L’Europa a zig zag e la deriva orientale Prologo, storia ed epilogo del Voyage d’Orient: la sfida di Jeanneret di Giuliano Gresleri Premessa A distanza oltre quarant’anni dalla prima edizione francese del Voyage d’Orient e dalla prima in lingua italiana da me curata e annotata per la Faenza Editrice nel 1974 (alla quale hanno fatto seguito quelle edite da Marsilio nel 1984 e 1985 e, nel 1995, quella riveduta e amplificata), il succedersi di innumerevoli iniziative sull’argomento, impone un rapido richiamo alle premesse dalle quali è scaturita l’attenzione degli storici e dei critici per questo singolare capitolo della vita e dell’opera di Le Corbusier1. Dopo il lavoro di Maximilien Gauthier (al quale si sapeva che lo stesso Le Corbusier aveva dato un contributo “di memoria” non indifferente), gli studi di Patricia May Sekler e Brian Brace Taylor, di Turner, Russel Walden, non era difficile intuire di quale complessità e ricchezza fossero intrecciati gli anni della “formazione” di Le Corbusier, tra la Chaux-deFonds, la Germania, Parigi, Berlino, Istanbul, la Grecia, l’Italia Meridionale2. Usciva già allora dalle nebbie un arcipelago geografico ed iconografico attraverso il quale il maestro aveva steso un “filo d’Arianna”: i suoi scritti da Confession de l’Art décoratif d’aujourd’hui alle pagine che in Almanach d’Architecture Moderne dedica alle Moschee di Istanbul, al Partenone e a Pompei. 1 Per i precedenti editoriali della questione rinvio al mio lavoro: Le Corbusier, Viaggio in Oriente, Marsilio – Fondation Le Corbusier Ed.. Venezia 1994. Si tratta della terza edizione italiana che amplia la bibliografia generale e l’epistolario arricchendo anche l’apparato dell’annotazione critica. Il volume riporta le introduzioni alle due edizioni precedenti. 2 Il tema del rapporto tra Le Corbusier e il Mediterraneo è stato affrontato in specifico dal lavoro di Danièle Paul nel 1987 con la mostra alla Vieille Charité. Cfr. Le Corbusier et la Mediterranee, Parentheses Ed. Musées de Marseille, Marseille 1987. Si veda anche Gravagnuolo B. (a cura di), Le Corbusier e l’Antico, viaggi nel Mediterraneo, Mostra a Palazzo Reale, Electa Ed., Napoli 1997. Per il tema di Le Corbusier a Pompei rinvio a Gresleri G., Puis le Sud de l’Italie et Pompei, in “Parametro” 261, Faenza Ed., Faenza 2006. 1 Nel primo volume di Oeuvre Complet (1910-1929) una lunga sequenza di schizzi eseguiti in anni giovanili e in luoghi storicamente frequentati dal “grand tour”, dimostravano che l’interesse di Le Corbusier per “l’antico” andava ben oltre gli accenni che l’autore faceva del passato, collegando opere moderne (quali il Museo mondiale o Mundaneum di Ginevra o il progetto per la Basilica sotterranea della Sainte Baume o la questione della genesi di Ronchamp) a celebri “testi” dell’antichità. Non solo, non era neppure difficile capire (studiando Urbanisme, Le Ville Radieuse, Almanach, L’Art decoratif, dove più chiaro si fa l’uso di un nuovo rapporto grafico tra disegno e fotografie), che non poche di queste ultime rivelassero una relazione diretta e conseguenziale con le parole e con le asserzioni del testo al punto da far supporre che lo stesso autore fosse anche colui che aveva scattato le foto. Le Corbusier con la celebre affermazione del primato del disegno sulla fotografia, da lui definita «strumento di pigrizia», allontanava subito tale ipotesi, eppure troppo evidente era il fatto che foto come quella del Pantheon pubblicata in Urbanisme o alcune del Partenone in Vers une architecture collimassero talmente bene con le intenzioni dell’autore da non lasciare dubbi in proposito3. Quando con José Oubrerie eravamo impegnati all’“esegesi” di Almanach, in previsione del progetto di ricostruzione del Padiglione de L’Espirit Nouveau a Bologna (1977), una foto in particolare attrasse la nostra attenzione, quella di p. 103, in cui si vede un giovane sull’Acropoli di Atene accanto ad una delle colonne non ancora ricomposte e rialzate del Partenone. Il testo che l’accompagna, l'abbigliamento (con le “fasce militari” alle gambe di cui Jeanneret parla alla madre) e la “scatola” che il personaggio tiene in mano lasciavano ben pochi dubbi: il giovane altro non era lo stesso che Jeanneret e la “scatola” la custodia di una macchina fotografica. Si apriva così una nuova ipotesi di lavoro: isolare dai libri di 3 A riprova di quanto sopra rinvio alla foto pubblicata a p. 29 che posta in testa al capitolo “Le sentiment deborde” mostra una certa imperizia tecnica e una mano non ferma (sapremo poi che la fotografia era stata presa con una nuova Kodak non semplice da utilizzare) foto carica però di un pathos e una collimazione di intenti sicuramente attribuibili all’autore. 