep'istasai dè toùj ;emoùj tr'opouj. Ap. ;ecqroùj ge qnhto^ij kaì qeo^ij stugoum'enouj. Ta. No certo: e poi lo sai come son fatto. Ap. Agli uomini spiacente, odioso ai numi. 2 Trad. Pontani 2007 , p. 27 Va osservato che l’uso dello hapax ;ecqroda'imwn, un composto ben comprensibile, compare precisamente nel senso dell’espressione ;ecqr'oj to^ij qeo^ij che abbiamo visto al superlativo ai versi 1344 e 1519. Il composto diviene una forma sintetica e attenuata della perifrasi al superlativo, che Edipo utilizzerà solo quando il dubbio diviene certezza. Non si può non rilevare l’importanza di questo legame che si stabilisce tra il campo semantico dell’odio e quello del divino e che Sofocle mette a 104 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e; cqroda'imwn fuoco nello hapax in un punto della tragedia in cui Edipo è alla ricerca della verità. L’unicismo, a metà circa della tragedia, contribuisce a focalizzare il problema del fato nell’esistenza di Edipo e fa da cerniera al concatenarsi di questo binomio dall’inizio alla fine, tra un prima fatto di dubbi e di domande e un dopo di consapevolezza e disperazione. Invertendo l’ordine dei fattori il risultato cambia. Aristofane (Ve. 418) utilizzerà per la prima volta il termine qeoisecqr'ia per indicare l’odio degli uomini verso gli dei, l’empietà. 105 o;i'ozwnoj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle o;i'ozwnoj v. 846 Oi. l+stàj #efaskej a;utòn #andraj ;enn'epein !wj nin katakte'ineian. E;i mèn o%un #eti l'exei tòn a;utòn ;ariqm'on, o;uk ;eg`w ;ktanon< o;u gàr g'enoitŒ$an e*ij ge to^ij pollo^ij #isoj< 845 e;i dŒ#andrŒ!en o;i'ozwnon a;ud'hsei saf^wj, to^ut’;estìn #hdh to#urgon e;ij ;emè :r'epon. Traduzione Paul Mazon Œdipe. – C’étaient des brigands, disais-tu, qui avaient, selon lui, tué Laïos. Qu’il répète donc ce pluriel, et ce n’est plus moi l’assassin : un homme seul ne fait pas une foule. Au contraire, s’il parle d’un homme, un voyageur isolé, voilà le crime qui retombe clairement sur mes épaules. Traduzione Dario Del Corno EDIPO: Questo: che secondo lui furono dei banditi a uccidere Laio. Se lo ripete ancora, se dice che erano in tanti, non l’ho ucciso io: uno e tanti non sono la stessa cosa. Ma se parlerà di un viaggiatore solitario, tutto è chiaro: e il delitto ricade su di me. Traduzione Guido Paduano Ed. Hai detto che sono stati dei banditi a ucciderlo. Se lui mantiene questo plurale, non sono stato io, perché una persona singola non è lo stesso di molte. Se invece parla di una persona, questo fatto si rovescia con ogni evidenza addosso a me. Traduzione Salvatore Quasimodo Edipo. Tu m’hai detto che il pastore afferma che molti ladroni uccisero il re di Tebe; se, dunque, anche ora dirà la stessa cosa, io non sono certo quello che l’uccise. Infatti uno solo non è uguale a molti, ma se dirà che il viandante era solo, è chiaro che la colpa ricade su di me. Traduzione di Maria Grazia Ciani EDI. Hai detto che, secondo lui, furono dei briganti a uccidere Laio. Se ripeterà che furono molti, allora non sono stato io: uno non equivale a molti. Ma se parlerà di uno solo, di un viaggiatore solitario, allora è su di me che ricade il peso del delitto. Traduzione Edoardo Sanguineti EDIPO: Affermavi che quello racconta che uomini, banditi, lo hanno ucciso. Se dunque ancora dirà lo stesso numero, non sono io che l’ho ucciso: e uno solo, infatti, non può essere uguale ai molti. Ma se discorrerà di un solo uomo, un viaggiatore, chiaramente questa azione si piega verso di me. 106 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle o;i'ozwnoj o;i'ozwnoj v. 846 Composto di o%ioj (“solo”) e z'wnh (“cintura”, di chi marcia), lo potremmo far rientrare nella categoria dei Possessivkomposita, “che ha la cintura di marcia solitaria” e tradurlo, fuor di metafora: “che viaggia solo”142. Meyer da parte sua lo inserisce tra i composita abundantia di tipo b, classe III, cioè tra quei termini künstlichsten von allen Wörtern il cui secondo membro tende a sparire nella traduzione: “solo-cintura”, in fondo, non manterrebbe altro che il senso contenuto in “solo”. Longo143 spiega che le vesti di Edipo erano sollevate grazie alla cintura (z'wnh) “per procedere più agevolmente e speditamente, era, per dirla con Orazio, altius praecinctus”. Dawe144 propone anche una seconda interpretazione secondo la quale o;i'ozwnoj sarebbe sinonimo di mon'ozwnoj (che è una delle possibilità proposte dagli scholia vetera insieme a m'onoj) cioè “soldato che ha una sola cintura” da cui “soldato armato alla leggera” o anche “bandito”. Jebb145 osserva invece, citando numerosi esempi, la particolarità del composto in cui il secondo membro diviene un epiteto separato del nome: “with solitary girdle, signifies, alone, and girt up”. Ritornerermo più tardi sul problema semantico, dopo aver preso in considerazione alcuni composti di natura simile. Stando al Buck-Petersen, i composti in –zwnoj sarebbero ben 27. I composti omerici sono: e#uzwnoj (Il. 1.429; 6.467; 9.366, 590 e 667; 23.261 e 760), kall'izwnoj (Il. 7.139; 24.698; Od. 23.147) e baq'uzwnoj (Il. 9.594, Od. 3.154). Il primo passo dell’Iliade è contenuto all’interno del racconto dell’incontro tra 142 Cfr. mon'ostoloj. Longo 2007, p. 226. 144 Dawe 1982, p. 145. 145 Jebb 1893, p. 114. 143 107 o;i'ozwnoj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Achille e sua madre Teti: la donna dalla bella cintura è ovviamente Briseide. Qui, come negli altri brani iliadici, il composto è utilizzato in senso proprio, non c’è metonimia come nel composto sofocleo. e#uzwnoj poi compare anche in Erodoto (1.72) dove però sembra assumere lo stesso significato del nostro composto: O!utwj :o !Aluj potamòj ;apot'amnei scedòn p'anta t^hj ;As'ihj tà k'atw ;ek qal'asshj t^hj ;ant'ion K'uprou ;ej tòn E#uxeinon p'onton< #esti dè a;uc`hn o*utoj t^hj c'wrhj ta'uthj :ap'ashj< m^hkoj :odo^u e;uz'wn_ ;andrì p'ente :hm'erai ;anaisimo^untai. Così il fiume Alis separa dal continente quasi tutta l’Asia inferiore, a partire dal mare che è di fronte a Cipro, fino al Ponto Eussino: è questo, si può dire, il “collo” di tutto il paese; la sua larghezza è tale, che uomo spedito può percorrerla in cinque giorni. 2 Trad. Annibaletto 2007 , p. 85 Un uomo e#uzwnoj è un individuo che cammini con la tunica stretta e alzata sopra la cinta per permettere alle gambe un movimento più libero. La stessa accezione compare anche altrove, come in Tucidide (2.97.1). Analogo a e#uzwnoj, nel suo primo significato, è l’aggettivo kall'izwnoj, che gode di occorrenze meno numerose, ma compare anche nella lirica, in Bacchilide (Ep. 5, 89) che lo usa in riferimento ad Era. baq'uzwnoj infine, può voler dire sia “dalla alta cintura” (se il primo membro ha piuttosto valore aggettivale) sia “dalla bassa cintura” (se ha valore avverbiale). Oltre che in Omero, questo composto è presente in Pindaro (O. 3.35; P. 9.2; I. 6.74; ), Bacchilide (Ep. 1.118; 5.9; 11.16) e arriva nella tragedia attraverso Eschilo (Pers. 155; Ch. 169). Il composto è utilizzato sia in relazione a donne umane, anche barbare, che a divinità. Anche in questo caso, può esserci uno scambio metonimico di causaeffetto. Come nel caso del nostro composto il fatto di avere la cintura da viaggio implica l’essere un viandante, così qui il fatto di avere la cintura bassa, viene 108 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle o;i'ozwnoj interpretato con formule come “dalla vita sottile”, oppure “dalle forme sinuose”. Numerosi sono poi gli altri composti in –zwnoj per lo più successivi al nostro. Due altri composti sono invece precedenti e compaiono per la prima volta nella lirica. lipar'ozwnoj, “dallo splendido cinto”, lo troviamo in Bacchilide (Ep. 9.49) e poi in tragedia in Euripide (Ph. 175). Fatta questa disamina è opportuno concludere ritornando al problema semantico del nostro composto. Come abbiamo avuto modo di vedere la critica (e gli scolii) fluttua tra due differenti possibilità: “che viaggia solitario” e “bandito”.Dawe propende per la seconda possibilità, chiamando in causa le glosse, che riportano mon'ozwnon e #enoplon. Il problema non è banale. Edipo sta ragionando su quanto riportato dal servo superstite di Laio, il quale, parlando dell’assassino del re, potrebbe averlo definito anche “bandito”. Solo il contesto può essere chiarificatore in questo caso, e anche la funzione pregnante degli hapax , così come si sta man mano rivelando nel corso di questo studio. Nel commento di Longo è adeguatamente sostenuta l’ipotesi di o;i'ozwnoj come “che viaggia solitario”. Guardando al contesto ci si rende conto che in effetti questa soluzione è la più calzante. Se è vero da una parte che il superstite avrebbe definito gli uccisori di Laio l+sta'i, d’altro canto tutto il discorso gira intorno a una questione di numeri, qui il ragionamento di Edipo non mira a modificare un giudizio morale formulato su di lui, il suo interesse è quello di dimostrare o di verificare semplicemente la sua innocenza di fronte allo specifico delitto del suo predecessore e l’appiglio fondamentale su cui poggia tutta la sua dimostrazione è il numero degli aggressori di Laio. Se il servo ha parlato di molti, molti non è uguale a uno e lui era un viandante solitario, che non può dunque aver ucciso Laio. 109 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle o;i'ozwnoj Il lessico della solitudine, della singolarità e quello della pluralità si incontrano in questo punto, dove in generale è presente un lessico ‘aritmetico’ e assume importanza l’aspetto morfologico del numero (singolare/plurale). Oi. l+stàj #efaskej a;utòn #andraj ;enn'epein !wj nin katakte'ineian. E;i mèn o%un #eti l'exei tòn a;utòn ;ariqm'on, n o;uk ;eg` eg`w ;ktanon< o;u gàr g'enoitŒ$an e*ij ge to^ij pollo^ij #isoj< 845 e;i dŒ#andrŒ!en’ en o;i'ozwnon a;ud'hsei saf^wj, en to^ut’;estìn #hdh to#urgon e;ij emè ;emè :r'epon. Io. ;all’:wj fan'en ge to#upoj *wd’;ep'istaso, ko;uk #estin a;ut^_ to^ut'o g’;ekbale^in p'alin< p'olij gàr #hkous’, o;uk ;eg`w m'onh, nh t'ade. Il plurale morfologico di l+stàj #andraj si oppone vistosamente a concetti (e morfologie) singolari come quelli di ;eg`w/ e*ij/*ena/;emè, così se vi sarà la conferma del plurale (tòn a;utòn ;ariqm'on) Edipo sarà scagionato dalla regola matematica e*ij≠pollo'i. Va aggiunto che Giocasta subito dopo cercherà di rassicurare Edipo con un argomento simile. Anche la regina infatti tira in ballo la questione numerica, affermando che la collettività ha udito le parole del servo e quell’ #epoj non può essere ritrattato in quanto non lei sola (;eg`w mon'h) è testimone ma tutta la città (p'olij), ovvero la pluralità dei cittadini. Di fronte a una tale ragionata composizione delle argomentazioni di Edipo e Giocasta, sembra naturale osservare, d’accordo con le traduzioni qui riportate, che il nostro composto in questo punto assuma piuttosto il senso di “che viaggia solo”, in quanto contribuisce, e con quel potere marcante che hanno gli hapax, a costruire l’argomentazione di Edipo imponendosi in una cornice che mette in forte rilievo i termini della questione: se 1≠>1, Edipo è innocente. Un ragionamento perfetto e ineccepibile, che partiva tuttavia da premesse sbagliate, 110 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle o;i'ozwnoj perché il secondo termine non era >1. Il destino di Edipo si dimostrerà superiore alla sua matematica. 111 e; piqum'iama Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e; piqum'iama v. 913 Io. c'wraj #anaktej, d'oxa moi parest'aqh naoùj :ik'esqai daim'onwn, t'adŒ;en cero^in st'efh labo^us+ k;apiqumi' piqumi'amata. mata :uyo^u gàr a#irei qumòn O;id'ipouj #agan l'upaisi panto'iaisin< o;udŒ:opo^iŒ;an`hr 915 #ennouj tà kainà to^ij p'alai tekma'iretai, ;allŒ;estì to^u l'egontoj, $hn f'obouj l'eg+. Traduzione Paul Mazon Œdipe. Chefs de ce pays, l’idée m’est venue d’aller dans les temples des dieux leur porter de mes mains ces guirlandes, ces parfums. Œdipe laisse ses chagrins ébranler un peu trop son cœur. Il ne sait pas juger avec sang-froid du présent par le passé. Il appartient à qui lui parle, lorsqu’on lui parle de malheur. Traduzione Guido Paduano Gio. Signori, ho pensato di accostarmi ai templi degli dèi, portando l’incenso e le sacre bende. Nel profondo del cuore Edipo è sconvolto da angosce di ogni genere; e non riesce più, come ogni uomo ragionevole, a giudicare il presente sulla scorta del passato; ma è preda di chi a volta a volta gli parla, purché parli di orrori. Traduzione Edoardo Sanguineti GIOCASTA: Signori di questa regione, mi è venuta l’idea di andare nei santuari dei dèmoni, portando queste corone con le mie mani e questi incensi: perché Piedone se lo solleva in alto il suo animo, troppo, con dolori di ogni genere, e non sa valutare, come uomo assennato, dalle cose vecchie, le nuove, ma è tutto di chi gli parla, se gli parla di paure. Traduzione Dario Del Corno GIOCASTA: Signori di questa terra, mi è parso opportuno presentarmi supplice ai templi sacri degli dei, portando nelle mie mani corone e offerte d’incenso. Nel profondo del suo animo Edipo fa crescere angosce infinite, e non è più la ragione a guidarlo: il presente gli sfugge, e non sa spiegarlo con il passato. Chiunque gli parli di orrori è padrone della sua mente. Traduzione Salvatore Quasimodo Giocasta Uomini eletti di questa terra, ho pensato di recarmi in qualche tempio degli dèi, portando questi rami e queste offerte di incenso. L’anima di Edipo è molto agitata da infiniti dolori; né, come chi ha sana la mente, sa più giudicare dalle antiche vicende ciò che accade oggi. E si abbandona a chi parla, se dice di terrori. Traduzione di Maria Grazia Ciani GIO. Popolo di Tebe, mi è sembrato che questo fosse il momento opportuno per recarmi ai templi degli dei con rami votivi e incensi per pregare. L’anima di Edipo è sconvolta dall’angoscia, egli non è più in sé, non riesce a interpretare il presente sulla base del passato. 112 e; piqum'iama Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ;epiqum' epiqum'iama v. 913 Questo hapax, nuovamente un composto, è di definizione più complessa. Di primo acchito non è semplice inquadrarlo in nessuna delle categorie semantiche che abbiamo incontrato: destino, divinazione, marcia. Quanto al senso siamo di fronte al nomen rei actae del verbo ;epiqumi'aw che poi altro non significa se non “offrire incenso”. ;epiqum'iama è dunque molto semplicemente una “offerta di incenso”. Facciamo come sempre una veloce panoramica del termine a partire da ;epiqumi'aw per proseguire con il nome semplice qum'iama e poi con gli altri composti simili al nostro che ci propone il Buck-Petersen: ;anaqum'iama (Chrysipp., “vapore esalato”) e :upoqum'iama (Hipp., “suffimigio”). ;epiqumi'aw non è attestato prima di Plutarco, che se ne serve in Alex. 25.7, ricordando un avvenimento divertente della vita di Alessandro, quando cioè il re, avendo espugnato Gaza, inviò a Leonida, governatore di Olimpia, una grossa quantità di incenso e mirra perché tempo prima avevano avuto questo scambio: ‘! otan t^hj ;arwmatof'orou krat'hs+j, ;Al'exandre, plous'iwj, o!utwj epiqumi' ;epiqumi'aseij< seij n^un dè feidom'enwj cr^w to^ij paro^usi’ t'ote o%un ;Al'exandroj #egraye pròj a;ut'on ‘;apest'alkam'en soi libanwtòn #afqonon kaì sm'urnan , !opwj pa'us+ pròj toùj “Alessandro, quando avrai conquistato il paese che produce gli aromi, potrai offrire incenso così prodigalmente: ora invece è necessario essere parchi”. Allora Alessandro gli scrisse: “Ti abbiamo inviato una ricca provvigione di incenso e di mirra, affinché tu smetta di essere così avaro verso gli dei” qeoùj mikrologo^umenoj’ Già da questo esempio deduciamo il contesto divino-divinatorio nel quale vengono usati spesso termini legati alla radice del verbo q'uw, che porta in sé l’idea della combustione sacrificale e del fumo che ne segue. qum'iama, da qumi'aw, è utilizzato da Erodoto (2.86.4; 2.130.1), da Aristofane (Av. 1716) ma anche dallo stesso Sofocle nell’Edipo re. Erodoto ci parla di aromi e incensi utilizzati in Egitto, sia per l’imbalsamazione che per offerte sacre. 113 e; piqum'iama Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Aristofane in uno dei cori parla nuovamente “delle spire del fumo degli incensi”, che salgono verso il cielo. L’incenso è importantissimo nella descrizione iniziale che Edipo fa della città. L’incipit della tragedia recita così: OIDIPOUS * W t'ekna, K'admou to^u p'alai n'ea trof'h, t'inaj poq’!edraj t'asde moi qo'azete :ikthr'ioij kl'adoisin ;exestemm'enoi> p'olij d’:omo^u mèn qumiam'atwn g'emei, :omo^u dè pai'anwn te kaì stenagm'atwn< EDIPO Figli, ultimo germoglio dell’antica stirpe di Cadmo, cosa fate qui, prostrati; e questi rami, avvolti nelle bende dei supplici? Fumi d’incenso si levano dalla città, e lamenti e canti di preghiera. (Trad. Maria Grazia Ciani) “La città è piena di fumi di incenso, di canti di preghiera e di gemiti”, con pochi tratti Edipo immortala la condizione di una città disperata, in cui si avverte la tensione dell’uomo verso il divino, una spinta verso l’alto che si esprime in canti di preghiera e fumi di incenso, accompagnati tuttavia anche dai lamenti della disperazione. :upoqum'iama appartiene al linguaggio medico (Hipp. 2.206) come anche in alcuni casi qum'iama (molto presente in Galeno) e indica i suffumigi, dal latino suffumigare (sub-fumigare, che sembrerebbe parallelo a :upoqumi'aw) e dà l’idea di un fumo che si sprigioni dal basso. ;anaqum'iama è utilizzato dal filosofo Crisippo (2.196) e starebbe a significare il risultato dell’esalazione, che giustamente, come indica la preposizione, muove dal basso verso l’alto. Veniamo ora ad ;epiqum'iama. Siamo all’inizio del terzo episodio. Il coro ha appena levato un canto in cui biasima duramente chi non rispetti le leggi degli dei e in particolare chi non dia credito ad Apollo e ai suoi oracoli. Giocasta, dopo aver pronunciato alla fine del secondo episodio frasi che si possono facilmente considerare empie, sembra aver ascoltato il monito del coro e si presenta con in 114 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e; piqum'iama mano rami e offerte di incenso per Apollo Liceo. Questi ;epiqumi'amata richiamano certamente i qumi'amata con cui ha inizio l’Edipo. La preposizione ;ep'i potrebbe avere un importante significato scenico, in quanto Giocasta doveva offrire l’incenso ;epì t^_ bwm^_. In effetti vicino alla casa verosimilmente era presente un altare dedicato ad Apollo Liceo e non è escluso che Giocasta uscisse dalla reggia dopo lo stasimo portando realmente in mano rami e offerte di incenso, un gesto quest’ultimo che prepara teatralmente il veloce precipitare della situazione, mettendo in evidenza davanti al pubblico il dubbio che inizia ad approfondirsi in Giocasta di fronte al comportamento di Edipo. Una prima avvisaglia del duro confronto tra umano e divino, che vedrà la razionalità speculativa dell’uomo (Edipo) e l’incredulità (di Giocasta) soccombere di fronte alla forza trascinante del destino. Da quanto detto si evince che lo hapax potrebbe avere una funzione scenica, in quanto aiuterebbe a descrivere il movimento di Giocasta che posa le offerte di incenso sull’altare. Uno dei pochi studiosi che si soffermi su questo hapax è Long146, il quale anzitutto osserva che i nomi in -ma sono più frequenti in tragedia che in altre forme della letteratura greca. Lo studioso, appoggiandosi anche alla Clay, rileva 48 nomi in –ma peculiari di Sofocle, 80 di Eschilo, 134 di Euripide. Long analizza alcune categorie di nomi in –ma, ;epiqum'iama compare tra quei nomi in -ma tipici dei dialoghi che si trovano in particolare alla fine del verso ed hanno come un effetto di rallentamento. Interessante d’altronde è anche l’osservazione riportata in nota a proposito di ;epiqum'iama come forma alternativa per qum'iama, che compare, come si è visto, al verso 4: “Aristotle (Po. 1458b 2) observes that lenghtened ‘forms’, ;epekt'aseij, are a means of elevating style without sacrificing clarity”. Ritorniamo su questo passo della Poetica 146 Long 1968, p. 45 115 e; piqum'iama Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle (1458b): O;uk ;el'aciston dè m'eroj sumb'allontai e;ij tò safèj t^hj l'exewj kaì m`h ;idiwtikòn a:i ;epekt'aseij kaì ;apokopaì kaì ;exallagaì t^wn ;onom'atwn< dià mèn gàr tò #allwj #ecein $h :wj tò k'urion, parà tò e;iwqòj gign'omenon, tò m`h ;idiwtikòn poi'hsei, dià dè tò koinwne^in to^u e;iwq'otoj Non minore contributo alla chiarezza del linguaggio che sia anche non triviale portano gli allungamenti, i troncamenti e le alterazioni delle parole: per il loro discostarsi dalla normalità, che è contro l’uso, daranno luogo al non triviale, mentre dallo stretto rapporto con l’uso deriverà la chiarezza. Trad. Lanza 1987, p. 197 tò safèj #estai. Questo della Poetica è riferito specialmente agli allungamenti metrici, ma risulta chiarificatore anche per quelle minime traformazioni compiute dal poeta su dei termini noti e potrebbe essere preso come punto di riferimento non solo per questo hapax, ma per buona parte degli unicismi presenti in Sofocle. In effetti, a ben vedere, gli hapax dell’Edipo re sono per lo più trasparenti e all’ascolto dovevano fornire quell’extraquotidianità di cui parla Aristotele, quella lontananza dalla trivialità, senza tuttavia andare a scapito della chiarezza, e in questo Sofocle si distingueva forse da Eschilo. 116 e; kqe'aomai Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e; kqe'aomai v. 1253 Bo^wn gàr e;is'epaisen O;id'ipouj, :ufŒo*u o;uk %hn tò ke'inhj ;ekqe'asasqai kak'on, ;all’e;ij ;eke^inon peripolo^unt’;ele'ussomen. Foit^= gàr :hm^aj #egcoj ;exait^wn pore^in, 1255 guna^ik'a t’o;u guna^ika, mhtr^_an d’!opou k'icoi dipl^hn #arouran o*u te kaì t'eknwn. Traduzione Paul Mazon […] car à ce moment Œdipe, hurlant, tombe au milieu de nous, nous empêchant d’assister à sa fin : nous ne pouvons plus regarder que lui. Il fait le tour de notre groupe; il va, il vient, nous suppliant de lui fournir une arme, nous demandant où il pourra trouver « l’épouse qui n’est pas son épouse, mais qui fut un champ maternel à la fois pour lui e pour ses enfants ». Traduzione Guido Paduano Edipo irruppe in casa gridando e da allora non fu più possibile guardare alla sciagura di lei, ma tutti ci fissammo su di lui, che andava in giro furiosamente, chiedendo che gli venisse data una spada, e cercava la sua donna, no, non la sua donna, il grembo materno comune a lui e ai suoi figli. Traduzione Edoardo Sanguineti Perché, gridando, Piedone, si è gettato dentro, e così non era possibile osservarla, la disgrazia di quella, ma lo guardavamo, quello, che girava lì intorno. Perché viene che cerca che gli diamo una spada, noi, e dove la trova, la signora che non è la sua signora, il suo doppio seminato materno , che è il suo e dei suoi figli. Traduzione Dario Del Corno Perché si è precipitato dentro Edipo, urlando, e non ci fu possibile assistere al male della donna, ma soltanto lui guardavamo, che vagava smarrito. Correva da uno all’altro invocando un spada, chiedeva dove trovare la moglie- no, non sua moglie, ma il doppio solco dov’erano nati lui e i suoi figli. Traduzione Salvatore Quasimodo […] perché Edipo venne urlando. E noi lo guardavamo andare qua e là chiedendo un’arma e il luogo dove trovare Giocasta, madre e sposa Traduzione di Maria Grazia Ciani Edipo irruppe nel palazzo urlando e non riuscimmo a vedere la sua fine. Il nostro sguardo ora è su di lui che senza tregua si aggira, e va e viene, ci chiede di procurargli una spada, ci domanda dov’è quella sua sposa non sposa che fu solco per lui e per i suoi figli. 117 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e; kqe'aomai e; kqe'aomai v. 1253 Questo hapax certo è morfologicamente banale: una forma composta del verbo qe'aomai . Il primo desiderio è di passare subito oltre, limitandosi a dire che la preposizione, come spesso avviene in Sofocle, rafforza il senso del verbo. Tuttavia una piccola stonatura di senso richiama l’attenzione perché a ben pensarci questo verbo è qui apparentemente fuori luogo. Sebbene infatti Sofocle si ‘divertaʹ in questo punto della tragedia a insistere di continuo sul lessico della vista, come avremo modo di rilevare ancora, qui, osserva giustamente Longo (ad loc.), non dovrebbe essere utilizzato, in quanto Giocasta ha sbarrato la porta e tutti sono rimasti fuori. Longo continua sostenenedo che, presumibilmente, i servi stanno cercando di guardare “attraverso qualche rima dei battenti”. Questo particolare voyeuristico, o “ghoulish”, come lo definisce Dawe (ad loc.), può avere un suo fondamento e rivelare anche un ruolo funzionale della preposizione ;ek-, utile a sottolineare la distanza dall’oggetto della visione. Confrontiamo questo verbo con ;exor'aw. Esso è utilizzato in Iliade (20.342, ;exide^in), per indicare che Achille riprende a vedere dopo che Poseidone Enosictono gli ha offuscato la vista per permettere a Enea di fuggire. In Sofocle troviamo ancora l’aoristo (;exido^u, Phil. 851) e il valore è quello di “guardare bene”, ma il passo è controverso (cfr. Pucci, ad loc.). In Euripide invece troviamo degli infiniti presenti (;exor^asqai, Her. 675; Hel. 1269) in cui è chiaramente sottolineata l’idea di vedere qualcosa a distanza. Non c’è dubbio, se i servi stanno guardando “attraverso qualche rima dei battenti”, è ben plausibile che Sofocle abbia voluto porre l’accento su questa distanza. Al di là però della preposizione ;ek- , credo che due aspetti siano molti più interessanti. Il primo verte sul piano semantico ed è legato al verbo qe'aomai, che può avere anche il significato di “essere spettatore a teatro” (Isoc . 4.44) e il 118 e; kqe'aomai Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle cui participio sostantivato o:i qe'wmenoi è più volte utilizzato per designare gli spettatori (ad es. Aristoph. Ran. 2, Nub. 518). Altro dato interessante è il fatto che questo sia uno di quei rari hapax non pronunciati da Edipo o dal Coro. Questi due aspetti, uniti all’apparente incongruenza di questo verbo di percezione che può qui apparire alquanto sinestetico se non si accetta l’ipotesi di Longo, aumentano la probabilità che Sofocle abbia voluto marcare deliberatamente la mano sul tema della vista. Tuttavia in questo caso particolare, il verbo, oltre a richiamare l’attenzione sull’immagine puramente verbale raccontata dal messaggero, coinvolge il pubblico, perché il personaggio si fa spettatore, in un gioco di immedesimazione reciproca. Un articolo interessantissimo a questo proposito è stato recentemente scritto da Goldhill e si intitola The Audience on Stage (2012, pp. 38-55). Lo studioso riflette su alcuni momenti delle tragedie in cui Sofocle offrirebbe allo spettatore un ‘personaggiospettatore’, cioè un personaggio che osserva e interpreta. Scrive Goldhill: The effect of putting an audience on stage is to provide a mirror to the audience of its own processes of reaction. It works to distance the audience from a direct emotional absorption and to see itself watching. (Goldhill 2012, p. 54) Anche in questa scena avviene quanto descritto da Goldhill: Sofocle sta dando un’indicazione al suo pubblico. 