INCIDENTI STRADALI E RITO DEL LAVORO (*) 1. Spiace dovere iniziare questo intervento – che non ha pretese di novità o completezza - osservando come l’art. 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102 (in Gazz. Uff., 17 marzo, n. 64), rubricata “Disposizioni in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali”, costituisca un ottimo esempio dei guasti cui può condurre l’idea che sia possibile riformare la Giustizia “a costo zero”. Lo “spensierato” (1) articolo 3 si limita a stabilire che “1. Alle cause relative al risarcimento dei danni per morte o lesioni, conseguenti ad incidenti stradali, si applicano le norme processuali di cui al libro II, titolo IV, capo I del codice di procedura civile”, cioè gli articoli 409 ss. c.p.c. La norma, come anticipato, è foriera di una serie di problemi, che mette conto esaminare nello spazio che mi è stato concesso. 2. Il primo problema concerne la mancanza di una disciplina transitoria. La legge 102 nulla prevede al riguardo e ciò, da un punto di vista tecnico, avrebbe dovuto comportare l’applicazione del nuovo rito anche ai processi in corso, giusta il principio tempus regit actum. La soluzione è stata scartata fin da subito(2), invocando “un’ interpretazione sistematica fondata: - sia sul principio ricavabile dall’art. 5 c.p.c. (oggi prevedente espressamente la “insensibilità” del processo ad una specie molto rilevante di ius superveniens in materia processuale); - sia sulla considerazione della unitarietà degli schemi processuali “rito ordinario” e “rito del lavoro”, unitarietà che porta a far ritenere non corrispondenti allo stesso principio tempus regit actum vicende di cambiamento del regime processuale “in corsa”, che si risolverebbero nella applicazione di discipline sopravvenute ad una serie unitaria di atti non ancora conclusa; - sia sul principio di c.d. “affidamento legislativo”(3), sotteso, secondo un condivisibile orientamento espresso anche dalla Corte di cassazione, all’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale; Si propone quindi una lettura del principio tempus regit actum nel senso che quando la normativa processuale sopravvenuta riguardi l’intero schema del giudizio (e non la disciplina di singole attività) essa non debba essere applicata ai processi pendenti ma solo a quelli instaurati dopo la entrata in vigore di tale normativa: con la conseguenza, dunque, della applicabilità (*) Questo scritto riporta il testo dell’intervento tenuto il giorno 18 ottobre 2007 nell’ambito del modulo 1 degli incontri sul diritto processuale civile e societario organizzati dall’Associazione Provinciale Forense di Bergamo, con il patrocinio dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo. 1 Questo il felice aggettivo usato da Consolo, Rito del lavoro, lesioni personali nella r.c.a. e lesioni processuali di fine legislatura, in Corriere Giur., 2006, 597. 2 V., in giurisprudenza, Corte Appello Torino, 19 maggio 2006, n. 422. 3 Per un’applicazione di questo principio, v., ad esempio, Cass., 15 maggio 2000, n. 6099. 1 del nuovo regime processuale di cui alla legge n. 102/2006 ai soli procedimenti introdotti dopo il 1° aprile 2006, data di entrata in vigore della legge, e della prosecuzione dei processi relativi al risarcimento di danni alla persona da incidenti stradali introdotti prima di tale data secondo il “rito ordinario”, sia in primo che in secondo grado. Questa soluzione interpretativa risponde, del resto, anche ad esigenze organizzative assai rilevanti, evitando inconvenienti destinati a ripercuotersi negativamente sulla stessa durata dei processi pendenti”(4). Si tratta di una motivazione, a mio avviso, scarsamente convincente. Al primo argomento si può replicare che l’art. 5 riguarda solo la giurisdizione e la competenza e, stante la sua natura eccezionale, non pare suscettibile di interpretazioni estensive o analogiche; nulla osta, poi, a modificare “in corsa” il regime processuale applicabile; il principio di affidamento opera, del resto, solo nel caso in cui alla modifica processuale consegua una compressione dei diritti di difesa, circostanza che non mi sembra predicabile, nel caso di specie. Infine, l’art. 11 preleggi non viene in considerazione, perché comunque in materia processuale la legge dispone per il futuro, cioè per atti ancora da compiere. La realtà è che si è voluto fornire una soluzione (senza dubbio ragionevole) ad un problema creato da un legislatore frettoloso e distratto: è noto, però, che adducere inconvenientes non est solvere argumenta. Va solo aggiunto che, una volta postulata – perché di un postulato si tratta – l’applicabilità della nuova disciplina ai giudizi promossi dopo l’entrata in vigore della legge, per le cause d’appello dovrà utilizzarsi il medesimo rito (ordinario o speciale) seguito per la causa di prime cure, giusta il generale principio di ultrattività del rito(5). 3. Preso atto della soluzione ormai unanimemente accettata, si deve affrontare il problema dell’ambito di applicazione del nuovo rito degli incidenti stradali. Anche sotto questo profilo la norma non brilla per tecnica redazionale ed impone di delimitare il concetto di cause di risarcimento da “incidente stradale”, rispetto a quelle di risarcimento di danni derivanti da “circolazione dei veicoli”, previsto dall’art. 7, comma 2, c.c. Su questa norma si era formata una consolidata giurisprudenza, per la quale le cause di risarcimento danni derivanti dalla circolazione stradale sono quelle in cui sussiste “uno specifico nesso causale tra il fatto della circolazione stradale ed il danno, nel senso che il primo elemento deve essere causa efficiente del secondo e non costituirne, invece, semplice occasione”(6). 4 Così l’Osservatorio Giustizia Milano – documento 29 marzo 2006, in Guida Dir. 2006, 16, 118 ss. Plaude alla soluzione, considerata in linea con il dettato dell’art. 111 Cost., Finocchiaro, Un’interpretazione in piena armonia con il principio del giusto processo, in Guida dir., 2006, 16, 119-120. 5 Capponi, Incidenti stradali e rito del lavoro (a primissima lettura sulla legge 21 febbraio 2006, n. 102), in www.judicium.it 6 Cass., 20 gennaio 2005, n. 11471. 2 Comprese nel concetto di cause di risarcimento da circolazione stradale sono anche le controversie relative a danni derivanti dalla circolazione di veicoli su rotaie (7), ipotesi, quest’ultima, esclusa dalla disciplina dell’assicurazione obbligatoria. Quanto alla nuova disciplina, è stato condivisibilmente affermato che, “l'ambito di applicazione del disposto è, con tutta evidenza, assai ampio, giacché il legislatore ragiona espressamente (nel titolo del provvedimento, nel contesto dell'art. 3 e pure nel titolo dell'art. 5) di incidenti "stradali" e non già "automobilistici" (salvo, poi, prevedere, nel testo dell'art. 5, una misura anticipatoria non cautelare a carico del "conducente"): la nuova disciplina, pertanto, riguarda in generale gli incidenti stradali (non necessariamente implicanti una collisione tra veicoli), che abbiano coinvolto almeno una persona fisica (deambulante o condotta su mezzo di trasporto diverso dai propri piedi)”(8). Sono esclusi, invece, dall’ambito di applicazione della norma gli incidenti conseguenti ad insidie: in questo caso, il danno non trova la sua causa efficiente nella circolazione, bensì direttamente nella struttura del manufatto e nella custodia dello stesso(9). Sono, altresì, esclusi i danni collegati ad incidenti avvenuti in area privata non aperta al pubblico transito (10) e, si ritiene, quelli riguardanti mezzi circolanti su rotaie, oltre, naturalmente, quelli cagionati da natanti. In generale, poi, si può osservare come, rispetto all’ambito di applicazione della disciplina sull’assicurazione obbligatoria, quello dell’art. 3 è, al contempo, più ampio, perché comprende anche ipotesi in cui non sussiste obbligo di assicurazione (i velocipedi), e più ristretto, perché non riguarda ipotesi che nella prima sono comprese (i natanti). 