2 Le Corbusier le foto che noi pensavamo potessero essere a lui attribuite e cercarne i negativi o - quantomeno – gli originali usati da lui per la stampa. Nel 1982 – a Padiglione ricostruito – Giancarlo De Carlo mi chiese di mettermi in contatto con Jaqueline Jeanneret (nipote di Le Corbusier) per un progetto editoriale che intendeva sottopormi. Avendo ricoperto di fatto il ruolo di coordinatrice tra lo studio di Pierre Jeanneret a Chandigarh e quello di Le Corbusier a Parigi, Madame Jeanneret si era trovata a gestire una quantità di documenti (disegni, lettere, foto, ecc…) dei quali aveva conservato copie che intendeva ora utilizzare per una vasta pubblicazione, così la incontrammo a Ginevra, nel suo appartamento dell’Immeuble Clartè4 dove il materiale era conservato. Ci parlò – il giorno seguente – anche di «une quantité di plaques de verre, photos prises par Le Corbusier – probablement – pendant son tour en Orient». Noi non vedemmo le foto (che non erano ancora stampate) ma potemmo farlo nei mesi successivi quando vennero trasferite dalla Petite Maison alla Bibliotheque de la Ville di La Chaux-de-Fonds di Vevly, dove erano state da lui rinvenute, per una prima inventariazione; del libro di Jaqueline non si parlò più e i miei disegni rimasero nel baule perché tutta l'attenzione fu dedicata alle foto ormai patrimonio della Bibliotheque e alla macchina fotografica che la Fondazione conservava a Parigi senza sapere esattamente per quale motivo Le Corbusier l’avesse acquistata. Itinerari, partenze, soste A La Chaux-de-Fonds potei vedere i “provini per contatto” che raggruppai per ambiti geografici (Balcani, Grecia, Istanbul, Italia, Napoli, Roma) alcuni (pochissimi) riguardavano Firenze, Pisa, Venezia5. 4 Potemmo allora visionare circa un centinaio di tavole tecniche, foto e disegni che facevano parte di quello che allora chiamavamo “fondo Jaqueline Jeanneret”. Trattandosi di disegni eseguiti sul posto e inviati a rue de Sèvres per le verifiche, l’ipotesi editoriale sembrava affascinante. Giancarlo De Carlo ci diceva di non essere in grado – allora – di affrontare un tale lavoro e lasciava a noi compito di decidere. 5 Grazie alla disponibilità di M. me Frey (che allora dirigeva la Bibliotheque de la Ville) potei procedere ad una ristampa delle foto presso un laboratorio di Neuchatel. Ottenni così riproduzioni perfette per contatto che mi consentirono (rifotografate a Bologna) i fotoingrandimenti necessari alla mostra che organizzai nel 1985 alla Galleria d’Arte Moderna e che divenne – successivamente – itinerante, ancora oggi impegnata in vari musei. 3 A Parigi smontai l'apparecchio fotografico in tutte le sue parti, ne fotografai i pezzi cercando di rintracciarli nei cataloghi dell'epoca. La macchina fotografica di Le Corbusier una “Cupido 80”, stando alle indicazioni dei manuali fotografici del periodo, era considerata la «Trionfatrice del giorno». Apparecchi analoghi venivano usati abitualmente dai reporter e dai grandi viaggiatori: essi univano le caratteristiche di un'ottica di precisione ad una estrema maneggiabilità, consentendo, ad esempio, tramite un decentramento a vite, il perfetto controllo dell’“a piombo” dell'immagine. Un mirino ottico “a specchio” permetteva inoltre facili riprese in mano e su cavalletto: c’era poi la possibilità di usare una tendina riduttrice in modo da poter ricavare da una lastra 9x12 due lastre più economiche 9x6, cosa che Jeanneret farà di frequente. La peculiarità del formato 9x12 consente soprattutto di ottenere stampe per contatto formato “cartolina” caratteristica questa alla quale Jeanneret sembra essere stato molto sensibile, come provano le numerosissime riprese di questo tipo eseguite soprattutto durante la prima fase del viaggio (Praga, Estergom, Carpazi)6. Durante il viaggio in Oriente, quando il tempo a disposizione è più ridotto, e mano a mano che cresce la familiarità con l'obiettivo, alle pose su cavalletto Jeanneret sostituisce veloci riprese ottenute appoggiando la camera al petto, determinando spesso scorci ed obliquità singolari che non disturbano l'autore, preoccupato più che altro di cogliere in un breve istante quella particolarità ed unicità che si sarebbero perdute coi tempi lunghi di una normale ripresa su cavalletto. Alcune considerazioni vanno fatte circa la tecnica, i soggetti e le finalità delle riprese. Il materiale sensibile usato da Jeanneret doveva essere “sviluppato” entro tempi assai brevi: un buon fissaggio era fondamentale per la perfetta conservazione delle lastre. Quando le condizioni per tali operazioni non si verificano (Balcani, montagne dello Šipka, Monte Athos, ecc.) il risultato finale appare compromesso. 