119 e; p'oyimoj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e; p'oyimoj v. 1312 Oi. a;ia^i a;ia^i, d'ustanoj ;eg'w, po^i g^aj f'eromai tl'amwn> p^= moi fqoggà diapwt^atai for'adan> 1310 ;i`w da^imon !in’ ;ex'hlou. Co. ;ej dein'on, o;ud’;akoust'on, o;ud’ ;ep' ep'oyimon. yimon Traduzione Paul Mazon Œdipe. – Hélas ! hélas ! malheureux que je suis ! Où m’emportent mes pas, misérable ? où s’envolve ma voix, en s’égarant dans l’air ? Ah ! mon destin, où as-tu été te précipiter ? Le Coryfhée. – Dans un désastre, hélas ! effrayant à voir autant qu’à entendre. Traduzione Dario Del Corno EDIPO Ahimè, infelice, dove mi porta la mia miseria? Dove si sperde il mio grido nell’aria? Ah, mio destino, a che punto sei precipitato! CORIFEO In una pena che non si può udire né vedere. Traduzione Guido Paduano EDIPO Ahimè! Dove vado, infelice, dove si perde il suono della mia voce? O destino, come sei piombato addosso a me! Traduzione Salvatore Quasimodo Edipo Ahi, o me infelice! In quale luogo mi conducono, dove ora va nell’aria la mia voce? O mia sorte dove sei precipitata? CORO Terribile a vedere e a sentire. Corifeo Nell’orrore che non si vorrebbe udire né vedere. Traduzione Edoardo Sanguineti Traduzione di Maria Grazia Ciani EDIPO Ah ah, povero me, EDI. Misero me! dove, sopra la terra, io mi rivolgo, sventurato? Dove Dove sono, dove sto andando, vola la mia voce veloce? Oh, mio demone, dove ti sei dove si disperde volando la mia voce? gettato? Mio demone, dove sei piombato? CORO In un terrore che non si può sentire, che non si può COR. In un mare di sciagure, vedere. atroci da vedere e da ascoltare. 120 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e; p'oyimoj ;ep' ep'oyimoj v. 1312 Siamo nel secondo kommos (1297-1368) e il verso 1312 è un trimetro giambico che segue gli anapesti del coro e di Edipo e precede la coppia strofica. Long147 osserva che Sofocle utilizza 20 diversi aggettivi in -simoj (15 in Eschilo e 11 in Euripide), spesso molto legati al corrispondente nome in –sij, nonché dotati di un valore verbale. Il nomen actionis alla base del nostro unicismo è #epoyij “vista” (o più precisamente “il vedere su”, “view over”), che incontriamo per la prima volta in Erodoto (1.64.2). Quest’idea del “vedere dall’alto verso il basso” si esprime ancor più chiaramente nell’aggettivo ;ep'oyioj che troviamo ben due volte in Sofocle (e mai prima di lui), una prima volta nell’Antigone (v. 1110) per indicare un’altura, un ;ep'oyion t'opon, “un luogo che guarda dall’alto”, una seconda volta, nel Filottete (v. 1040), dove diviene epiteto divino qeo'i t’ ;ep'oyioi “o dei che tutto vedete”. Il lessico della vista in tutta questa prima parte dell’esodo, come ha in parte notato Segal148, assume considerevole spazio e raggiunge un’altissima frequenza. Al suo arrivo il messaggero esordisce (vv. 1224-1226): %w g^hj m'egista t^hsd’;aeì tim'wmenoi,/ o*i’#erg’;ako'usesq’, o*ia d’e;e;is'oyesq’, yesq’ !oson d’/ ;are^isqe p'enqoj […], “Oh voi, che in questa terra/ siete da sempre onorati, quali orrori dovrete ascoltare, quale spettacolo vedere coi vostri occhi, quanto dolore raccoglierete”, affermazione cui farà ecco quella pronunciata dal coro: Co. ;ej dein'on, o;ud’;akoust'on, o;ud’ ;ep' ep'oyimon, yimon “in un mare di sciagure, atroci da vedere e da ascoltare”. Al verso 1229 il messaggero introduce anche il verbo fa'inw, […] , un preludio alla successiva vivissima descrizione, che è un vero e proprio pianosequenza cinematografico. Ai vv. 1237s. il messaggero si esprime in questi termini, ribadendo di fatto agli spettatori una delle regole principali della 147 148 Long 1968, p. 32 Segal 1986, p. 481 121 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e; p'oyimoj tragedia: […]t^wn dè pracq'entwn tà mèn/ #algist’#apestin< :h gàr #oyij o;u p'ara, che Sanguineti (p. 262) traduce “Ma i più dolorosi, tra i fatti, qui sono assenti, perché non è presente, qui, la visione”149. Lo sguardo del messaggero si blocca e non riesce a carpire la fine della regina, perché viene attirato da Edipo e dalla sua furia fuori controllo (vv. 1252-1254): bo^wn gàr e;is'epaisen O;id'ipouj, :uf’o*u/ o;uk %hn tò ke'inhj e; kqe'asasqai asasqai kak'on/ ;all’e;ij eke^inon peripolo^unt’;ele' ele'ussomen, ssomen “Che cosa avvenne poi, non lo so./ Non so come morì, la regina. Edipo/ irruppe nel palazzo urlando/ e non riuscimmo a vedere la sua fine. Il nostro sguardo ora è su di lui […]”. A questo punto gli occhi del messaggero accompagnano gli occhi di Edipo che forza la porta della stanza regale. Tutti, anche gli spettatori con la loro immaginazione, vedono (vv. 1263-1267): o*u d`h kremast`hn t`hn guna^ik’;ese' ese'idomen,/plekta^ ij domen ;e'wraij ;empeplegm'enhn< :o dè o : rÙ nin, deinà bruchqeìj t'alaj,/ calÙ kremat`hn ;art'anhn< ;epeì dè g^+/ #ekeito tl'hmwn, dein^a d’%hn t;anq'end’:or^ or^an, n “E lì vediamo la regina, appesa a un laccio/ di fili ritorti, che le stringeva il collo./ Impiccata./ La vede l’infelice re, e con un sordo gemito/ allenta il cappio che la tiene appesa./ Quando il corpo della sventurata fu steso a terra, un altro evento atroce si offriva ai nostri occhi”. Il messaggero ora abbandona il campo visivo condiviso con Edipo, perché l’eroe diviene nuovamente oggetto del suo sguardo (vv. 1270-1274): #araj #epaisen #arqra t^wn a;uto^u k'uklwn,/ oyoit'o klwn a;ud^wn toia^uq’, :oqo'unek’o;uk #oyoit' nin/o#uq’o*i’#epascen o#uq’:opo^i’#edra kak'a,/ ;all’;en sk'ot_ tò loipòn o&uj mèn o;uk #edei/:oyo' oyo'iaq’, aq’ o&uj d’#ecr+zen o;u gnwso'iato, ato “Dalle vesti della sposa Edipo strappò/ le fibbie d’oro di cui era adorna/ e se le conficcò nelle orbite, gridando:/ «così non vedrete i mali che ho patito,/ né quelli che ho inflitto 149 Credo sia importante ricordare qui le parole di Baldry 1972, p. 71: “Ciò che il pubblico di Atene si aspettava di vedere, non era la violenza stessa, ma le sue conseguenze”. 122 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e; p'oyimoj ad altri,/ e, per tutto il tempo che mi resta/ le tenebre vi nasconderanno coloro che mai avrei dovuto vedere/ e quelli che invece avrei dovuto riconoscere» ”. Nel verbo gnwso'iato si concentrano poi due modalità della vista, perché il riconoscere implica sia il vedere fisicamente, che il vedere con la mente, che sarà argomento di ulteriori sviluppi. In qualche modo in questo verbo, che è prima di tutto un verbo di conoscenza, Edipo riassume e ammette il suo errore, confessa di aver troppo visto e poco capito fino a quel momento. Secondo Longo150 il primo relativo plurale sarebbe generalizzante e si riferirebbe alla madre, che Edipo non avrebbe dovuto vedere (nell’intimità matrimoniale), mentre il secondo a entrambi i genitori. Stella151, nel suo recente studio, lo attribuirebbe ai soli figli. Io credo che invece questo primo plurale possa riferirsi tanto alla madre che ai figli, tanto al m'iasma consumato con la madre, quanto alle sue conseguenze. Il tò loip'on, l’indicazione del futuro (che dunque dovrebbe in teoria suggerirci che Edipo non stia parlando della madre, e del padre, poiché sono entrambi morti e i suoi occhi non li avrebbero comunque visti) non smentisce a mio avviso il riferimento ai genitori, necessario per il secondo relativo, e alla madre in particolare, insieme ai figli, quanto al primo o&uj. Edipo si infligge la punizione che Atena riservò a Tiresia, gli occhi che hanno visto più di quello che è concesso vengono privati della luce e in entrambi i casi, oltre che una punizione, sembra anche un modo di cancellare la memoria visiva, come se essa risiedesse negli occhi: toia^ut’;efumn^wn poll'akij te ko;uc !apax/ #hrass’;epa'irwn bl'efara […] “Così gridava imprecando e si colpiva gli occhi/ più e più volte”. L’inarrestabile flusso del lessico visivo, che continuerà almeno per tutto il secondo kommos, raggiunge un ultimo apice nelle parole del messaggero che segna il passaggio dalla visione mentale dello spettatore alla visione fisica 150 151 Longo 2007, p. 287 Stella 2010, p. 290 123 e; p'oyimoj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle (meccanismo opposto a quello che subisce Edipo, il quale passa dalla visione fisica a quella mentale), gli spettatori che non vedevano, vedono Edipo che non vede più (vv. 1294-1296): de'ixei dè kaì so'i< kl^+qra gàr pul^wn t'ade /dio'igetai< q'eama d’e;is'oyei t'aca/toio^uton o*ion kaì stugo^unt’;epoikt'isai, “Vedrai tu stesso. Ecco: si aprono le porte./ Fra poco assisterai a uno spettacolo/ che muoverebbe a l pianto anche un nemico”. Come sempre nella tragedia classica, si passa da un teatro di narrazione a un teatro d’azione (moderata), dal racconto al dialogo. Entra Edipo e il coro leva in anapesti il suo doloroso lamento, tutto all’insegna di una continua allitterazione di -d- e di -p-, senza dimenticare il riferimento costante alla vista (vv. 1297-1299): %w deinòn ide^ ;ide^in p'aqoj ;anqr'wpoij,/ w % dein'otaton p'antwn !os’;eg`w, “O strazio, strazio tremendo,/ il più atroce fra quanti ho mai veduti!”. Il lessico della vista continua a comparire (v.1303 ;eside^in, v. 1305 ;aqr^hsai) e le parole del coro in questa specie di chiusura che precede il dialogo lirico con Edipo richiamano quelle con cui il messaggero aveva aperto l’esodo, perché l’udito e la vista sono entrambi chiamati in causa: vv. 1223s.“Quali orrori dovrete ascoltare (;ako'usesqe)/quale spettacolo vedere (e;is'oyesqe) coi vostri occhi”, v. 1312 “in un mare di sciagure,/ atroci da vedere (;ep'oyimon) e da ascoltare (;akoustòn)”. Il kommos inizierà riprendendo ancora il tema della vista e dell’ascolto, t'i d^ht’;emoì bleptòn $h/ sterkt'on, h $ pros'hgoron/ #et’#est’;ako'uein :hdon^=, f'iloi> , “Per me non c’è più nulla da contemplare/ con amore, nessuna voce da ascoltare/ con gioia”. Blept'on è nuovamente uno hapax. Alla fine di questa veloce ricognizione attraverso la prima parte dell’esodo, si può ben constatare la centralità data da Sofocle al tema della vista, sia attraverso il lessico, sia grazie a un gioco di inquadrature che si alternano. 124 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e; p'oyimoj In questo contesto il nostro hapax rinforza indubbiamente l’impianto retorico allestito da Sofocle, trascinando nel vortice intenso di questo momento forte della tragedia anche lo spettatore più distratto. Per quanto si è detto a proposito dell’uso che il poeta fa dell’aggettivo ;ep'oyioj, la scelta di un termine come ;ep'oyimoj potrebbe non essere dettata da una semplice ricerca d’effetto all’interno di una costruzione tutta giocata sul lessico visivo, né, d’altra parte, una costruzione “di comodo”, buona “per fare il verso”. Una più profonda scelta semantica, capace di sottolineare ancor più la drammaticità della situazione, potrebbe nascondersi dietro un tale composto, che sembra indicare la posizione dell’oggetto guardato rispetto al soggetto che guarda. Lo stesso termine #epoyij sembra indicare, in Erodoto (1.64.2) e Tucidide (7.71.2), la veduta che si ha da un luogo più elevato su uno meno elevato (nel caso di Tucidide il luogo è anche più sicuro, perché è la terraferma rispetto al mare su cui si svolge la battaglia). Maria Grazia Ciani nella sua traduzione introduce l’immagine del “mare di sciagure”, in qualche modo vicina all’#epoyij che le truppe di terra avevano sulla flotta durante l’angosciante battaglia navale tra Siracusani e Ateniesi per come Tucidide la racconta, in toni magnifici e toccanti. “Il mare di sciagure” di Edipo non si può né vedere, né ascoltare. Il coro sembra voler dire che la sventura di Edipo, la sua caduta, in una dimensione più bassa dell’umanità, è insopportabile alla vista anche di chi la guarda dall’alto, insomma degli uomini che non l’hanno subita, ma, perché no, anche forse a quei qeo'i ;ep'oyioi invocati da Filottete. 125 Gli hapax delle parti liriche 126 #apouroj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle #apouroj v. 194 #Are'a te tòn maleròn, !oj 190 n^un #acalkoj ;asp'idwn 191 fl'egei me perib'oatoj ;anti'azwn, pal'issuton dr'amhma nwt'isai p'atraj #apouron, e#it’;ej m'egan q'alamon ;Amfitr'itaj, 195 e#it’;ej tòn ;ap'oxenon !ormon Qr+kion kl'udwna< Tele^in g'ar, e#i ti nùx ;af^+, to^ut’;ep’^hmar #ercetai< t'on, %w t^an purf'orwn ;astrap^an 200 kr'ath n'emwn, %w Ze^u p'ater, 201 :upò s^_ fq'ison keraun^_. Traduzione Paul Mazon Arès le Brutal renonce cette fois au bouclier de bronze. Il vient, enveloppé d’une immense clameur, nous assaillir, nous consumer. Ah ! qu’il fasse donc volte-face, rebroussant chemin à toute vitesse, ou jusque dans la vaste demeure d’Amphitrite, ou jusque vers ces flots de Thrace où ne se montre aucun rivage hospitalier ! Si la nuit a laissé quelque chose à faire, c’est le jour qui vient terminer sa tàche. Sur ce cruel, ô Zeus Père, maître de l’éclair enflammé, lâche ta foudre, écrase-le ! Traduzione Guido Paduano Ares violento, che ora senza le armi di bronzo mi brucia nell’urlo di guerra, deve correre indietro, via, lontano dalla nostra terra; e un vento propizio lo porti alla grande casa di Anfitrite o all’onde inospitali di Tracia. Ora, se qualche orrore tralascia la notte, il giorno si precipita a compierlo. Zeus padre, tu che amministri il potere delle folgori, abbattilo sotto il tuo fulmine. Traduzione Dario Del Corno E Ares vorace, che ora senza il bronzo degli scudi mi assale urlante e mi brucia, volga infine il suo corso via dalla mia patria, verso il letto vasto di Anfitrite, o verso il mare di Tracia, approdo ingrato per lo straniero. Se alla notte sopravvive qualcosa, per esso giunge infine il giorno. Signore dei fulmini ardenti, Zeus padre, stermina tu Ares al colpo della tua fiamma. Traduzione Salvatore Quasimodo Strofe III E ad Ares, il distruttore, che senza bronzo di scudi, ora urlando mi assale e brucia, volgi le spalle, in fuga inversa, lontano dai confini della patria, verso il vasto letto d’Anfitrite o verso i flutti della Tracia, ormeggio inospitale. Perché su cosa che la notte tralascia, per la sua fine, poi s’avventa il giorno. O tu che reggi la forza dei lampi Che portano il fuoco, o Zeus padre, annienta Ares col fulmine. Traduzione Edoardo Sanguineti Traduzione di Maria Grazia Ciani Ares il forte, che adesso, senza il bronzo degli scudi, Ares, il dio della violenza, mi brucia, aggredendomi, urlando, che ora mi incendia assalendomi senz’armi deve voltarle via, da questa patria, le sue spalle, in in mezzo alle grida di dolore – precipitosa corsa, volti le spalle alla mia terra lontano, verso il grande e torni a rituffarsi tra le onde letto di Anfitrite, nel gran letto di Anfitrite o verso il flutto inospitale o nel mare di Tracia delle spiagge di Tracia: dalle coste impervie e inospitali. perché, se qualche cosa a noi lascia la notte, (Quel che la notte ha risparmiato viene il giorno, che ce la porta via. E quello, tu che governi le forze lo porta a compimento il giorno) dei lampi, che portano il fuoco, O Zeus , signore delle folgori di fuoco, o padre Zeus, distruggilo sotto il tuo fulmine. colpiscilo,padre, domalo con un tuo fulmine! 127 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle #apouroj #apouroj v. 194 Questo termine è una varia lectio, Jebb non la accoglie, e legge invece #epouron che compare nel codice L e sarebbe prodotto della prima mano, mentre #apouron apparterrebbe a una mano successiva. La questione è dibattuta. Insieme a Jebb anche Lloyd-Jones sostiene #epouroj mentre Dawe, Dain e Longo leggono #apouroj. Iniziamo allora a considerare la lezione #epouroj. Chantraine lo registra come derivato inverso da ;epour'izw “soffiare”, che a sua volta si basa su o%uroj “vento favorevole”. #epouroj, significherebbe dunque “che soffia favorevole”. Jebb traduce così il testo: “And grant that the fierce god of death, who now with no brazen shields, yet amid cries as of battle, wraps me in the flame of his onset, may turn his back in speedy flight from our land, borne by a fair wind to the great deep of Amphitritè”. Jebb osserva in nota che “#epouron=;epouriz'omenon (ironical)”, il vento sarebbe cioè non favorevole per Ares, ma piuttosto per la città. La soluzione è suggestiva e non priva di fondamento. #epouroj non è uno hapax e tuttavia compare per la prima volta in Sofocle per poi riapparire solo con Clemente Alessandrino, mentre in Esichio (s.v.) troviamo solo la definizione e%idoj ;icq'uoj (“tipo di pesce”). In breve, sebbene non sia uno hapax, questo vocabolo gode solo di due occorrenze, a distanza di secoli l’una dall’altra. Sofocle se ne serve nelle Trachinie (v. 954): e#iq’;anem'oess'a tij g'enoit’#epouroj :esti^wtij a#ura, !htij m’;apoik'iseien ;ek t'opwn, !opwj tòn Zhnòj #alkimon g'onon m`h tarbal'ea q'anoimi mo^unon e;isido^us’#afar Il respiro del vento, il turbine mi travolga lontano da qui! Il figlio di Zeus, non voglio morire per il terrore, nel vederlo: sinistro spettacolo il suo ritorno a casa, groviglio di dolore irrimediabile. 2 Trad. Albini-Faggi 2007 , p. 343 128 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle #apouroj Le donne di Trachis nel quarto stasimo cantano il loro dolore per la perdita di Eracle e di Deianira, che si è da poco data la morte con un pugnale, come ha raccontato la nutrice. Il vento è un’immagine lirica, nell’Edipo re servirebbe ad allontanare il male dalla patria, nelle Trachinie al contrario il coro vorrebbe che il vento lo allontanasse dalla patria per non vedere le tragedie che si sono consumate. La situazione cambia nettamente se si accetta lo hapax #apouroj. Questo semplice scambio di iniziale, provocherebbe tuttavia, secondo Jebb e Dawe, una riconsiderazione dell’etimologia del termine. #apouroj deriverebbe infatti da ;apò + !oroj (ion. o%uroj, la forma attica #aforoj non era in uso, se non come derivato di f'erw) e assumerebbe dunque il senso di “lontano dai confini”, perfetto anch’esso in questo contesto. La veste ionica non porrebbe poi alcun problema, poiché Sofocle si serve spesso di ionismi e qui siamo inoltre in ambito lirico. Il Buck-Petersen registra numerosi composti con !oroj/o%uroj al secondo membro, ne riportiamo alcuni: d'ioroj “pietra usata nel gioco ;efedrism'oj”(Poll. 9.119, Hsch.), per'ioroj “segnato da una pietra di confine” (Eust. 1535.40), thlour'oj “che ha confini lontani”(Aesch. Pr. 1 e 807; Eur. Andr. 889, Or. 1325, Ap. Rod. 2.543), !omoroj “limitrofo di, adiacente a”(in Hdt., Thuc., Xen., Aristot., etc.), pros'omouroj “adiacente, limitrofo” (Hdt. 4.173), s'unoroj “confinante” (Aesch. Ag. 495, Aristot. etc…), ;as'unoron (Hsch.), #exoroj=;ex'orioj “esiliato” (Poll. 6.198), pr'osoroj/pr'osouroj “confinante”(in Hdt. 2.18 etc., Soph. Phil. 691), m'essoroj “pietra di confine” (Tab. Heracl. I. 63, 69), #antoroj forma dialettale 129 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle #apouroj di #anqoroj “confine opposto” (Tab. Heracl. I. 60), e;uq'uoron (EM 391.48, Phot.), #agcouroj “vicino” (Lyc. 418 etc.). Un primo sguardo a questa lista ci conferma quanto già detto sugli ionismi. Anzitutto il termine thlour'oj che compare in tragedia con Eschilo e Euripide e in epica con Apollonio Rodio, ma soprattutto pr'osoroj che compare nella forma ionica solo in Erodoto (2.18.2; 3.97.2 etc.) e Sofocle (Phil. 691). Passiamo in veloce rassegna i passi tragici richiamati dai numerosi composti. Nel Prometeo di Eschilo il thlour'on p'edon (v.1) è il luogo in cui si trova Prometeo e la thlour'oj g^h (v. 807) indica “i confini della terra” ai quali arriverà Io nelle sue peregrinazioni. In Euripide compare nell’Andromaca (889) per indicare Ermione, cara ad Oreste, pur abitando “lontana”, ed è sempre Ermione che trovandosi “lontana” (Or. 1325) ha udito il grido di Elettra, condannata a morte insieme ad Oreste dalla città. x'unouroj nell’Agamennone (495) è attributo della polvere (k'onij) “vicina del fango” (phlo^u x'unouroj diy'ia k'onij). Paradossalmente, il nostro hapax è appoggiato da una maggiore tradizione di composti rispetto al termine #epouroj, che è unico nel suo genere, ma ciò non è significativo in questo caso. Le due lectiones sono entrambe possibili, lo hapax #apouron si legherebbe al p'atraj che precede (“lontano dai confini della patria”), #epouron, “spinto da un buon vento”, sarebbe riferito ad #Area e si legherebbe al successivo e; j m'egan/q'alamon ;Amfitr'itaj. La differenza maggiore con il passo delle Trachinie è che qui il significato di #epouroj passerebbe di colpo da attivo a passivo e questo aspetto non convince molto; inoltre non sembra ragionevole, in questo punto dell’Edipo re, l’uso di ironia, il tono dello stasimo è tutt’altro che ironico. C’è da aggiungere una certa predominanza dell’allitterazione in ;a in quest’antistrofe, legata anche al gioco pa-ap e inoltre con il nostro hapax il 130 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle #apouroj suffisso ;apò verrebbe a ripetersi ben tre volte nella singola strofe (#apouron, #ap'oxenon, #af^+). Forse questi non sono argomenti sufficienti a sostenere questa lezione a discapito di #epouroj, ma #apouroj è anche lectio difficilior. Certo nelle parti liriche gli hapax sono forse meno significativi, perché hanno spesso un semplice compito stilistico di elevazione dello stile, tuttavia qui non si deve sottovalutare il forte valore ‘apo-tropaico’ della preghiera del coro. 131 ; gla'wy a Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ; gla'wy v. 213 a L'ukei’#anax, t'a te sà crusostr'ofwn ;ap’ ;agkul^wn 204 b'elea q'eloim’ $an #ad'amast’ ;endate^istai 205 ;arwgà prostaq'enta t'aj te purf'orouj ;Art'emidoj a#iglaj, xùn a*ij L'uki’#orea di^=ssei< tòn crusom'itran te kikl'hskw, t^asd’;ep'wnumon g^aj, 210 o;in^wpa B'akcon e#uion, Main'adwn :om'ostolon pelasq^hnai fl'egont’;agla^ agla^wpi “-u-” pe'uk= ’pì tòn 214 ;ap'otimon ;en qeo^ij qe'on. 215 Traduzione Paul Mazon Et toi aussi, dieu Lycien, je voudrais voir les traits partis de ton arc d’or se disperser, invincibles, pour me secourir, pour me protéger, en même temps que ces flambeaux dont la lueur illumine Artémis, quand elle court, bondissante, à travers les monts de Lycie. J’appelle enfin le dieu au diadème d’or, celui qui a donné le nom à mon pays, le dieu de l’évohé, Bacchos au visage empourpré, le compagnon des Ménades errantes. Ah ! qu’il vienne, éclairé d’une torche ardente, attaquer le dieu à qui tout honneur est réfusé parmi les dieux ! Traduzione Guido Paduano Apollo Liceo, vorrei che dalla corda d’oro ritorta diffondessi i tuoi dardi invincibili a nostra difesa; e così le fiaccole lucenti con cui artemide percorre i monti della Licia. E invochiamo anche il dio dalla mitra d’oro che ha dato il nome a questa terra: Bacco, dio del vino, compagno delle Menadi, si avvicini con la torcia ardente […] contro il dio che tra gli dei non ha onore. Traduzione Edoardo Sanguineti O signore della Licia, dalle tue curve corde d’oro lancia, ti prego, le indomabili frecce, scagliale a soccorso, e le torce di Artemide, che portano il fuoco, che con quelle percorre le montagne della Licia. E invoco il dio con la mitra d’oro, che ha il suo nome da questa regione, il vinoso, il rumoroso Bacco, che isolato dalle Menadi si accosti soccorrevole, con le sue ardenti fiaccole lucenti, contro il dio che tra gli dei non ha onore. Traduzione Dario Del Corno Apollo Liceo, potessi vedere le tue saette invincibili scattare dalla corda dorata dell’arco a proteggermi, e protese a difesa le torce infocate di Artemide, che fanno luce alla dea nelle sue corse per i monti di Licia. E il dio dalla mitra d’oro invoco, che ha dato nome alla mia terra, Bacco, cui il vino arrossa il volto, compagno delle Menadi, perché si avventi con la fiamma dei pini contro il dio senza onore fra gli dei. Traduzione Salvatore Quasimodo O Apollo Liceo, vorrei che i tuoi dardi inesorabili, dalla corda d’oro dell’arco fossero lanciati per difenderci, e poste innanzi le torce ardenti con le quali Artémide corre per i monti della Licia. E il dio dalla mitra d’oro, pure invoco, che ha nome da questa terra, Bacco dal viso colore del vino, compagno delle Menadi: anche il dio felice s’avvicini col pino fiammeggiante contro il dio odioso agli altri dèi. Traduzione di Maria Grazia Ciani O Apollo, signore dei lupi, dalle corde tese del tuo arco d’oro spargi le tue frecce immortali, e tu, Artemide, che sui monti della Licia corri con fiaccole di fiamma… e te invoco, Bacco, dio dalla mitra d’oro, signore di questa nostra città, Bacco color di porpora Compagno della Menadi: vieni con la tua torcia ardente contro questo dio, che tra gli dei è il più odiato. 132 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ; gla'wy a ; gla'wy v. 214 a Questo hapax è un composto possessivo, esito dell’unione dell’aggettivo ;agla'oj “lucente” e del sostantivo #wy “viso, occhio”. Il senso dovrebbe essere più o meno quello di “dall’occhio lucente” oppure più sinteticamente i lessici registrano “splendente”. Siamo ancora nella parodo, ormai agli ultimi versi. Il coro, in preda alla disperazione per quanto sta avvenendo nella città, ha invocato, tra gli altri, i due figli di Latona, Apollo e Artemide, e ha concluso la preghiera rivolgendosi anche a Bacco. Il coro ha dunque tentato un’operazione invocatoria a tutto tondo, nella speranza di allontanare dalla città Ares, il dio privo di onore tra gli dei. Come i commentatori ricordano, questa visione negativa di Ares è già presente in Omero, in Iliade (5.890) quando Zeus rivolgendoglisi afferma: #ecqistoj d'e mo'i ;essi qe^wn o!i # Olumpon #ecousin. Ares, pur senza armi, starebbe mettendo a ferro e fuoco la città. Entrambi i membri del composto hanno avuto una certa fertilità nella composizione lessicale greca. Si possono reperire molti vocaboli con ;agla'oj al primo membro, eccone alcuni: ;agla'obotruj “dagli splendidi grappoli” (Nonn. Dionys. 18.4), ;agla'oguioj “dalle belle membra” (Pind. N. 7.4), ;agla'odendroj “dai begli alberi” (Pind. O. 9.20), ;aglaoqhl'ej “tenero, delicato” (Hsch.), ;agla'oqronoj “dallo splendido trono” (Pind. O. 13.96, N. 10.1, Bacchyl. 17.124), ;agla'okarpoj “dagli splendidi frutti” (Od. 7.115, etc.), ;agla'okolpoj “dallo splendido seno” (Pind. N. 3.56), ;agla'okouroj “dalla splendida gioventù”(Pind. O. 13.6 ), ;agla'okwmoj “che dà splendore alla festa” (Pind. O. 3.6), ;agla'omhtij “di rara saggezza” (Greg. Carm 133 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ; gla'wy a 1.2.339.3 etc.), ;agla'omorfoj “di belle forme” (A.P. 5.199.1 etc. ), ;agla'opaij “dai bei ragazzi” (Opp. 2.41), ;agla'ophcuj “dalle splendide braccia” (Nonn. Dionys. 32.80), ;agla'opistoj “splendidamente fedele” (Hsch.), ;aglaotr'iaina “signore dal risplendente tridente” (Pind., O. 1.40), ;agla'ofortoj “che reca uno splendido carico” (Nonn. Dionys. 7.253), ;aglaoca'itaj “dalla splendida chioma” (Pind. Pae. 7e.2). Nello scorrere questa lunga lista di composti è possibile mettere in rilievo alcuni aspetti: principalmente si tratta di poesia, dall’epica omerica, alla lirica di Pindaro e di Bacchilide, dall’Antologia Palatina alle Dionisiache di Nonno di Panopoli; la tragedia e la commedia non compaiono mai, se non con questo passo di Sofocle. D’altro canto va notato che questi composti sono spesso epiteti divini o, come nel nostro caso, hanno una stretta relazione con il divino, che gode non di rado di caratteristiche legate allo splendore e alla luce. Il Buck-Petersen ci aiuta poi a reperire i composti in cui al secondo membro compare #wy, ne riportiamo alcuni: ;ala'wy “cieco” (Synes. Hymn. 1.584), flog'wy “fiammeggiante” (Aesch. Pr. 791), gorg'wy “dallo sguardo terribile” (Eur. El. 1257, Or. 261), ;elik'wy “dallo sguardo vivace”(Il. 1.389 etc.), tetraelik'wy (Hsch.), glauk'wy “dagli occhi splendenti” (Pind. O. 6.45, P. 4.249 etc.), ;ambl'wy “offuscato” (Soph. fr. 1001 Radt, Eur. Rh. 737, etc.), sugk'uklwy “compagno del Ciclope” (Eustath. 1622.49), misok'uklwy “che odia i Ciclopi” (Eust. 1643.22), n'wy (Hsch.) “che non vede”, kelain'wy “dal nero aspetto” (Pind. P. 4.212), dein'wy “dallo sguardo terribile” (Soph. OC 84), o;in'wy “del colore del vino” (Soph. OT 211), mon'wy/moun'wy “che ha un solo occhio” (Eschl. Pr. 804, Eur. Cycl. 21, etc.), 134 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ; gla'wy a crus'wy “splendente come oro” (Eur. Bacch. 