Giorgio Molteni Università degli Studi di Milano ELEMENTI DI CHIMICA ORGANICA FISICA Lulu, 2008 Molteni, Giorgio, 1963Elementi di chimica organica fisica Includes bibliographical references and index. ID: 4613643 © 2008 Lulu Enterprises Inc., Morrisville, NC 860 Aviation Parkway, Morrisville, NC 27560 http://www.lulu.com Printed in the United States of America ai miei genitori PREFAZIONE Esistono numerosi libri di testo che descrivono in modo abbastanza approfondito l’intero campo della chimica organica fisica. Di solito si tratta di volumi piuttosto ponderosi, tutti editi in lingua inglese e progettati per un corso annuale a livello di dottorato. Questi testi sono adattabili con una certa difficoltà all’insegnamento del corso di “meccanismi delle reazioni organiche” poiché nei corsi di laurea chimici italiani esso è attualmente compresso in soli 6 crediti. Il presente volume, di dimensioni volutamente ridotte ed in lingua italiana, presenta una panoramica sufficientemente dettagliata degli aspetti fondamentali della chimica organica fisica e rappresenta una novità nel panorama della letteratura chimica italiana. La mia speranza è che esso, oltre che a colmare un vuoto editoriale, si dimostri didatticamente valido e possa quindi costituire un buon punto di partenza nell’insegnamento dei principi fondamentali della chimica organica fisica impartito nell’ambito di un corso semestrale. Poiché le esercitazioni svolte in classe sono di primaria importanza allo scopo di fissare efficacamente gli argomenti trattati nelle lezioni teoriche, sono stati proposti un certo numero di problemi la cui soluzione è necessaria allo Studente per una migliore comprensione del testo. Per quanto concerne i riferimenti bibliografici che corredano la fine di ogni capitolo, il ricorso alla letteratura primaria non è stato ritenuto utile né necessario al presente livello di esposizione. Si sono invece proposti libri a carattere specialistico che dovrebbero essere facilmente reperibili dallo Studente particolarmente volenteroso in ogni biblioteca chimica. Nella stesura di questo lavoro è risultato inevitabile operare dei tagli di argomenti anche importanti. Ad esempio la teoria elettronica della chimica organica, così come la stereochimica e l’analisi conformazionale, non sono state nemmeno accennate. Benché questa scelta possa apparire bizzarra, essa è stata dettata dal fatto che gli argomenti menzionati sono trattati in modo approfondito rispettivamente nei corsi di chimica fisica e stereochimica organica, ragion per cui si è preferito evitare sovrapposizioni. Durante la compilazione di questo lavoro ho avuto la fortuna di poter contare sull’apporto di varie persone, colleghi od amici, che mi sono stati di grande aiuto. Desidero ringraziare la Prof.ssa Del Buttero (Università di Milano) per avere letto e commentato criticamente alcune parti del libro nella sua prima versione e la Dott.ssa Rossignolo (Almac Sciences), che si è prestata con entusiasmo alla lettura dell’intero testo. Un profondo ringraziamento è dovuto alla Prof.ssa Garanti, che ha messo a disposizione la sua immensa esperienza nella lettura critica dell’intero lavoro, ed al Dott. Ponti (Istituto di Scienze e Tecnologie Molecolari del CNR), che ha corretto con estrema pazienza e competenza le mie cattive interpretazioni della chimica fisica. I miei Studenti del corso di “meccanismi delle reazioni organiche” hanno svolto un lavoro prezioso segnalandomi molti degli errori presenti nella prima versione del testo. Infine, un ringraziamento particolare va al Prof. Zecchi (Università dell’Insubria) per avermi trasmesso l’interesse nei confronti della chimica organica fisica. Nonostante l’aiuto di tutte queste persone ci si può domandare per quale ragione il presente testo sia ancora tanto lontano dalla perfezione. L’unica risposta possibile è da ricercare nella persona dell’autore, che si assume per intero la responsabilità di tutti gli errori ancora presenti. Giorgio Molteni Milano, Dicembre 2008 INDICE DEI CAPITOLI 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Meccanismi di reazione Elementi di cinetica chimica Teoria perturbativa ed HSAB Correlazioni lineari di energia libera Effetti del solvente Acidi e basi Utilizzo degli isotopi negli studi meccanicistici Catalisi Metodi di attivazione non convenzionali di reazioni organiche INDICE 1 2 Meccanismi di reazione 1.1 Introduzione 1.2 Coordinata di reazione 1.3 Principi meccanicistici 1.3.1 Principio della reversibilità microscopica 1.3.2 Postulato di Hammond 1.3.3 Principio di Bell-Evans-Polanyi 1.3.4 Controllo cinetico e termodinamico 1.3.5 Principio di Curtin-Hammett 1.3.6 Principio di reattività-selettività 1.4 Bibliografia 1 2 7 7 7 11 12 14 15 16 Elementi di cinetica chimica 2.1 Introduzione 2.2 Definizioni fondamentali 2.3 Equazioni cinetiche 2.3.1 Reazioni del primo ordine 2.3.2 Reazioni di ordine zero 2.3.3 Reazioni del secondo ordine 2.3.4 Reazioni in serie 2.3.5 Ipotesi dello stato stazionario 2.3.6 Reazioni parallele 2.3.7 Cinetiche enzimatiche 2.4 Metodi sperimentali 2.4.1 Metodi spettroscopici 2.4.2 Metodi elettrochimici 2.4.3 Metodi polarimetrici 2.5 Dipendenza della velocità dalla temperatura 2.5.1 L’ Equazione di Arrhenius 2.5.2 Teoria delle collisioni 2.5.3 Teoria dello stato attivato 2.6 Dipendenza della velocità dalla pressione 2.6.1 Cicloaddizioni 2.6.2 Sostituzioni nucleofile al carbonio saturo 2.6.3 Addizioni al carbonile 2.6.4 Reazioni al carbonio aromatico 2.7 Reazioni intramolecolari 2.8 Cinetica chimica applicata ad alcune reazioni organiche 2.8.1 Sostituzioni nucleofile 2.8.2 Sostituzioni elettrofile al carbonio aromatico 2.8.3 Idrolisi degli esteri 2.8.4 Reazioni di eliminazione 18 18 20 20 22 23 25 27 28 29 34 35 36 37 38 38 39 41 45 48 49 50 50 50 55 55 59 61 62 3 4 2.9 Problemi 2.10 Bibliografia 63 65 Teoria perturbativa ed HSAB 3.1 Introduzione 3.2 Teoria perturbativa 3.2.1 Energie e coefficienti degli orbitali di frontiera 3.3 Applicazioni della teoria perturbativa 3.3.1 Sostituzioni al carbonio saturo 3.3.2 Sostituzioni elettrofile aromatiche 3.3.3 Cicloaddizioni 3.3.3.1 Reazioni di Diels-Alder 3.3.3.2 Cicloaddizioni [2+2] 3.3.3.3 Cicloaddizioni 1,3-dipolari 3.4 Teoria HSAB 3.5 Applicazioni della teoria HSAB 3.5.1 Reattivi bidentati 3.5.2 Debromurazione di α-bromochetoni 3.5.3 Sostituzioni-eliminazioni 3.5.4 Addizioni a doppi legami carbonio-carbonio 3.5.5 Addizioni a doppi legami carbonio-ossigeno 3.6 Aspetti quantitativi della teoria HSAB 3.7 Problemi 3.8 Bibliografia 66 68 73 76 76 77 80 83 89 91 99 102 103 104 105 105 105 106 110 111 Correlazioni lineari di energia libera 4.1 Introduzione 4.2 Equazione di Hammett 4.2.1 Significato della costante del sostituente, σX 4.2.2 Significato della costante di reazione, ρ 4.2.2.1 Equilibri con ρ > 0 4.2.2.2 Reazioni con ρ > 0 4.2.2.3 Reazioni con ρ < 0 4.2.2.4 Reazioni con ρ ≈ 0 4.2.3 Coniugazione diretta 4.3 Equazioni a due parametri 4.3.1 Equazione di Yukawa-Tsuno 4.3.2 Altre equazioni a due parametri 4.4 Deviazioni dalla linearità 4.5 Effetti sterici 4.5.1 Equazione di Taft 4.5.2 Parametri sterici 4.6 Problemi 4.7 Bibliografia 112 113 116 119 122 122 123 124 125 128 128 129 131 134 134 136 137 138 5 6 I solventi 5.1 Introduzione 5.2 Energia libera di solvatazione 5.3 Momento dipolare, costante dielettrica e polarità dei solventi 5.4 Relazioni empiriche 5.4.1 Parametri di polarità 5.4.1.1 Indice di rifrazione, n 5.4.1.2 Costante dielettrica, ε 5.4.1.3 Parametro di Dimroth, ET 5.4.1.4 Parametro di Kosover, Z 5.4.2 Potere ionizzante 5.4.3 Indici di solvatazione 5.4.4 Proprietà acide o basiche dei solventi secondo Lewis 5.4.4.1 Numero donatore, DN 5.4.4.2 Numero accettore, AN 5.5 Effetti del solvente sugli equilibri chimici 5.6 Effetti del solvente sul meccanismo di reazione 5.6.1 Reazioni con stati di transizione a sviluppo o dispersione di carica 5.6.2 Reazioni pericicliche 5.6.3 Reazioni radicaliche 5.7 L’acqua 5.7.1 Reazioni organiche in fase acquosa 5.7.1.1 Cicloaddizioni [4+2] 5.7.1.2 Cicloaddizioni [3+2] 5.7.1.3 Riassestamento di Claisen 5.8 Liquidi ionici 5.9 Problemi 5.10 Bibliografia Acidi e basi 6.1 Introduzione 6.2 Richiami sugli equilibri acido-base in acqua 6.3 Acidi e basi più deboli dell’acqua 6.4 Acidi più forti di H3O+, basi più forti di OH ¯ 6.5 Meccanismo di trasferimento protonico 6.6 Effetti del solvente sull’acidità 6.7 Nucleofili ed elettrofili 6.7.1 Diagrammi di Brønsted 6.7.2 Scale di nucleofilicità 6.7.2.1 Equazione di Swain-Scott 6.7.2.2 Equazione di Ritchie 6.7.2.3 Equazione di Edwards 6.8 Problemi 6.9 Bibliografia 139 140 142 144 144 145 145 145 147 147 150 151 151 152 153 156 156 158 159 161 162 162 163 164 164 166 167 168 169 174 176 181 183 184 184 186 186 187 188 189 190 7 8 Utilizzo degli isotopi negli studi meccanicistici 7.1 Introduzione 7.2 Effetti cinetici isotopici 7.2.1 Effetto cinetico isotopico primario 7.2.2 Esempi di effetti cinetici isotopici primari 7.2.2.1 Sostituzioni nucleofile al carbonio saturo 7.2.2.2 Sostituzioni elettrofile aromatiche 7.2.2.3 Eliminazioni 7.2.2.4 Addizioni elettrofile agli alcheni 7.2.3 Effetto cinetico isotopico secondario 7.2.4 Esempi di effetti cinetici isotopici secondari 7.2.5 Effetti cinetici isotopici di tipo sterico 7.2.6 Effetti isotopici dovuti al solvente 7.2.7 Metodo dell’inventario dei protoni 7.3 Marcatura isotopica 7.3.1 Sostituzioni nucleofile SN2 7.3.2 Sostituzioni all’anello aromatico 7.3.3 Addizioni nucleofile al doppio legame C=O 7.3.4 Eliminazioni 7.3.5 Condensazioni 7.3.6 Riassestamenti 7.4 Problemi 7.5 Bibliografia 191 191 192 200 200 201 202 203 203 205 206 207 209 211 211 211 213 214 215 216 218 219 Catalisi 8.1 Introduzione 8.2 Catalisi acido-base 8.2.1 Catalisi acida specifica 8.2.2 Catalisi acida generale 8.1.3 Legge della catalisi secondo Brønsted 8.3 Catalisi enzimatica 8.4 Catalisi supramolecolare 8.5 Catalisi micellare 8.6 Catalisi a trasferimento di fase 8.6.1 Catalizzatori a trasferimento di fase 8.6.2 Cinetica dei processi a trasferimento di fase 8.7 Organocatalisi 8.8 Catalisi metallorganica 8.8.1 Idrogenazione omogenea di composti insaturi 8.8.2 Idrosililazione di composti insaturi 8.8.3 Carbonilazione del metanolo 8.8.4 Reazione di Heck 8.9 Problemi 8.10 Bibliografia 220 222 222 224 227 229 229 234 237 238 240 242 245 245 247 247 248 249 250 9 Metodi di attivazione non convenzionali di reazioni organiche 9.1 Introduzione 9.2 Microonde 9.2.1 Riscaldamento con microonde 9.2.2 Effetti specifici delle microonde 9.2.3 Esempi di reazioni organiche attivate dalle microonde 9.3 Sonochimica 9.3.1 Principi generali 9.3.2 Effetti degli ultrasuoni sulle reazioni organiche 9.3.3 Esempi di reazioni organiche attivate dagli ultrasuoni 9.4 Attivazione elettrochimica 9.4.1 Fattori termodinamici e cinetici 9.4.2 La reazione elettrorganica 9.4.3 Ossidazioni anodiche 9.4.4 Riduzioni catodiche 9.5 Fotochimica 9.5.1 Stati eccitati 9.5.2 Processi fotolitici 9.5.3 Processi fotofisici 9.5.4 Processi fotochimici 9.5.4.1 Reazioni fotolitiche 9.5.4.2 Riassestamenti 9.5.4.3 Isomerizzazioni 9.5.4.4 Estrazione di atomi di idrogeno 9.5.4.5 Fotodimerizzazioni 9.6 Problemi 9.7 Bibliografia 252 253 253 256 257 259 260 261 262 264 265 267 267 270 272 272 274 275 278 278 279 279 280 280 280 281 Costanti fisiche 283 Indice analitico 285 Elementi di Chimica Organica Fisica 1 MECCANISMI DI REAZIONE ____________________________________________________________________ 1.1 Introduzione 1 1.2 Coordinata di reazione 2 1.3 Principi meccanicistici 7 1.4 Bibliografia 16 ____________________________________________________________________ 1.1 Introduzione Il meccanismo di una reazione chimica consiste nella descrizione dettagliata, passaggio per passaggio, attraverso il quale avviene la trasformazione da reagenti a prodotti. Per prima cosa il meccanismo di una reazione viene ipotizzato, su basi più possibile ragionevoli, in modo da rendere conto di tutti i fatti sperimentali disponibili. Qualora vengano alla luce nuove evidenze sperimentali, queste ultime devono trovare una spiegazione coerente col meccanismo ipotizzato in precedenza. Se i nuovi fatti vi trovano riscontro il modello proposto per il meccanismo risulta rafforzato, se invece non sono compatibili occorre rivedere il quadro meccanicistico modificandolo opportunamente. La conoscenza dettagliata di un meccanismo di reazione implica la descrizione di tutte le interazioni molecolari che prendono parte al processo reattivo, nonché di tutte le specie che si formano nel percorso da reagenti a prodotti. Ad esempio la formazione di intermedi reattivi dev’essere prevista dal meccanismo di reazione. Allo stesso modo, la conoscenza dell’energia e della velocità con cui evolve il sistema devono essere note in ogni momento della trasformazione. Da quanto detto è chiaro che risulta difficile asserire che un meccanismo di reazione sia mai stato dimostrato in toto. Tuttavia se esso è in grado di spiegare in modo soddisfacente un buon numero di fatti sperimentali, se si possono fare previsioni basandosi sul meccanismo ipotizzato trovando conferma nei fatti, ed infine se è coerente con i meccanismi di altre reazioni correlate, allora si può dire che il meccanismo è ben provato ed esso può essere annoverato tra le acquisizioni della chimica organica. Allo stato attuale i numerosissimi testi di chimica organica fondamentale disponibili presentano una forma grossolana di meccanismo attendibile per una gran quantità di reazioni. Si tratta della nota rappresentazione per mezzo delle frecce ricurve che mostrano il movimento delle coppie di elettroni. Sebbene questa formulazione “a 1 frecce” sia molto comoda, ma soprattutto efficace ed intuitiva, non bisogna dimenticare che si tratta sempre e solo di ipotesi meccanicistiche attendibili, mentre la definizione rigorosa di un meccanismo di reazione è stata raggiunta solo in casi rarissimi. In questa sede ci si propone di illustrare le interdipendenze che sussistono tra reattività e meccanismo di reazione in modo quantitativo o semiquantitativo. Il perseguimento di questo obiettivo sarà realizzato determinando i parametri cinetici, il decorso stereochimico, gli effetti isotopici o del mezzo di reazione, le correlazioni struttura-reattività ed altri argomenti significativi. 1.2 Coordinata di reazione E’ uso comune descrivere l’evoluzione di una generica reazione chimica tramite un diagramma o profilo energetico bidimensionale nel quale viene riportata l’energia del sistema in funzione della coordinata di reazione (Figura 1.1). Si possono costruire diagrammi nei quali compare una misura dell’energia definita termodinamicamente, ad esempio l’entalpia H, l’energia libera G o l’energia interna E. La coordinata di reazione è invece un termine generico che descrive la riorganizzazione dei nuclei che si produce durante lo svolgimento della reazione. E ∆E reagenti prodotti coordinata di reazione Figura 1.1. Rappresentazione di un generico profilo di reazione bidimensionale per un processo semplice ad uno stadio. Questa definizione non è molto soddisfacente dato che per la stragrande maggioranza delle reazioni organiche è impossibile descrivere rigorosamente tutti i gradi di libertà posseduti da reagenti e prodotti. Ciò è evidente considerando che un sistema di N atomi possiede un numero di gradi di libertà vibrazionali pari a 3N-6. Anche una reazione molto semplice quale la sostituzione nucleofila bimolecolare (SN2) tra il bromuro di metile e l’anione ioduro, che coinvolge solo 6 atomi, I¯ + CH3Br → CH3I + Br¯ è descritta da 3 x 6 – 6 = 12 gradi di libertà vibrazionali. Di conseguenza un diagramma accurato dovrebbe esprimere 13 parametri; 12 vibrazionali ed uno energetico. Una rappresentazione di questo tipo è naturalmente impossibile. Il meglio che si può fare è rappresentare due gradi di libertà vibrazionali in funzione 2 dell’energia ricavando il diagramma della superficie dell’energia potenziale (Figura 1.2). In un tale diagramma compaiono due parametri geometrici specifici, in questo caso le lunghezze dei legami C-Br e C-I, in funzione dell’energia potenziale il cui asse è perpendicolare al piano descritto dai due parametri geometrici di riferimento. In questo modo la variazione dell’energia al procedere della reazione non è più funzione di un generico parametro di riorganizzazione dei nuclei (la coordinata di reazione) ma dipende da due entità geometriche, due lunghezze di legame, che sono definite univocamente. E’ ovvio che dovendo limitarsi alla descrizione di due soli parametri geometrici si scelgono quelli più significativi per la reazione in esame. Nel caso della sostituzione nucleofila menzionata è naturale che la scelta riguardi il legame che si forma (C-I) e quello che si rompe (C-Br). RC-I RC-Br Figura 1.2. Rappresentazione del diagramma dell’energia potenziale per la reazione CH3-Br + I¯. L’interpretazione di un diagramma della superficie potenziale è piuttosto semplice tenendo presente che si tratta di una proiezione vista dall’alto di un diagramma tridimensionale le cui linee di livello assumono lo stesso significato di quelle che si incontrano in una normale mappa topografica. All’aumentare della lunghezza del legame C-Br, cioè muovendosi lungo la coordinata RC-Br in direzione della freccia, si sale di energia lungo la linea punteggiata arrivando al punto di rottura di questo legame. Contemporaneamente la distanza tra carbonio e anione ioduro diminuisce fino ad arrivare alla formazione del legame C-I. La trasformazione da CH3Br a CH3I deve quindi passare per un massimo energetico contrassegnato dal simbolo ≠ nella Figura 1.2; questo massimo assoluto prende il nome di stato di transizione. Nonostante i profili energetici bidimensionali lascino piuttosto nel vago il concetto di coordinata di reazione, nella pratica comune della chimica organica essi sono usati 3 molto più frequentemente dei diagrammi di superficie per via dell’immediatezza nell’individuazione della barriera energetica che separa i reagenti dallo stato di transizione. Per la reazione in esame il profilo energetico bidimensionale è infatti molto semplice e del tutto simile a quello illustrato nella Figura 1.1, dove la barriera energetica è contrassegnata dal simbolo ∆E≠. E’ di particolare importanza definire in modo rigoroso il punto di massimo dei profili energetici denominato stato di transizione, come si è detto pocanzi. Lo stato di transizione rispecchia l’assetto meno stabile degli atomi o delle specie reagenti nella via verso i prodotti. Benché esso debba essere necessariamente un’entità molecolare, si tratta di una specie altamente instabile e non isolabile caratterizzato da un tempo di vita inferiore a quello di una vibrazione molecolare (10-12 s). L’assetto degli atomi giunti allo stato di transizione non è dunque rilevabile sperimentalmente, e sulla sua struttura si possono fare congetture fondate sia sulla struttura dei reagenti che dei prodotti. Alternativamente si può procedere al calcolo dello stato di transizione con metodi computazionali che hanno il notevole vantaggio di fornirne la struttura e l’energia a partire da principi non empirici. E’ utile, a questo punto, passare in rassegna alcuni tra i tipi dei profili di reazione bidimensionali che si incontrano più comunemente nello studio dei meccanismi delle reazioni organiche. Va subito detto che è conveniente esprimere l’energia che compare in ordinata con la funzione energia libera G, dato che il segno dell’energia libera di reazione ∆Gr dà indicazioni termodinamiche immediate. Il profilo energetico più semplice è quello relativo al meccanismo ad uno stadio. In questo caso il passaggio da reagenti a prodotti è caratterizzato dal valore dell’energia libera di attivazione ∆G≠, che determina la velocità del processo, e dal ∆Gr che indica se la reazione è eso- od endoergonica. Nel caso del profilo energetico mostrato nella Figura 1.3 l’energia libera dei prodotti è inferiore a quella dei reagenti e si tratta dunque di un processo esoergonico: ∆Gr = ∆Gprodotti – ∆Greagenti < 0. G ∆G ∆Gr coordinata di reazione Figura 1.3. Rappresentazione di un profilo di reazione bidimensionale per un processo esoergonico (∆Gr < 0) ad uno stadio. Il profilo energetico di una trasformazione endoergonica che avviene attraverso un meccanismo ad uno stadio è rappresentato nella Figura 1.4. 4 G ∆Gr ∆G coordinata di reazione Figura 1.4. Rappresentazione di un profilo di reazione bidimensionale per un processo endoergonico (∆Gr > 0) ad uno stadio. Le reazioni che procedono attraverso un meccanismo semplice ad un solo stadio sono piuttosto diffuse, ne sono esempi le sostituzioni nucleofile bimolecolari ed alcuni tipi di cicloaddizioni importanti quali le reazioni di Diels-Alder. Passando alla descrizione dei profili energetici per trasformazioni che avvengono in più di un passaggio, si introduce il concetto di intermedio di reazione. Quest’ultimo è un’entità molecolare caratterizzata da un’alta reattività, che è in grado cioè di evolvere velocemente verso i prodotti oppure di percorrere il cammino inverso tornando a reagenti. L’esistenza di un equilibrio tra reagenti ed intermedio di reazione costituisce la prima differenza fondamentale tra esso e lo stato di transizione, per il quale un equilibrio di questo tipo è precluso. Un’altra differenza fondamentale resiede nel fatto che un intermedio di reazione può, in linea di principio, venire isolato, mentre lo stato di transizione può solo evolvere verso i prodotti e, come si è detto, non può essere mai isolato. Dal punto di vista chimico un intermedio di reazione è dunque una specie reattiva che può essere evidenziata tramite metodi chimici, cioè intrappolata con opportuni reagenti, oppure spettroscopici. Come esempio si consideri il tipico meccanismo operante nelle sostituzioni elettrofile aromatiche, che prevede la formazione intermedia di cationi arenio. Dalla reazione di Friedel-Crafts tra il mesitilene ed il fluoruro di etile in presenza di BF3 è stato possibile caratterizzare il catione intermedio A isolandolo quale solido a punto di fusione 15°C. Me Me Me Me EtF BF3 + Me H BF4 Et Me Me _ Et ∆ Me Me A Il profilo energetico bidimensionale per una trasformazione esoergonica che implica la formazione di un intermedio indicato con la lettera I è schematizzato nella Figura 1.5. La reazione inizia con un primo stadio nettamente endoergonico che, passando 5 per un primo stato di transizione, dà luogo alla formazione dell’intermedio I. Un secondo stadio fortemente esoergonico che passa attraverso un secondo stato di transizione costituisce il passaggio che porta dall’intermedio I ai prodotti di reazione. Poiché la prima barriera di attivazione ∆GI≠ è più alta della seconda (∆Gp≠), è ragionevole supporre che il passaggio reagenti → intermedio debba essere lento rispetto a quello intermedio → prodotti. In altre parole il primo passaggio, più lento, è quello che determina la velocità complessiva dell’intero processo. Questa constatazione, proposta per ora su basi intuitive, verrà ripresa in modo più rigoroso nel capitolo dedicato alla cinetica chimica. G I ∆Gp ∆GI ∆Gr coordinata di reazione Figura 1.5. Rappresentazione di un profilo di reazione bidimensionale per un processo esoergonico (∆Gr < 0) a due stadi. Per una trasformazione esoergonica che decorre attraverso un meccanismo a due stadi può anche darsi il caso in cui ∆GI≠ sia inferiore a ∆Gp≠, nel qual caso lo stadio lento della reazione dev’essere quello che conduce dall’intermedio ai prodotti. La velocità dell’intero processo è allora determinata da questo secondo stadio, come risulta schematizzato nella Figura 1.6. G ∆Gp I ∆GI ∆Gr coordinata di reazione Figura 1.6. Rappresentazione di un profilo di reazione bidimensionale per un processo esoergonico (∆Gr < 0) a due stadi. 6 1.3 Principi meccanicistici L’utilizzo e l’interpretazione dei profili energetici bidimensionali si presta ad introdurre alcuni principi o postulati di fondamentale importanza, dato che essi esprimono criteri qualitativi in grado di descrivere la reattività degli intermedi, la distribuzione dei prodotti ottenuta da una reazione e la struttura approssimativa dello stato di transizione. In questo paragrafo ci si propone di passare in rassegna questi principi o postulati formulandoli in modo più possibile intuitivo e cercando di metterne contemporaneamente in rilievo il significato chimico. 1.3.1 Principio della reversibilità microscopica Il principio della reversibilità microscopica stabilisce che per una reazione reversibile il cammino percorso per andare da reagenti (R) a prodotti (P) dev’essere lo stesso seguito per la trasformazione inversa da prodotti a reagenti. Questo principio è del tutto generale e trae origine da un ragionamento semplice. Poiché durante una reazione chimica i nuclei e gli elettroni assumomo l’assetto corrispondente alla minima energia libera possibile, se la reazione è reversibile si deve ripetere lo stesso assetto nucleare ed elettronico anche per la trasformazione inversa. Il principio della reversibilità microscopica è importante dal punto di vista meccanicistico in quanto assicura che se nel percorso R → P vengono generati uno o più intermedi labili, la formazione di questi ultimi si deve verificare anche nel processo inverso P → R. Lo stesso discorso vale per gli stati di transizione coinvolti nella reazione. In altre parole ogni ipotesi meccanicistica proposta per la trasformazione diretta dev’essere valida e verificata per quella inversa. Nel caso semplice di una reazione esoergonica reversibile che procede attraverso un solo stadio per la quale sia valido il profilo energetico illustrato nella Figura 1.3, i reagenti si collocano ad energia superiore rispetto a quella dei prodotti. Da quanto già detto sull’entità della barriera di attivazione, risulta chiaro che la velocità di andata dev’essere necessariamente superiore a quella di ritorno. Ma in virtù del principio della reversibilità microscopica lo stato di transizione coinvolto dev’essere lo stesso indipendentemente dalla direzione della reazione. 1.3.2 Postulato di Hammond Nella sua formulazione originale, il postulato di Hammond stabilisce una relazione tra la struttura di uno stato di transizione e quella di un intermedio, un reagente od un prodotto la cui formazione ricorre nella stessa reazione. “Se due stati, ad esempio uno di transizione ed un intermedio reattivo, si susseguono durante un processo reattivo ed hanno un contenuto energetico simile, la loro interconversione implica una piccola riorganizzazione delle strutture molecolari”. In pratica questo postulato ammette che uno stato di transizione ha struttura simile a quella di un reagente, intermedio o prodotto la cui energia sia simile a quella dello stato di transizione in oggetto. Ciò significa che per reazioni ad un solo stadio caratterizzate da un passaggio esoergonico lo stato di transizione ha struttura simile a quella dei reagenti, mentre per una reazione endoergonica la struttura dello stato di transizione coinvolto deve somigliare a quella dei prodotti. Si può intuire come 7 questo postulato sia d’importanza fondamentale nell’ipotizzare la struttura di uno stato di transizione a secondo delle caratteristiche termodinamiche della reazione. Esaminando i profili energetici di due reazioni, una eso- e l’altra endoergonica, ci si rende conto della validità generale del postulato di Hammond. Nel primo caso, schematizzato nel profilo energetico a sinistra nella Figura 1.7, lo stato di transizione ha energia e quindi struttura simile a quella dei reagenti. Per contro, nel caso di una trasformazione endoergonica (profilo energetico di destra nella Figura 1.7), lo stato di transione ha energia e struttura simile a quella dei prodotti. G G coordinata di reazione coordinata di reazione Figura 1.7. Rappresentazione grafica del postulato da Hammond per una reazione esoergonica (a destra) e di una endoergonica (a sinistra). Una delle applicazioni più interessanti del postulato di Hammond riguarda il confronto tra le specie carbocationiche coinvolte nella reazione di eterolisi del legame carbonio-gruppo uscente (SN1). E’ noto che la stabilità dei carbocationi decresce nell’ordine 3° > 2° > 1° > Me+. I profili energetici riguardanti la formazione di questi carbocationi mostrano che passando dal catione t-butilico al catione metilico l’energia degli stati di transizione si avvicina a quella dei prodotti. La generazione di un carbocatione più stabile implica dunque il passaggio attraverso uno stato di transizione più simile ai reagenti. G Me+ Et+ iPr+ tBu+ R X coordinata di reazione Figura 1.8. Profilo di reazione della generazione di carbocationi per eterolisi del legame R-X. 8 Il postulato di Hammond è stato finora illustrato attraverso i consueti diagrammi bidimensionali nei quali l’energia libera G è funzione della coordinata di reazione. Con questo tipo di rappresentazione risulta evidente il contenuto energetico di reagenti, prodotti e stati di transizione coinvolti nel processo reattivo ma, ovviamente, non è possibile ricavare informazioni sulla variazione delle lunghezze dei legami che si formano o si rompono durante la reazione. Benché questi ultimi parametri si possano desumere dalle superfici di energia potenziale del tipo riportato nella Figura 1.2, si preferisce ricorrere ad un tipo di grafico tridimensionale semplificato, nel quale vengono omesse le linee di livello, noto come diagramma di More O’FerrallJencks. Nel piano della pagina si trovano le distanze di legame appropriate, che sono espresse in funzione dell’energia libera il cui asse è perpendicolare al piano della pagina. In questi diagrammi la coordinata di reazione appare vista dall’alto e per la generica reazione di sostituzione R-X + Nu¯ → R-Nu + X¯ l’aspetto del grafico è quello rappresentato nella Figura 1.9. Un processo associativo puramente SN2 appare come la linea retta a che unisce l’angolo in basso a sinistra (R-X + Nu¯ ) con quello in alto a destra (R-Nu + X¯ ) in cui la posizione dello stato di transizione è raffigurata dal punto pieno. L’aspetto peculiare dei diagrammi di More O’Ferrall-Jencks è legato alla possibilità di mostrare grandezze perpendicolari alla coordinata di reazione, quali ad esempio le distanze di legame nello stato di transizione. Qualora un raggruppamento R sia in grado di stabilizzare parzialmente il carbocatione R+, il processo non segue più il meccanismo SN2 e di conseguenza lo stato di transizione deve cambiare energia e posizione nel grafico delle distanze di legame seguendo la linea curva b. Il nuovo stato di transizione è più lasco del precedente essendo caratterizzato da maggiori distanze R….X ed R….Nu. Un processo dissociativo descritto dal meccanismo SN1 segue la curva c che prevede l’aumento della distanza R….X fino alla rottura del legame con formazione del carbocatione R+. R-Nu+ X - R+ + X - + Nuc b a R....X R-X + Nu- R....Nu [Nu....R....X] - Figura 1.9. Diagramma di More O’Ferrall-Jencks per una generica reazione di sostituzione. 9 Quali esempi tipici di reazioni che seguono le linee a, b o c si considerino rispettivamente le seguenti tre sostituzioni nucleofile, nelle quali è evidente la crescente stabilizzazione dell’incipiente carica positiva nello stato di transizione. CH3 Cl + I _ CH3 + I l + CI _ + Cl _ CI _ l Me2N + I _ + Me2N Cl CI _ l Nell’ambito di una reazione puramente SN2, qualora il gruppo R abbia caratteristiche tali da condurre alla stabilizzazione dei prodotti si ravvisa la situazione delineata nella Figura 1.10 passando dal profilo di reazione a a quello b. Lo stato di transizione che conduce ai prodotti più stabili è meno energetico e somiglia maggiormente ai reagenti (minore distanza R….X), come si deduce facilmente dall’esame della Figura 1.10. a b R-Nu+ X - R+ + X - + Nu- R....X R-X + Nu- R....Nu [Nu....R....X] - Figura 1.10. Diagramma di More O’Ferrall-Jencks per reazioni SN2. 10 1.3.3 Principio di Bell-Evans-Polanyi Questo principio sancisce che la barriera di attivazione per una reazione concertata è inferiore a quella della corrispondente reazione a stadi. Considerando la generica reazione di sostituzione A + B-C → A-B + C la barriera di attivazione è costituita dall’energia necessaria allo stiramento del legame B-C e dall’iniziale repulsione A---B. Sovrapponendo i profili energetici corrispondenti allo stiramento dei legami A-B e B-C si ottiene il diagramma rappresentato nella Figura 1.11. La curva inferiore descrive la rottura del legame B-C per l’ipotetica reazione A + B-C → A + B + C mentre la curva superiore è relativa alla formazione del legame A-B nell’ipotetica reazione A + B + C → A-B + C. La barriera di attivazione ∆G≠ per la reazione di sostituzione è data dalla differenza tra le energie del punto d’incrocio tra i due profili di reazione ed i reagenti. Da questa rappresentazione grafica risulta evidente che la barriera di attivazione per la reazione concertata, nella quale cioè l’atomo o la specie A sposta il gruppo uscente C, dev’essere più bassa di quella per il corrispondente processo a stadi che richiederebbe la rottura completa del legame B-C la cui energia è data nel diagramma della Figura 1.11 dal punto in ordinata A + B + C. A+B+C A+B+C G A + B-C ∆G A-B + C stiramento dei legami Figura 1.11. Diagramma di Bell-Evans-Polanyi che mostra la barriera di attivazione per la reazione A + B-C → A-B + C. Generalizzando, si considerino due reazioni in stretta relazione tra loro A1 + B-C → A1-B + C A2 + B-C → A2-B + C il corrispondente diagramma di Bell-Evans-Polanyi è schematizzato nella Figura 1.12. Qualora i prodotti A1-B + C siano meno stabili di A2-B + C, il profilo 11 energetico relativo alla seconda reazione ha energia inferiore ed il punto di incrocio, che esprime la barriera di attivazione, è più somigliante ai reagenti. An + B + C An + B + C G ∆∆G An + B-C A1-B + C A2-B + C stiramento dei legami Figura 1.12. Diagramma di Bell-Evans-Polanyi per le reazioni A1 + B-C → A1-B + C ed A2 + B-C → A2-B + C Sulla base di questi semplici diagrammi si ricavano due indicazioni importanti: 1. la stabilizzazione dei prodotti comporta la stabilizzazione dello stato di transizione e quindi la riduzione della barriera di attivazione, 2. più una reazione è esoergonica più è caratterizzata da uno stato di transizione simile ai reagenti. 1.3.4 Controllo cinetico e termodinamico In chimica organica esistono numerosissimi esempi di reazioni nelle quali un certo reagente A può dare luogo alla formazione contemporanea di due prodotti differenti attraverso differenti cammini di reazione. Questa situazione è rappresentata dallo schema B A C ed è nota col termine di reazione parallela o competitiva (cfr. paragrafo 2.3.6). Si supponga che il prodotto B sia termodinamicamente più stabile del prodotto C, ma che quest’ultimo si formi più velocemente. Ciò implica che la barriera di attivazione per la reazione A → C debba essere più bassa di quella necessaria per lo svolgimento della reazione A → B. Dal punto di vista grafico questa situazione è rappresentata nella Figura 1.13, dove le grandezze ∆GB≠ e ∆GC≠ sono le barriere di attivazione relative rispettivamente alle reazioni A → B ed A → C. Se nessuna di queste due reazioni è reversibile, il prodotto C si deve ottenere in quantità preponderante dato 12 che si forma più velocemente. Questa situazione si modifica radicalmente se le reazioni in oggetto sono reversibili e può quindi essere raggiunto un equilibrio. In questa evenienza si possono distinguere due casi. Nel primo, che prevede l’interruzione della reazione prima che venga raggiunto l’equilibrio, la reazione è sotto il controllo cinetico e si ottiene preferenzialmente il prodotto C che si forma più velocemente. Questo prodotto è detto cineticamente controllato. Se invece si lascia procedere la reazione fino al raggiungimento dell’equilibrio si ha la formazione predominante del prodotto B termodinamicamente più stabile. In queste condizioni infatti il prodotto cinetico C è libero di equilibrare tornando al reagente A mentre il prodotto B, detto termodinamicamente controllato, deve superare una barriera energetica più alta per poter riequilibrare ad A. G ∆GB ∆GC Α C Β coordinata di reazione Figura 1.13. Profilo energetico che illustra il controllo cinetico e termodinamico per una reazione competitiva B ← A → C. Si può anche verificare il caso in cui il prodotto termodinamico B sia anche quello che si forma più velocemente (∆GB≠ < ∆GC≠). Per questa evenienza, il cui profilo energetico è illustrato nella Figura 1.14, si ha la formazione largamente preponderante di B. G ∆GC ∆GB Α C Β coordinata di reazione Figura 1.14. Profilo energetico che illustra il controllo cinetico e termodinamico per una reazione in cui il prodotto termodinamico B è anche quello che si forma più velocemente. 13 Esistono numerosissime reazioni organiche per le quali si può utilmente impiegare il concetto di controllo cinetico o termodinamico. Un esempio particolarmente interessante per via delle notevoli implicazioni sintetiche riguarda la formazione di enolati per trattamento basico dei chetoni corrispondenti. Il 2-metilcicloesanone può dare luogo alla formazione competitiva di due enolati isomeri. La deprotonazione nella posizione 6 dell’anello cicloesanico avviene velocemente e porta alla formazione dell’enolato cinetico meno sostituito. Ciò è dovuto alla accessibilità dei protoni metilenici, cioè al fatto che i protoni in questa posizione non sono stericamente ingombrati. Contemporaneamente la deprotonazione nella posizione 2 dell’anello comporta la formazione dell’enolato più sostituito e quindi termodinamicamente più stabile. Interrompendo la reazione prima del raggiungimento dell’equilibrio, ovvero operando a temperatura relativamente bassa, si ha la formazione preponderante dell’enolato cinetico mentre a temperature superiori o a tempi più lunghi si osserva la formazione dell’enolato termodinamico. O enolato cinetico O O enolato termodinamico 1.3.5 Principio di Curtin-Hammett Con il principio di Curtin-Hammett si spiega la distribuzione di prodotti che si osserva in una reazione che decorre attraverso due o più reazioni competitive. Nella sua forma più semplice ed intuitiva questo principio sancisce che il rapporto tra i prodotti di una reazione è determinato solo dall’entità delle barriere energetiche di attivazione che conducono ai rispettivi prodotti. Quale corollario molto importante segue che il rapporto tra i prodotti di reazione non dipende dalla formazione di specie isomeriche, conformeri o veri e propri intemedi formati prima degli stati di transizione. Si consideri a questo proposito una reazione che, partendo da un dato reagente, può condurre a due intermedi I1 ed I2 in equilibrio tra loro (Figura 1.15). Questi intermedi possono equilibrare tra loro poiché la barriera energetica di interconversione è piuttosto piccola. Una condizione che dev’essere necessariamente rispettata è che questa barriera di interconversione sia assai minore di quelle che conducono ai prodotti P1 e P2. Nel caso in questione la via che conduce al prodotto P1 deriva dall’intermedio I1, che è più stabile di I2. Ma per quest’ultimo intermedio la barriera energetica di attivazione che lo separa dal corrispondente prodotto P2 è più bassa di quella che caratterizza la trasformazione I1 → P1. Ci si deve dunque attendere che il prodotto maggioritario della reazione sia P2 il linea con l’assunto che 14 il risultato della reazione dipende solo dall’entità delle barriere di attivazione reagenti → prodotti e non dalla stabilità relativa degli intermedi di reazione. G I2 I1 P1 P2 coordinata di reazione Figura 1.15. Profilo energetico che illustra il controllo cinetico e termodinamico per una reazione in cui il prodotto termodinamico P2 è anche quello che si forma più velocemente. 1.3.6 Principio di reattività-selettività Uno dei primi principi che si incontrano nello studio della chimica organica è quello relativo alla relazione tra reattività e selettività, laddove specie reattive sono ritentue meno selettive di specie più stabili. Questa relazione inversa tra reattività e selettività ha il pregio di essere intuitiva ed è infatti utilizzata molto diffusamente. Moltissime reazioni organiche obbediscono al principio di reattività-selettività, basti pensare all’alogenazione radicalica degli alcani o alla chimica dei carbeni. La selettività mostrata nella bromurazione del 2-metilbutano è più alta di quella dell’analoga reazione di clorurazione, come mostrato dal seguente Schema e in accordo con la maggior stabilità (minor reattività) del radicale Br• rispetto a Cl•. Br2 Br + Br + ∆ + Br Br 90.4% Cl2 Cl 9% + Cl + ∆ 0.34% 0.17% + Cl Cl 28% 35% 15 24% 12% In un ulteriore esempio, che riguarda la reattività dei carbeni con olefine, il metilene è in grado di discriminare molto meno del difluorocarbene meno reattivo. Tuttavia, a dispetto della sua immediatezza, il principio di reattività-selettività è tutt’altro che generale poiché esistono numerosissimi esempi nei quali si manifesta un comportamento opposto a quello atteso. A titolo di esempio si consideri la reazione di addizione coniugata su metilenechinoni ad opera di carbanioni. Il carbanione più reattivo tra quelli esaminati, cioè il nitroetilene, è anche quello che esprime la maggior selettività. NO2 O COOEt O Ar EtOOC COOEt O O O O In questo caso la mancanza di correlazione inversa tra reattività e selettività è stata imputata a diversi fattori quali la solvatazione o l’ingombro sterico, che sarebbero in grado di modificare la reattività intrinseca delle specie reattive. In effetti le richieste steriche dell’anione del dimedone sono molto diverse e superiori a quelle dell’anione del nitroetano. E’ comunque opportuno constatare che il principio di reattività-selettività è empirico e in quanto tale si può prestare a violazioni di vario tipo. Inoltre i modelli teorici che nel corso del tempo sono stati utilizzati per inquadrare il principio di reattivitàselettività si basano essenzialmente sul principio di Bell-Evans Polanyi e in quanto tali sono di gran lunga troppo semplificati per rendere conto della molteplicità delle interazioni realmente operanti in una reazione organica. 1.4 Bibliografia Tra i numerosi testi a carattere generale che trattano la chimica organica fisica si segnalano qui i più recenti e completi, la cui lettura costituisce sempre un utilissimo approfondimento. Esistono diverse tipologie di questi libri di testo a secondo che il loro orientamento sia di tipo chimico-organico o chimico-fisico. Fra i libri progettati per un corso annuale caratterizzati da un orientamento di tipo chimico-organico, ovvero che dedicano la maggior parte dello spazio alla discussione delle reazioni organiche dal punto di vista meccanicistico, si segnalano i seguenti testi: 1. 2. 3. N. S. Isaacs Physical Organic Chemistry Longman, Harlow, 1995. E. V. Anslyn, D. A. Dougherty Modern Physical Organic Chemistry University Science Book, Sansalito, 2006. F. A. Carroll Perspectives and Structure and Mechanism in Organic Chemistry Brooks Cole, 1995. 16 Un libro ormai classico, sebbene un pò datato, è il seguente 4. R.W. Alder, R. Baker, J. M. Brown Meccanismi di Reazione della Chimica Organica Piccin, Padova, 1976. Buoni esempi di libri con orientamento chimico-fisico sono: 5. 6. K. B. Wiberg Physical Organic Chemistry John Wiley & Sons, New York, 1964. C. D. Ritchie Physical Organic Chemistry Marcel Dekker, New York, 1990. 17 2 ELEMENTI DI CINETICA CHIMICA ____________________________________________________________________ 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7 2.8 2.9 2.10 Introduzione Definizioni fondamentali Equazioni cinetiche Metodi sperimentali Dipendenza della velocità dalla temperatura Dipendenza della velocità dalla pressione Reazioni intramolecolari Cinetica chimica applicata ad alcune reazioni organiche Problemi Bibliografia 18 18 20 34 38 45 50 55 63 65 2.1 Introduzione La cinetica chimica si occupa di determinare sperimentalmente la variazione di concentrazione di reagenti e/o prodotti che si verifica in una reazione chimica nell’unità di tempo. Queste determinazioni si realizzano previa la conoscenza di alcuni concetti fondamentali quali la velocità di una reazione chimica, l’ordine cinetico della reazione e la sua molecolarità. La caratteristica più interessante legata alla misura della velocità di reazione è la possibilità di trarre informazioni utili nella definizione del meccanismo della reazione in questione. Si possono infatti individuare quali molecole interagiscono nello stadio lento della reazione, il che è essenziale per chiarire la dinamica dell’intero processo, oppure determinare grandezze d’interesse fondamentale quali i parametri di attivazione. 