4. Sempre per restare al problema dell’individuazione dell’ambito di applicazione della norma, essa riguarda cause di “risarcimento danni per morte e lesioni”. Per l’individuazione di questi danni soccorrono le previsioni degli artt. 137139 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (c.d. codice delle assicurazioni), i quali contengono un’espressa definizione di danno patrimoniale (conseguente alle lesioni) e di danno biologico, intendendosi per tale “la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità 7 Cass., 12 marzo 2005, n. 5455. Prendini, Pluralità di danni conseguenti al medesimo incidente stradale e disciplina processuale applicabile, in Resp. Civile e Previdenza, 2007,2 ss.; Comandè, Responsabilità civile: sulla sorte dei risarcimenti una eccessiva settorializzazione delle procedure, in Guida dir. 2006, 17, 9. 9 Rolfi, Il nuovo rito per gli incidenti stradali: più problemi che soluzioni, ne Il Corriere del merito, 2006, 978. 10 Cass., 27 dicembre 1991, n. 13925. 8 3 di produrre reddito” (art. 138, comma 2, lettera c), del codice delle assicurazioni). Non mi addentro nell’esame dei problemi connessi all’individuazione dei confini del danno biologico nelle sue diverse componenti. Mi limito a segnalare che risulta dubbia l’assoggettabilità al rito del lavoro di una causa in cui venga richiesto il risarcimento del danno esistenziale da parte dei congiunti di una vittima di incidente stradale. La giurisprudenza afferma che il danno in questione costituisce una conseguenza diretta della morte, cui è casualmente collegata, ex art. 1223 c.c.(11). Sotto il profilo eziologico non dovrebbero, dunque, esservi problemi a comprendere la domanda degli eredi fra quelle suscettibili di essere trattate con il rito speciale(12). A questo tipo di danno non corrisponde, però, necessariamente ad una lesione in senso medico, giacché la giurisprudenza ritiene che esso non necessita, per la sua configurazione, di accertamento in sede medico-legale(13): circostanza che rende problematico fare rientrare questa figura di danno nella sia pure ampia nozione di danno biologico contenuta nel codice delle assicurazioni private. 5. Altro aspetto problematico, sempre con riguardo all’ambito di applicazione della previsione dello art. 3 della legge 102 del 2006, concerne la sua operatività in presenza di domande di regresso e surroga, connesse ad incidenti stradali: si pensi al regresso dell’assicuratore verso il responsabile del sinistro o alla surroga dell’impresa designata o dell’INPS rispetto all’assicurato, per il recupero dell’indennità di malattia corrispostagli Nel primo caso, la compagnia fa valere un diritto proprio, nel secondo caso fa valere il medesimo diritto che sarebbe spettato al danneggiato cui è surrogato ex art. 1203, comma 2, c.c.(14) . Solo in quest’ultimo caso e non nel caso di rivalsa si giustificherebbe l’applicazione del rito del lavoro. 6. L’individuazione dell’ambito di applicazione della norma in commento conduce ad esaminare il problema del rito applicabile nel caso in cui siano proposte congiuntamente o successivamente riunite domande connesse soggette a riti diversi. Secondo l’opinione prevalente, in queste ipotesi dovrebbe applicarsi il rito del lavoro. Questo risultato viene perseguito tramite un’interpretazione estensiva dell’art. art. 3 della legge 102 del 2006 ed attraendo, così, nell'ambito applicativo della nuova disposizione anche la domanda di risarcimento dei danni 11 Cass., 9 febbraio 2005, n. 2653. Contra Chindemi, La legge 102/2006 in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali: questioni interpretative l.21.2.2006, n. 102 e d. lgs.7-9.2005, n. 209), reperibile all’indirizzo www.lapraticaforense.it, sul presupposto che venga atto valere un diritto proprio originato da un illecito penale solo accidentalmente legato al sinistro stradale. 13 Cass., 12 giugno 2006, n. 13546. 14 Cass., sez. un., 11 novembre 1991, n. 12014, relativa al “regresso” dell'impresa designata, che abbia risarcito il danno nei casi previsti dall'art. 19 comma 1 lettera a) e b) della l. 24 dicembre 1969 n. 990. 12 4 a cose(15), oppure ragionando ex art. 40, comma 3 − seconda parte − c.p.c., e, del pari, mediante un'interpretazione estensiva vuoi dell'art. 409 c.p.c., vuoi dell'art. 442 c.p.c.(16). La soluzione opposta privilegia, invece, l'applicabilità, nei medesimi casi, del rito ordinario, argomentando sempre ex art. 40, comma 3, c.p.c. La soluzione che vede la prevalenza del rito ordinario potrebbe forse essere condivisa, qualora le domande relative ai danni da lesione ed ai danni alle cose fossero proposte dal medesimo soggetto. In questo caso, si è affermato che “l'art. 40, terzo comma, c.p.c. si riferisce all'ipotesi di una pluralità di cause; esso può trovare applicazione ove le cause, pur identiche quanto ai soggetti e alla causa petendi, siano diverse quanto al petitum. In tema di risarcimento del danno, le singole voci di esso dedotte dall'attore costituiscono una mera articolazione di un petitum unitario e non autonome domande, sicché non è ravvisabile, in tale fattispecie, la pluralità di cause che è presupposto per l'applicazione dell'art. 40 c.p.c.”(17). Questa soluzione – che a me pare artificiosa - non funziona, però, nel caso in cui le domande provengano da soggetti diversi, giacché in questo caso sfuma la possibilità di considerarle come articolazioni della medesima domanda: si applicherebbe, quindi, l’art. 40, comma 3, c.p.c., secondo il disposto suo proprio, con la conseguente prevalenza del rito ordinario (che, come noto, prevale sul rito speciale, quando non si tratti di controversie nelle materie di cui all’art. 409 e 442 c.p.c.). Merita di essere segnalata, poi, l’ipotesi in cui il danno da circolazione sia aggravato da condotte di terzi; si pensi al caso in cui il danno dell’incidente sia aggravato dalla negligenza del medico. Anche in questo caso non sembra possibile immaginare la prevalenza del rito speciale, su quello ordinario, mancando un criterio di connessione forte (18). 7. Passando, quindi, alla fase introduttiva del giudizio, si ritiene che non siano applicabili le previsioni degli artt. 410 – 412 c.p.c.(19), relative al tentativo obbligatorio di conciliazione. Esistono, però, una serie di formalità preliminari specificamente disciplinate dal codice delle assicurazioni, che sostituiscono quelle previste dal processo del lavoro. L’art. 145 del Codice delle assicurazioni prevede che nel caso si applichi la 15 Occorre, cioè ritenere, come fa l’Osservatorio per la giustizia civile di Milano che l’art. 3 della legge 102 vada letto come se recitasse “alle cause relative, anche non esclusivamente, al risarcimento dei danni etc.”. 16 Andrebbe, cioè, ipotizzato un virtuale art. 409, comma 1, n. 6),c.p.c.: in questo senso, Chindemi, op. cit. 17 Tribunale Padova 10 ottobre 2006; nello stesso senso, v. anche Tribunale Mantova, 27 febbraio 2007, ne Il merito 2007, 6, 14. In senso contrario, per la necessità di applicare il rito ordinario anche in questa ipotesi, Tribunale Lucca, 11 gennaio 2007, fonte: Redazione Giuffrè; Giudice di pace di Spoleto, 10 gennaio 2007, ne Il merito 2007, 6, 18. 18 Chindemi, op.cit. 19 Finocchiaro, Nasce l’ennesimo processo speciale, in Guida Dir. 2006, 13, 37; tornerò appresso sulla previsione dell’art. 412 bis c.p.c. 5 procedura di cui all’articolo 148(20), l'azione per il risarcimento dei danni 20 Il testo dell’art. 148 CAP è il seguente: “1. Per i sinistri con soli danni a cose, la richiesta di risarcimento, presentata secondo le modalità indicate nell'articolo 145, deve essere corredata dalla denuncia secondo il modulo di cui all'articolo 143 e recare l'indicazione del codice fiscale degli aventi diritto al risarcimento e del luogo, dei giorni e delle ore in cui le cose danneggiate sono disponibili per l'ispezione diretta ad accertare l'entità del danno. Entro sessanta giorni dalla ricezione di tale documentazione, l'impresa di assicurazione formula al danneggiato congrua offerta per il risarcimento ovvero comunica specificatamente i motivi per i quali non ritiene di fare offerta. Il termine di sessanta giorni è ridotto a trenta quando il modulo di denuncia sia stato sottoscritto dai conducenti coinvolti nel sinistro. 