553), e;u'wy “di bell’aspetto” (Soph. Ant. 530, OT. 189), polu'wy “tutto traforato” (A.P. 6.65.9, 9.765.3), m'uwy “miope” (Aristot. Rh. 1413a4, etc.). Forse la necessità visiva del teatro ha fatto sì che vi fossero così numerose occorrenze tragiche di composti con #wy, d’altronde uno degli aspetti principali della tragedia greca è l’importanza della descrizione visiva, laddove non sia possibile la visione, potremmo parlare di una sorta di ipotiposi. Anche questo tipo di composti risale a Omero, ;el'ikwy è un epiteto tipico degli Achei e lo incontriamo già in Il. 1.389, ma per l’appunto è riferito a esseri umani. Pindaro poi ci offre anche in questo caso degli esempi come glauk'wy riferito a serpenti sia in O. 6.45 che in P. 4.249, o kelain'wy, per indicare i colchi “dal nero volto” in P. 4.212. Passiamo quindi ai passi tragici per trovare in Eschilo il composto flog'wy (Pr. 791) “fiammeggiante”, che ricorda il nostro hapax, ed indica i raggi del sole sorgente, mo'unwy “con un occhio solo”, riferito ai cavalieri Arimaspi in Pr. 804 (Erodoto d’altronde in IV.27 ci offre un’etimologia in lingua scitica per cui “arima” significherebbe “uno”e “spu” “occhio”), lo stesso epiteto è riferito da Euripide al Ciclope nell’omonimo dramma satiresco (v. 21). Euripide poi impiega gorg'wy, “dallo sguardo terribile”, riferito al k'uklon (El. 1257), il cerchio dello scudo di Atena, su cui era rappresentata la Gorgone capace di allontanare le Erinni da Oreste, mentre nella tragedia Oreste (261) il protagonista attribuirà quest’epiteto alle Erinni stesse. Nel Reso (737) gli occhi (a;uga'i) del coro sono ;ambl^wpej “offuscati”. Interessante è il caso di Baccanti 553 in cui il coro riferisce il termine crus'wy, “splendente come oro” a un altro oggetto tipico di Bacco: il tirso. 135 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ; gla'wy a Infine prendiamo in considerazione i passi di Sofocle stesso: intanto dein'wy “dallo sguardo terribile” riferito ancora una volta alle Erinni, nel cui santuario si è fermato Edipo in OC 84, poi ;eu'wy “di bell’aspetto” aggettivo attribuito dal coro al volto (parei'a) di Ismene (Ant. 530), e invece a un concetto astratto l’;alk'h, l’ “aiuto” (di Atena) in OT 189. Un discorso a parte, come vedremo fra poco, merita o;in'wy di OT 211. Quel che subito va osservato è che in tragedia, a differenza che nell’epica e nella lirica precedenti, i composti in -wy vengono riferiti non solo ad essere animati, ma anche ad oggetti inanimati, come è il caso dei raggi solari in Eschilo (Pr. 791), del tirso in Euripide (Bacch. 553), del soccorso di Atena (OT 189) o della torcia fatta di legno di pino nel passo sofocleo in questione: oggetti inanimati o addirittura concetti astratti, benché legati alla sfera del divino. Ѐ bene notare poi che se i composti tragici sono dello stesso tipo dell’epica e della lirica, tuttavia, per quel che ne sappiamo, non sono mai gli stessi, come dire che il riferimento in questo caso sembrerebbe solo stilistico, ma secondo una rivisitazione tragica capace di spostare certe caratteristiche visive (l’aspetto, lo splendore) da un piano animato, a un piano anche inanimato e persino astratto. Tornando ai versi della parodo dell’Edipo re, i commentatori chiamano a confronto le Baccanti di Euripide (che sono successive all’Edipo re) e in particolare i versi della parodo (v. 145): […] :o Bakceùj ;an'ecwn/purs'wdh fl'oga pe'ukaj ;ek n'arqhkoj (“Bacco solleva nel suo tirso/ la fiamma ardente del pino” trad. Sanguineti) e Dodds nel suo commento richiama anche lo Ione (716) B'akcioj ;amfip'urouj ;an'ecwn pe'ukaj. 136 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ; gla'wy a Se da un lato sono importanti gli aspetti intertestuali su cui ci porta a ragionare ogni singolo termine, il livello linguistico nel quale si pone, la tradizione in cui si inserisce, è, credo, altrettanto importante prestare attenzione, specialmente nelle parti corali, agli strumenti retorici messi in atto dal poeta. Nel passo preso in considerazione il nostro hapax ;agla'wy (v. 214) è in evidente correlazione con il precedente o;in^wpa: L'ukei’#anax, t'a te sà crusostr'ofwn ;ap’ ;agkul^wn 204 b'elea q'eloim’ $an #ad'amast’ ;endate^istai 205 ;arwgà prostaq'enta t'aj te purf'orouj ;Art'emidoj a#iglaj, xùn a*ij L'uki’#orea di^=ssei< tòn crusom'itran te kikl'hskw, t^asd’;ep'wnumon g^aj, 210 o;in^wpa B'akcon e#uion, Main'adwn :om'ostolon pelasq^hnai fl'egont’;;agla^wpi “-u-” pe'uk= ’pì tòn 214 ;ap'otimon ;en qeo^ij qe'on. 215 Qui è presente una figura etimologica di un certo effetto, perché costruita con due composti decisamente rari, che da un lato contribuiscono all’elevazione dello stile, dall’altro hanno un fortissimo potere icastico che aiuta a riassumere in pochi versi alcuni punti cardine di un culto fatto di vino, ma anche di fuoco152. Questo hapax non ha dunque grande rilievo tematico, anche se si potrebbe riflettere sulla radice :op- e riferirsi a quanto c’è nella tragedia di legato al vedere 152 2 Cfr. Burkert 2003 , pp. 155ss. 137 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ; gla'wy a e al non vedere, sul lessico della luce e della tenebra, ma l’interesse dello hapax è qui più strettamente retorico. 138 qespi'epeia Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle qespi'epeia v. 463 str. a’ CO. t'ij !ontin’ :a qespi'epeia Delf`ij e%ipe p'etra #arrht’;arr'htwn tel'esanta foin'iaisi cers'in> !wra nin ;aell'adwn !ippwn sqenar'wteron fug^^= p'oda nwmân. #enoploj gàr ;ep’a;ut`on ;epenqr'_skei pur`i ka`i steropaîj :o Di`oj gen'etaj< deina`i d’!am’!epontai K^hrej ;anapl'akhtoi. Traduzione Paul Mazon Traduzione Dario Del Corno Quel est donc celui qu’à Delphes a désigné la roche prophétique comme ayant de sa main sanglante consommé des forfaits passant tous les forfaits ? Voici l’heure pour lui de mouvoir dans sa fuite des jarrets plus robustes que ceux de ces cavales qui luttent avec les vents. Déjà sur lui le fils de Zeus s’élance, armé de flammes et d’éclairs, et sur ses traces courent les déesses de mort, les terribles déesses qui jamais n’ont manqué leur proie. Chi è l’uomo che la parola di dio dalla rupe di Delfi accusa di avere compiuto con mani di sangue il più nefando di tutti gli atti? Ѐ tempo per lui di fuggire più rapidamente che i cavalli nati dal vento. Contro di lui s’avventa il figlio di Zeus con fuoco di fulmini, e tremende lo seguono le Furie implacabili. Traduzione Guido Paduano Traduzione Salvatore Quasimodo Chi è colui che la Pietra profetica di Delfi accusa di avere compiuto, con mani lorde di sangue, i più indicibili delitti? Per lui è tempo di fuggire con piede più rapido dei cavalli del turbine. Contro di lui muove in armi, col fuoco, con le folgori, il figlio di Zeus e lo seguono, tremende, le inesorabili dee del destino. Coro Strofe I Chi la rupe di Delfo, voce del dio, accusa d’indicibile violenza compiuta con mani di sangue? Ora, per lui, è tempo di fuggire più di cavallo in corsa di bufera. Già l’assale con fulmini e fuoco il figlio di Zeus, e le tremende Furie inesorabili seguono il dio. Traduzione Edoardo Sanguineti Traduzione di Maria Grazia Ciani CORO Chi è che la roccia profetica di delfo ha detto che ha compiuto, con mani sanguinose, la cosa, tra le indicibili, indicibile? Ѐ tempo che quello più impetuoso dei tempestosi cavalli, agiti in fuga il suo piede. Perché armato, addosso, si avventa, con il fuoco e con i lampi, il figlio di Zeus, e terribili, insieme, lo seguono, le divinità fatali infallibili. Chi è mai quest’uomo che la rupe di Delfi ispirata dal dio ha dichiarato artefice di fatti inenarrabili, di spaventosi delitti? Ora è il momento che si dia alla fuga come un cavallo lanciato in corsa. Su di lui si scaglia Apolo, figlio di Zeus, armato di folgori infuocate e le divinità della morte lo seguono, tremende, le Chere che non falliscono mai. 139 qespi'epeia Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle qespi'epeia v. 463 Di nuovo il fato in questo primo stasimo. Tiresia ha prodotto la sua verità dei fatti e ora il coro, pieno di perplessità, si agita sollevando interrogativi, fino a tirare in ballo, pur con toni moderati, la querelle che investe la figura dell’indovino. Lo hapax qespiépeia è un aggettivo formato su q'espij e #epoj e significa letteralmente “la cui parola è ispirata dagli dei”. Questo termine rientra perfettamente nel campo semantico della divinazione così centrale in questa tragedia. Nella prima strofe il coro si domanda chi sia mai l’uomo indicato dalla profetica rupe di Delfi e lo invita a fug^= p'oda nwm^an, “volgere il piede in fuga”, annunciando anche la furia di Apollo e delle Chere. Nell’antistrofe il coro descrive il fuggiasco, che cerca di evitare i vaticini, ma cammina m'eleoj mel'e_ podì “misero, con misero piede”. Nella seconda strofe gli anziani esprimono la loro cauta incredulità rispetto alle parole di Tiresia, è come se sostenessero una “presunzione di innocenza” di fronte all’assenza di prove contro Edipo. Nell’antistrofe il coro afferma il principio della fallibilità interpretativa degli uomini insieme all’infallibilità della parola divina e ricorda il ruolo di Edipo nella liberazione della città dalla piaga della sfinge. Nel breve spazio di uno stasimo si articola un ragionamento abbastanza preciso, in cui partendo dalla premessa che c’è un colpevole sconosciuto, si arriva ad affermare la fallibilità dell’interpretazione di Tiresia e si rafforza con l’argomento della sfinge la difesa di Edipo, come a dire che l’indagine è ancora aperta. In questo contesto in cui le parole del coro sembrano misurate con grande equilibrio, si staglia il nostro unicismo. Longo nel suo commento richiama l’espressione omerica q'espij ;aoid'oj “cantore divino” (Od. 17.385). 140 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle qespi'epeia Uno dei composti paralleli, al cui primo membro compaia q'espij è l’omerico153 qespida'hj, “acceso da un dio”, che gode di ben otto occorenze (Il. 12.177, 441, 15.597, 20.490, 21.342, 381, 23.216; Od. 4.418). In tutti questi passi l’aggettivo si riferisce al p^ur, al fuoco e ne sottolinea la natura prodigiosa, l’origine divina. L’altro composto interessante è qespi_d'oj, che, per quanto consta, fa la sua comparsa in tragedia (Aesch. Ag. 1134, Soph. fr. 456, Eur. Med. 668, Hel. 145). Eschilo con il suo linguaggio ricco, ricchissimo, nel kommos tra Cassandra e il coro fa reagire in questi termini gli anziani: CO. o;u komp'asaim’$an qesf'atwn gn'wmwn #akroj 1130 e%inai, kak^_ d'e t_ proseik'azw t'ade. ;apò dè qesf'atwn t'ij ;agaqà f'atij broto^ij t'elletai> kak^wn gàr diaì poluepe^ij t'ecnai qespi_d^wn f'obon f'erousin maqe^in. 1135 CORO Non posso certo vantarmi esperto giudice di oracoli, ma queste profezie io le rassomiglio a un presagio funesto. Ma dai vaticini quale buona nuova viene mai ai mortali? Per mezzo di sventure le arti di molte parole degli indovini portano solo a imparare la paura. 2 Trad. Medda 1997 , p. 321 Qui la critica del coro non investe le capacità degli indovini, quanto i contenuti sempre negativi dei loro vaticinii e l’osservazione non sorprende dal momento che la vaticinante è Cassandra. In questi pochi versi Eschilo insiste moltissimo sul lessico divinatorio, intensificando così il presagio del coro: qesf'atwn gn'wmwn, qesf'atwn, t'ecnai qespi_d^wn. Sofocle parla, nel frammento 456 Radt, di tàj qespi_doùj :ier'eaj Dwdwn'idaj, cioè delle “profetiche sacerdotesse di Dodona”. Si tratta di uno dei frammenti dell’ ;Odusse'uj ;akantopl'hx (frr. 453-461 Radt), che concernono l’oracolo di Dodona154, presente già nelle Trachinie, e in effetti tale oracolo ha forse predetto ad Ulisse che sarebbe morto per mano del figlio, cioè di Telegono, nato 153 Una recente riflessione sull’influenza omerica nella lingua sofoclea è quella di Davidson 2006. Cfr. Jebb 1917, pp. 112s. e in generale sull’oracolo di Dodona l’appendice di Jebb alle Trachinie, 1892, pp. 200 ss. 154 141 qespi'epeia Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle dall’unione con Circe. Divertente, ma certo casuale, parallelo con la storia di Edipo questo oracolo che predice il parricidio. L’interesse è soprattutto nell’attestazione di tale termine nei tre tragici, che lo riferiscono sempre a un contesto mantico (Euripide in Medea lo attribuisce all’ ;omfal'oj di Delfi, in Elena a Teonoe, la sacerdotessa egiziana), non è più la descrizione eziologica di un fenomeno naturale, come qespida'hj, riferito al solo fuoco, ma investe il campo della mediazione tra uomo e dio. Il Buck-Petersen invece registra, oltre al nostro, altri 16 composti di épeia. Il più antico che conosciamo è ;artiépeia, uno hapax di illustre occorrenza, perché compare in Esiodo, nella Teogonia (vv. 26s.) e segue quella che potremmo definire la prima dichiarazione di poetica della storia della letteratura occidentale: «poim'enej #agrauloi, k'ak’;el'egcea gast'erej o%ion, “O pastori, che avete i campi per casa, obbrobrio, solo ventre; #idmen ye'udea pollà l'egein ;et'umoisin :omo^ia, noi sappiamo dire molte menzogne simili al vero, #idmen d’e%ut’;eq'elwmen ;alhq'ea ghr'usasqai». ma sappiamo, quando vogliamo, cose vere cantare”. &wj #efasan ko^urai meg'alou Diòj a ; rti'epeiai Così dissero le figlie del grande Zeus, abili nel parlare. 2 Trad. Arrighetti 2007 , pp.3s. Anche in questo caso ci troviamo nell’ambito della relazione tra uomo e divinità, le muse parlano al poeta e il poeta è un mediatore, un profeta che riferisce quanto le muse gli suggeriscono. A ben vedere tuttavia questo termine si può ricondurre all’aggettivo, normalmente a due uscite, ;artiep'hj che troviamo in Iliade 22.281, uno dei passaggi più determinanti del poema: lo scontro tra Achille ed Ettore. Qui l’eroe troiano si serve dell’aggettivo ;artiep`hj per offendere il nemico, dunque gli dà la connotazione negativa di “chiacchierone”. Lo stesso termine compare poi in Pindaro (O. 6.61, I. 5.46), ma con accezione positiva. 142 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle qespi'epeia Ancora centrale è il termine e;u'epeia, perché compare, per la prima volta, in Sofocle e precisamente nell’Edipo re, nel terzo episodio, quando Giocasta accoglie il messaggero, latore della notizia della morte di Polibo, e rispondendo al suo augurio di felicità lo ricambia per il suo “buon parlare”, la e;u'epeia (v. 932). Importante, come sottolinea Longo155, il valore augurale delle parole per i Greci, tuttavia forse più importante a livello drammaturgico l’ironia tragica sottesa all’e;u'epeia del messaggero: davvero Giocasta non sa quanto di lì a poco travolgerà lei e la casa. Tutti gli altri composti riportati dal Buck-Petersen, benché testimonino una certa produttività, compaiono tuttavia in contesti non poetici e successivamente a Sofocle. Tornando a qespi'epeia, è notevole, e si richiama a quanto già osservato a proposito di ;artiep'hj, quel che Davidson scrive: Next, he draws attention to Sophocles’use (unique in extant tragedy) in the first line of the OT parodos (151) of the Homeric :hduep'hj (used, as a hapax, of Nestor at Iliad 1.248), pointing out that this is then echoed by qespi'epeia in the opening line of the OT first stasimon (463), which, like the parodos, begins with a question about the significance of the oracular utterance from Delphi. (Davidson 2006, p. 36) In effetti sembra davvero esserci un richiamo interno, di significante e significato, tra la Diòj ;aduep`hj f'atij della parodo, “la voce dalla dolce parola di Zeus”, il cui responso è arrivato da Delfi a Tebe tramite Creonte, e la nostra qespi'epeia Delf'ij p'etra, “la rocca fatidica di Delfi”. ;hduep'hj, come nota Davidson, che poi si richiama a Garner156, compare in Omero (Il. 1.248), ma anche in Esiodo (Th. 965; 1021) e Pindaro (N. 1.4, 7.21; O. 10.93): Omero lo riferisce a Nestore, Esiodo 155 156 Longo 2007, p. 236. Garner 1990, pp. 136s. 143 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle qespi'epeia alle Muse e Pindaro rispettivamente a Ortigia, Omero e alla lira. Nella scelta di un termine che gode di paralleli così illustri in poesia, c’è senza dubbio l’opzione del poeta per un registro elevato che si adatti al contesto lirico dello stasimo. Più preciso sembra il riferimento al kommos eschileo, quasi fosse la prosecuzione di un dibattito sul ruolo degli oracoli. Qui qespi'epeia sembra assumere particolare rilevanza nella distinzione tra oracolo e interpretazione dello stesso. Il coro incredulo, ma mai empio, riafferma la matrice divina degli oracoli, la rocca di Delfi è “ispirata dal dio”, mentre gli indovini sono comunque umani e possono sbagliare. 144 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle o;iwnoq'etaj o;iwnoq'etaj v. 483 Deinà mèn o%un, deinà tar'assei sofòj o;iwnoq'etaj, taj o#ute doko^unt’o#ut’;apof'askonq’< !o ti l'exw d’;apor^w. 485 p'etomai d’;elp'isin o#ut’ ;enq'ad’:or^wn o#ut’;op'isw. 487 Traduzione Paul Mazon Sans doute il me trouble, me trouble étrangement, le sage devin. Je ne puis le croire ni le démentir. Que dire? Je ne sais. Je flotte au vent de mes craintes et ne vois plus rien ni devant ni derrière moi. Traduzione Dario Del Corno Terribile, terribile mi agita il sapiente che conosce la verità: non gli credo, né gli nego fede, e non ho parole. Mi tengono sospeso i miei pensieri Non vedo il presente, non il futuro. Traduzione Guido Paduano Mi sconvolge, mi sconvolge orrendamente l’esperto augure Tiresia; ciò che dice non posso né accettarlo né respingerlo. Non so che dire. Sulle ali dell’attesa non vedo né il presente né il futuro. Traduzione Salvatore Quasimodo Il saggio indovino mi tormenta con forte paura: e non so accogliere o allontanare la sua voce. E non ho parole. E sono inquieto nell’attesa, ignorando il presente ed il futuro. Traduzione Edoardo Sanguineti Traduzione di Maria Grazia Ciani Terribili, dunque, terribili cose agita il sapiente interprete Le parole del saggio sacerdote degli uccelli, mi turbano, mi sconvolgono cose che non affermano e non negano: e io dubito nelle mie orribilmente. parole, Non posso credere, io che vedo con le mie speranze, e non vedo davanti né e non posso non credere: indietro. non so che cosa dire. Sospeso nell’attesa non mi è chiaro il presente, mi è oscuro il passato. 145 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle o;iwnoq'etaj o;iwnoq'etaj taj v. 483 Questo hapax è ovviamente in stretta continuità con il precedente: o;iwn'oj significa “uccello” e in particolare Chantraine ci dice che in Omero e nei poeti lo troviamo con il senso di “uccello che annuncia l’avvenire” e l’o;iwnoq'ethj è l’“interprete del volo o del canto degli uccelli”. L’importanza del termine nel campo della mantica è sottolineata dal verbo o;iwn'izomai e dai composti, sinonimi, in cui compare al primo membro: o;iwn'omantij, o;iwnop'oloj, o;iwnosk'opoj. Il termine o;iwn'omantij compare nelle Fenicie (767) di Euripide, e in questo caso si può forse pensare a un richiamo intertestuale che si rifaccia proprio a questi versi sofoclei. Prosegue in effetti il dibattito sulla mantica. Eteocle manda qui Meneceo, figlio di Creonte, a prendere Tiresia per avere qualche eventuale oracolo prima dello scontro con Polinice. Eteocle sottolinea che Tiresia sarà dolce con Creonte, ma nei suoi confronti serba invece rancore, poiché un tempo ha disprezzato davanti all’indovino l’arte divinatoria. Su questo passo interviene Ugolini, che nel già citato articolo Tiresia e i sovrani di Tebe157, osserva come questi versi testimonino che una scena di litigio tra Eteocle e Tiresia deve essere circolata nel teatro ateniese, anche se non la conosciamo. Ma non è certo Sofocle ad aver fatto scuola, poiché troviamo il sinonimo o;iwnop'oloj in due passi omerici. Nel primo (Il. 1.69) è utilizzato per designare Calcante, o;iwnop'olwn #oc’#aristoj, prima che Agamennone lo definisca m'anti kak^wn, nel secondo (Il. 6.67) per indicare, con uguale formula, o;iwnop'olwn #oc’#aristoj, Eleno, l’indovino figlio di Priamo. 157 Ugolini 1991, p. 23. 146 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle o;iwnoq'etaj Eschilo si serve di questo composto nelle Supplici (57), quando il coro afferma che se ci fosse un auspice interpreterebbe la loro voce come la voce della sposa di Tereo (Procne). Euripide, nelle Supplici (500), fa definire Anfiarao o;iwnosk'opoj dall’araldo. Anfiarao era dotato appunto del dono della preveggenza e prenderà parte suo malgrado alla lotta contro Tebe guidata da Polinice. Esistono poi altri composti con significati differenti: o;iwn'obrwtoj “che deve essere divorato dagli uccelli” (presente nel Vecchio Testamento, Mac. 2.9.15, etc.); o;iwn'oqrooj “emesso da uccello” (Aesch. Ag. 56); o;iwnokt'onoj “che uccide o fa strage di uccelli” (Aesch. Ag. 563), o;iwn'omiktoj “per metà volatile” (Lycoph. 595). Si nota immediatamente l’uso quasi “massiccio” che Eschilo fa di composti di o;iwn'oj e la loro forte connotazione poetica si evince anche dal fatto che Licofrone, il poeta erudita ellenistico autore dell’Alessandra, se ne serva, forse proprio alla ricerca di quel linguaggio tragico che caratterizza la sua opera. Il panorama è già abbastanza chiaro: siamo di fronte a un termine di registro elevato, che ha almeno un omologo in Omero e Euripide e più d’uno in Eschilo. Il Buck-Petersen riporta in tutto 36 composti in -qethj, che diviene pressoché un suffisso di nomen agentis. Inutile riportarli tutti, dal momento che essi, a parte il nostro, non appaiono in contesto poetico (solo una volta in Aristofane, come vedremo), ma eccone alcuni notevoli: diaq'ethj “ordinatore” (Hdt. 7.6.3), sunq'ethj “scrittore” (Plat. Leg. 722e; Paus. 10.26.1, logoq'ethj “logoteta” (Cod. Iust. 10.30.4.2 etc.), ;aqloq'ethj “atloteta” (Plat. Leg. 764d etc.), qesmoq'ethj “tesmoteta”(Aristoph. Ve. 775, etc.) ; etc. 147 o;iwnoq'etaj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Aristofane si serve del termine qesmoq'ethj mutuandolo dal linguaggio giuridico in una commedia, le Vespe, tutta incentrata sui processi. Quel che colpisce è l’uso che Sofocle fa all’interno di un coro tragico di un termine che ha un suffisso per così dire istituzionalizzante ed è per di più uno hapax. L’o;iwnoq'ethj è sì l’augure, ma un augure ufficialmente riconosciuto. Le parole del primo stasimo vanno soppesate senza perdere di vista l’evoluzione del coro nel corso del suo ragionamento logico. Nella prima coppia strofica tutto è incentrato sull’oracolo e sull’ “uomo sconosciuto”, e i lapsus del coro che, come abbiamo visto, utilizza le espressioni p'oda nwm^an, ma soprattutto mel'e_ podì, sembrano suggerire agli spettatori il nome di Edipo. Nella seconda coppia strofica si comprende che l’ipotesi che il colpevole dell’omicidio (e non solo) sia Edipo è un pensiero terribile, da sottolineare con quelle potentissime ripetizioni espressive che Sofocle inserisce con rara arte: Deinà mèn o%un, deinà. Questi pensieri terribili derivano ovviamente dalle parole di Tiresia, che viene definito appunto sofòj o;iwnoq'etaj. La definizione che il coro dà dell’indovino sembra essere fin troppo solenne e ci si potrebbe domandare persino se non sia mossa da un intento ironico, ma in realtà si comprende agevolmente che sofòj o;iwnoq'etaj è piuttosto dettato dalla cautela e dal rispetto che il coro vuole mostrare, quasi ostentare verso Tiresia per poter poi anche mettere in dubbio la sua parola. Il coro sottolinea la sua indecisione, insinua subito con arte un argomento, pur vago, in difesa di Edipo, dice cioè di non aver mai sentito di una lite tra Edipo e Laio. Nell’antistrofe il coro esordisce con una devota affermazione dell’onniscienza di Zeus e Apollo cui segue una molto meno devota osservazione sull’indovino, che non è più un sofòj o;iwnoq'etaj, ma semplicemente un ;andr^wn m'antij, cioè “un indovino tra gli uomini”, che non è detto che valga più di lui. 148 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle o;iwnoq'etaj In questa antistrofe inoltre, osserva Longo158, si può notare che “la omologazione sof'ia-t'ecnh, in cui la sof'ia è considerata non più che una specie di t'ecnh, è del resto comune nella cultura del V secolo”. Credo che in questa chiave vada letto dunque il nostro hapax: esso favorisce la anticlimax del rispetto verso l’indovino o, se si preferisce, la climax dei dubbi del coro. Si passa da uno stato di grande titubanza e di ossequio a un’esternazione quasi piccata nei confronti dell’indovino. La sfiducia del coro verso gli indovini non arriverà mai però a quegli eccessi di dileggio che percorrono il dialogo tra Edipo e Giocasta (v. 709, vv.857-859) e che saranno oggetti di una reprimenda del coro stesso. 158 Longo 2007, p. 178. 149 : d'upolij h Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle : d'upolij v. 509 h Fanerà gàr ;ep’a;ut^_ pter'oess’%hlte k'ora pot'e, kaì sofòj #wfqh bas'an_ q’:hd' hd'upolij< polij t^_ pròj ;em^aj frenòj o#u- 510 pot’;ofl'hsei kak'ian. Traduzione Paul Mazon Ce qui demeure manifest, c’est que la Vierge ailée un jour s’en prit à lui, et qu’il prouva alors et sa sagesse et son amour pour Thèbes. Et c’est pourquoi jamais mon cœur ne lui imputera un crime. Traduzione Dario Del Corno Abbiamo visto tutti, quando la vergine alata venne contro di lui: apparve allora la sua sapienza, e l’amore della città. Mai nel mio cuore lo incolperò di un delitto. Traduzione Guido Paduano Alla luce del sole venne un tempo contro di lui la fanciulla alata, e allora si è dimostrato saggio e amico della città; per conto nostro non gli possiamo rivolgere nessuna accusa. Traduzione Edoardo Sanguineti Perché addosso, visibile, gli è venuta la vergine alata, una volta: è stato visto sapiente, alla prova e dolce alla città. E mai, così, la mia mente lo accuserà di un peccato. Traduzione Salvatore Quasimodo Per lui fu chiara un tempo la vergine alata, e allora apparve sapiente e degno alla città. Quindi per me non può essere malvagio. Traduzione di Maria Grazia Ciani Un tempo, quando la fanciulla alata si avventò contro di lui, sotto gli occhi di tutti, abile si mostrò alla prova e recò gioia alla nostra città. Per questo, nel mio cuore, non potrò mai accusarlo di un’azione infame. 150 : d'upolij h Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle hd' :hd'upolij v. 509 Longo159 dà al composto un valore attivo, “che reca gioia alla città”, e non dunque “gradito alla città”. Jebb160 intende invece questo termine come :and'anwn t^+ p'olei “che piace alla città” e osserva che sarebbe costruito in analogia con composti come fil'opolij=fil^wn t`hn p'olin o ;orq'opolij=;orq^wn t`hn p'olin (Pind. O. 2.7), mentre l’:uy'ipolij di Ant. 370 sarebbe analogo ma non esattamente sovrapponibile perché significherebbe :uyhlòj ;en p'olei e non :uyhl`hn p'olin #ecwn. Si pone un primo problema ermeneutico di fronte al termine bas'an_. Jebb è convinto che vada legato a :hd'upolij, Dawe161 che sia meglio riferirlo a sof'oj, Longo lo riferisce a entrambi. Il b'asanoj è la “prova”, Edipo si dimostrò saggio e/o caro alla città dandone prova. Prima di tornare su b'asanoj analizziamo più attentamente ;hd'upolij. Sia il primo che il secondo membro hanno avuto enorme fortuna in composizione, perché sono entrambi termini comuni, fanno parte del vocabolario di base. I composti nominali con :hd'uj al primo membro sono oltre cinquanta, ma di questi solo due compaiono già in Omero: :hduep'hj ed :hd'upotoj. Il primo lo abbiamo già incontrato ed è in Il. 1.248 ed è un epiteto di Nestore “dalla dolce parola”, il secondo in Od. 2.340 è riferito al vino “piacevole da bere” della dispensa di Odisseo, dove Telemaco, che progetta un viaggio a Sparta e a Pilo, si reca per chiedere a Euriclea di preparargli anfore di vino e otri di farina, ma è detto anche del vino di Nestore (3.391) e di quello che Telemaco vuole offrire ai compagni in ricompensa tornato da Sparta (15.509). 