2.2 Definizioni fondamentali Per una generica reazione chimica A+B→C+D si definisce velocità di reazione la grandezza espressa dall’equazione 2.1, dove con [A], [B] e [C], [D] si indicano rispettivamente le concentrazioni dei reagenti e dei prodotti. Il segno meno davanti ai rapporti che si riferiscono ai reagenti significa che 18 la loro concentrazione diminuisce al procedere della reazione; viceversa nel caso dei prodotti è ovvio l’andamento opposto, che implica un incremento della loro concentrazione al procedere della reazione. v=− d[A ] d[B] d[C] d[D] =− = = dt dt dt dt equazione 2.1 E’ bene puntualizzare che la velocità di reazione è una grandezza dimensionale. Qualora le concentrazioni delle specie presenti nella miscela di reazione siano espresse in termini di molarità, le dimensioni di v risultano mole l-1 s-1. Utilizzando altre definizioni per la concentrazione (formalità, molalità, ecc.) le unità di misura di v dovranno variare di conseguenza ma, indipendentemente dal metodo impiegato per designare la concentrazione delle specie presenti, il significato fisico delle dimensioni relative alla velocità di reazione resta invariato. La dipendenza della velocità di reazione dalla concentrazione iniziale dei reagenti determina la legge cinetica della reazione. Per la generica reazione tra le specie A e B menzionata sopra, i dati sperimentali permettono di ottenere l’equazione 2.2 nella quale k è la costante di velocità ed m,n sono i coefficienti con cui compaiono le concentrazioni dei reagenti. v = k[A]m [B]n equazione 2.2 Anche k è una grandezza dimensionale ed il suo significato fisico verrà discusso caso per caso, variando a secondo dell’ordine della reazione. A questo punto è naturale eguagliare le equazioni 2.1 e 2.2 ottenendo la seguente relazione. v=− d[A ] d[B] d[C] d[D] =− = = = k[A ]m [B]n dt dt dt dt Gli esponenti m ed n sono definiti come ordini di reazione dei reagenti, mentre la somma m + n determina l’ordine globale della reazione. Dall’esame dalla generica reazione chimica finora utilizzata è chiaro che gli ordini di reazione non hanno nulla a che vedere con i coefficienti stechiometrici che compaiono nella medesima reazione. E’ bene insistere sul fatto che la determinazione degli ordini di reazione viene eseguita attraverso una serie di misure sperimentali, alcune delle quali saranno brevemente illustrate attraverso opportuni esempi nel paragrafo 2.4. Di diversa natura è la molecolarità di una reazione chimica, che è definita come il numero di molecole reagenti che prendono parte ad una sola reazione elementare consistente in un unico passaggio. La maggior parte delle reazioni elementari hanno molecolarità pari ad uno o a due, sebbene esistano rare reazioni nelle quali tre molecole collidono simultaneamente dando luogo ad una molecolarità pari a tre. Dalla definizione data per la molecolarità di una reazione risulta chiaro che essa è definita solo per reazioni elementari. Per processi costituiti da più stadi non si può parlare di molecolarità globale, ma solo della molecolarità relativa ad ogni singolo stadio. 19 Il seguente esempio, che riguarda la decomposizione termica del pentossido di diazoto, si presta bene a chiarire la differenza tra ordine e molecolarità di una reazione chimica. L’equazione stechiometrica della reazione è 2 N2O5 → 4 NO2 + O2 che dice poco o nulla sul suo meccanismo. In effetti l’intero processo è più complicato di quanto possa apparire da questa semplice relazione stechiometrica. Da misurazioni cinetiche si deduce la seguente legge di velocità d[O2] = k[ N 2 O 5 ] dt cioè la reazione è del primo ordine. Raccogliendo ulteriori evidenze sperimentali è poi stato possibile mettere in luce il seguente meccanismo a tre passaggi N2O5 → NO2 + NO3• NO2 + NO3• → NO2 + NO + O2 NO + NO3• → 2 NO2 (veloce) (lento) (veloce) nel quale il secondo passaggio è quello lento, che controlla la velocità complessiva della reazione. La molecolarità di questo passaggio è due, dato che la reazione elementare che lo caratterizza avviene per collisione tra una molecola di NO2 ed una del radicale NO3•. Riassumendo per il caso in questione, una reazione dalla stechiometria semplice risulta caratterizzata da un meccanismo a stadi piuttosto complesso, è del primo ordine ed è bimolecolare. 2.3 Equazioni cinetiche Lo scopo di questo paragrafo è quello di fungere da introduzione all’argomento dell’integrazione di alcune equazioni cinetiche e di illustrarne le applicazioni in chimica organica, laddove esse risultino particolarmente interessanti. Poiché il campo relativo all’integrazione delle equazioni cinetiche è vasto e sovente complesso, ci si limiterà all’esposizione dei casi più semplici o più comuni evitando nel contempo dimostrazioni matematiche dettagliate. 2.3.1 Reazioni del primo ordine Se dallo studio sperimentale della reazione A → prodotti si ricava una dipendenza della velocità proporzionale alla prima potenza del solo reagente A, l’equazione cinetica assume la forma 20 v=− d[A] = k[A] dt L’integrazione di questa semplice equazione differenziale a variabili separabili è immediata. Ponendo [A]0 come la concentrazione del reagente al tempo t = 0 si ottiene [ A ]0 log = kt equazione 2.3 [A] Questa forma logaritmica dell’equazione cinetica non è altro che una retta passante per l’origine degli assi cartesiani il cui coefficiente angolare è la costante di velocità k (Figura 2.1), che in questo caso ha le dimensioni di una frequenza (s-1). log [A]0 [A] α tan α = k t Figura 2.1. Rappresentazione grafica dell’equazione integrata in forma logaritmica per una cinetica del primo ordine. E’ utile esprimere l’equazione cinetica integrata nella seguente forma esponenziale. [A] = e −kt [A]0 Quest’ultima espressione indica che la frazione di A non ancora reagita al tempo t decresce esponenzialmente all’aumentare di t, come mostrato nella Figura 2.2. [A] 1 [A]0 t Figura 2.2. Dipendenza esponenziale del rapporto [A]/[A]0 in funzione di t. 21 Una volta nota la costante di velocità, la forma integrata dell’equazione cinetica del primo ordine permette di ricavare in modo assai semplice il tempo che occorre affinché reagisca una certo ammontare del reagente A. E’ uso comune procedere al calcolo del tempo di semitrasformazione, definito come tempo necessario affiché la concentrazione del reagente A diventi la metà di [A]0. Si procede semplicemente sostituendo [A]0 con 2[A] nell’equazione 2.3 in modo che quest’ultima diventi t½ = log 2/k = 0.693/k dove t½ è indipendente da [A]0 e rappresenta dunque il tempo di dimezzamento di una qualsiasi concentrazione di A. Come esempio tipico di una reazione del primo ordine si consideri l’idrolisi del cloruro di t-butile in acido formico. La velocità della reazione dipende solo dalla concentrazione del cloruro di t-butile e non da quella dell’acqua. − t-BuCl + H2O→ t-BuOH + HCl d[tBuCl] = k1[tBuCl] dt Lo stesso comportamento cinetico è operante per la solvolisi della maggior parte degli alogenuri alchilici terziari condotta in etanolo acquoso od altri solventi. Una reazione del primo ordine che procede con meccanismo completamente diverso dalle solvolisi è la decomposizione termica del bis-t-butil perossido, che è stata studiata in fase vapore a 150°C. t-Bu-O-O-t-Bu → 2Me2C=O + C2H6 − d[tBu 2 O 2 ] = k1[tBu 2 O 2 ] dt 2.3.2 Reazioni di ordine zero Si verifica questa eventualità quando la la velocità di reazione del reagente A è costante nel tempo, ovvero quando l’equazione cinetica assume la forma v=− d[A ] =k dt la cui integrazione dà subito [A]0 - [A] = kt dove k ha le dimensioni mol l-1 s-1. Dal punto di vista pratico, la stessa espressione si ottiene anche da cinetiche di ordine diverso da zero se la concentrazione di A è abbastanza grande da poter essere ritenuta costante durante il corso della reazione senza commettere un errore significativo. In questi casi si parla di reazioni di pseudo ordine zero. 22 L’esistenza di reazioni di ordine zero mette in evidenza la già discussa indipendenza dei concetti di ordine e molecolarità. L’ordine di reazione rispetto ad un reagente non può indicare il numero di molecole che prendono parte ad una reazione elementare in un singolo stadio perché se così fosse si avrebbe l’assurdo che per reazioni di ordine zero il reagente, che pure deve trasformarsi in prodotto, non prende parte alla reazione elementare. La stessa considerazione si applica, naturalmente, in tutti quei casi in cui l’integrazione dell’equazione cinetica dà luogo ad ordini di reazione frazionari. 2.3.3 Reazioni del secondo ordine Per quanto riguarda le cinetiche del secondo ordine, si possono distinguere due casi a secondo del tipo di reazione preso in esame. Considerando la generica reazione 2A → prodotti la corrispondente equazione cinetica assume la forma v=− d[A] = k[A] 2 dt che per integrazione dà come risultato l’equazione 2.4 −∫ − d[A] [A]2 = k ∫ dt 1 1 = kt + [ A ]0 [A]t equazione 2.4 dove [A]t è la concentrazione del reagente al tempo t e [A]0 è la sua concentrazione iniziale. L’equazione 2.4 è quella di una retta avente intercetta 1/[A]0 e pendenza k, come mostrato dalla Figura 2.3. _ 1 [A]t α intercetta = tan α = k 1 [A]0 t Figura 2.3. Rappresentazione grafica dell’equazione 2.4. 23 Quale secondo caso si consideri la generica reazione A + B → prodotti dove essa mostri un andamento del primo ordine rispetto ad ognuno dei reagenti A e B, ovvero una cinetica del secondo ordine complessivo. L’equazione generale è del tipo v=− d[A] = k[A] [B] dt Posto che A e B reagiscano mole a mole, la sua integrazione dà come risultato [A]0 [B] 1 log = kt [B]0 − [A ]0 [B]0 [A] che è l’equazione di una retta passante per l’origine degli assi cartesiani con pendenza k([B]0 - [A]0). Le dimensioni della costante di velocità per una reazione del secondo ordine, che si ricavano facilmente dalla forma integrata delle equazioni cinetiche, sono concentrazione-1 tempo-1 ossia, nel caso la concentrazione sia espressa in termini di molarità, k ≡ l mol-1 s-1. Un gran numero di sostituzioni nucleofile di alogenuri alchilici primari procede attraverso una cinetica del secondo ordine. Ne è un esempio la reazione tra il bromuro di metile e l’idrossianione, la cui velocità dipende sia dalla concentrazione del bromuro alchilico che da quella dell’idrossianione. MeBr + OH¯ → MeOH + Br¯ − d[MeBr] = k 2 [MeBr][OH - ] dt Lo stesso schema cinetico è seguito da una reazione del tutto diversa come la iodurazione dell’acetone in ambiente basico, che costituisce il primo passaggio del saggio di riconoscimento di metilchetoni. O + I2 − O _ OH I + H2O + I _ d[acetone] = k 2 [acetone][OH - ] dt Quale esempio di reazioni del secondo ordine in uno solo dei reagenti è opportuno considarare la cicloaddizione secondo Diels-Alder del ciclopentadiene. Di fatto si tratta della dimerizzazione del reagente promossa termicamente. 24 ∆ 2 − d[C 5 H 6 ] = k 2 [C 5 H 6 ] 2 dt 2.3.4 Reazioni in serie Quello delle reazioni in serie o consecutive è un caso molto importante in vista delle sue numerose applicazioni in chimica organica, specialmente nel campo delle reazioni di polimerizzazione. Lo schema generale si può scrivere k1 A B k2 C dove con B si designa un prodotto intermedio. Le equazioni cinetiche sono − d[A ] = k1[A ]; dt d[B] = k1[A] − k 2 [B]; dt d[C] = k 2 [B] dt Dal punto di vista grafico, il diagramma che esprime la concentrazione delle tre specie A, B, C in funzione del tempo ha l’aspetto descritto dalla Figura 2.4. La curva relativa all’andamento della concentrazione in funzione del tempo per il reagente A deve avere un andamento esponenziale tendente a zero, mentre la curva di concentrazione relativa al prodotto C mostra un andamento crescente che si approssima alla concentrazione massima che il prodotto C raggiunge a fine reazione. La curva che descrive la concentrazione dell’intermedio B in funzione del tempo mostra invece un massimo la cui altezza aumenta all’aumentare del rapporto k1/k2. conc. [C] [A] [B] t Figura 2.4. Rappresentazione grafica di una reazione in serie. Dalle equazioni cinetiche si ricava [A] = [A]0 exp(-k1t) 25 da cui d[B] = k1[A]0 exp(−k1t ) − k 2 [B] dt L’integrazione di quest’ultima espressione dà, dopo vari passaggi, l’equazione 2.5. [ C] = [ A ] 0 − k1[A]0 [exp(−k1t ) − exp(k 2 t )] k 2 − k1 equazione 2.5 Nel caso sia k1 >> k2 si può ritenere che exp(-k1t)≅ 0, e l’equazione 2.5 si riduce a [C] ≅ [A ]0 [1 − exp(k 2 t )] ovvero un’equazione cinetica del primo ordine relativa allo stadio più lento, cioè determinato dal valore di k2. In altre parole, poiché lo stadio più veloce non compare nell’equazione cinetica, l’andamento di una reazione consecutiva che rispetti le condizioni sopra imposte dipende esclusivamente dal passaggio lento dell’intero processo. Dal punto di vista pratico risulta interessante prendere in considerazione lo schema di una reazione in serie caratterizzata da un primo stadio veloce e reversibile (preequilibrio), poiché questo è il caso di numerose reazioni organiche. Come primo esempio si consideri la condensazione benzoinica della benzaldeide, il cui schema cinetico è così riassunto. Ph OH _ PhCHO + CN + PhCHO Ph k2 CN Ph O CN OH Il primo stadio di questa trasformazione implica un veloce equilibrio caratterizzato dalla costante K mentre il secondo stadio, più lento, determina la velocità della reazione complessiva. Si può quindi scrivere OH Ph K= OH CN PhCHO _ CN v = k2 PhCHO Ph CN Dall’espressione della costante di equilibrio si ricava OH Ph _ = K PhCHO CN CN 26 che per sostituzione nell’equazione cinetica dà un’espressione del terzo ordine complessivo: del secondo ordine rispetto alla benzaldeide e del primo ordine rispetto all’anione cianuro. v = k2 K PhCHO 2 _ CN Un trattamento del tutto analogo si applica per il trattamento basico del 2-cloro etanolo che dà luogo alla formazione dell’ossido di etilene. In questo caso la reazione è complessivamente del secondo ordine. Cl _ OH + OH k1 O Cl O + Cl _ O Cl K= OH Cl v = k1 Cl _ OH OH v = k1K Cl O _ OH 2.3.5 Ipotesi dello stato stazionario Nel caso delle reazioni consecutive non si è fatta alcuna ipotesi né sulla natura né sulla reattività dell’intermedio B. Tuttavia nella chimica organica è prassi comune riferirsi ad un intermedio di reazione quale entità assai reattiva la cui presenza, a volte, non è neppure rivelabile. A patto che l’intermedio di reazione soddisfi la caratteristica di essere estremamente reattivo, è ragionevole supporre che la sua concentrazione debba essere sempre molto bassa durante lo svolgersi della reazione anche per tempi piuttosto lunghi. Ciò implica che il rapporto d[B]/dt si possa ritenere nullo nell’arco di tempo considerato. Dato dunque lo schema cinetico A k1 B k- 1 k2 C si può scrivere − d[B] = k 2 [B] − k1[A] + k −1[B] ≅ 0 dt che esprime l’ipotesi dello stato stazionario. A questo punto, poiché d[C] = k 2 [B] dt e [B] = 27 k1 [A ] k 2 + k −1 si ha kk d[C] = 1 2 [A] dt k 2 + k −1 equazione 2.6 Ma nell’ipotesi che B sia un intermedio reattivo si può correttamente porre k2 >> k-1, il che significa che il primo stadio dello schema cinetico è quello lento. L’equazione 2.6 si riduce allora a d[C] = k1[A] dt che esprime una semplice cinetica del primo ordine. Un esempio interessante che illustra in modo esauriente l’ipotesi dello stato stazionario è dato dall’idrolisi del cloruro di benzidrile in acetone acquoso. Lo schema meccanicistico della reazione e la corrispondente equazione cinetica sono illustrati di seguito. Ph2CHCl v= k1 k-1 _ Ph2CH + Cl k1k2[Ph2CHCl] _ k2 + k-1 [Cl ] = k2 H2O Ph2CHOH + HCl k1[Ph2CHCl] _ 1+ k-1 [Cl ] k2 Prima di tutto si deve notare che al denominatore dell’equazione cinetica compare la concentrazione dell’anione cloruro. Ciò implica che un aumento della sua concentrazione rallenta la velocità della reazione, cioè se all’inizio della reazione viene deliberatamente aggiunto ione cloruro in eccesso (per esempio KCl) si osserva una diminuzione della velocità di reazione. Nel caso non venga aggiunto ione cloruro in eccesso, nelle fasi iniziali della reazione la sua concentrazione si può ritenere abbastanza piccola da poter essere trascurata. Il secondo termine del denominatore dell’equazione cinetica si può allora ritenere nullo. La cinetica complessiva diventa del primo ordine e la corrispondente equazione assume la consueta forma v = k1[Ph2CHCl] 2.3.6 Reazioni parallele Si ha una reazione parallela quando un reagente può sottostare contemporaneamente a differenti cammini di reazione ciascuno dei quali conduce ad un prodotto differente. Lo schema generale di una reazione parallela si può scrivere come segue. 28 k1 B k2 A C k3 D La velocità di scomparsa del reagente A è data da - d[A ] = (k1 + k 2 + k 3 )[A] = k[A ] dt equazione 2.7 dove con k = k1 + k2 + k3 si indica la costante di velocità globale. L’equazione 2.7 si integra quindi come una semplice equazione del primo ordine ottenendo [A] = [A]0 exp(-kt) equazione 2.8 Per quanto riguarda il prodotto B si può scrivere d[B] = k1[A] dt ovvero d[B] = k1[A]dt e dato che per l’equazione 2.7 deve essere [A]dt = -d[A]/k si ottiene d[B] = − k1 d[A ] k L’integrazione di quest’ultima equazione è immediata e dà [B] - [B]0 = − k1 ([A ] − [A ]0 ) k nella quale, sostituendo l’equazione 2.8, si ha infine [B] = [B]0 + k1 [A ]0 [1 − exp(− kt )] k Per i prodotti C e D si procede in modo del tutto analogo. 2.3.7 Cinetiche enzimatiche E’ noto che gli enzimi sono molecole proteiche in grado di esplicare una spiccata attività catalitica nei confronti di un gran numero di reazioni chimiche. L'attività degli enzimi è determinata dalla loro struttura quaternaria, ovvero dalla loro conformazione tridimensionale. La maggior parte degli enzimi presenta una notevole specificità per 29 una certa reazione mostrando spesso livelli elevatissimi di chemo-, regio- e stereoselettività. Esistono anche alcuni enzimi caratterizzati da una specificità minore che agiscono su un numero relativamente ampio di substrati. Dal punto di vista cinetico lo schema generale di una reazione enzimatica si può scrivere E + S k1 k-1 ES k2 E + P k-2 dove con E, S, P si indicano rispettivamente l’enzima, il substrato ed il prodotto. L’intermedio ES è detto complesso enzima-substrato. Va subito detto che la reazione inversa dal prodotto al complesso ES è di solito estrememente lenta e quindi k-2 si può trascurare nell’equazione cinetica che diventa d[ES] = k1[E ][S] − k −1[ES] − k 2 [ES] dt Applicando l’ipotesi dello stato stazionario si può scrivere k1[E ][S] − k −1[ES] − k 2 [ES] = 0 ovvero [ES] = k1[E][S] [E ][S] = k −1 + k 2 Km equazione 2.9 dove con Km = (k-1 + k2)/k1 si indica la costante di Michaelis. L’equazione 2.9 non è utile ai fini della descrizione cinetica della reazione enzima-substrato poiché non è nota la concentrazione [E] dell’enzima al tempo t. Viceversa è nota la concentrazione [E]0 dell’enzima all’inizio della reazione, ed essendo [E]0 = [E] + [ES] l’equazione 2.9 si può riscrivere come [ES] = [E ]0 [S] K m + [S] A questo punto la velocità della reazione enzima-substrato si può scrivere v=− k [E] [S] d[S] = k 2 [ES] = 2 0 dt K m + [S] equazione 2.10 che prende il nome di equazione di Michaelis-Menten. 30 Dal punto di vista pratico risulta utile esprimere la velocità V definita come velocità massima che si ha quando [S] >> Km, cioè V = k2[E]0. L’equazione 2.10 si può quindi scrivere nella forma v= V [S] K m + [S] equazione 2.11 Quest’ultima equazione rappresenta un ramo d’iperbole che ha V come asintoto e per cui, quando Km = [S] si ha v = V/2 (Figura 2.5). v V V/2 [S] Km Figura 2.5. Rappresentazione grafica dell’equazione di Michaelis-Menten nella forma 2.11. Con semplici manipolazioni algebriche è possibile ridurre l’equazione 2.11 in forma lineare, più comoda per la rappresentazione ed il trattamento dei dati. Le tre rappresentazioni lineari più usate dell’equazione 2.11 sono le seguenti. 1 Km 1 1 = + v V [S] V v=− v Km +V [S] [S] K m 1 = + [S] v V V equazione di Lineweawer-Burk equazione di Eadie equazione di Dixon Particolare interesse rivestono i cosiddetti sistemi di inibizione enzimatica. Col termine inibitore enzimatico si designa ogni sostanza in grado di ridurre la velocità di una reazione enzimatica. Gli enzimologi classificano le inibizioni enzimatiche in tre categorie principali: l’inibizione competitiva, l’inibizione non-competitiva e l’inibizione incompetitiva. Un inibitore competitivo è una sostanza che si lega all’enzima libero, impedendo o limitando la formazione del complesso enzima-substrato. Per chiarire quest’ultima 31 frase è utile ricorrere ad un esempio pratico. E’ noto che l’enzima succinico deidrogenasi catalizza la reazione acido succinico → acido fumarico. Introducendo nel sistema di reazione una piccola quantità di acido malonico, quest’ultimo si lega al sito attivo dell’enzima ma non può poi venire ossidato avendo un solo gruppo metilenico. O HO HO OH O OH O O succinico deidrogenasi O HO OH O Lo schema cinetico di una reazione enzimatica condotta in presenza di un inibitore competitivo si può scrivere E + S + I KS ES k2 E + P KI EI dove con KS e KI si indicano le costanti di equilibrio riferite rispettivamente agli intermedi ES ed EI. La relazione che esprime la velocità di una reazione enzimatica soggetta ad inibizione competitiva è v= V [S] [I] K S (1 + ) + [S] KI Si noti l’analogia formale con l’equazione 2.11, dove al posto della costante di Michaelis compare il termine KS(1 + [I]/KI) detto costante di Michaelis apparente (Kmapp). Il significato di questa modifica all’equazione 2.11 è che necessita una maggior concentrazione di [S] per raggiungere la stessa V che si avrebbe in assenza dell’inibitore. L’effetto di un inibitore competitivo sulla cinetica di una reazione enzimatica si descrive facilmente utilizzando la trasformazione lineare di Lineweawer-Burk riportata nella Figura 2.6 (diagramma dei reciproci). 32 enzima con inibitore 1/v 1/V enzima senza inibitore -1/Km 1/[S] -1/Kmapp Figura 2.6. Rappresentazione grafica di una reazione enzimatica in presenza di un inibitore competitivo. In un sistema caratterizzato da inibizione non competitiva l’inibitore non ha effetto sul legame E-S, ed il substrato non ha effetto sul legame E-I. Ciò accade perché sia S che I si legano all’enzima in siti differenti. L’espressione della velocità di reazione per una reazione enzimatica in presenza di inibitore non competitivo è V [S] [ I] 1+ KI v= K S + [S] ed il diagramma dei reciproci ha il tipico andamento mostrato nella Figura 2.7. enzima con inibitore 1/v 1/V enzima senza inibitore -1/Km 1/[S] Figura 2.7. Rappresentazione grafica di una reazione enzimatica in presenza di un inibitore non competitivo. Per concludere si consideri il caso dell’inibizione incompetitiva. Un inibitore incompetitivo è una sostanza che si lega reversibilmente al complesso enzimasubstrato dando origine al complesso inattivo enzima-substrato-inibitore. Anche in questo caso si può dedurre l’espressione della velocità di reazione per una reazione enzimatica in presenza di inibitore incompetitivo, che è 33 V [S] [ I] 1+ KI v= Ks + [S] [I] 1+ KI Un inibitore incompetitivo si riconosce facilmente nel diagramma dei reciproci per via della presenza di rette parallele. 1/v enzima con inibitore 1/V enzima senza inibitore -1/Km 1/[S] Figura 2.8. Rappresentazione grafica di una reazione enzimatica in presenza di un inibitore incompetitivo. 2.4 Metodi sperimentali La determinazione dell’equazione cinetica e degli ordini di reazione inerenti ad una reazione chimica vengono sempre effettuate sperimentalmente. E’ quindi opportuno soffermarsi brevemente su alcune tecniche sperimentali utilizzate nell’ambito della cinetica chimica pratica. Essenzialmente le misure cinetiche sono successioni di analisi quantitative che vengono effettuate a tempi diversi sulla miscela di reazione. Il sistema reattivo dev’essere controllato strettamente sia per quanto riguarda l’ambiente di reazione che per la temperatura, il che significa condurre le reazioni in ambienti chiusi di materiale inerte (in genere è sufficiente operare in palloni di vetro) e termostatati. Le analisi che si effettuano su un sistema reattivo a scopo cinetico si raggruppano in due categorie a secondo dei metodi impiegati. Si hanno metodi chimici che consistono essenzialmente nella titolazione di un’aliquota della miscela di reazione. Il vantaggio dei metodi chimici è che si tratta di misure dirette, nel senso che forniscono il dato cinetico solo sulla base della stechiometria della reazione. Gli svantaggi sono legati alla relativa laboriosità dell’analisi ed al fatto che si deve realizzare l’arresto della reazione sull’aliquota da prelevare. Infine i tempi necessari per l’analisi non sono sempre trascurabili rispetto al tempo di reazione. Si hanno poi svariati metodi fisici o strumentali classificabili a secondo del metodo di indagine prescelto: 34 - spettroscopici (IR, UV, NMR), - elettrochimici (misure di conduttanza), - polarimetrici (se coinvolti reagenti o prodotti dotati di attività ottica). I metodi fisici presentano il vantaggio di essere di rapida esecuzione e non alterare il sistema di reazione. Gli svantaggi sono legati al fatto che si basano su leggi che si è costretti ad adottare con una qualche approssimazione, il che può ingenerare errori sistematici. Va però detto che le moderne tecniche computerizzate riducono al minimo l’incidenza di errori sistematici. Alcuni esempi specifici sono riassunti nelle seguenti sezioni. 2.4.1 Metodi spettroscopici La cinetica dell’esterificazione acido catalizzata dell’acido dicloroacetico ad opera del metanolo in CCl4 si presta ad essere studiata tramite spettroscopia NMR confrontando l’integrale delle linee di risonanza protonica Ialc del metile dell’alcol e Iest del metile dell’estere in funzione del tempo. La reazione Cl2CHCOOH + MeOH → Cl2CHCOOMe + H2O mostra una cinetica del secondo ordine v = koss[Cl2CHCOOH][MeOH] dalla quale si ricava l’equazione integrata k oss t = 1 Iest [Cl 2 CHCOOH]0 Ialc che è l’equazione di una retta passante per l’origine degli assi il cui coefficiente angolare è la costante di velocità koss. La spettroscopia IR può essere impiegata con successo nella determinazione delle costanti di velocità ammesso che reagenti o prodotti presentino almeno una banda di assorbimento facilmente misurabile in maniera quantitativa. E’ questo il caso della cicloaddizione intramolecolare di un’azide funzionalizzata a dare il corrispondente tetrazolo. N N N3 O N N O N L’intensità della banda corrispondente allo stiramento asimmetrico del gruppo azidico (2120 cm-1) è particolarmente intensa e si presta ad essere misurata 35 periodicamente durante il corso della reazione. Si valuta quindi in modo quantitativo il decremento di questa banda di assorbimento della specie reagente. L’equazione cinetica che si ricava è del primo ordine essendo log A = -kt dove con A si indica l’assorbanza della banda caratteristica del gruppo azidico. La misura periodica e quantitativa dell’assorbanza di bande caratteristiche è utile anche nel caso della determinazione delle costanti cinetiche tramite le spettroscopie nel visibile o nell’UV. La bromurazione dell’acetone in ambiente acido O + Br2 H3O+ O Br + HBr decorre con una cinetica del secondo ordine complessivo, − d[Br2 ] = k oss [acetone][H 3 O + ] dt e può essere seguita attraverso la decolorazione, cioè la variazione di assorbanza nel visibile, della miscela di reazione alla scomparsa dell’alogeno. Poiché si opera in modo che la concentrazione del bromo sia sempre assai inferiore rispetto a quella dell’acetone e dell’acido, le concentrazioni di queste ultime due specie si possono ritenere costanti e l’equazione cinetica si semplifica in un’equazione di pseudo ordine zero. d[Br2 ] = k' dt La variazione di concentrazione del bromo si ricava dalla variazione di assorbanza utilizzando la legge di Lambert-Beer A = εcl dove c = [Br2] 2.4.2 Metodi elettrochimici I metodi elettrochimici di analisi si possono impiegare nelle determinazioni cinetiche qualora si abbia una variazione di una qualche proprietà elettrica della miscela di reazione nel corso del tempo. E’ questo il caso, ad esempio, dell’idrolisi alcalina di un estere carbossilico. RCOOR’ + OH¯ → RCOO¯ + R’OH La conduttanza di queste reazioni è variabile nel tempo in quanto la scomparsa dell’idrossianione è accompagnata dalla comparsa di un anione carbossilato, che ha una conducibilità assai minore dell’idrossianione. La legge cinetica è del secondo ordine. 36 − d[estere] d[OH - ] =− = k 2 [estere][OH - ] dt dt Indicando con x le moli reagite al tempo t e tenendo presente che l’estere e l’idrossianione reagiscono mole a mole, si ha dx = k ([estere]0 − x) 2 dt ovvero x = kt [estere]0 ([estere]0 - x) Per ogni specie i presente nella miscela di reazione, la conduttanza Ki è direttamente proporzionale alla sua concentrazione secondo la relazione Ki = Λi[concentrazione]i dove con Λi si indica la conducibilità equivalente della specie i-esima espressa in moli-1cm-1µS. La legge cinetica si riscrive quindi nel seguente modo utililizzabile per la costruzione di un grafico da cui si ottiene la costante di velocità. K − Kt x = 0 = [estere]0 kt ([estere]0 - x) K t − K ∞ 2.4.3 Metodi polarimetrici La cinetica dell’idrolisi acida del saccarosio si presta ad essere studiata tramite metodi polarimetrici, cioè misurando il potere ottico rotatorio complessivo del sistema reagente al variare del tempo. L’equazione cinetica di questa idrolisi si riduce allo pseudo primo ordine in quanto la concentrazione dell’acqua è normalmente molto più alta di quella delle altre specie reagenti e può di fatto essere ritenuta costante. log [saccarosio]0 = kt [saccarosio] Poiché in ogni istante il potere ottico rotatorio della miscela di reazione è dato dalla somma algebrica dei poteri ottici rotatori di tutte le specie presenti, dopo svariati passaggi algebrici la legge cinetica si trasforma nella seguente equazione. log α0 −α∞ [saccarosio]0 = log = kt αt −α∞ [saccarosio] Quest’ultima è una retta passante per l’origine degli assi, per cui diagrammando il primo membro in ordinata contro il tempo in ascisse si ricava il coefficiente angolare che esprime la costante di velocità. 37 2.5 Dipendenza della velocità dalla temperatura Nel corso della discussione svolta fino a questo punto si è affermato esplicitamente di operare sempre a temperatura controllata. Come si è infatti detto, gli esperimenti cinetici volti alla determinazione degli ordini di reazione vengono realizzati in ambienti termostatati. Una volta che l’esperimento cinetico abbia messo in luce la forma dell’equazione cinetica e si sia determinata la costante di velocità k, si può passare allo studio della dipendenza della velocità di reazione al variare della temperatura. Dal punto di vista qualitativo appare abbastanza ovvio che la velocità di una reazione debba aumentare al crescere della temperatura poiché ad un suo incremento deve corrispondere un aumento dell’energia cinetica delle molecole e quindi della possibilità di trasferire efficacemente energia tramite collisioni. Da questa considerazione fondamentale hanno avuto origine diverse espressioni quantitative che correlano la velocità di reazione con la variazione di temperatura. Nell’ambito di questo paragrafo ci si occuperà dapprima di illustrare la fondamentale relazione di Arrhenius per poi passare, attraverso l’esame tella teoria delle collisioni, alla descrizione della teoria dello stato attivato che riveste un’importanza notevolissima in chimica organica. 2.5.1 L’equazione di Arrhenius Dal punto di vista storico, la prima relazione quantitativa in grado di correlare la costante di velocità alla temperatura è l’equazione di Arrhenius, che ha la forma k = A exp(-∆E≠/RT) ovvero log k = log A - ∆E≠/RT dove con R si indica la costante universale dei gas e con T la temperatura assoluta. Con i simboli A e ∆E≠ si indicano rispettivamente il fattore pre-esponenziale o fattore di frequenza e l’energia di attivazione della reazione. Dal punto di vista puramente matematico, dall’equazione di Arrhenius risulta subito evidente che un grafico che riporti log k in ordinata e 1/T in ascissa è una retta avente intercetta log A e coefficiente angolare ∆E≠/R. log k 1/T Figura 2.9. Rappresentazione tipo dell’equazione di Arrhenius. 38 Inoltre, una generica reazione dev’essere tanto più veloce quanto più grande è il suo fattore pre-esponenziale e quanto minore è la sua energia di attivazione. Il significato di quest’ultima frase potrà però essere compreso pienamente solo dopo aver formulato la teoria delle collisioni, sia pure nelle sue linee generali. Per ora è sufficiente sapere che il valore del fattore pre-esponenziale è legato alla frequenza delle collisioni che avvengono tra le molecole ed al fatto che solo alcune tra esse, energeticamente attivate, possono effettivamente dare luogo ad un atto reattivo. 2.5.2 Teoria delle collisioni Per quanto la teoria delle collisioni sia piuttosto datata ed attualmente si preferisca ricorrere alla teoria dello stato di transizione per ottenere informazioni sulle grandezze più interessanti dal punto di vista chimico, è pur vero che essa permette di ricavare utili indicazioni sui due parametri A e ∆E≠ introdotti dall’equazione di Arrhenius. La formulazione della teoria delle collisioni data in questa sede è necessariamente molto semplificata dal punto di vista matematico, essendo sufficiente considerare le seguenti argomentazioni. Nel caso di un’interazione tra due molecole A e B, esse devono necessariamente entrare in contatto per poter reagire; in pratica ciò significa che si deve verificare una collisione tra le specie interagenti. Le collisioni molecolari possono essere elastiche, nel qual caso comportano solo trasferimento di energia cinetica, anelastiche, cioè comportare anche trasferimento di energia interna, o finalmente possono dare luogo alla reazione. In quest’ultimo caso, che è quello che interessa, si parla di collisioni efficaci. La frequenza con cui avvengono le collisioni efficaci è legata all’aspetto probabilistico del fenomeno, e dipende sia dalla geometria della collisione che dal contenuto energetico delle molecole che collidono. Questa frequenza è ricavabile dalla teoria cinetica dei gas. E’ poi intuitivo che la velocità di reazione tra A e B debba essere proporzionale alla frequenza con cui avvengono le collisioni efficaci. Per quanto riguarda l’aspetto energetico si ribadisce che l’aumento della temperatura implica un incremento dell’energia cinetica molecolare; un maggior numero di molecole possiedono allora una maggiore energia cinetica rispetto a quanto si osserva ad una temperatura inferiore. L’andamento della distribuzione della velocità molecolare, e quindi dell’energia cinetica, si appiattisce incrementando la temperatura da T2 a T1 come mostrato nella Figura 2.10. n T2 T1 velocità Figura 2.10. Distribuzione delle velocità molecolari in un gas dove T1 > T2. 39 Quando l’energia di collisione tra le molecole interagenti supera una certa soglia designata col termine di energia di attivazione ed indicata dal simbolo E≠ può avvenire un urto efficace. Sulla base di queste semplici considerazioni di carattere qualitativo è possibile esprimere la velocità della reazione bimolecolare tra A e B attraverso la solita espressione v = k2[A][B] dove k2 = Z exp(-E≠/RT) è data da un’espressione del tutto analoga all’equazione di Arrhenius. Il termine Z rappresenta il numero di collisioni tra A e B per unità di volume nell’unità di tempo, ed è definito esplicitamente dall’equazione 2.12. Z=k (σ A + σ B ) 2 2 T µ AB equazione 2.12 In quest’ultima equazione compaiono le seguenti grandezze: - la costante numerica k = 2.74·1025, - i diametri molecolari σ delle specie A e B nell’approssimazione che esse possano essere considerate come sfere rigide, - la massa ridotta µAB dell’ipotetica specie AB, con µAB = MAMB/(MA+MB). Il fattore Z differisce dal termine pre-esponenziale che compare nell’equazione di Arrhenius poiché manifesta una dipendenza dalla temperatura assoluta in ragione di T½, mentre il fattore pre-esponenziale A non dipende dalla temperatura. Da un modello così semplificato non ci si può aspettare che sia in grado di rendere conto di un gran numero di dati sperimentali. In effetti l’approssimazione più rozza, che consiste nel considerare gli urti tra molecole assimilabili a sfere rigide, produce deviazioni enormi dai dati sperimentali. Si considerino come esempi le reazioni di pirolisi dell’acido iodidrico e la reazione di Diels-Alder tra etilene e butadiene. Nel primo caso si ha la decomposizione dell’acido iodidrico in idrogeno e iodio elementari. 2 HI → H2 + I2 La reazione in questione è chiaramente molto semplice dal punto di vista della geometria delle molecole che vi prendono parte; in un caso simile è ancora possibile ritenere le molecole di HI quali sfere rigide ed infatti il rapporto A/Z = 1.6, per cui il valore calcolato di Z è in buon accordo col fattore pre-esponenziale di Arrhenius. Reazioni ancora più semplici, ad esempio tra atomi, sono ben descritte dalla teoria 40 delle collisioni ed in particolare il termine Z calcolato dall’equazione 2.12 riflette bene i dati sperimentali. E’ evidente che atomi isolati o molecole biatomiche hanno un numero molto limitato di gradi di libertà. Ma passando alla reazione di DielsAlder tra etilene e butadiene il rapporto A/Z è pari a 4·10-5, cioè c’è una discrepanza enorme tra Z ed il fattore pre-esponenziale di Arrhenius. La complessità dei reagenti rende impossibile assimilarli a sfere rigide e quindi, oltre al requisito di possedere un’energia sufficiente, le collisioni tra molecole complesse devono sottostare a precisi vincoli geometrici. Dal punto di vista del chimico organico è infatti evidente che la reazione di Diels-Alder menzionata, che pure è estrememente semplice, deve avvenire nel rispetto dell’opportuna orientazione tra il diene ed il dienofilo. Il fatto che le orientazioni relative delle molecole al momento dell’atto reattivo siano così importanti indica che il fattore pre-esponenziale A debba essere legato alla probabilità che si verifichi l’orientazione richiesta, ovvero deve entrare in gioco la variazione di entropia che si verifica nel corso della reazione. Questo aspetto, che è trascurato nel semplice modello qui proposto per la teoria delle collisioni, trova una descrizione soddisfacente nel prossimo paragrafo riguardante gli elementi della teoria dello stato di transizione (o teoria dello stato attivato). 2.5.3 Teoria dello stato attivato Considerando la generica reazione A + B → prodotti la trasformazione da reagenti a prodotti implica un cammino di reazione caratterizzato da una variazione continua di energia libera, ed è ragionevole supporre che questa variazione in funzione della coordinata di reazione debba mostrare un massimo (Figura 2.11). (AB) G ∆G A+B prodotti coordinata di reazione Figura 2.11. Variazione dell’energia libera G nella reazione A + B → prodotti. In corrispondenza di tale massimo si colloca lo stato attivato o stato di transizione designato col simbolo (AB)≠. Per definizione, la struttura dello stato di transizione non è nota né rilevabile direttamente benché essa debba derivare necessariamente 41 dalla perturbazione reciproca delle specie reagenti. Per convenzione si stabilisce che la durata della vita dello stato di transizione sia inferiore a quella di una vibrazione molecolare (10-12 s). Benché la struttura dello stato di transizione non sia rilevabile sperimentalmente, si assume che esso goda di tutte le proprietà di una molecola comune e, di conseguenza, possa essere trattato come tale. Un’ulteriore assunzione importante consiste nel fatto che la velocità con cui lo stato di transizione subisce la trasformazione nei prodotti è sempre uguale indipendentemente dallo stato di transizione coinvolto. Si tratta quindi di una velocità assoluta espressa dalla costante k, la cui espressione è derivata dalla termodinamica statistica k = κkBT/h dove con kB si indica la costante di Boltzmann, con T la temperatura assoluta e con h la costante di Planck. Il simbolo κ indica il coefficiente di trasmissione, un fattore probabilistico che di norma è difficile da calcolare ma che, fortunatamente, vale 1 per la grande maggioranza della reazioni in soluzione. Per questo motivo il fattore di trasmissione sarà trascurato in tutte le equazioni che seguono. Ammettendo che tra i reagenti e lo stato di transizione si instauri una situazione di equilibrio seguito da una reazione estremamente veloce ed irreversibile, lo schema cinetico della generica reazione tra A e B si può scrivere come segue. A+B K (AB) k C+D La velocità della reazione è allora v = k[(AB)≠] ed essendo K≠ = [(AB)≠ ] [A ][B] si ha v = kK≠[A][B] Poiché la velocità di reazione v determinata con metodi sperimentali è data da v = koss[A][B] eguagliando le ultime due espressioni si arriva all’equazione 2.13. koss = kK≠ equazione 2.13 Applicando le leggi termodinamiche ∆G = -RT log K e ∆G = ∆H - T∆S, la K≠ si può esprimere come segue 42 K≠ = exp(-∆G≠/RT) = exp(∆S≠/R) exp(-∆H≠/RT) dove con i simboli ∆H≠ e ∆S≠ si indicano rispettivamente l’entalpia di attivazione e l’entropia di attivazione. Il significato fisico di queste due grandezze sarà discusso tra breve. L’equazione 2.13 diventa allora koss = k exp(∆S≠/R) exp(-∆H≠/RT) equazione 2.14 ovvero k oss = k BT exp(∆S≠ /R)exp(-∆H ≠ /RT) h equazione 2.15 L’equazione 2.14 è nota come equazione di Eyring ed ha il grandissimo pregio di mettere in relazione la costante di velocità osservata sperimentalmente con i parametri di attivazione ∆H≠ e ∆S≠. Mettendo l’equazione 2.14 in forma logaritmica log k oss = log k + ∆S ≠ ∆H ≠ − R RT equazione 2.16 risulta evidente la sua somiglianza con la relazione empirica di Arrhenius. log k oss = log A − ∆E ≠ RT E’ di particolare importanza confrontare le ultime due equazioni, dalle quali risulta la seguente similitudine log A ≡ log k + ∆S≠ R dalla quale appare che, come si era anticipato trattando la teoria delle collisioni, il fattore pre-esponenziale dell’equazione di Arrhenius è in relazione alla variazione di entropia di attivazione ∆S≠. Riguardo la natura ed il significato dei parametri di attivazione ∆H≠ e ∆S≠, prima di tutto vale la pena di notare che la loro determinazione è semplice perché è ricavabile direttamente dall’equazione 2.16. Quest’ultima è infatti l’equazione di una retta, per cui diagrammando log koss in funzione di 1/T si ottengono la pendenza ∆H≠/R e l’intercetta log k + ∆S≠/R. L’entalpia di attivazione ∆H≠ rappresenta la differenza di energia tra stato di transizione e reagenti. Per rendere conto di questa affermazione basta considerare le equazioni di Arrhenius e quella di Eyring in forma logaritmica. 