2. L'obbligo di proporre al danneggiato congrua offerta per il risarcimento del danno, ovvero di comunicare i motivi per cui non si ritiene di fare offerta, sussiste anche per i sinistri che abbiano causato lesioni personali o il decesso. La richiesta di risarcimento deve essere presentata dal danneggiato o dagli aventi diritto con le modalità indicate al comma 1. La richiesta deve contenere l'indicazione del codice fiscale degli aventi diritto al risarcimento e la descrizione delle circostanze nelle quali si è verificato il sinistro ed essere accompagnata, ai fini dell'accertamento e della valutazione del danno da parte dell'impresa, dai dati relativi all'età, all'attività del danneggiato, al suo reddito, all'entità delle lesioni subite, da attestazione medica comprovante l'avvenuta guarigione con o senza postumi permanenti, nonché dalla dichiarazione ai sensi dell'articolo 142, comma 2, o, in caso di decesso, dallo stato di famiglia della vittima. L'impresa di assicurazione è tenuta a provvedere all'adempimento del predetto obbligo entro novanta giorni dalla ricezione di tale documentazione. 3. Il danneggiato, pendenti i termini di cui al comma 2 e fatto salvo quanto stabilito al comma 5, non può rifiutare gli accertamenti strettamente necessari alla valutazione del danno alla persona da parte dell'impresa. Qualora ciò accada, i termini di cui al comma 2 sono sospesi. 4. L'impresa di assicurazione può richiedere ai competenti organi di polizia le informazioni acquisite relativamente alle modalità dell'incidente, alla residenza e al domicilio delle parti e alla targa di immatricolazione o altro analogo segno distintivo, ma è tenuta al rispetto dei termini stabiliti dai commi 1 e 2 anche in caso di sinistro che abbia determinato sia danni a cose che lesioni personali o il decesso. 5. In caso di richiesta incompleta l'impresa di assicurazione richiede al danneggiato entro trenta giorni dalla ricezione della stessa le necessarie integrazioni; in tal caso i termini di cui ai commi 1 e 2 decorrono nuovamente dalla data di ricezione dei dati o dei documenti integrativi. 6. Se il danneggiato dichiara di accettare la somma offertagli, l'impresa provvede al pagamento entro quindici giorni dalla ricezione della comunicazione. 7. Entro ugual termine l'impresa corrisponde la somma offerta al danneggiato che abbia comunicato di non accettare l'offerta. La somma in tal modo corrisposta è imputata nella liquidazione definitiva del danno. 8. Decorsi trenta giorni dalla comunicazione senza che l'interessato abbia fatto pervenire alcuna risposta, l'impresa corrisponde al danneggiato la somma offerta con le stesse modalità, tempi ed effetti di cui al comma 7. 9. Agli effetti dell'applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo, l'impresa di assicurazione non può opporre al danneggiato l'eventuale inadempimento da parte dell'assicurato dell'obbligo di avviso del sinistro di cui all'articolo 1913 del codice civile. 10. In caso di sentenza a favore del danneggiato, quando la somma offerta ai sensi dei commi 1 o 2 sia inferiore alla metà di quella liquidata, al netto di eventuale rivalutazione ed interessi, il giudice trasmette, contestualmente al deposito in cancelleria, copia della sentenza all'ISVAP per gli accertamenti relativi all'osservanza delle disposizioni del presente capo. 6 causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto all’impresa di assicurazione il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, anche se inviata per conoscenza, avendo osservato le modalità ed i contenuti previsti all’articolo 148. Nel caso in cui si applichi la procedura di cui all’articolo 149 l'azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto alla propria impresa di assicurazione il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, inviata per conoscenza all’impresa di assicurazione dell’altro veicolo coinvolto, avendo osservato le modalità ed i contenuti previsti dagli articoli 149 e 150. La procedura prevista da detta norma si applica anche nel caso di domanda riconvenzionale; chiamata del terzo; domanda del terzo trasportato, ex art. 141, comma 3, CAP. Si tratta di formalità che costituiscono condizione di procedibilità della domanda. La giurisprudenza formatasi sull’art. 22, l. 24 dicembre 1969, n. 990, insegnava che l'onere imposto al danneggiato dall'art. 22, l. n. 990 del 1969, di richiedere all'assicuratore il risarcimento dei danni almeno sessanta giorni prima di proporre il relativo giudizio, costituisce condizione di proponibilità della domanda risarcitoria la cui mancanza è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti, salva la preclusione del giudicato, anche implicito, restando tuttavia escluso che sia obbligo del giudice acquisire ex officio la relativa documentazione(21). Stante la lettera dell’art. 145 CAP, il principio pare applicabile anche al nuovo codice delle assicurazioni e riguarda tutti i giudizi instaurati dopo il 1 gennaio 2006, indipendentemente dal momento in cui si è verificato il sinistro(22). 11. L'impresa, quando corrisponde compensi professionali per l'eventuale assistenza prestata da professionisti, è tenuta a richiedere la documentazione probatoria relativa alla prestazione stessa e ad indicarne il corrispettivo separatamente rispetto alle voci di danno nella quietanza di liquidazione. L'impresa, che abbia provveduto direttamente al pagamento dei compensi dovuti al professionista, ne dà comunicazione al danneggiato, indicando l'importo corrisposto”. 21 Così, per tutte, Cass., 25 agosto 2006, n. 18493. 22 V. Tribunale Napoli, 17 ottobre 2006, ne Il Corriere del merito 2006, 12, 1389: “La previsione di cui all'art. 145 del codice delle assicurazioni, il quale prevede che la lettera raccomandata - che a pena di proponibilità precede l'introduzione del giudizio risarcitorio in materia di r.c.a. - debba avere il contenuto della richiesta di cui all'art. 148 del medesimo codice, si applica a tutti i giudizi introdotti dopo l'1 gennaio 2006, a nulla rilevando 7 Un temperamento al rigore delle conseguenze stabilite dalla norma in esame è dato dal fatto che, nella costituzione in mora dell’impresa assicuratrice, a seguito dell’invio della lettera che non contenga tutti gli elementi oggettivi previsti dall’art. 148, comma 2, del d.lg. n. 209 del 2005, si ha l’interruzione dei termini di cui all’art. 145, comma 1, del citato decreto, solo in caso di richiesta di integrazioni tempestiva (entro 30 giorni dalla ricezione della lettera) da parte della compagnia assicuratrice(23). L’assolvimento di queste formalità preliminari non pone problemi particolari, se non per il coordinamento della disciplina del codice delle assicurazioni – che fa discendere dal mancato espletamento delle predette formalità la chiusura del procedimento con una pronuncia di improcedibilità(24) - con il più articolato sistema previsto dall’art. 412 bis c.p.c.(25). Non vedo particolari ostacoli a ritenere il meccanismo previsto da tale norma anche in tema di incidenti stradali, trattandosi, a mio avviso, dell’interpretazione più coerente con il rinvio contenuto nell’art. 3 della legge 102 del 2006(26) e con l’intento di velocizzare la definizione della controversia: finalità che induce a ritenere preferibile la possibilità di sospendere e poi riassumere il procedimento, piuttosto che condurlo sino ad una pronuncia di improcedibilità. Occorre, comunque, immaginare che il termine concesso per l’espletamento della procedura conciliativa sia di novanta giorni, anziché di sessanta, come previsto dall’art. 412 bis c.p.c. e che sia sempre possibile il rilievo officioso del mancato espletamento della formalità. 