159 Longo 2007, p. 179. Jebb 1893, p. 77. 161 Dawe 1982, p. 118. 160 151 : d'upolij h Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Più semplice classificare il primo, che è un Possessivkompositum, sul secondo non è molto facile pronunciarsi: Risch162 lo colloca tra i nomi a secondo elemento verbale, domandandosi se non sia un antico possessivo. In ogni caso la sintassi interna di :hd'upolij si distingue da quella di entrambi i composti omerici e in generale nessun composto in :hd'uj è assimilabile. Jebb, l’abbiamo visto, osserva che :hd'upolij è piuttosto costruito come altri composti in p'olij il cui primo membro sarebbe riconducibile a un significato verbale più che attributivo. Certamente valido è l’esempio, già citato, di fil'opolij, che troviamo in Pindaro (O. 4.16), Eschilo (Sept. 176), Euripide (fil'optolij Rh. 158) e Aristofane (Pl. 726, 900, 901, Lys. 547). In Pindaro colei che ama la città è l’:asuc'ia, cioè la “pace”, ancor più evidente è l’idea di azione verbale attiva in Eschilo, dove il coro affida la città agli dei perché non venga espugnata da un esercito di lingua straniera e dimostrino dunque di amarla, qui poi il parallelo con l’Edipo re è più immediato, poiché sia gli dei sia Edipo avrebbero un ruolo salvifico, rispettivamente nel passato e nel presente, nei confronti di Tebe. Questa assimilazione di Edipo a un dio per la città è molto ben presentata da Knox163, che cita lo scolio al v. 16 e in particolare si sofferma sull’espressione bwmo^isi to^ij so^ij: “They come to the altars built in front of the palace as to the altars of a god”: e cosa è in fondo l’Edipo re se non la storia della dedivinizzazione di un uomo che si era illuso di poter sfuggire al suo destino?! Altro esempio citato da Jebb è ;orq'opolij sempre in Pindaro (O. 2.7), attributo di Terone, tiranno di Agrigento “che rettamente dirige la città”. In Omero troviamo un composto che si avvicina al nostro nel senso, ma non per la sintassi interna, ad esempio il composto a primo membro verbale :rus'iptolij 162 163 Risch 1937, p. 189. Knox 1957, p. 159. 152 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle : d'upolij h (o ;erus'iptolij) in Il. 6.305, tanto qui quanto in Eschilo (Sept. 130) riferito ad Atena “protettrice della città”. Certo è che il termine p'olij così ricco di significato per la Grecia, è molto presente nei composti utilizzati dai tre tragici ed è spesso al centro di una riflessione importante. Così il termine #apolij riassume la condizione di Edipo in OC 1357 ed è parte integrante dell’accusa che Edipo rivolge al figlio Polinice, che, in questa versione del mito, l’avrebbe allontanato da Tebe e privato dunque della patria. Nell’Antigone poi (v. 370) #apolij, in contrasto con :uy'ipolij (“che ha una posizione di riguardo nella città”), nel celebre primo stasimo, è l’uomo “che si congiunge al male”. #apolij si definisce Filottete nell’omonima tragedia (v. 1018). Non va inoltre dimenticato il p'olij ;apolij di Aesch. Eum. v. 457, con il quale Oreste descrive Troia dopo il passaggio dei Greci e di suo padre Agamennone in particolare. L’ :el'epolij è in Eschilo (Ag. 689) come in Euripide (IA. 1476, 1511) colei “che distrugge la città”. Sempre centrale è il termine :om'optolij in Ant. 733, poiché è un aggettivo riferito da Emone al le'wj, il popolo che non è concorde nel definire “malvagia” Antigone (o#u fhsi Q'hbhj t^hsd’ :om'optolij le'wj). Questi dati ci portano a riflettere sul fatto che, particolarmente nell’Atene del V sec., un composto che incorporasse in sé la parola p'olij164 dovesse essere di per sé alquanto significativo. A questa prima osservazione dobbiamo aggiungere che :hd'upolij ha una costruzione particolare, per cui pur avendo un primo membro aggettivale ha un valore piuttosto assimilabile a quello dei composti a primo elemento verbale. 164 Sull’importanza dell’uso di questo termine nell’Edipo re e in particolare in questo stasimo cfr. Budelmann 2000, p. 219s. 153 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle : d'upolij h Quanto al bas'an_ da cui si era partiti, questo valore attivo del composto sembra avvalorare l’ipotesi che esso si riferisca al nostro hapax, anche perché, come già abbiamo visto, gli hapax si trovano spesso quando un personaggio cerca di rafforzare una propria dimostrazione. Il b'asanoj, che è poi l’argomento più forte su cui si appoggia il coro, è la vittoria di Edipo sulla Sfinge, e quel che più importa non è tanto la sof'ia di Edipo, che semmai è stata uno strumento, quanto l’effetto sulla città, che poi è un argomento forte almeno quanto la sua sof'ia per salvarlo dalle accuse. D’altronde è il punto di vista della p'olij che viene espresso per mezzo del coro in questo momento e la p'olij non può che essere riconoscente ad Edipo per quanto ha fatto e rifiutare l’idea che egli sia la causa della piaga che la sta affliggendo. Questo hapax fa un po’ pendant con quelli del v. 384 a;itht'oj e e;isece'irisen. In quel momento Edipo stesso tira in ballo la p'olij per ricordare la gratitudine nei suoi confronti, ma soprattutto la spontaneità con la quale ha posto il potere nelle sue mani senza che lui lo avesse richiesto, motivo in più per non considerare attendibili le parole di Tiresia che lo vorrebbero regicida. Dobbiamo dunque porre questo hapax tra quelli che descrivono il rapporto di Edipo con la città e il potere e che contribuiscono alla dimostrazione della sua innocenza, o quantomeno dell’innocenza del suo ‘peccato’. 154 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e#useptoj e#useptoj v. 864 Co. e#i moi xune'ih f'eronti mo^ira tàn e#usepton :agne'ian l'ogwn #ergwn te p'antwn, *wn n'omoi pr'okeintai 865 :uy'ipodej, o;uran'ian Di’ a;iq'era teknwq'entej, *wn # Olumpoj pat`hr m'onoj, o;ud'e nin qnatà f'usij ;an'erwn #etikten, o;udè m'hpote l'aqa katakoim'as+< 870 m'egaj ;en to'utoij qe'oj, o;udè ghr'askei. Traduzione Paul Mazon Ah ! Fasse le Destin que toujours je conserve la sainte pureté dans tous mes mots, dans tous mes actes. Les lois qui leur commandent siègent dans les hauteurs : elles sont nées dans le céleste éther, et l’Olympe est leur seul père ; aucun être mortel ne leur donna le jour ; jamais l’oubli ne les endormira : un dieu puissant est en elles, un dieu qui ne vieillit pas. Traduzione Dario Del Corno Che il fato mi conceda di serbare sacra purezza in ogni parola e in ogni azione, come esigono le leggi supreme, generate nell’alto dei cieli: unico padre loro è l’Olimpo, ed a crearle non fu natura mortale di uomini, né mai giaceranno nell’oblio: in sé hanno un dio grande, senza tempo. Traduzione Guido Paduano Traduzione Salvatore Quasimodo Possa il destino conservarci la santa purezza nelle parole e Oh, il fato mi conceda, nelle opere, secondo le leggi eccelse, generate nel cielo, di in ogni parola e nelle opere, cui l’Olimpo è unico padre; non sono nate da stirpe la mia sacra purezza mortale, e non c’è oblio che possa seppellirle. In esse si secondo le leggi supreme rivela la grandezza del dio, che non invecchia. create nell’alto cielo, il cui unico padre è l’Olimpo: non furono dettate da discendenza mortale, e mai su esse potrà il sonno dell’oblio. In esse c’è Dio grande che non invecchia mai. Traduzione Edoardo Sanguineti Traduzione di Maria Grazia Ciani Oh, se ci sarà, per me, la sorte di ottenere La sorte mi conceda sempre la sacra innocenza di tutte purezza e devozione le parole e le opere! Così stanno le leggi, di parole e di azioni: alte sopra i loro piedi, generate su di esse vegliano le leggi attraverso l’etere celeste: e l’Olimpo, altissime, generate di quelle è il solo padre: nell’etere celeste. e la mortale natura degli uomini Loro padre è l’Olimpo, non le ha generate, e mai non sono nate la dimenticanza le addormenta: dalla stirpe mortale un grande dio sta in quelle, e non invecchia. degli umani. Il sonno dell’oblio mai scenderà su di loro. Grande vive in esse un dio che non invecchia. 155 e#useptoj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e#useptoj v. 864 Il secondo stasimo è stato oggetto di moltissime riflessioni165. Questo canto corale è tanto denso di significato che Winnington Ingram riesce attraverso di esso ad entrare nel vivo dell’intera tragedia e persino nella visione sofoclea più in generale. È il famoso stasimo di !ubrij fute'uei t'urannon e poi ancora dell’impressionante disorientamento del coro: t'i deî me core'uein> Havelock poi lo descrive forse nella maniera più chiara, dicendo che questo secondo stasimo responds to the premature confidence expressed by Oedipus and Jocasta- and especially Jocasta- that they have outwitted the oracles addressed to them. This time it is not a supplication or imprecation, but deprecation, a solemn litany designed to avert what might be dangerous- namely skepticism or impiety at expense of powerful god (Havelock 1986, p 509). In quest’atmosfera di rimprovero era quasi inevitabile che il coro ponesse l’attenzione in qualche modo sull’ e;us'ebeia, in contrapposizione alle parole dette da Giocasta ed Edipo nell’episodio subito precedente (in particolare vv. 857-859). L’unicismo che qui analizziamo va precisamente in queste senso: e#useptoj “piena di rispetto”, riferito all’ :agne'ian l'ogwn/ #ergwn te p'antwn che il coro augura a se stesso, suona come un monito per lo spettatore e contribuisce ad offrirgli un codice etico in cui il ruolo dell’umano e del divino sono ben definiti. Scrive Winnington Ingram a questo proposito: Purity (:agne'ia) is especially a matter of deeds, of acts (which, irrespective of motive, can automatically render a man impure); it is impossible not to recall the word ‘impure’ (#anagnoj, 823), which Oedipus 165 Cfr. Winnington Ingram 1980, pp. 179-204; Anderson 1965, pp. 39-41; Müller 1967, pp.269-291; Hölscher 1975, pp. 376-393; Scodel 1982, pp. 214-223; Carey 1986, pp.175-9; Gellie 1964, pp. 113-123; Sidwell 1992, pp. 106-22. 156 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e#useptoj applied to himself. Piety (e;us'ebeia) can be a matter of deed or word. Here e#useptoj (‘wellreverencing’) will remind us of the ‘impiety’ of Jocasta towards oracles; and stem is picked up twice (886, 898f.) in the closing stanza. The combination of e#useptoj :agne'ia, moreover, echoes the apostrophe of Oedipus to ‘pure and awful gods’ (%w qe^wn :agnon s'ebaj, 830). The gods are themselves pure (:agno'i), and they demand reverence (s'ebaj). And now the words of Oedipus and Jocasta have diffused an atmosphere of impurity and impiety, vague and hard to seize. The Chorus is disquieted and prays for pious purity. (Winnington Ingram 1980, p. 186) Nel nostro composto il primo membro è evidentemente, come spesso e;u-, rafforzativo e già in questo si può leggere il desiderio che Sofocle ha di insistere sull’idea di “rispetto per gli dei”, in quella che è una tensione etico-religiosa di tutto il suo teatro. Dawe166 osserva che il secondo membro del composto sarebbe scelto, “come spesso in poesia”, per la sua quasi sinonimia con il sostantivo che qualifica, ma lo studioso rileva anche, cosa più interessante, il richiamo interno allo stasimo stesso e#useptoj/ #aseptoj (v. 890): kak'a nin !eloito mo^ira/dusp'otmou c'arin clid^aj,/ e;i m`h tò k'erdoj kerdane^i dika'iwj/kaì t^wn ;as'eptwn #erxetai (“mala sorte lo colga!/ Sciagurata è la sua ricchezza/ se non guadagnerà secondo giustizia/ se compirà azioni empie). Anche in questo caso è di grande aiuto il Buck-Petersen per approfondire i composti con -septoj come secondo elemento. In Eschilo, Eum. 1038, leggiamo per'isepta, che Medda traduce “solennemente venerate”, in riferimento ovviamente alle Erinni ormai divenute Eumenidi. In questo esodo di Eschilo apparentemente siamo di fronte a un neologismo, ma al di là di questo, non credo necessario ricordare quanto sia centrale il problema della “venerazione” e del rispetto della divinità nelle Eumenidi, ancor più che nell’Edipo re. 166 Dawe 1982, p. 147. 157 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e#useptoj L’unico altro passo degno di nota è Aristofane Nub. 292, in cui Socrate, con un linguaggio decisamente parodico, si rivolge alle Nuvole e poi a Strepsiade: % W m'ega semnaì Nef'elai, faner^wj ;hmo'usat'e mou kal'esantoj.# Hisqou fwn^hj !ama kaì bront^hj mukesam'enhj qeos'eptou; (“Nuvole grandemente divine, avete dunque ascoltato chi vi invoca! Ne udisti la voce, nonché il tuono sacrosantamente mugghiare?”, trad. Marzullo 20082, p. 209). Al di là dunque della diffusione di questo tipo di composti, anche a fini comici, ci interessa rilevare, più che un richiamo intertestuale a Eschilo, che è rischioso supporre, l’antitesi interna e#useptoj/ #aseptoj, importante nella dialettica tra divino e umano, tra scetticismo e riaffermazione del rispetto verso la divinità. 158 : y'ipouj u Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle : y'ipouj v. 866 u Co. e#i moi xune'ih f'eronti mo^ira tàn e#usepton :agne'ian l'ogwn #ergwn te p'antwn, *wn n'omoi pr'okeintai 865 :uy'ipodej, uy' podej o;uran'i= Di’ a;iq'era teknwq'entej, *wn # Olumpoj pat`hr m'onoj, o;ud'e nin qnatà f'usij ;an'erwn #etikten, o;udè m'hpote l'aqa katakoim'as+< 870 m'egaj ;en to'utoij qe'oj, o;udè ghr'askei. Traduzione Paul Mazon Ah ! Fasse le Destin que toujours je conserve la sainte pureté dans tous mes mots, dans tous mes actes. Les lois qui leur commandent siègent dans les hauteurs : elles sont nées dans le céleste éther, et l’Olympe est leur seul père ; aucun être mortel ne leur donna le jour ; jamais l’oubli ne les endormira : un dieu puissant est en elles, un dieu qui ne vieillit pas. Traduzione Guido Paduano Possa il destino conservarci la santa purezza nelle parole e nelle opere, secondo le leggi eccelse, generate nel cielo, di cui l’Olimpo è unico padre; non sono nate da stirpe mortale, e non c’è oblio che possa seppellirle. In esse si rivela la grandezza del dio, che non invecchia. Traduzione Edoardo Sanguineti Oh, se ci sarà, per me, la sorte di ottenere la sacra innocenza di tutte le parole e le opere! Così stanno le leggi, alte sopra i loro piedi, generate attraverso l’etere celeste: e l’Olimpo, di quelle è il solo padre: e la mortale natura degli uomini non le ha generate, e mai la dimenticanza le addormenta: un grande dio sta in quelle, e non invecchia. Traduzione Dario Del Corno Che il fato mi conceda di serbare sacra purezza in ogni parola e in ogni azione, come esigono le leggi supreme, generate nell’alto dei cieli: unico padre loro è l’Olimpo, ed a crearle non fu natura mortale di uomini, né mai giaceranno nell’oblio: in sé hanno un dio grande, senza tempo. Traduzione Salvatore Quasimodo Oh, il fato mi conceda, in ogni parola e nelle opere, la mia sacra purezza secondo le leggi supreme create nell’alto cielo, il cui unico padre è l’Olimpo: non furono dettate da discendenza mortale, e mai su esse potrà il sonno dell’oblio. In esse c’è Dio grande che non invecchia mai. Traduzione di Maria Grazia Ciani La sorte mi conceda sempre purezza e devozione di parole e di azioni: su di esse vegliano le leggi altissime, generate nell’etere celeste. Loro padre è l’Olimpo, non sono nate dalla stirpe mortale degli umani. Il sonno dell’oblio mai scenderà su di loro. Grande vive in esse un dio che non invecchia. 159 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle : y'ipouj u :uy' uy'ipouj v. 866 Composto dall’avverbio !uyi, “in alto”, e dal sostantivo po'uj, “piede”, questo unicismo si colloca nella prima strofe del secondo stasimo. Siamo di fronte al secondo hapax formato sul sostantivo po'uj (cfr. dein'opouj, p. 73). Se per altri termini trattati non è stato semplice determinare il grado di consapevolezza del poeta nella scelta lessicale, in questo caso possiamo affermare con certezza che l’opzione di Sofocle per un tale aggettivo è voluta e ponderata. Bisogna considerare la presenza di :uy'ipouj dettata da una forte volontà comunicativa, tanto che persino Dawe parla di “poetic flight of fancy as :uy'ipodej”, dandoci ad intendere che il poeta potrebbe aver creato appositamente questo aggettivo. Qui nel secondo stasimo, questo termine si inscrive perfettamente in quella reazione (mai vocabolo fu più adatto) del coro rispetto a quanto è stato sostenuto nell’episodio precedente da Edipo e Giocasta. La regina ha espresso la sua perplessità nei confronti degli oracoli: !wst’o;ucì mante'iaj g’ $an o#ute t^+^ d’;eg`w/ bl'eyaim’$an o!unek’o#ute t+d’ $an !usteron (vv. 857 s. “Come per un vaticinio d’ora in poi io non volgerei lo sguardo né di qua, né di là!”). Edipo di fronte allo scetticismo di Giocasta ha risposto: kal^wj nom'izeij “Pensi bene”. Più tenue è la conferma di Edipo al v. 986, in cui, pur dando ragione a Giocasta che sostiene il ruolo del caso nelle vicende umane, esprime timori in riferimento all’oracolo, poiché la ‘madre’, Merope, è ancora in vita a Corinto. Ovviamente tutto lo scetticismo di Edipo, la sua “matematica” come scrive Longo, l’abbiamo potuta vedere in azione contro Tiresia nel primo episodio, ma le parole di Edipo in quel contesto erano dettate da ira e erano rivolte particolarmente contro gli interpreti degli oracoli più che contro gli oracoli (vv. 393-6). 160 : y'ipouj u Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Winnington Ingram, nel già citato saggio167, è convinto prima di tutto che il coro stia reagendo a quanto detto nell’episodio precedente dai personaggi e poi intravede quel gioco di parole che nasconde qualcosa di molto più profondo tra O;id'ipouj e :uy'ipouj. Se si accetta che Sofocle abbia voluto indicare qualcosa con questo gioco intorno alla parola po'uj, il discorso può farsi interessantissimo. Lo stesso Winnington Ingram si richiama a Knox168 e a Vernant169. Il primo aveva anche messo in evidenza le acrobazie di Sofocle intorno al nome O;id'ipouj, in particolare ai vv. 924-926, il secondo scriveva parole che vale la pena riportare, anche per capire l’importanza di dein'opouj precedentemente analizzato: Poús: le pied- marque imposée de la naissance à celui dont le destin est de finir comme il a 170 commencé, en exclu, semblable à la bête sauvage que son pied fait fuir , que son pied isole des 171 humains, dans l’espoir vain d’échapper aux oracles , poursuivi par la malédiction au pied terrible 172 173 pour avoir enfreint les lois sacrées au pied élévé , et incapable désormais de se sortir 174 le pied des maux où il s’est précipité en se hissant au faîte du pouvoir . Toute la tragédie d’Œdipe est donc comme contenue dans le jeu auquel se prête l’enigme de son nom. (Vernant 1972B, p. 113) Basterebbero le osservazioni di Knox e la rassegna di Vernant per comprendere appieno quanto questo nomen omen di Edipo abbia pesato nel gioco drammaturgico, è il caso di dirlo, messo in piedi da Sofocle. La bibliografia relativa a questo stasimo è in realtà molto più vasta, quasi incontenibile, perché è vero quel che dice Scodel: “Perhaps the only point on which almost all scholars agree is that the ode is critical to understanding the play” (Scodel 1982, p. 214). Senza però troppo girare intorno al problema specifico che investe :uy'ipodej 167 Winnington Ingram 1980, 179-204. Knox 1957, pp. 182-184. 169 Vernant 1972, pp. 113s. 170 v. 467 fugÙ p'oda nwm^an. 171 v. 479 m'eleoj mel'e_ podì chre'uwn 172 v. 418 dein'opouj ;ar'a. 173 v. 866 :uy'ipodej. 174 v. 878 #enq’o;u podì crhs'imw. 168 161 : y'ipouj u Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle chiediamo subito e ancora una volta in prestito a Winnington Ingram qualche parola: They are :uy'ipodej, [...] their feet move on high, which is the natural place, since they are not of ‘mortal nature’ like all the children of men- and like Oedipus. (Winnington Ingram 1980, p.188) È chiarissimo allora che possiamo leggere questo termine prima di tutto, come già altre volte, da un punto di vista del linguaggio teatrale, della comunicazione nella relazione che il drammaturgo deve stabilire con il suo pubblico, e non solo. È utile soffermarsi e riflettere anche sullo svolgimento degli agoni drammatici ad Atene175. Il concorso tragico prevedeva tre giorni in cui venivano presentate agli spettatori nove tragedie (e tre drammi satireschi). Oltretutto le tragedie riproponevano miti che erano già notissimi all’uditorio, o almeno noti. Prendiamo il caso della vicenda di Edipo. Questo mito era stato già messo in scena nel 467 a. C. da Eschilo, che vinse il primo premio con la tetralogia: Laio, Edipo, I sette a Tebe più il dramma satiresco La sfinge. Bisognava far apprezzare la grandezza della propria opera ai dieci giudici delle tribù ateniesi, era opportuno essere originali (non nel senso moderno del termine), era cioè necessario far apprezzare la propria lettura del mito, attraverso la scelta delle varianti, la loro ricomposizione e spesso relazionandosi con la storia contemporanea. Tuttavia nei tre giorni degli agoni tragici la lotta era sufficientemente equilibrata. Con un coro a disposizione e la possibilità di rappresentare tutta la tetralogia, la sfida era comunque tra tre poeti e, ferma restando la necessità di essere acclamati da un pubblico variegato e quindi di una costruzione e di un linguaggio quanto più incisivi e adatti alla dizione, alla performance, l’impresa non era poi impossibile. Certo però non si può 175 2 A questo proposito rimando a Pickard Cambridge (1968 ); Di Benedetto-Medda (1997); Di Marco (2000). 162 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle : y'ipouj u dimenticare che le tetralogie presentate agli agoni tragici erano il frutto di una preselezione operata dall’arconte eponimo176. I poeti che volevano coròn a;ite^in, dovevano leggere dei brani delle loro opere (forse dei passi lirici) all’arconte. La preselezione era più difficile della selezione stessa: da un lato c’era un problema di censura preventiva, dall’altro anche quello di far comprendere da uno specimen il valore dei loro testi. Sarebbe interessante, se si avessero più dati a disposizione, riflettere anche su queste preselezioni per poter forse capire di quanti strumenti avesse bisogno il poeta per rendere le proprie tragedie potenti ed efficaci, capaci di immediatezza. Ciò detto veniamo più chiaramente allo hapax :uy'ipodej. Questa che mi sembra di poter ormai chiamare ‘invenzione’ lessicale sofoclea contribuisce a creare uno stasimo cruciale, critical come diceva Scodel (a scanso di equivoci è bene ripetere che questo studio non intende dimostrare che gli hapax, sarebbe assurdo, siano il solo strumento o lo strumento principale attraverso cui il poeta fa passare al pubblico i temi portanti e le intenzioni scenico-recitative della sua tragedia, ma che essi contribuiscono a formare un quadro comunicativo molto complesso). Sicuramente un secondo stasimo così costruito poteva essere un pezzo forte da presentare all’arconte con successo. Già di per sé :uy'ipodej non passa inosservato e Sanguineti lo mostra come meglio forse è possibile fare in traduzione: “Così stanno le leggi, alte sopra i loro piedi”. Queste leggi “altipede” sono fatte di materia celeste, sono divine e non umane. Questo dato è basilare. Sofocle crea un dualismo tra un piede che sta “in alto” (!uyi), cioè celeste, e uno mortale cui avviene quanto descritto nell’antistrofe: 176 Cfr. Demont-Lebeau 1996, p. 39. 163 : y'ipouj u Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ! Ubrij fute'uei t'urannon< !ubrij, e;i La superbia produce il tiranno: e la superbia, poll^wn :uperplhsqØ m'atan che follemente di molte cose di gonfia, !a mÕ ƒp'ikaira mhdè sumf'eronta 875 che non sono né opportune né convenienti, ;akrot'atan e;isanab^as’ 876 è salita sopra un altissimo vertice, ;ap'otomon #wrousen e;ij 877 si è gettata in una stretta scoscesa, ;an'agkan, #enq’o;u podì crhs'im_ dove non può utilizzarlo, cr^htai. Tò kal^wj d’#econ p'olei p'alaisma m'hpote l^usai qeòn a;ito^umai< 880 qeòn o;u l'hxw potè 881 prost'atan #iscwn. il suo piede, come utile. Ma io prego il mio dio di non scioglierlo mai, lo sforzo che fa bene alla città: non smetterò mai di tenerlo, come il mio patrono , il mio dio. Il primo verso dell’antistrofe è oggetto di una querelle impressionante, che vede un partito di ! Ubrij fute'uei t'urannon e uno di ! Ubrin fute'uei turann'ij, congettura proposta da Blaydes e accettata da molti editori. Qui riportiamo la lezione dei codici e in ogni caso è il secondo !ubrij che ci interessa. Quest’!ubrij altro non è che l’arroganza di Edipo (e in parte di Giocasta), l’arroganza di chi vuole camminare in domini che non gli competono. L’intelligenza di Edipo cammina con piede incerto negli spazi di un destino superno e ineludibile. Il nostro protagonista di fronte al destino ha i piedi gonfi, mentre le leggi degli dei hanno piedi che stanno in alto, al di sopra delle intelligenze umane. Ecco allora che il nostro unicismo si inscrive in un disegno di espressività scenica e di antitesi interna allo stasimo, divenendo parte anche della figura etimologica: (O;id'ipouj), ;uy'ipodej, podì. 164 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ceir'odektoj ceir'odektoj v. 900 O;uk'eti tòn #aqikton e%imi g^aj ;ep’;omfalòn s'ebwn, o;u’;ej tòn ;Aba^isi na'on, o;udè tàn ;Olump'ian, e;i m`h t'ade ceir'odeikta 900 p^asin :arm'osei brot^oij. Traduzione Paul Mazon Non, je n’irai plus vénérer le centre auguste de la terre, je n’irai plus aux sanctuaires ni d’Abae ni d’Olympie, si tous les humains ne sont pas d’accord pour flétrir de telles pratiques. Traduzione Dario Del Corno Non andrò più riverente all’ombelico sacro della terra, né al tempio di Abe, né ad Olimpia, se tutti gli uomini non decideranno d’accordo di aborrire questi fatti. Traduzione Guido Paduano Non andremo più a venerare il sacro centro del mondo, non al tempio di Abe, non a Olimpia, se l’ordine di questi eventi non apparirà manifesto agli occhi di tutti gli uomini. Traduzione Edoardo Sanguineti Non andrò più, a venerarlo, mai l’intoccabile ombelico della terra, né il tempio di Abe, né Olimpia, se queste cose non si verificano evidenti per tutti i mortali. Traduzione Salvatore Quasimodo Non andrò più a Delfo a pregare, né al tempio di Abe, né ad Olimpia, se i presagi sono vani. Traduzione di Maria Grazia Ciani Mai più andrò in pellegrinaggio a venerare il tempio di Apollo a Delfi, il sacro Ombelico del Mondo, e quello di Abe, e Olimpia, se tutti gli uomini non saranno concordi nel condannare questi atti mostrandoli a dito. 165 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ceir'odektoj ceir'odeiktoj v. 900 Un passo di difficile interpretazione, come si capisce anche dalle traduzioni, piuttosto ellittiche e oscure. Il composto si presenta come un aggettivo verbale il cui primo membro ha la funzione di complemento di causa efficiente. Bisogna chiarire a cosa t'ade si riferisca. Secondo Jebb e Dawe alla profezia concernente Laio, secondo Longo alle toia'ide pr'axeij del v. 905, le “simili azioni” empie elencate nella strofe 2. Chiaramente una tale precisazione ha immediate conseguenze sul nostro unicismo. Cerchiamo di procedere in senso inverso, partendo dal nostro hapax. ceir'odeiktoj, composto di ce'ir e de'iknumi, ricorda nel senso i famosi versi del V canto dell’Inferno dantesco “e più di mille/ ombre mostrommi e nominommi a dito” (v. 68), perché il senso letterale è quello di “che si può mostrare con la mano”. Ellendt (s.v.) forse offre una delle spiegazioni più chiare: ceir'odeiktoj digito monstratus. e;i m`h t'ade ceir'odeikta p^asin :arm'osei broto^ij OR 901 ch. Persuasum chorus habet oraculi veracitatem ostensum iri. Quindi il coro penserebbe alla veridicità dell’oracolo come a qualcosa che dovrà essere mostrata manifestamente. Ellendt è ancor più chiaro a proposito di :arm'ozw : nisi haec in manifestum exemplum cedant omnibus eventui congruentia. Sic iam schol.: e;i m`h fanerà kaì kat'adhla g'enhtai. Da un punto di vista meramente tipologico, troviamo in Omero alcuni composti di questa natura, come per esempio dor'ikthtoj (Il. 9.343), ;ArhÈfatoj (Il. 19.31), etc. 166 ceir'odektoj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Esistono poi in Eschilo due composti vicini a ceir'odeiktoj. Uno di essi, daktul'odeiktoj, si pone in un rapporto di sinonimia con il nostro hapax. Questo termine compare in un corale anapestico dell’Agamennone (v. 1332), subito prima che nella casa degli Atridi si consumi il delitto di Clitennestra e Egisto: Co. tò mèn e%u pr'assein ;ak'oreston #efu p^asi broto^isin< daktulode'iktwn d’ o#utij ;apeip`wn e#irgei mel'aqrwn “mhk'et’ ;es'elq+j” t'ade fwn^wn. CORO Della prosperità sono insaziabili tutti i mortali, e nessuno la esclude dalle stanze che si mostrano a dito vietandole l’ingresso con queste parole: “Non entrare più”. 