43 ∆E ≠ RT k B ∆S ≠ ∆H ≠ k + − log = log h T R RT log k = log A − Differenziando entrambe le equazioni si ottiene d log k = − d log(k / T ) = − ∆E ≠ d(1/T) R ovvero ∆E ≠ = -R dlog k d(1/T) dlog(1/T) dlog k dlog(k/T) ∆H ≠ d(1/T) ovvero ∆H ≠ = −R = −R −R d(1/T) d(1/T) d(1/T) R da cui risulta ∆H≠ = ∆E≠ - RT L’entalpia di attivazione ∆H≠ può assumere solo valori positivi. Questa affermazione si comprende ammettendo che nello stato di transizione uno o più legami debbano essere parzialmente rotti, da cui segue che la forza di legame complessiva dello stato di transizione dev’essere inferiore a quella dei reagenti. Dal punto di vista pratico può risultare istruttivo confrontare il valore di ∆H≠ ottenuto sperimentalmente con quello calcolato per un’ipotetica entità molecolare che si prevede abbia una struttura analoga a quella dello stato di transizione. Per un calcolo di questo genere si deve procedere col ben noto metodo termodinamico basato sulla legge di Hess. A prescindere dalle obiettive difficoltà nell’ipotizzare una struttura più possibile somigliante a quella dello stato di transizione, va detto che i valori dell’entalpia di attivazione calcolati con questo metodo sono raramente in accordo con i ∆H≠ sperimentali. Risultati di gran lunga migliori di ottengono calcolando la struttura dello stato di transizione ed i parametri di attivazione con metodi computazionali. Attualmente ne esistono di sofisticati che sono in grado di riprodurre con notevole precisione i risultati sperimentali tipo Arrhenius. Le deduzioni di carattere meccanicistico che è possibile ottenere dai valori delle entropie di attivazione ∆S≠ sono assai precise e soprattutto significative poiché riflettono la variazione del numero di gradi di libertà rotovibrazionali di reagenti e prodotti. Se nel passaggio da reagenti a stato di transizione si verifica un aumento del numero dei gradi di libertà rotovibrazionali deve essere ∆S≠ > 0. Per contro, valori negativi dell’entropia di attivazione si avranno quando il numero di gradi di libertà rotovibrazionali dei reagenti è superiore a quello dello stato di transizione. Da quanto detto risulta che per un processo dissociativo, nel quale cioè si verifica un aumento del numero di molecole passando da reagenti a prodotti, si deve avere ∆S≠ > 0. A-B → (A…..B)≠ → A+ + B- 44 In questo caso infatti lo stato di transizione deve avere necessariamente un numero di gradi di libertà superiore a quello del o dei reagenti. Il caso opposto è rappresentato, ovviamente, dai processi associativi del tipo A+ + B- → (A…..B)≠ → A-B per i quali si verifica una perdita di gradi di libertà passando dai reagenti allo stato di transizione originando un ∆S≠ < 0. La conoscenza del segno di ∆S≠ è molto importante in campo meccanicistico dato che da determinazioni cinetiche è possibile risalire al tipo di reazione in esame, sia esso associativo o dissociativo. Inoltre il valore di ∆S≠ è diagnostico, come si vedrà in seguito, per differenziare le reazioni intramolecolari da quelle intermolecolari. 2.6 Dipendenza della velocità dalla pressione La velocità delle reazioni chimiche in fase liquida può essere influenzata dalla variazione di pressione. Infatti, a causa della compressibilità idrostatica dei liquidi la concentrazione di un generico soluto varia, sia pure di poco, al variare della pressione. Poiché la compressibilità dei liquidi è generalmente assai piccola, per osservare variazioni significative della velocità di reazione di devono applicare pressioni dell’ordine di 1-20Kbar. Dalla termodinamica elementare è noto che per un processo isobaro -RT log K = p∆V Differenziando rispetto alla pressione a temperatura costante si ottiene ⎛ ∂ log K ⎞ ⎟⎟ = ∆V - RT⎜⎜ ⎝ ∂p ⎠T che rende conto della variazione della costante di equilibrio al variare della pressione. Questa relazione termodinamica può essere estesa alla descrizione cinetica dei processi chimici applicando la teoria dello stato di transizione nell’ambito della quale si assume che la reazione proceda attraverso uno stato di transizione ad alta energia in equilibrio con i reagenti. L’ultima equazione diventa pertanto ⎛ ∂ log k ⎞ ⎟⎟ = ∆V ≠ - RT⎜⎜ ⎝ ∂p ⎠T equazione 2.17 ed è impiegata per descrivere la dipendenza lineare della costante di velocità dalla pressione in termini di volume di attivazione ∆V≠. Quest’ultimo è definito come differenza tra il volume molare parziale dello stato di transizione e la somma dei volumi molari parziali dei reagenti. Il valore del volume di attivazione ad alta pressione può essere determinato direttamente dalle costanti di velocità misurate a 45 pressione ambiente. Il diagramma di log k in funzione della pressione a temperatura costante mostra un andamento non sempre lineare, com’è evidente dalla Figura 2.12. log k0 kp 0 _ 1 2 3 p (Kbar) Figura 2.12. Variazione di log k in funzione della pressione. Questo comportamento non lineare si verifica perché il volume di attivazione non è indipendente dalla pressione; esso infatti diminuisce all’aumentare della pressione. Per volumi di attivazione positivi una contrazione del ∆V≠ all’aumentare della pressione fa diminuire il valore di k meno di quanto ci si aspetterebbe dall’equazione 2.17; per volumi di attivazione negativi una contrazione di ∆V≠ all’aumentare della pressione fa aumentare il valore di k meno di quanto ci aspetterebbe dall’equazione 2.17. Tra le espressioni impiegate per descrivere il comportamento di log k in funzione della pressione la più usata è la relazione empirica log k = a + bp + cp2 dove a = log k0 (per p → 0), b = -RT∆V0≠, c = ∆κ≠/2RT e ∆V0≠ è il volume di attivazione a pressione ambiente. E’ ora utile considerare alcune proprietà del volume molare parziale VM in quanto le considerazioni che si possono trarre sono applicabili al volume di attivazione. Il volume molare parziale VM è una quantità fisica complessa che dipende dal contributo di tre fattori. VM = V0 + Ve + Vv 46 V0 è il volume intrinseco del soluto determinato dai raggi di Van der Waals degli atomi che lo compongono. E’ calcolabile facilmente e con grande precisione grazie alla disponibilità dei valori dei raggi di Van der Waals. Ve è il volume di elettrostrizione, che rappresenta la variazione in volume dovuta al tipo di solvatazione in funzione del solvente. Le molecole o gli ioni del soluto esercitano forze repulsive nei confronti del solvente su distanze piccole mentre esercitano forze attrattive per distanze maggiori. In questo modo l’orientazione e la disposizione delle molecole di solvente possono variare in modo significativo. Se il soluto è di natura ionica le forze attrattive esercitate nei confronti delle molecole di solvente sono preponderanti su quelle repulsive, sicché le molecole del solvente risultano contratte attorno al soluto (fenomeno di elettrostrizione). Il contributo apportato da Ve è importante e spesso così grande da superare quello dovuto al volume intrinseco V0. Infine Vv rappresenta l’interazione tra molecole del soluto. Il suo contributo è in genere abbastanza piccolo da poter essere trascurato. L’utilizzo combinato del volume di reazione e di quello di attivazione in un diagramma che esprime il volume molare parziale VM in funzione della coordinata di reazione consente di tracciare il profilo volumetrico della reazione in luogo del più familiare profilo energetico (Figura 2.13). Da un grafico di questo tipo si possono ricavare informazioni di carattere qualitativo sulla posizione dello stato di transizione nei confronti dei reagenti e/o dei prodotti. VM A + B ∆V (A B) ∆VM A-B coordinata di reazione Figura 2.13. Profilo volumetrico della reazione associativa A + B → AB Nella Figura 2.14 vengono sovrapposti due diagrammi: il primo energetico ed il secondo, in basso, volumetrico. Questa Figura mostra come profili energetici corrispondenti a stati di transizione simili sia ai reagenti che ai prodotti possono essere messi in relazione con i rispettivi profili volumetrici e quindi con i corrispondenti valori dei volumi di attivazione. In particolare, stati di transizione simili ai reagenti sono solitamente caratterizzati da valori di ∆V≠ minori di quelli caratteristici per stati di transizione simili ai prodotti. 47 E ∆V V coordinata di reazione Figura 2.14. Profilo energetico/volumetrico della reazione associativa A + B → AB Il significato meccanicistico del volume di attivazione verrà ora illustrato attraverso alcuni esempi suddivisi per classi di reazioni. 2.6.1 Cicloaddizioni Sono stati studiati i profili volumetrici per parecchie reazioni di Diels-Alder; per esse i valori dei volumi di attivazione sono compresi tra -5 e -50 cm3 mol-1 e sono generalmente simili ai valori ricavati per i volumi molari parziali. Ciò indica uno stato di transizione che ha proprietà volumetriche simili a quelle dei prodotti ed a cui dovrebbe corrispondere un meccanismo di tipo concertato e ciclico. VM reagenti ∆V prodotti (TS) coordinata di reazione Figura 2.15. Profilo volumetrico di una reazione di Diels-Alder. 48 Anche le cicloaddizioni 1,3-dipolari mostrano volumi di attivazione negativi (-20/-35 cm3 mol-1) ma inferiori in valore assoluto a quelli delle reazioni di Diels-Alder. La ragione è da ricercare nella struttura dello stato di transizione; le cicloaddizioni 1,3-dipolari passano di solito per uno stato di transizione somigliante ai reagenti nel quale i nuovi legami σ sono formati in minor misura rispetto alle reazioni di DielsAlder. Nelle cicloaddizioni [2+2] si hanno ∆V≠ negativi e di valore assai variabile a secondo del solvente, il che è compatibile con l’ipotesi che questa classe di cicloaddizioni proceda attraverso un meccanismo a stadi. 2.6.2 Sostituzioni nucleofile al carbonio saturo Si può prevedere facilmente che la variazione del volume molare parziale nei processi associativi tipo SN2 debba essere necessariamente negativo; mentre per processi dissociativi tipo SN1 si dovrebbero avere variazioni positive del volume molare parziale. Al contrario il valore del volume di attivazione per le sostituzioni nucleofile è di solito difficile da prevedere. Le difficoltà vengono dal fatto che gli stati di transizione coinvolti sono solitamente piuttosto polari e le coppie cariche possono influenzare a tal punto gli effetti della pressione da far passare in secondo piano i processi di formazione o rottura dei legami. E’ prevedibile che un ruolo importante in queste reazioni sia giocato dalla solvatazione dei reagenti e dello stato di transizione; questo è un ulteriore elemento di complessità nella previsione dei valori dei volumi di attivazione. Ne sono un esempio le reazioni di solvolisi i cui ∆V≠ variano enormemente al variare del solvente e della temperatura. Di solito questi volumi di attivazione diventano tanto più negativi quanto più alta è la temperatura e quanto più polare è il solvente. Come esempio si consideri la reazione di etanololisi del bromuro di isopropile, che mostra volumi di attivazione negativi fino a pressioni non eccessivamente elevate, ma che oltre 20 Kbar manifesta ∆V≠ positivi. In questo caso si può tuttavia escludere che l’applicazione di pressioni molto alte ingeneri un cambiamento nel meccanismo della reazione. Infatti queste variazioni implicano di solito un aumento della velocità di reazione anziché una sua diminuzione, come invece avviene in questo caso (Figura 2.16). log k 20 40 p (Kbar) Figura 2.16. Diagramma log k-pressione per la reazione di etanololisi del bromuro di isopropile. 49 2.6.3 Addizioni al carbonile Le reazioni di addizione al carbonile con meccanismo di addizione-eliminazione sono processi associativi e sono fortemente accelerate dall’aumento della pressione. L’idrolisi degli esteri può decorrere attraverso due meccanismi competitivi caratterizzati da volumi di attivazione di segno opposto. Se la reazione procede col tipico meccanismo BAc2 si hanno ∆V≠ compresi tra -10 e -20 cm3 mol-1 ed essa è moderatamente accelerata dall’aumento di pressione. O MeO lento _ O veloce OH MeO (-ROH) OR MeO OR O _ O _ HO Se invece l’idrolisi degli esteri può essere assistita dalla presenza di un idrossile in posizione para il meccanismo della reazione è del tipo E1cb caratterizzato da valori positivi di ∆V≠ e quindi ostacolato da un aumento di pressione. O HO _ HO O OR OR O O lento O O H2O veloce HO OH 2.6.4 Reazioni al carbonio aromatico I composti aromatici danno reazioni di sostituzione elettrofila attraverso ioni benzenio intermedi la cui formazione controlla solitamente la velocità di reazione. I valori del volume di attivazione per le nitrazioni sono compresi tra -10 e -25cm3 mol-1 mentre le reazioni di Friedel-Crafts mostrano ∆V≠ pari a circa -10 cm3 mol-1. Questi processi sono quindi moderatamente accelerati da un aumento della pressione. 2.7 Reazioni intramolecolari Quando due funzionalità interagenti sono presenti nella stessa molecola la reazione che avviene tra di esse è un processo intramolecolare. Lo studio cinetico delle reazioni intramolecolari riveste una notevole importanza in chimica organica perché un gran numero di trasformazioni di interesse sintetico decorre in modo intramolecolare. Un tipico esempio è costituito dalla formazione dei lattoni, che avviene da precursori bifunzionali aciclici. O COOH (CH2)n OH -H2O 50 (CH2)n O Una reazione intramolecolare è un processo monomolecolare in quanto lo stadio lento della reazione prevede l’interazione tra le funzionalità A e B presenti nella molecola A----B. L’equazione che rende conto della velocità di un generico processo intramolecolare è espressa in termini della costante di velocità kintra le cui dimensioni sono quelle di una frequenza. Si conviene di indicare con [M] la concentrazione della specie A----B. A-----B kintra C vintra = kintra [M] Una reazione intermolecolare di solito è invece un processo bimolecolare, poiché allo stadio lento della reazione partecipano due molecole contenenti ciascuna una delle due funzionalità A o B. La velocità di una reazione intermolecolare è espressa dalla costante di velocità kinter le cui dimensioni sono l mol-1 s-1. kinter A + B C vinter = kinter [A][B] Qualora entrambe le funzionalità reattive A, B siano presenti nella stessa molecola, è comodo esprimere la velocità della reazione intermolecolare di dimerizzazione attraverso la costante kdim dimensionalmente identica alla kinter. kdim A-----B + A-----B -----C----- vdim = kdim [M]2 nel corso di una qualsiasi reazione intramolecolare c’è sempre competizione con il corrispondente processo intermolecolare. Si vuole ora rendere conto dell’entità di tale competizione paragonando vintra con vinter, ovvero con vdim, approssimando kinter ≅ kdim. Il modo più immediato per determinare il grado di competizione tra un processo intramolecolare ed il corrispondente processo intermolecolare è quello di valutare il rapporto vintra/vinter. v intra k intra [M ] k intra 1 k 1 = = ≅ intra 2 v inter k inter [M] k inter [M] k dim [M ] Quest’ultima equazione esprime il rapporto tra le velocità di generici processi intraed intermolecolari. Si può notare che il processo intramolecolare è cineticamente favorito rispetto a quello intermolecolare, cioè vintra >> vinter quando kintra/kinter >> [M] oppure, in altre parole, si ha prevalenza del processo intramolecolare quando [M] è 51 piccola. Le reazioni intramolecolari vengono infatti condotte ad alta diluizione oppure si adottano accorgimenti sperimentali che simulano l’alta diluizione. Utilizzando l’equazione di Eyring si può scrivere il rapporto kintra/kinter nel seguente modo k intra ⎡ 1 ⎤ = exp ⎢ (∆G ≠ inter − ∆G ≠ intra )⎥ RT k inter ⎣ ⎦ ovvero k intra ∆S≠ intra − ∆S≠ inter ∆H ≠ intra − ∆H ≠ inter = − kinter R RT equazione 2.18 Per illustrare il significato dell’equazione 2.18 è opportuno ricorrere ad un esempio. Si consideri una generica cicloaddizione 1,3-dipolare i cui parametri di attivazione sono riassunti schematicamente nella Tabella 2.1. Tabella 2.1. Parametri di attivazione per le cicloaddizioni 1,3-dipolari. _________________________________________________________________________________________ Tipo di cicloaddizione ∆H≠ (Kcal/mol) ∆S≠ (cal/Kmol) +5/+20 +23/+31 -40/-20 -14/-3 _________________________________________________________________________________________ Intermolecolare Intramolecolare _________________________________________________________________________________________ Dall’esame di questa Tabella si possono ricavare le indicazioni per il calcolo del rapporto kintra/kinter attraverso l’applicazione dell’equazione 2.18. Utilizzando valori medi tra quelli riportati in Tabella, si trova che kintra/kinter < 0.1; ciò significa che il processo intermolecolare è cineticamente favorito rispetto al processo intramolecolare concorrente. Per invertire questo comportamento si deve agire sulla concentrazione [M] rendendola sufficientemente piccola. Esaminando ulteriormente i dati della Tabella si ricavano altre indicazioni interessanti. Si nota che il contributo entalpico delle cicloaddizioni intramolecolari è sfavorevole rispetto a quello delle corrispondenti cicloaddizioni intermolecolari; nel primo caso la barriera energetica da superare per raggiungere lo stato di transizione è quindi più alta. La spiegazione qualitativa è semplice: in una reazione intermolecolare le due molecole interagenti collidono e nell’atto reattivo le rispettive energie cinetiche vengono trasformate nell’energia che aiuta a superare la barriera d’attivazione. Nelle reazioni intramolecolari viene invece a mancare questo contributo dovuto all’energia cinetica. Per quanto riguarda il contributo entropico, quest’ultimo è più favorevole, ossia meno negativo, per le cicloaddizioni intramolecolari. In una cicloaddizione intermolecolare le due molecole reagenti devono perdere i loro gradi di libertà dovendosi avvicinare, disporsi nella corretta geometria per poter reagire ed infine reagire originando un prodotto ciclico da due molecole acicliche. In questo modo il segno di ∆S≠ non può 52 che essere negativo. Nei processi intramolecolari una sola molecola perde gradi di libertà, inoltre già nello stato fondamentale essa possiede verosimilmente un numero di gradi di libertà limitato rispetto a due molecole isolate. In questo modo ∆S≠intra deve essere necessariamente meno negativo di ∆S≠inter. Riassumendo, una cicloaddizione intramolecolare presenta, rispetto al corrispondente processo intermolecolare, le seguenti caratteristiche: è sfavorita da fattori entalpici, è favorita da fattori entropici. Le considerazioni esposte nel caso di una cicloaddizione si possono utilmente estendere ad un qualsiasi processo intramolecolare. Dal punto di vista sintetico i vantaggi offerti dalle reazioni intramolecolari si possono riassumere in due punti sostanziali: la reattività propria di un processo intramolecolare può essere assai migliore di quella di un’analoga reazione intermolecolare, ferme restando le restrizioni dovute alla concentrazione della specie reattiva (alte diluizioni). Inoltre una reazione intramolecolare può manifestare un grado di regio- e stereoselettività superiore rispetto a quello che si osserva in una reazione intermolecolare. Per dare un’illustrazione delle due ultime caratteristiche considerate si può nuovamente ricorrere ad un esempio pratico basato su una reazione di cicloaddizione. L’effetto di prossimità fra i gruppi reattivi ed il favorevole contributo entropico delle reazioni intramolecolari può incrementare notevolmente la reattività di gruppi relativamente inerti a livello intermolecolare. Ad esempio, la fenilazide non reagisce col fenossiacetonitrile in quanto il gruppo ciano non si presta a subire reazioni di cicloaddizione. Per contro, l’analoga reazione intramolecolare decorre con facilità. Ph N3 + PhO N N N N3 O N N O N Anche la regioselettività di un processo intramolecolare può essere determinata in modo rigoroso dal vincolo geometrico esistente tra le funzioni reattive. Ad esempio la fenilazide reagisce col fenilacetilene dando una miscela di 1,2,3-triazoli regioisomeri, mentre dal corrispondente processo intramolecolare si ottiene un solo triazolo. Ph N3 + N Ph N Ph + N N N O O Ph 53 N Ph Ph N3 Ph N N N Ph L’applicazione dell’equazione 2.18 chiarisce dal punto di vista quantitativo un altro importante aspetto delle reazioni intramolecolari; quello legato alla facilità di formazione di un ciclo a secondo delle sue dimensioni. E’ infatti noto dalla chimica organica fondamentale che è più facile ottenere anelli a 5 o 6 termini piuttosto che anelli di dimensioni minori o maggiori. Le massime difficoltà sorgono nella sintesi di anelli di dimensioni medie, ovvero ad otto o nove termini, e dipendono essenzialmente da un fattore sterico (entalpico) e da uno probabilistico (entropico). Lo sviluppo di interazioni destabilizzanti di tipo sterico durante la chiusura di un anello medio è legata all’insorgere di interazioni transanulari. La differenza ∆H≠intra - ∆H≠inter nell’equazione 2.18 costituisce una buona approssimazione dell’entità di tali interazioni, che invece sono assenti in un processo intermolecolare. Per quanto riguarda il fattore entropico, la bassa probabilità d’incontro dei gruppi reattivi nel dare luogo alla formazione di un ciclo di medie dimensioni riflette il maggior valore della differenza ∆S≠intra - ∆S≠inter rispetto a quello osservato nel caso della formazione di un ciclo a 5 o 6 termini. La relativa facilità di formazione di anelli di grandi dimensioni è ancora razionalizzabile su base entropica. In questo caso la differenza ∆S≠intra - ∆S≠inter diviene piccola perché data la grande distanza che separa i gruppi reattivi la reazione inizia a somigliare ad un processo intermolecolare. Lo studio semiquantitativo degli aspetti entalpico ed entropico nelle reazioni intramolecolari è stato realizzato soprattutto nelle reazioni di ciclizzazione di ω-bromoacidi. O Br(CH2)nCOOH base (CH2)n O Nelle Figure 2.17 e 2.18 sono riportati gli andamenti della costante di velocità di ciclizzazione per questi substrati, nonché i profili entalpici ed entropici che rendono conto della difficoltà di formazione di anelli medi (n = numero di CH2). Com’è facile vedere, gli andamenti di questi diagrammi sono in accordo con gli aspetti entalpico ed entropico delle reazioni di ciclizzazione appena discussi. log k inter 1 5 10 15 20 n Figura 2.17. Diagramma di log k in funzione di n nella ciclizzazione di ω-bromoacidi 54 ∆H ∆S inter inter 1 5 10 15 20 n 1 5 10 15 20 n Figura 2.18. Diagrammi ∆H≠, ∆S≠ in funzione di n nella ciclizzazione di ω-bromoacidi 2.8 Cinetica chimica applicata ad alcune reazioni organiche L’applicazione dei concetti cinetici fondamentali alla chimica organica è stato e continua ad essere un mezzo insostituibile nella comprensione dei meccanismi attraverso i quali procedono un gran numero di reazioni organiche. Per citare un esempio storico, gli studi pionieristici compiuti dalla scuola inglese guidata da Ingold hanno contribuito in modo essenziale a definire i meccanismi fondamentali attraverso cui procedono le reazioni di sostituzione al carbonio saturo, e questi studi hanno avuto come base un solido riferimento nella cinetica chimica. Senza entrare nel dettaglio di ogni singolo meccanismo, lo scopo del presente paragrafo è piuttosto quello di tratteggiare le informazioni che si possono trarre su pochi tipi fondamentali di reazioni organiche attraverso l’utilizzo della cinetica chimica applicata. A tale scopo questo paragrafo verrà diviso per classi di reazioni. 2.8.1 Sostituzioni nucleofile Le sostituzioni nucleofile di tipo SN2 sono processi associativi solitamente caratterizzati da un atto reattivo che implica la collisione efficace tra due specie reagenti. Su questa base ci si può aspettare una cinetica del secondo ordine complessivo, il che si verifica in effetti nella maggior parte dei casi. Ad esempio la reazione tra il cloruro di benzile e lo ione azido è un tipico caso di sostituzione nucleofila al carbonio saturo che decorre con meccanismo SN2 ed è caratterizzata appunto da una cinetica del secondo ordine complessivo. Ph Cl + _ N3 Ph N3 + _ Cl v = k2[PHCH2Cl][N3¯] Le sostituzioni nucleofile bimolecolari mostrano normalmente valori negativi dell’entropia di attivazione e del volume di attivazione, come ci si aspetta per processi associativi. La reazione di Menshutkin tra trietilammina e ioduro di etile rispetta questo tipo di comportamento in quanto ∆S≠ = -27 cal K-1 mol-1 e ∆V≠ = -38 55 cm3 mol-1. In questo caso si suppone che la reazione passi attraverso uno stato di transizione a sviluppo di carica e risulti quindi più solvatato dei reagenti. + Et3N + δ Et3N CH3CH2I CH3 − δ I CH2 + Et4N + I _ Dato che il fenomeno della solvatazione può generare qualche confusione, è bene specificare che uno stato di transizione possiede tanti meno gradi di libertà quanto più è solvatato, ed il volume di attivazione diminuisce all’aumentare della solvatazione da parte di solventi polari per l’effetto di elettrostrizione. Esistono tuttavia casi di sostituzioni nucleofile bimolecolari in cui il segno dei parametri di attivazione è positivo, ne è un esempio la reazione tra il catione trietilsolfonio e l’anione bromuro. I valori sperimentali ∆S≠ = 18 cal K-1 mol-1 e ∆V≠ = 32 cm3 mol-1 riflettono il passaggio attraverso uno stato di transizione a dispersione di carica che risulta quindi meno solvatato dei reagenti. + Et2S -CH2CH3 + Br + _ δ Et2S CH3 CH2 − δ Br Et2S + EtBr Come già si è accennato a proposito della solvolisi degli alogenuri alchilici terziari i processi puramente dissociativi tipo SN1 comportano la completa ionizzazione del substrato accompagnata dalla generazione di un intermedio carbocationico. La legge cinetica è del primo ordine nell’alogenuro e le entropie di attivazione sono positive. Tutto ciò è compatibile con un meccanismo a stadi in cui la ionizzazione del substrato costituisce il passaggio lento dell’intero processo. Lo schema cinetico per una reazione di solvolisi (SOH è il solvente) si può scrivere R X k1 k-1 _ R Cl k2 SOH ROS dove la velocità di reazione è espressa dall’equazione seguente, dato che la concentrazione di SOH è abbastanza grande da poter essere ritenuta costante. v= d[ROS] = k 2 [R + ] dt Applicando l’ipotesi dello stato stazionario (d[R+]/dt ≅ 0) si ha k1[RX ] = k −1[R + ][X − ] + k 2 [R + ] da cui 56 [R + ] = k1[RX ] v= e quindi - k 2 + k −1[X ] k1k 2 [RX ] k 2 + k −1[X - ] in modo identico a quanto già riportato nel caso dell’idrolisi del cloruro di benzidrile. Siccome la ionizzazione è lo stadio lento del processo si può scrivere k2 >> k-1 per cui la velocità risulta semplicemente v = k1[RX] e cioè del primo ordine in RX, come atteso. Va detto che i modelli meccanicistici puramente SN1 od SN2 sono da considerare di tipo piuttosto estremo nel senso che le sostituzioni nucleofile nel loro complesso mostrano da uno spettro meccanicistico che va dalla completa ionizzazione alla completa assistenza. In questo contesto si inserisce l’importante nozione di coppia ionica. Nella chimica organica fondamentale si è abituati a considerare la reazione di solvolisi di un substrato opportunamente sostituito come un semplice processo di ionizzazione. Per giustificare questa interpretazione del meccanismo si invoca la crescente stabilità dei carbocationi intermedi all’aumentare della sostituzione ma di solito si trascura l’effetto del mezzo di reazione. E’ invece ragionevole supporre che la ionizzazione di un substrato implichi per prima cosa un equilibrio tra il reagente ed un carbocatione che è ancora in stretto contatto con il controione; quest’ultima entità a cariche separate prende il nome di coppia ionica intima. Un secondo equilibrio conduce alla coppia ionica separata dal solvente, indicata con il simbolo R+║X¯ cui fa seguito la dissociazione vera e propria in ioni opportunamente solvatati. ionizzazione R X R X _ + R X _ dissociazione prodotti + R + X _ prodotti Storicamente l’esistenza di coppie ioniche è stata provata dalla misura della variazione di conducibilità nelle reazioni di solvolisi, ma solo successivamente si sono raccolte prove cinetiche e stereochimiche a sostegno della loro esistenza. Quali semplici esempi si considerino la solvolisi di alogenuri allilici e la saponificazione di esteri enantiopuri. Sottoponendo a solvolisi il 2-metil-2-cloro-3-butene si osserva la formazione di tre prodotti: due di solvolisi ed un isomero dell’alchene di partenza. Me Me H H Cl Me H H Cl SOH Me Me H Me _ OS H H H Me Cl 57 Me + H H Me OS Me L’ottenimento dei due prodotti isomeri dovuti alla solvolisi è imputabile alla delocalizzazione del doppio legame su tre atomi di carbonio contigui che si ha nella coppia ionica. Ragionevolmente l’attacco da parte del solvente può avvenire in modo non regioselettivo. E’ invece particolarmente interessante la formazione dell’1-cloro3-metil-2-butene, che è un isomero del reagente di partenza, dato che la velocità della reazione che porta alla sua formazione è maggiore della velocità di solvolisi. Per giustificare i dati sperimentali si ipotizza il cosiddetto ritorno da coppia ionica, cioè il processo contrario della ionizzazione. In particolare, nel caso in questione, è più corretto parlare di ritorno interno perchè ci si riferisce alla ricombinazione di ioni della coppia ionica intima per formare un legame covalente. Sono state raccolte anche evidenze stereochimiche dell’intervento delle coppie ioniche, ed in particolare relativamente al fenomeno di ritorno interno. Un esempio elegante concerne la saponificazione di esteri para-nitrobenzoici marcati con 18O ed enantiomericamente puri realizzata in acetone acquoso all’80%. Sperimentalmente si osservano la racemizzazione della porzione alcolica dell’estere ed il contemporaneo scrambling dell’ossigeno 18 della porzione carbossilica. Questo comportamento è dovuto evidentemente al ritorno da coppia ionica costituita da un carbocatione planare stabilizzato e dall’anione carbossilato. Quest’ultimo, delocalizzando la carica negativa su entrambi gli ossigeni, rende di fatto indistinguibile la posizione marcata con 18O. L’attacco nucleofilo del carbossilato su una molecola planare quale il carbocatione che funge da controione della coppia ionica deve avvenire necessariamente in modo non stereoselettivo provocando la racemizzazione del substrato di partenza. Ph H Ph O 4-Cl-C6H4 O 4-Cl-C6H4 NO2 18O H NO2 18O L’acetolisi di alcuni esteri solfonici, in particolare del brosilato di treo-3-para-anisil2-butile, si è dimostrata assai significativa nello studio delle coppie ioniche per via dell’intervento dell’ effetto sale speciale. In pratica si realizza la reazione in presenza di perclorato di litio osservando una dipendenza non lineare della costante di velocità all’aumentare della concentrazione di perclorato di litio. Questo comportamento è schematizzato nella Figura 2.19, che mette in evidenza come si abbia un forte aumento della velocità di reazione con piccole concentrazioni di perclorato di litio, seguite da un andamento lineare della velocità in funzione della concentrazione di sale aggiunto. Per giustificare questo andamento apparentemente anomalo è stata proposta la soppressione del ritorno dalle coppie ioniche separate dal solvente. Il ragionamento che sta alla base di questa razionalizzazione è il seguente. Se si introduce nel mezzo di reazione un anione caratterizzato da nucleofilicità molto bassa come ClO4¯, quest’ultimo può sostituirsi all’anione X¯ originariamente presente nella coppia ionica. E’ plausibile che questa sostituzione debba avvenire nell’ambito della coppia ionica separata dal solvente e non a livello della coppia ionica intima. A 58 questo punto si ha la formazione di una seconda coppia ionica separata dal solvente costituita dal catione R+ e dall’anione perclorato (R+║ClO4¯). Come si è detto la nucleofilicità dello ione perclorato è molto bassa e ciò impedisce il ritorno dalla seconda coppia ionica, che implicherebbe l’attacco nucleofilo dell’anione perclorato al carbocatione R+. Inoltre, anche se si formasse un estere perclorico covalente (RClO4), esso subirebbe una ionizzazione velocissima dando il prodotto di acetolisi. A questo punto è quindi chiaro che la seconda coppia ionica contenente l’anione perclorato può solo trasformarsi molto velocemente nel prodotto di acetolisi a scapito della riformazione della coppia ionica originaria R+║X¯. Ciò giustifica il forte aumento della velocità di reazione reso graficamente dalla Figura 2.19. + R X _ + 105 k + LiCiO 4 R _ _ + ClO 4 + Li X 12 8 4 3 6 9 100 x [LiClO4] (M) Figura 2.19. Diagramma log k in funzione di [ClO4¯] per la reazione di acetolisi di esteri solfonici. 2.8.2 Sostituzioni elettrofile al carbonio aromatico La nitrazione di composti aromatici è forse la reazione più studiata di questa categoria. Nel caso più generale lo schema cinetico si può scrivere HNO3 k1 k-1 + NO2 + ArH k2 [(ArH)-NO2]+ k-2 k3 B ArNO2 + + BH L’espressione della velocità di reazione è variabile a secondo del mezzo nel quale viene condotta la reazione. Operando con acido nitrico ed acido solforico concentrati, cioè nelle tipiche condizioni di nitrazione ad esempio del benzene, si ha una cinetica del secondo ordine che diventa dello pseudo-primo ordine se la concentrazione di acido nitrico è abbastanza grande rispetto a quella del substrato aromatico [ArH]. 59 v = k[ArH][HNO3] v = k[ArH] Le nitrazioni realizzate con acido nitrico in solventi organici (ad esempio l’acetonitrile) mostrano invece un comportamento cinetico molto più complesso nel quale entrano in gioco tutte le costanti di velocità dello schema cinetico generale. In questi casi l’espressione che si ricava sperimentalmente è v = k 3 [ArH][NO 2 + ] = k 3 K1K 2 [ArH][HNO 3 ]2 [NO 3 - ][H 2 O] dove K1 = k1/k-1 e K2 = k2/k-2. In entrambi i casi discussi si presume che la specie nitrante sia lo ione nitronio NO2+, che come è noto viene generato in situ per protonazione dell’acido nitrico con acido solforico o per autoprotolisi dell’acido nitrico in assenza di acidi più forti. Nella pratica della sintesi organica sono disponibili molti agenti nitranti, ma ai fini della discussione degli aspetti cinetici della nitrazione è interessante considerare il comportamento dei sali di nitronio (tetrafluoroborato, esafluorofosfato). Questi composti sono agenti nitranti estremamente efficaci anche nei confronti di substrati poco reattivi poiché la concentrazione effettiva della specie NO2+ libera nella miscela di reazione è particolarmente alta. L’estrema reattività dello ione nitronio libero fa si che le reazioni realizzate con i suoi sali siano sotto il controllo della diffusione. A questo proposito è istruttivo esaminare l’andamento della nitrazione dell’ 1,2-difeniletano in differenti condizioni di reazione ma con uguale concentrazione dei differenti agenti nitranti. In acido nitrico acquoso il rapporto tra prodotti mono- e dinitro sostituiti è 7:1 mentre la nitrazione realizzata con NO2+ BF4¯ è molto più veloce della precedente ed il rapporto mononitro/dinitro si inverte e diventa 1:3.6. In quest’ultimo caso la preponderanza di prodotti dinitrati e la maggior quantità di difeniletano non reagito nella miscela di reazione riflette il fatto che la reazione avviene prima che sia completato il mescolamento dei reagenti. In altre parole il difeniletano che si trova in regioni ad alta concentrazione di NO2+ viene per lo più dinitrato mentre se si trova in regioni con bassa concentrazione di NO2+ viene mononitrato in modo preponderante. Il comportamento cinetico delle solfonazioni è piuttosto difficile da esaminare perché il mezzo di reazione è costituito da acido solforico concentrato. Se le reazioni sono condotte con oleum l’equazione empirica della velocità è v = kH0 + k’[SO3] dove H0 è la funzione di acidità del mezzo definita nel Capitolo 6. Da un punto di vista totalmente empirico quest’ultima equazione potrebbe suggerire che il mezzo di reazione fornisce sia un protone che una molecola di anidride solforica nello stato di transizione. 60 2.8.3 Idrolisi degli esteri L’idrolisi basica degli esteri carbossilici decorre con una cinetica del secondo ordine la cui velocità è espressa dall’equazione v = k2[estere][H2O] Il decorso meccanicistico di questa reazione può avvenire in linea di principio attraverso due percorsi distinti contrassegnati rispettivamente dai descrittori BAc2 ed SN, ognuno dei quali rispetta la precedente equazione cinetica. Si pone quindi il problema di trovare ulteriori fatti sperimentali che permettano di attribuire senza equivoci il meccanismo di reazione. O* OR1 R HO O* O* OR1 R R OH OH + R1O BAc2 _ O* R O* O R1 R O SN + R1OH A questo scopo è utile soffermarsi sull’idrolisi basica di acetati di etile α-sostituiti valutando la variazione relativa della costante di velocità al variare del gruppo R. R CH3 CH2Cl CHCl2 CCl3 _________________________________________________________________ O R OEt k 1 760 16000 100000 Dal confronto di queste velocità relative emerge che l’addizione del nucleofilo è cineticamente più importante della fissione del gruppo uscente. Ciò significa che se all’aumentare delle caratteristiche elettronattrattrici di R corrisponde un aumento della velocità di reazione è molto probabile che lo stadio cineticamente rilevante sia costituito dall’attacco nucleofilo dell’idrossianione al carbonile dell’estere. Da questa semplice considerazione si può ragionevolmente ipotizzare che il meccanismo realmente operante nel caso dell’idrolisi basica degli esteri sia di tipo BAc. A sostegno di questa ipotesi emergono altri fatti interessanti. Studi di marcatura isotopica con 18O hanno dimostrato che tutto l’ossigeno 18 rimane nell’alcol, il che preclude un meccanismo di addizione ad R1 da parte dell’idrossianione. O R O O* R1 R OH + R1O*H Esistono poi evidenze stereochimiche molto chiare a sostegno del meccanismo BAc. Per prima cosa l’idrolisi basica degli esteri procede senza difficoltà anche se R1 è 61 stericamente ingombrato. Inoltre, nel caso in cui R1 sia chirale a configurazione assoluta definita, l’atomo di carbonio connesso all’ossigeno alcolico ritiene la configurazione assoluta. Tutte le evidenze sperimentali appena discusse sono a sostegno dell’ipotesi del meccanismo BAc2 che può quindi essere ritenuto realmente operante. Anche l’idrolisi acida di esteri carbossilici mostra una cinetica del second’ordine espressa da un’equazione identica a quella trovata nel caso dell’idrolisi basica. Il meccanismo proposto di seguito è coerente con i dati cinetici e con esperimenti di marcatura isotopica dato che, ancora una volta, quest’ultima viene ritenuta completamente sull’ossigeno alcolico. O R OH O* R1 + H+ R O* - H+ R1 + H+ OH O O* R1 R OH R OH + R1O*H H2O 2.8.4 Reazioni di eliminazione L’equazione cinetica per una tipica reazione di eliminazione bimolecolare quale la deidroalogenazione di 2-bromofeniletani è del tipo v = k2[substrato][base] Per quanto riguarda le eliminazioni monomolecolari la situazione è un pò più complessa. Lo schema meccanicistico e l’equazione cinetica generali sono B H C C X k1 BH+ k-1 v= C C X k2 + X _ k1k 2 [RX ][B] k -1[BH + ] + k 2 dove con B si designa la base e con RX il substrato. Si distinguono tre casi principali di eliminazioni monomolecolari a seconda dei valori relativi delle costanti cinetiche. In primo luogo si ha una ionizzazione irreversibile, caratterizzata dal descrittore meccanicistico E1CbI, se k1>>k-1 e k2>>k-1. In questo caso l’equazione cinetica generale si riduce a v = k1[RX][B] in modo identico a quanto accade per un’eliminazione bimolecolare. Si ha poi una ionizzazione reversibile, caratterizzata dal descrittore meccanicistico E1CbR, se k-1>>k2. L’equazione cinetica generale si semplifica ed assuma la seguente forma 62 v= k1k 2 [RX ][B] k -1[BH + ] Nelle due possibilità meccanicistiche presentate fino ad ora si ritiene che la specie carbanionica possieda le caratteristiche di un intermedio classico, nel senso che si suppone debba trattarsi di una specie molto reattiva. Ma in linea di principio è possibile la formazione di un carbanione stabile, nel qual caso il meccanismo della reazione (E1a) è caratterizzato dalla decomposizione monomolecolare del carbanione nel passaggio che determina la velocità di reazione. Perché l’intermedio carbanionico stabile possa accumularsi durante la reazione è necessario che k1>>k-1, k2 e l’equazione cinetica generale si semplifica in un’espressione del primo ordine v = k[RX] la cui velocità è indipendente dalla concentrazione della base, dato che si suppone che tutto il substrato sia convertito nella sua base coniugata. 2.9 Problemi Per la risoluzione dei problemi è solitamente necessaria l’applicazione del metodo dei minimi quadrati limitato al calcolo di una retta. Tralasciando completamente la sua dimostrazione si dà qui il sistema di equazioni che si impiega per trovare qual’è la retta migliore che interpola i dati sperimentali dei problemi. Per una serie di coppie di dati sperimentali xi, yi, la retta y = ax + b si trova risolvendo il sistema lineare dato dalle due equazioni 2 a (∑ xi ) + b(∑ xi ) = ∑ xi yi i i a (∑ xi ) + nb = ∑ yi i i i dove n è il numero delle misure effettuate. Per valutare l’affidabilità della retta ottenuta come descritto si calcolano le deviazioni standard σa, σb relative ai coefficienti a, b. Per il calcolo delle deviazioni standard ci si può riferire ad un manuale di calcolo numerico. 1. Due reazioni mostrano i seguenti parametri di Arrhenius A = 109, ∆E≠ = 60 KJ/mol A = 1010, ∆E≠ = 70 KJ/mol Calcolare la temperatura alla quale si equivalgono le costanti di velocità. 2. Per la seguente reazione di sostituzione nucleofila aromatica sono dati i valori di [A] = f(t) riportati nella Tabella. Specificare l’ordine della reazione utilizzando metodi grafici. 63 NO2 NO2 H F Ph + O2N Me COOMe O2N NH2 N COOMe Me Ph _________________________________________________________________________________ log([A]0/[A]) t (min) ([A]0-[A])/[A]0[A] _________________________________________________________________________________ 2.5 4.8 7.0 9.0 0 5 10 15 1.0 6.5 7.0 7.6 _________________________________________________________________________________ 3. L’idrolisi del cloruro di benzile viene monitorata attraverso misure di conduttanza dell’HCl che si forma durante la reazione. La conduttanza di una soluzione 0.001 M di HCl vale 1000 unità arbitrarie. Partendo da una concentrazione di cloruro di benzile 0.001 M, determinare graficamente l’ordine della reazione sulla base dei seguenti dati. Conduttanza 100 200 300 400 500 Tempo (s) 15030 31830 50880 72870 98880 4. Per la reazione di Diels-Alder tra anidride maleica e butadiene si hanno i seguenti dati log k 1/T -32.5 -28.1 -24.4 -21.51 3.36 x 10-3 3.05 x 10-3 2.79 x 10-3 2.58 x 10-3 Calcolare l’energia di attivazione ed il fattore preesponenziale di Arrhenius. 5. Per la reazione termica si hanno i seguenti dati k 103/T 9.74 x 10-5 3.95 x 10-4 1.28 x 10-3 2.247 2.169 2.092 Calcolare l’energia di attivazione. 6. La reazione tra l’ossido di stirene e la piperidina è stata studiata dal punto di vista cinetico ottenendo i seguenti risultati 64 104 k T (K) 0.17 273 1.50 298 7.00 317 14.80 327.7 Calcolare la costante di velocità k a 33°C ed i parametri A, ∆E≠, ∆S≠ e ∆H≠. 7. Si consideri la cicloaddizione di Diels-Alder tra etilene e butadiene. Dati i diametri molecolari del butadiene A e dell’etilene B, rispettivamente σA = 622 pm e σB = 380 pm, calcolare il fattore pre-esponenziale di Arrhenius a 288°C. 8. Per la reazione del problema 7 si hanno i seguenti dati sperimentali log k T (°C) 1.289 259 1.498 276 1.749 298 1.951 317 Calcolare il fattore pre-esponenziale di Arrhenius e paragonarne il valore con quello ottenuto nell’esercizio 7 spiegando eventuali differenze. 9. In riferimento al grafico della Figura 2.4 dimostrare che la concentrazione dell’intermedio B aumenta all’aumentare del rapporto k1/k2. 10. Dimostrare dettagliatamente che nel caso di una reazione di eliminazione caratterizzata dal meccanismo E1a vale l’equazione cinetica v = k[RX]. 2.10 Bibliografia Oltre ai testi più diffusi e completi di chimica organica fisica già citati nella sezione bibliografica del capitolo 1, è possibile trarre un gran numero di informazioni utili dalla consultazione dei seguenti libri di testo dedicati espressamente alla cinetica chimica. 1. 2. 3. 4. 5. H. E. Avery Basic Reaction Kinetics and Mechanisms Macmillan Press, London 1980. J. H. Espenson Chemical Kinetics and Reaction Mechanisms McGraw-Hill, New York, 1991. Testo didattico e completo di cinetica chimica elementare. P. Beltrame Cinetica Chimica, in M. Simonetta Chimica Fisica Manfredi Editore, Milano 1967, Vol. 1, Capitolo 3. A. Gavezzotti Cinetica Chimica Editrice Scientifica Guadagni, Milano, 1982. La lettura di questo libro è consigliata a chi desidera apprendere aspetti e procedure sperimentali in cinetica chimica. A. Cornish-Bowden Fundamentals of Enzyme Kinetics Portland Press, London 2004. Approfondisce gli aspetti connessi alla cinetica enzimatica. 