8. Espletato l’incombente di cui si è detto sopra, si pone il problema che il sinistro risalga ad una data anteriore, con la conseguenza che ove la lettera in questione, ancorché edita in data anteriore sia priva del suddetto contenuto, il giudizio deve chiudersi con una declaratoria di improponibilità”. 23 Giudice di pace di S. Anastasia, 29 gennaio 2007. 24 Cassazione civile , sez. III, 21 novembre 1981, n. 6227. 25 Il testo dell’art. 412 bis c.p.c. è il seguente: “l'espletamento del tentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità della domanda. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto nella memoria difensiva di cui all'articolo 416 e può essere rilevata d'ufficio dal giudice non oltre l'udienza di cui all'articolo 420. Il giudice, ove rilevi che non è stato promosso il tentativo di conciliazione ovvero che la domanda giudiziale è stata presentata prima dei sessanta giorni dalla promozione del tentativo stesso, sospende il giudizio e fissa alle parti il termine perentorio di sessanta giorni per promuovere il tentativo di conciliazione. Trascorso il termine di cui al primo comma dell'articolo 410 bis, il processo può essere riassunto entro il termine perentorio di centottanta giorni. Ove il processo non sia stato tempestivamente riassunto, il giudice dichiara d'ufficio l'estinzione del processo con decreto cui si applica la disposizione di cui all'articolo 308. Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione non preclude la concessione dei provvedimenti speciali d'urgenza e di quelli cautelari previsti nel capo III del titolo I del libro IV 26 Per l’applicabilità dell’art. 412 bis c.p.c. , se non ho male inteso, v. Sandulli, L’applicazione del rito del lavoro per la tutela degli incidenti stradali con lesoni (note relative alla l.n. 102 del 2006), in Giust. Civ., 2006, 303. 8 dell’individuazione del giudice competente, posto che è stata messa in dubbio la sopravvivenza della competenza del Giudice di pace, in tema di incidenti stradali, quando vi siano lesioni personali. In giurisprudenza è stato affermato che “la disposizione di cui all'art. 413 c.p.c., di certo richiamata dal citato art. 3, individua nel tribunale il giudice competente. Si deve pertanto ritenere che con la legge n. 102/2006 il legislatore abbia dunque inteso sottrarre alla competenza del giudice di pace tutte le controversie aventi ad oggetto il risarcimento del danno per morte o per lesioni, conseguente ad incidenti stradali, lasciando al giudice di pace la competenza per gli incidenti con danni soltanto alle cose e comunque nei limiti di valore di € 15.493,71”(27). Inutile soffermarsi sulle conseguenze di una simile interpretazione, condivisa anche da parte della dottrina(28), che comporterebbe l’integrale sottrazione al giudice di pace della materia che stiamo esaminando. Si tratta di un’interpretazione che non convince, perché l’art. 413 c.p.c. stabilisce che “le controversie previste dall'articolo 409 sono in primo grado di competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro”(29): e non mi sembra che una norma che fissa una regola di competenza per una determinata materia possa essere estesa, in difetto di una contraria disposizione di legge, anche fuori dall’ambito suo proprio30; conclusione inevitabile, a mio avviso, specie ove si acceda alla tesi che le norme in tema di competenza, se derogano alla disciplina generale, debbono intendersi di stretta interpretazione. 9. Passo all’esame, necessariamente sintetico, delle peculiarità del rito del lavoro. L’atto introduttivo è costituito da un ricorso il cui contenuto è fissato dall’art. 414 c.p.c. “la domanda si propone con ricorso, il quale deve contenere: 1. l'indicazione del giudice; 2. il nome, il cognome, nonché la residenza o il domicilio eletto dal ricorrente nel comune in cui ha sede il giudice adito, il nome, il cognome e la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto; se ricorrente o convenuto è una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, il ricorso deve indicare la denominazione o ditta nonché la sede del ricorrente o del convenuto; 3. la determinazione dell'oggetto della domanda; 4. l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni; 5. l'indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione”. 27 Giudice di Pace di Milano 20 ottobre 2006, n. 29575, ne Il merito 2007, 6, 19 , v. Maietta, La legge 102/2006 sulle lesioni personali nella r.c.a.: osservazioni critiche a prima lettura, in Danno e responsabilità, 2006, 940-941. 29 in dottrina, v. per tutti, Rolfi, op. cit., 978. 30 Il problema presenta una stretta connessione con quello della individuazione del rito applicabile alle cause connesse. Per chi ritiene di giustificare la deroga alla previsione dell’art. 40, comma 3, c.p.c. affermando che occorre ipotizzare un virtuale art. 409, numero 6), c.p.c., la sottrazione al Giudice di pace di queste controversie, ex art. 413 c.p.c. dovrebbe costituire un risultato inevitabile. 28 9 Rispetto alla citazione, si segnalano alcune differenze marginali, quali: - la necessità di indicare la residenza o eleggere domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito, con facoltà di effettuare le notificazioni in cancelleria in caso contrario(31); - la possibilità di non indicare il soggetto che ha la rappresentanza dell’ente o della persona giuridica; - la necessità di indicare l’oggetto della domanda e non la cosa oggetto della domanda(32); - la mancata previsione dell’indicazione della procura e del procuratore; non si dubita, tuttavia, dell’applicabilità dell’art. 125 disp. att. c.p.c.; non si applica, invece, l’art. 125, comma 2, disp. att. c.p.c.: la sussistenza della procura prima del deposito del ricorso comporta l’inesistenza dell’atto, insuscettibile di regolarizzazione ex art. 182 c.p.c.(33). Quanto alla disciplina del regime di nullità del ricorso, pur non senza resistenze da parte della giurisprudenza di merito, è stato stabilito che “nel rito del lavoro la mancata specificazione da parte dell'attore in sede di ricorso degli elementi di fatto e di diritto posti a base della domanda, non individuabili neanche attraverso un esame complessivo del ricorso e della documentazione allegata, ne determina la nullità, la quale si sana però ove il convenuto non l'abbia eccepita(34) ed il giudice non l'abbia rilevata fissando un termine per la rinnovazione del ricorso o per la integrazione della domanda, anche se l'eventuale intervenuta sanatoria non determina una rimessione in termini del ricorrente rispetto alla decadenza (e non nullità) cui dà luogo la mancata indicazione da parte dello stesso in ricorso dei mezzi di prova”(35). L’omessa indicazione dei mezzi di prova non comporta, invece, la nullità del ricorso, ma, per opinione assolutamente pacifica, la decadenza dalla possibilità di dedurle successivamente ed il rischio di vedere rigettata, nel merito, la domanda. L’onere riguarda indistintamente tanto le prove costituite, quanto le prove costituende, sicché “l'omessa indicazione, nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti medesimi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall'evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione (come nei casi, ad es., susseguenti alla proposizione di domanda riconvenzionale o di intervento o 31 Cass., 12 ottobre 2000, n. 13595. Previsione dalla quale si fa discendere l’obbligo di indicare sia il petitum immediato (le conclusioni), sia il petitum mediato (cioè il bene della vita di cui si chiede tutela). 33 Cass., 14 luglio 2001, n. 9596. 34 Non convince del tutto l’idea di una sanatoria (rimessa anche all’eccezione del convenuto); infatti, se l’atto è nullo perché manca dei requisiti indicati, l’omessa eccezione dovrebbe essere irrilevante, perché non si dovrebbe nemmeno capire di cosa si sta trattando. 