2 Trad. Medda 1997 , p. 337 Molti critici, tra cui Fraenkel, sostengono che dobbiamo leggere daktulode'iktwn e non il participio daktulodeikt^wn, questo aggettivo si accorderebbe con mel'aqrwn, dando come risultato “dalle stanze che si mostrano a dito”, cioè “dalle stanze celebri”. Quindi qui il composto avrebbe un valore positivo, sono stanze che tutti indicano, perché abitate dalla prosperità. Altro composto eschileo il cui secondo membro coincide con quello del nostro unicismo è ;apr'osdeiktoj (Supplici 794). Il coro di supplici nel terzo stasimo, sogna un luogo in cui fuggire dal maschio indesiderato, una roccia liscia e sospesa, “che l’occhio non afferra” (Pontani), solitaria. Anche qui l’aggettivo nel contesto assume un’accezione positiva, perché la roccia “che non si può mostrare” e dunque “non si può vedere” diventa protezione per le supplici. L’uso di :arm'ozw non lascia qui senza qualche perplessità, una delle poche strade percorribili credo sia quella di dargli il senso di “unirsi”, quindi piuttosto “venire a corrispondere, venire a coincidere” e di considerare t'ade un deittico che anticiperebbe q'esfata. Ecco allora che sarebbe possibile una traduzione come: “se questi oracoli non si corrisponderanno e non saranno manifesti a tutti mortali”. 167 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ceir'odektoj Che il nostro hapax vada riferito agli oracoli, e abbia quindi un senso positivo, o vada piuttosto legato a quanto di empio ha prima enumerato il coro, e abbia in questo caso un significato negativo (l’indicare con il dito avrebbe il valore di un atto di accusa, cfr. la traduzione di Del Corno), è innegabile la sua forza espressiva, descrittiva, e nuovamente icastica. Sofocle offre una volta di più un dato visivo ad un teatro fatto principalmente di parole, in cui l’azione è più azione rituale, codificata, che azione scenica. 168 duso'uristoj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle duso'uristoj v. 1315 str. a’ Oi. I`w sk'otou n'efoj ;emòn ;ap'otropon, ;epipl'omenon #afaton, ;ad'amast'on te kaì duso'uriston “#on”. 1315 O#imoi, o#imoi m'al’a%uqij< o*ion e;is'edu m’ !ama k'entrwn te t^wnd’o#istrhma kaì mn'hmh kak^wn. Co. Kaì qa^um'a g’o;udèn ;en toso^isde p'hmasin dipl^a se penqe^in kaì dipl^a fore^in kak'a. 1320 Traduzione Paul Mazon Œdipe. – Ah ! Nuage de ténèbres ! Nuage abominable, qui t’étends sur moi, immense, irrésistible, écrasant ! Ah ! comme je sens pénétrer en moi tout ensemble et l’aiguillon de mes blessures et le souvenir de mes maux ! Le Coryphée. – Nul assurément ne sera surpris qu’au milieu de telles épreuves tu aies double deuil, double douleur à porter. Traduzione Guido Paduano ED. Mia nube orrenda di tenebre, ineffabile, indomabile, tempestosa! Ahimè, ahimè ancora! Come penetra dentro di me l’assillo dei colpi e la memoria dei mali! CORO Non v’è da meravigliarsi che in mezzo a queste angosce tu abbia doppia pena e doppio dolore. Traduzione Dario Del Corno EDIPO Ahi, mia nube di tenebra, invincibile, sconfinata, che senza pace mi copri, senza rimedio! Ahimè, ahimè come penetrano in me la punta delle ferite e la memoria dei mali! CORIFEO Non è meraviglia che in tale rovina doppio dolore tu soffri, e doppio pensiero di mali. Traduzione Salvatore Quasimodo Edipo Strofe I O nuvola nera da me odiata, come mi circondi, invincibile, senza fine. Ahimè, ahimè! Come entrano nel cuore quelle punte E il ricordo delle mie sventure! Corifeo Non ci fa meraviglia che tu soffra e sopporti più d’ una pena in questo male. Traduzione Edoardo Sanguineti EDIPO Oh, mia nuvola di tenebre, intollerabile, avvolgente, indicibile, e indomabile, e soffocante. Ahi, e ahi, ancora, come mi penetra, insieme, il pungiglione di questi assilli, e la memoria dei mali. CORO E non c’è meraviglia, che in tante pene tu peni il doppio, e sopporti doppi mali. Traduzione di Maria Grazia Ciani EDI. O, mia tenebra! Orrenda nube senza nome scesa su di me indomabile, implacabile! O mia miseria! Il morso delle ferite antiche e la memoria dei miei mali come sono penetrati in me profondamente! COR. Nessuna meraviglia: duplici sventure, doppio dolore. 169 duso'uristoj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle duso'uristoj v. 1315 Questo hapax fa parte di quei composti in dus- già presi in considerazione e analizzati da Germán Santana Henríquez nell’articolo Neologismo y creación léxica en el teatro de Sófocles : algunos compuestos con dus-177. Santana Hénriquez registra 12 hapax sofoclei su un totale di 76 composti in dus- (13 sostantivi, 54 aggettivi, 7 verbi, 2 avverbi) che compaiono nell’opera del tragediografo (per tutta la lingua greca Santana Hénriquez parla di 237 composti). Interessantissimi, insieme ai composti che compaiono raramente, tra cui il nostro hapax, sono anche quelli di cui si registrano al contrario molte occorrenze. Colpisce ad esempio il dato di un d'usthnoj impiegato 57 volte nell’opera sofoclea, o di un d'usmoroj utilizzato ben 34 volte, termini entrambi caratterizzati da un certo “peso” tragico, come lo è lo stesso prefisso dus-. Lo scolio (p.209 Papageorgiou) spiega così il nostro hapax: duso'uriston] !oron m`h #econ ;all’;aeì param'enon, dusperi'odeuton< ;ad'amastondè ;an'iaton, o & o;udeìj dam'asai dun'hsetai $h sklhròn kaì tracù ;apò to^u ;ad'amantoj. Ellendt però scrive (s.v.): “Male schol. […]; nihilo melius glossa dusper'ilhpton. Est autem ab o%uroj, quasi vento saeviter secundo advectus”. Tutto questo lascia intravvedere le difficoltà interpretative incontrate nei secoli dalla critica di fronte a questo aggettivo. Credo che a generare imbarazzi ermeneutici sia stato uno degli aspetti più affascinanti del termine, un suo paradosso interno. Se è vero, come osserva e documenta Santana Hénriquez, che spesso Sofocle accosta termini antitetici (ad esempio: t'iktousan ... d'usteknon, OT 1247s.; da'imwn … dusda'imoni, OT 1301s.), in questo caso particolare il poeta mette insieme un prefisso dal valore negativo e un verbo, o;ur'izw, che significa indubbiamente “guidare con vento 177 Santana Hénriquez 2004. 170 duso'uristoj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle favorevole”, quest’unione, probabilmente percepita come stridente, di polo positivo e negativo, è forse alla base delle interpretazioni che hanno preferito un’etimologia fondata su !oroj. Il produttivo prefisso dus- Sofocle lo utilizza significativamente in più occasioni. Se volessimo restare legati al campo semantico del vento, viene presto alla mente il verso 591 dell’Antigone: nel secondo stasimo leggiamo infatti una similitudine che investe tutta la prima strofe. La stirpe dei Labdacidi è descritta come dus'anemoi/ […] ;akta'i, come delle “rive staffilate da un vento contrario”. Anche questo vento è rappresentazione dell’intervento divino. Nell’ Edipo incontriamo due composti in dus- legati al g'enoj. Il primo è il termine dusg'eneia (v. 1079) e credo che abbia avuto un ruolo importante nelle ricerche di Vernant quando scrisse Oedipe sans complexe, perché, in effetti, Edipo suppone che Giocasta tema gli sia rivelata la sua “bassa estrazione”, scrive Vernant (1972, p. 94): “Il croit que Jocaste lui déconseille cette enquête parce qu’elle risque de révéler sa basse extraction et de faire apparaître son mariage de reine comme une mésalliance avec un vilain, le fils d’un ésclave. «Elle, laissezlà s’enorgueillir de son opulente famille (…) fière comme une femme, elle rougit sans doute de ma basse naissance» ”. Qui agisce soprattutto un’ambiguità lessicale, cara anch’essa a Vernant178, per cui la “bassa nascita” supposta da Edipo179 è intesa dal pubblico in modo ben diverso. Intimamente legato a questo termine è d'usteknoj, “sfortunato nei figli”, pronunciato al verso 1248 dal secondo messaggero, kale^i tòn #hdh L'aion p'alai nekr'on,/ mn'hmhn palai^wn sperm'atwn #ecouj’,:uf’*wn/q'anoi mèn a;ut'oj, t`hn dè t'iktousan l'ipoi/ to^ij o*isin a;uto^u d'usteknon paidourg'ian (“Ricorda il seme antico, sbarra la porta/ e invoca Laio, Laio che è morto da 178 179 Cfr. sempre Vernant 1972, pp. 99-132. Scrive la Dupont (1971, p. 31): “Le mal fondamental d’Oedipe est de mal nommer la réalité”. 171 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle duso'uristoj tempo!/ Ricorda il seme antico, che lo avrebbe ucciso/ e l’avrebbe lasciata partorire con lui/ una discendenza sciagurata”). I composti in dus- toccano anche un altro campo semantico centrale nel lessico tragico, quello della “disgrazia”, intesa come assenza di benevolenza da parte degli dei, ma ancor più come odio divino. Ne abbiamo già visto un esempio eloquente affrontando ;ecqroda'imwn, cui faceva eco il termine dusda'imwn, che nel secondo kommos (v.1302) il coro riferisce ad Edipo non appena lo vede presentarsi sulla scena con gli occhi trafitti. Nell’Elettra (v. 289) l’aggettivo d'usqeoj suona come un insulto di Clitennestra riportato dalla stessa Elettra: w % d'usqeon m'ishma, “oggetto d’odio, inviso agli dei”. V’è ancora un altro termine di cui Sofocle si serve molto, e che in effetti reperiamo in tutte e sette le tragedia superstiti. Si tratta di d'usmoroj, “infelice, dal destino sventurato”, termine che il coro, in OT 665 si attribuisce, soffrendo per i mali della sua terra. Altro composto di senso del tutto adiacente a d'usmoroj è d'uspotmoj che incontriamo nel secondo stasimo (v.888), quando il coro definisce così la clid^a, il lusso del tiranno (con possibile riferimento ad Alcibiade). Infine si può ricordare il verbo dustuc'ew, in uno dei punti più feroci dell’ironia tragica (v. 262) koin^wn te paid^wn ko'in’#an, e;i ke'in_ g'enoj/m`h dust'uchsen, %hn $an ;ekpefuk'ota (“avremmo avuto un legame di figli,/ se avesse avuto la fortuna di avere figli,/ ma fu colpito dalla mala sorte”). ll nostro hapax, benché si iscriva in questa produttiva famiglia dei composti in duj-, con i loro valori peggiorativi, si fa carico di una contraddizione profonda che caratterizza il percorso di Edipo, una strada apparentemente piena di fortuna e che è invece la sua condanna, il prezzo da pagare per riconquistare eroicamente la propria identità. 172 duso'uristoj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il verso presenta anche un “difetto” nella responsione metrica, che ha scatenato molte fantasie nei filologi. Per colmare la lacuna Hermann (1830-55)180 ha proposto di integrare il verso 1315 con “#on”, che viene accolto tra gli altri da Jebb, Lloyd-Jones, Giannachi. Più prudente Dawe non fa che indicare la lacuna con la semplice lunga “-”. Jebb osserva però che l’integrazione di Hermann ha qualcosa di debole, “weak”, e che fonicamente infastidisce, per tale ragione propone in nota di leggere duso'urist’;i'on (neutro plurale avverbiale). Nauck (1867) invece congettura dusoi'wniston “di cattivo augurio”, mentre Blaydes (1859-75) propone il mai attestato dusexo'uriston “difficile da allontanare dal confine”. Questi interventi, pur suggestivi, appaiono decisamente invasivi. Ci si può domandare se sia davvero necessario restituire una responsione perfetta o se non ci si possa accontentare di una responsione: due docmi che rispondono a docmio + docmio catalettico. Il docmio catalettico che risulterebbe dal testo dei codici è  - - -, che Gentili-Lomiento181 registrano citando l’esempio di Eur. Hypsip. Fr. 759a 1624 Kannicht= Fr. 64 II + 91 + 115,46 Cockle= Fr. 64, 103 Bond182. Sulla questione dell’ idolon responsionis183 è efficamente intervenuta la Andreatta184. Ma tornando al problema dell’interpretazione semantica, trovo molto rispondente la traduzione accennata, sulla scorta di Ellendt, da Longo (p. 292 ad loc.): “spinto da un vento infaustamente favorevole”. Un vento che sarebbe favorevole alla “nuvola di tenebra” e infausto ad Edipo evidentemente. L’uso metaforico di o%uroj ha alcuni precedenti. Prendiamo un significativo 180 181 182 Su Hermann “normalizzatore” cfr. Medda 2006. Gentili-Lomiento 2003, p. 240. Bond 1963 p. 127, che però cita anche Jackson 1955, p. 39, il quale scandisce Tessier 2007. 184 Andreatta 2007.  -  -. 183 173 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle duso'uristoj passo eschileo dei Sette a Tebe (689ss.) in cui Eteocle afferma: ;epeì tò pr^agma k'art’;episp'ercei qe'oj,/ #itw kat’o%uron, k^uma Kwkuto^u lac'on,/ Fo'ibwi stughq`en p^an tò LaÈou g'enoj (“Poiché un dio certo sospinge gli eventi, si cavalchi secondo il vento l’onda fatale del Cocito, stirpe di Laio detestata da Febo”). Anche questo vento è tecnicamente favorevole, sfavorevole è la meta verso cui porterà Eteocle (e Polinice). In Sofocle questo vento favorevole che conduce verso epiloghi nefasti accompagna anche Deianira (Tr. 815), prorompendo dagli occhi del figlio Illo. L’ o%uroj ha spesso un’origine divina a quanto pare, sia quando esso è “vento” in senso proprio (cfr. Od. 2.420, 4.360), sia quando si tratta, come nel nostro caso, di un “vento” metaforico (cfr. Pind. O. 13.28). Una nube spinta da un vento infaustamente favorevole dunque, un vento di origine divina che favorisce Edipo nella sua eroica quanto sconsiderata volontà di conoscere se stesso fino in fondo. Come ci dice Knox, quest’avida ricerca del sé, farà di Edipo un eroe e lo porterà allo stesso tempo all’autoannientamento: So we will and do not will that he should discover the truth and destroy himself; we will it because if he gives up the search, if he turns his back on action, intelligence, and clarity by failing to resolve the riddle of his own identity, he destroys himself in any case, by ceasing to be Oedipus (Knox 1957, p. 52). 174 ;ep' ep'ipoloj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e; p'ipoloj v. 1322 Oi. ;i`w f'iloj, s'u mèn ;emòj ;ep'ipoloj #eti m'onimoj< #eti gàr :upom'eneij me tòn tuflòn khde'uwn. Fe^u fe^u< o;u g'ar me l'hqeij, ;allà gign'wskw saf^wj, 1325 ka'iper skotein'oj, t'hn ge s`hn a;ud`hn !omwj. Traduzione Paul Mazon OEDIPE –Ah! Mon ami, tu restes donc encore, toi seul, à mes côtés ? Tu consens donc encore à soigner un aveugle ? Ah ! ce n’est pas un leurre : du fond de mes ténèbres, très nettement, je reconnais ta voix. Traduzione Dario Del Corno EDIPO Ahi, amico, soltanto tu mi rimani accanto? Ancora sopporti di assistere me, un cieco? Ahi, ahimè, io so chi sei, anche se vivo nel buio, ti riconosco, conosco la tua voce. Traduzione Guido Paduano Amici che mi restate fedeli, che rimanete ad occuparvi di questo povero cieco… ahimè! Sento la vostra presenza e anche nel buio riconosco chiaramente la vostra voce. Traduzione Salvatore Quasimodo O amico, o compagno fedele, ancora resisti e prendi cura di me che sono cieco. Ahimè, ahimè! Non puoi nasconderti, anche se stretto dall’ombra, ti riconosco e odo ben chiara la tua voce. Traduzione di Maria Grazia Ciani EDI. O amico, tu mi rimani ancora, tu rimani a soccorrere il cieco. Nelle mie tenebre ti vedo, riconosco bene la tua voce. Traduzione Edoardo Sanguineti Oh, amico, tu sei il mio assistente tenace, ancora: e ancora mi rimani, a curarmi, me cieco. Uh, uh, non mi rimani nascosto, ma ti riconosco chiaramente, quantunque ottenebrato, tuttavia, te, per la tua voce. 175 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ;ep' ep'ipoloj e; p'ipoloj v. 1322 Chantraine185 parla di almeno cinquanta composti in -poloj che esprimono una attività legata alla sfera agricola, pastorale e religiosa, a parte considera però i composti con preverbo e traduce lo hapax ;ep'ipoloj “compagnon”. Non può sfuggire che nella I strofe di questo kommos Sofocle si serva del verbo ;epip'elomai, nella forma ;epipl'omenon. Il verbo ;epip'elomai è già in Omero e può indicare il sopraggiungere di una malattia (Od. 15.408 in tmesi), o l’incombere del tempo (Od. 7. 261, l’ottavo anno nell’Isola di Ogigia, l’anno della partenza di Odisseo). Non ha dunque una connotazione né decisamente negativa, né positiva. Nel caso sofocleo di n'efoj [...] ;epipl'omenoj, Mazon e la Ciani traducono “qui t’étends sur moi” e “scesa su me”, mentre Quasimodo “come mi circondi” e Sanguineti “avvolgente”, in questi due ultimi casi la traduzione sembra avvicinare molto ;epip'elomai e perip'elomai, ma credo sia preferibile restare più vicini al senso di ;epi-, con l’idea di moto a luogo “su”. In ;epip'elomai non sembrerebbe essere specificamente presente un’idea di ostilità o di vantaggio ed è piuttosto il contesto a determinarla. Venendo a ;ep'ipoloj, su di esso si è soffermata la Van Erp Taalman Kip che afferma: Oedipus calls the chorus his steadfast ;ep'ipoloj , using a substantive that occurs nowhere in Greek literature as we know it. The scholiast explains: peripol^wn ;emè kaì perim'enwn, but most modern scholars largely ignore the word. Kamerbeek, however, notes:‘;ep'ipoloj = pr'ospolojʹ. (2006, p. 40) Dopo questa osservazione la studiosa confronta ;ep'ipoloj e pr'ospoloj e nota, citando anche O.C. 1052, che i due termini, al contrario di quanto dice Kamerbeek, non sono intercambiabili. 185 DELG, p. 877. 176 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle ;ep' ep'ipoloj Pr'ospoloj, pur non essendo un doulikòn #onoma, porta generalmente in sé l’accezione della subordinazione, ed ;ep'ipoloj non sarebbe concepibile in questo contesto con una tale accezione. Il ragionamento sembra logico: sarebbe molto strano che Edipo, nella sua posizione di debolezza e necessità, sottolineasse in questo punto della tragedia il ruolo subalterno del coro, verso cui ha peraltro mostrato già molto rispetto, quando ad esempio, pregato da esso, ha risparmiato Creonte. Tutte le traduzioni qui riportate, mostrano che Edipo, qui sconvolto dai rovesci, cerchi un appoggio nel coro, e rendono ;ep'ipoloj con “amico”. Ancora Chantraine186 cita a;ip'oloj, bouk'oloj e ;amf'ipoloj tra i nomina agentis derivati da p'elomai, ed è evidente che in questo senso anche il coro è invocato da Edipo come un agente positivo nei suoi confronti e questo si desume pacificamente dal contesto oltre che dal valore di ;epi-. Ora la Van Erp Taalman Kip, pur avendo centrato la sfumatura semantica di ;ep'ipoloj, alla fine della sua discussione si mostra scettica verso questa parola sconosciuta e sarebbe felice di poter legger, insieme a Kamerbeek, ;emo^ij e; pì p'onoij. Credo che un atteggiamento critico mosso da tale diffidenza nei confronti di termini rari, pur in contesti in cui il significato è difficilmente equivocabile, sia metodologicamente sbagliato. Certamente è possibile corroborare la lezione dei codici, , osservando che ;ep'ipoloj crea una ben marcata figura etimologica con il precedente ;epipl'omenon. Se da un lato la nube dei mali scende su Edipo, dall’altro il coro gli sta vicino, lo assiste. 186 Chantraine 1979, p. 8. 177 blept'oj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle blept'oj v. 1337 Oi. T'i d^ht’;emoì bleptòn $h sterkt'on> $h pros'hgoron 1339 #et’#est’;ako'uein :hdon^=, f'iloi> 1340/1341 ;Ap'aget’;ekt'opion !oti t'acist'a me, ;ap'aget’, %w f'iloi, tòn #oleqriov m'egan, tòn katarat'otaton, #eti dè kaì qeo^ij ;ecqr'otaton brot^wn. 1345/1346 Traduzione Paul Mazon Œdipe. –Oui, que pouvais-je voir qui me pût satisfaire ? Est-il un appel encore que je puisse entendre avec joie ? Ah ! emmenez-moi loin de ces lieux bien vite ! emmenez, mes amis, l’exécrable fléau, le maudit entre le maudits, l’homme qui parmi les hommes est le plus abhorré des dieux ! Traduzione Dario Del Corno EDIPO Cosa potevo guardare con amore? Quale voce posso ancora udire che mi dia gioia, amici? Portatemi via, lontano da qui, portatemi via, presto, amici: io, la grande peste, l’uomo più dannato di tutti, in odio agli dei più di ogni altro. Traduzione Guido Paduano ED. Vedere che cosa? Amare che cosa? Sentire che cosa, che mi dia piacere? Portatemi via di qua, amici; portatemi via al più presto, sciagurato, maledetto che sono, l’uomo più in odio agli dei! Traduzione Salvatore Quasimodo Edipo Che cosa posso vedere o amare, con chi parlare, che cosa udire con gioia? Poratemi via, amici, presto, portatemi via, io sono la grande peste, io sono colui che ho maledetto, io, tra gli uomini, il più odioso agli dei. Traduzione di Maria Grazia Ciani EDI. Per me non c’è più nulla da contemplare con amore, nessuna voce da ascoltare con gioia. E allora portatemi via, portate via da questa terra il funesto, il maledetto Edipo, l’uomo più odiato dagli dei. Traduzione Edoardo Sanguineti EDIPO Che cosa c’è, dunque, di visibile, o di amabile, o di dicibile, ancora, da sentire con piacere, amici? Portatemi via, al più presto, fuori di qui, portatemi, amici, via dalla grande rovina, me, il più maledetto, e ancora, agli dei, il più odioso tra i mortali. 178 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle blept'oj blept'oj v. 1337 Terzo e ultimo hapax in forma di aggettivo verbale semplice. Anche in questo caso, e forse ancor più per un verbo tanto comune, sembra sorprendente parlare di unicismo; eppure questo effetto ottenuto dal poeta servendosi delle disponibilità morfologiche della lingua appare ben degno di nota. Edipo, nella precedente battuta del kommos ha evidenziato il ruolo che il destino e la volontà hanno giocato nella sua storia. Ora l’eroe si è accecato, ha guadagnato la chiaroveggenza sul suo passato e nell’Edipo a Colono (vv. 1518ss.) la sua nuova condizione sembrerà offrirgli un dialogo diretto con gli dei, una contropartita alla sua cecità, simile, in qualche modo, a quella di cui gode Tiresia. Anche questo unicismo rientra a pieno titolo nel campo semantico della vista, così felicemente impiegato da Sofocle in particolare nell’esodo. Molto è stato già detto a proposito degli effetti ottenuti da Sofocle nell’uso di questo campo semantico e non è il caso di ripetersi. In questo kommos la scelta di servirsi degli aggettivi verbali blept'oj e, nondimeno, sterkt'oj (che abbiamo escluso da questa ricerca, ma che, altrettanto significativo compare per la prima volta in Sofocle, per poi rimanifestarsi, molti secoli dopo, come si è detto nell’introduzione) produce un effetto emotivo molto intenso. Inutile dire che siamo di fronte ad uno dei momenti più toccanti della performance, qui metro, musica e testo dovevano probabilmente fondersi dando vita a un momento di forte tensione scenica. Voglio confrontare l’aggettivo blept'oj con blept'eon. Platone, ad esempio, si serve di quest’ultimo nelle Leggi (965d) per indicare necessità: t'i pot’#estin e;ij &o blept'eon “che cos’è mai questo, cui bisogna rivolgere lo sguardo?”. 179 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle blept'oj Chantraine, come è ben noto187, ci dice: all’aggettivo in -t'eoj, che esprime obbligo, risponde l’aggettivo in -t'oj, che esprime la possibilità. Nella domanda retorica di Edipo (t'i d^ht’;emoì bleptòn $h sterkt'on>) che poi riprende la precedente domanda t'i gàr/ #edei m’ :or^an,/ 8t_ g’ :or^wnti mhdèn %hn ;ide^in gluk'u> (vv. 1333ss., “Se non ho più nulla di bello da vedere, perché vedere ancora?”, si addensa quell’impossibilità di vedere e di amare alla quale il personaggio sente ormai di essere definitivamente votato. 187 Chantraine 1979, pp. 306ss. 180 e; pip'odioj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e; pip'odioj v. 1350 Oi. #oloiq’ !ostij %hn !oj ;agr'iaj p'edaj nom'aj ;epipod' epipod'iaj m’#elab’ ;ap'o te f'onou “m’” 1350 #eruto k;an'eswsen, o;udèn ;ej c'arin pr'asswn. T'ote gàr $an qan`wn o;uk %h f'iloisin o;ud’;emoì tos'ond’#acoj. 1355 Traduzione Paul Mazon Oedipe.