65 3 TEORIA PERTURBATIVA ED HSAB ____________________________________________________________________ 3.1 Introduzione 64 3.2 Teoria perturbativa 66 3.3 Applicazioni della teoria perturbativa 76 3.4 Teoria HSAB 99 3.5 Applicazioni della teoria HSAB 102 3.6 Aspetti quantitativi della teoria HSAB 106 3.7 Problemi 110 3.8 Bibliografia 111 ____________________________________________________________________ 3.1 Introduzione Nella rappresentazione grafica dei meccanismi delle reazioni organiche si è soliti indicare il movimento di coppie elettroniche per mezzo di frecce ricurve. Come si è detto (cfr. pag 1) questo modo di raffigurare il meccanismo di una reazione è piuttosto grossolano, benché comodo ed intuitivo, poiché si basa solo sulla distribuzione della densità di carica dei reagenti. Esistono però altri fattori determinanti al fine di stabilire il decorso di una reazione in termini della formazione di alcuni prodotti piuttosto che di altri. Non deve dunque stupire che la rappresentazione “a frecce” sia talvolta inadatta a rendere conto della formazione di alcuni prodotti e, quindi, proporre un meccanismo adeguato. In effetti esistono un gran numero di reazioni, alcune delle quali assai importanti da un punto di vista sia meccanicistico che sintetico, il cui decorso non può essere giustificato da un meccanismo basato interamente sull’interazione tra cariche. A titolo di esempio si consideri la reazione tra ioduro di etile e cianuri di vari metalli. Se con cianuro di potassio si verifica l’atteso spostamento dello iodio da parte dell’anione cianuro, il comportamento in presenza di cianuro d’argento è del tutto diverso dato che si ha la formazione dell’etilisocianuro. Et-I + KCN → Et-C≡N + KI Et-I + AgCN → Et-N=C ׃+ AgI Anche l’alchilazione degli enolati, che procede dando esclusivamente il prodotto C-alchilato, non può essere prevista facilmente attraverso un meccanismo “a frecce”. 66 O Me MeI O OMe Gli usuali meccanismi basati sulle cariche delle specie reagenti non rendono conto della marcata differenza di reattività che si riscontra nelle reazioni di Diels-Alder tra butadiene e dienofili diversi quali l’etilene e l’anidride maleica. lenta + O O + O veloce O O O Soprattutto emerge l’incapacità di prevedere l’esito regiochimico di importanti cicloaddizioni quali le reazioni di Diels-Alder ed 1,3-dipolari, che danno un solo prodotto e non una miscela di due addotti isomeri. OMe CHO OMe CHO + OMe CHO N N COOMe N + COOMe COOMe N N N Per razionalizzare il decorso di queste e molte altre reazioni si ricorre alla teoria perturbativa, che analizza le interazioni (perturbazioni, appunto) che si producono a livello degli orbitali molecolari delle specie reagenti durante la formazione di un nuovo legame. 67 3.2 Teoria perturbativa L’interazione tra due orbitali φa, φb produce una perturbazione delle loro energie iniziali Ea, Eb dando luogo ad una nuova coppia di orbitali φa + λφb, φa + λ*φb dove compaiono i coefficienti di mescolamento λ, λ*. Se le energie di stabilizzazione ∆E e di destabilizzazione ∆E* sono tali per cui ∆E > ∆E* ne segue che il mescolamento di φa, φb produce una coppia di orbitali stabilizzata. E ∆E* φb φa - λ∗φb φa ∆E stato iniziale φa + λφb stato finale Figura 3.1. Diagramma perturbazionale dei due orbitali atomici interagenti φa, φb. Come primo passo si procede al calcolo dei coefficienti di mescolamento λ, λ*, che sono connessi alle energie Ea, Eb dalle relazioni λ=− β a,b Ea - Eb , λ* = − β a,b Eb - Ea dove βa,b = ∫φaHφbdτ è l’integrale di risonanza. Prescindendo dalla successiva elaborazione matematica, che è piuttosto pesante, da queste considerazioni iniziali si ricava l’equazione di Klopman-Salem valida per la generica reazione intermolecolare tra le specie r ed s. Essa esprime la variazione energetica in funzione della coordinata di reazione partendo dallo stato iniziale non perturbato per arrivare allo stato perturbato nel quale gli orbitali molecolari delle specie r, s interagiscono con formazione del legame. ∆E = -∑a,b (q a + q b ) β a,b Sa,b + ∑k,l 2 Q k Q l occ nocc occ nocc 2(∑a,b c ra c sb β a,b ) +∑ ∑ −∑ ∑ Er - Es εR k,l r s s r Per maggiore chiarezza è utile analizzare separatamente ognuno dei termini che compaiono al secondo membro dell’equazione di Klopman-Salem. 68 Termine I. - ∑a,b (q a + q b ) β a,bSa,b Il valore di questo termine è determinato dalle popolazioni elettroniche qa,b degli orbitali atomici φa, φb, dove φa è un orbitale atomico della molecola r e φb un orbitale atomico della molecola s. Con Sab = ∫φaφbdτ si indica l’integrale di sovrapposizione relativo a φa, φb. La sommatoria in esame si limita alla descrizione dell’interazione tra gli orbitali occupati delle molecole r, s; ha natura antilegante e riflette l’entità dell’entalpia di attivazione del processo reattivo. Poiché quest’ultima grandezza non risente, o risente poco, dell’orientazione reciproca delle specie reagenti, il termine I dell’equazione di Klopman-Salem si può ritenere indipendente dalla regiochimica della reazione. Questa constatazione è particolarmente rilevante nello studio delle reazioni pericicliche. Si può allora intuire che la reattività tra le specie r, s è determinata essenzialmente dai restanti due termini che compaiono al secondo membro dell’equazione di Klopman-Salem. Per questo motivo le applicazioni della teoria perturbativa alle reazioni organiche vedranno operare una forma semplificata di questa equazione nella quale viene meno il termine I. Termine II. Q Ql ∑k,l εRk k,l E’ detto termine di carica, in quanto è determinato dai valori Qk, Ql che rappresentano le cariche elettroniche totali sugli atomi k di r ed l di s. Rk,l è la distanza tra gli atomi k,l ed ε è la costante dielettrica locale. Si può intuire che l’importanza relativa di questo termine dell’equazione di Klopman-Salem aumenta considerevolmente nelle reazioni che implicano la presenza o la comparsa di specie cariche. Termine III. occ nocc occ nocc 2( ∑ ∑ −∑ ∑ r s r ∑a,b c ra c sb β a,b ) 2 E r - Es s Rappresenta l’interazione di tutti gli orbitali occupati (occ) di una delle specie reagenti con tutti gli orbitali non occupati (nocc) dell’altra. Con cra si indica il coefficiente dell’orbitale atomico φa nell’orbitale molecolare di r, con csb l’analogo coefficiente per φb di s. Si ricorda che il valore del coefficiente atomico dell’orbitale molecolare rappresenta una misura approssimata della localizzazione dello stesso orbitale sulla data posizione atomica. Er ed Es sono le energie degli orbitali molecolari interagenti di r ed s. Il contributo dato da questo terzo termine alla 69 stabilizzazione energetica espressa dall’equazione di Klopman-Salem aumenta al diminuire della differenza energetica Er - Es ed all’aumentare dei coefficienti atomici cra, csb. Queste dipendenze indicano che il contributo energetico espresso dal terzo termine aumenta tanto più quanto è maggiore la sovrapposizione degli orbitali interagenti. A questo punto, poiché le specie reagenti tipicamente impiegate nella chimica organica possono essere descritte da un numero molto elevato di orbitali molecolari, occorre stabilire quali di questi orbitali conviene scegliere per studiarne l’interazione. E’ ragionevole supporre che tra gli orbitali molecolari occupati coinvolti nella reciproca perturbazione indotta dall’atto reattivo debba essere considerato principalmente quello a maggior contenuto energetico. Si conviene di indicare quest’ orbitale con l’acronimo HOMO (Highest Occupied Molecular Orbital). Allo stesso modo si può supporre che l’intervento più significativo di partecipazione all’atto reattivo da parte di orbitali non occupati debba essere limitato, o per lo meno dovuto in maggior misura, a quello di minor contenuto energetico. Anche in questo caso si conviene di indicare quest’orbitale con un acronimo e precisamente LUMO (Lowest Unoccupied Molecular Orbital). Gli orbitali HOMO e LUMO sono detti orbitali di frontiera e di solito sono indicati con l’acronimo FMO (Frontier Molecular Orbitals). Il passo successivo è quello di stabilire quali coppie di orbitali associate ai due reagenti si possono perturbare al punto da instaurare un nuovo legame. A questo proposito si può valutare il diagramma energetico relativo all’interazione HOMOHOMO rappresentata dalla Figura 3.2, per la cui costruzione valgono le regole note dalla Chimica Generale. E’ facile constatare che l’energia di stabilizzazione E1 è inferiore a quella di destabilizzazione E2; l’interazione HOMO-HOMO è complessivamente destabilizzante e quindi non produttiva ai fini della reazione. E E2 E1 Figura 3.2. Diagramma perturbazionale di interazione HOMO-HOMO. Esaminando il diagramma energetico proposto nella Figura 3.3, che rende conto dell’interazione tra l’HOMO di un reagente ed il LUMO dell’altro, si può notare che 70 la perturbazione dei livelli energetici degli orbitali coinvolti è stabilizzante in ragione dell’energia di stabilizzazione ES. E ES Figura 3.3. Diagramma perturbazionale di interazione HOMO-LUMO. Quale terzo ed ultimo caso si consideri l’interazione tra il LUMO di uno dei due reagenti ed un orbitale occupato a contenuto energetico inferiore all’HOMO del secondo reagente. Se quest’ultimo orbitale è quello energeticamente più prossimo all’HOMO si conviene di indicarlo con l’acronimo NHOMO (Next to HOMO). E E'S Figura 3.4. Diagramma perturbazionale di interazione NHOMO-LUMO. 71 In questo caso l’energia di stabilizzazione E’S è evidentemente inferiore al valore ES operante nell’interazione HOMO-LUMO. Ne segue che, in linea generale, l’interazione orbitalica più efficiente, che può cioè condurre alla formazione di un nuovo legame, si verifica tra l’HOMO di uno dei due reagenti ed il LUMO dell’altro. In prima approssimazione si possono dunque trascurare tutte le interazioni che non coinvolgono direttamente la coppia degli orbitali di frontiera. Va inoltre aggiunta una riflessione importante che concerne un aspetto prettamente chimico degli orbitali di frontiera. Si è definito l’HOMO di una specie come l’orbitale occupato a più alta energia; ciò significa che gli elettroni di questo orbitale sono i più disponibili nella formazione di un nuovo legame. Si può quindi correlare in modo coerente la definizione di HOMO con la nozione di specie nucleofila, nel senso che un buon nucleofilo deve possedere un HOMO ad energia relativamente alta per poter donare facilmente i propri elettroni. D’altra parte la specie accettrice, o elettrofila, deve possedere un LUMO ad energia relativamente bassa per poter alloggiare convenientemente gli elettroni che le vengono donati nella formazione di un nuovo legame. Queste ultime due constatazioni permettono di semplificare notevolmente l’equazione di Klopman-Salem poiché, riassumendo, - il primo termine può essere trascurato, - il secondo termine si riduce nel tenere conto delle cariche elettroniche della specie elettrofila (QE) e nucleofila (QN), - il terzo termine deve tenere conto solo dell’interazione degli orbitali di frontiera HOMO e LUMO. A questo punto l’equazione di Klopman-Salem assume la forma ∆E = QEQN 2(c E c N β ) 2 + E HOMO - E LUMO εR (equazione 3.1) che al secondo membro contiene solo due termini: - il termine Coulombiano che rende conto dei contributi di carica, - il termine degli orbitali di frontiera. In quest’ultimo termine compaiono i coefficienti cE, cN in relazione, rispettivamente, al sito attivo della specie elettrofila e di quella nucleofila. Da un punto di vista puramente aritmetico è evidente che il contributo del secondo termine dell’equazione 3.1 è tanto più grande quanto minore è la differenza energetica tra l’HOMO del nucleofilo ed il LUMO dell’elettrofilo. In termini chimici ciò significa semplicemente che l’interazione perturbativa si fa più intensa se è implicata la partecipazione di nucleofili forti, caratterizzati da valori elevati dell’energia dell’HOMO, e/o elettrofili forti per i quali l’energia del LUMO è bassa. Dal punto di vista della teoria perturbativa riassunta dall’equazione 3.1, le reazioni organiche si possono classificare in due categorie a secondo di quale dei due termini al secondo membro della stessa equazione prevale sull’altro. Si hanno reazioni sotto controllo di carica quando l’energia di stabilizzazione dell’equazione 3.1 è data principalmente dal termine Coulombiano, il che avviene per reazioni ioniche oppure 72 che comportano lo sviluppo di cariche. Si hanno reazioni sotto controllo orbitalico qualora il termine degli orbitali di frontiera prenda il sopravvento sul termine Coulombiano dell’equazione 3.1. A questa categoria di reazioni appartengono ad esempio le reazioni pericicliche, che decorrono tra specie neutre senza sviluppo di cariche. 3.2.1 Energie e coefficienti degli orbitali di frontiera E’ ben noto che nei composti organici la sostituzione di uno o più atomi o gruppi con altri dotati di diverse caratteristiche elettroniche può causare importanti variazioni nella reattività. Questo aspetto è razionalizzabile nell’ambito della teoria perturbativa e nell’approssimazione dell’orbitale di frontiera. Si consideri ad esempio l’etilene, il cui HOMO calcolato col metodo AM1 ha energia pari a -10.55 eV (1 eV = 23.063 Kcal/mol). Sostituendo un raggruppamento =CH2 dell’etilene con un atomo di ossigeno si ottiene la formaldeide, cui corrisponde un valore calcolato dell’HOMO pari a -14.55 eV. La maggiore stabilità dell’HOMO della formaldeide rispetto a quello dell’etilene è dovuta al fatto che l’atomo di ossigeno, che è più elettronegativo del carbonio, alloggia più facilmente gli elettroni dell’orbitale occupato. CH2 CH2 CH2 O E (eV) -10.55 -14.55 Figura 3.5. Energia dell’orbitale occupato a più alta energia (HOMO) per l’etilene e la formaldeide. Queste previsioni teoriche sono confermate sperimentalmente da misure spettroscopiche. L’energia degli orbitali di frontiera occupati è infatti data dal potenziale di ionizzazione verticale ottenibile dalla spettroscopia di fotoelettroni (PES). Nella Figura 3.5, così come in tutti i diagrammi di questo tipo, il valore del potenziale di ionizzazione cambiato di segno viene inviduato come energia dell’HOMO espressa in eV. Poiché una specie chimica trattiene i propri elettroni tanto più fortemente quanto più alta è la sua elettronegatività, è ovvio che il potenziale di ionizzazione debba risultare tanto più elevato quanto maggiore è l’elettronegatività della specie in questione. Inoltre, dal punto di vista fisico, si conviene di esprimere i potenziali di ionizzazione come quantità positive; risulta così chiaro perché le energie degli HOMO sono espresse da valori negativi. Nella Tabella 3.1 sono riportati i valori dei potenziali di ionizzazione di alcune molecole organiche semplici. Il buon accordo tra i valori energetici calcolati e quelli sperimentali costituisce una valida conferma delle deduzioni tratte nell’ambito della teoria perturbativa. 73 Tabella 3.1. Energie degli HOMO di semplici molecole organiche ottenute dalla spettroscopia PES. ___________________________________________________________________ Molecola Tipo di orbitale Energia (eV) π π π n ψ2 π π π π -10.51 -11.40 -14.09 -10.50 -9.10 -10.90 -9.25 -8.90 -10.50 ___________________________________________________________________ etilene acetilene formaldeide formammide butadiene acroleina benzene furano piridina ___________________________________________________________________ Le energie degli orbitali di frontiera non occupati (LUMO) si possono stimare con misure dell’affinità elettronica. Anche in questo caso si conviene di designare l’energia del LUMO con il valore dell’affinità elettronica cambiata di segno. A differenza dei dati ottenibili dalla spettroscopia PES, le misure di affinità elettronica sono piuttosto difficili da eseguire e di conseguenza il numero di dati disponibili è alquanto limitato. Nella Tabella 3.2 sono riportati i valori di affinità elettronica per alcune semplici molecole organiche. Tabella 3.2. Affinità elettroniche di semplici molecole organiche. _________________________________________________________________ Molecola Energia (eV) _________________________________________________________________ etilene acrilato di metile tetracianoetilene n-butilviniletere stirene fenilacetilene butadiene anidride maleica -0.84 0.80 2.89 -0.70 -0.55 -1.25 -0.32 1.80 _________________________________________________________________ Per quanto riguarda i coefficienti atomici degli orbitali di frontiera, si è detto che essi contribuiscono a determinare la grandezza del termine dell’orbitale di frontiera dell’equazione 3.1. Anche i coefficienti atomici possono essere calcolati utilizzando il formalismo della teoria perturbativa ed un esempio interessante è offerto dal sistema allilico i cui orbitali di frontiera sono illustrati nella Figura 3.6. 74 E 0.5 -0.7070.5 LUMO dell'anione Ψ3 0.707 -0.707 LUMO del catione HOMO dell'anione Ψ2 0.5 0.707 0.5 Ψ1 HOMO del catione C1 C2 C3 Figura 3.6. Orbitali di frontiera del sistema allilico. L’orbitale ψ1 è l’HOMO del catione allilico, mentre il suo LUMO è rappresentato dall’orbitale ψ2. Il valore dei coefficienti atomici di questi primi due orbitali ed i loro segni si possono valutare graficamente utilizzando la parte destra della Figura 3.6, che offre una rappresentazione pittorica delle funzioni d’onda associate ai singoli orbitali. Si nota che ψ1 è legante su tutto il sistema coniugato, sicché i coefficienti atomici devono avere tutti lo stesso segno. Inoltre la popolazione elettronica è localizzata principalmente sull’atomo C2, ed il coefficiente più grande spetta quindi a C2. Poiché vale la condizione di normalizzazione ∑ c i 2 = 1 si ricavano i valori dei i coefficienti espressi dai numeri riportati nella Figura 3.6. Mentre l’orbitale ψ1 a contenuto energetico minore non ha nodi, ψ2 ha un nodo in corrispondenza dell’atomo di carbonio centrale (C2). Ciò significa che il coefficiente atomico di C2 dev’essere nullo. I segni dei coefficienti di C1 e C3 sono opposti e per effetto della condizione di normalizzazione si ha |c1| = |c2| = 1/√2. La simmetria dell’orbitale ψ3, che è il LUMO dell’allilanione, prevede due nodi in corrispondenza di ciascuno dei due legami carbonio-carbonio. I coefficienti atomici hanno quindi segni alternati. Sperimentalmente i coefficienti atomici degli orbitali di frontiera si possono ricavare da dati di spettroscopia di risonanza elettronica (ESR). Il loro valore è infatti in relazione diretta con la popolazione elettronica che la spettrocopia ESR è in grado di misurare su un certo nucleo atomico. Poiché la molteplicità del segnale ESR riferita ad un certo atomo è direttamente proporzionale alla popolazione elettronica su quell’atomo, ci si può aspettare una relazione semplice tra il valore del coefficiente 75 atomico e la costante di accoppiamento del segnale. Per un accoppiamento protonecarbonio è valida l’equazione di McConnell aH = QCH ρC dove aH è la costante di accoppiamento, QCH è una costante dipendente dal tipo di ibridizzazione dell’atomo di carbonio e ρC è la popolazione di spin dell’atomo di carbonio. 3.3 Applicazioni della teoria perturbativa Le considerazioni generali espresse sugli orbitali di frontiera sono molto utili nella razionalizzazione di un gran numero di reazioni organiche. Le regole generali da seguire per l’applicazione pratica della teoria perturbativa nella descrizione di una reazione in termini di orbitali di frontiera si possono riassumere in quattro punti: 1. stima delle energie dell’HOMO e del LUMO per ciascun reagente, 2. identificazione della coppia HOMO-LUMO con le energie più vicine, 3. stima delle dimensioni relative dei coefficienti sugli atomi coinvolti nella formazione di nuovi legami, 4. combinazione dei lobi degli orbitali di frontiera secondo la loro dimensione. Nell’ambito di questo paragrafo verranno considerate tre categorie di reazioni organiche, ovvero le sostituzioni al carbonio saturo, le sostituzioni elettrofile aromatiche e soprattutto le reazioni di cicloaddizione. Queste ultime trasformazioni si prestano assai bene a mettere in evidenza le potenzialità della teoria perturbativa. 3.3.1 Sostituzioni al carbonio saturo L’inversione di configurazione tipica delle sostituzioni nucleofile bimolecolari si può spiegare facilmente studiando l’interazione tra gli orbitali di frontiera dei reagenti. Per far ciò si considera l’interazione prodotta dall’HOMO della specie nucleofila ed il LUMO di quella elettrofila. La sovrapposizione dei lobi degli orbitali di frontiera con dimensioni paragonabili è completamente legante se l’attacco del nucleofilo avviene dalla parte opposta a quella del gruppo uscente, mentre è parzialmente antilegante se avviene dalla stessa parte. La prima delle due situazioni è favorita energeticamente ed è quindi quella che rappresenta il meccanismo delle reazioni SN2. interazione legante Nu- HOMO interazione antilegante NuHOMO Cl Cl LUMO LUMO inversione di configurazione ritenzione di configurazione 76 Anche nelle sostituzioni elettrofile bimolecolari, che nella maggior parte dei casi decorrono con ritenzione di configurazione, la coppia di orbitali interagenti sono il LUMO dell’elettrofilo e l’HOMO del nucleofilo. Per la reazione tra un generico elettrofilo E+ ed il metillitio si possono ancora avere due tipi di attacco: dalla stessa parte e dalla parte opposta rispetto al metallo. In entrambi i casi la sovrapposizione dei lobi orbitalici è legante; si deve dunque supporre che l’attacco della specie elettrofila avvenga dalla stessa parte del metallo per gran parte delle reazioni SE2. LUMO E+ interazione legante interazione legante E+ LUMO Li Li HOMO HOMO inversione di configurazione ritenzione di configurazione 3.3.2 Sostituzioni elettrofile aromatiche Nell’ambito della Chimica Organica generale si discute in modo approfondito l’effetto esercitato dai sostituenti presenti sull’anello benzenico nell’indirizzare le reazioni di sostituzione elettrofila aromatica. Volendo riassumere, i sostituenti fortemente elettronattrattori, caratterizzati da effetti –M e –I, disattivano l’anello aromatico nei confronti delle sostituzioni elettrofile e sono meta orientanti. Al contrario i sostituenti elettron repulsori distinti da effetti + M, + I sono attivanti ed orto, para orientanti. Quali esempi si prendano in esame le nitrazioni del nitrobenzene e dell’anisolo. La prima reazione decorre in condizioni alquanto drastiche e dà l’1,3-dinitrobenzene quale prodotto preponderante mentre la nitrazione dell’anisolo procede in condizioni blande dando una miscela dei prodotti 1,2- ed 1,4sostitutiti. NO2 NO2 NO2 NO2 HNO3/H2SO4 + 95°C NO2 88% OMe tracce OMe OMe NO2 HNO3 + 45°C NO2 40% 77 58% Questa differenza di comportamento è descritta in modo soddisfacente dai classici meccanismi “a frecce ricurve” dato che le formule di valenza utilizzate normalmente sono in grado di rendere conto dell’effetto di stabilizzazione o destabilizzazione della carica che si forma a livello del catione benzenio intermedio. In questo paragrafo ci si propone di mostrare come l’esame degli orbitali molecolari delle specie aromatiche conduce ai medesimi risultati costituendo un approccio alternativo a quello classico basato sul movimento delle cariche. Prendendo in esame gli orbitali molecolari π del benzene, si nota che esistono due orbitali occupati degeneri che possono essere entrambi indicati come HOMO. Ciò è dovuto alla particolare simmetria del benzene. E (eV) +2.98 +0.55 LUMO +0.55 LUMO -9.65 HOMO -9.65 HOMO -13.38 Figura 3.7. Orbitali molecolari π del benzene. L’introduzione di un sostituente sull’anello benzenico ha come effetto quello di desimmetrizzarne gli orbitali π. Considerando il diagramma degli orbitali del nitrobenzene (Figura 3.8) si nota che l’HOMO si colloca ad energia inferiore rispetto a quello del benzene. Ciò significa che il nitrobenzene è un nucleofilo peggiore del benzene, il che giustifica la sua scarsa reattività nei confronti delle sostituzioni elettrofile. I coefficienti atomici degli orbitali molecolari descritti nelle Figure 3.7 e 3.8 sono rappresentati in modo approssimato da cerchi il cui diametro è proporzionale al valore numerico del coefficiente. L’esame di questi coefficienti mette in grado di razionalizzare la regioselezione operante nella nitrazione del nitrobenzene. L’HOMO è maggiormente localizzato sulla posizione meta; la specie elettrofila attaccante è quindi indirizzata di preferenza verso quella posizione. Per contro il coefficiente atomico nella posizione orto è piccolo ed è nullo in posizione para. 78 NO2 E (eV) NO2 NO2 -0.31 -1.01 -1.11 NO2 NO2 NO2 -10.57 HOMO -10.68 -14.23 Figura 3.8. Orbitali molecolari π del nitrobenzene. L’HOMO dell’anisolo (Figura 3.9) ha energia più alta di quello del benzene; si tratta dunque di un nucleofilo migliore che dà più facilmente le reazioni di sostituzione elettrofila. I suoi coefficienti atomici sono localizzati principalmente nelle posizioni orto, para giustificando la regioselezione osservata sperimentalmente. OMe E (eV) OMe OMe +2.92 +0.66 +0.55 OMe OMe OMe -8.98 HOMO -9.78 -11.85 Figura 3.9. Orbitali molecolari π dell’anisolo. 79 3.3.3 Cicloaddizioni Le cicloaddizioni sono reazioni nelle quali si ha la formazione di un anello carbociclico od eterociclico da precursori aciclici. Nella stragrande maggioranza dei casi esse avvengono attraverso uno stato di transizione concertato. In una cicloaddizione il numero dei legami σ aumenta a spese del numero di legami π preesistenti, ed il numero dei nuovi legami σ che si formano in luogo di tali legami π suggerisce un criterio utile alla classificazione delle cicloaddizioni nell’ambito delle reazioni pericicliche. In una cicloaddizione si formano due nuovi legami σ a spese di due legami π mentre, ad esempio, le reazioni in cui si ha conversione di un legame π in un legame σ si definiscono reazioni elettrocicliche. + (una reazione di cicloaddizione) (una reazione elettrociclica) In base alla classificazione suggerita dalle regole di Woodward-Hoffmann, le cicloaddizioni secondo Diels-Alder sono processi [π4S+π2S] permesse termicamente. Questa notazione indica che il frammento dienico, π4, e quello dienofilo, π2, si combinano in modo suprafacciale. Le cicloaddizioni si possono anche classificare in base alle dimensioni dell’anello formatosi. Una reazione di Diels-Alder è un processo [4+2]; ciò significa che i due reagenti contribuiscono alla formazione dell’anello a sei termini con frammenti a quattro ed a due atomi di carbonio, rispettivamente il diene e il dienofilo. La notazione entro parentesi quadrata indica dunque il numero degli atomi, coinvolti nella cicloaddizione, di ogni singolo reagente. D'altra parte, la stessa reazione può essere considerata un processo (4π+2π), dove la notazione entro parentesi tonda indica il numero degli elettroni π dei singoli reagenti che prendono parte alla cicloaddizione. Questi tre criteri di classificazione si possono estendere a qualsiasi reazione di cicloaddizione. Ad esempio le cicloaddizioni 1,3-dipolari si possono designare come processi [π4S+π2S], [3 + 2] o (4π+2π). a [2+2] + b a [3+2] + b c c a c d b d d e b a c e/o a d c b d e/o b e a (2π+2π) e c d (4π+2π) (1,3-dipolari) [4+2] b c a + d (Diels-Alder) e b c f 80 a d e f e/o b c a d f e (4π+2π) Prima di intraprendere la discussione delle cicloaddizioni nell’ambito della teoria degli orbitali di frontiera, è opportuno soffermarsi sulle energie ed i coefficienti atomici di semplici etileni monosostituiti. Questi composti sono largamente utilizzati sia nelle reazioni di Diels-Alder che nelle cicloaddizioni 1,3-dipolari e rivestono quindi una grande importanza sintetica oltre che meccanicistica. Nel diagramma rappresentato dalla Figura 3.10 compaiono le energie degli orbitali di frontiera di alcuni etileni monosostituiti ed i coefficienti atomici relativi a ciascuna posizione del doppio legame carbonio-carbonio. Prendendo l’etilene quale substrato di riferimento si nota immediatamente che la presenza di sostituenti elettronattrattori causa un abbassamento delle energie degli FMO, che sono rappresentate da linee in grassetto. L’andamento opposto, ovvero un incremento delle energie degli FMO, si osserva in presenza di sostituenti elettron repulsori. Questo comportamento è prevedibile sulla base delle considerazioni già formulate e rispecchia la conseguenza prodotta dalla sostituzione di un atomo d’idrogeno dell’etilene con un altro atomo o gruppo a richiesta elettronica differente. NMe2 E (eV) CH2 CH 0.62 OMe CH2 CH Me CH2 CH Cl CH2 CH2 CH2 CH COOMe CH2 CH NO2 CH2 CH -0.69 +2.5 0.66 -0.72 +2.0 0.67 -0.65 0.71 +1.8 -0.71 +1.5 0.67 -0.54 +0.5 0.69 -0.47 0 0.54 -0.32 -0.7 0.50 0.20 -8.0 0.61 0.39 -9.1 0.67 -9.9 0.56 0.44 0.71 0.30 0.71 -10.5 -10.2 0.43 0.33 -10.7 0.62 0.60 -11.4 Figura 3.10. Orbitali di frontiera e coefficienti atomici di etileni monosostituiti. Dovrebbe essere chiaro che i sostituenti elettronattrattori, più elettronegativi dell’idrogeno, fanno si che i due elettroni π del doppio legame etilenico possano 81 essere meglio alloggiati sull’intero edificio molecolare. Al contrario i sostituenti elettron repulsori fanno aumentare l’energia di questi elettroni causando una destabilizzazione che si traduce nell’aumento delle energie degli FMO. I valori numerici dei coefficienti atomici degli orbitali di frontiera sono riportati sopra le linee in grassetto delle energie. Non deve sorprendere che la somma dei quadrati dei coefficienti sia diversa dall’unità anche se in tutti i casi vale sempre la condizione di normalizzazione Σi ci2 = 1. Ad esempio per l’HOMO del propilene si ha 0.672 + 0.562 = 0.49 + 0.31 = 0.80. La spegazione è semplice; gli FMO degli etileni monosostituiti non sono localizzati solo sul legame C=C ma anche, e in modo significativo, sul sostituente. Benché il diagramma illustrato dalla Figura 3.10 sia sufficientemente dettagliato da permettere un’analisi accurata del decorso regiochimico di una cicloaddizione, è conveniente ricorrere ad una sua versione semplificata che riporti solo le energie degli etileni raggruppati a secondo del tipo di sostituente (Figura 3.11). Questa semplificazione è dovuta essenzialmente ad una maggiore immediatezza nella comprensione dei diagrammi d’interazione che saranno discussi più avanti. Rispetto alle energie degli FMO dell’etilene si distinguono solo tre tipologie di substrati a secondo del tipo di sostituente. Si conviene d’indicare con Z i sostituenti elettronattrattori, con X gli elettron repulsori e con C i cosiddetti sostituenti coniugati, quali ad esempio un ulteriore doppio legame C=C od un gruppo fenile. Nella Figura 3.11 i coefficienti atomici non sono espressi numericamente ma resi in modo visivamente più immediato da cerchi di diametro proporzionale al coefficiente e colore diverso a secondo della fase dell’orbitale. In questo modo però la loro descrizione è valida solo a livello qualitativo. C X CH2 CH E (eV) X Z CH2 CH CH2 CH2 CH2 CH +3.0 C +1.5 Z +1.0 0 X C -9.0 -9.1 Z -10.5 -10.9 Figura 3.11. Diagramma approssimato degli FMO di etileni monosostituiti. 82 3.3.3.1 Reazioni di Diels-Alder. L’importanza delle reazioni di Diels-Alder nella sintesi di strutture carbocicliche è ben nota dai corsi di Chimica Organica fondamentale. A dispetto del loro largo impiego nella sintesi organica la regioselettività operante nelle reazioni di Diels-Alder ha costituito un enigma per intere generazioni di chimici organici. Infatti, la regioselettività e le variazioni di reattività indotte dai sostituenti sul diene e/o sull’alchene non possono essere predette sulla base dei semplici meccanismi a frecce ricurve. Inoltre la velocità di queste reazioni è praticamente indipendente dal tipo di solvente, il che ha reso ancor più difficoltosa la ricerca di un meccanismo plausibile. Mancando un modello adatto alla razionalizzazione dei risultati sperimentali, le reazioni di Diels-Alder e le cicloaddizioni 1,3-dipolari erano state definite –piuttosto pessimisticamente- “no mechanism reactions”, ad indicare l’incapacità dei chimici di comprenderne gli aspetti meccanicistici. In questo paragrafo ci si propone di razionalizzare il decorso regiochimico di queste cicloaddizioni alla luce della teoria dell’orbitale di frontiera. Per affrontare questo argomento occorre in primo luogo descrivere le energie ed i coefficienti atomici dei tipici reagenti utilizzati nelle reazioni di Diels-Alder, ovvero dieni ed alcheni. Nel paragrafo precedente sono stati illustrati i diagrammi relativi agli orbitali di frontiera degli etileni monosostituiti; gli stessi principi si applicano all’analisi degli FMO dei dieni. Nelle Figure 3.12 e 3.13 sono riportate per l’appunto le energie ed i coefficienti atomici approssimati di dieni 1- e 2-sostituiti con atomi o gruppi elettron repulsori, elettronattrattori e gruppi coniugati. La simbologia è esattamente quella già utilizzata nella descrizione approssimata degli FMO di etileni monosostituiti (Figura 3.11). X E (eV) +2.5 C +1.0 Z +0.5 -0.5 C X Z -8.2 -8.5 -9.1 -9.5 Figura 3.12. Diagramma approssimato degli FMO di butadieni 1-sostituiti. 83 E (eV) X +2.3 C +1.0 Z +0.2 -0.3 X C -8.2 Z -8.5 -9.1 -9.3 Figura 3.13. Diagramma approssimato degli FMO di butadieni 2-sostituiti. Trattandosi di reazioni tra specie neutre che procedono attraverso uno stato di transizione ciclico senza sviluppo di cariche, il decorso delle cicloaddizioni [4+2] è regolato dal secondo termine dell’equazione 3.1. Si tratta quindi di processi che avvengono sotto controllo orbitalico. La velocità delle reazioni di Diels-Alder decresce infatti all’aumentare della differenza EHOMO - ELUMO (Figura 3.14), come ci si aspetta per processi la cui velocità è regolata dal solo termine relativo agli orbitali di frontiera. Per la generica reazione di Diels-Alder Cb Cc Ca + Cd Ce Cf l’equazione di Klopman-Salem si riduce insomma al solo termine dell’orbitale di frontiera che nel caso in questione assume la forma ∆E = (c a c'e β a,e + c d c'f β d,f ) 2 E HOMOD - E LUMOd + (c'a c e β a,e + c'd c f β d,f ) 2 E LUMOD - E HOMOd equazione 3.2 dove con il sub-pedice D si designano le grandezze relative al diene, col sub-pedice d quelle relative al dienofilo (alchene). 84 log k EHOMO-ELUMO Figura 3.14. Variazione della velocità di una cicloaddizione [4+2] al variare della differenza EHOMO - ELUMO. Per predire la regioselettività di una reazione di Diels-Alder occorre confrontare le energie ed i coefficienti atomici relativi agli orbitali di frontiera dei due cicloaddendi. Si può così individuare quale coppia degli FMO interagisce nella formazione dei due nuovi legami σ. Questa operazione si esegue facilmente correlando i diagrammi energetici del dienofilo e del diene riportati rispettivamente nelle Figure 3.11, 3.12 e 3.13. Esemplificando, per quanto concerne le cicloaddizioni tra butadiene ed etilene, dienofili elettronpoveri ed elettronricchi si fa riferimento alla Figura 3.15. LUMOd E (eV) LUMOD LUMOd LUMOD LUMOd LUMOD HOMOd HOMOD HOMOd HOMOD HOMOd HOMOD Z X Figura 3.15. Controllo orbitalico nelle reazioni di Diels-Alder. Nel caso della cicloaddizione tra butadiene ed etilene non c’è una differenza sostanziale tra le energie │HOMOD-LUMOd│ ed │HOMOd-LUMOD│. Il decorso della reazione è quindi controllato sia dall’HOMO che dal LUMO del diene (reazione 85 HOMOD/LUMOD-controllata). Passando ai dipolarofili elettronpoveri, cioè etileni monosostituiti da atomi o gruppi elettronattrattori, la differenza │HOMOD-LUMOd│ è minore di quella │HOMOd-LUMOD│. Ciò significa che la reazione è controllata dall’HOMO del diene (HOMOD-controllo). Passando ai dienofili elettronricchi è facile vedere che la differenza │LUMOD-HOMOd│ è inferiore a quella │LUMOdHOMOD│; la reazione è quindi LUMO-diene controllata (LUMOD-controllo). Il controllo esercitato da un’orbitale di frontiera diviene pressoché completo quando la differenza energetica tra le coppie di orbitali interagenti è > 1 eV. Il passo successivo per stabilire la regioselettività di una reazione di Diels-Alder consiste nella valutazione dei coefficienti sugli atomi coinvolti nella formazione dei nuovi legami σ, combinandoli opportunamente in base alle loro grandezze relative. Un esempio è utile per chiarire questo punto. La reazione tra l’1-carbossibutadiene e l’acido acrilico procede dando una miscela di cicloaddotti regioisomeri in rapporto 90:10 a favore del cicloesene 1,2-dicarbossi sostituito. COOH COOH COOH COOH COOH + + COOH 90 : 10 Questo comportamento si razionalizza correlando le energie ed i coefficienti delle coppie degli orbitali di frontiera HOMOD/LUMOd e LUMOD/HOMOd riportate nelle Figure 3.11, 3.12. Sono possibili due interazioni orbitaliche le cui energie ammontano a: │HOMOD-LUMOd│ = 9.5 eV; │LUMOD-HOMOd│ = 10.4 eV. La differenza energetica tra queste due interazioni è ∆∆E = 0.9 eV, pertanto entrambe concorrono alla formazione del derivato 1,2-dicarbossi sostituito. Z Z Z EHOMO = -9.5 eV ELUMO = 0 eV Z ELUMO = -0.5 eV EHOMO = -10.9 eV Si deve mettere in evidenza che per questa reazione il meccanismo a frecce ricurve basato sulle cariche prevede l’ottenimento del prodotto 3,5-dicarbossi sostituito. L’analoga reazione sui corrispondenti carbossilati dà la miscela equimolecolare dei due cicloaddotti isomeri. COO COO COO COO COO + + COO 50 86 : 50 Si deve notare che nel prodotto 1,2-disostituito esiste una repulsione considerevole dovuta alla prossimità delle due cariche negative delle funzioni carbossilato. E’ quindi evidente che se ci si limitasse a considerazioni di carattere elettrostatico questo prodotto non dovrebbe formarsi. Il fatto che esso si formi invece nella stessa quantità dell’altro possibile regioisomero depone a favore della notevole influenza esercitata dal controllo orbitalico. Considerando che dal punto di vista elettronico la funzione carbossilato è assimilabile ad un sostituente coniugato (C) si possono costruire le due interazioni descritte nella seguente Figura. La differenza energetica tra le due interazioni orbitaliche │HOMOD-LUMOd│ = 9.2 eV, │LUMOD-HOMOd│ = 9.6 eV è ∆∆E = 0.4 eV; si prevede quindi che entrambe lavorino contemporaneamente comportando la formazione preferenziale del derivato 1,2-dicarbossi sostituito. C EHOMO = -8.2 eV C C ELUMO = +1.0 eV ELUMO = +0.5 eV C EHOMO = -9.1 eV Come si è visto, l’interazione tra gli opportuni orbitali di frontiera è in grado di determinare la formazione preferenziale di un regioisomero rispetto all’altro. Quale ulteriore esempio si può citare quello relativo alla reazione di Diels-Alder tra dieni 1-sostituiti con gruppi coniugati od elettronattrattori ed etileni elettronricchi. Lo schema delle due possibili interazioni è riportato nella Figura seguente. La reazione è LUMOD controllata in quanto │LUMOD-HOMOd│ = 9.0 eV, mentre │HOMODLUMOd│ = 11.2 eV. La differenza energetica ∆∆E = 2.2 eV lascia prevedere la formazione del solo addotto 1,2-disostituito. La maggior parte delle reazioni di DielsAlder sono controllate dall’HOMO del diene e sono dette normali o “a domanda diretta”. Quest’ultimo esempio rappresenta una cosiddetta reazione “a domanda inversa” poiché è controllata dal LUMO del diene. C e Z X ELUMO = 0 eV EHOMO = -9.5 eV C e Z C e Z X EHOMO = -8.2 eV C e Z X ELUMO = +3.0 eV 87 X Un’ulteriore possibilità offerta dall’analisi degli orbitali di frontiera riguarda la razionalizzazione della reattività. Nell’introduzione a questo capitolo si è accennato che la reazione tra butadiene ed etilene procede molto più lentamente che con anidride maleica. In effetti nel primo caso si richiedono condizioni estremamente severe; la reazione procede in autoclave a 900 atmosfere e 165°C dando dopo 17 ore il cicloesene in ragione del 78%. Ma l’anidride maleica reagisce col butadiene in 24 ore a 20°C dando quantitativamente il corrispondente cicloaddotto. E’ ovvio che di fronte ad una disparità di condizioni di reazione tanto evidente un meccanismo basato solo sull’interazione tra cariche non può essere in grado di rendere conto della differenza di reattività osservata sperimentalmente. La razionalizzazione di questi fatti sperimantali può invece essere compresa confrontando gli FMO dell’etilene e dell’anidride maleica rispetto al butadiene (Figura 3.16). La reazione tra butadiene ed etilene è HOMOD/LUMOD controllata e le differenze energetiche tra le coppie di orbitali interagenti valgono 11.5 eV e 10.6 eV. Il LUMO dell’anidride maleica si colloca a -1.62 eV, un’energia particolarmente bassa dovuta alla presenza di due gruppi elettronattrattori sul doppio legame etilenico. La reazione diviene così HOMOD controllata con una differenza energetica pari a soli 7.48 eV. Ciò significa che l’HOMO del butadiene interagisce molto più fortemente col LUMO dell’anidride maleica che con quello dell’etilene (∆∆E = 4.02 eV). Ne segue che il secondo termine dell’equazione 3.1 è più grande e la reazione risulta più veloce. E (eV) O +1.5 O +1.0 O -1.62 O -9.1 O -10.5 O -12.02 Figura 3.16. Diagramma degli FMO di etilene, butadiene ed anidride maleica. 88 3.3.3.2 Cicloaddizioni [2+2]. Nell’ambito di questo tipo di reazioni possono essere operanti due meccanismi del tutto differenti. Si hanno infatti cicloaddizioni [2+2] che decorrono sotto controllo orbitalico attraverso un meccanismo concertato ed altre, controllate dal termine di carica dell’equazione 3.1, che avvengono secondo un meccanismo a stadi. Per quanto concerne la prima tipologia di meccanismo gli esempi classici sono relativi alla formazione dell’anello ciclobutanico per reazione tra cheteni ed alcheni. Nella Figura 3.17 sono riportate le interazioni orbitaliche chetene-alchene e le energie degli orbitali di frontiera del chetene. Come si vede, l’approccio tra i due FMO interagenti avviene secondo un’orientazione “antara”. Questo termine indica che le due molecole dei reagenti non si avvicinano su piani paralleli o sullo stesso piano ma su piani inclinati di circa 45° rendendo operativa l’interazione tra l’HOMO dell’alchene (chetenofilo, HOMOk) e i lobi py e pz del LUMO del chetene (LUMOK). Il tipo di attacco antara, che potrebbe apparire arduo da realizzare da un punto di vista geometrico, in questo caso non comporta una distorsione eccessiva degli orbitali ed è peraltro l’unica possibile in relazione alla loro simmetria. Per quanto riguarda la collocazione energetica degli orbitali di frontiera del chetene appare evidente che le cicloaddizioni [2+2] con etileni debbano essere favorite da sostituenti elettronattrattori sul chetene. L’abbassamento dell’energia del LUMOK indotta da tali sostituenti favorisce infatti il controllo della cicloaddizione da parte di quest’ultimo orbitale (LUMOK-controllo). O py C C C pz C E (eV) LUMO HOMO +0.34 -9.60 O O Figura 3.17. Diagramma degli FMO del chetene. 89 La regioselettività operante nelle cicloaddizioni [2+2] che decorrono sotto il controllo del LUMOK si razionalizza confrontando le dimensioni relative dei coefficienti atomici degli FMO interagenti. Nel seguente Schema si riportano tre esempi di cicloaddizioni tra il difenilchetene ed alcheni a richiesta elettronica diversa. Indipendentemente dal fatto che il chetenofilo sia elettronricco od elettronpovero, la cicloaddizione è sempre controllata dal LUMOK ed avviene sempre con la stessa regioselettività. O Ph O Ph Ph Ph O O O O B Ph Ph B O O Ph Ph O O Ph HOMOk O O Ph LUMOK Ph Ph Per quanto riguarda le cicloaddizioni [2+2] controllate dal termine di carica, si è detto che esse procedono attraverso un meccanismo a stadi. Ciò è compatibile con l’esistenza di un sensibile effetto solvente che è invece assente nel caso delle cicloaddizioni [2+2] controllate dal termine orbitalico dell’equazione 3.1. La comparsa di intermedi carichi è peraltro tipica di un meccanismo a stadi, come illustrato a proposito della reazione tra il dimetilchetene e vinilpirrolidine. N O O O N N + chetene N O O 90 Per concludere la sezione dedicata all’applicazione della teoria dell’orbitale di frontiera alle cicloaddizioni [2+2] è opportuno considerare le reazioni dei cheteni con eterochetenofili quali gruppi carbonilici od immine. In genere queste reazioni decorrono attraverso un meccanismo a stadi che può comportare lo sviluppo di intermedi carichi. Se dal punto di vista meccanicistico non ci sono particolari novità, è pur vero che l’interesse di queste reazioni è profondamente connesso al loro interesse sintetico. Basta rendersi conto che dalla reazione chetene-immina si ottiene l’anello β-lattamico che è caratteristico di un gran numero di farmaci antibatterici ed antibiotici. O O Ph O Ph O O O N Ph Ph Ph Ph Ph Ph Ph Ph N O Ph 3.3.3.3 Cicloaddizioni 1,3-dipolari. Un 1,3-dipolo è un sistema isoelettronico con l’allil (o propargil) anione, che distribuisce i suoi quattro elettroni π su tre atomi contigui. Lo stato fondamentale di un generico 1,3-dipolo costituito dai tre atomi a,b,c può essere descritto, per mezzo della teoria del legame di valenza, da varie formule di risonanza. Si può notare come sia impossibile scrivere la struttura di un 1,3-dipolo facendo a meno di impiegare formule a cariche separate. Sistemi propargilici a b c a CH C CH2 b Sistemi allilici a b c c CH C CH2 b a c CH2 CH CH2 a b c a b a c CH2 CH CH2 b c a b c Figura 3.18. 