6 Gresleri G., Le Corbusier e la fotografia, in “Fotologia” n. 10, 1988, Alinari Ed., Firenze. 4 Arrivato in Italia, dopo il lungo soggiorno a Istanbul, Jeanneret acquista a Napoli una macchina fotografica Kodak di complessa maneggiabilità (che montava economiche pellicole di celluloide, le prime in commercio), causando così una caduta di tono nelle importantissime riprese di Pompei, mentre con la vecchia Cupido (ciclo di Praga, Bulgaria, Istanbul) i risultati sono eccellenti, tecnicamente perfetti e di grande bellezza. Da non dimenticare poi che i suoi soggetti fotografici risentono quasi sempre di quella particolare visione "tipologica" che è una costante della ricerca di Le Corbusier: case, cortili, pergole, muri, recinti, rovine e dettagli comunque, piuttosto che insiemi. Rare le scene di genere e rarissimi i ritratti. Va poi sottolineato, che per Jeanneret la fotografia è compendiaria al disegno e alla scrittura e che quasi mai i tre strumenti si sovrappongono tra loro: pochi sono i soggetti che vengono contemporaneamente disegnati e fotografati, mentre ogni immagine sembra fondamentalmente indirizzata a cogliere quella particolarità del soggetto che lo rendono "unico", e quindi degno di essere fermato sulla lastra fotosensibile7. Quando durante il viaggio le tecniche di ripresa si affinano e la familiarità con l'apparecchio si fa evidente, cominciano a comparire nelle riprese di Jeanneret quelle caratteristiche del “necessario” e “sufficiente” che hanno fatto di lui – come dice Italo Zannier – anche «un grande fotografo». La capacità di cogliere l’essenziale e di “selezionare”, che già durante il “Voyage d'Italie” del 1907 raggiungeva possibilità stupefacenti («on arrive d’un clin d’œil à éliminer les choses secondaires, et je ne me souviens absolument que des marveilles. Tout se révèle peu à peu, comme un cliché 7 Cfr. Von Moos S., Ruegg A. (a cura di), Le Corbusier before Le Corbusier. The Graduate Center for Studies in Decorative Arts and Culture Ed., New York 2002. In particolare pp. 177-183 a firma Gresleri G. La mia corrispondenza con la Signora Regula Klipstein Bandi (figlia di August) confermò più tardi l’esistenza di un “diario parallelo” a quello di Jeanneret, tenuto dal giovane storico dell’arte così come di una seconda macchina fotografica usata da Klipstein solo qualche volta, sul monte Athos, ad esempio. Volendo documentare su opere impossibili da cogliersi con la sua camera, Jeanneret acquistò numerose foto in grande formato dai Joaillier di Istanbul (soprattutto vedute del Bosforo a grande distanza) così come fece a Firenze presso il negozio degli fratelli Alinari (foto di affreschi pompeiani e fiorentini) fornendone poi il n. d’ordine all’amico (che lo aveva preceduto nel viaggio di ritorno) perché a sua volta potesse averne copia. Il tema del rapporto tra Le Corbusier e la “Storia” ha goduto di grande fortuna negli anni ’70. Rinvio all’essenziale lavoro di Pierre Saddy per la “mostra del centenario” all’Hotel de Sully. Le Corbusier, le passé à réaction poétique, Centre national des Monuments historiques et des Sites Ed., Paris 1987. 5 au développement») è la grande rivelazione di questo viaggio del 1911 durante il quale il nuovo strumento fornirà immagini altrettanto significative dei suoi celebri disegni. Numerose le foto di oggetti d’artigianato orientale (che solo più tardi risultarono scattate nel Museo del Trocadero), molte quelle d’ambiente di La Chaux-de-Fonds (subito riconoscibile la Maison Jeanneret Père), di città della Svizzera e di Parigi; trattandosi di stampe “a contatto” era facile distinguere tra le lastre di vetro (di cui parlava M.me Jeanneret) e “pellicole” di celluloide che nelle riproduzioni presentavano bordi non scheggiati come le altre. Solo più tardi, sottoponendo la questione ad Italo Zannier, potei restringere l’ipotesi della macchina fotografica ad un certo numero di “camere” allora in commercio tra le quali la “Cupido 80” (di cui ho già parlato)8. La selezione del materiale fu facile, ardua invece appariva l’identificazione dei luoghi e dei soggetti fotografati anche se in mio aiuto veniva l’edizione di una prima traduzione del Voyage data alle stampe per i tipi della Faenza Editrice nel 1974. è questa la traduzione dell’edizione del 1966 di Jean Petit da me corredata degli schizzi di viaggio, rintracciabili nelle opere di Le Corbusier. Sviluppai la ricerca in due direzioni: alla Fondazione