- Ah! Quel qu’il fût, maudit soit l’homme qui sur l’herbe d’un pâturage, me prit par ma cruelle entrave, me sauva de la mort, me rendit à la vie ! Il ne fit rien là qui dût me servir. Si j’étais mort à ce moment, ni pour moi ni pour les miens je ne fusse devenu l’affreux chagrin que je suis aujourd’hui. Traduzione Dario Del Corno EDIPO Sia maledetto colui che mi tolse dai lacci crudeli sull’erba di quel pascolo, e mi sottrasse alla morte, e mi salvò. Il suo atto non fu certo una grazia per me. Se fossi morto allora, io e i miei cari non avremmo avuto tanto dolore. Traduzione Guido Paduano ED. Maledetto l’uomo che mi ha liberato i piedi dalla selvaggia catena e mi ha salvato dalla morte quando ero sperduto sul Citerone, non mi ha fatto che male. Se fossi morto allora non avrei recato tanto dolore ai miei e a me stesso. Traduzione Salvatore Quasimodo Edipo Muoia, chiunque sia, colui che sciolse i crudeli lacci dai piedi forati e che mi prese dai pascoli del monte, dov’ero esposto, salvandomi da morte, cosa non lieta per me. Se fossi morto allora non avrei dato dolore a me e ai miei cari. Traduzione Edoardo Sanguineti Traduzione di Maria Grazia Ciani Deve morire, chiunque è stato, quello che mi ha preso EDI. Muoia colui che mi raccolse mentre pascolavo, via dalla mia pedestre catena selvaggia, abbandonato, con ceppi ai piedi, e mi ha liberato dalla mia morte, e salvato, e non ha fatto e da quel legame mortale mi sciolse niente di gradito. e mi salvò la vita, Perché io morivo, allora, chiunque egli sia, possa morire! e non ero, per i miei amici, e per me, un così grande dolore. Non fece il mio bene: fossi morto allora non avrei procurato a me e ai miei cari così grandi pene. Traduzione Bruno Gentili Edipo Maledetto chiunque mi tolse il laccio crudele che governava i miei piedi e mi salvò liberandomi dalla morte. Un ingrato servizio mi rese! Se fossi morto allora, non avrei dato tanto dolore a me e ai miei cari. 181 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e; pip'odioj ;epip' epip'odioj v. 1350 Per poter affrontare questo hapax non si può prescindere dalla discussione di un problema critico che lo vede coinvolto. Il mondo filologico si divide di fronte ai vv. 1349s. e per maggiore chiarezza riportiamo qui l’apparato critico di Lloyd Jones- Wilson: Non tutti accettano il testo dei codici nom'adoj ;epipod'iaj. L’Elmsley corregge nom'adoj in nom'ad’(non riportato da Lloyd Jones), emendamento accettato da Longo e dalla Ciani che traduce: “Muoia colui che mi raccolse, abbandonato, con i ceppi ai piedi”. Hartung corregge nom'adoj in nom'aj (accolto da Lloyd-Jones), che sarebbe da riferirsi al pastore corinzio. Müller (congettura non riportata da Lloyd Jones) preferisce agire su ;epipod'iaj trasformandolo in ;epì p'oaj, correzione accolta anche da Dain, Dawe e Giannachi. Ma la traduzione sognata dagli interpreti, “sur l’herbe d’un patûrage”, per dirla con Mazon, ha il non piccolo difetto di pretendere da nom'aj un significato che Mazon non può che tentare di spiegare basandosi sul francese (nom'adoj ;epì p'oaj diventerebbe “sur l’herbe d’un patûrage” perché il significato attivo “che pascola” lo ritroviamo anche in espressioni francesi come “une rue passante” o “une saison navigante”). Non si tratta qui di voler salvare lo hapax a tutti i costi, ma di ragionare oggettivamente su un testo di difficile interpretazione, sul quale i codici sono più 182 e; pip'odioj Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle d’accordo di quanto lo siano gli interpreti moderni. ; Epipod'iaj dei codici è lectio difficilior, è il terzo hapax composto da po'uj che troviamo, il secondo nei cori e anch’esso, come :uy'ipouj del secondo stasimo, dà vita a una figura etimologica (qui con p'edaj). Toccare proprio ;epipod'iaj a causa della sua unicità non sembra essere una buona idea, tanto più che la responsione docmio/prosodiaco docmiaco è accettabile188 e in accordo con ;agr'iaj p'edaj il termine è spiegabile, come osservano Gentili e Sanguineti che traducono rispettivamente: “il laccio crudele che governa i piedi” e “pedestre catena selvaggia”. Battezzato (1995) inoltre mostra come p'aqea, trisillabico nella strofe, seguito da fine di periodo sia perfettamente corrispondente al testo dell’antistrofe, accettando però la congettura nom'aj di Hartung: :o kakà kakà tel^wn ;emà t'ad’;emà p'aqea u uu uu u – u uu u uu u - || nomàj ;epipod'iaj #elab'e m’ ;ap'o te f'onou u uu uu u – u uu u uu u - || Sequenza che Battezzato interpreta come docmio+docmio kaibeliano (di cui lo studioso riporta vari esempi nei tragici e anche in Sofocle Ant. 1275~1299). A proposito della correzione di ;epipod'iaj in ;epì p'oaj Battezzato (1995, pp. 91s.) scrive: “La congettura nom'adoj ;epì p'oaj (H. Müller, “Neue philologische Rundschau” 1898, 217-220, non vidi), offre un testo meno incisivo, e ha trovato meno favore, anche se è stata accolta da Dawe”. Il vero problema è nom'adoj. Chi accetta la correzione di Elmsley, nom'ada, traduce “abbandonato”. Sanguineti, invece, che evidentemente l’accetta, 188 Su questo punto confronta Gentili-Lomiento 2003, pp. 240 s.; Fileni 2004; Andreatta 1998; e lo stesso Giannachi 2009 pp. 112 s. 183 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e; pip'odioj traduce “ mentre pascolavo ”. Jebb, che offre forse la migliore tra le soluzioni, accetta nom'ada (nom'ad’), ma lo mette fra cruces e traduce “in the pastures”. Gentili omette nom'adoj, mentre coloro che lo mantengono si sentono costretti a correggere ;epipod'iaj in ;epì p'oaj e a dare a nom'adoj un senso che non ha: “pascolo”. Se è necessario correggere meglio seguire l’Hartung, al limite l’Elmsley, ma certamente non Müller. Bisogna domandarsi inoltre se non sia meglio conservare il testo dei codici. La situazione è ancor più complessa, poiché al verso 1349 t omette l’;apò di ;ap’;agr'iaj, e al verso 1350 il codice V riporta #elab'e m’, Krp #elusen, a trasmette #elusen. Tutto ciò però non cambia molto il senso, ma farà sì che alcuni, come Gentili, omettendo ;ap’ e leggendo #elab'e m’, considereranno ;agr'iaj p'edaj et ;epipod'iaj accusativi plurali (cosa che sarebbe più naturale per p'edaj), mentre dietro m’ si nasconderebbe un moi : “chiunque mi tolse/ il laccio crudele che governava i miei piedi”. Altri, come Quasimodo, preferiscono leggere #eluse e mantenere ;ap’ e dunque pensano a un genitivo: “chiunque sciolse i crudeli lacci dai piedi forati”. Il problema è molto discusso e forse irresolubile. Bollack (s.v.) propone un’interpretazione molto metaforica di nom'adoj traducendo “ la nomade!”, riferito alla catena. In ogni caso, che si considerino ;agr'iaj p'edaj e ;epipod'iaj come dei genitivi o come degli accusativi, che si legga ;ap’;agr'iaj o piuttosto ;agr'iaj, #elabe m’ oppure #eluse, nom'adoj resta il vero problema. Cerchiamo di ragionarci a partire dalla sua etimologia, da n'emw. Se nom'aj significa “ che erra alla ricerca di pascoli ” può indicare o un pastore (Chantraine registra il maschile plurale come “bergers, nomades ” ) o un animale. Se si desse a nom'adoj questa accezione potremmo tradurre: “che possa morire, chiunque 184 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e; pip'odioj sia stato, chi mi tolse la catena crudele del pastore dai piedi” o “la catena crudele di chi erra in cerca di pascoli dai piedi”. Eppure anche questa soluzione non è molto convincente e la scelta di Jebb sembra la più prudente. La questione resta aperta anche perché se la catena fosse stata messa a Edipo da un pastore, bisognerebbe capire quali catene potesse avere un pastore, per quale motivo gliel’avrebbe messa (perché non scappasse mentre lui controllava le pecore?). La questione, come si diceva, resta aperta, i punti da chiarire sono troppi e non si capisce neppure con certezza chi mise il laccio ai piedi di Edipo. Bettini e Borghini, nel loro affascinante articolo sulla zoppìa di Edipo189, ricordano che i piedi di Edipo, con nuovo riferimento al mondo animale, erano stati aggiogati (;enze'ugnumi v. 718, ma da Laio sembrerebbe) . Nelle Fenicie di Euripide, Giocasta ci informa che Laio avrebbe confitto (o fatto configgere? non è del tutto evidente) nei piedi di Edipo dei chiodi di ferro. Gli autori dell’articolo ricordano poi l’Hypothesis di Tommaso Magistro ai Sette a Tebe, secondo cui Laio avrebbe forato i piedi del bambino e li avrebbe fissati con degli anelli d’oro. Di qui viene tutta un’interpretazione interessantissima, che richiama in particolare il verbo ;empod'izw (“impedire”, quasi “trattenere i piedi”) che ci dà la misura di quanto metaforico e importante sia il discorso del piede, della ricerca dell’“impedimento” del destino nel mito dei Labdacidi, un destino che però non può essere “impedito”. Sul valore di questa metafora, legata già al nome di Edipo, che si espande al dominio della sessualità, o dell’ipersessualità, hanno scritto luminosissime pagine in particolare, oltre ai già citati Bettini-Borghini, Lévi-Strauss190, Vernant191, Calame192, Gentili193 ed Edmunds194 (con le sue 189 Bettini-Borghini 1986. Lévi-Strauss 1958. 191 Vernant 1981. 192 Calame 1986. 193 Gentili 1986. 194 Edmunds 1986. 190 185 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle e; pip'odioj stupende osservazione sulla relazione piedi-occhi195). In questa sede non è opportuno né utile riportare tutte le differenti tesi. Ma già da quanto detto e citato, ci si può rendere conto di quanto significativo sia il campo semantico legato al po'uj e di come possa essere rischioso eliminare (poi in un coro di Eschilo o di Sofocle!) uno hapax solo in quanto termine a noi, per il resto, sconosciuto. La “selvaggia catena che governa i piedi” impedirebbe a Edipo di compiere il suo destino, quello cioè di uccidere il padre e giacere con la madre. Chi scioglie il ceppo ai piedi di Edipo ne sprigiona l’ipersessualità, la capacità di camminare liberamente anche “al di fuori della linea retta”, come dice Gentili. Non mi sembra allora un caso che Sofocle insista nuovamente sul po'uj con la figura etimologica p'edaj-;epipod'iaj. 195 Sulla questione dell’autoaccecamento e della relazione tra occhi e sessualità cfr. anche Devereux 1973. 186 CAPITOLO II: RIFLESSIONI INTERPRETATIVE A PARTIRE DALLA DIVISIONE DEGLI HAPAX IN CAMPI SEMANTICI 187 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il campo semantico del camminare Il campo semantico del camminare Dei venticinque unicismi che abbiamo incontrato, uno su cinque può essere ricondotto al campo semantico del “camminare”. Ricordiamoli velocemente. Il primo è dein'opouj (“dal piede terribile”) al v. 418 del primo episodio, il secondo e il terzo sono xunanti'azw (“venire incontro”) al v. 804 e o;i'ozwnoj (“viaggiatore solitario”) al v. 846 del secondo episodio, seguono :uy'ipouj (“che sta in alto sui piedi”) al v. 866 del secondo stasimo e ;epip'odioj (“che sta attorno ai piedi”) al v. 1350 dell’esodo. Si può notare che questi cinque hapax sono ben distribuiti nel testo della tragedia e che solo nel secondo episodio, quando Edipo racconta del suo viaggio verso Tebe, dopo essere stato a Delfi, ve ne sono due, presto seguiti da :uy'ipouj nel secondo stasimo. Ricostruiamo il ‘viaggioʹ di Edipo a partire da questi cinque hapax. I piedi di Edipo sono segnati dalla nascita da quella p'edh ;epip'odia i cui segni egli porta fin nel suo nome O;id'ipouj, come ricordato dal primo messaggero, il pastore di Corinto: Oi. t'i d’#algoj #iscont’;en cero^in me lamb'aneij> Ag. pod^wn $an #arqra martur'hseien tà s'a. Oi. o#imoi, t'i to^ut’;arcai^on ;enn'epeij kak'on> Ag. l'uw s’#econta diat'orouj podo^in ;akm'aj. Oi. dein'on g’#oneidoj sparg'anwn ;aneil'omhn.1035 Ag. !wst’ ;wnom'asqhj ;ek t'uchj ta'uthj &oj e%i. EDI. Di che male soffrivo, quando mi hai raccolto? MES. Le cicatrici ai tuoi piedi lo mostrano. EDI. Ahimè! Perché ricordi questo male antico? MES. Avevi le caviglie trafitte. Io ti liberai dalle catene. EDI. Che tremendo oltraggio ho subito, ancora in fasce. MES. Di qui deriva il nome che porti ancora addosso. Edipo con i suoi piedi trafitti muoverà verso Delfi, infatti durante un banchetto un uomo ubriaco lo aveva chiamato “bastardo” (vv. 779s., ;an`hr gàr e; n de'ipnoij m’:uperplhsqeìj m'eq+/ kale^i par’o#in_ plastòj :wj e#ihn patrì), e all’ira era seguita quell’angoscia ‘genealogicaʹ che è, secondo Vernant196, uno dei motori principali dell’agire di Edipo. Lo sconcertante responso ricevuto a Delfi, la 196 Vernant 1972, pp. 77-98. 188 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il campo semantico del camminare prospettiva del parricidio e dell’incesto, portano il protagonista a proseguire il viaggio lontano dalla patria e ad un trivio, dove un araldo e un carro trainato da puledri, con sopra un uomo, xunenti'azon (v. 804) “gli si facevano incontro”, uccide il padre. Questo è uno dei punti di snodo della vicenda di Edipo, l’incontro, o meglio lo scontro, con Laio e il suo seguito. Al verso 846, proseguendo il suo racconto e il suo ragionamento con Giocasta, Edipo paventa che i banditi del padre non siano molti come disse una volta l’unico superstite, ma che sia uno solo (o;i'ozwnoj v. 846), come in effetti è. Questo parricidio, cui segue in una concatenazione fatale l’incesto, sarà all’origine di una ;ar'a dein'opouj (v. 418), che determinerà la caduta tremenda del protagonista e la riaffermazione dei n'omoi :uy'ipodej (v. 866) degli dei . Scrive Bettini: Dunque Edipo è un personaggio che deve essere impedito, legato, ostacolato: ostacolato, ovviamente, in un possibile cammino che lo veda tornare verso il padre che egli è destinato a uccidere. E per ostacolarlo lo si colpisce proprio ai piedi, luogo dell’impedimento per eccellenza. […] Ma Edipo lo zoppo è riuscito tuttavia a compiere il suo tragico cammino, e la maledizione di Pelope e Laio ha infallibilmente sortito il suo effetto. (Bettini 1986, p. 218) Il campo semantico del “camminare”, che si incontra dunque con una serie di altre tematiche della nostra tragedia, riflette decisamente la perip'eteia di Edipo. La maledizione dein'opouj condensa in sé temi come quello del destino – non a caso è l’unico hapax pronunciato da Tiresia – e quello del m'iasma. Il destino della sua nascita, quello a cui riporta l’assonanza tra hapax e nome197. Ma anche 197 Scrive Condello 2009, pp. XXXVIIs.: “[…] le Erinni che già Omero connette ai crimini di Edipo, e che erano centrali in Pindaro (O. 2.41 s.) come nel trattamento eschileo del mito, sopravvivono solo nelle colorite espressioni dello stesso Tiresia (v. 418 dein'opouj ;ar'a, «la maledizione dal piede terribile»”. E aggiunge, n. 88: “Per l’espressione del v. 418 («la maledizione dal piede 189 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il campo semantico del camminare il destino del suo viaggio, nel quale incontra e uccide il padre, primo m'iasma, cui seguirà l’incesto. L’itineranza sarà infine il destino successivo al suo accecamento, ma la cosa è solo accennata nell’Edipo re, la sapremo per certa dall’Edipo a Colono. L’inserimento di una percentuale elevata di hapax dello stesso campo semantico legato a un tema importante in questa tragedia come il “camminare” è un modo per porre l’accento su questo dato della storia di Edipo. Il movimento instancabile di Edipo non è solo fisico, è l’espressione della sua ricerca interiore. Abbiamo visto che nel racconto dell’incontro con Laio le occorrenze di lessico odeporico si fanno più intense, probabilmente perché da un punto di vista comunicativo questo rende più vivida e dinamica la scena che è solo riportata, descritta. Dall’altro c’è questo incrociarsi dei destini, quello del figlio e quello del padre che si xunant'azousin, si vengono incontro, minacciosamente, compiendo i loro destini. Tra questi hapax solo due riguardano direttamente Edipo: il terzo, o;i'ozwnoj, e il quinto, ;epip'odioj che definisce la catena, la p'edh, dell’esposizione. Ecco, l’ “uomo che viaggia solo”, ha superato i suoi impedimenti come diceva Bettini. Edipo è andato incontro al suo destino, mentre però credeva di sfuggirgli (k;ag`w ’pako'usaj ta^uta tÕn Korinq'ian/ #astroij tò loipòn ;ekmetro'umenoj cq'ona/ #efeugon, vv. 794ss. “E io, udite queste profezie, fuggii da Corinto/ e seguii da quel giorno il corso delle stelle”), ha operato in maniera fortemente volontaristica credendo di poter sfuggire al suo terribile») è d’obbligo il rinvio a Soph. El. 491 calc'opouj ; Erin'uj, alla kamy'ipouj ; Erin'uj di Eschilo (Sept. 791, proprio in tema edipico) o già alla descrizione omerica di Ate (Il. IX 505): cf. per es. Jebb o Roussel, ad loc. Ma è evidente che l’hapax sofocleo comprende un’allusione al nome «Edipo»”. Degno di sviluppi l’accostamento con il passo omerico in cui leggiamo che le Lita'i, le Preghiere, sono cwla'i te :rusa'i te parabl^wpej t’;ofqalm'w (“zoppe, grinzose con gli occhi storti” trad. Cerri 2006, p. 219), mentre Ate è sqenar'h e ;art'ipoj (“robusta e veloce di piede” ibid. ). Ate la vediamo comparire in vari punti della nostra tragedia (OR 165, 1205, 1284). Scrive A. Gostoli (2006, ad loc. p. 218): “Ate è la personificazione divinizzata dell’ «accecamento» che colpisce la mente di chi commette una colpa”. 190 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il campo semantico del camminare destino, ma ha attirato su di sé l’ ;arà dein'opouj, è stato schiacciato dai n'omoi :uy'ipodej. La fuga, volontaristica, razionalistica, e l’inseguimento fatale, ecco una delle chiavi di lettura di questo mito, come ben dice Serra (1986, p. 276): “È stato Edipo, sulla scena, il primo a parlare di sé, il primo interprete del suo mito: non c’è astuzia che valga a eludere il destino”. Di Benedetto sembra spiegare il senso ulteriore che tutto questo avrebbe: Entra in crisi anche questo sistema di cultura razionalistica del V sec. di cui Edipo, all’inizio della tragedia, è partecipe. Sofocle aveva una posizione ‘dialetticaʹ rispetto alla cultura razionalistica: volta per volta si confrontava con questa cultura e nello stesso tempo prendeva sistematicamente le distanze da essa. (Di Benedetto 1986, p. 303) Il cammino di Edipo che nasce come volontaria ricerca dell’identità, quando il dubbio assale il protagonista, offeso durante il banchetto, si trasforma in fuga volontaria dal destino e in involontario percorso verso il riconoscimento della propria identità. L’ignoranza e la volontà del protagonista catalizzano il suo destino. Edipo agisce, cammina, la sua forza è nell’azione, nell’intelligenza, nella risoluzione veloce, non nella riflessione. Quella che lui crede, in buona fede, essere la realizzazione della sua volontà sarà invece, questa è la sua sventura, la concretizzazione del suo destino, perché come scrive Vernant (1972, p. 80): “c’est moins l’agent qui explique l’acte, mais plutôt l’acte qui, révélant après coup son sens authentique, revient sur l’agent, éclaire sa nature, découvre ce qu’il est, et ce qu’il a réellement accompli sans le savoir”. Quando passerà dall’ignoranza alla consapevolezza, Edipo potrà davvero dirigere la sua volontà, non sarà più determinato dal destino, o almeno, il suo destino verrà finalmente a coincidere con la sua volontà e allora prospetterà un nuovo cammino, quello dell’esilio. Il primo viaggio non ha risolto il problema della sua identità, la prosecuzione del viaggio, la fuga dal destino, la fuga dal m'iasma, ha portato 191 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il campo semantico del camminare all’effetto esattamente contrario a quello preteso dalla volontà di Edipo. Quel camminare continuo era però garanzia di purezza, mentre nei momenti di stasi, Edipo ha visto consumarsi la prima e la seconda contaminazione. La prospettiva finale dell’esilio, del ‘non-ritorno’, altro non è che il decreto e al tempo stesso la volontà di Edipo, egli vuole allontare il m'iasma dalla città, salvare la p'olij, giacché il g'enoj non sarà possibile risparmiarlo. Edipo chiede esplicitamente a Creonte di essere mandato via e vorrebbe con sé le due figlie, per affrontare con loro un lungo viaggio. L’eroe vuole riprendere a camminare, ma ormai sa chi è, sa dirigere la sua volontà senza ulteriori capovolgimenti. 192 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il campo semantico del divino e del destino Il campo semantico del divino e del destino Un campo semantico in cui registriamo una percentuale di hapax ancora più alta è quello della divinazione. Molti hanno definito Edipo re la “tragedia del destino”, dando vita all’esegesi fatalistica (spesso colpevolista, talora innocentista). Celebre è anche la ripresa freudiana: Edipo re è una cosiddetta tragedia del fato; il suo effetto tragico pare basato sul contrasto fra il supremo volere degli dei e i vani sforzi dell’uomo minacciato dalla sciagura; profondamente colpito, lo spettatore dovrebbe apprendere dalla tragedia la rassegnazione al volere della divinità, la cognizione della propria impotenza. 2 (trad. Musatti 1989 , p. 243) Knox, seguito da Dodds, si pronuncerà duramente contro l’esegesi fatalistica, rifiutandola in questi termini: If the Oedipus Tyrannus is a “tragedy of fate”, the hero’s will is not free, and the dramatic efficiency of the play is limited by that fact. The problem is insoluble; but luckily the problem does not exist to start with. For in the play which Sophocles wrote the hero’s will is absolutely free and he is fully responsible for the catastrophe. Sophocles has very carefully arranged the material of the myth in such a way as to exclude the external factor in the life of Oedipus from the action of the tragedy. This action is not Oedipus’ fulfillment of the prophecy, but his discovery that he has already fulfilled it. The catastrophe of Oedipus is that he discovers his own identity; and for this discovery he is the first and last responsible. (Knox 1957, pp. 5s) Difficile non concordare con Knox, o con Dodds quando scherzosamente riporta un’affermazione dei suoi allievi, i quali sostenevano che “since he had a ;amart'ia he could of course expect no mercy: the gods had read the Poetics”198. Edipo re non è (solo) la tragedia del destino, ma questo ovviamente non significa che il destino non faccia parte delle tematiche che in esso sono, a diversi livelli, 198 Dodds 1966, p. 37. 193 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il campo semantico del divino e del destino affrontate. I nove termini che qui riprenderemo sono legati ora alla figura dell’indovino, ora più precisamente al rapporto tra uomo e dio. Ricordiamoli: prode'idw (“temere prima”, qui solo il preverbo è coinvolto, dalla risposta di Creonte Edipo non può “prevedere”, né quindi, per così dire, “pretemere”) al v. 90 del prologo, a;inikt'oj (“espresso per enigmi”) al v. 439 del primo episodio, qespi'epeia (“che ha parole ispirate dalla divinità”) al v. 463 del primo stasimo, o;iwnoq'ethj (“indovino”) al v. 484 del primo episodio, semn'omantij (“venerando indovino”) al v. 556 e ;ecqroda'imwn (“odiato dagli dei”) al v. 816 del secondo episodio, e#useptoj (“venerando”) al v. 864 del secondo stasimo, duso'uristoj (“spinto da vento infaustamente favorevole”) al v. 1315 dell’esodo. L’insistenza di Sofocle è palmare. Dal prologo in cui Edipo, con la diffidenza, quella sì, tipica del tiranno, non sa prode'idein e neppure farsi coraggio basandosi sul moderato entusiasmo con cui Creonte annuncia che l’oracolo è positivo, al primo episodio, in cui nello scontro con l’indovino ci sarà un sarcastico scambio, sul tema dell’ enigma (a;inikt'oj); dalla rupe delfica ispirata dal dio (qespi'epeia), alla qualificazione ora puramente tecnica (o;iwnoq'ethj) ora ironica (semn'omantij) della figura dell’indovino; dal rapporto tra Edipo e le divinità (;ecqroda'imwn), al rispetto del coro verso le divinità (e#useptoj), al rinnovato di timore di Giocasta (;epiqum'iama), alla contraddizione della storia di Edipo, apparentemente felice, e in realtà infausta (duso'uristoj). In questa mappa sono riassunte molte delle sfaccettature che il tema del divino assume nel corso di questa tragedia. Questi hapax sono per lo più semanticamente centrati, sono espressione di quella dialettica interna alla tragedia che investe le posizioni dei personaggi, ma anche la loro caratterizzazione: essi riflettono una visione problematica del rapporto tra uomo 194 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il campo semantico del divino e del destino e divino nell’epoca del ‘razionalismo’ pericleo, sono anche sintesi della contraddizione e dell’evoluzione dei diversi personaggi nel corso della tragedia, del disvelamento. Come non tenere presente il contesto festivo, sacro, in cui andavano in scena le tragedie, come dimenticare le preghiere vere e proprie che, l’abbiamo visto con il coro, con Giocasta all’altare di Apollo Licio, vengono levate agli dei durante la performance? Sofocle e i suoi personaggi agiscono in questo contesto di sacralità secondo regole sceniche e religiose a un tempo. La critica più evidente che Edipo e Giocasta muovono è quella verso la divinazione, ma lo scontro non è diretto contro la divinità, la cui venerabilità è spesso riaffermata dai personaggi stessi. L’esito della tragedia rivela che il coro (la comunità) può sentirsi rassicurato e danzare ancora. La sola critica al divino lecita, scontata direi, è quella rivolta ad Ares (:o ;ap'otimoj ;en qeo^ij qe'oj, v. 215), dio privo di onori, dio di quella guerra che Atene si trova a combattere. In questo senso la pretesa ;amart'ia di Edipo appare un problema secondario. La tragedia deve ‘festeggiare’ la divinità, Edipo è volontariamente eroico nel compiere quanto prescritto dall’oracolo che Creonte riporta da Delfi. Bisogna liberare la città dalla contaminazione, trovare l’assassinio di Laio. Ebbene questo Edipo lo fa, senza risparmio, anche quando capisce che effettivamente potrebbe essere lui il colpevole, insiste perché tutti parlino, perché la verità emerga. 195 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il campo semantico del rapporto con la città Il campo semantico del rapporto con la città Cinque hapax potrebbero rientrare in un campo semantico particolare, forse non evidente e immediatamente rintracciabile come i due precedenti: il rapporto tra l’uomo e la città. #apouroj, “lontano dal confine”, al v. 194 della parodo, a;itht'oj, “richiesto” e e;isceir'izw “mettere in mano”, al v. 384 del primo episodio, ;hd'upolij, “gradito alla città”, al v. 510 del primo stasimo, ;ep'ipoloj, “amico”, al v. 1322 dell’esodo. Ripercorriamoli. Il coro al suo ingresso non ha ancora chiaro il quadro della situazione. Leva una preghiera agli dei perché Ares sia allontanato (#apouroj). Questo esilio di Ares, che permette a Sofocle attraverso il coro, ancora non bene informato, di introdurre un riferimento alla guerra, mette in risalto la necessità, più volte ripetuta dallo stesso Edipo, di allontanare il responsabile del morbo. Formidabile è poi l’impiego degli hapax al verso 384, in cui Edipo, che accusato da Tiresia di essere l’assassinio di Laio, ricorda come la città gli abbia messo in mano (e;isceir'izw) un potere non richiesto (a;itht'oj). Il coro, perplesso, ricorda che Edipo ai tempi della sfinge è stato caro alla città (:hd'upolij). Quando tutto sarà ormai consumato, Edipo cercherà consolazione presso quello stesso coro, rappresentante della città che egli ha strenuamente difeso, e lo chiamerà compagno ( ;ep'ipoloj). Da un punto di vista espressivo tutti questi hapax, come si è visto, hanno qualcosa da dire, ma da un punto di vista interpretativo non c’è dubbio che i più interessanti siano i tre centrali. La reazione emotiva alle accuse di Tiresia è sincera. Il protagonista crede fermamente di esser vittima di un complotto e al v. 384 con gli unicismi che abbiamo ricordato e con il rarissimo dwrht'oj, egli replica alle accuse di Tiresia, insistendo sulla passività con cui ha acquisito il potere per volontà della città e non sua. Con questi argomenti egli costruisce una 196 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il campo semantico del rapporto con la città linea di difesa, che mettendo avanti il suo agire disinteressato, sottolinea gli interessi di Tiresia e Creonte, il loro desiderio di vederlo esiliato per impossessarsi del potere. Il coro poi con :hd'upolij nel primo stasimo torna a insistere sui benefici che Edipo ha portato alla città, benefici che lo rendono in qualche modo al di sopra di ogni sospetto e portano il coro a considerare la fallibilità dell’indovino. Ovviamente come non ha richiesto il potere, non ha richiesto di sposare la madre Giocasta. Questo dato va contro tesi colpevoliste come quelle di Vellacott199 o di Maiullari200. Edipo, dotato di intelligenza e fortuna201, arriva all’apice, ma non in maniera tirannica: egli riceve la città in dono e come afferma Knox dimostra di avere una “democratic temper” (1957, p. 25). Questo temperamento “democratico” di Edipo, collide con le tesi colpevoliste che vedono nel comportamento tirannico del protagonista la ragione della sua caduta. Knox ricorda a questo proposito lo hapax :ad'upolij: The high value he places on his past services to the state is not a subjective boasting: that value is accepted by the chorus, the people of Thebes. “At the testing time, he was pleasing to the city (hadypolis, 510) and therefore never in my mind shall he be convicted of baseness” (Knox 1957, p. 24) Questo argomento, insieme ad altri, come quelli offerti ad esempio da Whitman (1966, p. 131: “His deep respect for Jocasta is completely untyrannical”), ridimensionano esegesi tiranniche, tra cui quella di Vernant stesso202, ma 199 Vellacott 1971. Maiullari 1999. 201 2 Cfr. Catenacci 2012 , pp. 181s. 202 Vernant 1972, p. 93: “Mais à l’interrogation d’Oedipe: Polybe et Mérope sont-ils mes parents ? – Apollon ne répond. Il avance seulement une prédiction : tu coucheras avec ta mère, tu tueras ton père – et cette prediction, dans son horreur, laisse ouverte la question posée. C’est donc Œdipe qui commet la faute de ne pas s’inquieter du silence du dieu et d’interpréter sa parole comme si elle apportait la réponse au problème de son origine. Cette erreur d’Œdipe tient à deux traits de son caractère : trop sûr de lui, trop confiant dans sa gn'ome, son jugement, il 200 197 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il campo semantico del rapporto con la città soprattutto di Lanza203. Il comportamento di Edipo non sarebbe poi così tirannico e, aggiunge Whitman: Althought Sophocles conceives Oedipus throughout as capable of considerable ferocity, the extreme outburst at Teiresias and Creon are exceptions to his usual behavior. (Whitman 1966, p. 131) In altre parole l’;org'h di cui spesso viene accusato Edipo va forse ridimensionata come osserva, con buoni argomenti, Condello, che sottolinea le “insistite offese di Tiresia” e osserva come il suo silenzio sia un atto di vera e propria illegalità. Difficile certamente attendersi risposte esaurienti da tre semplici hapax, ma è evidente che essi contribuiscano a dare di Edipo un’immagine moderata rispetto a quella che molti interpreti hanno assolutizzato in negativo nel suo carattere. n’est pas porté à mettre en doute son interprétations des faits ; d’un naturel orgueilleux, il se veut toujours et partout le maître, le premier”. 