1,3-Dipoli propargilici ed allilici. Confronto con il propargilanione e l’allilanione. 91 La quasi totalità delle specie 1,3-dipolari appartengono alla categoria degli 1,3-dipoli con stabilizzazione dell’ottetto in cui ciascuno degli atomi a,b,c raggiunge la configurazione elettronica stabile (ad ottetto chiuso) propria del gas nobile che lo segue nel sistema periodico. Questi 1,3-dipoli sono ulteriormente classificabili in due categorie: - 1,3-dipoli dotati di un legame π perpendicolare al sistema allilico (sistemi propargilici/allenilici); - 1,3-dipoli privi del legame π perpendicolare al sistema allilico (sistemi allilici). Gli esempi rappresentativi delle principali specie 1,3-dipolari appartenenti a queste due classi sono mostrati, rispettivamente, nelle Tabelle 3.3 e 3.4. Tabella 3.3. Specie 1,3-dipolari di tipo propargilico-allenilico con stabilizzazione dell’ottetto. __________________________________________________________ Sistemi di tipo propargilico-allenilico Betaine di nitrilio C N C C N C nitrililidi C N N C N N nitrililimmine C N O C N O nitrilossidi C N S C N S nitrilsolfuri N N C N N C diazocomposti N N N N N N azidi Betaine di diazonio ossido nitroso N N O N N O __________________________________________________________ In presenza del legame π perpendicolare al sistema allilico gli 1,3-dipoli debbono essere lineari nel loro stato fondamentale (diazoalcani, nitrilossidi), mentre in assenza del legame π perpendicolare al sistema allilico gli 1,3-dipoli risultano invece piegati nel loro stato fondamentale (azometinilidi, nitroni, ozono). Un’ulteriore importante considerazione è connessa alla natura degli atomi a,b,c che compongono la funzione 1,3-dipolare. Essi sono generalmente C, N, O, mentre sono assai meno comuni gli 1,3-dipoli che contengono atomi di elementi del terzo periodo o di periodi successivi. La denominazione “1,3-dipoli” e l’analogia elettronica con l’allilanione potrebbero erroneamente lasciar supporre che queste siano specie fortemente polari; in realtà la 92 polarità degli 1,3-dipoli non è particolarmente pronunciata poiché le cariche che compaiono nelle formule di risonanza non sono localizzate. Ad esempio, se il diazometano fosse adeguatamente rappresentato dalla sola formula ¯CH2-N+≡N mostrerebbe un momento dipolare (calcolato) pari a 6.2 D. Il valore sperimentale del momento dipolare per il diazometano è di 1.50 D; ciò significa che le cariche, nel diazometano, sono delocalizzate in modo significativo. Queste considerazioni si possono estendere a tutte le specie 1,3-dipolari. Tabella 3.4. Specie 1,3-dipolari di tipo allilico con stabilizzazione dell’ottetto. ______________________________________________________________ Sistemi di tipo allilico Azoto in posizione centrale C N C C N C azometinilidi C N N C N N azometinimmine C N O C N O azometinossidi (nitroni) N N N N N N azaimmine N N O N N O azossicomposti O N O O N O nitrocomposti C O C C O C carbonililidi C O N C O N carbonilimmine C O O C O O carbonilossidi N O N N O N nitrosoimmine N O O N O O nitroso ossidi Ossigeno in posizione centrale ozono O O O O O O ______________________________________________________________ 93 L’effetto dei sostituenti sull’1,3-dipolo influenza le energie degli orbitali di frontiera a secondo delle sue caratteristiche elettroniche. Gruppi elettronattrattori producono una diminuzione delle energie degli FMO della specie 1,3-dipolare, mentre gruppi elettron repulsori ne producono un incremento. Queste influenze sono illustrate nella Figura 3.19, che mostra l’andamento energetico degli orbitali di frontiera di benzonitrilossidi sostituiti in posizione 4- sull’anello benzenico. E (eV) X = NMe 2 X = OMe X = Me X= H -0.47 -0.53 -0.54 -0.50 X = Cl X = NO 2 -0.81 -1.74 -8.63 -9.03 -9.22 -9.38 -9.41 -10.12 Figura 3.19. Andamento delle energie degli orbitali di frontiera di benzonitrilossidi a formula 4-X-C6H4CNO in funzione del sostituente X. Considerando la simmetria degli orbitali di frontiera di una generica specie 1,3-dipolare ¯a-b-c+, schematizzata nella Figura 3.20, si osserva che l’HOMO presenta un nodo, da cui segue che le fasi di questo orbitale sono discordi sugli atomi a e c. Poiché il LUMO presenta due nodi, le sue fasi sono concordi sugli atomi a e c. Dalla Figura 3.20 si nota anche che sull’HOMO il coefficiente ca dell’atomo “anionico” è più grande del coefficiente cc dell’atomo “cationico”, mentre si osserva l’ordine opposto nel LUMO. c b c a HOMO b a LUMO Figura 3.20. Orbitali di frontiera per una generica specie 1,3-dipolare. Come nel caso delle cicloaddizioni trattate nei paragrafi precedenti, anche la regioselettività di una cicloaddizione 1,3-dipolare si predice confrontando le grandezze dei lobi degli orbitali di frontiera coinvolti nella formazione di nuovi legami σ. La reazione procede nella direzione che consente la maggior 94 sovrapposizione possibile dei lobi degli orbitali di frontiera che hanno i coefficienti atomici più possibile simili. Come esempio si possono prendere in considerazione le cicloaddizioni tra il benzonitrilossido e dipolarofili elettronricchi quali vinileteri od enammine e le cicloaddizioni tra il benzonitrilossido ed esteri acrilici. Nel primo caso le reazioni sono completamente regioselettive dato che si forma solo il cicloaddotto 5-sostituito. Con esteri acrilici le cicloaddizioni sono invece regioselettive a favore dell’isomero 5-sostituito, ma dalla miscela di reazione è possibile isolare anche piccole quantità (3-5%) del prodotto 4-sostituito. Ph Ph N O + X N X O X = OR, NR2 Ph Ph Ph N O + COOR N O 95-97% COOR + N COOR O 3-5% Questo comportamento è interpretabile sulla base della Figura 3.21, che illustra le energie ed i coefficienti atomici degli orbitali di frontiera del benzonitrilossido, dell’acrilato di metile e di dipolarofili elettronricchi a formula generale CH2=CHX. 0.60 -0.29 . 0.33 -0 48 0.25 CH2 CH COOMe Ph CH2 CH X C N O CH2 CH 0.29 0.22 X 0.44 0.31 -0.60 CH2 CH COOMe Ph C N O Figura 3.21. Interazioni tra gli orbitali di frontiera di benzonitrilossido, acrilato di metile e dipolarofili elettronricchi L’interazione LUMO-dipolo/HOMO-dipolarofilo (LUMOD-HOMOd) è chiaramente prevalente nella cicloaddizione tra benzonitrilossido e dipolarofili elettronricchi. 95 Inoltre i coefficienti relativi a questa coppia di orbitali di frontiera sono di grandezza paragonabile sia per la coppia atomo di carbonio del nitrilossido-carbonio terminale del dipolarofilo che per quella ossigeno del nitrilossido-carbonio interno del dipolarofilo. Tutte queste circostanze sono concordi nell’indirizzare la cicloaddizione verso la formazione del solo prodotto 5-sostituito. Così non è per la reazione tra benzonitrilossido ed esteri acrilici. Innanzitutto il LUMOD controllo del processo non è netto come nel caso precedente; non si può dunque trascurare l’interazione HOMOD-LUMOd che conduce alla formazione dell’isomero 4-sostituito. Esaminando poi la situazione dei coefficienti atomici delle due coppie degli orbitali di frontiera coinvolti si osserva che: - per la coppia LUMOD-HOMOd i valori numerici sono assai simili rendendo possibile l’interazione tra l’atomo di carbonio del nitrilossido e l’atomo di carbonio interno dell’acrilato, che conduce al cicloaddotto 5-sostituito; - per la coppia HOMOD-LUMOd l’interazione tra l’atomo di ossigeno del nitrilossido e l’atomo di carbonio terminale dell’acrilato è la sola possibile e conduce al cicloaddotto 4-sostituito. Il comportamento generale delle cicloaddizioni tra nitrilossidi e composti etilenici monosostituiti è riassunto nella Figura 3.22. Queste cicloaddizioni sono LUMOdipolo controllate nel caso di tutti i dipolarofili ad eccezione di quelli fortemente elettronpoveri. NMe2 E (eV) CH2 CH 0.62 OMe CH2 CH Me CH2 CH Cl CH2 CH2 COOMe CH2 CH CH2 CH NO2 CH2 CH -0.69 +2.5 0.66 -0.72 +2.0 0.67 -0.65 0.71 +1.8 -0.71 +1.5 0.67 -0.54 +0.5 Ph C N O 0.69 -0.47 0 0.54 0.33 -0.48 0.25 -0.32 -0.7 -1.0 7.0 8.1 0.50 9.7 8.9 10.0 10.4 9.5 0.20 9.2 9.3 -8.0 0.61 0.39 -9.1 0.44 0.31 -0.60 -10.0 0.67 0.56 -9.9 0.44 0.71 0.71 -10.5 0.30 -10.2 0.43 0.33 -10.7 0.62 -11.4 Figura 3.22. Energie e coefficienti degli FMO del benzonitrilossido in confronto con tipici dipolarofili etilenici monostituiti. 96 0.60 Le cicloaddizioni tra nitrilossidi e dipolarofili etilenici 1,2-disostituiti conducono alla formazione di miscele di isossazoline regioisomere perchè i coefficienti degli orbitali di frontiera dei dipolarofili possono essere anche molto simili. Per mettere in evidenza la differenza di comportamento tra le varie specie 1,3-dipolari in funzione delle energie dei loro orbitali di frontiera è utile considerare gli altri due esponenti delle betaine di nitrilio; nitrililidi e nitrilimmine. La Figura 3.23 mostra le energie ed i coefficienti degli orbitali di frontiera della benzonitrilmetililide in confronto con alcuni dipolarofili etilenici monostituiti. Dall’esame della Figura 3.23 si nota che tutte le cicloaddizioni, ad eccezione di quelle con dipolarofili elettronricchi, avvengono sotto il controllo dell’HOMO della nitrililide. D’altra parte non sono state finora osservate cicloaddizioni tra nitrililidi e dipolarofili elettronricchi, il che significa che l’interazione orbitalica governata dal LUMO dell’1,3-dipolo non è mai veramente importante. NMe2 E (eV) CH2 CH 0.62 OMe CH2 CH Me CH2 CH Cl CH2 CH2 CH2 CH COOMe CH2 CH NO2 CH2 CH -0.69 +2.5 0.66 -0.72 +2.0 Ph C N CH2 0.67 -0.65 0.71 +1.8 -0.71 +1.5 0.33 -0.48 0.25 0.67 +0.60 -0.54 +0.5 8.40 8.90 8.20 0.69 -0.47 0 7.90 0.54 -0.32 -0.7 6.90 6.40 5.70 8.60 0.44 0.31 -0.60 -6.40 0.50 0.20 -8.0 0.61 0.39 -9.1 0.67 0.56 -9.9 0.44 0.71 0.71 -10.5 0.30 -10.2 0.43 0.33 -10.7 0.62 0.60 -11.4 Figura 3.23. Energie e coefficienti degli FMO della benzonitrilmetililide in confronto con tipici dipolarofili etilenici monostituiti. Il confronto tra i valori dei coefficienti degli orbitali di frontiera interagenti porta a concludere che in presenza di dipolarofili elettronpoveri la cicloaddizione HOMOdipolo controllata dovrebbe condurre esclusivamente a ∆1-pirroline-2,3-disostituite. Nel seguente Schema è data una rappresentazione pittorica e piuttosto intuitiva della menzionata interazione HOMOD-LUMOd. 97 N HOMO Ph N Ph CH2 C Z Z LUMO Analizzando la Figura 3.24 si nota che la reazione tra dipolarofili etilenici elettronricchi e nitrilimmine è controllata dal LUMO del dipolo mentre le cicloaddizioni che coinvolgono dipolarofili elettronpoveri sono controllate dall’HOMO della specie 1,3-dipolare. NMe2 E (eV) CH2 CH 0.62 OMe CH2 CH Me Cl CH2 CH CH2 CH2 CH2 CH COOMe CH2 CH NO2 CH2 CH -0.69 +2.5 0.66 -0.72 +2.0 0.67 -0.65 0.71 +1.8 -0.71 +1.5 0.67 Ph C N NPh -0.54 +0.5 0.69 -0.47 0 0.66 -0.66 0.35 0.54 -0.5 -0.32 -0.7 9.0 9.3 7.5 8.6 7.5 8.0 9.4 6.8 10.0 -0.60 -0.20 0.77 -7.5 0.50 0.20 -8.0 0.61 0.39 -9.1 0.67 0.56 0.44 -9.9 0.71 0.30 0.71 -10.5 -10.2 0.43 0.33 -10.7 0.62 0.60 -11.4 Figura 3.24. Energie e coefficienti degli FMO della difenilnitrilimmina in confronto con tipici dipolarofili etilenici monostituiti. Per quanto riguarda l’etilene o dipolarofili sostituiti con gruppi debolmente elettrondonatori o coniugati il processo è HOMO/LUMO-dipolo controllato ed entrambe le possibili interazioni conducono alla sola pirazolina 5-sostituita. Ph Ph N N Ph R N N Ph 98 R R = COOEt, Ph, Alchil I valori dei coefficienti atomici degli orbitali di frontiera coinvolti nella cicloaddizione con dipolarofili elettronricchi lasciano prevedere la formazione di pirazoline 5-sostituite. In presenza di dipolarofili moderatamente elettronpoveri l’intervento del LUMO della nitrilimmina non è trascurabile e comporta ancora la formazione di pirazoline 5-sostituite quali unici regioisomeri. Solo in presenza di dipolarofili molto elettronpoveri si dovrebbe avere la formazione di pirazoline 4-sostituite, come mostrato di seguito. N LUMO Ph N Ph C X, Z Ph Ph C N Ph X, Z HOMO N HOMO N N Ph N Ph N Ph Z Z LUMO Si può facilmente immaginare che diagrammi di interazione del tipo rappresentato nella Figura 3.24 si possano costruire per ogni specie 1,3-dipolare elencata nelle Tabelle 3.3 e 3.4. Nonostante il notevole interesse sintetico legato ai prodotti ottenibili dalle cicloaddizioni di alcune specie 1,3-dipolari quali nitroni ed azidi si preferisce non entrare nel merito di tutti i diagrammi di interazione possibili dato che dal punto di vista meccanicistico non si introducono novità di particolare rilievo. 3.4 Teoria HSAB La teoria degli acidi e basi duri e molli, nota con l’acronimo HSAB (Hard Soft Acids and Bases), è di grande aiuto nella previsione della reattività tra specie acide e basiche. La teoria HSAB è fondata sul seguente principio: gli acidi duri reagiscono più velocemente e formano legami più forti con basi dure, gli acidi molli reagiscono più velocemente e formano legami più forti con basi molli. Nell’ambito di questo principio, il concetto di acido e base viene ad essere definito secondo i seguenti criteri. Un acido od una base sono duri se: - il raggio atomico del centro di reazione è piccolo, - la carica effettiva sul centro di reazione è elevata, - il centro di reazione è poco polarizzabile. Ne segue che un acido od una base duri dispongono di un centro reattivo caratterizzato da una carica ben localizzata ovvero poco dispersa. Nella Tabella 3.5 sono riportati acidi e basi di Lewis classificati in base alla loro durezza. 99 Tabella 3.5. Acidi duri, basi dure. __________________________________________________________________________________________________________ Acidi Basi H+, Li+, Na+, K+, Be2+, Mg2+, Ca2+, Sr2+, Mn2+, Al3+, Sc3+, Ga3+, In3+, La3+, Cr3+, Co3+, Fe3+, As3+, Me3Sn3+, Si4+, Ti4+, Zr4+, Th4+, U4+, Pu4+, Ce3+, Hf4+, WO4+, UO22+, Me2Sn2+, VO2+, MoO3+, Me2Be, BF3, (RO)3B, Me3Al, AlCl3, AlH3, RPO2+, ROPO+, RSO2+, ROSO2+, SO3, I7+, I5+, Cl7+, Cr6+, RCO+, CO2, N≡C+, HX (molecole che intrattengono legami ad idrogeno) H2O, OH ¯, F ¯, MeCOO¯, PO43¯, SO42¯, CO32¯, ClO4¯, NO3¯, ROH, RO¯, R2O, NH3, RNH2, N2H4 __________________________________________________________________________________________________________ __________________________________________________________________________________________________________ Alcuni esempi di specie che possono comportarsi come acidi o basi sia duri che molli, indicati come casi limite, sono riportati nella Tabella 3.6. Tabella 3.6. Casi limite. __________________________________________________________________________________________________________ Acidi Basi Fe2+, Co2+, Ni2+, Cu2+, Zn2+, Pb2+, Sn2+, Sb3+, Bi3+, Rh3+, Ir3+, Me3B, SO2, NO+, Ru2+, Os2+, R3C+, C6H5+ PhNH2, C5H5N, N3¯, Cl¯, Br¯, NO2¯, SO32¯ __________________________________________________________________________________________________________ __________________________________________________________________________________________________________ La definizione di un acido od una base molli è vincolata agli stessi criteri; dunque le caratteristiche di mollezza che identificano un composto acido o basico sono: - grande raggio atomico del centro di reazione, - piccola carica effettiva sul centro di reazione, - elevata polarizzabilità del centro di reazione. Un sistema acido o basico molle dispone di un centro reattivo caratterizzato da una carica poco localizzata e quindi dispersa sugli atomi contigui. E’ facile individuare come basi molli alcuni sistemi coniugati a carica delocalizzata assai diffusi quali ad esempio gli anioni allilico o propargilico. Questi ultimi distribuiscono infatti i loro quattro elettroni π su tre atomi di carbonio contigui. 100 anione allilico CH2 CH CH2 CH2 CH CH2 anione propargilico CH C CH2 CH C CH2 Alcuni esempi di acidi e basi molli sono elencati nella Tabella 3.7. Tabella 3.7. Acidi e basi molli. __________________________________________________________________________________________________________ Acidi Basi Cu+, Ag+, Au+, Tl+, Hg+, Pd2+, Cd2+, Pt2+, Hg2+, MeHg+, Co(CN)52¯, Pt4+, Te4+, Tl3+, Me3Tl, BH3, Me3Ga, GaCl3, GaI3, InCl3, RS+, RSe+, RTe+, I+, Br+, HO+, RO+, I2, Br2, ICN, trinitrobenzene, cloranile, chinoni, tetracianoetilene O, Cl, Br, I, RO•, RO2•, M0 (atomi metallici), carbeni R2S, RSH, RS ¯, I ¯, SCN ¯, S2O32¯, R3P, R3As, (RO)3P, CN ¯, R-N≡C, CO, etilene, benzene, H ¯, R¯ __________________________________________________________________________________________________________ __________________________________________________________________________________________________________ In relazione a quanto accennato nel paragrafo dedicato all’esposizione della teoria perturbativa, le interazioni acido-base trattate secondo la definizione di durezza o mollezza del sito reattivo possono essere ricondotte all’equazione di Klopman-Salem. Per far ciò, occorre in primo luogo riconoscere la validità della teoria HSAB nella previsione delle interazioni tra specie nucleofile ed elettrofile. Concettualmente si tratta di estendere la definizione termodinamica di acido e base alla definizione cinetica di nucleofilicità. Così facendo si possono dividere nucleofili ed elettrofili in duri e molli adottando gli stessi criteri già stabiliti nella definizione generale di durezza o mollezza. A proposito delle basi dure, che sono di norma poco nucleofile, dovrebbe risultare evidente che una carica ben localizzata su un atomo elettronegativo comporta la presenza di un HOMO ad energia relativamente bassa. Se viceversa alla carica è consentito di disperdersi su più atomi contigui si ha una base più molle, un miglior nucleofilo e quindi un HOMO ad energia più alta. Riassumendo: - gli acidi duri hanno un LUMO ad alta energia, - le basi dure hanno un HOMO a bassa energia. Come si è detto le interazioni migliori, più produttive dal punto di vista energetico, avvengono tra acidi duri e basi dure oppure tra acidi molli e basi molli. 101 Nel primo caso la differenza EHOMO – ELUMO al secondo termine del secondo membro dell’equazione 3.1 è grande. Come conseguenza si ha che il termine orbitalico diventa piccolo, e quindi trascurabile, rispetto al termine Coulombiano. Pertanto, una reazione tra acidi duri e basi dure si svolge sotto il controllo delle cariche e procede essenzialmente grazie ad interazioni di tipo elettrostatico. Le stesse considerazioni applicate agli acidi molli ed alle basi molli portano alla conclusione che: - gli acidi molli hanno un LUMO a bassa energia, - le basi molli hanno un HOMO ad alta energia. La differenza EHOMO – ELUMO nell’equazione 3.1 è quindi piccola ed il contributo orbitalico è grande e prevalente sul contributo Coulombiano. Le reazioni tra acidi molli e basi molli decorrono quindi sotto controllo orbitalico; in particolare l’interazione principale avviene tra l’HOMO della specie basica ed il LUMO di quella acida. Nelle reazioni tra specie molli non sono previsti sviluppi di carica significativi. Poiché al numeratore del secondo termine al secondo membro dell’equazione 3.1 compaiono i coefficienti atomici degli orbitali di frontiera cE e cN, si può prevedere che anche il loro valore influenzi il decorso di una reazione tra specie molli. In effetti, dato che la localizzazione dell’orbitale (non della carica!) su un sito reattivo è espresso proprio dal maggior valore numerico del coefficiente dell’orbitale in questione, è prevedibile che una reazione sia favorita da coefficienti grandi, ovvero da orbitali di frontiera ben localizzati sul sito reattivo. Si ribadisce che la localizzazione dell’orbitale su un certo sito non si deve confondere con la localizzazione della carica. Infatti i coefficienti ci nella combinazione lineare Ψ = Σi ciφi che descrive il generico orbitale molecolare esprimono l’entità relativa del contributo di ogni orbitale atomico alla funzione d’onda Ψ: maggiore è ci, maggiore è questo contributo. 3.5 Applicazioni della teoria HSAB. E’ naturale che l’attenzione del chimico organico nei confronti della teoria HSAB si concentri in particolare sulle specie contenenti siti acidi o basici localizzati su atomi della seconda e della terza riga del sistema periodico. Le basi di Lewis in cui l’atomo donatore è un carbonio sono molli, ad esempio i reattivi di Grignard, gli enolati ed i carbanioni stabilizzati, così come sono molli gli acidi di Lewis al carbonio. Ne sono un esempio gli alogenuri alchilici. Questi ultimi divengono tanto più duri quanto più aumenta il loro carattere carbocationico. Per quanto concerne le specie cariche, ovvero i carbocationi, si tratta di acidi duri. Grazie al fatto che l’idrogeno è elettropositivo rispetto al carbonio, la sequenza di durezza decresce lungo la serie C6H5+ > Me3C+ > Me2CH+ > MeCH2+ > CH3+ Da questa scala risulta dunque che il catione metilico è il meno duro tra gli acidi di Lewis al carbonio che portano una carica positiva. La sostituzione di uno o più atomi d’idrogeno del catione metilico con atomi più elettronegativi del carbonio produce 102 specie più dure, mentre per ottenere una specie più molle di CH3+ l’unica opportunità è legata alla rimozione di un atomo d’idrogeno ottenendo un carbene. Un radicale al carbonio può comportarsi sia da acido che da base pur rimanendo sempre una specie molle, il doppio legame etilenico si comporta come una base molle. Le basi all’ossigeno ed all’azoto sono sempre dure a causa dell’elettronegatività piuttosto alta degli elementi in questione; in quest’ambito le basi all’ossigeno sono più dure di quelle all’azoto. Un’eccezione è rappresentata dall’anione idroperossido, che è molle. 3.5.1. Reattivi bidentati Una delle applicazioni più brillanti della teoria HSAB riguarda la previsione della reattività dei nucleofili bidentati. Come esempio tipico si considera la reazione tra ioduri alchilici e ione cianuro. Con cianuro di potassio lo ioduro di etile subisce la sostituzione nucleofila di tipo SN2 dando il cianuro di etile quale unico prodotto. In questo caso la base al carbonio N≡C¯ è molle ed interagisce con il carbonio secondario dello ioduro d’etile che è un acido molle. Et-I + KCN → Et-C≡N + KI Eseguendo la reazione in presenza di sali d’argento si osserva invece la formazione dell’etil isocianuro. Et-I + AgCN → Et-N=C ׃+ AgI La razionalizzazione di questo comportamento basata sulla teoria HSAB prevede che lo ione argento assista l’uscita dello ioduro creando un centro parzialmente carbocationico. δ+ δ− δ+ MeCH2 I Ag Questo centro è più duro di quello dell’alogenuro alchilico covalente ed interagisce preferenzialmente con la base all’azoto :C=N¯, che è una base dura. Una reattività simile, per simili motivi, si riscontra tra gli alogenuri alchilici e lo ione nitrito. Mentre la reazione con nitrito di sodio dà luogo al nitroalcano corrispondente quale prodotto principale, il trattamento dell’alogenuro alchilico con nitrito d’argento dà solo il nitrito alchilico. R-Br + NaNO2 → RNO2 R-Br + AgNO2 → RONO L’alchilazione di enolati semplici, come ad esempio l’amilazione del butirrofenone, può decorrere sia a dare il prodotto sostituito al carbonio (C-alchilazione) che all’ossigeno (O-alchilazione). Nel caso in questione si ha la formazione preponderante del prodotto O-alchilato quando si utilizzano elettrofili più duri; a 103 questo proposito si deve tenere presente che la durezza della specie alchilante AmX decresce nell’ordine AmCl > AmBr > AmI. NaO AmO Et Ph AmX + O Et Ph + Et Ph Am X = Cl 55 : 45 X = Br X=I 39 19 : : 61 81 Lo stesso andamento nella distribuzione dei prodotti C- ed O-alchilati si verifica nell’alchilazione di enolati stabilizzati, ad esempio di β-chetoesteri e β-dichetoni. Il sale sodico dell’acetacetato d’etile dà solo il prodotto di O-alchilazione con i clorometileteri, che sono elettrofili duri. L’utilizzo di elettrofili molli quali i clorometiltioeteri conduce invece alla formazione del prodotto C-alchilato. Cl OMe Cl SMe O OMe COOEt NaO COOEt O SMe COOMe 3.5.2. Debromurazione di α-bromochetoni Per trattamento di α-bromochetoni con sodio boroidruro si ha la formazione di chetoni via enolo. Per questa reazione è plausibile un meccanismo in cui avvengono solo interazioni tra siti acidi molli (AM) e basici molli (BM). AM R O R OH R O H B R' Br BM BM R' R' Na+ AM Lo stesso tipo di reazione realizzata in presenza di BF3 (acido duro, AD) e ioduro di litio (base molle, BM) decorre attraverso una doppia interazione duro-duro, mollemolle. BD AD O O BF3 BF3 Br AM I _ (-IBr) BM 104 O 3.5.3 Sostituzioni-eliminazioni Un esempio interessante di queste reazioni è offerto dal comportamento dell’1,2dicloroetano nei confronti di diverse specie basiche (nucleofile). Qualora la reazione venga condotta con tiofenato sodico si ha una doppia reazione di sostituzione nucleofila al carbonio saturo determinata dall’interazione tra una base molle (il tiofenato) ed un acido molle (l’alogenuro alchilico). Utilizzando come base un alcossido viene invece seguito il solo processo di eliminazione con formazione del cloroetilene. Quest’ultimo comportamento è razionalizzabile invocando l’interazione tra la base dura alcossido ed il protone metilenico, che è un acido duro. PhS SPh PhS Cl Cl RO Cl 3.5.4 Addizioni a doppi legami carbonio-carbonio Il doppio legame carbonio-carbonio delle olefine si comporta generalmente come una base molle. Ciò spiega la facilità di complessazione di tipo π con ioni di metalli pesanti (Ag+, Pd2+, Pt4+), che sono acidi molli. L’addizione di alogeni decorre con facilità; in questo caso il meccanismo prevede l’iniziale formazione di un complesso π fra l’olefina e la molecola dell’alogeno, considerato come acido molle. L’idroborazione delle olefine realizzata in presenza di borano, che è un acido molle, comporta dapprima la facile π-complessazione borano-olefina. Questo complesso evolve molto rapidamente attraverso uno stato di transizione a quattro centri nel quale l’atomo di boro si comporta come un acido duro. R BH3 BH3 R R H R BH2 R δ+ BH2 δ− B 3 3.5.5 Addizioni a doppi legami carbonio-ossigeno Il carbonio di un gruppo carbonilico si comporta come acido duro, l’ossigeno come base dura. Si spiega così il diverso comportamento del tosilato della 2,2-dimetil-3idrossi propionaldeide nei confronti di differenti agenti basici. La base molle tiofenato attacca di preferenza il carbonio in β al formile mentre lo ione cianuro, che è una base meno molle, dà addizione al carbonile con formazione dell’anione della cianidrina corrispondente come intermedio. 105 CHO PhS SPh CHO O OTs CN CN OTs O CN 3.6 Aspetti quantitativi della teoria HSAB Dal punto di vista qualitativo la teoria HSAB si configura quale utile strumento nella previsione della reattività di un gran numero di reazioni organiche; una sua versione quantitativa costituisce un’approccio alternativo a quello proposto dalla teoria perturbativa. La formulazione quantitativa della teoria HSAB si inquadra nell’ambito generale della teoria del funzionale densità, nota attraverso l’acronimo DFT (Density Functional Theory). La teoria DFT si basa sull’idea che le densità elettroniche possano rendere conto quantitativamente delle energie e di tutte le proprietà molecolari. In un simile contesto la reattività chimica può essere spiegata ed interpretata facendo a meno di impiegare gli orbitali molecolari. Sebbene la teoria DFT non utilizzi gli orbitali molecolari si può dimostrare che i risultati da essa ottenuti sono correlati quantitativamente con la teoria FMO. Il passaggio alle definizioni quantitative di durezza e mollezza enunciate a livello qualitativo nel paragrafo precedente implica l’applicazione del concetto di potenziale chimico µ, che rappresenta la propensione degli elettroni ad essere trasferiti da una molecola all’altra. Questa grandezza compare nell’espressione fondamentale dalla teoria DFT riguardante la variazione di energia tra due stati fondamentali dE = µdN + ∫ ρ (r )δν (r )dr dove ρ(r) e ν(r) sono rispettivamente la densità elettronica ed il potenziale esterno del sistema, mentre con N si indica il numero totale di elettroni. Nell’approssimazione alle differenze finite il potenziale chimico si esprime tramite il quoziente µ= PI + AE 2 dove con PI ed AE si indicano rispettivamente il potenziale di ionizzazione e l’affinità elettronica. Da quest’ultima equazione risulta chiaro che il potenziale chimico assume valori grandi qualora da una molecola sia difficile rimuovere un elettrone (PI alto) e sia facile aggiungere un elettrone (AE alta). La definizione quantitativa della durezza η si esprime come derivata parziale del potenziale chimico rispetto al numero di elettroni, che fisicamente rappresenta la variazione energetica del potenziale chimico al variare del numero degli elettroni per una geometria fissa. 106 ⎡ ∂2E ⎤ 1 ⎡ ∂µ ⎤ =⎢ 2⎥ η= ⎢ ⎥ 2 ⎣ ∂N ⎦ν ( r ) ⎣ ∂N ⎦ν ( r ) Questa derivata parziale si approssima al quoziente η= PI − AE 2 La differenza tra potenziale di ionizzazione ed affinità elettronica si può mettere in relazione con la differenza energetica tra HOMO e LUMO (cfr. pag. 99). Piccole differenze nelle energie HOMO-LUMO indicano alta polarizzabilità molecolare dovuta alla perturbazione che si produce facilmente tra l’orbitale occupato e quello vuoto; si ha cioè un comportamento da specie molle. Per contro differenze energetiche HOMO-LUMO grandi implicano potenziali di ionizzazione elevati e quindi bassa polarizzabilità; un tipico comportamento da specie dura. L’inverso della durezza η si indica con S e rappresenta la mollezza S= 1 PI - AE Nel linguaggio della teoria DFT le grandezze µ, η ed S sono dette descrittori globali, nel senso che rappresentano rispettivamente il potenziale chimico, la durezza e la mollezza estesa a tutto il sistema molecolare. Se si vuole focalizzare l’attenzione sulla durezza (o mollezza) di un particolare sito reattivo si fa riferimento alle funzioni di Fukui fk(r) che danno informazioni sulla durezza (o mollezza) locale riferita all’atomo k situato nella struttura molecolare. Esistono tre tipi di funzioni di Fukui a secondo che esse debbano descrivere il comportamento di specie elettrofile o positive (fk+), nucleofile o negative (fk¯) e radicaliche (fk0). Dal punto di vista pratico i valori di queste funzioni dipendono dalla popolazione elettronica qk relativa all’atomo k posto in una molecola con N elettroni: fk+ = [qk(N + 1) – qk(N)] fk¯ = [qk(N) – qk(N - 1)] fk0 = [qk(N + 1) – qk(N - 1)] per un attacco nucleofilo per un attacco elettrofilo per un attacco radicalico Il descrittore locale utilizzato più di frequente per la rappresentazione quantitativa della reattività chimica è la mollezza condensata s espressa dal prodotto s = S f(r) Si hanno quindi le tre mollezze condensate s+ = S fk+ s- = S fk¯ s0 = S f 0 per un attacco nucleofilo per un attacco elettrofilo per un attacco radicalico 107 Una delle applicazioni più rilevanti del principio HSAB nell’ambito della teoria DFT è dato dalla razionalizzazione quantitativa della regioselettività di reazioni di cicloaddizione. Questo obiettivo si ottiene correlando i valori delle mollezze condensate degli atomi interessati alla formazione dei nuovi legami σ. Nel caso delle cicloaddizioni 1,3-dipolari, ad esempio, si combinano i descrittori s¯ della generica specie 1,3-dipolare X-Y-Z e quelli s+ della generica specie dipolarofila 1-2 secondo il seguente Schema. Il valore più alto di mollezza condensata s¯ della specie 1,3-dipolare, che indica il sito più nucleofilo della molecola, si combina con il valore più alto di mollezza condensata s+ del dipolarofilo che in questo caso funge da elettrofilo. s _ 0.3 X s s+ s 0.6 Z Y 1 0.2 _ _ 0.3 X 2 2 0.4 0.4 s+ s+ Interazione favorita s Y _ 0.6 Z 1 0.2 s+ Interazione sfavorita La reazione tra metilazide ed etileni monosostituiti rappresenta un brillante esempio di applicazione dei descrittori HSAB nell’ambito della teoria DFT. La metilazide si comporta da elettrofilo nei confronti di vari dipolarofili etilenici monosostituiti. In particolare, l’atomo di azoto terminale della metilazide è più elettrofilo di quello C-sostituito mentre l’atomo di carbonio terminale del dipolarofilo è più nucleofilo di quello sostituito. La formazione dell’1,2,3-triazolina 5-sostituita rispetta quindi l’interazione molle-molle tra questi due centri. s+ 1.18 N N s+ 0.89 NMe N s _ s _ 1.19 0.21 OH s _ s _ 1.15 0.57 Me s _ s _ 1.06 0.14 s _ s 1.17 0.44 Cl R N _ N Me F Nel caso dell’acrilonitrile si osserva la regioselezione opposta, che implica la formazione della 4-ciano-1,2,3-triazolina. In questo caso la metilazide si comporta da nucleofilo ed l’acrilonitrile funge da elettrofilo. L’esame dei valori di s rende conto della regioselezione osservata. 108 s _ 0.93 N N s _ 0.96 NMe CN N s+ N s+ N 0.91 0.35 Me CN Come ulteriore esempio, la combinazione delle mollezze condensate nella cicloaddizione tra diazometano e la specie dipolarofila H-C≡P rende conto in modo quantitativo della formazione preferenziale del 3-fosfa-1,2-diazolo. I vantaggi rispetto all’approccio perturbativo si riassumono in due punti: - si hanno previsioni di regioselettività quantitative e non qualitative, - si possono fare previsioni di regioselettività con specie che, presentando coefficienti atomici molto simili, sono molto difficili da realizzare a livello di teoria perturbativa. Un altro esempio mette in evidenza la possibilità di ottenere previsioni quantitative di regioselettività anche nel caso in cui la teoria perturbativa dia risultati in disaccordo con i dati sperimentali. E’ questo il caso delle cicloaddizioni 1,3-dipolari tra arilazidi e propiolato di metile. Poiché queste reazioni sono controllate sia dall’HOMO che dal LUMO della specie 1,3-dipolare ed i coefficienti atomici del dipolarofilo sono piuttosto simili è difficile prevedere la regioselettività del processo. Inoltre i rapporti sperimentali tra i cicloaddotti mostrano un andamento casuale rispetto alla differenza energetica tra HOMO e LUMO. Applicando il principio HSAB nell’ambito della teoria DFT è invece possibile ottenere previsioni molto accurate. COOMe N3 N N COOMe + ∆ CCl4 N N N N COOMe + R R R __________________________________________________________________________________________________________ R rapporti sperimentali (calcolati) __________________________________________________________________________________________________________ H Me MeO F Cl NO2 75 (74) 73 (69) 68 (69) 70 (31) 68 (70) 55 (54) 25 (26) 27 (31) 32 (31) 30 (31) 32 (30) 45 (46) __________________________________________________________________________________________________________ 109 3.7 Problemi 1. Costruire i diagrammi degli orbitali di frontiera e prevedere quanti e quali prodotti si ottengono per riscaldamento dei seguenti dieni. PhSO2 MeO 2. Prevedere l’andamento regiochimico delle seguenti cicloaddizioni 1,3-dipolari. Ph N N COOMe OH + OPh N O Ph Ph N N N O Ph 3. + Ph + Ph + Ph N Ph Br Utilizzando i principi della teoria HSAB giustificare la possibilità di formazione dei seguenti complessi. Ph Mo(CO)3 Cr(CO)3 Me O BH2 Ag BH3 S Me 4. Utilizzando i principi della teoria HSAB prevedere l’esito delle seguenti reazioni. O O Ph O O + + NHMe MeONa EtSNa + Cl I 110 Me3C CH2OTs + MeONa Me3C CH2OTs + EtSNa 3.8 Bibliografia Il testo classico più consultato dai chimici organici per lo studio dei fondamenti e delle applicazioni della teoria dell’orbitale di frontiera è il seguente. 1. I. Fleming Frontier Orbitals and Organic Chemical Reactions John Wiley & Sons, Chichester, 1976. Altri libri molto interessanti, sebbene più orientati all’esposizione del soggetto dal punto di vista chimico-fisico (ma comunque non eccessivamente matematizzato), sono: 2. K. Fukui Theory of Orientation and Stereoselection Springer-Verlag, West Berlin 1973. 3. A. Streitwieser Molecular Orbital Theory for Organic Chemists, McGraw-Hill, New York, 1961. Una classica rassegna sul principio HSAB e soprattutto sulle sue applicazioni in chimica organica è la seguente. 4. T.-L. Ho Hard Soft Acids Bases (HSAB) Principle and Organic Chemistry Chemical Reviews, Washington, 1975, 75, 1-20. 111 4 CORRELAZIONI LINEARI DI ENERGIA LIBERA ____________________________________________________________________ 4.1 Introduzione 112 4.2 Equazione di Hammett 113 4.3 Equazioni a due parametri 128 4.4 Deviazioni dalla linearità 131 4.5 Effetti sterici 134 4.6 Problemi 137 4.7 Bibliografia 138 ____________________________________________________________________ 4.1 Introduzione Fin dal primo corso di chimica organica si acquisisce familiarità con i concetti di atomi o gruppi elettronattrattori ed elettron repulsori che, come si è illustrato nel capitolo precedente, sono in grado di produrre una perturbazione nella struttura molecolare. Questi effetti sono riconducibili a tre tipologie di fenomeni: - effetti induttivi (I) esercitati dal sostituente in virtù della sua elettronegatività, che si trasmettono attraverso i legami σ della struttura molecolare; - effetti di campo (F) che si manifestano in particolarmodo in presenza di sostituenti carichi. Il campo elettrico prodotto dal sostituente si trasmette nello spazio senza che vi sia connessione diretta attraverso legami chimici; - effetti di risonanza o mesomerici (M) esercitati dall’atomo o dal sostituente attraverso sistemi coniugati, solitamente legami π. Questi tre effetti trovano vastissime applicazioni in tutti i campi della chimica organica e sono di sicuro orientamento nella razionalizzazione di un gran numero di fatti sperimentali. I chimici organici sono abituati a considerare la reattività relativa di molte serie di composti in riferimento ad una particolare reazione. A titolo d’esempio si consideri la reazione di spostamento nucleofilo dell’anione bromuro, promosso dallo ione etossido, su una serie di bromoalcani. La reattività decresce nell’ordine 112 Br > Br > Br > Br il che è giustificabile in base a fattori sia elettronici che sterici. E’ chiaro che gli effetti I ed F rendono conto di questo andamento della reattività solo in modo qualitativo. In questo capitolo ci si propone di descrivere le relazioni che connettono la struttura e la reattività da un punto di vista quantitativo. 4.2 Equazione di Hammett La relazione più utilizzata nell’espressione delle relazioni struttura-attività per un gran numero di reazioni organiche è l’equazione di Hammett. Come per tutte le correlazioni lineari di energia libera si tratta di un’espressione derivata in modo empirico. Considerando le reazioni d’idrolisi basica di metilesteri e di dissociazione dei corrispondenti acidi carbossilici in acqua R COOMe + Me3N R COOH + H2O k K R COO + NMe4 R COO + H3O si trova sperimentalmente che esiste una relazione lineare tra le costanti cinetiche k inerenti all’idrolisi dei metilesteri R-COOMe e le costanti di equilibrio K relative alla dissociazione dei corrispondenti acidi R-COOH. -logkRCOOMe -logKRCOOH Figura 4.1. Correlazione tra –log k per l’idrolisi di metilesteri e –log K per la dissociazione degli acidi corrispondenti. 113 Poiché sia la costante di equilibrio K che la costante cinetica k sono legate alle rispettive variazioni di energia libera secondo le relazioni k T ∆G ≠ + log B RT h ∆G 0 log K = − RT log k = − segue che la relazione lineare tra –log k e –log K implica l’esistenza di una relazione lineare tra l’energia libera di attivazione per l’idrolisi degli esteri ∆G≠ e l’energia libera standard ∆G0 per la ionizzazione dei corrispondenti acidi RCOOH. A seguito di quest’ultima dipendenza lineare, i diagrammi del tipo riportato nella Figura 4.1 sono detti correlazioni lineari di energia libera. Poiché sono messe in relazione una grandezza cinetica ed una termodinamica, gli stessi diagrammi e le relazioni che ne scaturiscono sono anche denominati relazioni (o correlazioni) extratermodinamiche. Esistono numerose correlazioni di energia libera del tipo di quella appena descritta. Ad esempio sussiste un’eccellente relazione lineare tra l’idrolisi basica di benzoati etilici e la dissociazione dei corrispondenti acidi benzoici, purché ci si limiti a considerare solo substrati meta- o para- sostituiti. -logkArCOOEt p-NO2 m-Br p-Br m-NO2 m-Cl p-Cl p-Me H m-MeO p-MeO -logKArCOOH Figura 4.2. Correlazione tra –log k per l’idrolisi di etil benzoati e –log K per la dissociazione degli acidi corrispondenti. Questo esempio di correlazione lineare può apparire scontato data la spiccata similitudine con la relazione che intercorre tra l’idrolisi dei metilesteri R-COOMe e la dissociazione dei corrispondenti acidi R-COOH. Ma l’andamento dei dati sperimentali riportati nella Figura 4.3 mostra che i due substrati orto-cloro ed ortonitro sostituiti non sottostanno ad una relazione lineare. 114 p-NO2 -logkArCOOEt o-NO2 o-Cl H p-Me -logKArCOOH Figura 4.3. Correlazione tra –log k per l’idrolisi di benzoati etilici e –log K per la dissociazione degli acidi corrispondenti. In questi due casi emerge la limitazione più evidente delle correlazioni di energia libera di composti aromatici: non sussiste una relazione lineare riguardante i composti orto-sostituiti. Il motivo di questo comportamento è legato all’ingombro sterico negli intermedi carichi che si generano nello stadio lento della reazione. Questo ingombro sterico è invece assente nel caso di composti meta- e para-sostituiti. Sempre per motivi legati all’ingombro sterico non sussistono relazioni lineari tra l’idrolisi di etilesteri alifatici e le costanti di dissociazione degli acidi corrispondenti. Anche in questo caso è ragionevole prevedere l’insorgere di una forte repulsione a livello di intermedio di reazione, come esemplificato dal seguente Schema e testimoniato dal diagramma in Figura 4.4. OH O OH OEt O OEt OH O OEt R R R OH O OH OEt O OH OEt O OEt R R R 115 -logkRCOOEt p-NO2-C6H4 MeCH(OH) Me Ph p-Me-C6H4 -logKRCOOH Figura 4.4. Correlazione tra –log k per l’idrolisi esteri etilici e –log K per la dissociazione degli acidi corrispondenti. Dal punto di vista quantitativo, laddove sussista una relazione lineare tra –log k e –log K l’espressione generale della retta che interpola i risultati sperimentali si ricava nel modo seguente. In presenza di un generico sostituente X vale la relazione log kX = ρlog KX + c per i composti non sostituiti (X = H) si ha log kH = ρlog KH + c dove ρ è il coefficiente angolare della retta e c è l’intercetta. Sottraendo l’una dall’altra le due equazioni si ottiene log K kX = ρ log X KH kH Ponendo log(KX/KH) = σX si ottiene l’equazione di Hammett valida per derivati benzenici meta- o para-sostituiti log kX = ρσ X kH nella quale con σX si indica la costante del sostituente mentre con ρ si designa la costante di reazione. 