a Parigi e a La Chaux-de-Fonds mettendo in relazione tra loro le foto, le lettere ai genitori e allo scrittore William Ritter, che da subito risultava l’“ispiratore” del viaggio di Le Corbusier. Nasceva così il mio progetto di ripercorrere con le foto in tasca lo stesso itinerario del maestro, cosa certamente ardua ma indispensabile per cogliere non solo l’identità dei soggetti, ma anche il perché erano stati fotografati. Alla Bibliotheque de la Ville di La Chaux-de-Fonds era possibile mettere a confronto il testo del libro pubblicato da Jean Petit con quello dei “reportages” a puntate che Jeanneret inviava a “La Feuille d’Avis”, uno dei quotidiani locali. Gli interventi correttivi del padre e ripensamenti di Le Corbusier sommati ad interventi dello stesso Petit rendevano sovente assai difformi i due scritti; era evidente la necessità di un vasto apparato di note 8 Cfr. Zannier I., Storia della fotografia italiana, Laterza Ed., Bari 1986, p. 163. 6 che spiegasse tali discrepanze così come si rivelò di straordinaria importanza disporre di tutta la corrispondenza di Jeanneret con amici e parenti, mentre le cartoline spedite o acquistate e annotate furono indispensabili per datare con precisione le tappe del suo intricatissimo viaggio, a “zig-zag” per l'Europa e alla “deriva” in Oriente. I disegni conservati alla Fondation (circa 450 tra piccoli schizzi ed acquerelli) potevano anch’essi entrare nel complesso mosaico iconografico che andava delineandosi, catalogati con numero d’ordine e approssimativa identificazione per “soggetto”, grazie alle foto e alle descrizioni della corrispondenza, erano ora identificabili con precisione. Il lungo lavoro alla Fondazione fu importante perché mi consentì di visionare e identificare tutti i disegni del viaggio in Italia del 1907 che si rivelarono estremamente utili per capire i “criteri” utilizzati da Jeanneret nell'osservazione e il suo progressivo affinarsi fino a raggiungere le sintesi grafiche dei celebri “profili” di Istanbul e di Roma che egli utilizzò poi in numerosi suoi scritti teorici9. The living tracks Nel 1982 soggiornai ad Istanbul, a Galatasaray, in Basaga Cesmesi, non lontano da Ainali Tscheschmé Str., dove – come Jeanneret racconta – egli abitò nell’agosto del 1911. Il profilo di Istanbul dal terrazzo dell’ultimo piano del mio alloggio coincideva sorprendentemente con quello che Jeanneret aveva fotografato e disegnato 70 anni prima. La città da allora era mutata ma non tanto da rendere irriconoscibili i luoghi, le vie, le piazze, le case e – spesso – anche le insegne dei negozi. Tutto ciò rese straordinariamente possibile l’identificazione dei luoghi ed era facile muoversi attraverso la città usando l’edizione del Baedekers utilizzata da Le Corbusier10. 9 Le Corbusier, Carnets du Voyage d’Orient, Electa – Fondation Le Corbusier Ed., Milano – Parigi 1978, pp. 38 ss. Sulle modalità di analisi grafica di Jeanneret, cfr. Gresleri G., From drawnings to Project, “Lotus” n. 68, Electa, Milano 2001, pp.6-21. 10 Baedekers, Konstantinopel und Kleinasien, Leipzig 1914. Jeanneret utilizzò l’edizione del 1905 da cui quella citata del 1941 è appena più aggiornata. 7 Quando ritornai a Parigi, la Fondation era entrata in possesso dei cinque Carnets del Voyage d’Orient che si rivelarono un'inedita fonte di annotazioni e riflessioni di Jeanneret sul fenomeno architettonico, determinanti per capire le scelte che egli compirà tra la primavera del 1910 e quella del 1911 tra Monaco e Berlino quando, dopo i colloqui con William Ritter e August Klipstein, metterà a punto l’itinerario del suo viaggio11 I Carnets di appunti e disegni, le foto e le lettere davano ora la possibilità di affrontare una edizione critica del viaggio e una mostra delle 400 foto che fu accolta da 30 musei nel mondo e sollevò il problema di quello che Bruno Zevi chiamò “Le Corbusier prima di nascere”; e che Manfredo Tafuri lesse come invito “imprescindibile” alla comprensione profonda dell’opera del Maestro svizzero dichiarando l'esistenza di «un altro Le Corbusier»12. Tutto ciò che all’inizio risultava oscuro e casuale, rivelava al contrario una precisa strategia di apprendimento che affondava le sue radici nella vastità di una cultura artistica e letteraria sorprendente in un giovane poco più che ventenne. Se le motivazioni dell’abbandono dello studio di Peter Behrens, presso il quale nel 1910 lavorarono sia Ludwig Mies Van der Rohe che Walter Gropius (mai citati nelle lettere di Jeanneret), non erano mai state chiarite, i progetti del Le Corbusier di quei mesi possono però aiutarci a cogliere le motivazioni