35 Cass., Sez. Un., 17 giugno 2004, n. 11353. 32 10 chiamata in causa di terzo). Pertanto, ai fini dell'operatività delle preclusioni e dei termini decadenziali previsti dalla legge, deve operarsi una completa equiparazione tra prova precostituita (quale quella documentale) e prova costituenda (come quella testimoniale), con la conseguenza che l'omessa indicazione dei documenti e la mancata produzione degli stessi al momento del tempestivo deposito dei rispettivi atti di costituzione delle parti determina - con il limite precedentemente precisato e salva l'esercitabilità in appello del potere di ammissione d'ufficio di nuovi mezzi di prova ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa - la decadenza delle stesse dal diritto di avvalersi di detti documenti ai fini probatori”(36). Tra le produzioni cui occorrerà prestare maggiore attenzione è stata segnalata la richiesta di accesso agli atti ex art. 146 CAP, quale presupposto per ottenere, ex art. 210 c.p.c., l’esibizione da parte della compagnia assicurativa della documentazione relativa alla valutazione, constatazione e liquidazione dei danni subiti(37). 10. L’art. 415 c.p.c. stabilisce che “il ricorso è depositato nella cancelleria del giudice competente insieme con i documenti in esso indicati. Il giudice, entro cinque giorni dal deposito del ricorso, fissa, con decreto, l'udienza di discussione, alla quale le parti sono tenute a comparire personalmente. Tra il giorno del deposito del ricorso e l'udienza di discussione non devono decorrere più di sessanta giorni. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, deve essere notificato al convenuto, a cura dell'attore, entro dieci giorni dalla data di pronuncia del decreto, salvo quanto disposto dall'articolo 417. Tra la data di notificazione al convenuto e quella dell'udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di trenta giorni. Il termine di cui al comma precedente è elevato a quaranta giorni e quello di cui al comma 3 è elevato a ottanta giorni nel caso in cui la notificazione prevista dal comma 4 debba effettuarsi all'estero”. La norma non richiede precisazioni particolari. Occorre considerare che il deposito del ricorso determina la pendenza della lite, ai fini della litispendenza, ex art. 39 c.p.c. (38), della perpetuatio iurisdictionis ex art. 5 c.p.c., della tempestività della riassunzione e delle impugnazioni. Anche l’impedimento della decadenza si fa coincidere con il deposito del ricorso, mentre l’interruzione della prescrizione continua a richiedere la notifica del ricorso e del decreto(39): circostanza della quale occorre tenere debitamente conto, avuto riguardo ai brevi termini di prescrizione in materia di danni da circolazione, ma anche per fare valere i diritti che discendo36 Cass., 22 maggio 2006, n. 11922. Giorgetti, Il nuovo rito del lavoro per gli incidenti stradali con lesioni, testo provvisorio della relazione tenuta lunedì 12 giugno 2006 presso l’Aula magna del Palazzo di giustizia di Milano 38 Cass., 30 marzo 2001, n. 4686; ciò, a mio avviso, in contrasto con la lettera della legge. 39 Cass., 2 aprile 1981, n. 1876. 37 11 no dal contratto di assicurazione (40). Il decreto di fissazione di udienza - a differenza di quanto accade in grado d’appello a seguito della sentenza 15 del 1977 della Corte Costituzionale non viene comunicato alle parti, alle quali, invece, andrà comunicato ex art. 82 disp. att. c.p.c. l’eventuale rinvio d’ufficio. Il termine di 10 giorni entro cui l’attore deve procedere alla notifica del ricorso e del decreto è considerato ordinatorio(41). Si ritiene, altresì, che l’omessa notificazione del ricorso e del decreto sia sanabile mediante l’assegnazione di un nuovo termine per la notifica(42), mentre in precedenza si riteneva – d’accordo con la dottrina prevalente – che l’omessa notifica comportasse una sentenza di chiusura in rito della causa(43). Quanto al termine a comparire, occorre segnalare il problema di coordinare la disciplina dell’art. 415 c.p.c. con la previsione di cui all’art. 126, comma 3, del d.lgs. 209 del 2005, il quale stabilisce che “ai fini della proposizione dell'azione diretta di risarcimento nei confronti dell'Ufficio centrale italiano i termini di cui all'articolo 163-bis, primo comma, e 318, secondo comma, del codice di procedura civile sono aumentati del doppio, risultando perciò stabiliti in centottanta giorni per il giudizio di fronte al tribunale e in novanta giorni per il giudizio di fronte al giudice di pace. I termini di cui all'articolo 163-bis, secondo comma, del codice di procedura civile non possono essere comunque inferiori a sessanta giorni”(44). 40 Cfr. artt. 2947 e 2952 c.c. Cass., 29 novembre 1995, n. 26039. 42 Cass., 5 marzo 2003, n. 3251. 43 Cass., 1 febbraio 1994, n. 989. 44 L' Ufficio Centrale Italiano, UCI, è l'Ufficio Nazionale di Assicurazione per l'Italia per i veicoli a motore in circolazione internazionale Costituito nel 1953, opera come Bureau per l'Italia nell'ambito del sistema della Carta Verde istituito in Europa dal Sottocomitato dei Trasporti su strada della Commissione per l'Europa dell'ONU. L'UCI si occupa di gestire le problematiche relative al risarcimento dei danni causati sul territorio italiano da veicoli immatricolati o registrati in Stati esteri che circolano temporaneamente in Italia e, con alcune particolarità, anche degli incidenti subiti all'estero da veicoli italiani. Tutto questo avviene sulla base di convenzioni stipulate con gli omologhi Uffici Nazionali di Assicurazione (Bureaux) costituiti negli altri paesi aderenti al sistema della Carta Verde. L'UCI è abilitato a provvedere al risarcimento dei danni causati da veicoli esteri che temporaneamente si trovano sul territorio italiano, nella Repubblica di San Marino e nella Città del Vaticano. L'impegno comporta per l'UCI l'obbligo di liquidare i danni e di pagare agli aventi diritto i relativi indennizzi L’UCI, inoltre, svolge nelle azioni dirette di risarcimento le funzioni di legittimato passivo ed assume, ex lege, la qualifica di domiciliatario dell’assicurato, del responsabile civile e del loro assicuratore. In altre parole, la normativa in merito all’azione diretta contro l’assicuratore straniero per i danni subiti dalla circolazione di veicoli esteri, oltre a tutelare sotto il profilo sostanziale il danneggiato, facendo dell’UCI il garante per il risarcimento dei danni, facilita il danneggiato anche sotto il profilo procedurale, dato che istituisce la sede dell’UCI come unico domicilio presso cui notificare l’atto di citazione che sarà dal medesimo trasmesso ai destinatari. Fra questi, il responsabile civile dovrà sempre essere indicato dall’attore, pena l’improcedibiità dell’azione, essendo litisconsorte necessario. 41 12 In dottrina è stata sostenuta la prevalenza del richiamo previsto dall’art. 3 della legge 102 del 2006 alla disciplina, di cui all’art. 415 c.p.c., sull’art. 126, comma 3, CAP(45). L’affermazione non convince. A tale soluzione è stato, infatti, obiettato che essa “considera come unico principio ispiratore dell’art. 126, co. 3, CAP quello di consentire all’UCI di difendersi meglio, ma non tiene conto che l’UCI non per forza è legittimato passivo, se non nel caso in cui l’attore non citi l’assicuratore straniero. Per di più, la suddetta impostazione trascura la posizione del convenuto residente all’estero (litisconsorte necessario) che è coinvolto in un processo non direttamente, bensì tramite l’intermediazione dell’UCI, presso il quale è domiciliato ex lege, per cui il legislatore ha ritenuto opportuno prevedere termini di comparizione maggiori. Inoltre, è opportuno aggiungere che il rito del lavoro non si distingue dal rito ordinario solo per i minori termini di comparizione, bensì- ed in larga parte- per altri elementi, primo fra tutti la maggiore celerità, l’oralità. Pertanto, la deroga ai termini minimi di comparizione di cui all’arI. 415, co. 5, c.p.c. da parte dell’art. 126, co. 3, CAP non compromette lo scopo della novella di cui all’art. 3 1. 