4.2.1 Significato della costante del sostituente, σX Il termine σX che compare nell’equazione di Hammett è riferito ad una reazione standard, ossia la ionizzazione di acidi benzoici meta- e para- sostituiti in acqua a 25°C. La scelta di questa reazione quale processo di riferemento è dovuta alla 116 disponibilità delle costanti di dissociazione K per un gran numero di acidi benzoici meta- e para-sostituiti. Poiché la costante del sostituente si può scrivere nella forma σX = pKa(H) – pKa(X) è evidente che il suo valore numerico è costante per un certo sostituente X indipendentemente dal tipo di reazione in cui è coinvolto il generico derivato benzenico meta- o para-sostituito. In pratica quindi si utilizzano i valori noti delle costanti di dissociazione degli opportuni acidi benzoici in acqua a 25°C per ricavare i corrispondenti valori di σX, ponendo per convenzione σH = 0. Nella Tabella 4.1 sono riportati i valori di σ per i sostituenti più comuni. Tabella 4.1. Valori delle costanti del sostituente σ. _______________________________________________________________ Sostituente σmeta σpara _______________________________________________________________ -NH2 -OH -OMe -Me -CMe3 -H -F -Cl -Br -COMe -CN -NO2 -0.40 +0.12 +0.12 -0.07 -0.10 0 +0.34 +0.37 +0.39 +0.38 +0.56 +0.71 -0.66 -0.37 -0.27 -0.17 -0.20 0 +0.06 +0.23 +0.23 +0.50 +0.66 +0.78 _______________________________________________________________ L’esame della Tabella 4.1 mostra che i valori di σX possono essere sia negativi che positivi a secondo che il sostituente sia rispettivamente elettron repulsore od elettronattrattore. Si può dunque stabilire una connessione tra la costante del sostituente e l’effetto induttivo conformemente alle caratteristiche elettroniche del sostituente. Nel caso di sostituenti collocati nella posizione meta gli effetti I ed F agiscono concordemente; si può quindi affermare che i valori σm costituiscono una misura dell’effetto polare complessivo (induttivo e di campo) esercitato dal sostituente X sul centro di reazione. Un esempio in questo senso è offerto dalle reazioni di idrolisi basica di etil benzoati meta-sostituiti. L’idrolisi del substrato nitro-sostituito risulta 63.5 volte più veloce di quella del benzoato di etile. Questo comportamento si interpreta agevolmente sulla base del fatto che il gruppo nitro, fortemente elettronattrattore, è in grado esercitare il suo effetto induttivo -I disperdendo efficacemente l’incipiente carica negativa che si sviluppa in posizione benzilica nello stato di transizione. Al contrario l’idrolisi basica del meta-metilbenzoato di etile decorre più lentamente rispetto a quella del benzoato di etile. 117 Anche questo comportamento è coerente con le caratteristiche elettroniche del sostituente metilico che, esercitando un effetto +I, destabilizza l’incipiente carica negativa in posizione benzilica nello stato di transizione. δ− COOEt _ OH δ− O OH OH OEt O δ−OEt km,NO2 kH NO2 NO2 NO2 δ− COOEt _ OH δ− O = 63.5 σm,NO2 = +0.71 OH OH O δ−OEt OEt km,Me kH Me Me Me = 0.66 σm,Me = -0.07 Da queste considerazioni emerge che i valori numerici delle costanti del sostituente σm esprimono quantitativamente l’entità dell’effetto induttivo esercitato dallo stesso sostituente. In altri termini il valore σm,NO2 = +0.71 dà la misura di quanto il gruppo nitro è elettronattrattore rispetto al metile per il quale σm,Me = -0.07. Per quanto concerne i sostituenti in posizione para-, la Tabella 4.1 mostra che i valori di σp non solo variano a secondo del sostituente e differiscono dai σm, ma per un dato sostituente σm e σp possono avere segno diverso. E’ questo il caso del gruppo metossile, per il quale σm,MeO = +0.12 proprio di un gruppo debolmente elettronattrattore e σp,MeO = -0.27 tipico di un gruppo elettron repulsore. Questa apparente contraddizione è facilmente spiegabile considerando che l’ossigeno del metossile è più elettronegativo del carbonio ed esercita quindi un effetto -I quando si trova in posizione meta. Il metossile si comporta allora come un sostituente elettronattrattore (σ > 0). Qualora lo stesso sostituente si trovi in posizione para-, esso esercita un effetto +M che prevale su quello induttivo -I ed il gruppo metossile si comporta da sostituente elettron repulsore (σ < 0). Appare chiaro che le costanti del sostituente σp tengono conto sia degli effetti polari, induttivi e di campo, che degli effetti mesomerici. Analogamente a quanto detto a proposito delle costanti del sostituente σm, i valori numerici di σp esprimono in modo quantitativo l’entità degli effetti induttivi e mesomerici esercitati dallo stesso sostituente. La velocità d’idrolisi basica dei benzoati d’etile metossi-sostituiti è perfettamente coerente con questo tipo di analisi. L’estere meta-metossi sostituito reagisce più velocemente rispetto al benzoato di etile mentre il para-metossibenzoato di etile si idrolizza più lentamente del substrato non sostituito. 118 δ− COOEt OH _ δ− O OH OH O δ−OEt OEt km,MeO > kH OMe OMe OMe δ− COOEt _ OH δ− O σm,MeO = +0.12 OH OH OEt O δ−OEt kp,MeO < kH OMe σp,MeO = -0.27 OMe OMe 4.2.2 Significato della costante di reazione, ρ La forma analitica dell’equazione di Hammett è quella di una retta passante per l’origine degli assi il cui coefficiente angolare ρ è detto costante di reazione. Questa definizione, benché ineccepibile dal punto di vista formale, è piuttosto insoddisfacente poiché non mette in luce il significato chimico di ρ. La Figura 4.3 mostra un diagramma nel quale la costante del sostituente σX è espressa in funzione del rapporto log(kX/kH) per tre reazioni differenti ognuna delle quali è caratterizzata dal corrispondente valore della costante di reazione ρ1, ρ2, ρ3. Questa rappresentazione grafica dell’equazione di Hammett mette in evidenza che per un dato sostituente X la reazione caratterizzata dalla costante ρ3 è più veloce delle altre due. ρ3 log(kX/kH) ρ2 ρ1 σX Figura 4.5. Rappresentazione grafica dell’equazione di Hammett per tre diverse reazioni caratterizzate dalle rispettive costanti di reazione positive ρ1, ρ2, ρ3. 119 La costante di reazione ρ costituisce la misura quantitativa della suscettibilità di una reazione indotta della presenza del sostituente X. Il diagramma mostrato nella Figura 4.5 si riferisce a tre processi caratterizzati da valori positivi della costante di reazione ρ. La velocità di reazione aumenta all’aumentare del valore σX; le reazioni caratterizzate da valori positivi di ρ sono tanto più veloci quanto più elettronattrattore è il sostituente X. L’andamento opposto si verifica per reazioni caratterizzate da valori negativi di ρ, come mostrato nella Figura 4.6: le reazioni caratterizzate da valori negativi di ρ sono rallentate dalla presenza di sostituenti elettronattrattori. 0 _ log(kX/kH) ρ1 ρ2 ρ3 σX Figura 4.6. Rappresentazione grafica dell’equazione di Hammett per tre diverse reazioni caratterizzate dalle rispettive costanti di reazione negative ρ1, ρ2, ρ3. Nella Tabella 4.2 sono riportati esempi di reazioni che obbediscono all’equazione di Hammett. Tabella 4.2. Valori delle costanti di reazione ρ. _________________________________________________________________________________________ Reazione ρ _________________________________________________________________________________________ ArNH2 + 2,4-(NO2)2-C6H3Cl in EtOH (25°C) ArNH2 + PhCOCl in benzene (25°C) Idrolisi di ArCH2Cl in acetone acquoso (69.8°C) ArO¯ + EtI in EtOH (25°C) Idrolisi acida di ArCH2COOMe in metanolo acquoso (25°C) ArCH2Cl + I¯ in acetone (25°C) Ionizzazione di ArCOOH in acqua (25°C) Ionizzazione di ArOH in acqua (25°C) Idrolisi basica di ArCOOEt in etanolo acquoso (25°C) Ionizzazione di ArNH3+ in acqua (25°C) -3.19 -2.69 -1.88 -0.99 +0.03 +0.79 +1.00 +2.01 +2.51 +2.73 _________________________________________________________________________________________ 120 Come reazione standard si sceglie la ionizzazione degli acidi benzoici in acqua a 25°C per analogia con la definizione di σX. Per questo processo la costante di velocità si assume ρ = 1.00. Il valore di ρ per una data reazione realizzata in condizioni specificate è indipendente dalla posizione (meta o para) del sostituente sull’anello benzenico. Inoltre, per una data reazione la presenza di un sostituente ne influenza la velocità a secondo dello sviluppo o della dispersione di carica che si verifica nello stato di transizione. Questa constatazione, di per sé ragionevole, permette di mettere in relazione la costante di reazione ρ con la variazione della carica tra stato di transizione e reagenti. Valori positivi di ρ implicano il passaggio attraverso uno stato di transizione con densità elettronica superiore a quella dei reagenti; la velocità della reazione aumenta quindi in presenza di gruppi elettronattrattori. Valori negativi di ρ denotano invece uno stato di transizione con densità elettronica inferiore a quella dei reagenti sicché la reazione è accelerata da gruppi a rilascio elettronico. La costante di reazione rappresenta dunque una misura della variazione di carica dello stato di transizione rispetto ai reagenti. Valori grandi di ρ sottintendono una spiccata variazione di carica mentre valori di ρ inferiori indicano una situazione elettronica dello stato di transizione simile a quella dei reagenti. Facendo riferimento ad un anello benzenico sostituito, che è il tipico sistema che obbedisce all’equazione di Hammett, le cariche dei reagenti e del corrispondente stato di transizione sono in relazione con ρ come è mostrato in modo riassuntivo nel seguente specchietto. ρ 6543- la carica negativa si sviluppa direttamente sull'anello benzenico o può delocalizzare direttamente la carica negativa si sviluppa in posizione adiacente o coniugata all'anello benzenico 210-1 - 1) l'anello benzenico è troppo distante dal centro di reazione 2) non ci sono variazioni di carica significative tra reagenti e stato di transizione 3) due ρ simili e di segno opposto tendono ad annullarsi -2 -3 - la carica positiva si sviluppa in posizione adiacente o coniugata all'anello benzenico -4 -5 -6 - la carica positiva si sviluppa direttamente sull'anello benzenico o può delocalizzare direttamente 121 Per illustrare compiutamente il significato della costante di reazione è opportuno ricorrere ai seguenti esempi. 4.2.2.1 Equilibri con ρ > 0. Come si è detto, la costante di reazione è per definizione posta uguale all’unità per la dissociazione degli acidi benzoici in acqua. Questo valore di ρ è compatibile con lo sviluppo di una parziale carica negativa sull’ossigeno carbossilico nello stato di transizione. Le costanti di reazione per la dissociazione di acidi omologhi devono avere valori inferiori all’unità, benché positivi, per via della maggiore distanza tra l’incipiente carica negativa ed il sostituente X. Si giustificano quindi il valore ρ = 0.5 per la dissociazione degli acidi arilacetici ed il valore ancora inferiore (ρ = 0.2) per la dissociazione degli acidi 3-arilpropionici. Se esiste la possibilità che intervenga coniugazione il valore di ρ aumenta a parità di distanza carica-sostituente; è questo il caso degli acidi cinnamici sostituiti. COOH COO + H+ X ρ = 1.00 X COOH COOH X X ρ = 0.5 COOH X ρ = 0.2 ρ = 0.5 Se la carica negativa si sviluppa in posizione più prossima all’anello benzenico, come ad esempio nella ionizzazione dei fenoli, ci si deve attendere un valore di ρ piuttosto grande e positivo. La stessa tendenza si manifesta in quegli equilibri che prevedono la scomparsa di una carica positiva su un atomo direttamente connesso all’anello benzenico, come ad esempio la dissociazione di ioni anilinio. OH NH3 X X ρ = 2.3 ρ = 3.2 4.2.2.2 Reazioni con ρ > 0. L’idrolisi alcalina dei benzoati etilici mostra ρ = 2.6 come conseguenza della parziale carica negativa all’ossigeno che si sviluppa nello stato di transizione (vedi pag. 118). Per reazioni che decorrono in più stadi la costante di reazione ρ è determinata dal passaggio cineticamente determinante, ovvero dal passaggio lento dell’intero processo. Alcuni esempi significativi comprendono la reazione di Wittig, le sostituzioni nucleofile aromatiche e le sostituzioni viniliche. 122 X CHO COOEt lento + Ar3P X EtOOC EtOOC veloce Ar3P ρ = 2.7 Ar3P O X O X veloce + EtOOC Br Br + lento HN ρ = 4.9 NO2 X Ar3P=O N N X O Br lento Ot-Bu + t-BuO ρ = 9.0 Ar Ar Br NO2 X O Ot-Bu Ar N veloce _ - Br Ar veloce _ - Br Ar Ar 4.2.2.3 Reazioni con ρ < 0. Le sostituzioni elettrofile aromatiche presentano valori della costante di reazione grandi e negativi, ovvero sono accelerate da sostituenti elettron repulsori, poiché nello stato di transizione si ha lo sviluppo di una carica positiva sull’anello benzenico. I valori tipici di ρ per questa classe di reazioni sono compresi tra -5.0 e -9.0. Valori meno negativi si hanno per le sostituzioni nucleofile monomolecolari, nelle quali la carica positiva si sviluppa in posizione adiacente all’anello benzenico. H + NO2 + lento ρ = -6.4 X + lento _ X OH veloce + H2O - Cl ρ = -4.5 NO2 veloce -H X Cl X NO2 X + H X Si hanno costanti di reazione di segno negativo anche nel caso di reazioni che comportano la dispersione di una carica negativa nello stato di transizione. Ne è un esempio l’alchilazione dei fenoli, che risulta accelerata da sostituenti a rilascio elettronico. 123 Me O + O lento EtI I ρ = -1.0 X OEt veloce _ -I H H X X 4.2.2.4 Reazioni con ρ ≈ 0. Le costanti di reazione sono piccole, sia positive che negative, quando la formazione o la dispersione della carica avviene in una posizione distante o non coniugata all’anello benzenico sostituito. A titolo di esempio si consideri la reazione d’idrolisi basica di acidi arilalifatici non coniugati. Un’altra ragione che comporta valori di ρ piccoli è l’assenza di variazioni di carica significative tra i reagenti e lo stato di transizione. Le reazioni di Diels-Alder, che decorrono generalmente sotto il controllo dell’HOMO del diene, avvengono su reagenti neutri attraverso uno stato di transizione privo di cariche. COOEt + COOH _ HO H2O + X ρ = +0.5 EtOH X Ar Ar O + O H O ρ = -0.6 O H O O Il terzo motivo che implica la comparsa di ρ piccoli è operante nel caso di quelle reazioni a stadi nelle quali due singoli stadi sono caratterizzati da valori di ρ di segno opposto. Ciò conduce alla parziale cancellazione delle costanti di reazione. L’idrolisi acida di benzoati etilici decorre attraverso un meccanismo a cinque stadi nel quale il primo ed il secondo, più lenti, sono caratterizzati da ρ con segno opposto. Ne risulta che la costante di reazione per l’intero processo vale solo +0.03. O OH OEt + H HO H2O OEt -H lento X HO O OH O Et X X ρ>0 OH H + H OEt + ρ<0 X OH OH OH + - EtOH -H X X 124 ρtot = +0.03 4.2.3 Coniugazione diretta Si è finora tacitamente assunto che le costanti del sostituente σ siano valide indipendentemente dalla posizione del centro su cui avviene la reazione rispetto all’anello benzenico. In realtà la discussione svolta fino a questo punto si è limitata a sistemi nei quali il centro reattivo, pur essendo legato all’anello benzenico, non è in grado di mettere in pratica una coniugazione diretta. Ad esempio nell’idrolisi basica dei benzoati alchilici la carica negativa che si sviluppa a livello dell’intermedio di reazione non può coniugare direttamente con l’anello aromatico. O OH OR Z Una situazione assai differente si prospetta nel caso della dissociazione di fenoli para-sostituiti, nei quali la carica negativa dell’ossigeno fenolico può entrare in coniugazione diretta con l’anello benzenico. O O Z Z Date le due reazioni di dissociazione in acqua a, b riguardanti rispettivamente acidi benzoici e fenoli para-sostituiti a Z COOH b Z OH + + H2O COO Z H2O Z O + + + H3O + H3O il diagramma che si ottiene ponendo i valori di log(KX/KH)a per la reazione a in funzione dei valori log(KX/KH)b per la reazione b mostra che i punti sperimentali per i sostituenti fortemente elettronattrattori –CN e –NO2 non sottostanno ad una relazione lineare, indicando che i fenoli para-sostituiti con questi gruppi sono acidi più forti di quanto ci si aspetterebbe da questa correlazione lineare. In altri termini i valori σp per gruppi fortemente elettronattrattori non tengono conto degli effetti dovuti alla coniugazione diretta sull’anello benzenico, il che implica che in questi casi l’equazione di Hammett basata sui valori σp non è più valida. 125 log(KX/KH)a p-NO2 p-CN p-Br p-Cl H p-F p-Me log(KX/KH)b Figura 4.7. Correlazione di log(KX/KH) per la dissociazione di acidi benzoici e fenoli. Per ricondursi alla situazione di linearità si definisce una nuova costante del sostituente σp¯ valida per reazioni che prevedono intermedi in grado di esercitare coniugazione diretta. Il procedimento operativo che porta alla determinazione di queste nuove costanti del sostituente si esegue in modo semplice. Basta diagrammare log(kX/kH) in funzione di σ per fenoli meta-sostituiti, che non sono in grado di produrre coniugazione diretta. Dalla pendenza della retta che interpola i dati sperimentali si ricava la costante di reazione ρ valida per la dissociazione di fenoli meta-sostituiti. Ricordando che il valore di ρ è indipendente dalla posizione (meta o para) del sostituente sull’anello benzenico (cfr. pag. 119), il passaggio successivo comporta l’utilizzo di questa ρ nell’equazione di Hammett riguardante la dissociazione di fenoli para-sostituiti. Si ottengono così le nuove costanti del sostituente σp¯ valide per sostituenti elettronattrattori. Nella seguente Tabella, a titolo di confronto, si affiancano i valori di σ già riportati nella Tabella 4.1. Tabella 4.3. Valori delle costanti del sostituente σp¯. _________________________________________________________________ Sostituente σp¯ σp _________________________________________________________________ -COOEt -COMe -CN -CHO -NO2 0.68 0.84 0.88 1.03 1.27 0.45 0.50 0.66 0.43 0.78 _______________________________________________________________ Naturalmente esistono reazioni nelle quali la coniugazione diretta con l’anello benzenico, e quindi con il sostituente, coinvolge centri carichi positivamente. E’ questo il caso della solvolisi (SN1) di 2-aril-2-cloropropani. 126 Cl OH H2O -H+ X X X X Il diagramma log(kX/kH) in funzione di σ non è lineare per i sostituenti elettron repulsori. Il motivo di questa mancanza di linearità è dovuta alla possibilità del catione in posizione benzilica di coniugare direttamente con l’anello benzenico e quindi con il sostituente X. Questa situazione è ovviamente stabilizzata da sostituenti elettron repulsori più di quanto ci si aspetterebbe sulla base dei valori di σ. p-MeO log(kX/kH) p-Me H p-CN p-NO2 σ Figura 4.8. Correlazione tra log(kX/kH) in funzione di σ per la solvolisi di 2-aril-2-cloropropani. Procedendo in modo analogo a quanto fatto nel caso dei fenoli para-sostituiti si definiscono le costanti del sostituente σp+, che sono valide per gruppi elettron repulsori. Tabella 4.4. Valori delle costanti del sostituente σp+. _________________________________________________________________ σp+ σp _________________________________________________________________ Sostituente -Ph -Me -OMe -NMe2 -0.18 -0.31 -0.78 -1.70 -0.01 -0.17 -0.27 -0.83 _______________________________________________________________ Si hanno dunque due serie di costanti del sostituente; i valori σp utilizzabili sia per sostituenti elettronattrattori che elettron repulsori ed i valori σp- e σp+ validi 127 rispettivamente per sostituenti elettronattrattori ed elettron repulsori. L’utilizzo di una delle due serie di costanti del sostituente è determinata dalla collocazione del centro reattivo rispetto all’anello benzenico e, quindi, alla possibilità che possa intervenire coniugazione diretta. I valori tabulati di σp- e σp+ si ottengono dalle reazioni di riferimento sopra menzionate; non deve quindi sorprendere che per altri processi in grado di esercitare coniugazione diretta queste nuove costanti del sostituente non siano sempre del tutto valide. In effetti lo sviluppo della carica nello stadio lento della reazione può risultare assai variabile a secondo del tipo di centro reattivo coinvolto. A titolo d’esempio, l’anione tiofenato è in grado di disperdere la carica negativa sull’atomo di zolfo più efficacemente di quanto accada nel caso dell’ossigeno fenolico. In definitiva è plausibile che un certo sostituente in posizione para risponda in modo diverso alla coniugazione diretta a secondo della localizzazione di carica sul centro reattivo proprio perché quest’ultima può variare a secondo della natura del centro reattivo. 4.3 Equazioni a due parametri La considerevole attività di ricerca svolta nel campo delle correlazioni lineari di energia libera ha prodotto come risultato la comparsa di un gran numero di queste relazioni, formulate nel tentativo di inquadrare il maggior numero possibile di reazioni organiche. Particolare enfasi è stata posta sulle correlazioni a due parametri, che in alcuni casi permettono di ottenere correlazioni lineari assai accurate laddove viene meno l’applicabilità dell’equazione di Hammett. 4.3.1 Equazione di Yukawa-Tsuno La variabilità, o meglio la non perfetta costanza dei valori di σp- e σp+ al variare del centro reattivo in grado di esercitare coniugazione diretta, ha prodotto come risultato l’introduzione di ulteriori parametri nell’equazione di Hammett nel tentativo di ottenere correlazioni lineari per un numero di reazioni più possibile vasto. L’equazione di Yukawa-Tsuno rappresenta uno degli esempi di equazioni a due parametri concettualmente più semplici e maggiormente utilizzati nella pratica. Per sostituenti elettron repulsori l’equazione di Yukawa-Tsuno ha la forma seguente log kX = ρ[σ + r (σ + − σ )] kH mentre per sostituenti elettronattrattori vale l’analoga relazione lineare log kX = ρ[σ + r (σ − − σ )] kH Il nuovo parametro r quantifica l’intervento della coniugazione diretta in una certa reazione ed è posto uguale all’unità, per definizione, in riferimento alla solvolisi dei 2-aril-2-cloropropani già utilizzata per definire le costanti del sostituente σp+. Per questa reazione standard l’equazione di Yukawa-Tsuno si semplifica nelle seguenti espressioni 128 log kX = ρσ + kH oppure log kX = ρσ − kH mentre se non vi è coniugazione diretta si pone r = 0 riottenendo l’equazione di Hammett. Per ricavare i valori di r si misurano le kX per sostituenti collocati in posizione meta-, da cui si ottiene il valore di ρ da inserire nell’equazione di YukawaTsuno. Si misurano quindi le kX per sostituenti in posizione para- per i quali siano noti i valori σp+ o σp-. A questo punto dall’equazione di Yukawa-Tsuno si ricava r. Per l’idrolisi base-catalizzata di fenossitrietilsilani para-sostituiti si trova r = 0.50, ad indicare che per questa reazione la coniugazione diretta è operante in modo significativo. In altri termini la carica negativa sull’ossigeno fenolico è presente in modo piuttosto consistente nello stato di transizione, il che implica necessariamente che la rottura del legame O-Si a questo livello sia piuttosto avanzata. Si può quindi affermare che la grandezza del parametro r costituisce una misura indiretta del grado di rottura del legame esistente tra il centro reattivo ed il gruppo uscente nello stato di transizione. − δ O N O O − Et δ OH Si Et Et r = 0.50 ρ = +3.52 4.3.2 Altre equazioni a due parametri Oltre all’equazione di Yukawa-Tsuno esistono molte altre correlazioni a due parametri alcune delle quali sono di utilizzo piuttosto ampio, mentre alcune possono dare l’impressione di essere costruite ad hoc per ottenere relazioni lineari nel caso venga meno la validità dell’equazione di Hammett. E’ bene guardarsi da un’eccessiva confidenza nell’introduzione di parametri atti solo a produrre migliori relazioni lineari con i dati sperimentali, poiché si può correre il rischio di perdere di vista il significato fisico di questi nuovi parametri. In tal caso è consigliabile limitarsi all’analisi dei dati sperimentali tramite la semplice equazione di Hammett, che ha il notevole pregio di definire univocamente le costanti ρ e σ. Tenendo presente questo avvertimento, è pur vero che alcune correlazioni a due parametri, come si è detto, possono risultare piuttosto utili. E’ questo il caso dell’equazione di Swain-Lupton, che utilizza quale reazione di riferimento la dissociazione degli acidi biciclo[2.2.2]ottanocarbossilici sostituiti. COOH X 129 L’equazione di Swain-Lupton ha la forma log kX = fF + rR kH dove la costante del sostituente è espressa come somma di due termini; uno di campo (effetto polare o induttivo, F) ed uno di risonanza, R. In questo modo per il sostituente X si separano, di fatto, il contributo dato dall’effetto induttivo da quello dovuto all’effetto di risonanza. Le costanti di reazione sono invece f ed r. I termini F ed R si possono mettere in relazione con le costanti del sostituente σm, σp di Hammett e σ+, σ¯ di Yukawa-Tsuno attraverso le seguenti relazioni empiriche σm = 0.60 F + 0.27 R σp = 0.56 F + 1.00 R σ+ = 0.51 F + 1.59 R σ¯ = 0.75 F + 1.52 R Tabella 4.5. Valori di F ed R per l’equazione di Swain-Lupton. _________________________________________________________ X F R _________________________________________________________ COMe NH2 Br COOH COO¯ Cl CN OEt COOEt H F OPh NMe2 NHCOMe SO2NH2 OH Me NO2 Ph CF3 0.50 ± 0.05 0.38 ± 0.08 0.72 ± 0.03 0.44 ± 0.03 -0.27 ± 0.03 0.72 ± 0.03 0.90 ± 0.03 0.61 ± 0.10 0.47 ± 0.02 0 0.74 ± 0.06 0.76 ± 0.07 0.69 ± 0.13 0.77 ± 0.07 0.55 ± 0.09 0.46 ± 0.04 -0.01 ± 0.03 1.00 ± 0.00 0.52 ± 0.05 0.64 ± 0.03 0.90 ± 0.12 -2.52 ± 0.23 -0.18 ± 0.07 0.66 ± 0.08 0.40 ± 0.08 -0.24 ± 0.08 0.71 ± 0.07 -1.72 ± 0.30 0.67 ± 0.02 0 -0.60 ± 0.12 -1.29 ± 0.15 -3.81 ± 0.42 -1.43 ± 0.17 1.07 ± 0.27 -1.89 ± 0.17 -0.41 ± 0.08 1.00 ± 0.00 -0.37 ± 0.11 0.76 ± 0.08 _________________________________________________________ 130 La decomposizione termica dei sali di arildiazonio a dare i corrispondenti cloruri arilici _ N Cl N Cl X + N2 X non rispetta l’equazione di Hammett come si vede dal diagramma di sinistra riportato nella Figura 4.9. Il trattamento dei dati sperimentali con i parametri dell’equazione di Swain-Lupton, proposto nel grafico di destra della Figura 4.9, produce invece un’eccellente correlazione lineare. 0- 0- log(kX/kH) log(kX/kH) -4 -0.5 0.5 -4 -4 σp fF + rR 0 Figura 4.9. Correlazione di log(kX/kH) in funzione del σ di Hammett (diagramma di sinistra) ed in funzione dei parametri dell’equazione di Swain-Lupton (diagramma di destra). 4.4 Deviazioni dalla linearità Nel paragrafo precedente si è verificata la possibilità di ottenere correlazioni lineari attraverso l’uso di equazioni multiparametriche qualora l’equazione di Hammett fornisca diagrammi non lineari. Per contro si possono ottenere informazioni meccanicistiche molto utili soprattutto dall’esame dei diagrammi non lineari espressi in funzione delle costanti del sostituente definite dall’equazione di Hammett. Ad esempio il grafico che esprime log kX in funzione di σX per l’acetolisi dei 3-aril-2butil brosilati non è lineare, come testimoniato dal diagramma riportato nella Figura 4.10. X X _ AcO /AcOH kX OBs OAc 131 p-MeO logkX p-Me m-Me H p-Cl m-Cl p-CF3 p-NO2 m-CF3 σX Figura 4.10. Grafico di logkX in funzione di σ per l’acetolisi dei 3-aril-2-butil brosilati. L’aumento non lineare della velocità di acetolisi si verifica nel caso di sostituenti elettron repulsori, poiché in questi casi è possibile l’assistenza interna alla sostituzione nucleofila con formazione dello ione fenonio ciclico come intermedio. E’ evidente che sostituenti elettronattrattori non possono essere in grado di fornire l’assistenza necessaria per produrre questo attacco nucleofilo interno. OMe OMe OMe _ -BsO lento AcO _ veloce OBs OAc Si hanno evidenze stereochimiche dell’intervento dello ione fenonio ciclico. Partendo dall’isomero treo puro, l’attacco nucleofilo esterno da parte dell’anione acetato può condurre solo all’acetato eritro attraverso un meccanismo SN2, mentre l’attacco nucleofilo interno promosso dalla presenza di un gruppo a rilascio elettronico produce solo l’isomero treo. AcO Ar H Me Ar _ H Me OAc Me H eritro H Me OBs X treo _ -BsO AcO H Me H Me 132 Ar _ H Me Ar H Me OAc H Me OAc H treo Me In presenza del sostituente metossi- in posizione para sull’anello benzenico si ottiene solo il diastereoisomero treo, il che è indice di completa assistenza interna (intramolecolare). Se X = NO2 si ha invece la netta predominanza dell’isomero eritro, ad indicare che la reazione procede solo per attacco nucleofilo esterno da parte dello ione acetato. La velocità d’idrolisi di benzoati etilici in acido solforico al 99.9% non è lineare in funzione di σX, al contrario di quanto avviene per l’analoga idrolisi condotta in presenza di acidi diluiti. Questo comportamento è evidentemente dovuto ad un cambio di meccanismo rispetto a quello già discusso ed operante in queste ultime condizioni. In presenza di sostituenti elettron repulsori sull’anello benzenico la velocità d’idrolisi diminuisce all’aumentare di σX e si ha ρ = -3.25. Questa situazione descrive il ramo lineare sinistro della curva riportata nella Figura 4.11, ed è compatibile con il meccanismo AAc1 nel quale la carica positiva risulta tanto più stabilizzata quanto più il sostituente è elettron repulsore. Ar O lento Ar C O Ar H2O OEt O -H+ Ar O OH OH2 In presenza di sostituenti elettronattrattori si verifica l’inversione della pendenza del ramo lineare sinistro della curva. Ciò implica un cambio di meccanismo da AAc1 ad AAl1. L’uscita del catione etilico nello stadio lento della reazione comporta una forte diminuzione della carica positiva nello stato di transizione che conduce all’acido carbossilico ArCOOH. Questa dispersione di carica positiva è compatibile con il valore ρ = 2.0 e col fatto che la reazione risulta accelerata da sostituenti elettronattrattori. Ar O H+ Ar O lento Ar O OEt H O OH Me + Et + H2O EtOH + H+ logkX ρ = -3.25 ρ = 2.0 0 0.7 1.4 σX Figura 4.11. Grafico di logkX in funzione di σx per l’idrolisi di benzoati etilici in H2SO4 al 99.9%. 133 La ciclodisidratazione di 2-fenil-triarilcarbinoli mostra il seguente diagramma di logkX in funzione di σX. logkX ρ = -2.51 ρ = 2.67 0 σX Figura 4.12. Grafico di logkX in funzione di σx per la ciclodisidratazione di 2-fenil-triarilcarbinoli. In questo caso si ipotizza il seguente meccanismo a stadi. La pendenza del ramo lineare sinistro, caratterizzato da un valore di ρ > 0, è coerente con la dispersione della carica positiva che si verifica nel passaggio lento c. La pendenza del ramo lineare destro si inverte rispetto al precedente. Il valore di ρ < 0 che lo caratterizza è conseguenza della creazione della carica positiva in posizione benzilica nel passaggio lento b del meccanismo proposto. Ar H+ veloce OH a Ar lento c Ar Ar H -H2O Ar lento OH2 b Ar Ar Ar -H+ veloce d Ar Ar 4.5 Effetti sterici Come si è detto, i derivati benzenici orto-sostituiti ed i composti alifatici non obbediscono all’equazione di Hammett in virtù degli ingombri sterici esercitati dal sostituente sul centro di reazione (cfr. pag. 115). In questo paragrafo si mostrerà come si possa tenere debitamente conto di questi effetti sterici attraverso l’introduzione di appositi parametri che consentono di ottenere correlazioni lineari. 4.5.1 Equazione di Taft In riferimento alle reazioni di idrolisi base- ed acido-catalizzate di esteri alifatici è ragionevole ammettere che i rispettivi stati di transizione siano assai somiglianti dal 134 punto di vista dell’ingombro sterico. In effetti questi due stati di transizione differiscono, oltre che per la carica complessiva, per il numero di protoni presenti nella struttura, laddove lo stato di transizione derivante dal meccanismo acidocatalizzato ne prevede due in più. Entrambi gli stati di transizione sono tetraedrici e, poiché i protoni esercitano un ingombro sterico sufficientemente piccolo da poter essere trascurato, si può ritenere che ogni effetto di natura sterica possa essere attribuito al solo sostituente R e sia sostanzialmente identico sia nella reazione acidocatalizzata che in quella base-catalizzata. O R C OH OEt R OH OEt C OH2 E’ quindi possibile scrivere la seguente equazione che rappresenta i soli effetti polari dovuti al sostituente R nelle reazioni acido-catalizzate (pedice: a) e base-catalizzate (pedice: b) ⎛k ⎞ ⎛k ⎞ log⎜⎜ R ⎟⎟ − log⎜⎜ R ⎟⎟ = ρ * σ * ⎝ k0 ⎠ b ⎝ k0 ⎠a Dato che gli effetti sterici dovuti al sostituente R sono gli stessi indipendentemente dal tipo di idrolisi (acido- o base-catalizzata) i termini sterici dovuti al sostituente si cancellano reciprocamente e non compaiono in quest’ultima equazione. Il termine ρ* indica la suscettibilità della reazione rispetto ai soli effetti polari; vale +2.48 ed è determinato dalla sottrazione delle rispettive costanti di reazione per l’idrolisi basecatalizzata (ρ = +2.51) ed acido-catalizzata (ρ = + 0.03). Inoltre si conviene di adottare il gruppo metilico quale sostituente di riferimento, sicché la costante di velocità k0 si riferisce all’idrolisi dell’acetato d’etile (R = Me). Eseguendo misure cinetiche su una serie di esteri alifatici con R ≠ Me si possono calcolare le nuove costanti del sostituente σ* assumendo che, per definizione, σMe* = 0. Questi valori σR* si utilizzano nell’equazione di Taft che assume la forma k log R = ρ * σ * k Me valida per un buon numero di reazioni che coinvolgono derivati alifatici, ad esempio base R OH R Br + Ph S R O R SPh + Br _ NH2 R O + Ph PhCOCl NH 135 R 4.5.2 Parametri sterici L’equazione di Taft esprime solo l’effetto polare esercitato dal sostituente R. Ciò non significa che non vi siano effetti sterici operanti durante la reazione ma solo che la variazione di questi effetti tra stati di transizione e reagenti è piccola. Non deve quindi sorprendere che, come nel caso dell’equazione di Hammett, si possano verificare deviazioni dalla linearità dovute ad effetti di tipo sterico qualora non sia più trascurabile il loro diverso apporto a stati di transizione e reagenti. Per tenere conto convenientemente di questi effetti si introduce il parametro ES la cui definizione si regge sull’idrolisi acido-catalizzata di esteri. Si è detto (pag. 124) che per la reazione acido-catalizzata dei benzoati etilici si ha ρ = + 0.03, il che implica l’indipendenza di questa reazione dagli effetti polari esercitati dal sostituente X. O OEt X E’ ragionevole ammettere che anche per gli etilesteri alifatici a formula generale RCOOEt gli effetti polari dovuti al sostituente debbano essere piccoli come nel caso dei benzoati etilici e possano pertanto essere trascurati. Qualora si verifichino variazioni nella velocità d’idrolisi acida di esteri è chiaro che tali variazioni possono essere imputate solo ad effetti di natura sterica. Il parametro ES si definisce attraverso la seguente relazione, prendendo R = Me quale sostituente di riferimento. ⎛ k E S = log⎜⎜ RCOOEt ⎝ k MeCOOEt ⎞ ⎟⎟ ⎠ acida Tutti i sostituenti più ingombranti del metile rallentano la reazione d’idrolisi acida, cioè i valori di ES sono tanto più negativi quanto più ingombrante è il sostituente R (Tabella 4.6). Tabella 4.6. Valori del parametro sterico ES. _________________________________________________________________ Sostituente ES Sostituente ES _________________________________________________________________ -H -Me -Et -CH2Cl +1.24 0 -0.07 -0.24 -CH2Ph -CMe3 -CHPh2 -CEt3 -0.38 -1.54 -1.76 -3.81 _______________________________________________________________ Poiché si trova sperimentalmente che i valori di ES sono alquanto variabili a secondo del tipo di reazione, per ottenere l’andamento lineare si è costretti ad introdurre un 136 uletriore parametro, δ, atto a misurare la suscettibilità di una reazione nei confronti dei soli effetti sterici. Il valore del parametro δ è posto pari all’unità, per definizione, nel caso dell’idrolisi acido-catalizzata di esteri. L’equazione che tiene conto degli effetti polari e sterici assume la forma log kR = ρ * σ R * +δE S k Me 4.6 Problemi 1. Per la reazione O R H+ HO H2O R CH2OH si hanno i seguenti dati cinetici k σ* R 16.80 0 Me 20.17 -0.10 Et 5.60 +0.60 Ph 11.33 +0.215 PhCH2 Verificare graficamente se è seguita una correlazione lineare di logkR/kMe in funzione di σ*. In caso affermativo specificare: (1) di quale correlazione si tratta e (2) calcolare il valore di ρ*. 2. La reazione di idroborazione di stireni para-sostituiti obbedisce all’equazione di Hammett. Dati i seguenti valori della costante di velocità in funzione del sostituente 102logk R 90.68 Me2N 81.86 Me 75.00 H 40.21 CN calcolare: (1) il valore di ρ, spiegandone il significato attraverso un meccanismo plausibile; (2) il valore di σ per il sostituente –CF3 se 102logk = 49.03 3. La seguente reazione di eliminazione I + _ EtO + X EtOH _ + I X rispetta l’equazione di Hammett. In base alle misurazioni cinetiche riassunte nella seguente Tabella, calcolare il valore di ρ. kX/kH σ X 1.000 0 H 0.787 -0.12 MeO 137 2.096 +0.37 Cl 5.155 +0.82 NO2 4. Si hanno i seguenti valori di Ka per gli acidi benzoici para-sostituiti con un alogeno: KH = 1.74 x 10-5; KF = 2.00 x 10-5; KCl = 2.21 x 10-5; KBr = 2.24 x 10-5; KI = 2.30 x 10-5 Utilizzando la Tabella dei valori di σ stabilire se viene seguita l’equazione di Hammett. 5. La seguente reazione + X H N Me X NHMe NO non obbedisce all’equazione di Hammett in quanto il diagramma di logk in funzione di σ non è lineare e mostra l’andamento descritto nella seguente Figura. logkX 0 0.5 1.0 σX Spiegare la variazione di meccanismo in funzione delle caratteristiche elettroniche del sostituente X. 4.7 Bibliografia Alcune monografie specialistiche che trattano in modo approfondito le correlazioni lineari di energia libera sono le seguenti. 1. 2. 3. A. Williams Free Energy Relationships in Organic and Bio-Organic Chemistry The Royal Society of Chemistry, Cambridge, 2003. C. D. Johnson The Hammett Equation Cambridge University Press, Cambridge, 2003. J. E. Leffler, E. Grunwald Rates and Equilibria of Organic Reactions Dover Publications, New York, 1989. 138 5 I SOLVENTI ____________________________________________________________________ 5.1 Introduzione 139 5.2 Energia libera di solvatazione 140 5.3 Momento dipolare, costante dielettrica e polarità dei solventi 142 5.4 Relazioni empiriche 144 5.5 Effetti del solvente sugli equilibri chimici 153 5.6 Effetti del solvente sul meccanismo di reazione 156 5.7 L’acqua 161 5.8 Liquidi ionici 164 5.9 Problemi 166 5.10 Bibliografia 167 ____________________________________________________________________ 5.1 Introduzione La realizzazione delle reazioni organiche copre uno spettro amplissimo di condizioni sperimentali. Si conoscono processi che decorrono in fase gassosa così come in fase solida oppure per miscelazione diretta di reagenti liquidi. Ma nella stragrande maggioranza dei casi le trasformazioni utili ed interessanti in chimica organica sono condotte in soluzione, cioè le specie reagenti interagiscono in presenza di un solvente. Il solvente è sempre una specie liquida le cui caratteristiche chimiche e chimico-fisiche sono da tenere in debita considerazione nelle fasi di separazione e purificazione dei prodotti di reazione, nell’analisi mediante i comuni metodi spettroscopici e, naturalmente, nell’adeguata predisposizione di una reazione. In questo capitolo ci si soffermerà essenzialmente su quest’ultimo punto. Si prenda in considerazione, a titolo d’esempio, la reazione di trasferimento protonico tra il 2-fenil propionitrile e lo ione metossido. La velocità di questo semplice processo dipende in modo eclatante dal solvente impiegato; passando dal metanolo al dimetilsolfossido la costante di velocità aumenta di nove ordini di grandezza. Ph CN Me _ + MeO Ph CN Me 139 + MeOH kDMSO/ kMeOH = 10 9 Di fronte ad effetti tanto importanti sulla velocità di reazione è evidente che la scelta del solvente rappresenta un fattore determinante nella messa a punto delle condizioni sperimentali più opportune. Il ricorso al solvente non è tuttavia dettato solo da esigenze di tipo cinetico. Le reazioni in fase gassosa sono infatti piuttosto rare nella pratica della chimica organica perché i reagenti utilizzati comunemente hanno una volatilità troppo bassa per poter vaporizzare in modo efficace. Inoltre in fase gassosa si possono realizzare solo reazioni tra specie neutre per le quali non si prevede sviluppo o dispersione di carica nello stato di transizione. Per quanto riguarda le reazioni in fase solida, la limitazione principale è legata alla grande difficoltà di diffusione dei reagenti. Lo stesso problema può presentarsi anche nel caso di reazioni tra specie liquide, che di solito sono caratterizzate da viscosità piuttosto elevate. Il ricorso ad un mezzo di reazione è quindi una condizione necessaria affinché la maggior parte delle reazioni organiche possa avere luogo in tempi sufficientemente brevi. Dal punto di vista pratico la scelta del solvente si compie in base a diversi criteri. La stabilità chimica e termica nelle condizioni d’impiego e la buona solubilità dei reagenti sono fattori determinanti ma non vanno trascurate altre importanti caratteristiche legate alla tossicità, all’infiammabilità e all’eventuale miscibilità con altri solventi. Sempre per scopi pratici è conveniente classificare i solventi in base alle loro proprietà acide o basiche secondo Brønsted. I solventi capaci di produrre autoprotolisi sono detti anfiprotici; l’acqua ne è il prototipo. Solventi di acidità paragonabile a quella dell’acqua sono detti neutri, mentre sono classificati protogenici e protofilici i solventi anfiprotici rispettivamente più acidi e più basici dell’acqua. I solventi che non sono in grado di autoionizzarsi si dicono aprotici e si distinguono a loro volta in inerti o dipolari aprotici. Questi ultimi solventi possono essere protofilici se sono più basici dell’acqua, protofobici se lo sono meno. Questi criteri di classificazione sono riassunti nella Tabella 5.1. Tabella 5.1. Classificazione dei solventi organici _________________________________________________________________________________________________________ Classificazione Esempi _________________________________________________________________________________________________________ anfiprotici neutri protogenici protofilici H2O, MeOH, PhOH, MeCOOH, MeNH2, MeCONH2 aprotici dipolari protofilici dipolari protofobici inerti DMSO, DMF, piridina, 1,4-diossano, MeCN, CHCl3, MeNO2, acetone, esano, benzene, CCl4, 1,2-dicloroetano _________________________________________________________________________________________________________ 5.2 Energia libera di solvatazione Si definisce soluzione una fase liquida omogenea risultante dal mescolamento di un soluto in un solvente, dove quest’ultimo è di solito presente in grande eccesso. Il soluto può essere una specie chimica sia liquida che solida o gassosa. Per ottenere 140 una soluzione di un soluto gassoso lo si gorgoglia nel solvente appropriato, di solito fino a saturazione. Se la dissoluzione del soluto avviene spontaneamente essa dev’essere accompagnata dalla diminuzione di energia libera del sistema. Questa energia libera, detta di solvatazione, si indica con ∆GS ed è una quantità complessa costituita da quattro processi fisici: 1 creazione di una cavità nel solvente. Questo fenomeno comporta la riduzione delle forze intermolecolari solvente-solvente ed è un processo endoergonico caratterizzato quindi da valori positivi di ∆G; 2 separazione delle molecole di soluto. Anche in questo caso si ha diminuzione od annullamento delle forze intermolecolari soluto-soluto, il che comporta una variazione positiva dell’energia libera; 3 introduzione di una molecola di soluto nella cavità del solvente. Si creano nuove forze intermolecolari solvente-soluto, il processo è esoergonico e comporta valori negativi di ∆G; 4 entropia di mescolamento soluto-solvente. E’ una quantità positiva che è quindi accompagnata da ∆G < 0. I processi 1,2 sono in relazione con il calore latente di evaporazione rispettivamente del solvente e del soluto. Questa dipendenza è intuitiva; a ∆Hev maggiori deve corrispondere un lavoro superiore per diminuire od annullare le forze di interazione intermolecolari. E’ altrettanto intuitivo che al fine di giungere al dissolvimento del soluto la somma delle energie libere positive dei processi 1,2 debbano essere inferiori alla somma di quelle negative dei processi 3,4. Qualora solvente e soluto siano specie chimicamente simili i contributi esoergonici hanno il sopravvento e come risultato si ha una buona solubilità. Una volta ottenuta la dissoluzione del soluto occorre tenere conto delle forze intermolecolari tra lo stesso soluto e le molecole di solvente che lo circondano. Si vengono a creare degli aggregati soluto-solvente e le forze responsabili della costituzione di questi aggregati danno luogo al fenomeno della solvatazione. E’ plausibile che la solvatazione non riguardi esclusivamente il primo strato delle molecole di solvente che circondano il soluto. Ciò è vero particolarmente nel caso di soluti ionici ed è plausibile che l’intorno del soluto carico, detta regione cibotattica e caratterizzata dalla disposizione relativamente ordinata delle molecole di solvente, si possa estendere oltre lo strato interno del solvente, cioè quello direttamente a contatto col soluto. Il volume occupato dalla regione cibotattica è tanto più grande quanto meno polarizzabile è il solvente dato che la caduta del potenziale elettrico determinata dal soluto carico è tanto più rapida quanto più efficacemente può essere dispersa dal solvente. Come risultato dell’esplicarsi delle forze di solvatazione la densità della regione cibotattica risulta superiore a quella del solvente libero. Ne consegue il fenomeno di elettrostrizione del soluto, inteso come riduzione del volume occupato dal soluto rispetto a quello che occuperebbe in assenza di solvente. In altri termini l’aumento di densità del solvente indotto dalle forze di solvatazione ha come effetto la compressione del soluto. L’effetto di tutte le forze di attrazione intermolecolari produce una pressione interna pari ad alcune migliaia di atmosfere che agisce su tutte le molecole della fase liquida. 