reali dell'abbandono del suo datore di lavoro e, forse, anche del suo viaggio. Jeanneret grazie a Behrens non solo entra in contatto con il più importante architetto della Germania moderna e coglie le motivazioni “politiche” del suo lavoro, ma apprende anche il significato di una 11 Sul viaggio e la permanenza di Jeanneret in Germania, cfr. Gresleri G., Le Corbusier, Viaggio in Oriente, op. cit., Introduzione. Gli spostamenti di Le Corbusier tra Monaco, Berlino e Dresda sono ricostruiti sulla base della numerosa corrispondenza dallo stesso inviata a parenti ed amici e sulla scorta dei Carnets d’Allemagne, da me curata per Electa – Fondation Le Corbusier, cit.. Cfr. anche Von Moos S., Ruegg A., Le Corbusier before Le Corbusier, cit., pp. 168-177. Anche De Simone R., Ch. E. Jeanneret Le Corbusier, Il viaggio in Germania 1911, Officina Ed., Roma 1998. Fondamentale per capire i rapporti di Le Corbusier con la cultura tedesca, Ch. E. Jeanneret (Le Corbusier), Étude sur le Monvement d’Art decoratif en Allemagne. Da Capo Press Ed., New York, 1968. Molto importanti le note di Jeanneret a proposito dei suoi spostamenti e delle visite compiute ai musei tedeschi contenuti nell’epistolario ad Auguste Perret in Dumont M.J. (a cura di) Le Corbusier. Lettere ad Auguste Perret, Mondadori Electa Ed., Milano 2006, pp. 40ss. 12 Cfr. Tafuri M., L'altro Le Corbusier in “L'Indice” n° 5, 1985. 8 posizione intellettuale che vede nel rapporto tra arte e industria il solo futuro possibile per l’architettura del XX secolo. La diligenza con la quale Jeanneret ricalca il progetto della casa per l’archeologo Wiegand (trasferendone l’impianto tipologico nel contemporaneo suo progetto per la “Boothause Electra”) dimostrano l’attenzione per il metodo analitico beherensiano considerato già allora da Jeanneret un dato acquisito che non lo avrebbe però portato oltre le opere che il maestro della AEG produceva in quegli anni13. Dalle pagine dei Carnets di Germania emerge tutto l’interesse di Jeanneret per le questioni geometriche, numeriche e proporzionali. Come già dimostrano gli studi eseguiti a Firenze nel giugno del 1907 quando rileverà la Cappella degli Spagnoli, misurò con precisione Palazzo Vecchio e a Siena a S. Maria della Scala14. Esposto alle teorie e al clima dello studio di Beherens, ora può capire le opere di E.A. Drach sul problema della sezione aurea, opere determinanti per i suoi studi sui tracciati regolatori e il “Modulor”. Nel sottotetto di Neu-Babelsberg, dove alloggerà durante il soggiorno berlinese, Jeanneret ha infatti raccolto quanto indispensabile alla sua curiosità di quei giorni: i suoi libri e gli acquirenti del Viaggio in Italia che si vedono appesi alle pareti di due foto di allora. Sempre più attratto dalla sofisticata intellettualità di William Ritter (scrittore, giornalista, pittore e grande viaggiatore nei Balcani e nei Carpazi), Jeanneret accosta le opere di Nietsche a quelle di Alexandre Cingria Vaneyre15, storico dell’arte e autore de Les Entretiens de la Villa du Rouet, libro che egli annota e che si ripropone di “leggere a Roma” quando il viaggio in Oriente sarà giunto al termine16. 13 I grafici in questione sono conservati presso la Bibliotheque de la Ville di La Chaux-de-Fonds. Mai adeguatamente studiati furono esposti a Ferrara in San Romano in occasione della mostra Le Corbusier. Il viaggio in Oriente, 1987. 14 L’intera serie dei 74 acquerelli del Viaggio in Italia del 1907 fu esposta all’interno del programma internazionale della “Mostra del Centenario della nascita di Le Corbusier” voluti dalla Fondation a Palazzo Pitti a Firenze (aprile 1987) col titolo di Le Corbusier. Il viaggio in Toscana, cfr. Marsilio Ed., Venezia 1987. 15 Sul rapporto con A. Cingria Vaneyre (la cui opera interesserà a lungo Le Corbusier) anche dopo questi anni, rinvio a quanto scritto da me in Le Corbusier, Viaggio in Oriente, cit. Introduzione, pp. 44ss. 16 Cfr. gli studi di Ch. E. Jeanneret sulla “Goldmass” e il “Triangolo egizio”, in Carnet du Voyage d’Allemagne 4, pp. 4-5, aprile 1911, dove Jeanneret ridisegna anche alcune pagine del libro di E.A. Drach, Hüttengeheimnis vom Gerechten Steinmetzgrund, Marburg 1897. Il testo è citato da Jeanneret 9 In altra occasione mi sono intrattenuto sugli esiti che lo studio de Les Entretiens, del celebre storico e critico d'arte svizzero hanno avuto sulla decisione che Jeanneret prenderà in questi giorni e ad essi rimando 17. Rimando inoltre nella mia introduzione alla terza edizione italiana del Le Corbusier, Voyage d'Orient dove ho accolto l'ipotesi di Mogen Krustrup circa la conoscenza che Jeannaret avrebbe avuto dell'Historie de l'Art di Choisy, letta negli stessi mesi del soggiorno berlinese e, attraverso di essa, dei monumenti greci, romani, ottomani. «Ho qui uno splendido libro su quest'arte romana fatta di volte colossali e di grandi muri pieni [...]