102/2006”(46). Si tratta di affermazioni a mio avviso condivisibili, non senza dimenticare che il problema è agevolmente risolvibile, in ragione della natura dilatoria del termine previsto dall’art. 415 c.p.c., mediante la fissazione, da parte degli uffici, di un termine a comparire maggiore. 11. La costituzione in giudizio del convenuto è disciplinata dall’art. 416 c.p.c. In estrema sintesi, il convenuto deve costituirsi almeno 10 giorni prima dell’udienza(47), mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva in cui, oltre a dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito, egli deve: proporre, a pena di decadenza, le eventuali domande riconvenzionali - Eventuale sarà invece la chiamata in giudizio dell’assicuratore, atteso il diritto accordato al danneggiato di poter agire direttamente nei confronti dell’UCI. Date queste particolari regole processuali, risulta intuibile la necessità di un aumento dei termini minimi di comparizione: consentire ai convenuti residenti all’estero di attrezzarsi per partecipare ad una causa radicata in Italia” 45 Rossetti, Sinistri stradali e rito del lavoro, Milano, 2006, 219. 46 Così l’avv. prof. Michele Siri, in un parere pro veritate – inedito - reso all’UCI. 47 Il termine non è libero, come precisato, da ultimo, da Cass., 21 marzo 2006, n. 6263, secondo la quale “ai fini della verifica della tempestività della costituzione del convenuto, che nelle controversie soggette al rito al lavoro deve avvenire, ai sensi dell'art. 416, comma 1, c.p.c., "almeno dieci giorni prima della udienza", è da considerare come dies a quo il giorno dell'udienza, che perciò va escluso dal computo secondo il principio generale stabilito dal comma 1 dell'art. 155 c.p.c., e come dies ad quem il decimo giorno precedente l'udienza stessa, che invece va computato, non essendo espressamente previsto, dalla norma, che si tratti di termine libero”. 13 previo esperimento della procedura di cui all’art. 145 CAP (48) - e le c.d. eccezioni in senso proprio, cioè le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ ufficio; quanto alle eccezioni rilevabili d’ufficio, per le quali non opera la barriera preclusiva di cui si è detto, si ritiene necessario che i fatti sui quali si fondano siano tempestivamente allegati dal resistente nella memoria difensiva(49); prendere posizione in maniera precisa e non limitata a una generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda; non essendo previsto a pena di decadenza, si ritiene che il termine ultimo per la contestazione coincida con il limite previsto dall’art. 420,comma 1, c.p.c., per la precisazione e modificazione delle domande(50); indicare specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed in particolare i documenti, che deve contestualmente depositare. Se il convenuto ha proposto domanda riconvenzionale deve chiedere, nella memoria stessa, a pena di decadenza, che il giudice fissi una nuova udienza di comparizione a modifica di quella in precedenza fissata, udienza che non può essere fissata oltre il cinquantesimo giorno dalla presentazione della comparsa contenente la riconvenzionale. Il termine è ordinatorio e la necessità di coordinarlo con l’adempimento delle formalità di cui all’art. 145 CAP ne impone un congruo ampliamento (evenienza già oggi non certo remota). Il nuovo decreto contenente la fissazione dell’udienza va notificato, insieme alla comparsa di risposta, all’attore, a cura, questa volta, dell’ufficio entro 10 giorni dalla pronuncia e, comunque, almeno 25 giorni prima di tale udienza (art. 418 c.p.c.). 12. In genere, le parti stanno in giudizio con l’assistenza di un difensore e con la rappresentanza di un procuratore. L’art. 417 c.p.c. ammette, tuttavia, le parti a stare in giudizio personalmente quando il valore della causa non superi € 129,11. In tal caso l’attore può 48 Nelle controversie di lavoro, la proposizione della domanda riconvenzionale non presuppone il preventivo esperimento del tentativo di conciliazione, v. Tarzia, Processo del lavoro, Milano 1999, 40. 49 Cass., 15 marzo 1999, n. 2306. 50 Secondo Cass., 5 marzo 2003, n. 3245: “il sistema di preclusioni su cui fonda il rito del lavoro (come il rito civile riformato) comporta per entrambe le parti l'onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa, evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione; ne consegue che ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto che sia) un onere di allegazione (e di prova), il corretto sviluppo della dialettica processuale impone che l'altra parte prenda posizione in maniera precisa rispetto alle affermazioni della parte onerata, nella prima occasione processuale utile (e perciò nel corso dell'udienza di cui all'art. 420 c.p.c., se non ha potuto farlo nell'atto introduttivo), atteso che il principio di non contestazione, derivando dalla struttura del processo e non soltanto dalla formulazione dell'art. 416 bis c.p.c., è applicabile, ricorrendone i presupposti, anche con riguardo all'attore, ove oneri di allegazione (e prova) gravino anche sul convenuto”. 14 proporre la domanda anche verbalmente davanti al giudice che ne fa redigere processo verbale. Si tratta di previsioni speciali destinate, a mio avviso, a prevalere sulle diverse prescrizioni contenute nell’art. 82 c.p.c., che consente alla peri di stare in giudizio personalmente davanti al giudice di pace nelle cause di valore sino ad € 516,46, ovvero previa autorizzazione del giudice di pace, in ragione della natura ed entità della causa. 13. Quid iuris se la domanda che doveva essere introdotta con il rito speciale viene introdotta con citazione? Soccorre, in questo caso, la previsione dell’art. 426 c.p.c., dal quale si ricava che il giudice, una volta verificato l’errore, dovrà fissare con ordinanza l’udienza ex art. 420 c.p.c. e concedere un termine per l’integrazione degli atti introduttivi. Nonostante il silenzio della legge, si ritiene che - il termine deve essere differenziato, per l’attore e per il convenuto(51); - può essere inferiore ai trenta giorni indicati dall’art. 415 c.p.c.(52); - rimangono ferme le preclusioni già maturate. È stato, altresì, affermato che il potere di disporre il mutamento del rito non è esercitabile prima dell’instaurazione del contraddittorio e, che, successivamente, possa esserlo sino alla chiusura dell’istruttoria(53). L’ordinanza di mutamento del rito va comunicata al convenuto contumace, a pena di nullità di tutti gli atti successivi(54). Per quanto concerne, invece, la domanda riconvenzionale, il Supremo Collegio ha precisato che qualora la controversia principale sia stata erroneamente introdotta con il rito ordinario e venga disposto il cambiamento del rito ed il passaggio al rito speciale dallo stesso giudice adito oppure, per il caso di incompetenza di questi, le parti vengano rimesse avanti al giudice competente e la causa venga riassunta con le forme del rito speciale, il mantenimento della domanda riconvenzionale, già proposta anteriormente al cambiamento del rito o alla detta rimessione, non esige da parte del convenuto l'istanza di fissazione della nuova udienza ai sensi del comma 1 dell'art. 418 c.p.c. Tale istanza, viceversa, è necessaria allorquando la proposizione della riconvenzionale avvenga dopo il cambiamento del rito disposto dal giudice adito con il rito ordinario ovvero nella fase di riassunzione, a seguito della declinatoria della competenza da parte di quel giudice, in quanto soltanto in questo caso ricorre l'esigenza cui è funzionale la previsione dell'obbligo di formulare l'istanza, cioè quella di garantire l'utile svolgimento del contraddittorio sulla riconvenzionale in ragione del regime delle preclusioni proprio del rito speciale, contraddittorio che nell'altra ipotesi invece ha già avu- 51 Luiso, Il processo del lavoro, Torino, 1992, 93. Cass., 28 aprile 1984, n. 2567. 