141 5.3 Momento dipolare, costante dielettrica e polarità dei solventi Fino a questo punto la discussione si è svolta su basi puramente descrittive dato che lo studio dettagliato di tutte le forze intermolecolari che operano simultaneamente in seno ad una soluzione è molto complesso. Tuttavia ci si può chiedere quali caratteristiche fisiche deve possedere una specie covalente, qual’è la maggior parte dei solventi, per portare in soluzione una specie ionica. Queste caratteristiche si riassumono in un elevato momento dipolare ed un’elevata costante dielettrica. Il momento dipolare di una molecola è la somma vettoriale di tutti i singoli dipoli presenti al suo interno. Ogni legame tra elementi a diversa elettronegatività possiede un momento di dipolo µ=rq dove r è la distanza tra i centri delle cariche e q è la carica su ciascun atomo. Il momento di dipolo è espresso in Debye (1D = 3.336 ּ 10-30 C m) e per convenzione è rappresentato da una freccia diretta dal centro della carica positiva al centro di quella negativa. Quasi tutti i solventi presentano un dipolo permanente, fanno eccezione i solventi apolari e quelli a simmetria tale per cui la somma vettoriale dei contributi dipolari di ogni singolo legame è nulla (Figura 5.1). Me Cl S C S Cl Cl Cl Me Figura 5.1. Alcuni solventi organici a momento dipolare nullo. Nella seguente Tabella sono riportati i momenti dipolari di alcuni dei solventi organici più utilizzati. Tabella 5.2. Momenti dipolari di alcuni solventi organici. _____________________________________________________________________________________________________ solvente µ (D) solvente µ (D) toluene 1,4-diossano CHCl3 Et2O CH2Cl2 MeOH THF 0.30 0.45 1.14 1.14 1.56 1.71 1.74 AcOEt Me2C=O MeNO2 DMF MeCN DMSO HMPT 1.83 2.85 3.57 3.90 4.11 4.11 5.55 _____________________________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________ 142 In questa Tabella fa spicco il valore molto contenuto del momento dipolare dell’ 1,4-diossano (µ = 0.45 D), che è dovuto alla somma dei momenti dipolari per la conformazione non polare a sedia, largamente preponderante, e per quella polare a barca. I momenti dipolari più elevati si hanno per molecole costituite da eteroatomi ad elettronegatività molto diversa fra loro, come ad esempio il caso dell’HMPT (µ = 5.55 D). O O O O O Me2N Me2N P NMe2 La costante dielettrica del mezzo, εm, è espressa dalla legge di Coulomb, che nel sistema SI si scrive 1 q 1q 2 F= r1,2 4πε 0 r 3 dove q1, q2 sono cariche elettriche puntiformi, r è la distanza lineare tra q1 e q2, r1,2 è il raggio vettore che collega q1 e q2 ed ε0 è la permettività dielettrica nel vuoto, che vale 8.85 ּ 10-12 C2N/m2. Nello studio del mezzo solvente la scala delle costanti dielettriche ε si basa sul rapporto ε = εm/ε0, per cui la costante dielettrica del vuoto vale 1.00. La costante dielettrica è indice di quanto la forza di interazione tra le cariche q1 e q2 è minore nel mezzo solvente rispetto al vuoto. In altri termini ε esprime la capacità del solvente di schermare le cariche elettriche. E’ infatti evidente che all’aumentare della costante dielettrica la forza di interazione tra le cariche diminuisce esistendo tra ε ed F una relazione di proporzionalità inversa. Tabella 5.3. Costante dielettrica di alcuni solventi organici a 25°C. _________________________________________________________________________________________________________ solvente ε solvente ε solvente ε 2.21 2.27 4.20 4.81 6.02 THF CH2Cl2 Me2C=O EtOH HMPT 7.58 8.93 20.56 24.55 29.60 MeOH MeNO2 MeCN DMF DMSO 32.66 35.94 35.94 36.71 46.45 _________________________________________________________________________________________________________ 1,4-diossano Benzene Et2O CHCl3 AcOEt _________________________________________________________________________________________________________ Nella pratica è molto comune esprimere la polarità del solvente attraverso la sua costante dielettrica; un solvente è ritenuto tanto più polare quanto maggiore è la sua ε. 143 Le scale eluotrope dei solventi, ad esempio, sono solitamente disposte in ordine crescente di ε. Questo modo di correlare la costante dielettrica alla polarità del solvente è però sbagliato sia praticamente che concettualmente. Dal punto di vista pratico infatti è infatti frequente incontrare reazioni la cui velocità non correla in alcun modo con la costante dielettrica del solvente. Dal punto di vista concettuale la costante dielettrica è una grandezza la cui definizione vale per cariche puntiformi e che, come tale, non può essere in grado di rendere conto di tutte le forze inter- ed intramolecolari operanti simultaneamente all’interno di un solvente determinandone la polarità. 5.4 Relazioni empiriche Come si è accennato nei paragrafi precedenti, la solvatazione e la polarità del mezzo di reazione sono entità complesse. Questa complessità ha come principale conseguenza la mancanza di un modello fisico adatto alla descrizione di tutti i tipi di forze che operano simultaneamente all’interno di una soluzione o di un solvente. La cosa migliore che si può fare è ricorrere a parametri od indici empirici ognuno dei quali descrive in modo approssimato, a livello semiquantitativo, una sola proprietà del solvente. Questi parametri si possono classificare convenientemente proprio in base alla proprietà del solvente che esprimono, come è illustrato schematicamente nel seguente specchietto. _______________________________________________________________________________________ Proprietà del solvente Parametro empirico polarità indice di rifrazione, n costante dielettrica, ε parametro di Dimroth, ET parametro di Kosover, Z potere ionizzante parametro di Grunwald/Wienstein, Y solvatazione energia di coesione, CED parametro di solubilità, δ caratteristiche acido-base (secondo Lewis) numero accettore, AN numero donatore, DN _______________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________ 5.4.1 Parametri di polarità Misure indirette della polarità del solvente si possono ottenere sia facendo ricorso a proprietà macroscopiche che molecolari. La bontà delle correlazioni che si ottengono dipendono dal campo di applicabiltà di ogni parametro. Bisogna tenere presente che, trattandosi pur sempre di indici empirici, i valori dei parametri del solvente non possono essere applicati indiscriminatamente ma per ognuno di essi si devono definire proprietà e limitazioni nel loro utilizzo. 144 5.4.1.1 Indice di rifrazione, n. Si tratta di un parametro macroscopico definito nell’ottica fisica dalla legge di Snell sin α n 2 = sin β n 1 Questa equivalenza correla gli angoli α e β, rispettivamente del raggio luminoso incidente e di quello rifratto, passando dal mezzo 1 avente indice di rifrazione n1 al mezzo 2 con indice di rifrazione n2. Si può tentare di correlare la polarità del solvente col suo indice di rifrazione tenendo presente l’interazione tra il campo elettrico della radiazione ed i dipoli, indotti o permanenti, del mezzo. E’ intuitivo che se un solvente S1 possiede un momento dipolare forte, il campo elettrico della radiazione visibile che lo attraversa perturba la distribuzione degli elettroni di valenza più intensamente di quanto avviene nel caso di un secondo solvente S2 dotato di momento dipolare inferiore. Ne segue che l’indice di rifrazione del solvente S1 dev’essere maggiore di quello di S2. Le correlazioni tra l’indice di rifrazione del mezzo di reazione e le velocità dei processi che vi avvengono sono però raramente lineari. 5.4.1.2 Costante dielettrica, ε. Come si è detto nel paragrafo 5.3 è piuttosto raro trovare buone correlazioni lineari tra costante dielettrica e velocità di reazione. Risultati migliori, sebbene viziati dalle medesime limitazioni concettuali, si possono ottenere utilizzando la funzione empirica fε = (ε - 1)/(2ε + 1) 5.4.1.3 Parametro di Dimroth, ET. Tra i diversi parametri utilizzati nella quantificazione della polarità del solvente, quelli di maggiore interesse sono da mettere in relazione con lo spostamento solvatocromico. Questo effetto non è altro che la variazione di frequenza della banda di assorbimento nello spettro visibile di una specie opportuna a secondo del solvente in cui si trova. Le specie chimiche più indicate a questo scopo devono possedere alcune caratteristiche peculiari, quali la solubilità nel maggior numero possibile di solventi e la presenza di cariche separate all’interno della struttura molecolare. Un esempio di specie di questo tipo è la betaina di Dimroth-Reichardt Ph Ph Ph N Ph O Ph il cui massimo di assorbimento della radiazione elettromagnetica visibile varia tra 450 nm ed 800 nm in funzione del solvente. Il colore della betaina di Dimroth è infatti giallo in anisolo, verde in acetone, violetto in etanolo. Per mettere sul piano 145 quantitativo gli spostamenti solvatocromici e la polarità del solvente è necessario constatare che la betaina di Dimroth nel suo stato fondamentale ha un momento di dipolo permanente molto più alto che nello stato eccitato. La somministrazione di un quanto energetico nel visibile alla betaina di Dimroth produce infatti uno stato eccitato in cui si ha una parziale dispersione della carica rispetto allo stato fondamentale. Ph Ph N Ph Ph Ph O hν δ+ N Ph Ph Ph Ph δ _ O Ph Evidentemente questo stato fondamentale risulta tanto più stabilizzato quanto maggiore è la polarità del solvente, mentre il corrispondente stato eccitato risente assai meno della stabilizzazione indotta dalla diversa polarità del mezzo. La situazione dei livelli energetici relativi alla betaina di Dimroth in due solventi S1, S2 tra i quali il primo è più polare del secondo è rappresentata nella seguente Figura. hν2 hν1 S1 S2 Figura 5.1. Livelli energetici della betaina di Dimroth in due solventi, con il solvente S1 più polare di S2. Passando dal solvente S1 ad S2 si osserva che l’energia occorrente per effettuare la transizione dallo stato fondamentale a quello eccitato diminuisce da E1 = hν1 ad E2 = hν2. Ciò implica che la banda di assorbimento si sposta a frequenze inferiori (verso il rosso) passando da S1 ad S2. Il parametro di Dimroth ET non è altro che l’energia di eccitazione, espressa in Kcal/mole, corrispondente alla banda presente nello spettro visibile della betaina di Dimroth che presenta il massimo di assorbimento in un dato solvente: all’aumentare della polarità del solvente si hanno valori di ET superiori. La principale limitazione legata all’utilizzo del parametro ET è dovuta all’impossibilità di eseguire misurazioni in solventi abbastanza acidi da protonare l’ossigeno fenolico della betaina. In questi casi infatti la funzione fenolica neutra preclude l’intervento della struttura zwitterionica nello stato fondamentale. 146 Tabella 5.4. Valori del parametro di Dimroth, ET (Kcal/mole). _____________________________________________________________________________________________________ solvente ET solvente ET _____________________________________________________________________________________________________ cicloesano CS2 Et2O benzene 1,4-diossano CHCl3 CH2Cl2 Me2C=O 32.1 32.6 34.3 34.5 36.0 39.1 41.1 42.2 Me3COH MeCN Me2CHOH EtOH MeOH aq. Me2C=O (20% acqua) aq. EtOH (20% acqua) HCONH2 43.9 46.0 48.6 51.9 55.5 52.2 53.7 56.6 _____________________________________________________________________________________________________ 5.4.1.4 Parametro di Kosover, Z. Anche la determinazione del parametro di Kosover è basata su un effetto rilevabile spettroscopicamente, questa volta sul 4-etossicarbonil -N-metilpiridinio ioduro quale specie di riferimento. Lo spettro visibile di questo composto mostra una banda a trasferimento di carica imputabile alla formazione di una specie eccitata a carattere biradicalico che, come nel caso della betaina di Dimroth, è assai meno polare dello stato fondamentale. COOEt N I COOEt _ hν N Me I Me L’intervento dell’effetto solvatocromico fa si che l’energia di eccitazione Z = hν = hc/λmax sia maggiore in solventi polari. Come nel caso del parametro ET anche il parametro Z di Kosover è espresso in Kcal/mole ed il suo valore aumenta all’aumentare della polarità del solvente. Fra Z ed ET intercorre la relazione empirica Z = 1.41 E + 6.92 5.4.2 Potere ionizzante Quale alternativa ai parametri macroscopici n, ε ed a quelli spettroscopici Z, ET si può esprimere quantitativamente il potere ionizzante del solvente attraverso una correlazione lineare basata su una reazione standard. A questo scopo si considera la velocità di solvolisi del t-butil cloruro in diversi solventi. La reazione di riferimento viene eseguita in etanolo acquoso all’80% (20% acqua) ed in un secondo solvente A. 147 Me3C Cl SN 1 lento Me3C Cl _ SOH veloce Me3C OS + HCl SOH = solvente coppia ionica Dalle misurazioni cinetiche condotte nel solvente di riferimento e nel solvente A si ricavano le costanti di velocità k0 e kA. La relazione lineare espressa dall’equazione 5.1 esprime i parametri empirici del solvente: Y0 per il solvente di riferimento, YA per il solvente A. log kA – log k0 = YA – Y0 equazione 5.1 Ponendo per convenzione Y0 = 0 e ripetendo la reazione di riferimento in solventi diversi si possono misurare le costanti di velocità della reazione di riferimento in tutti questi nuovi solventi. Tramite l’equazione 5.1 si ricava l’insieme dei valori di YA ciascuno dei quali corrisponde ad un dato solvente. I valori del parametro YA di alcuni solventi organici sono riassunti nella Tabella 5.5. Tabella 5.5. Valori del parametro YA di alcuni solventi organici. _________________________________________________________________________________________________________ solvente YA solvente YA solvente YA _________________________________________________________________________________________________________ HCOOH CF3CH2OH HCONH2 aq. MeOHa 2.054 1.045 0.60 0.381 aq. EtOHa aq. Me2C=Oa MeOH MeCOOH 0.00 -0.67 -1.09 -1.64 EtOH Me2CHOH Me3COH DMF -2.03 -2.73 -3.26 -3.50 _________________________________________________________________________________________________________ a 80% solvente + 20% acqua. Poiché la reazione di riferimento è un tipico processo dissociativo, il parametro YA deve riflettere l’attitudine del solvente nello stabilizzare le cariche in via di separazione. In altri termini YA dev’essere in relazione con la capacità del mezzo di esercitare una solvatazione specifica delle specie cariche che si vanno formando durante la reazione di riferimento. In questo senso è lecito parlare di potere ionizzante del solvente perchè la facilità di formazione della coppia ionica è tanto più spiccata quanto più il solvente è in grado di stabilizzarla. A questo punto dovrebbe essere chiaro che solventi molto polari accelerano la reazione solvolitica di riferimento più della miscela etanolo-acqua 80:20 ed hanno quindi valori di YA positivi. Solventi meno polari rallentano la reazione di riferimento ed hanno YA negativi. Estendendo il campo di applicazione del parametro Y al caso generale della solvolisi di alogenuri alchilici si ha la relazione lineare log kA = mYA k0 equazione 5.2 148 dove kA, k0 sono le costanti di velocità relative alla solvolisi di un qualsiasi alogenuro alchilico, rispettivamente nel solvente A ed in quello di riferimento. La relazione lineare 5.2 è nota come equazione di Grunwald-Wienstein; in essa compaiono il parametro del solvente YA che è indice del potere ionizzante del solvente ed il parametro m relativo all’alogenuro alchilico considerato. Si conviene di assegnare il valore m = 1 all’alogenuro alchilico di riferimento, cioè il t-butilcloruro. In questo modo il valore di m può essere inteso come misura della sensibilità della reazione di solvolisi di un particolare alogenuro alchilico nei confronti del potere ionizzante YA del solvente. Non è quindi sorprendente che il valore di m per la solvolisi dell’1-bromo-1-fenil etano, che decorre attraverso il carbocatione benzilico relativamente stabile, sia più grande di quello della reazione di riferimento riguardante il t-butilcloruro (Tabella 5.6). Me Ph Ph Br Me Br _ Me SOH Ph OS + HBr Al contrario la solvolisi di alogenuri alchilici semplici quali il bromuro di etile, oppure lineari come l’1-bromobutano, è molto meno sensibile alla variazione di solvente rispetto alla reazione di riferimento; è infatti noto che queste reazioni procedono attraverso il meccanismo SN 2. Un’altra interpretazione del valore di m appare chiaramente da questi ultimi esempi: valori bassi di m indicano un meccanismo associativo tipo SN 2 mentre valori superiori all’unità implicano il decorrere di un meccanismo dissociativo tipo SN 1. Si può quindi considerare il valore di m quale indice della competizione tra i meccanismi SN 1 ed SN 2. Se m = 0.5 il meccanismo operante è verosimilmente una via di mezzo tra la completa ionizzazione e la completa assistenza. La limitazione principale della trattazione di GrunwaldWienstein è che può essere applicata con successo solo a reazioni che prevedono un atto dissociativo quale passaggio lento, cioè che procedono attraverso uno schema meccanicistico del tipo sotto riportato. A B k + A lento B _ prodotti Tabella 5.6. Valori del parametro m nell’equazione di Grunwald-Wienstein. _____________________________________________________________________________________________________ Alogenuro alchilico m Alogenuro alchilico m 1.20 1.00 0.94 CH2=CHCH(Me)Cl EtBr Me(CH2)3Br 0.89 0.34 0.33 _____________________________________________________________________________________________________ PhCH(Me)Br Me3CCl Me3CBr _____________________________________________________________________________________________________ 149 5.4.3 Indici di solvatazione Il processo di solvatazione prevede come primo stadio la creazione di una cavità all’interno della massa di solvente. Come si è detto (pag. 141), l’energia necessaria per formare queste cavità è in relazione con l’entalpia di evaporazione del solvente ∆Hev. Per ottenere una misura quantitativa di questa energia si definisce l’energia di coesione per unità di volume, o densità dell’energia di coesione CED (cohesive energy density) attraverso la relazione CED = ∆H ev − RT M/ρ dove M è la massa molare del solvente e ρ è la sua densità. Dal punto di vista dimensionale CED è un’energia per unità di volume e di solito è espressa in cal/cm3. Fisicamente, valori alti di CED significano che bisogna fornire molta energia al solvente per annullare le forze di attrazione intermolecolari che vi operano e crearvi una cavità. E’ intuitivo che ai solventi polari spettino valori di CED piuttosto elevati, come si può vedere dai dati raccolti nella Tabella 5.7. Tabella 5.7. Valori di CED (cal/cm3) e δ per alcuni solventi organici. _____________________________________________________________________________________________________ solvente CED δ Et2O cicloesano AcOEt CHCl3 THF Me2C=O 60.8 67.2 79.2 86.5 86.5 92.16 7.8 8.2 8.9 9.3 9.3 9.6 solvente CED δ 1,4-diossano CS2 CH2Cl2 MeCN MeNO2 MeOH 96.0 98.0 100.0 136.9 158.8 204.5 9.8 9.9 10.0 11.7 12.6 14.3 _____________________________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________ Non dovrebbe sorprendere che siano state ottenute relativamente poche correlazioni lineari fra CED ed il potere solvatante del mezzo di reazione o, se si preferisce, tra CED e la costante di velocità di una data reazione al variare del solvente. Il motivo resiede nella limitazione del modello fisico che prende in considerazione solo il primo dei quattro processi che nel loro complesso costituiscono il fenomeno della solvatazione (cfr. pag. 141). Risultati migliori si ottengono correlando le costanti cinetiche di alcune reazioni al variare del solvente con il parametro di solubilità del solvente δ definito dalla semplice relazione δ = CED Anche in questo caso occorre tenere presenti le stesse limitazioni del modello fisico già descritte a proposito del CED. 150 log k 1.4 CS2 CCl4 1.0 CH2Cl2 benzene AcOEt 0.6 esano 8 10 12 δ Figura 5.2. Correlazione tra log k e δ per una reazione di Diels/Alder. 5.4.4 Proprietà acide o basiche dei solventi secondo Lewis L’interazione tra una specie donatrice di un doppietto elettronico ed una specie accettrice crea di solito un legame piuttosto forte. Questa formulazione del principio di interazione acido-base secondo Lewis si può estendere alle specie solventi. Dal punto di vista delle loro proprietà basiche esistono solventi in grado di fungere - da donatori di elettroni π (idrocarburi aromatici, olefine) - da donatori di elettroni n (alcoli, eteri, ammine, nitrili ecc.). D’altra parte alcuni solventi quali la DMF o l’acetone contengono un gruppo carbonilico in grado di esplicare la funzione di acido di Lewis. Sono quindi stati definiti alcuni parametri empirici nell’intento di esprimere semiquantitativamente le caratteristiche acide o basiche di un certo solvente. Alcuni tra gli indici empirici che a questo proposito si sono mostrati piuttosto utili sono riportati di seguito. 5.4.4.1 Numero donatore, DN. Una misura delle proprietà basiche (secondo Lewis) del solvente si ricava dall’entalpia d’interazione tra la specie donatrice, cioè il solvente, ed un acido di Lewis di riferimento. Quale acido di riferimento si è scelto il pentacloruro di antimonio. L’entalpia di formazione dell’addotto equimolecolare tra solvente S ed il pentacloruro di antimonio (S – SbCl5) si misura con metodi termochimici, dimensionalmente è un’energia e viene di solito espressa in Kcal/mole. Si conviene di assegnare il valore DN = 0 all’entalpia d’interazione tra SbCl5 ed il solvente non complessante 1,2-dicloroetano. Il valore massimo dell’entalpia d’interazione S – SbCl5 è stato ottenuto con HMPT (38.8 Kcal/mole). La scala normalizzata del numero donatore si ottiene dal rapporto DN/38.8 e si indica con il numero adimensionale DNN. Entrambi i parametri di basicità per alcuni solventi organici sono riassunti nella Tabella 5.8. Questi valori esprimono in modo semiquantitativo l’attitudine del solvente a comportarsi come specie basica; a valori più alti del numero donatore corrispondono solventi caratterizzati da proprietà basiche più marcate. 151 Tabella 5.8. Valori di DN (Kcal/mole) e DNN per alcuni solventi organici. _____________________________________________________________________________________________________ solvente DN DNN solvente DN DNN 1,2-dicloroetano MeNO2 MeCN 1,4-diossano Me2C=O 0 2.7 14.1 14.8 17.0 0 0.07 0.36 0.38 0.44 AcOEt Et2O THF DMSO HMPT 17.1 19.2 20.0 29.8 38.8 0.44 0.49 0.52 0.77 1.00 _____________________________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________ Il numero DN dà buone correlazioni lineari con varie grandezze termodinamiche (∆G, K), cinetiche (k) e spettroscopiche. A quest’ultimo riguardo è interessante sapere che DN correla assai bene con i chemical shifts al carbonio-13 di CF3I in numerosi solventi. Nonostante questi aspetti positivi esistono limitazioni piuttosto serie in relazione all’utilizzo del numero DN dato che sono stati talora misurati valori delle entalpie di interazione S – SbCl5 diversi da quelli riassunti nella Tabella 5.8. Per rimediare a questo inconveniente si è istituita una nuova scala di basicità secondo Lewis dei solventi, questa volta basata sulle misure calorimetriche delle entalpie di formazione di complessi 1:1 tra il solvente S e l’acido di Lewis BF3 gassoso in diclorometano a 25°C. I risultati di alcune tra queste misurazioni sono riassunti nella Tabella 5.9, dalla quale si può notare che: (i) i valori misurati delle entalpie di formazione S – BF3 sono molto diversi da quelli espressi dal numero DN; e (ii) l’ordine relativo di basicità dei solventi non è costante. Ad esempio l’acetato d’etile risulta più basico dell’acetone nell’ambito della scala DN, ma avviene l’inverso se ci si riferisce alla scala basata sull’interazione S – BF3. Il punto (i) è comprensibile sulla base del fatto che si misurano entalpie di formazione per complessi differenti, ma il punto (ii) mette in luce il limite più evidente di queste scale di basicità: il carattere donatore è variabile a secondo dell’acido di Lewis utilizzato per costruire la scala. Tabella 5.9. Entalpie di formazione ∆Hf del complesso S – BF3 (Kcal/mole). _____________________________________________________________________________________________________ solvente ∆Hf solvente ∆Hf _____________________________________________________________________________________________________ CH2Cl2 MeNO2 MeCN 1,4-diossano AcOEt 10.0 37.63 60.39 74.09 75.55 Me2C=O Et2O THF DMSO HMPT 76.03 78.77 90.40 105.34 117.53 _____________________________________________________________________________________________________ 5.4.4.2 Numero accettore, AN. Le proprietà accettrici (acide) del solvente si definiscono in base al numero accettore AN che si determina spettroscopicamente. Una scala di AN, riportata nella Tabella 5.10, è stata ottenuta confrontando i valori 152 dello spostamento chimico al fosforo-31 del complesso Et3P=O-SbCl5 al variare del solvente. Per convenzione si pone AN = 100 per il complesso sciolto in 1,2dicloroetano ed AN = 0 per lo stesso complesso in n-esano. I solventi non polari e non donatori hanno i valori più bassi di AN mentre ai solventi protici spettano i valori più alti. Tabella 5.10. Valori di AN per alcuni solventi organici. _________________________________________________________________________________________________________ solvente AN solvente AN solvente AN n-esano Et2O THF benzene 0 3.9 8.0 8.2 AcOEt 1,4-diossano Me2C=O DMF 9.3 10.8 12.5 18.8 MeCN DMSO CHCl3 EtOH 18.9 19.3 23.1 37.9 _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ 5.5 Effetti del solvente sugli equilibri chimici. In un equilibrio acido-base secondo Brønsted il solvente può intervenire simultaneamente in due modi: (i) in qualità di specie acida o basica e (ii) solvatando le specie prodotte all’equilibrio. Per il generico equilibrio di una specie acida HA nel solvente SOH valgono le relazioni _ A + SOH2 HA + SOH A _ + SOH HA + SO Le diverse caratteristiche acide o basiche del solvente possono dunque provocare uno spostamento dell’equilibrio variando, di fatto, l’acidità della specie HA. In generale l’acidità della specie HA è tanto più pronunciata quanto più è basico il solvente. A titolo d’esempio si prenda in considerazione l’acidità degli acidi carbossilici che è fino a 106 volte superiore in acqua che in etanolo, dato che l’acqua è una base più forte dell’etanolo. Per rendere conto della diminuzione di pKa della specie acida all’aumentare della basicità del mezzo occorre tenere presente un secondo fattore importante connesso alla polarità del solvente. Infatti un solvente polare è in grado di solvatare in modo efficace le specie ioniche prodotte all’equilibrio. Tornando al caso della ionizzazione degli acidi carbossilici in acqua ed in etanolo, l’acqua è solo 15 volte più basica dell’etanolo, il che non giustifica l’aumento di acidità pari a sei ordini di grandezza. Questo aumento è razionalizzabile in base all’elevata costante dielettrica dell’acqua (ε = 78.3) rispetto a quella dell’etanolo (ε = 24.6); è infatti ben noto che l’acqua è in grado di solvatare molto efficacemente le specie ioniche. Nella Tabella 5.11 sono riportati i valori di pKa di alcune specie acide al variare del solvente. 153 Tabella 5.11. Valori di pKa di acidi organici in diversi solventi. _______________________________________________________________________________ acido pKa _________________________________________________ acqua MeOH DMSO MeCN 4.8 4.2 7.2 4.6 9.5 9.3 11.4 12.6 11.1 11.0 9.2 a _______________________________________________________________________________ MeCOOH PhCOOH p-nitrofenolo PhNH3+ a 20.7 21.0 a _______________________________________________________________________________ a Dato non disponibile. Considerando in maggior dettaglio la dissociazione degli acidi benzoici meta e para sostituiti, si trova che il valore della costante di reazione ρ aumenta al diminuire della polarità del solvente, passando da 1.00 in acqua (per definizione) a 1.96 in etanolo. Questo andamento di ρ indica la maggiore suscettibilità della dissociazione, in etanolo, in funzione del sostituente. Infatti l’etanolo, che è assai meno polare dell’acqua, solvata molto meno efficacemente l’anione carbossilato. Quest’ultimo ione risulta quindi più “nudo”, la sua carica negativa è poco dispersa dal solvente e risente in modo significativo delle richieste elettroniche del sostituente X. Le stesse considerazioni si applicano nel caso dell’idrolisi alcalina dei benzoati etilici. COOH solvente COO + H2O + X acqua aq. EtOH (50% acqua) EtOH + H2O X COOEt solvente COO + OH 1.00 1.60 1.96 ρ _______________________________________ _ + aq. 1,4-diossano (30% acqua) aq. EtOH (80% acqua) EtOH X X ρ _______________________________________ 1.83 2.54 Gli equilibri tautomerici sono influenzati dalle caratteristiche del solvente in ragione della sua polarità. Nel caso di composti 1,3-dicarbonilici la possibilità di formare un enolo stabilizzato dal legame ad idrogeno intramolecolare aumenta in solventi poco polari dato che la forma 1,3-dicarbonilica è più polare dell’enolo. H O R R1 O O R 154 O R1 Al contrario sistemi 1,3-dicarbonilici il cui enolo non può prevedere la formazione di un legame ad idrogeno intramolecolare vedono quale forma preferita in solventi polari proprio quella enolica. Ciò è vero nel caso di sistemi ciclici quali i cicloalcan3,5-dioni la cui forma dicarbonilica è meno polare di quella enolica. O O HO O Altri equilibri tautomerici fortemente influenzati dal solvente sono quelli che coinvolgono composti ad anello eterociclico funzionalizzato. Nel caso della 2- o 4-idrossi piridina l’equilibrio è spostato verso la forma idrossi- in fase gassosa mentre in solventi polari predomina il tautomero chetonico. HO N O N H La capacità del solvente di concorrere alla stabilizzazione di legami ad idrogeno intramolecolari fa si che casi particolari di equilibri tautomerici, detti tautomerie anello-catena, siano spostati a favore della forma aperta in solventi poco polari. Ne è un esempio l’acido ftalilaldeidico, presente come composto bifunzionale a catena aperta in DMSO e come ftalide in decalina. O COOH O CHO OH Anche la posizione di altri tipi di equilibrio, noti col termine di equilibri di valenza, subiscono l’influenza del solvente. Ad esempio il 4,4-difenil-3-butenillitio è in equilibrio con la corrispondente forma ciclopropanica. Quest’ultima specie a cariche separate è stabile in THF mentre il composto di alchenillitio è stabile in dietiletere. La ragione che giustifica questo comportamento è dovuta al fatto che il THF è una base di Lewis migliore del dietiletere (vedi i numeri AN nella Tabella 5.10) e può quindi solvatare più efficacemente la forma ciclopropilica fortemente polare più di quanto non possa fare il dietiletere. Ph Li+ Li Ph Ph Ph 155 5.6 Effetti del solvente sul meccanismo di reazione La capacità del solvente di influenzare il decorso meccanicistico delle reazioni organiche può avere luogo in due modi distinti: 1 attraverso effetti statici o di equilibrio, cioè intervenendo sull’energia libera dello stato di transizione; 2 attraverso effetti dinamici legati alla capacità di riorganizzazione delle molecole di solvente. Nel caso 1 giocano un ruolo determinante il differente grado di solvatazione dei reagenti e dello stato di transizione. E’ plausibile che le reazioni nelle quali lo stato di transizione è più polare dei reagenti esso risulti meglio solvatato, e quindi stabilizzato, da solventi polari. Per quanto riguarda il punto 2, la velocità di reazione può dipendere dalle proprietà macroscopiche del solvente quali densità, viscosità o pressione interna. Ciò accade nel caso di mezzi fortemente polari che rilassano lentamente e per i quali è lento il processo di riorientazione delle molecole di solvente. 5.6.1 Reazioni con stati di transizione a sviluppo o dispersione di carica. In virtù della differente solvatazione operante tra reagenti e stato di transizione, le reazioni a sviluppo di carica vedono incrementare la propria velocità all’aumentare della polarità del solvente. Ciò è evidente per processi del tutto o parzialmente ionogenici quali le reazioni SN 1. Nel caso della solvolisi del t-butilcloruro, che è un tipico esempio di processo dissociativo, si ha il seguente andamento delle velocità di reazione in funzione del solvente. k (s-1) acqua 1011 etanolo 335000 benzene 1 E’ altresì evidente che l’aumento di polarità del solvente debba provocare una forte diminuzione di velocità nelle reazioni in cui la densità di carica dello stato di transizione è inferiore a quella dei reagenti. Questa situazione è però assai poco comune nelle reazioni SN 1. L’andamento cinetico delle reazioni SN 2 in funzione dell’aumento di polarità del solvente è riassunto nel seguente specchietto. _________________________________________________________________________________________________________ reagenti stato di transizione variazione della carica variazione della velocità R-X + Y R-X + Y ¯ R-X+ + Y R-X+ + Y¯ Rδ+ּּּּּXּּּּּYδRδ-ּּּּּXּּּּּYδRδ+ּּּּּXּּּּּYδ+ Rδ+ּּּּּXּּּּּYδ- grande aumento piccola diminuzione piccola diminuzione grande diminuzione _________________________________________________________________________________________________________ separazione dispersione dispersione dispersione _________________________________________________________________________________________________________ Alcuni esempi significativi sono i seguenti 156 _ HO + δ− HO NR3 δ+ NR3 HO + R3N k(H2O)/k(EtOH) = 0.001 δ− HO Br _ HO + δ− Br HO + Br _ k(H2O)/k(EtOH) = 0.2 Le reazioni SN 2 ed SNAr subiscono forti accelerazioni passando da solventi protici in grado di solvatare gli anioni nucleofili a solventi dipolari aprotici nei quali le specie nucleofile attaccanti sono sostanzialmente “nude” e quindi molto più reattive. Ne sono esempi la reazione dell’n-butilbromuro e del para-nitrofluorobenzene con sodio azide. N3¯ + n-BuBr → n-BuN3 + Br¯ H2O 6.31 k(S)/k(MeOH) _ N3 + F NO2 k(S)/k(MeOH) MeCN DMSO DMF Me2C=O HMPT 5010 1260 2510 3980 2 ּ 105 N3 HCONH2 12.6 NO2 MeCN 7940 + F DMSO 7940 _ DMF 31620 Me2C=O HMPT 79430 2 ּ 107 Per quanto riguarda le reazioni di addizione, la somma di bromo oppure di arilsolfenilcloruri (ArSCl) a doppi legami etilenici sono fortemente accelerate da solventi polari per via della separazione di carica che si verifica a livello dello stato di transizione. Br2 + 1-pentene k(S)/k(CCl4) 1,4-diossano 51 AcOH 4860 MeOH 1.6 ּ 105 acqua 1.1 ּ 1010 ArSCl + cicloesene (Ar = 2,4-dinitrofenil) k(S)/k(CCl4) CHCl3 605 157 AcOH 1370 ClCH2CH2Cl 1380 acqua 2800 5.6.2 Reazioni pericicliche Il meccanismo delle reazioni pericicliche è generalmente concertato e decorre a partire da reagenti neutri attraverso uno stato di transizione ciclico nel quale non si ha sviluppo o dispersione di carica. + R R R Si può quindi prevedere che il mezzo di reazione eserciti una solvatazione differenziale tra reagenti e stato di transizione alquanto modesta. Come risultato la velocità della maggior parte delle reazioni pericicliche è poco sensibile alla variazione del solvente. Questa situazione è illustrata chiaramente dai dati cinetici relativi alla reazione di Diels-Alder tra l’1,1-dicianoetilene ed il 9,10-dimetil antracene, che mostra un incremento della costante di velocità di sole 2.9 volte passando dall’1,4-diossano al diclorometano. Me Me NC CN + Me Me CN CN ___________________________________________________________________________________ ET (Kcal/mole) 10k2 (M-1 s-1) ___________________________________________________________________________________ solvente toluene 1,4-diossano CH2Cl2 MeCN 33.9 36.0 41.1 46.7 1.8 1.3 4.9 3.8 ___________________________________________________________________________________ La stessa situazione, che riflette un meccanismo analogo, è operante nella cicloaddizione 1,3-dipolare tra l’acrilato di etile ed il fenildiazometano. EtOOC EtOOC COOEt PhCHN2 + N N Ph N N H 158 Ph ___________________________________________________________________________________ ET (Kcal/mole) 10k2 (M-1 s-1) ___________________________________________________________________________________ solvente cicloesano AcOEt DMF MeCN butanolo 31.2 38.1 43.8 46.0 50.2 4.14 5.00 13.1 10.0 23.2 ___________________________________________________________________________________ A testimoniare la scarsa dipendenza della velocità di queste reazioni al variare del solvente vi è anche la mancanza di una correlazione lineare tra k2 ed ET. Nella formazione dell’anello ciclobutanico dall’etil isobuteniletere ed il tetraciano etilene si osserva invece una netta dipendenza della velocità di reazione al variare della polarità del solvente, il che costituisce la prova che alcune cicloaddizioni [2+2] decorrono attraverso un meccanismo a stadi che prevede la formazione di un intermedio carico nello stato di transizione. H Me NC OEt CN + Me NC CN Me k1 k-1 Me NC CN k2 = k1 OEt Me H k3 OEt NC CN CN CN CN CN k3 k-1 + k3 Me k2(MeCN)/k2(CCl4) = 4900 5.6.3 reazioni radicaliche Il decorso delle reazioni radicaliche è generalmente poco influenzato dalla variazione del solvente. Meccanismi che implicano la scissione o la ricombinazione omolitica dei legami sono infatti caratterizzati da stati di transizione nei quali la distribuzione elettronica è simile a quella dei reagenti. R–R1 → Rδ• ּּּּּR1 δ• → R• + R1• R• + R1• → Rδ• ּּּּּR1 δ• → R–R1 Ad esempio la velocità di auto ossidazione del cicloesene a 60°C risente poco dell’effetto solvente dato che k(MeCN)/k(benzene) = 2.7. Anche la velocità di decomposizione termica del para-metossifenilperacetato di t-butile è praticamente indipendente dal mezzo di reazione nonostante il valore ρ = -1.1 che lascerebbe prevedere l’intervento di uno stato di transizione polare. Per questa reazione si osserva k(EtOH)/k(cicloesano) = 3.8. 159 CH2 MeO O CMe3 ∆ MeO O O O CMe3 prodotti -CO2 CH2 MeO O CMe3 In alcune reazioni di scissione omolitica l’effetto del solvente può tuttavia manifestarsi qualora il momento dipolare del radicale risultante dal processo degradativo sia molto diverso da quello del reagente. E’ questo il caso della decomposizione termica dei diacilperossidi, dato che il momento dipolare del radicale acilico è assai superiore a quello del dimero di partenza. In questo caso si ha k(MeCN)/k(iso-ottano)= 22.0. O O Me ∆ Me O O 2 Me O O L’effetto del solvente è poi piuttosto sensibile nelle reazioni in cui interviene il trasferimento elettronico da o verso il radicale, con formazione di un intermedio carico R+ od R¯ e di un radicalcatione (od un radicalanione). R• + S → R+ + S•¯ R+ + S → R¯ + S•+ A questo proposito la velocità di disproporzione del tetrafeniletano (TFE) in presenza di ioni potassio è assai variabile a secondo del mezzo di reazione impiegato. Solventi polari spostano l’equilibrio a favore del radicalanione TFE¯ּ. 2 TFE¯ּ, K+ → TFE2-, 2K+ + TFE k(THF)/k(diglima) = 600 Un caso di reazione molto interessante e studiato riguarda la decomposizione dei sali di arendiazonio, in quanto il meccanismo di questa trasformazione varia da ionico a radicalico in funzione del solvente. In solventi protici e poco nucleofili (ad esempio acqua a pH < 1) si ha la dediazotazione del sale di arendiazonio tramite meccanismo ionico, che ovviamente è poco influenzata dalla variazione del solvente dato che reagente, stato di transizione e prodotti sono carichi. Ma in solventi nucleofili aprotici il meccanismo di dediazotazione è radicalico e comporta una forte differenza della distribuzione elettronica tra reagenti e stato di transizione. La velocità di questo processo è quindi fortemente influenzata dalla variazione di solvente. 160 solvente protico δ+ Ar δ+ N2 Ar δ+ N N prodotti Ar+ -N2 Ar N2 solvente aprotico δ+ S Ar -N2 + S+ prodotti 5.7 L’acqua Può risultare sorprendente che fino a questo punto non si siano prese in considerazione le caratteristiche dell’acqua quale solvente. Infatti, benché l’acqua non sia un solvente organico, le sue proprietà ed il suo comportamento nei confronti di molte reazioni organiche sono del tutto peculiari e meritano di essere trattate in un paragrafo apposito. Ognuno è a conoscenza delle proprietà fisiche fondamentali dell’acqua e delle circostanze strutturali che le determinano. I punti di congelamento e di ebollizione, molto elevati in relazione alla massa molecolare, sono una delle conseguenze dei forti legami ad idrogeno che operano all’interno della massa acquosa. Gli stessi legami ad idrogeno, unitamente alla presenza di un momento di dipolo permanente, sono responsabili della struttura dell’acqua che si discosta in modo netto da quella della maggior parte dei liquidi organici. Se infatti non si può certo parlare di un motivo strutturale nel caso dei tipici solventi organici, le cui molecole sono disposte disordinatamente in seno alla massa liquida, l’acqua mostra alcuni elementi strutturali tipici, benché in rapido equilibrio tra loro. Nel tentativo di visualizzare la struttura microscopica dell’acqua si può fare riferimento a quella esagonale del ghiaccio in cui ogni molecola d’acqua compartecipa quattro legami ad idrogeno con le molecole vicine. H H O H H H H O O H H H O H O O H H Questo aggregato esagonale a bassa entropia e densità dispone di cavità nelle quali i soluti possono essere inglobati e quindi debitamente solvatati. La struttura dell’acqua liquida si può immaginare come una sorta di equilibrio tra l’aggregato esagonale fortemente strutturato e l’acqua libera, che deve possedere un’entropia ed una densità superiore a quella dell’acqua “strutturata”. Questo equilibrio è influenzato dalla temperatura, dalla pressione e dall’eventuale presenza di agenti additivi di tipo salino o covalente. A temperatura e pressione ambiente la diffrazione neutronica ha mostrato che ogni molecola d’acqua è circondata mediamente da 4.4 altre molecole nel liquido puro. Altre proprietà tipiche dei solventi quali la polarità ed il potere solvatante sono altrettanto singolari nel caso dell’acqua e meritano di essere brevemente discussi. La 161 molecola dell’acqua mostra un valore del momento dipolare pari a 1.77 D, abbastanza simile a quello posseduto da molecole organiche polari quali metanolo od acetato d’etile. D’altra parte il valore della costante dielettrica di 78.3 è molto più elevato di quello della maggior parte dei solventi organici, fatta eccezione per quelli dipolari aprotici. Ciò implica che l’acqua è in grado di stabilizzare in modo molto efficiente un gran numero di specie ioniche. L’elevata solubilità di sali sia inorganici che organici è dovuta alla capacità dell’acqua di solvatare altrettanto efficacemente sia specie anioniche che cationiche. Passando all’esame dei parametri empirici già discussi per i solventi organici, l’acqua ha ET = 63.1 Kcal/mole (Z = 94.6 Kcal/mole) ad indicare la sua elevata polarità rispetto a quella dei comuni solventi organici (cfr. Tabella 5.4). Il potere ionizzante espresso dal parametro di Grunwald-Wienstein è parimenti molto elevato, YA = 3.493. Inoltre il valore della tensione superficiale dell’acqua (72 dine/cm) è conseguenza della sua CED molto alta e pari a 550 cal/cm3 (22000 atm). Ciò induce una tendenza a minimizzare la superficie di contatto tra l’eventuale soluto idrofobico (organico) e le molecole d’acqua. L’effetto idrofobico esprime la tendenza manifestata da specie non polari ad aggregarsi in soluzione acquosa per diminuire la superficie di contatto acqua-soluto idrofobico. Questo effetto è facilitato dalla contrazione volumetrica dei reagenti lungo la coordinata di reazione, il che significa che reazioni caratterizzate da volumi di attivazione negativi sono più sensibili all’effetto idrofobico. E’ facile intuire che l’effetto idrofobico è il principale responsabile della reattività in fase acquosa di sostanze organiche di per sé poco solubili in acqua. 