. Poi farò il mio viaggio di studio in Germania e in seguito dove rifugiarmi? A Roma. Allora, dopo, se Lei mi vorrà ancora ... Ah, caro Maestro, la costatazione della mia felice evoluzione estetica è la sola cosa che mi permette ancora di fare questa vita» 18. Quale poteva essere il libro sull'architettura classica che infondeva tali entusiasmi in Jeanneret? Krustrup ha avanzato l'ipotesi che si tratti di uno dei due volumi di Choisy che Jeanneret tiene in mano nella foto scattata nella sua stanza di Berlino nell'ottobre del 1910, libro che egli spinge avanti orgogliosamente aperto, ma certamente già conosciuto dai tempi di Vienna. Date le dimensioni del volume, è a mio avviso possibile riconoscerlo invece come Les Entretiens di Vaneyre che è, come Jeanneret sottolinea, la causa della sua «hereuse evolution». L'insistenza con cui Krustrup sostiene la sua ipotesi è giustificata dal fatto che – a suo avviso – il volume tenuto in mano da Jeanneret e il tomo successivo di Choisy sarebbero gli stessi che compaiono sulla sinistra del quadro La Cheminée (1918), dipinto da Jeanneret nella sua stanza di Parigi che segna il suo esordio di protagonista del Purismo. L’ipotesi di Krustrup è certamente affascinante perché ci costringe a ragionare sul motivo per cui da questo momento il libro (anche contenitore salvifico del sapere) diventi un soggetto ricorrente in molti quadri del periodo “purista” di Le Corbusier. Roberto Mango rafforza tale come fondamentale riferimento per i suoi studi sulle proporzioni. Cfr. Carnet du Voyade d’Allemagne 4, p. 7. 17 Gresleri G. Le Corbusier, Viaggio in Oriente, cit. pp35-85. Anche J. Lucan (a cura di), Le Corbusier: une Encyclopedie, Centre Pompidou/CCI, Paris 1987, alla voce Ritter William. 18 Ch. E. Jeanneret, Lettera a L'Eplattenier, Berlino 10 Gennaio 1911 AFLC. 10 annotazione: la fascinazione “purista” del libro dipende dal fatto che esso, sfogliato e maneggiato, modifica di continuo la sua relazione con lo spazio circostante19. Ma una domanda sorge ora a proposito dell’edizione di Choisy, che era in brossura, dunque difficilmente identificabile col dorso rilegato in pelle dei due volumi presenti nel dipinto di Jeanneret che appaiono invece identici alle opere di Pierre Gusman (Chargé de la Mission archeologique en Italie par le Ministre de l'Instruction publique et des Beaux Arts) che Jeanneret conosceva perché i volumi si trovavano dall'inizio del secolo nella biblioteca della scuola di Le Chaux-de-Fonds. I volumi monografici di Gusman, che Le Corbusier acquistò poi a Parigi, erano dedicati rispettivamente a Pompei (Pompei, La ville - Les Moeurs, Paris, 1900), con una introduzione di Maximilien Collignon celebre studioso del Partenone, e villa Adriana (La villa impériale de Tibur - Villa Hadriana, Paris, 1904). Entrambi riportano sontuose illustrazioni degli ambienti pompeiani e della grande villa di Tivoli, litografie ricavate da foto e acquerelli eseguiti dallo stesso autore o da allievi di Villa Medici che "perfezionavano" aggiornandoli i disegni di Pirro Ligorio e Piranesi20. Gusman che si era infatti stabilito a Pompei nel 1896, dove risiederà per due anni, inviò a Parigi una serie di reportages pubblicati prima dalla "Gazette des Beaux-Arts" poi raccolti nelle sue opere. Molti soggetti di Pompei hanno sorprendenti riferimenti ai disegni e alle foto eseguiti più tardi da Jeanneret, come ho già avuto modo di notare fin dal 1984. L'esedra della Tomba di Mamia, la Tomba di Servilia, la cella del Tempio di Apollo, gli interni della Casa del Poeta tragico sono colti con le stesse angolazioni di quelle che possiamo vedere nelle fotografie di Jeanneret. Lo stesso tipo di referenza è riscontrabile tra i disegni eseguiti alla Villa Adriana e le illustrazioni pubblicate nel grande volume di Gusman. Né vale l'ipotesi di inevitabili collimazioni derivanti dalle inquadrature obbligate dall'occhio dell'osservatore costretto ad osservare da punti stabiliti. C'è qui una 19 Krustrup M., Del Undsigeli Run The ine ppable space. in "B" Arkitektur tidsskrift n. 58, 1993. Cfr. anche Mango R., La peinture architecturale, in Izzo C., Gubitosi A. (a cura di), Ch. E. Jeanneret Le Corbusier, Officina Ed., Roma 1979, pp. 17-71. 20 Cfr. Gresleri G., À la villa d’Hadrien, in Atti del XV Rencontre a cura di Talamona M., Ed. de La Villette, Parigi 2010, pp. 26-49. 