53 Tarzia, op. cit., 207. 54 Corte d’Appello di Cagliari, 16 dicembre 2000, in Riv. Giur. Sarda, 2001, 523. 52 15 to corso(55). 14. Naturalmente, può aversi anche l’ipotesi inversa, cioè di un giudizio introdotto con rito speciale, ma soggetto al rito ordinario (ipotesi che potrebbe rivelarsi non infrequente, in relazione ai problemi di connessione sopra esaminati). Occorrerà disporre il mutamento del rito (non si pone un problema di regolarità fiscale degli atti, ex art. 427 c.p.c.): il processo prosegue secondo la disciplina del giudizio ordinario di cognizione e, quindi, verranno meno le preclusioni di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c., mentre si applicheranno quelle di cui all’art. 183 c.p.c.(56). Le prove acquisite durante lo stato di rito speciale avranno l’efficacia consentita dalle norme ordinarie. Per concludere su questo argomento, va evidenziato come, secondo la giurisprudenza, un gravame che abbia per oggetto l'illegittimità dell'adozione di un determinato rito è ammissibile solo ove si deduca uno specifico pregiudizio processuale che sia derivato dal rito adottato, con riguardo, in particolare, alla determinazione del giudice competente, al regime delle prove ed alle facoltà di cui le parti dispongono per l'esercizio del loro diritto di difesa(57): ipotesi che non sembra potersi profilare nel caso di trattazione della domanda con rito ordinario, anziché con il rito speciale. 15. Connesso al problema del rito è il rilievo dell’incompetenza, disciplinato dall’art. 428 c.p.c., con riguardo alla competenza per territorio, e dall’art. 38 c.p.c., con riguardo alla competenza per materia e valore(58). Mi sembra, peraltro, che una incompetenza per materia non si possa profilare e che si assorbita dalla questione del rito e dalla ripartizione di competenza, per valore, fra tribunale ordinario e giudice di pace. Per giurisprudenza pressoché costante, nei processi soggetti al rito del lavoro, il rilievo dell’incompetenza ex art. 428 c.p.c. può prescindere dall’eccezione di parte(59). 16. Premessi questi brevi cenni in merito alla fase preliminare del giudizio, si può passare all’esame dell’art. 420 c.p.c., che detta un’articolata disciplina per la trattazione della causa. Non vi sono problemi particolari in ordine all’interrogatorio libero delle parti ed alle altre attività ivi previste. Nel corso dell’udienza di trattazione, le parti possono modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, ma soltanto se ricorrono gravi motivi e previo autorizzazione del giudice. Non è invece prevista la possibilità di proporre di domande nuove(60): la 55 Cass., 17 maggio 2005, n. 10335. Luiso, op. cit., 96-97. 57 Cass., 8 giugno 1994, n. 5582. 58 Cass., 12 gennaio 1998, n. 180. 59 Cass., 8 febbraio 1986, n. 811. 60 Secondo Cass., 1 febbraio 2006, n. 2240, “si ha domanda nuova per modificazione della causa petendi, inammissibile nel rito del lavoro ex, art. 420, comma 1, c.p.c., quando viene modificato in corso di causa il fatto posto a fondamento della domanda, variandone le circostanze materiali o introducendone di nuove, modificando il titolo della domanda”. 56 16 violazione di detto divieto è rilevabile d’ufficio e risulta irrilevante l’eventuale accettazione del contraddittorio(61). 17. Del tutto peculiare il regime dell’attività istruttoria, che si differenzia in modo assai sensibile dal regime ordinario. Infatti il giudice può disporre d’ufficio in qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dai limiti stabiliti dal codice civile, ad eccezione del giuramento decisorio (art. 421 c.p.c.). Si tratta, naturalmente, di intendersi sulla portata di questi poteri officiosi. Costituisce ormai ius receptum l’insegnamento per cui “il rito del lavoro pur non attuando un sistema inquisitorio puro tende a contemperare, in considerazione della particolare natura dei rapporti controversi, il principio dispositivo - che obbedisce al criterio formale di giudizio fondato sull'onere della prova - con quello della ricerca della verità materiale, mediante una rilevante ed efficace azione del giudice nel processo; ne consegue che quando le risultanze di causa offrano significativi dati e spunti di indagine, il giudice non può limitarsi a fare meccanica applicazione della suddetta regola formale di giudizio, ove reputi insufficienti le precisazioni e le prove già acquisite, ma ha il potere - dovere di provvedere d'ufficio agli atti istruttori sollecitati in tale materiale ed idonei a superare l'incertezza sui fatti dedotti, senza che a ciò sia d'ostacolo il verificarsi di decadenze o preclusioni in danno delle parti”(62). Quanto all’ammissione dei mezzi di prova, anche in deroga ai limiti previsti dal codice civile, è altrettanto pacifico che “l'art. 421, secondo comma, prima parte, c.p.c., nell'attribuire al giudice del Lavoro la responsabilità e il potere di ammettere d'ufficio ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, si riferisce non ai requisiti di forma previsti dal codice civile per alcuni tipi di contratti (sia ad substantiam che ad probationem), ma ai limiti fissati da detto codice alla prova testimoniale, in via generale, negli art. 2721, 2722 e 2723 c.c.”(63). Escluderei che la previsione dell’art. 421, comma 2, c.p.c., relativa alla possibilità di disporre, su istanza di parte, l’accesso sul luogo di lavoro e l’esame dei testimoni in loco, sia esportabile anche nel processo relativo agli incidenti stradali. Non pare, invece, che vi sia incompatibilità tra la materia di cui trattasi ed il potere del giudice di ordinare, ove lo ritenga necessario, la comparizione, per interrogarle liberamente sui fatti della causa, anche di quelle persone che siano incapaci di testimoniare ex art. 246 c.p.c. La disciplina dei poteri istruttori del giudice costituisce senza dubbio una delle questioni più delicate, specie in presenza di cause connesse, aventi ad 61 Cass., 29 marzo 2006, n. 7243. Così, e pluribus, Cass., sez. lav., 12 febbraio 1997, n. 1304. Significativo il confronto con l’art. 281 ter c.p.c. che consente al giudice monocratica di disporre d’ufficio la prova testimoniale formulandone i capitoli, quando le parti nella esposizione dei fatti si sono riferite a persone che appaiono in grado di conoscere la verità. 63 Cass., 25 agosto 2005, n. 17333. 62 17 oggetto danni alla persona e danni alle cose. L’idea di considerare prevalente il rito del lavoro si espone, a mio avviso, ad una censura di legittimità costituzionale. Infatti, i maggiori poteri istruttori del giudice ben possono trovare giustificazione allorché si tratti di garantire una più efficace tutela di situazioni di rango primario, quali il diritto alla salute ed alla integrità fisica. Più difficile, invece, estendere la previsione ai danni alle cose e giustificare la diversità di trattamento in cui il danneggiato viene a trovarsi a seconda che la propria domanda sia o meno connessa con altra relativa a danni da morte o lesione. 18. Passando rapidamente alla fase conclusiva del giudizio, l’art. 429 c.p.c. prevede che il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo(64), salvo che non ritenga necessario, previa richiesta delle parti, concedere un termine non superiore a dieci giorni per il deposito di note difensive, rinviando la causa all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine suddetto, per la discussione e la pronuncia della sentenza. Il rito del lavoro si caratterizza per la scissione tra la lettura del dispositivo ed il deposito della motivazione; si ritiene, tuttavia, che anche in questa sede sia possibile provvedere alla lettura del dispositivo e della contestuale motivazione, ad instar di quanto previsto dall’art. 281 sexies, comma 1, c.p.c.