203 Lanza 1977, pp. 141ss. 198 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il campo semantico del vedere Il campo semantico del vedere Ultimo campo semantico nel quale è possibile raccogliere un certo numero di hapax è quello della vista. Cinque unicismi su venticinque, un quinto insomma. Tre sono concentrati nell’esodo, punto in cui la tematica si fa, come ognun sa, centrale. Ricordiamoli: ;agla'wy, “dall’aspetto splendente”, v. 214 della parodo, ceir'odeiktoj, “da mostrare a dito”, v. 902 del secondo stasimo, ;ekqe'aomai, “contemplare”, v. 1253, ;ep'oyimoj, “visibile”, v. 1313, blept'oj, “che si può vedere”, v. 1337. Nella parodo il coro prega che Bacco allontani Ares con la torcia splendente (pe'uka ;agla'wy). Nel secondo stasimo il coro promette di non andare più a Delfi e a Olimpia, se gli uomini non saranno concordi che gli atti empi sono da “mostrare a dito”, o che i vaticini sono “manifesti” (ceir'odektoj). Nell’esodo, prima il messaggero non riesce a guardare la morte della regina (;ekqe'asasqai), poi il coro nuovamente, nel secondo kommos, sostiene che le sciagure nelle quali Edipo è piombato non si possano vedere (;ep'oyimoj), opinione cui fa eco quella del protagonista che sostiene che più nulla gli sia rimasto da vedere (blept'oj) nella vita. Di questi cinque unicismi i più attinenti sono certamente quelli dell’esodo, in cui abbiamo visto pullulare il lessico della vista. In particolare gli ultimi due sono riferiti ad Edipo e portano in sé l’idea della possibilità di vedere. Edipo, come Tiresia, ha troppo visto, e l’organo della vista, è stato detto a più riprese204, è simbolicamente connesso con gli organi genitali. Scrive Edmunds: 204 Brelich 1978, p. 287, con il richiamo al nome Oidiphallos, ma soprattutto Edmunds 1986, pp. 237-253 . 199 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il campo semantico del vedere Comunque, le due mutilazioni, quella dei piedi e quella degli occhi, sono connesse nel mito con i delitti di Edipo. Con l’omicidio di Laio, Edipo ha preso il posto di suo padre nel letto di sua madre. Una mutilazione è intesa a impedire questi delitti; l’altra a punirla. È possibile dimostrare che tutte e due le motivazioni alludano specificamente all’incesto; e in più, che gli occhi e i piedi significhino i genitali di Edipo (Edmunds 1986, p. 237) I due ultimi unicismi parlano tuttavia di due ‘viste’ differenti. Il coro con o;uk ;akoust'on o;ud’;ep'oyimon sta dicendo che il punto cui è giunto Edipo non si può concretamente né ascoltare, né vedere. La ‘vista’ cui allude Edipo sembra essere strettamente legata agli affetti familiari e questo lo fa credere l’accostamento con l’altro aggettivo verbale, il rarissimo sterkt'oj. In effetti il verbo st'ergw compare al v. 1023, ed è riferito all’amore di Polibo per Edipo, un amore paterno di cui Edipo, saputa la notizia della sua non consanguineità con l’uomo, si stupisce. Nell’Edipo a Colono, v. 1529, il protagonista dice di non poter trasmettere a nessun altro che a Teseo i segreti di cui è portatore, neppure alle figlie, “pur amandole”. Questo accostamento sottolinea il rapporto tra vista e incesto, Edipo ha visto ciò che non era lecito vedere e ha amato chi non doveva amare. Tutto ciò taglia i suoi rapporti con il g'enoj, egli non può più vedere, né amare. I suoi occhi sono ciechi perché anche nell’Ade (vv. 1370ss.) non avrebbe potuto sopportare la vista dei propri genitori. Il coro non può sostenere la vista presente, mentre Edipo non ha potuto sostenere la vista sul suo passato e non c’è dubbio che il suo gesto abbia un valore simbolico forte. 200 CAPITOLO III: IL VALORE PRAGMATICO DEGLI HAPAX DELL’ EDIPO RE 201 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re Considerazioni generali sul valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re Prima di procedere ad alcune considerazioni su degli aspetti pragmatici legati ad alcuni degli hapax, credo sia importante osservare, ove siano presenti, le costruzioni retoriche all’interno delle quali agiscono gli unicismi. • prode'idw (prologo v. 90, “temere prima”). Qui Sofocle sembra lavorare con delle ripetizioni sillabiche piuttosto insistite, come si può notare di seguito: Oi. #estin dè poîon to%upoj> o#ute gàr qrasùj o#ut’o% o%un prode'e'isaj e;imì t^_ ge nûn l'og_ Kr. e;i t^wnde cr'+zei eij ei ei plhsiaz'ontwn kl'uein, :eto^imoj e;ipe^in, e#ite kai ste'e'icei ein ei #esw. • #apouroj 90 EDI. Ma le parole quali sono? Ciò che dici non mi spaventa, ma non mi rassicura. Cre. Sono pronto a parlare: davanti a tutti, se vuoi, oppure all’interno del palazzo. (parodo, v. 194 “lontano dal confine”) non sembra accompagnato da particolari figure, anche se c’è nella strofe un diffuso omoteleuto in -on. • ;agla'wy (parodo, v. 214, “dall’aspetto splendente”), parte del verso è lacunosa, difficile stabilire con chiarezza se Sofocle avesse creato qualche figura retorica in questo punto. • ;anako'ufisij (primo episodio, v. 218). L’inizio di questa battuta presenta piuttosto delle ripetizioni vere e proprie, ma anche il gioco allitterante sembrerebbe incisivo come si può notare: 202 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re Oi. a;ite^ij< a;ite^ij, j &a d’a; j t#am’ ;eàn q{el+j #eph 216 kl{uwn d{ecesqai t^+ n{os_ q’:uphrete^in, ;alk k`hn l{aboij $an k;anak ko{ufisin kak^ kakwn< :ag`w x'enoj mèn to^u l'ogou to^ud’;ex'er^w, x'enoj dè to^u pracq'entoj< • EDI. Questo tu chiedi agli dei. Ma se vorrai dare ascolto alle mie parole e riconoscere nel morbo la volontà divina, troverai sollievo e riparo dalla sventura. Io parlerò come straniero a ciò che è stato detto e fatto. […] a;itht'oj (primo episodio, v. 384, “richiesto”) è in omoteleuto con il precedente dwrht'oj, mentre • e;isceir'izw (primo episodio, v. 384, “messo in mano”) è già di per sé piuttosto • carico come si può notare: e;isece' se e'irise sen. se dein'opouj (primo episodio, v. 418, “dal piede terribile”) è coinvolto in un gioco allitterante come g^hj hj t^hsde hsde dein' de opouj. • a;inikt'oj (primo episodio, v. 439, “espresso per enigmi”) è anch’esso coinvolto in una costruzione decisamente allitterante: Oi. :wj p'ant’# an agan an a;iniktà à k;asa af^h l'egeij. an • qespi'epeia (primo stasimo, v. 463, “che ha parole ispirate dalla divinità”) hapax lirico già di per sé molto ricco non sembra partecipare ad alcuna particolare figura retorica, qui è come sempre un grave danno la perdita della musica. 203 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle • Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re o;iwnoq'ethj (primo stasimo, v. 484, “indovino”), anch’esso decisamente carico, l’aggettivo precedente contribuisce all’allitterazione: so ofò òj o;iwno oq'etaj. • ;hd'upolij (primo stasimo, v. 510, “gradito alla città”), hapax lirico, non sembra molto rilevato retoricamente. • semn'omantij (secondo episodio, v. 556, “venerando indovino”), come si è gia notato nell’analisi, è collocato in una battuta in cui troviamo insieme ripetizione e allitterazioni: Oi. #epei eiqe $ o;uk #epei eiqe ei ej, h ei ej, :wj cre'e'ih m’;epì 555 tòn n semn' mn'omantin #andra an a p'emya asqa' a'i tina a> man an EDI. Mi hai convinto a consultare quell’indovino, quel presuntuoso veggente: è vero o non è vero? • xunanti'azw (secondo episodio, v. 804, “venire incontro”) fa parte invece di un’ accumulazione di termini legati al campo semantico del camminare, che si susseguono velocemente in pochi versi: ste'icwn e ;ikno^umai al v. 798, kele'uqou e :odoipor^wn al v. 801, ;embeb^wj al v. 803, xunhnt'iazon e :odo^u al v. 804. • ;ecqroda'imwn (secondo episodio, v. 816, “inviso agli dei”) termine molto pregnante. Esso si trova in una serie di interrogative, e crea una climax ascendente con la domanda che precede, in parte per la forza dello hapax stesso, in parte per il comparativo analitico: t'ij to^ud'e g’;andròj n^un $an ;aqli'wteroj, 815 t'ij ;ecqroda'imwn m^allon $an g'enoit’;an'hr 204 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re […] chi è più sventurato di me? Chi fra gli uomini è il più odiato dagli dei? • o;i'ozwnoj (secondo episodio, v. 846, “che viaggia solo”) come si è visto, fa parte dell’insistenza sulla singolarità e*ij-!en’o;i'ozwnon- ;em'e. • e#useptoj (secondo stasimo, v. 864, “venerando”) ancora uno hapax lirico, immerso in una serie di omoteleuti: Co. e#i moi xune'ih f'eronti mo^ira tàn e#usepton on :agne'ian l'ogwn wn #ergwn wn te p'antwn wn, wn *wn n'omoi pr'okeintai 865 :uy'ipodej, o;uran'i= Di’ a;iq'era teknwq'entej, *wn wn # Olumpoj pat`hr m'onoj, o;ud'e nin qnatà f'usij ;an'erwn wn #etikten, o;udè m'hpote l'aqa katakoim'as+< 870 m'egaj ;en to'utoij qe'oj, o;udè ghr'askei. • La sorte mi conceda sempre purezza e devozione di parole e di azioni: su di esse vegliano le leggi altissime, generate nell’etere celeste. Loro padre è l’Olimpo, non sono nate dalla stirpe mortale degli umani. Il sonno dell’oblio mai scenderà su di loro. Grande vive in esse un dio che non invecchia. :uy'ipouj (secondo stasimo, v. 866, “che ha i piedi in alto”) partecipa a una figura etimologica , ma è piuttosto un’antitesi ad aggiungere valore espressivo allo hapax. • ceir'odeiktoj (secondo stasimo, v. 902, “da mostrare a dito”), hapax lirico, neanche qui vi sono particolari figure elocutive. • ;epiqum'iama (terzo episodio, v. 913, “offerta di incenso”) in figura etimologica con il successivo qum'oj. 205 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle • Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re ;ekqe'aomai (esodo, v. 1253, “guadare”), nel verso, come nel caso di ;anako'ufisij, c’è una certa insistenza allitterante, ma qui non troppo marcata: o;uk %hn tò ke'inhj ;ekqe'asasqai kak k'on. • ;ep'oyimoj (esodo, v. 1313, “che si può vedere”), il verso è di per sé in rilievo, in quanto trimetro giambico di cerniera tra gli anapesti e i versi lirici. La correlazione negativa è rafforzata dagli omoteleuti: ;ej deinòn òn o;ud’; d’akoustòn òn o;ud’;ep'oyimon on. on • duso'uristoj (esodo, v. 1315, “spinto da vento favorevole”) infine è all’apice di una climax arricchita da una serie di omoteleuti: str. a’ Oi. I`w sk'otou n'efoj ;emòn òn ;ap'otropon on, on ;epipl'omenon on #afaton on, on ;ad'amast'on on te kaì duso'uriston on “#on”. 1315 • EDI. Oh, mia tenebra! Orrenda nube senza nome scesa su di me indomabile, implacabile! ;ep'ipoloj (esodo, v. 1322, “amico”) crea una figura etimologica con l’;epipl'omenon della strofe. La nube di vento che assale Edipo, nube del destino, nube del g'enoj, si pone in antitesi, nella figura etimologica, con il sostegno che viene a Edipo dalla p'olij rappresentata dal coro. • blept'oj (esodo, v. 1337, “che si può vedere”). Questa volta è la correlazione disgiuntiva di aggettivi che esprimono possibilità a essere rafforzata con omoteleuti. • ;epip'odioj (esodo, 1350, “che è ai piedi”) partecipa a una figura etimologica con p'eda. Qui anche il nome di Edipo partecipa virtualmente 206 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re alla figura etimologica, perché si sta richiamando precisamente quel “micro -récit”205 contenuto nel nome del protagonista. Scrivono Ducrot e Schaeffer: La pragmatique étudie tout ce qui, dans le sens d’un énoncé, tient à la situation, dans laquelle l’énoncé est employé, et non à la seule structure linguistique de la phrase utilisée. […]La pragmatique concerne non pas l’effet de la situation sur la parole, mais celui de la parole sur la situation. (Ducrot-Schaeffer 1995, pp. 131ss.) Nel nostro caso non possiamo prendere la parole nel senso saussuriano di “atto linguistico individuale del parlante”, evidentemente la l'exij tragica è un atto linguistico più rigido, che condivide con la parole la concretezza, ma con la langue una certa fissità, cui contribuisce la presenza di un testo e di uno schema metrico prestabiliti, dell’impiego della memoria. La l'exij tragica, parola teatrale, è solo in parte una riproduzione dell’atto linguistico individuale, ma in questa riproduzione non vi è alcuna intenzione di realismo nel senso moderno del termine (neanche una lingua teatrale “realista” sposta sulla scena gli atti linguistici reali, essi sono sempre filtrati dal codice teatrale e come scrisse Barthes206: “a teatro, l’esteriorità dei segni rende ridicolo il realismo”). Credo sia un desiderio vivo in molti studiosi del teatro antico quello di poter dedurre tratti soprasegmentali a partire dai tratti segmentali del testo tragico. L’esercizio, inutile dirlo, è destinato a fallire. Intonazione, gesto, ritmo dell’attore in quell’unica performance teatrale del V secolo sono per sempre perduti, non possiamo che ipotizzare, ma ipotizzare con la certezza di non poter procedere mai, neanche in futuro, a delle verifiche, è un atto di masochismo esegetico. 205 206 2 Per l’idea di “micro-récit” cfr; Calame 2000 , pp. 251-253. Barthes 1953, p. 56. 207 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re È invece possibile rilevare le tracce delle intenzioni comunicative del poeta, intenzioni che potevano ricadere anche sull’interpretazione dell’attore, evidentemente, ma nessuno può dirlo con certezza. Possiamo forse considerare tali tracce delle intenzioni comunicative del poeta come indicazioni registiche ante litteram, ma soprattutto dobbiamo riconoscere il loro ruolo nella dimensione della performance drammatica, nella situazione, avendone già visto, durante l’analisi, il contesto. I campi semantici in cui abbiamo riunito i diversi hapax sono un primo importante dato pragmatico. I termini inusuali, che richiamano già di per sé l’attenzione degli spettatori, quando appartengono a uno stesso campo semantico, producono una forma di ridondanza comunicativa in cui è presente l’evidente intenzione e il plausibile effetto di potenziare il messaggio. L’uso degli artifici retorici che abbiamo registrato può contribuire a mettere ancor più in rilievo i significati e i significanti degli hapax. I molti omoteleuti e le numerose allitterazioni sono un tratto così diffuso nella versificazione sofoclea da non risultare sempre significativi ed essendo noi oltretutto troppo disinformati sulle tecniche di dizione degli attori, non è semplice capire se tali artifici agissero sul ritmo, sull’intenzione, o altro. Ai nostri occhi (alle nostre orecchie che ‘ascoltano in differita’) risulta più semplice cogliere la correlazione con i nostri hapax e la loro funzione quando tali fenomeni retorici presentano tratti macroscopici. Gli unicismi in cui possiamo intravedere un più deciso intervento di Sofocle anche a livello retorico con effetti pragmatici plausibili sono: • V. 218, k;anak ko{ufisin kak^ kakwn. Qui l’immagine del “sollievo dai mali” viene in questo modo ‘ritagliata’ dal poeta e messa in rilievo. 208 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle • Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re V. 556, semn'omantij . Qui l’allitterazione interna rende il termine estremamente carico. Questo sovrabbondante ‘peso’ retorico contribuisce a esprimere l’ironia di Edipo verso Tiresia e Creonte, offrendo all’attore la possibilità di sottolinearla ancor più con la sua interpretazione. • V. 846, e*ij-!en’o;i'ozwnon- ;em'e. Qui l’accumulazione di termini che fanno riferimento all’idea di singolarità è estremamente marcata e rafforza il già grande potere espressivo dello hapax. • V. 866, :uy'ipouj. Qui l’antitesi con o;u podì crhs'im_ aiuta il pubblico nella definizione dei poli di positività e negatività, opponendo le leggi supreme degli dei con la !ubrij mortale. • V. 1313, ep'oyimoj e V. 1337, blept'oj. In entrambi i casi la correlazione di aggettivi verbali si accompagna all’omoteleuto dando vita all’opposizione tra due differenti impossibilità, quella del coro che concretamente non può guardare né ascoltare Edipo per come si è ridotto, e quella di Edipo la cui conoscenza del proprio dramma e della propria identità rende impossibile la vista, l’amore, e ancora, l’ascolto. 209 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re Si sono visti i termini in cui unicità e figure retoriche interagiscono dando maggiore espressività e migliorando la chiarezza del messaggio già a livello segmentale, favorendo la comunicazione tra attore e pubblico. L’unico hapax che possa suggerire qualcosa a livello del movimento scenico è ;epiqum'iama. Tra gli altri hapax possiamo dire, in base a quanto già osservato in precedenza, che particolare rilevanza assumono i composti legati alla radice pod- (:uy'ipouj, dein'opouj, ;epip'odioj) perché oltre a legarsi al campo semantico del camminare e a partecipare alle figure retoriche che abbiamo visto, essi richiamano il nome del protagonista ottenendo diversi effetti sul pubblico. Quell’unicità che ha quasi immancabilmente un intrinseco valore pragmatico, Sofocle la rende ancor più efficace inserendola in determinate cornici retoriche, in accumulazioni semantiche, in un più generale richiamo a determinati temi della tragedia, in un gioco con il nome del protagonista, dando a significati e significanti una nuova forza comunicativa. 210 CAPITOLO IV: LA TRADUZIONE DEGLI HAPAX DELL’ EDIPO RE 211 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle La traduzione degli hapax dell’Edipo re Brevi considerazioni sulla traduzione degli hapax dell’Edipo re Preziose sono le riflessioni di Bruno Gentili sulla traduzione dai lirici greci. Lo studioso, dopo aver citato una lettera in cui d’Annunzio spiegava al suo traduttore francese, George Herelle, che una buona traduzione doveva avvicinare il lettore all’opera e non viceversa, osserva : […] una traduzione deve fare intuire, a chi per ignoranza della lingua straniera non è in grado di averne una comprensione diretta, la qualità dell’opera originale, deve cioè lasciar trasparire, per quanto è possibile, tutte le modalità espressive del testo di partenza, non banalizzandole o addirittura annullando le peculiarità stilistiche dell’originale. 2 (Gentili 2006 , p. 347). Gentili osserva altresì che una traduzione eccessivamente letterale può sortire l’effetto della inintelligibilità: […] l’identità risulterebbe in ogni caso un’operazione mistificatoria di estraniamento della propria lingua a danno della intelligibilità e della comunicabilità. 2 (Gentili 2006 , p. 351) Le considerazioni di Gentili toccano le teorie sulla letteralità di Walter Benjamin207, le osservazioni su melopea, fanopea, logopea, di Ezra Pound208, offrono alcuni spunti di riflessione su traduzioni poetiche come quelle di Quasimodo, di Hölderlin, di Traverso, concludendo che, in funzione della comunicabilità tra culture, la traduzione, ove abbia lasciato inespressi taluni contenuti del messaggio, sia corredata da un apparato di note con opportune precisazioni. Lo stesso Gentili, soffermandosi sul problema dell’intraducibilità di alcuni tratti della poesia greca, osserva: 207 208 Benjamin 1955. Pound 1967. 212 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle La traduzione degli hapax dell’Edipo re Sul piano dell’esemplificazione concreta, nessuna traduzione potrà mai trasferire nella propria lingua il colorito dialettale dei testi lirici, come approssimativa sarà sempre la resa degli epiteti, delle parole composte (soprattutto per un traduttore di lingua italiana) e delle metafore 2 (Gentili 2006 , p. 351s.). In una nota lo studioso ricorda che composti come quelli bacchilidei “presentano difficoltà talora insormontabili per il traduttore italiano” e aggiunge che il tentativo di Fagles209 di tradurre tali composti con delle perifrasi o di coniare dei corrispettivi composti inglesi appare plausibile, anche se il conio di nuovi termini non sempre dà risultati felici. La teoria della traduzione è materia molto complessa. La traduzione per il teatro ha inoltre le sue peculiarità. In particolare per Sofocle, ma l’osservazione si può allargare a molti poeti, torna in mente quanto scrive Rodighiero: Dopo la breve disamina di alcuni passaggi di Edipo re, pare possibile, raccolte queste tracce, inscrivere le scelte di Sofocle entro un definito e intenzionale programma di ‘poetica del suono’. Ciò a dire che l’autore aveva coscienza delle potenzialità e degli effetti producibili grazie al timbro delle parole e alla loro collocazione e disposizione. (Rodighiero 2000, p. 32) Una tale “poetica del suono” presenta al traduttore difficoltà spesso insormontabili, tanto che Sanguineti pensa che ogni traduzione sia un’opera di invenzione, in cui il traduttore si nasconde dietro il testo: Voglio insinuare l’idea, come capirete, che il più onesto, scrupoloso, e come ingenuamente si dice, il più letterale dei traduttori, è in realtà un porco del gregge di Epicuro. Tanto per grecizzare un po’, come qui è giusto fare, la sua impresa è una variante, letterariamente assai notabile, del «làthe biòsas», in applicazione specifica, come un «làthe gràpsas». (Sanguineti 1987, p. 183) 209 Fagles 1961. 213 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle La traduzione degli hapax dell’Edipo re Di qui il progressivo avvicinamento di Sanguineti210 a quella traduzione “a calco” volta a stabilire la lontananza più che la vicinanza, l’intraducibilità di una cultura in un’altra cultura. Sanguineti sostiene che sia necessario “grecizzare l’italiano, non italianizzare il greco”211. In queste pagine proporremo qualche riflessione puntuale sulla traduzione degli hapax che abbiamo incontrato. Il problema della traduzione degli hapax ci pone di fronte alla questione pragmatica della reazione che già il pubblico antico doveva avere di fronte ad essi. Ci si potrebbe domandare se laddove lo spettatore antico era colto di sorpresa dall’invenzione del poeta, non sia giusto far corrispondere nella traduzione un sorprendente neologismo. Sempre Sanguineti, di cui qui abbiamo spesso citato la traduzione dell’Edipo Tiranno, andato in scena nel 1980 con la regia di Benno Besson, ci ha offerto lo spunto per riflessioni su questo argomento. La sua traduzione impressionò molto pubblico e critici212 e tra gli esperimenti memorabili del poeta non si può non menzionare la traduzione del nome del protagonista, che suonò “Piedone”. La letteralità paradossale cui sono state capaci di arrivare, per aperta intenzione, le ultime due traduzioni di Sanguineti (quella dell’Ifigenia in Aulide e quella dell’Ippolito di Euripide), è stata rilevata puntualmente da Condello213. Certamente i neologismi sanguinetiani hanno in qualche modo investito un problema che interessa da vicino anche i nostri hapax. Negli esperimenti di Sanguineti, il quale probabilmente stava seguendo 210 Mi sono occupato della traduzione sanguinetiana dell’Ippolito euripideo, ponendo l’accento sulla traduzione dei neologismi, cfr. Murrali 2011. 211 Sanguineti 2010. 212 Cfr. Macasdar-Tinterri 2006. 213 Cfr Condello 2006, 2012 a, 2012 b. 214 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle La traduzione degli hapax dell’Edipo re una più alta linea di pensiero e interveniva su più universali querelles, come in quelli di Fagles, è possibile rintracciare neologismi “plausibili” 214, per riprendere il termine utilizzato da Gentili, e altri piuttosto infelici (ma è chiaro che anch’essi rientravano pienamente nel pensiero sotteso alla traduzione sanguinetiana). Venendo specificamente al problema della traduzione degli hapax, credo che, per prima cosa, sia ragionevole porselo e non soprassedere come quasi sempre avviene. In secondo luogo è opportuno considerare senza radicalismi caso per caso e domandarsi se vi sia per l’appunto una traduzione plausibile, capace di mantenere intelligibilità e di non obliterare tuttavia quel potenziale espressivo e attrattivo insito in molti unicismi. Riprendiamo i nostri hapax e le diverse traduzioni accompagnandoli con una proposta che può anche corrispondere con quella degli altri interpreti: Mazon hapax Del Corno Paduano Quasimodo Sanguineti Ciani Traduzione proposta mi v. 90, prode'idw alarmer mi ispira né né timore né paura prima incoraggiato spaventano mi spaventa so pretemere volti le spalle alla mia terra espulso prima v. 194, / #apouroj via dalla mia patria, éclairé v. 214, ;agla'wy d’une torche v. 218, allégement ;anako'ufisij lontano dai lontano dalla via, da questa confini della nostra terra patria patria / / / lucenti sollievo liberazione sollievo sollievo / sollievo dall’aspetto lucente sollievo 214 Cfr. L’ Ifigenia in Aulide di Euripide, tradotta nel 2007 (Sanguineti 2012) e l’Ippolito di Euripide, tradotto nel 2010. 215 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle v. 384, ;aitht'oj demandé chiesto La traduzione degli hapax dell’Edipo re Chiesto / richiesto m’offrirono mi ha messo nelle mie chiesto richiesto ha v. 384, e;isceir'izw m’a mis elle-même me l’ha affidato mi ha messo in mano mani mi è stato consegnato donato nelle mie mani v. 418, dein'opouj v. 439, a;inikt'oj v. 463, qespi'epeia v. 484, o;iwnoq'ethj v. 510, ;hd'upolij qui s’avvicina col piede con il suo tremenda approche tremenda tremendo piede terribile misteriose enigmatiche v. 804, xunanti'azw v. 816, ;ecqroda'imwn v. 846, o;i'ozwnoj tremendo terrible énigmes prophétique enigma / enigmatico Profetica voce del dio profetica Augure indovino interprete degli uccelli dolce alla città che conosce devin per enigmi ispirata dal dio sacerdote la verità enigmatico voce del dio interprete degli ucceli recò gioia son amour l’amore amico della degno della pour Thèbes della città città città alla nostra caro alla città città v. 556, semn'omantij dal piede inesorabile auguste indovino devin venerando celebre il profeta indovino santo Indovino quell’indovi no, quel presuntuos o veggente sacrindovino venaient à vennero mi è venuto mi venne io l’ho mi si fecero mi si fecero incontro incontro incontro incontrato incontro incontro odiato dagli in odio agli odiato dai odiato dagli odiato dagli dèmoni dei dei ma rencontre abhorré des odioso agli dèi dieux dei voyageur viaggiatore dèi un il viandante un una persona isolé solitario Viaggiatore viaggiatore era solo viaggiatore solitario solitario v. 864, e#useptoj sainte sacra Santa sacra sacra devozione devota 216 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle v. 866, :uy'ipouj La traduzione degli hapax dell’Edipo re dans les alte sopra i supreme Eccelse supreme hauteurs loro piedi v. 902, ceir'odeiktoj flétrir alte sopra i altissime aborrire manifesto / evidenti loro piedi condannare questi atti mostrandoli a dito v. 913, ;epiqum'iama offerte parfums offerte di Incenso d’incenso ;ekqe'aomai assister v. 1313, ;ep'oyimoj assistere Guardare si può à voir offerte di incensi incensi incenso v. 1253, / incenso restare osservarla vedere spettatore si vorrebbe a vedere vedere che queste azioni si possono additare si può si può vedere da vedere vedere guardare Spinta da un v. 1315, duso'uristoj senza écrasant vento tempestosa senza fine soffocante implacabile rimedio infaustament e favorevole v. 1322, ;ep'ipoloj v. 1337, blept'oj v. 1350, ;epip'odioj ami amico Amici potevo Vedere che guardare cosa? amico amico que compagno da pouvais-je posso vedere visibile voir / amico contemplar da guardare e / mi ha liberato dai piedi Che governa i pedestre i piedi forati ai piedi piedi (Gentili) Da questa tabella emerge l’imbarazzo che talvolta coglie i traduttori di fronte a certi hapax. L’esempio più evidente è quello di ;agla'wy, che oltretutto non creerebbe grosse difficoltà di resa, ma l’immagine della torcia che brucia sembra a molti sufficiente, e, forse proprio perché di fronte a uno hapax, eliminano l’aggettivo che indica la lucentezza. 