11 "sovrapposizione", una identità di inquadrature, una percezione dei valori prospettici così palesi da non lasciare dubbi sul fatto che Jeanneret abbia riportato "a memoria" l'iconografia gusmaniana così da essere in grado di ritrovarla sull'originale. Quando nel 1982 io aprii – per la prima volta – il volume su Pompei conservato nella biblioteca di Le Corbusier, trovai incollato alle pagine dedicate alla Casa di Sallustio l'acquerello dell'ottobre 1911 con lo stesso soggetto: esso era evidentemente sfuggito alla catalogazione e non portava dunque il numero d’ordine21. Con ogni evidenza il suo autore ve lo aveva inserito dopo il trasferimento a Parigi, quando i soggetti della sua pittura si rifaranno frequentemente ai luoghi e alle scoperte mediterranee22. Nell'opera di Gusman, Jeanneret, trovò quindi una referenza sostanziale alla sua prima esplorazione architettonica. Ricercando – come era accaduto ad Istanbul con le immagini letterarie di William Ritter, di Pierre Loti e di Claude Farrère – soggetti "preconosciuti" e "prenarrati"; egli poteva verificarne ragionamenti già fatti, capirli, reinterpretarli appoggiandosi a una tradizione esplorativa per lui indiscutibile. Choisy come Gusman entravano perfettamente in tale esperienza, l'interpretazione tecnicistica e strutturalista che attribuivano all'origine delle forme fornivano a Jeanneret una ulteriore conferma dei modi e delle strategie attraverso le quali comprendere l'architettura del passato. L'esempio di un semplice confronto tra gli schizzi di S. Sofia contenuti nel Carnet n. 2 e quelli pubblicati da Choisy, rivelano non solo un medesimo punto di osservazione ma lo stesso tipo di “assonometria militare” usata dallo storico per mostrare lo spaccato del soggetto23. Immerso nella dimensione del passato, Jeanneret ne accetta la diversità e la complessità, ne fa strumento di indagine la cui conoscenza diventa sfida e confronto per l’opera moderna. 21 Il volume dedicato alla villa Adriana si apre con una superba serie di piante storiche e di rilievi eseguiti dagli allievi dell'Ecole Française di Villa Medici nella tradizione dei "prix de Rome". E' possibile stabilire subito evidenti analogie tra tali disegni e gli schizzi di Jeanneret. 22 Cfr. Gresleri G. (a cura di) Le Corbusier. Il linguaggio delle pietre, Catalogo della mostra omonima al Centro Culturale S. Agostino, Crema 1988, Marsilio Ed., Venezia, p. 84. Cfr. AA.VV. Le Corbusier peintre avant le Purisme, Catalogo della mostra omonima al Musée des Beaux-Arts, la-Chaux-de-Fonds, 1987, in particolare alle pp. 35-85. 23 Cfr. Choisy A., Histoire de l’Architecture, tome second, Lib. George Boranger, Paris, p. 48-49. 12 Descrizione e trascrizione La mostra delle 400 foto di Jeanneret scattate durante i suoi viaggi, ci obbligò a stampare le lastre a grande formato utilizzando dimensioni fino a 60x120 cm che rendevano ragione della straordinaria qualità dell’obiettivo e della capacità di ripresa di Jeanneret24. Fu proprio grazie a questa mostra che si mise in evidenza la potenza iconografica delle immagini colte dal Maestro che la piccola dimensione delle riproduzioni formato cartolina aveva fino al allora occultato parzialmente. La mostra fu dunque una seconda scoperta di questo singolare ritrovamento. La barriera ideologica tradizionale che stabilisce un diverso grado di nobiltà ai differenti tipi del linguaggio architettonico è superata: il procedimento di analisi che Le Corbusier applica alla casa contadina dello Šipka è lo stesso con cui osserva le grandi costruzioni di Istanbul e di Roma. Esso avviene innanzitutto mediante l'approccio fotografico: la pregnanza di alcune riprese (veduta di Estergôm dal battello, la fortezza di Negotin, interni con giardino a Kazanlùk, il cimitero di Dragonesti nei Carpazi) raggiunge l'astrazione delle “nature morte” della sua pittura purista (fontane di Istanbul, rovine del Partenone, Battistero di Pisa), superando di colpo quanto ancora di tradizionale si trova nei suoi “réleves d'Italie” del 1907. Altre volte, come nelle sequenze della processione di Baja si legge un interesse antropologico che coglie il "diverso" nella più immediata delle sue espressioni esteriori, l'abbigliamento: “Les femmes soni très belles (…). On se vêt avec art; soies fulgurantes, cuirs incisés et polychromés, chemisettes blanches serties de broderies noires (…) les mille plis des robes courtes où les fleurs de soie allument sous le soleil des feux d'or”25. 