(65). L’articolo 429 c.p.c. stabilisce, altresì, che il giudice, quando pronuncia la sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto. La previsione è chiaramente inapplicabile alla materia degli incidenti stradali, per il quali il computo degli accessori dovrà avvenire secondo i consueti criteri previsti per le obbligazioni ex delicto(66). 19. Solo pochi cenni con riguardo all’appello, da proporsi, naturalmente, al Tribunale, in composizione monocratica, avverso le sentenze del Giudice di pace, ed alla Corte d’appello, contro le sentenze del Tribunale. Anche l’appello va proposto con ricorso, che può non contenere l’avvertimento di cui all’art. 163, comma 3, c.p.c.(67); se proposto erroneamente con citazione, la tempestività del gravame deve essere valutata con 64 Secondo Cass., 23 gennaio 1988, n. 533, l’omissione della lettura del dispositivo è causa di nullità della sentenza. 65 V. in argomento, Cass., sez. lav., 29 gennaio 2004, n. 1673. 66 Sacchettini, Tutte le fasi dell’iter processuale, in Guida dir., 2006, 6, 33, rinvia a Cass., 17 febbraio 1995, n. 1712, secondo cui “nel caso di fatto illecito extracontrattuale, il danno subito dal danneggiato per la ritardata liquidazione dell'equivalente monetario dev'essere risarcito mediante la corresponsione di una somma di danaro via via rivalutata alla quale si cumulano gli interessi, a un tasso ritenuto equo dal giudice”. 67 .Cass.,18 ottobre 2002, n. 14829. 18 riguardo al deposito della citazione e non con riguardo alla notificazione(68). È prevista la possibilità di proporre appello, con riserva dei motivi, una volta che sia iniziata l’esecuzione in forza del solo dispositivo; se l’appello viene proposto prima dell’inizio dell’esecuzione esso è inammissibile, ma esso, a differenza di quanto accade normalmente, non consuma il potere di impugnazione(69), sicché potrà essere proposta una nuova impugnazione, fermi restando i termini di legge. La Corte d’appello, se ritiene che il procedimento in primo grado non si sia svolto, fin dal momento della sua introduzione, secondo il rito prescritto procede a norma degli artt. 426 e 427 c.p.c.: non si dà remissione della causa al primo giudice, ma si procede ad un nuovo giudizio col rito del lavoro. Restano validi gli atti del precedente grado, a meno che non ne venga espressamente dedotta la nullità adducendo un concreto pregiudizio a seguito della loro assunzione in forza di un rito diverso da quello che si sarebbe dovuto applicare. La sentenza emessa resta, quindi, valida e lo stesso dicasi per l’attività processuale compiuta davanti al primo giudice, sempre che sussista la competenza del giudice adito. La medesima pronuncia, ex art. 439 c.p., va emessa nel caso simmetrico in cui la Corte d’Appello rilevi che la causa, svoltasi con il rito del lavoro, avrebbe dovuto essere trattata col rito ordinario. Il termine di cui all’art. 439 c.p.c. ha la funzione di consentire alle parti di mettersi in regola con le norme del rito del lavoro e non può essere utilizzato per aggirare il divieto di formulazione di domande nuove in appello e non può contenere conclusioni diverse di quelle dell’atto introduttivo del giudizio di appello(70). 20. Per concludere, merita solo un breve cenno la novità introdotta dall’art. 5, della legge 102 del 2006, il quale prevede che “1. All'articolo 24 della legge 24 dicembre 1969. n. 990, è aggiunto, in fine, il seguente comma: Qualora gli aventi diritto non si trovino nello stato di bisogno di cui al primo comma, il giudice civile o penale, su richiesta del danneggiato, sentite le parti, qualora da un sommario accertamento risultino gravi elementi di responsabilità a carico del conducente, con ordinanza immediatamente esecutiva provvede all'assegnazione, a carico di una o più delle parti civilmente responsabili, di una provvisionale pari ad una percentuale variabile tra il 30 e il 50 per cento della presumibile entità del risarcimento che sarà liquidato con sentenza". Il riferimento all’art. 24 della legge 990 del 1969 è chiaramente un refuso, posto che la norma è stata abrogata dall’art. 354, comma 1, del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, e si dovrà, quindi, fare riferimento all’art. 147 68 Cass., 18 aprile 2006, n. 8947 Cass., 31 maggio 2006, n. 13005. 70 Chindemi, op. cit. 69 19 CAP(71). La giurisprudenza ritiene che la disposizione sia applicabile a tutti i giudizi in corso, stante la natura processuale della norma(72); inutile evidenziare che sulla base del medesimo argomento si sarebbe dovuta affermare l’immediata applicabilità anche dell’art. 3: ogni commento guasterebbe. Si tratta di un provvedimento anticipatorio, di natura non cautelare, sicché l’ordinanza in questione non risulta reclamabile. Per effetto di questa norma, nel rito degli incidenti stradali è consentito al danneggiato richiedere(73): un’ordinanza di pagamento delle somme non contestate, ex art. 423, comma 1, c.p.c.; se si trova in stato di bisogno, un provvedimento ex art. 147, commi da 1 a 4, CAP, qualora da un sommario accertamento risultino gravi elementi di responsabilità a carico del conducente,un’ordinanza immediatamente esecutiva di condanna al pagamento di una somma nei limiti dei quattro quinti della presumibile entità del risarcimento che sarà liquidato con la sentenza; se non si trova in stato di bisogno, e qualora da un sommario accertamento risultino gravi elementi di responsabilità a carico del conducente, un’ordinanza provvisionale pari ad una percentuale variabile tra il 20 ed il 50% della presumibile entità del risarcimento. Si discute se sia applicabile, in subiecta materia, l’ordinanza di cui all’art. 423, commi 2-4, c.p.c.(74). A me sembra che l’articolata serie di strumenti a disposizione del danneggiato renda di poco momento il problema, posto che appare difficilmente ipotizzabile un’istanza ex art. 423, comma 2, c.p.c., quando si può contare su strumenti che richiedono presupposti meno rigorosi. Nulla viene detto sul regime di stabilità delle ordinanze in questione, che parrebbero, quindi, non potere sopravvivere all’eventuale estinzione del giudizio. 71 .Questo il testo dell’art. 147 CAP: “Nel corso del giudizio di primo grado, gli aventi diritto al risarcimento che, a causa del sinistro, vengano a trovarsi in stato di bisogno, possono chiedere che sia loro assegnata una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva del danno. 2. Il giudice civile o penale, sentite le parti, qualora da un sommario accertamento risultino gravi elementi di responsabilità a carico del conducente, con ordinanza immediatamente esecutiva provvede all'assegnazione della somma ai sensi del comma 1, nei limiti dei quattro quinti della presumibile entità del risarcimento che sarà liquidato con la sentenza. Se la causa civile è sospesa ai sensi dell'articolo 75, comma 3, del codice di procedura penale, l'istanza è proposta al presidente del tribunale dinanzi al quale è pendente la causa.3. L'istanza può essere riproposta nel corso del giudizio. 4. L'ordinanza è irrevocabile fino alla decisione del merito”. 72 Così Tribunale Mantova, 13 giugno 2006, in Giur. Merito, 2007, 3, 692; e Tribunale Alba, sez. Bra, 19 ottobre 2006, ivi, 714. 73 V. Finocchiaro, op. cit., 37. 74 Finocchiaro, op. loc. cit.; Sandulli, op. cit., 307; contra Rolfi, op. cit., 979-980, il quale propende, invece, per la conservazione dell’ordinanza, valorizzando l’accertamento pieno che essa presuppone. 20 21. All’esito di questa disamina, è difficile dare una valutazione positiva dell’art. 3 della legge 102 del 2006: i problemi applicativi da esso introdotti sono tanti e di tale portata che si comprende il motivo per cui, l’art. 53 del DDL Mastella ne prevede, senza tanti complimenti, l’abrogazione. L’aspetto singolare è che, in questo caso, ci si è ricordati di stabilire espressamente (v. art. 58) che l’abrogazione è efficace anche per i giudizi in corso, rispetto ai quali occorrerà disporre il mutamento del rito. Giovanni Daleffe 21