217 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle La traduzione degli hapax dell’Edipo re Sul versante opposto, quasi tutti sono concordi sulla traduzione di ;anako'ufisij, come “sollievo” e in effetti, pur essendo un vocabolo piuttosto comune, esso rappresenta al meglio la parola di partenza. In generale in italiano, lingua non molto portata alla composizione rispetto al greco, una traduzione che ricalchi le eventuali creazioni sofoclee rischia di risultare addirittura comica. Se nell’analisi ho tradotto :uy'ipouj con “altipede”, resa che può essere utile nella spiegazione del composto, un tale neologismo pronunciato sulla scena diventa aulico e risibile. Si può forse azzardare traducendo prode'idw con “pretemere”, poiché risulta chiaro e non comico. Anche molti neologismi di Sanguineti, nella traduzione dell’Ippolito euripideo, furono eliminati, alcuni ingiustamente, dal regista Carmelo Rifici, che evidentemente deve averli ritenuti impronunciabili sulla scena. Davvero banalizzanti tuttavia appaiono le traduzioni di duso'uristoj, per il quale certo non ci aspettava un neologismo ad hoc , ma almeno una perifrasi che non facesse perdere tutta l’immagine poetica e paradossale di questo vento infaustamente favorevole. Sicuramente si poteva osare con la creatività di fronte al termine semn'omantij, perché in questo caso l’ironia con cui il personaggio pronuncia un tale vocabolo avrebbe creato una complicità sorridente con il pubblico, avrebbe sottolineato lo scherno ai danni di Tiresia e Creonte. Si è proposto di tradurlo con “sacrindovino”, perché il contesto lo permette. Per il resto, a volte è auspicabile, ove ciò non appesantisca troppo il ritmo della frase, tradurre taluni unicismi con delle perifrasi che restituiscano la pienezza del significato. Ad esempio un unicum come qespi'epeia mantiene la sua forza espressiva nella scelta di traduzione operata da Quasimodo, che ne rende al 218 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle La traduzione degli hapax dell’Edipo re meglio anche il significato, con l’inciso – un segno forte anche per l’attore – “voce del dio”. Non si può escludere che un traduttore particolarmente sensibile riesca talvolta a rendere anche in una tragedia, e anche, in casi diversi da quello di semn'omantij, l’unicismo con un neologismo che impressioni il pubblico italiano senza risultare comico. Tuttavia, ove, come nella maggior parte dei casi, una tale operazione non sia realizzabile, bisognerà cercare di rendere pregnante l’espressione con altri strumenti che la lingua d’arrivo possiede, proprio come ha fatto Quasimodo, isolando nell’inciso, quest’ immagine sonora e di sicuro effetto che è la perifrasi : “voce del dio”. 219 CONCLUSIONI 220 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Conclusioni Conclusioni È tempo di ricomporre sinteticamente le idee emerse nel corso di questo studio. Dalla divisione dei 25 unicismi in hapax dei dialoghi e hapax lirici, si è potuto osservare che i secondi sono, in proporzione, più numerosi, meno trasparenti e meno ‘incorniciati’ retoricamente con figure elocutive (forse perché era sufficiente la musica?). Sia gli unicismi dei dialoghi che quelli lirici sono, nella quasi totalità, legati al campo semantico di un tema importante dell’Edipo re: il camminare, il divino, il rapporto con la città, la vista. Questa divisione in campi semantici e l’analisi dei 25 hapax non possono essere totalmente autonome nell’interpretazione della tragedia, ma si rivelano utili per rileggere le tesi numerose e opposte che si sono susseguite e scontrate nel tempo. Gli unicismi del “divino” ci dicono che nell’Edipo re fato e divinazione hanno un ruolo importante, ma gli hapax del camminare si legano facilmente, come si è potuto vedere, al dinamismo e alla volontà dell’eroe, alla sua capacità deliberativa, sottolineando che fato e volontà non possono essere scissi in questa tragedia, ma si inseguono a vicenda. Tuttavia, gli hapax del divino sembrano offrire argomenti soprattutto in merito alla polemica sulla divinazione, più che dare conforto a una tesi fatalistica tout court, che concerne particolarmente le vicende di Edipo precedenti a quelle trattate nella tragedia sofoclea. Il campo semantico della relazione tra la città e l’uomo ci aiuta a ridefinire la posizione di Edipo nei confronti della comunità di Tebe e quella del coro rispetto all’eroe, confermando le tesi di chi si opponeva a una visione tirannica di Edipo, nel cui comportamento iroso si sarebbe riassunto tutto il senso della sua !ubrij, dunque della sua :amart'ia e della sua caduta. Nel campo semantico della vista infine abbiamo potuto apprezzare, specialmente nell’esodo, la capacità di Sofocle di coinvolgere lo spettatore insistendo al 221 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Conclusioni momento opportuno su questo ambito lessicale, fino alla ‘metavisione’ dello spettatore che ‘vede’ ciò che il messaggero ha visto, ciò che il coro vede da spettatore e ciò che Edipo dice di non poter più vedere. La tematicità degli hapax rivela la scelta fortemente consapevole del poeta e ci può far dire più di una volta che plausibilmente siamo di fronte a una vera e propria invenzione sofoclea, non più ripresa successivamente, per quel che ne sappiamo. L’analisi formale ci ha rivelato anche, come era prevedibile, il richiamo di Sofocle alla tradizione poetica precedente, a modelli di composti già presenti nella lingua dei poemi omerici, ma anche della poesia melica o di Eschilo. Alcuni degli unicismi pongono problemi di intelligibilità, che in parte sono stati chiariti e in parte restano aperti. Questo non inficia le dimostrazioni sul valore pragmatico generale degli unicismi dell’Edipo re, capaci di colpire l’attenzione, ma anche di farsi comprendere, almeno nel loro aspetto semantico principale, dallo spettatore. A questo punto si può forse osare una breve ma decisiva riflessione. Nell’introduzione al suo già menzionato saggio Lector in fabula, Eco scriveva: Non so se sia il caso di far notare che, a differenza di quasi tutti gli altri miei libri, questo restringe il campo di indagine ai soli fenomeni verbali, anzi, ai soli testi scritti e tra questi ai soli testi narrativi. Ma il concetto semiotico di testo è più vasto di quello meramente linguistico, e le proposte teoriche che faccio aspirano, con gli opportuni aggiustamenti, a risultare applicabili a testi non letterari e non verbali. Rimane quindi aperto il problema della cooperazione interpretativa nella pittura, nel cinema, nel teatro. (Eco 1979, pp. 10s.) 222 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Conclusioni Nel nostro caso siamo di fronte a un testo nato per la scena, scritto con il solo fine della memorizzazione attoriale e ci si può domandare se Sofocle avesse in mente uno “spettatore modello” con cui interagire. Che Sofocle lo avesse o meno in mente questo “spettatore modello” mentre componeva la sua tragedia, appare evidente alla fine di questa ricerca che il poeta cercasse di indirizzare l’interpretazione dello spettatore con degli accorgimenti, tra i quali gli hapax, ci sembra di averlo ormai dimostrato, hanno un ruolo importante e sembrano poter rientrare nella teoria dei topic che Eco affronta: Il problema è piuttosto di sapere in che modo il Lettore Modello (che di solito non è oggetto di un raggiro da parte dell’autore) viene orientato alla ricostruzione del topic. Sovente il segnale è esplicito: il titolo appunto, o una espressione manifesta che dice di cosa appunto il testo si vuole occupare. Talora invece il topic è da cercare. Il testo allora lo stabilisce reiterando per esempio con molta evidenza una serie di sememi, altrimenti detti parole chiave. Altre volte queste espressioni chiave, più che essere abbondantemente distribuite sono solo strategicamente collocate. […] Infine bisogna osservare che un testo non ha necessariamente un solo topic. (Eco 1979, p. 91) In una dimensione di oralità-auralità, come è quella teatrale, la ridondanza, l’insistenza, la ripetizione di parole chiave o la loro collocazione in rilievo, la creazione di parole chiave che sono di per sé in rilievo per la loro singolarità, hanno grande importanza, perché a teatro lo spettatore non può tornare indietro a rileggere quel che non ha capito, o che gli è sfuggito in un momento di distrazione, ma è compito dell’autore (e dell’attore) aiutarlo a centrare il topic e indirizzarlo nell’interpretazione o almeno nella ricezione dei contenuti rilevanti della tragedia. Se questo ruolo spesso rivestito dagli hapax (ruolo che come abbiamo detto non è estraneo ad altri termini) sia valido anche per altre tragedie e altri enunciati in 223 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Conclusioni generale non è qui possibile dirlo. Nell’Edipo re gli unicismi si intrecciano perfettamente con le tematiche della tragedia cui appartengono e spesso attraggono su di esse l’attenzione dello spettatore. Sarebbe invece un grave errore pretendere di sussumere dagli hapax delle universali teorie del tragico, e in questo senso ha grande importanza il monito della Dupont: Donc, quand la performance échappe aux lieux communs, quand soudain un personnage invente une parole nouvelle, celle-ci n’a de signification que pragmatique, elle ne peut se transformer en discours générale sur le monde. Personne d’autre ne peut s’en emparer. Cette parole, surprenante, souvent métaphorique, est indissociable du caractère fictif du sujet qu’elle sert à construire et, de ce point de vue aussi, elle est insignifiante. (Dupont 2001, p. 26) Infine grazie a una prospettiva attenta alle singolarità, è stato possibile riconsiderare anche guasti o presunti guasti della tradizione, evidenziando l’importanza che gli hapax, a volte arbitrariamente corretti, possono avere nell’intelaiatura della tragedia, con i suoi richiami interni, con le sue insistenze su certi ambiti lessicali. Avviandoci ora a concludere, proviamo a offrire un’interpretazione della tragedia che si appoggi, in buona parte, su quanto emerso dalla presente ricerca. Va detto che i nostri hapax sono davvero “strategicamente collocati”, la loro ‘geografia’ descrive in effetti dei picchi di tensione nella tragedia, contribuisce a questa tensione, offrendo un apporto importante all’espressività, ma anche alla chiarezza del contenuto. Lo spettatore, nei momenti di maggiore implicazione emozionale, sarà guidato nella ricezione dalla ricchezza espressiva, dalla pregnanza di molti degli hapax e, spesso, del contesto che li accompagna. Non è un caso che nel primo momento dialettico forte della tragedia, lo scontro con Tiresia, nel primo episodio, compaiano, a distanza piuttosto ravvicinata, ben quattro hapax (v. 384 a;itht'oj, “richiesto”; v. 384 e;isceir'izw, “mettere nelle 224 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Conclusioni mani”; v. 418 dein'opouj, “dal piede terribile”; v. 439 a;inikt'oj, “enigmatico”). Nel secondo stasimo, dove il coro turbato esprime la sua perplessità, troviamo tre hapax (v. 463 qespi'epeia, “fatidica”; v. 484 o;iwnoq'ethj, “colui che interpreta il volo degli ucceli”; v. 510 :hd'upolij, “caro alla città”). Nel secondo episodio, durante l’angosciata ricostruzione dell’assassinio di Laio e nello scambio con Giocasta immediatamente successivo, Edipo, ancora inconsapevole del suo parricidio, ma tormentato dal dubbio, pronuncia nuovamente tre hapax (v. 804 xunanti'azw, “venire incontro”; v. 816 ;ecqroda'imwn, “in odio agli dei”; v. 846 o;i'ozwnoj, “che viaggia solo”). Nel secondo stasimo, nel quale il coro esprime energicamente la sua indignazione verso l’empietà, si susseguono ancora una volta tre hapax (v. 864 e#useptoj, “molto venerabile”; v. 866 :uy'ipouj, “dai piedi elevati”; v. 902 ceir'odeiktoj, “che si mostra con la mano”). Un’insistente serie di hapax, dopo oltre trecento versi di latitanza, accompagna l’esodo, in cui, va detto, benché sia dominante il campo semantico della vista (tre hapax su sei, equamente distribuiti tra II messaggero, coro e Edipo: v. 1253 ;ekqe'aomai, “guardare attentamente”; v. 1312 ;ep'oyimoj, “visibile”; v. 1337 blept'on, “degno di essere visto” ), ricompaiono anche il campo semantico del destino (v. 1315 duso'uristoj, “spinto da un vento infaustamente favorevole”), del rapporto con la città (v. 1322 ;ep'ipoloj, “compagno”), del camminare (;epip'odioj v. 1350, “che governa i piedi”). La funzione dei singoli hapax è differente all’interno di ciascuno di questi cinque momenti, ma l’insieme di ogni gruppo, nei diversi punti, contribuisce alla tensione e alla chiarezza espressiva. Se il poeta insiste, se vuole che i contenuti passino anche nei momenti di maggiore tensione è perché evidentemente è bene che lo spettatore ne tenga conto. 225 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Conclusioni Procediamo più propriamente nel campo dell’interpretazione. Prima di tutto è importante sottolineare il fatto che la questione morale, più volte richiamata, spesso messa dagli interpreti al centro del dibattito sull’Edipo re, è fuorviante. Essa nasce dalla cattiva interpretazione della Poetica di Aristotele (53a): Resta dunque il caso intermedio tra questi. È di questo tipo colui che, non distinguendosi per virtù e per giustizia, non è volto in disgrazia per vizio e malvagità, ma per un errore, tra coloro che si trovano in grande fama e fortuna, come per esempio Tieste, Edipo e gli uomini illustri provenienti da siffatti stirpi. (Lanza 1987, pp. 157ss.) Molti hanno intrapreso la caccia all’errore (:amart'ia) di Edipo, caricando questo termine di un significato morale, dandogli il senso di “colpa” tout court. L’errore di Edipo non starebbe allora in tutto quello che involontariamente ha compiuto (il parricidio, l’incesto), ma nella sua irosità (;org'h) o, peggio ancora, nella sua malafede, o almeno superficialità, perché avrebbe dovuto evitare l’unione con una donna più anziana di lui, non macchiarsi di un delitto di sangue verso un uomo che poteva essere suo padre, e così via. Proseguendo su questa linea si rischia di perdere di vista le questioni centrali della tragedia e di trasformare il dibattito critico in un salotto in cui si intentano processi contro i personaggi. Se gli dei, come scherza Dodds, hanno letto questo passo della Poetica, certamente lo hanno inteso meglio di molti critici moralisti. In ogni caso, si è già detto che cercare nella Poetica risposte esaustive intorno alla realtà della tragedia del V secolo è molto rischioso. L’errore di Edipo è un motore tragico, la questione morale non è all’ordine del giorno. Più importante e più interessante è riflettere, insieme agli spettatori ateniesi, su quel che immediatamente la tragedia metteva in scena e dava la possibilità di capire a un primo (e unico) ascolto. Edipo è il re e deve risolvere il problema della 226 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Conclusioni peste a Tebe, deve comprenderne le cause e per questo invia Creonte a Delfi. C’è in questo un atteggiamento fiducia nel divino, ma soprattutto egli compie la scelta del buon sovrano che non lascia intentata alcuna via. prode'idw (v. 90, “temere prima”) ci ha reso conto dell’ansia di Edipo di capire al più presto. Egli cerca per via razionale soluzioni che possono passare anche attraverso la divinazione, tanto che invia Creonte a Delfi e, per non perdere tempo, fa chiamare anche Tiresia. L’enigma va risolto e il divino diviene un mezzo della sua intelligenza. Qui il razionalismo è chiamato in causa. Nel secondo episodio Edipo parla subito della soluzione per i mali della città, ne parla in termini, abbiamo visto, medici: l’;anako'ufisij ( v. 218, “il sollievo”) arriverà, ma chiede, anzi impone in termini legali, alla sua comunità di collaborare con lui nell’indagine. Edipo, per vie umane e razionali sta seguendo le prescrizioni divine, il colpevole va individuato. Nella posizione di Edipo c’è rispetto verso il divino, ma anche fierezza nelle sue capacità umane. Nello scontro con Tiresia emerge il carattere del sovrano. Edipo, è vero, reagisce con forza, ma in questo punto egli sente ferite la sua tim'h e la sua dikaios'unh, vive le parole di Tiresia non come emanazione del divino, ma come macchinazione dell’umano, come un tentativo di colpo di stato. Il re sottolinea la sua rettitudine e difende la sua posizione, sottolineando di non avere mai chiesto (v. 384, a;itht'oj) il potere, ma di averlo ricevuto in mano (v. 384, e;isceir'izw) dalla città. Cerca di portare avanti le sue argomentazioni sul piano della logica, le sue premesse sono sbagliate, ma i suoi ragionamenti giusti. La rettitudine del sovrano è così evidente al coro, che esso arriva, nel secondo stasimo, a dubitare di Tiresia. La divinità resta salda nella scala dei valori, giacché la rocca di Delfi è qespi'epeia (v. 439), ma l’indovino, che all’inizio è un o;iwnoq'ethj (v. 484), alla fine dello stasimo è considerato come un uomo fallibile, mentre di Edipo si ricorda il suo essere stato caro alla 227 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Conclusioni città (v. 510 :hd'upolij). Edipo è un buon sovrano dunque, e qui vacillano le tesi tiranniche, che ha cercato e cerca il bene della sua comunità. Ma venendo all’altro picco di densità degli hapax, il secondo episodio ci offre due hapax del campo semantico del divino e due del camminare. Edipo polemizza ancora contro Tiresia (v. 556 semn'omantij), ma soprattutto ricostruisce l’episodio dell’omicidio: gli hapax del camminare, si è visto, servono a sottolineare la sua innocenza di fronte all’accusa mossagli, ma particolarmente in o;i'ozwnoj rintracciamo quel dinamismo volontario del protagonista. Egli va solo, sta sfuggendo al suo destino, mentre il suo destino gli viene incontro (v. 804 xunanti'azw), ecco indubbiamente un punto cruciale della dialettica tra volontà razionale e destino. Qui il protagonista cede a un atteggiamento che ha spinto molti interpreti a considerare Edipo re solo come tragedia del destino: il re si ipotizza ;ecqroda'imwn (v. 816, “odiato dagli dei”). Il secondo stasimo e l’azione di Giocasta che subito segue hanno valore rituale, essi devono riaffermare l’importanza dell’ e;us'ebeia, non si può dunque negare una dialettica tra volontà razionale e destino nei diversi momenti della tragedia, ma neanche opporli toltalmente. In questo punto, si è visto, gli hapax parlano con chiarezza innegabile, bisogna ristabilire il rispetto per la divinità: v. 864 e#useptoj, “molto venerabile”; v. 866 :uy'ipouj, “dai piedi elevati”; v. 902 ceir'odeiktoj, “che si mostra con la mano” e poi ancora il gesto importante di Giocasta che offre ;epiqumi'amata (v. 913, “incensi”). Infine nell’esodo abbiamo detto che gli hapax richiamano diverse tematiche che hanno percorso la tragedia. Edipo si acceca perché non potrebbe resistere neanche nell’al di là alla vista del padre e della madre e neppure ora può più guardare il frutto del suo seme (vv. 1371-1375), nulla si può più vedere (blep'toj) secondo Edipo. Ecco che il tema della vista si collega a quello del 228 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Conclusioni g'enoj. Il re è stato tratto in errore da Apollo, ma la volontà di pagare le conseguenze del suo errore è sua, interna più che esterna: OID. ;Ap'ollwn t'ad’ %hn, ;Ap'ollwn, f'iloi EDI. Apollo, amici, è stato Apollo, :o kakà kakà tel^wn lui ha portato a compimento 1330 ;emà t'ad’;emà p''aqea. questo mio terribile destino. # Epaise d’a;ut'oceir nin o#utij ;all’ ;eg`w Ma nessuno ha colpito i miei occhi, tl'amwn. Tì gàr #edei m’:orân, io sono stato, io nella mia sventura! Se non ho più nulla di bello da !ot_ g; :or^wnti mhdèn %hn ;ideîn gluk'u> 1335/1336 vedere, perché vedere ancora? (Trad. Ciani 2007, p. 87) Edipo è la forza dell’uomo che si incontra e si scontra con il divino, in questo senso Edipo è anche tragedia della volontà. Egli risponde alla missione di salvare la p'olij che diviene per lui compagna (v. 1322 ;ep'ipoloj). La sua volontà di salvare la p'olij e in fondo la sua tim'h si serve del divino e allo stesso tempo si scontra con esso, quando la ricerca del regicida si trasforma nella ricerca della sua identità. I dubbi e le paure non frenano però Edipo, ma anzi divengono ulteriori motori drammatici. Egli vuole salvare la p'olij, vuole dimostrare inoltre la sua dikaios'unh, mantenere la sua tim'h, e alla fine anche comprendere la sua stessa identità, accettare il suo destino. La sua volontà arriva a effetto. Edipo riesce a scoprire l’origine del male: è egli stesso. Edipo si dimostra nelle intenzioni un buon sovrano, ma nel rapporto con la sua p'olij e la sua tim'h, egli ha incontrato il suo destino e il suo g'enoj. La tragedia della volontà è compiuta, egli si dimostra un buon re, un buon cittadino e in fondo un buon figlio e un uomo pio, pronto a pagare per i suoi errori, anche involontari. Sofocle mette in scena questa volontà umana e i suoi limiti, è un’esaltazione e insieme un 229 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Conclusioni ammonimento dell’umano: Edipo re è lo spettacolo dell’esistenza di un uomo, è il rito offerto agli dei. Questo, in sostanza, è quanto emerso dal nostro studio. 230 BIBLIOGRAFIA 231 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Bibliografia BIBLIOGRAFIA Edizioni e commenti dell’ Edipo Re J. Bollack, L’Œdipe roi de Sophocle: le texte et ses interprétations, I-IV, Villeneuve d'Ascq 1990. J. Bollack, La naissance d’Œdipe: traduction et commentaires, Paris 1995. E. Bruhn, König Oedipus, Berlin 1910. L. Campbell, The Plays and Fragments of Sophocles, I, Oxford 1871. A. Dain (ed.) - P. Mazon (trad.), Sophocle, II, Paris 1958. R. D. Dawe, Sophocles. Oedipus Rex, Cambridge 2006 (1982). M. L. Earle, The Oedipus Tyrannus, New York 1901. P. Elmsley, Sophocles. Oedipus tirannus, Leipzig 1821. F. G. Giannachi, Sofocle. Edipo re. I canti, Pisa-Roma 2009. R. C. Jebb, Sophocles. The Oedipus Tyrannus, Cambridge 1893. J. C. Kamerbeek, The Plays of Sophocles. Commentaries, IV. The Oedipus Tyrannus, Leiden 1967. H. Lloyd Jones - N.G. Wilson, Sophoclis Fabulae, Oxford 1990. O. Longo (ed.) - M. G. 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Zoia, ‘Pensiero religioso e possibilità dell’azione umana in Erodoto’, Zetesis 2, 2005, pp. 65-79. 245 INDICI 246 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Indici Indice alfabetico degli hapax ; gla'wy……………………………………………………………………………………. a p. 132 y a;inikt'oj…………………………………………………………………………………… j p. 78 a;itht'oj………………………………………….………………………………………… j p. 62 ; nako'ufisij…………………..………………………………………………………. a fisij p. 57 #apouroj………………………………..………………………………………………… pouroj p. 127 blept'oj……………………………………………………………………………………. j p. 178 dein'opouj………………………………………………………………………………… pouj p. 72 duso''uristoj.............................................................................. ristoj p. 169 e;isceir'izw………………………………….………………………………………….… p. 65 zw e; kqe'aomai……………………………………………………………………………….. omai p. 117 e; piqum'iama……………………………………………………………………………… ama p. 112 e; pip'odioj………………………………………………………………………………… dioj p. 181 e; p'ipoloj..................................................................................... p. 175 poloj e; p'oyimoj.................................................................................... yimoj p. 120 e#useptoj……………………………………………………………………..…………… p. 155 septoj e; cqroda'imwn…………………………………………………………………………… mwn p. 97 :hd' hd'upolij………………………………………….………………………………………. p. 150 polij qespi'epeia………………………………….…………………………………………… peia p. 139 xunanti'azw……………………………………………………………………..……… zw p. 91 o;i'ozwnoj………………………………………………………………………………… zwnoj p. 106 o;iwnoq'etaj taj……………………………………………………………………………… p. 145 prode'idw……………………………….………………………………………………… dw p. 52 247 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Indici semn'omantij…………………………………………………………………….……… mantij p. 83 : y'ipouj……………………………………………………………………….………… u pouj p. 159 ceir'odeiktoj…………………………………………………………………………… deiktoj p. 165 248 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Indici INDICE PARTE INTRODUTTIVA Premessa.................................................................................... p. 3 Introduzione............................................................................... p. 6 Perché uno studio sugli hapax: che cos’è uno hapax e obiettivi della ricerca……………………………………………………………………………… p. 14 Un punto sintetico sulla composizione nominale in vista dell’analisi degli hapax……………………………………………………………… p. 28 Una panoramica: hapax dei dialoghi e hapax lirici nell’Edipo re.. p. 31 Tabelle riassuntive e classificatorie degli unicismi dell’Edipo re… p. 38 Una definizione di stile………………………………………………………………… p. 44 Breve sintesi degli studi intorno alla datazione della tragedia……… p. 48 CAPITOLO I : Analisi degli hapax.……………………………………………… p. 50 Gli hapax dei dialoghi………………………………………………………………….. p. 51 prode'idw……………………………….…………………………………………………… p. 52 ;anako'ufisij…………………..…………………………………………………………. p. 57 a;itht'oj………………………………………….……………………………………………. p. 62 e;isceir'izw………………………………….………………………………………………. p. 65 dein'opouj…………………………………………………………………………………… p. 72 a;inikt'oj……………………………………………………………………………………… p. 78 semn'omantij…………………………………………………………………….………… p. 83 xunanti'azw……………………………………………………………………..………… p. 91 ;ecqroda'imwn……………………………………………………………………………… p. 97 249 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Indici o;i'ozwnoj……………………………………………………………………………………. p. 106 ;epiqum'iama………………………………………………………………………………… p. 112 ;ekqe'aomai………………………………………………………………………………….. p. 117 ;ep'oyimoj......................................................................................... p. 120 Gli hapax lirici……………………………………………………………………………… p. 126 #apouroj………………………………..…………………………………………………… p. 127 ;agla'wy………………………………………………………………………………………. p. 132 qespi'epeia………………………………….……………………………………………… p. 139 o;iwnoq'etaj………………………………………………………………………………. p. 145 :hd'upolij………………………………………….…………………………………………. p. 150 e#useptoj……………………………………………………………………..……………… p. 155 :uy'ipouj……………………………………………………………………….…………….. p. 159 ceir'odeiktoj………………………………………………………………………………. p. 165 duso''uristoj................................................................................... p. 169 ;ep'ipoloj.......................................................................................... p. 175 blept'oj………………………………………………………………………………………. p. 178 ;epip'odioj……………………………………………………………………………………. p. 181 CAPITOLO II : Riflessioni interpretative a partire dalla divisione degli hapax in campi semantici …..……………………………………………. p. 187 Il campo semantico del camminare……………………………………………… p. 188 Il campo semantico del divino e del destino………………………………… p. 193 Il campo semantico del rapporto con la città……………………………….. p. 196 250 Gli hapax dell’Edipo re di Sofocle Il campo semantico del vedere……………………………………………………. Indici p. 199 CAPITOLO III : Il valore pragmatico degli hapax dell’Edipo re…….. p. 201 CAPITOLO IV : La traduzione degli hapax dell’Edipo re………………. p. 211 Conclusioni……………………………………………………………………………….. p. 220 Bibliografia……………………………………………………………………………….. p. 231 Indici………………………………………………………………………………………… p. 246 251