24 La mostra delle 400 foto di Jeanneret accompagnata dai due pannelli coi diagrammi cronologici dei viaggi dell’architetto in Germania e in Oriente seguì un suo itinerario, di volta in volta “suggerito” dalle stesse sedi che l’avevano accolto suscitando dibattiti e sempre nuove valutazioni che l'iconografia suggeriva. Partita e organizzata dalla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, la mostra fu spostata a Pisa, Istanbul, Ferrara, Roma, Napoli, Bari, Vicenza, Cremona, Trento, Messina, U.S.A.(New York, dove fu esposta alla Columbia University) e percorse l’itinerario di una decina di musei americani, da Lexington a a Los Angeles e Toronto. 25 Ch. E. Jeanneret, Agli Ateliers d'Art, in Gresleri G., Le Corbusier, Viaggio in Oriente, cit. p.86. 13 La riduzione all'essenziale già menzionata, sia che si tratti della scarnificazione operata dal tempo sui monumenti romani ridotti a rovine o della premeditata spogliazione che egli compie sul costruito attraverso il disegno, consente una comprensione tipologica destinata a sorprendenti sviluppi. Oggi, più che la nostra analisi procede, mano a mano che lo scavo affonda nella spessa e confusa materia dei primi anni della formazione culturale di Jeanneret, è possibile vedere come quanto di accademico emerge dalle sue prime prove lasci il posto ad un metodo percettivo e trascrittivo destinato a creare una tradizione di lavoro complessa, colta e raffinata. Egli è abile nel cogliere ovunque, in ogni soggetto, quella unicità e particolarità che trasforma poi in materiali e pezzi di un progetto diverso in costante trasformazione e arricchimento. Isolati dal loro contesto e ridotti all'essenziale (la parte per il tutto) i materiali sono passibili di ulteriori riduzioni concettuali fino che, concentrati, possono assurgere a diversi significati o, applicati ad altri, generare nuove aggregazioni formali. Decontestualizzati, estraniati dal tempo e dallo spazio loro propri, gli oggetti dell'analisi verranno reimpiegati come nuove "regole", componenti formali di una disciplina che li nobilita refinalizzandoli e che conferisce loro statuto di nuova sacliskait. L'intera opera lecorbusieriana può allora essere riletta in questa chiave: riuso continuo e rigenerazione di forme, gli esempi citati all’inizio di questo scritto ne sono la prova. La straordinaria importanza dei due primi viaggi di Jeanneret per la comprensione dell'uomo e dell'opera, risiede fondamentalmente nel fatto che, come mai avverrà in seguito, è qui meglio rintracciabile il senso profondo che ha avuto per lui l'impatto coi "sedimenti" del costruito e della storia. Nella sua ricerca si rincorrono e si mescolano tutte le grandi architetture studiate, le forme, le immagini, i materiali in un incessante lavoro di osservazione e di ritrascrizione di quanto la tradizione ha tramandato. Il vernacolo della casa contadina, stravolto dalla nuova scala, assurge a dignità monumentale nei progetti delle ville e dell’unità d'abitazione; l'invenzione del béton brut materializza nella immagine della "rovina" 14 l'ambizione all'eternità per la propria architettura; la natura, accolta nel progetto come elemento determinante del comporre è costretta, come nella casa turca e nell'hortus pompeiano, ad un ruolo subordinato, a vivere "prigioniera" dell'architettura; la geometria dell'essenziale per quanto luogo dell'astrazione e dell'ermeticità, è anche il luogo in cui si conciliano razionalità e poesia; l'idea personale della casa e del tempio basata su una concezione sacrale e cosmologica è costantemente misurata sulla laicità della tecnica e una volontà razionalizzatrice; la stessa città che egli reinventa e in cui il mondo moderno "ricomincia", affonda, malgrado tutto, la sua realtà nello sterminato patrimonio della tradizione e della storia. Alla fine del suo viaggio, seduto in Piazza del Miracoli di fronte al Duomo, al Battistero e alla Torre connessi dal lungo muro della Certosa, Le Corbusier elabora un’ipotesi di “città moderna” che potrà confrontarsi con Pisa in occasione del concorso per il Palazzo dei Soviet nel 1931: «[...] strade diritte con le finestre a scacchi nelle facciate. Un solo colore, un solo materiale in tutta la città. Le auto filano, gli aeroplani passano senza che ci se n'accorga. Ci sono strade sui tetti, in mezzo ai fiori e agli alberi. Ci si arriva per grandi scalinate e passaggi sopraelevati. Poi si scende. Scendere una bella scalinata può conferire un'aria imperiale, e riempie il cuore di larghezza. Qua e là ci sarà un tempio, un cilindro, una semisfera, un cubo o un poliedro»26. Da sfida a se stesso, per Jeanneret il viaggio è diventato sfida per il futuro. 26 Ch. E. Jeanneret, Lettera a William Ritter, Pisa, s.d. 15