5.7.1 reazioni organiche in fase acquosa A causa della sua aggressività nei confronti di molte funzionalità organiche, l’acqua è sempre stata considerata dai chimici organici come un mezzo di reazione del tutto particolare, adatto più che altro all’esercizio di alcune “curiosità chimiche”. Tuttavia la possibilità di utilizzare l’acqua quale solvente a basso impatto ambientale è particolarmente interessante. Attualmente sono state sperimentate con successo numerose classi di trasformazioni organiche in fase acquosa, tuttavia dati cinetici dettagliati utili nello studio del meccanismo di reazione sono disponibili essenzialmente nel campo delle reazioni pericicliche. Per questo motivo il presente paragrafo sarà limitato alla trattazione degli effetti del mezzo acquoso su questa particolare classe di reazioni organiche. Si è già ripetutamente accennato che la velocità della maggior parte delle reazioni pericicliche non risente, o risente poco, della variazione del solvente. Quest’affermazione è vera se ci si limita a considerare le variazioni di velocità che intervengono per le reazioni condotte in solventi organici. Ma operando in acqua questo scenario cambia radicalmente; a questo proposito è conveniente suddividere il presente paragrafo a secondo del tipo di reazione coinvolto. 5.7.1.1 Cicloaddizioni [4+2]. Si consideri la reazione di Diels-Alder tra il ciclopentadiene e l’acrilonitrile. La variazione di solvente da iso-ottano a metanolo provoca solo il raddoppio della velocità di reazione, in accordo con la sua scarsa dipendenza in relazione alla polarità del solvente organico. Per la stessa reazione 162 condotta in acqua si ha k(H2O)/k(iso-ottano) = 30, un valore che è difficilmente razionalizzabile solo in base alla polarità del solvente. In effetti nelle reazioni di Diels-Alder condotte in acqua entra in gioco l’effetto idrofobico, che è favorito dal loro volume di attivazione negativo, tipicamente intorno a -30 cm3/mole. L’accelerazione subita dalle reazioni di Diels-Alder in acqua è ancora più evidente se si prende in considerazione la reazione tra il ciclopentadiene ed il 2-butenone, dato che in questo caso k(H2O)/k(MeOH) = 59. In questo caso l’accelerazione della reazione in fase acquosa dipende da una variazione favorevole dell’entropia di attivazione, che risulta meno negativa in acqua che in metanolo (∆∆S≠ = 8.13 cal/K mole), cui si accompagna un valore dell’entalpia di attivazione praticamente costante. Riguardo quest’ultima reazione è anche interessante notare che il rapporto tra gli isomeri endo ed eso varia a secondo del mezzo, raggiungendo il valore massimo proprio in acqua. La razionalizzazione di questo comportamento si basa ancora sul valore negativo del volume di attivazione per le reazioni di Diels-Alder. Tra i due possibili stati di transizione diastereoisomerici che conducono alla formazione della coppia di isomeri endo ed eso il primo è infatti più compatto ed è quindi favorito dall’elevata pressione interna dell’acqua espressa dalla sua CED. La maggior polarità del solvente non è collegabile all’aumento della selettività nei confronti dell’isomero endo poiché in formammide o in N-metil acetammide, che sono più polari dell’acqua, il rapporto endo/eso è minore di quello osservato in fase acquosa. O + + O endo O eso _______________________________________________________ solvente ε endo/eso 2 17 78 109 183 70:30 83:17 88:12 87:13 82:18 _______________________________________________________ iso-ottano butanolo acqua formammide N-metil acetammide _______________________________________________________ 5.7.1.2 Cicloaddizioni [3+2]. Anche alcuni casi le cicloaddizioni 1,3-dipolari manifestano un notevole incremento della velocità dei reazione passando da un qualsiasi solvente organico all’acqua in relazione all’effetto idrofobico operante e al volume di attivazione negativo di questa classe di reazioni. Ne sono un esempio le reazioni di alcune nitrilimmine nei confronti di etileni monosostituiti per le quali le condizioni in solvente organico prevedono di operare a riflusso per diverse ore, 163 mentre in fase acquosa si ha conversione completa nel cicloaddotto pirazolinico a temperatura ambiente ed in pochi minuti. Anche le cicloaddizioni di alcuni nitrilossidi stabili procedono più velocemente in acqua. MeOOC COOEt Ph N N COOMe + N COOEt N Ph O O Cl O N O + Cl O O N Cl Cl _______________________________________________________ solvente 103 k (M-1 s-1) CHCl3 MeCN DMSO EtOH acqua 3.9 7.1 14.0 14.6 55.5 _______________________________________________________ _______________________________________________________ 5.7.1.3 Riassestamento di Claisen. L’effetto idrofobico implicato nelle cicloaddizioni intermolecolari secondo Diels-Alder ed 1,3-dipolari si manifesta anche a livello intramolecolare nel riassestamento di Claisen. Questo processo 3,3-sigmatropico mostra volumi di attivazione negativi compresi tra -13 e -16 cm3/mole, il che è responsabile del fatto che il riassestamento dei corismati procede 100 volte più velocemente in acqua che in metanolo. H O ∆ O ( )6 ( )6 COONa COONa 5.8 Liquidi ionici Normalmente si pensa ai composti ionici come a solidi altofondenti. Ne sono esempio gli alogenuri dei metalli alcalini, poiché occorre una notevole quantità di energia per distruggere il reticolo cristallino nel quale sono posizionati gli ioni. Per fare un esempio il cloruro di sodio fonde a 804°C dando, di fatto, un liquido formato esclusivamente da ioni. Esistono però composti che, pur essendo costituiti solamente 164 da ioni e loro combinazioni, sono liquidi a temperatura ambiente. Una definizione generale dei liquidi ionici è quindi quella che li descrive come sali che hanno punti di fusione inferiori al punto d’ebollizione dell’acqua. Trattandosi di una definizione basata esclusivamente sulla temperatura, essa non fornisce alcuna informazione di tipo chimico, ovvero non specifica la natura degli ioni che costituiscono il liquido ionico. Dal punto di vista storico il primo liquido ionico è stato descritto nel 1914; si trattava dell’etilammonio nitrato EtNH3+ NO3¯ a punto di fusione 12°C. La proprietà fisiche che rendono i liquidi ionici interessanti quali solventi in chimica organica sono in relazione innanzitutto con la loro polarità, necessariamente molto elevata, ed il loro buon potere solvente nei confronti di molte specie sia organiche che inorganiche. Per quanto riguarda misure quantitative della polarità dei liquidi ionici, per una serie di derivati di alchilammonio sono stati misurati ET compresi tra 60 e 64 Kcal/mole, un valore di entità paragonabile a quello dell’acqua (ET(H2O) = 63.1 Kcal/mole). Poiché sono generalmente formati da ioni scarsamente complessanti, i liquidi ionici possono essere impiegati quali solventi molto polari e non coordinanti. Un’altra caratteristica peculiare dei liquidi ionici è che si tratta di specie immiscibili con la maggior parte dei solventi organici, il che li rende utilizzabili quali componenti alternativi all’acqua nei sistemi bifasici. Trattandosi di composti costituiti solamente da ioni, è lecito attendersi che la volatilità dei liquidi ionici sia estremamente bassa; in effetti essi possono essere impiegati anche in apparecchiature ad alto vuoto. In seguito sono stati sviluppati liquidi ionici particolarmente resistenti all’azione dell’acqua contenuta nell’atmosfera, il che ha aperto un capitolo assai interessante nell’ambito applicativo. Tra i liquidi ionici più utilizzati negli studi cinetici o meccanicistici si annoverano: - gli alogenuri di alchilammonio [RnNH4-n]+ X ¯ o di alchilfosfonio [RnPH4-n]+ X ¯ - derivati dei sali di N-alchilpiridinio od N-metil-N-alchilimidazolio R1 N N R X _ N X _ Me _______________________________________________________________ R1 X sigla Et Et Et nBu Cl BF4 PF6 Cl [emin]Cl [emin]BF4 [emin]PF6 [bmin]Cl p.f. (°C) _______________________________________________________________ 77 12 60 70 _______________________________________________________________ Lo studio cinetico della reazione di Diels-Alder tra ciclopentadiene ed acrilato d’etile è stato realizzato in etilammonio nitrato quale solvente ionico. La selettività endo/eso è risultata piuttosto alta ma inferiore a quella ottenuta in acqua. Comportamenti simili si sono riscontrati per la stessa reazione condotta in liquidi ionici di nuova generazione quali [emin]BF4 e composti analoghi. 165 _________________________________________________________ solvente endo/eso _________________________________________________________ [EtNH3]NO3 [emin]NO3 [bmin]BF4 H2O 87 : 13 77 : 23 81 : 19 88 : 12 _________________________________________________________ Anche l’incremento della velocità di reazione, consistente rispetto a quello osservato in solventi polari aprotici, è risultato inferiore rispetto a quello ottenuto in acqua. 5.9 Problemi 1. Per la reazione di sostituzione nucleofila PhCH2Cl + X ¯→ PhCH2X + Cl¯ si hanno i seguenti dati cinetici. log k X¯ 3.406 CN ¯ 3.258 N3 ¯ 3.799 PhS ¯ 2.962 AcO ¯ 1.910 NO3 ¯ Stabilire una scala di reattività dandone una giustificazione. 2. Dalla cicloaddizione 1,3-dipolare tra benzonitrilossido e fumarato dietilico si ottiene la sola isossazolina sotto riportata e si osserva kEtOH/kesano = 7.2 a 55°C. COOEt Ph N O + Ph N EtOOC COOEt O COOEt In linea di principio si possono avere tra meccanismi: concertato, ionico, biradicalico. Quale meccanismo è realmente operante? 3. L’allilazione di fenoli 4-nitro e 4-metossisostituiti decorre con velocità variabile a secondo del mezzo di reazione. Nella seguente Tabella sono riportati i valori della costante di velocità k per R = NO2, OMe. Stabilire la dipendenza quantitativa di k in funzione del parametro δ e spiegare l’andamento dei diagrammi k = f(δ). solvente k(NO2) k(OMe) PhMe 41.5 34.8 MeCN 37.6 44.9 166 EtOH 36.2 48.5 CHCl3 41.0 36.3 4. La velocità della seguente reazione di eliminazione è stata determinata in funzione del solvente ottenendo i dati riassunti nella Tabella. Ph O2N OMe log k solvente Ph piridina + MeOH O2N 7.68 DMSO 3.16 PhMe 3.71 CHCl3 5.31 5.94 MeCN Me2CO Stabilire la scala di reattività relativa al toluene e commentarla dandone un significato meccanicistico. 5.10 Bibliografia Una monografia specialistica che tratta in modo approfondito tutti gli aspetti inerenti ai solventi è la seguente. 1. C. Reichardt Solvents and Solvent Effects in Organic Chemistry WCH, Weinheim, 1988. Un capitolo molto interessante sull’effetto solvente e la struttura dei liquidi si trova in: 2. E. M. Kosover An Introduction to Physical Organic Chemistry Wiley, New York, 1968. Per gli aspetti pratici relativi ai solventi organici è utile consultare: 3. D. Savoia, in M. d’Ischia, La chimica Organica in Laboratorio Tomo 1, Capitolo 6.2, Piccin Editore, Padova, 2002. Le reazioni organiche in acqua o in fase acquosa sono trattate in modo esauriente nella monografia: 4. U. M. Lindstrøm Organic Reactions in Water: Principles, Strategies and Applications Blackwell, Oxford, 2007. Sulla “struttura” dell’acqua liquida si veda: 5. B. Pispisa Chimica Fisica Biologica Aracne Editrice, Roma, 2007. 167 6 ACIDI E BASI ____________________________________________________________________ 6.1 Introduzione 168 6.2 Richiami sugli equilibri acido-base in acqua 169 6.3 Acidi e basi più deboli dell’acqua 174 6.4 Acidi più forti di H3O+, basi più forti di OH ¯ 176 6.5 Meccanismo di trasferimento protonico 181 6.6 Effetti del solvente sull’acidità 183 6.7 Nucleofili ed elettrofili 184 6.8 Problemi 189 6.9 Bibliografia 190 ____________________________________________________________________ 6.1 Introduzione Nel corso di studi in Chimica è difficile imbattersi in un concetto tanto generale quanto quello di acido o base; non esiste forse un’altra classe di equilibri così importante come quella che interessa gli acidi e le basi. I concetti fondamentali relativi a questo argomento sono noti dal corso di Chimica Generale nel quale si tratta diffusamente degli equilibri in acqua. Il ruolo davvero centrale del concetto di specie acida o basica, nonché degli equilibri acido-base in soluzione acquosa, è illustrato anche dallo sviluppo storico che ha accompagnato nel corso del tempo le definizioni e le teorie atte a descrivere il comportamento delle specie acide e basiche. Dalla definizione data da Arrhenius, che individua una specie acida in virtù della sua capacità di ionizzare soluzioni acquose producendo “ioni idrogeno”, si è passati alla teoria di Brønsted per sfociare infine nella definizione più generale data da Lewis. Un modello relativamente recente nella classificazione delle specie acide e basiche è stato discusso nel capitolo 3 a proposito della teoria HSAB dove sono state mostrate le connessioni con la teoria FMO e, più in generale, con le nozioni di durezza e di mollezza assolute. Ciò che ci si propone di realizzare nell’ambito del presente capitolo è l’estensione del concetto di acido o base a soluzioni non acquose, mostrando come gli equilibri descritti quantitativamente dalla termodinamica delle soluzioni acquose siano utili nella generalizzazione ad altri sistemi solvente. Un ulteriore obiettivo è rappresentato dalla descrizione di quelle correlazioni lineari che, 168 mettendo in relazione grandezze termodinamiche e cinetiche, permettono di trarre informazioni utili sul meccanismo di alcune reazioni organiche. 6.2 Richiami sugli equilibri acido-base in acqua Nonostante i fondamenti degli equilibri acido-base in soluzione acquosa siano noti dal corso di Chimica Generale, la loro considerevole importanza suggerisce l’opportunità di dedicare un paragrafo a carattere riassuntivo su questo argomento. Nell’ambito della teoria acido-base secondo Brønsted, un acido è una sostanza in grado di cedere protoni ed una base è una sostanza in grado di accettarli. La relazione chimica che intercorre tra un acido ed una base è Base¯ + H+ Acido In questo modo si definisce la coppia coniugata acido-base, nel senso che la specie “Base¯” corrisponde alla base coniugata della specie “Acido”. E’ opportuno ricordare che poiché i protoni non possono praticamente esistere allo stato libero in soluzione, affinché un acido possa cedere protoni è necessaria la presenza di una base capace di riceverli. Considerando la reazione Acido 1 + Base 2 Acido 2 + Base 1 Quando l’equilibrio è spostato verso destra l’Acido 1 è più forte della Base 1, dato che ad un acido più forte corrisponde necessariamente una base coniugata più debole. L’acqua può comportarsi sia da acido che da base in accordo con le seguenti equazioni. H2O H+ + OH ¯ H2O + H+ H3O+ La decorrenza simultanea di questi due equilibri conduce alla definizione di pH. Sommando le due equazioni precedenti si ricava infatti l’equilibrio relativo all’autoprotolisi dell’acqua H3O+ + OH ¯ 2H2O caratterizzato dalla costante di equilibrio Ka = [H 3O + ][OH - ] [ H 2 O] 2 La frazione di acqua dissociata è sempre molto piccola rispetto al numero totale delle molecole d’acqua presenti nelle soluzioni diluite, sicché [H2O]2 può ritenersi costante e si può scrivere [H3O+][OH¯] = Kw, dove con Kw si indica la costante di autoprotolisi 169 dell’acqua il cui valore è pari a 10-14. Affinché possa essere mantenuta l’elettroneutralità della soluzione si deve avere [H3O+] = [OH¯] = 10-7. Definendo pH = - Log [H3O+] è evidente che una soluzione acquosa è acida se pH < 7 mentre è basica se pH > 7. La costante di equilibrio per la reazione Base¯ + H3O+ Acido + H2O è, ritenendo [H2O] costante, Ka = [Base - ][H 3 O + ] [Acido] ovvero pH = pK a + Log [Base - ] [Acido] Un acido è forte quando cede quantitativamente i suoi protoni all’acqua, ovvero quando l’equilibrio precedente è completamente spostato verso destra. Gli acidi più forti di [H3O+], che non possono esistere in soluzione acquosa, sono per l’appunto acidi forti. Ne sono esempi gli acidi minerali inorganici. Analogamente le basi forti reagiscono quantitativamente con l’acqua che in questo caso si comporta da specie acida, e non possono esistere in acqua basi più forti di OH¯. Ne sono esempi l’etossido di sodio, la sodioammide ed il butillitio. EtO ¯ + H2O → EtOH + OH ¯ NH2¯ + H2O → NH3 + OH ¯ nBuLi + H2O → nBuH + LiOH Considerando la dissociazione in acqua di un generico acido alla concentrazione c si ha Base¯ + H3O+ Acido + H2O Ka = [Base - ][H 3 O + ] [Acido] cioè [H 3O + ] = K a da cui [Acido] [Base - ] = Ka [H3O+]2 = Ka(c-[H3O+]) (c - [H 3 O + ]) [H 3 O + ] equazione 6.1 Se l’acido è debole vale la relazione c >> [H3O+] e l’equazione 6.1 si semplifica in 170 [H3O+]2 = cKa Passando ai logaritmi si ottiene pH = 1 1 pK a + Log c 2 2 che è l’espressione utilizzata nella maggior parte dei casi di interesse pratico. Se invece l’acido è forte, cioè se è dissociato completamente, la sua concentrazione c è praticamente uguale ad [H3O+] e si ottiene pH = -Log c In modo del tutto analogo, per la dissociazione di una base a concentrazione c si ha [H 3 O + ] = K a [Acido] [Base - ] = Ka [OH − ] (c - [OH − ]) Se la base è debole vale la diseguaglianza c >> [OH¯] e la precedente equazione diventa [OH − ] 10 −14 1 [H 3 O + ] = K a = Ka c c [H 3O + ] da cui 10 −14 [H 3O + ]2 = K a c Passando ai logaritmi 2pH = pK a + Log c + 14 ovvero 1 1 pH = 7 + pK a + Log c 2 2 Per una base forte, completamente dissociata, c = [OH ¯] da cui pH = 14 + Log c. Volendo riassumere: per un acido debole pH = per un acido di media forza per un acido forte per una base debole per una base di media forza per una base forte 1 1 pK a + Log c 2 2 [H 3O + ] = K a (c − [H 3 O + ]) pH = - Log c 1 1 pH = 7 + pK a + Log c 2 2 10 -14 (c − [OH - ]) Ka pH = 14 + Log c [OH - ] = 171 Poiché un acido è tanto più forte quanto maggiore è la sua Ka, ovvero quanto minore è la sua pKa, è evidente che esso è in grado di protonare una qualsiasi base coniugata di un secondo acido meno forte. Questa constatazione è esemplificata nella Tabella 6.1 nella quale sono riportati alcuni acidi organici in ordine di acidità decrescente. Le basi coniugate corrispondenti risultano quindi elencate in ordine di basicità crescente dall’alto verso il basso. Ciò significa che ogni acido elencato nella Tabella 6.1 è in grado di protonare una qualsiasi delle basi coniugate che lo seguono ma non quelle che lo precedono. Tutti i valori di pKa raccolti nella Tabella 6.1 sono stati ottenuti in modo rigoroso attraverso la determinazione della corrispondente costante di dissociazione acida in soluzione acquosa. Come si può notare da questi valori di pKa ognuno di questi acidi è più debole dello ione idronio e più forte dell’acqua. Misure termodinamiche accurate sono possibili solo per acidi di questa forza. Per acidi o basi molto forti (rispettivamente più forti di [H3O+] ed [OH¯]) o molto deboli (più deboli dell’acqua) si possono ottenere valori di pKa approssimati, come si discuterà nei prossimi paragrafi. Tabella 6.1. Valori di pKa per alcuni acidi organici. _____________________________________________________________________________________ Acido Base coniugata pKa _____________________________________________________________________________________ HOOC-COOH Cl2CHCOOH ClCH2COOH HCOOH PhCOOH HOOC-COO¯ 2Py-2’PyH+ PhNH3+ MeCOOH Me3CCOOH PyH+ PhSH MeCOCH2COMe PhOH CH3NO2 CH3SH CH2(CN)2 HOOC-COO¯ Cl2CHCOO¯ ClCH2COO¯ HCOO¯ PhCOO¯ ¯OOC-COO¯ 2Py-2’Py PhNH2 MeCOO¯ Me3CCOO¯ Py PhS¯ MeCOCH¯ COMe PhO¯ ¯CH2NO2 CH3S¯ ¯CH(CN)2 1.25 1.3 2.9 3.8 4.2 4.3 4.4 4.6 4.75 5.03 5.2 6.50 9.0 9.5 10.2 10.3 11.0 _____________________________________________________________________________________ L’andamento dei valori di pKa degli acidi elencati nella Tabella 6.1 si presta ad alcune considerazioni ulteriori piuttosto utili in vista delle loro applicazioni. L’acidità del gruppo idrossile è influenzata piuttosto fortemente dal tipo di sostituzione. A questo proposito si prenda come riferimento il valore di pKa del fenolo, che in acqua si comporta come un acido debole. La sostituzione di uno o più idrogeni dell’anello 172 benzenico con atomi o gruppi a carattere elettronattrattore produce come risultato la diminuzione del valore di pKa. Questa variazione si giustifica facilmente con la maggiore stabilizzazione della carica negativa situata sull’ossigeno fenolico, che viene dispersa efficacemente dal gruppo elettronattrattore attraverso l’anello benzenico. L’andamento opposto dei valori di pKa si riscontra per sostituzione di uno o più idrogeni con gruppi elettronrepulsori (Tabella 6.2). Tabella 6.2. Acidità di fenoli monosostituiti. ___________________________________________________________________________ sostituente pKa (25°C) ___________________________________________ orto meta para 10.3 10.0 8.5 7.2 10.1 9.7 9.0 8.4 10.3 10.2 9.4 7.15 ___________________________________________________________________________ Me MeO Cl NO2 ___________________________________________________________________________ L’aumento di acidità determinato dall’introduzione di un secondo gruppo nitro è particolarmente elevato qualora il nuovo sostituente si trovi in posizione orto o para rispetto al gruppo idrossi. L’acidità dei 2,4-dinitrofenoli è paragonabile a quella degli acidi carbossilici, ad esempio il pKa del 2,4-dinitrofenolo è 4.9 e quello dell’acido picrico addirittura 0.25; un acido forte a tutti gli effetti. Il pKa del tiofenolo è superiore a quello dell’analogo ossigenato di ben tre unità pK. Questo comportamento è dovuto all’interazione di risonanza assai minore che coinvolge la carica negativa sullo zolfo rispetto a quanto avviene nel caso del fenolo. In altri termini la carica negativa dell’anione tiofenato è situata sull’atomo di zolfo, che è in grado di disperderla più efficacemente di quanto possa fare l’atomo di ossigeno più piccolo. Per quanto riguarda gli ioni ammonio, essi sono solitamente acidi più forti dei corrispondenti composti ossigenati. Lo ione anilinio è infatti più forte del fenolo di ben 4.9 unità pK. Ne segue che le basi all’ossigeno devono essere più forti di quelle all’azoto, ossia l’anione fenossido è una base più forte dell’anilina. L’andamento dei valori di pKa degli acidi acetici sostituiti riflette le richieste elettroniche del o dei gruppi sostituenti. Come riportato nella Tabella 6.3, si passa da acidi forti quali il trifluoroacetico ad acidi medio-deboli come l’acido propionico. E’ altresì evidente l’effetto di additività dei gruppi sulla forza dell’acido così come l’effetto elettronattrattore di doppi e tripli legami carbonio-carbonio. Questi ultimi gruppi sono infatti più elettronegativi del carbonio ibridizzato sp3 a causa del loro maggior carattere s. Per quanto riguarda i valori di pKa degli acidi benzoici para-sostituiti (Tabella 6.4) le variazioni di acidità seguono una relazione lineare con le costanti del sostituente σ come è logico aspettarsi per questi composti, che servono da substrati di riferimento per l’equazione di Hammett. 173 Tabella 6.3. Acidità di acidi acetici sostituiti. ___________________________________________________________________________________________ acido pKa acido pKa ___________________________________________________________________________________________ CF3COOH Cl3CCOOH NCCH2COOH CH≡CCH2COOH 0.23 0.64 2.46 3.32 MeOCH2COOH PhCH2COOH CH2=CHCH2COOH MeCH2COOH 3.43 4.31 4.35 4.87 ___________________________________________________________________________________________ Tabella 6.4. Acidità di acidi benzoici sostituiti. ___________________________________________________________________________________________________ pKa pKa σp acido σp ___________________________________________________________________________________________________ acido 4-NO2-C6H4COOH 4-CN-C6H4COOH 4-Cl-C6H4COOH 3.42 3.55 3.98 +0.78 4-Me-C6H4COOH +0.66 4-OH-C6H4COOH +0.23 4-NH2-C6H4COOH 4.37 4.58 4.86 -0.14 -0.37 -0.66 ___________________________________________________________________________________________________ 6.3 Acidi e basi più deboli dell’acqua La dissociazione di specie acide caratterizzate da valori di pKa > 14 non avviene apprezzabilmente in acqua dato che, di fatto, l’acido è troppo debole per potersi dissociare. Per misurare i valori di pKa di acidi così deboli si devono utilizzare solventi diversi dall’acqua e, naturalmente, basi diverse dallo ione idrossido. Se due acidi HA1 ed HA2 vengono sciolti in un solvente opportuno e si aggiunge una piccola percentuale di una base forte, si instaura l’equilibrio HA1 + A2¯ HA2 + A1¯ la cui costante K è espressa dall’equazione K= [HA 2 ][A1- ] γ (HA 2 )γ (A1- ) [HA1 ][A -2 ] γ (HA1 )γ (A -2 ) = a (HA 2 )a (A1- ) a (HA1 )a (A -2 ) = I2 I1 nella quale compaiono i coefficienti di attività γ e le attività a di ciascuna specie presente all’equilibrio. Con I1 = a(HA1)/a(A1¯) ed I2 = a(HA2)/a(A2¯) si indicano i rapporti tra le attività relative alle specie acide HA1 ed HA2. Essendo K(HA1 ) = a (H + )a (A1- ) , a (HA1 ) K(HA 2 ) = a (H + )a (A -2 ) a (HA 2 ) e passando ai logaritmi si ottengono le due equazioni pKa(HA1) = pH – Log[a(A1¯)/a(HA1)] pKa(HA2) = pH – Log[a(A2¯)/a(HA2)] 174 Poiché Log K = Log I2 – Log I1 si può scrivere Log K = pKa(HA2) – pH – pKa(HA1) + pH = pKa(HA2) – pKa(HA1) Ovvero la costante di equilibrio è data dalla differenza dei valori di pKa delle due specie acide in soluzione. Misurando la costante di equilibrio si può allora risalire al valore di pKa di una delle due specie acide posto che per l’altra sia noto il valore di pKa in acqua. Ad esempio, se è noto il pKa in acqua della specie HA1 è possibile determinare il valore di pKa dell’acido HA2 anch’esso relativo all’acqua, nonostante la misurazione sia stata effettuata in un solvente diverso dall’acqua. Un’ulteriore misurazione di un’altra costante di equilibrio K’, questa volta relativa all’acido HA2 e ad un nuovo acido debole HA3 il cui pKa in acqua non sia noto, permette di ricavare il pKa di HA3 in acqua. In questo modo si può costruire una scala di pKa per acidi più deboli dell’acqua la cui forza si misura in solventi non acquosi ma i cui valori di pKa risultano comunque riferiti all’acqua quale solvente. Per gli acidi organici al carbonio, che sono solitamente molto più deboli dell’acqua, questo modo di procedere permette di ottenere valori di pKa che non sono misurabili direttamente. Alcuni di questi acidi al carbonio sono elencati nella Tabella 6.5, affiancati ai rispettivi valori di pKa, in ordine di acidità decrescente. Tabella 6.5. Valori di pKa di alcuni acidi deboli al carbonio. ___________________________________________________________________________________________ acido pKa acido pKa ___________________________________________________________________________________________ ciclopentadiene CH3COPh (CH3)2C=O (PhCH2)2SO2 15 19.5 20 22 fluorene CH3CN (CH3)2S=O Ph2CH2 22.7 25 28.5 33 ___________________________________________________________________________________________ La dissociazione degli acidi al carbonio prevede la formazione di un carbanione secondo l’equazione generale R3C¯ + (BaseH)+ R3C-H + Base Poiché il legame C-H è sostanzialmente omopolare, la sua scissione eterolitica è un processo termodinamicamente sfavorito e, di conseguenza, è meno facile della scissione eterolitica dei legami O-H od N-H. Naturalmente queste considerazioni si applicano a tutti quegli acidi al carbonio le cui basi coniugate non godono della stabilizzazione dovuta alla presenza di uno o più gruppi elettronattrattori. Se è vero che gli acidi al carbonio non stabilizzati mostrano valori di pKa elevati è pur vero che opportune modificazioni strutturali possono cambiare radicalmente questo scenario. A titolo d’esempio si prendano i valori di pKa del metano e dei suoi nitroderivati, elencati nella Tabella 6.6. Il metano, la cui base coniugata è l’anione metilico, ha pKa > 40, è cioè 1026 volte meno acido dell’acqua. Tuttavia la sostituzione degli 175 idrogeni del metano con gruppi nitro vede capovolgere questa situazione tanto che il trinitrometano, pKa = 0.14, è un acido al carbonio forte al pari dell’acido trifluoroacetico. Tabella 6.6. Valori di pKa di metani sostituiti. ___________________________________________________________________________________________ acido pKa acido pKa ___________________________________________________________________________________________ CH4 CH3NO2 > 40 10.2 CH2(NO2)2 CH(NO2)3 3.63 0.14 ___________________________________________________________________________________________ Le stesse considerazioni si applicano ad ogni gruppo elettronattrattore; il tricianometano HC(CN)3 ha pKa = -5.13 ed è quindi un acido molto forte. Anche la variazione di ibridizzazione produce effetti notevoli sull’acidità degli acidi al carbonio. A causa del carattere s molto spiccato degli atomi di carbonio ibridizzati sp, l’acetilene ha pKa = 23.0, molto più acido dell’etilene (pKa ≈ 32) i cui carboni sono ibridizzati sp2 e dell’etano, pKa ≈ 40. 6.4 Acidi più forti di H3O+, basi più forti di OH ¯ Nel paragrafo dedicato all’esposizione degli equilibri acido-base in soluzione acquosa si è assunto che la concentrazione delle specie acide o basiche presenti all’equilibrio sia sufficientemente piccola in modo da poter trascurare i coefficienti di attività γ tali per cui aA = γA[A], dove aA è l’attività del soluto ed [A] è la sua concentrazione. Un’altra assunzione importante è implicita nella stessa natura dell’acqua quale solvente. Poiché in acqua non possono esistere acidi più forti dello ione idronio e basi più forti dello ione idrossile la scala di pH è definita univocamente nell’intervallo compreso tra 0 e 14. Tuttavia, volendo prendere in considerazione soluzioni concentrate di acidi o basi forti non è possibile ricorrere alle costanti di equilibrio riferite all’acqua quale solvente. In primo luogo infatti se la soluzione è sufficientemente concentrata il valore dei coefficienti di attività γ si discosta dall’unità e per ogni specie in soluzione occorre tenere conto della sua attività piuttosto che della sua concentrazione apparente. In secondo luogo per acidi e basi più forti rispettivamente di H3O+ ed OH¯ l’acqua esercita un effetto livellante, nel senso che la base forte B¯ non può esistere come tale in soluzione acquosa dato che l’equilibrio B¯ + H2O B-H + OH ¯ è completamente spostato verso destra. E’ quindi necessario ricorrere alla generalizzazione della misura di acidità e basicità per soluzioni concentrate e/o non acquose. Nell’ambito di questa generalizzazione si colloca il concetto di funzione di acidità secondo Hammett. Se nella soluzione di una specia acida viene introdotta una base B elettricamente neutra ha luogo l’equilibrio BH+ + A¯ HA + B 176 Il catione BH+ si dissocia a sua volta secondo l’equilibrio BH+ B + H+ nel quale il protone H+ non deve intendersi libero ma legato ad una molecola di solvente; questo formalismo semplificato si usa solo per comodità grafica. La costante Ka relativa a quest’ultimo equilibrio permette di valutare la forza della base B. γ (B)[B] a(H + )a(B) Ka = = a(H + ) γ (BH + )[BH + ] a (BH + ) Indicando con γ (B) h0 = a (H + ) γ (BH + ) si ha [BH + ] h0 = K a [B] La funzione di acidità H0 è definita come il logaritmo decimale negativo di h0, cioè H0 = -Log h0, e dunque si ha [B] H 0 = pK a + Log equazione 6.2 [BH + ] Nelle soluzioni acquose diluite i coefficienti di attività sono praticamente uguali all’unità, da cui h0 = a(H+) e quindi H0 = pH. In questo senso la funzione di acidità H0 costituisce un’estensione della scala di pH applicabile nel caso di soluzioni concentrate di acidi, siano essi in soluzione acquosa oppure no. Per la determinazione della funzione di acidità H0 si utilizzano basi B opportune a pKa nota in grado di fungere da indicatori. Per queste specie il massimo dell’assorbimento della luce visibile od UV dev’essere situato a lunghezze d’onda molto diverse da quella relativa alla specie protonata BH+. Le concentrazioni [B] e [BH+] vengono quindi misurate con metodi colorimetrici o spettrofotometrici e, dato che pKa di B è nota, si ricava il valore di H0. In pratica quindi la determinazione della funzione di acidità H0 di una specie fortemente acida HA si esegue aggiungendo alla soluzione concentrata dell’acido in questione l’indicatore, che viene protonato e per il quale si determina sperimentalmente il rapporto [B]/[BH+]. Di solito come indicatori si scelgono delle basi deboli e, poiché ogni indicatore è utilizzabile in un intervallo piuttosto ristretto delle concentrazioni di HA, è necessario utilizzare una serie di indicatori per poter costruire il diagramma di H0 in un ambito abbastanza ampio delle concentrazioni della specie acida. Nella Tabella 6.7 sono riportati alcuni tra gli indicatori più utilizzati, affiancati al corrispondente valore di pKa. Potendo utilizzare diversi indicatori nella determinazione della funzione di acidità, si ottengono funzioni H diverse a secondo della classe chimica cui appartiene l’indicatore utilizzato. Ad esempio la funzione H0 viene determinata utilizzando come indicatori ammine primarie opportunamente sostituite all’anello benzenico. 177 Altre funzioni di acidità sono elencate nella Tabella 6.8 accanto al tipo di indicatore utilizzato per la loro definizione. Tabella 6.7. Indicatori utilizzati nella determinazione di H0. ___________________________________________________________________________________________ acido pKa acido pKa ___________________________________________________________________________________________ 4-NO2-C6H4NH2 2-NO2-C6H4NH2 4-NO2-C6H4NHPh 4-NO2-azobenzene 2,4-(NO2)2-C6H3NH2 +1.11 -0.13 -2.38 -3.35 -4.38 benzalacetofenone para-benzoilbifenile PhCOOH antrachinone picrilammina -5.61 -6.19 -7.26 -8.15 -9.29 ___________________________________________________________________________________________ Tabella 6.8. Funzioni di acidità. ___________________________________________________________________________________________ funzione indicatore funzione indicatore H0 H0m HI HA H0m HR ___________________________________________________________________________________________ aniline primarie N,N-dialchilnitroaniline indoli ammine triarilmetanoli eteri ___________________________________________________________________________________________ Nella Figura 6.1 è mostrato l’andamento grafico di alcune funzioni di acidità per il sistema acido solforico-acqua. H HR H0m -12 H0 -10 -8 -6 HA -4 -2 0 2 20 40 60 80 100 % H2SO4 Figura 6.1. Andamento di alcune funzioni di acidità per il sistema H2SO4-H2O. 178 Nella Figura 6.2 sono invece diagrammate le rette che si ottengono sperimentalmente per lo stesso sistema acido dall’equazione 6.2 utilizzando come indicatori (a) la 2-nitroanilina, (b) la 4-cloro-2-nitroanilina e (c) la 2,5-dicloro-4-nitroanilina. 2.0 (a) Log[B]/[BH+] (b) 1.5 1.0 (c) 0.5 0 -0.5 -1.0 10 20 30 40 50 % H2SO4 Figura 6.2. Diagramma lineare di Log[B]/[BH+] in funzione della % di acido solforico per il sistema H2SO4-H2O. Poiché la funzione di acidità H0 è la più utilizzata nella pratica ed il sistema acido solforico-acqua riveste un notevole interesse sia teorico che pratico, nella Tabella 6.9 è riportato il valore di H0 per questo sistema in funzione della percentuale di acido solforico. Tabella 6.9. Valori di H0 per il sistema acido solforico-acqua. ___________________________________________________________________________________________ H0 % acido solforico H0 % acido solforico ___________________________________________________________________________________________ 0.24 -0.16 -0.89 -1.54 -2.28 -3.23 5 10 20 30 40 50 -4.32 -5.54 -6.82 -8.17 -8.74 -10.60 60 70 80 90 95 100 ___________________________________________________________________________________________ Sono state determinate dettagliatamente le funzioni di acidità per altre specie d’interesse quali l’acido perclorico, l’acido cloridrico, l’acido fosforico, l’acido nitrico e l’acido para-toluensolfonico. Sebbene la maggior parte delle funzioni di acidità sia formulata per dare un’indicazione semiquantitativa sul potere protonante di soluzioni fortemente acide, lo stesso trattamento può essere applicato ad ogni base 179 più forte dell’anione idrossile. E’ stata infatti costruita la scala H_ valida per le soluzioni di tetralchilammonio idrossido in solfolano, dimetilsolfossido-acqua ed altri solventi. La funzione di acidità H_ costituisce l’estensione della scala di pH oltre il valore 14 in acqua. Un altro tipo di approccio al problema riguardante soluzioni concentrate di acidi forti è stato proposto da Bunnett ed Olsen, che hanno derivato la seguente equazione. Log [BH + ] + H 0 = φ ( H 0 + Log[H + ]) + pK a [B] La pendenza della retta che si ottiene diagrammando Log([BH+]/[B]) + H0 in funzione di (H0 +Log[H+]) è il parametro φ, mentre l’intercetta è il pKa della specie protonata BH+. Il valore di φ esprime la suscettibilità dell’equilibrio B + H+ BH+ rispetto alla variazione di concentrazione della specie acida. Utilizzando quale indicatore la 4-nitroanilina si pone per convenzione φ = 0 e dall’equazione di Bunnett-Olsen si riottiene l’equazione 6.2. Cambiando l’indicatore i valori di φ possono assumere sia valori positivi che negativi. Se φ < 0 il rapporto di ionizzazione [BH+]/[B] aumenta più rapidamente di –H0 all’aumentare della concentrazione di acido. E’ questo il caso di basi (indicatori) che per protonazione danno sistemi nei quali la carica positiva è ben delocalizzata, una possibilità è rappresentata dall’ottenimento di carbocationi relativamente stabili. Valori di φ > 0 indicano che il rapporto di ionizzazione [BH+]/[B] aumenta meno rapidamente di –H0 all’aumentare della concentrazione di acido. In questo caso la base utilizzata come indicatore dà per protonazione la specie BH+ in cui la carica positiva è ben localizzata. _____________________________________________________________________ φ Base (indicatore) _____________________________________________________________________ 2,4,6-(MeO)3-C6H2COMe 4-NO2-C6H4NH2 AcOEt Me2C=O -0.11 0.00 +0.40 +0.75 _____________________________________________________________________ Gli acidi più forti dello ione idronio di interesse in chimica organica sono essenzialmente specie acide elettroneutre, oppure protonate, all’ossigeno o all’azoto. Non mancano specie elettroneutre quali gli acidi solfonici e persino un acido al carbonio quale il tricianometano. Alcuni esempi significativi sono riportati nella Tabella 6.10. I mezzi più protonanti in assoluto sono i cosiddetti “superacidi”, ovvero BF3, PF5, AsF5 ed SbF5 in HF liquido. Sono superacidi anche l’acido fluorosolfonico 180 FSO3F ed il solfonilclorofluoruro SO2ClF in HF liquido. La forza protonante di alcuni superacidi è talmente marcata da permettere la reazione con basi estremamente deboli come il metano, dando la specie pentacoordinata CH5+, o come il benzene. I pKa dei superacidi sono generalmente inferiori a -20. Acidi più forti dello ione idronio sono anche i comuni acidi inorganici HCl (pKa = -7), HBr (pKa = -9), HNO3 (pKa = -1.4). Tabella 6.10. Valori approssimati di pKa di acidi più forti dello ione idronio. _________________________________________________________________________________________________________ acido base coniugata pKa acido base coniugata pKa _________________________________________________________________________________________________________ HClO4 RCH=OH+ R2C=OH+ ArSO3H R(RO)C=OH+ R(HO)C=OH+ ClO4¯ RCH=O R2C=O ArSO3¯ RCOOR RCOOH ArOH+R (CN3)CH ROH+R R3COH2+ R2CHOH2+ RCH2OH2+ -10 -10 -7 -6.5 -6.5 -6 ArOR (CN3)C¯ ROR R3COH R2CHOH RCH2OH -6 -5.13 -3.5 -2 -2 -2 _________________________________________________________________________________________________________ Tra le basi più forti dello ione idrossile se ne annoverano moltissime d’interesse pratico in chimica organica (Tabella 6.11). Tabella 6.11. Valori approssimati di pKa di basi più forti dell’anione idrossile. _________________________________________________________________________________________________________ base acido coniugato pKa base acido coniugato pKa _________________________________________________________________________________________________________ RCH2O¯ RCH¯CHO R2CHO¯ R3CO¯ RCONH¯ RCOCH¯R RCH¯COOR RCH2OH RCH2CHO R2CHOH R3COH RCONH2 RCOCH2R RCH2COOR 16 16 16.5 17 17 18-20 24.5 RCH¯CN HC≡C¯ EtOCOCH2¯ Ar3C¯ H¯ NH2¯ PhCH2¯ RCH2CN HC≡CH EtOCOCH3 Ar3CH H2 NH3 PhCH3 25 25 25.6 31.5 35 38 40 _________________________________________________________________________________________________________ 6.5 Meccanismo di trasferimento protonico Il trasferimento di protoni tra acidi e basi all’ossigeno od all’azoto sono di norma estremamente veloci e nella maggior parte dei casi procedono sotto il controllo della diffusione. Il meccanismo di trasferimento protonico da un acido ad una base di questo tipo consta di tre passaggi: (1) formazione di un complesso che implica un legame ad idrogeno tra l’acido HA e la base B, (2) trasferimento del protone dall’acido alla base, (3) dissociazione del complesso proveniente dal secondo passaggio. 181 (1) HA + B A-HּּּּּB (2) A-HּּּּּB (3) Aδ-ּּּּּH-Bδ+ Aδ-ּּּּּH-Bδ+ A¯ + BH+ Non tutti i trasferimenti protonici sono controllati dalla diffusione; ad esempio se è operante un legame ad idrogeno intramolecolare la reazione con un acido od una base esterna decorre di solito più lentamente. Nel caso dell’acido 3-idrossipropionico lo ione OH¯ esterno può iniziare a formare il legame ad idrogeno col protone carbossilico solo previa rottura del legame ad idrogeno intramolecolare. Solo una parte delle collisioni tra lo ione OH¯ e l’acido 3-idrossipropionico può dare luogo al trasferimento protonico. Nella maggior parte delle collisioni lo ione OH¯ si allontana senza reagire, il che diminuisce in modo consistente la velocità del trasferimento protonico. O O O δ O _ + OH O H O H _ H _ δ OH H Un altro fattore che comporta la diminuzione della velocità di trasferimento protonico riguarda quelle strutture molecolari nelle quali il protone acido è protetto all’interno di una cavità molecolare quale ad esempio quella presente in alcuni criptandi. (CH2)n N H N (CH2)m (CH2)k X _ Un caso particolarmente interessante di trasferimenti protonici che avvengono al di sotto del limite diffusivo è quello delle spugne protoniche. Ad esempio l’1,8-bis-dimetilammino-2,7-dimetossi naftalene è una base molto forte (pKa = 16.3) per un’ammina terziaria; a titolo di confronto si consideri il valore pKa = 5.1 della N,N-dimetilanilina. H Et2N MeO NEt2 Et2N MeO OMe NEt2 OMe + H+ La notevole basicità del derivato naftalenico è resa possibile dal forte ingombro sterico dovuto ai doppietti elettronici dei due atomi di azoto che sono forzati a dover occupare uno spazio contiguo. La protonazione della specie neutra comporta la 182 diminuzione di questa compressione sterica dato che uno dei due doppietti elettronici viene impegnato nel legame covalente col protone mentre il secondo doppietto intrattiene con esso un legame ad idrogeno. Nonostante la sua basicità termodinamica molto alta, il trasferimento protonico dall’1,8-bis-dimetilammino-2,7-dimetossi naftalene decorre molto lentamente denotando quindi un’acidità cinetica piuttosto bassa. Anche il trasferimento protonico che riguarda gli acidi al carbonio decorre solitamente con velocità inferiori al limite di diffusione. Per questa classe di specie acide è infatti normalmente preclusa la possibilità di formare legami ad idrogeno. 6.6 Effetti del solvente sull’acidità L’effetto esercitato dal mezzo di reazione nella variazione dei valori di pKa degli acidi carbossilici è già stato discusso nell’ambito dell’effetto solvente (pag. 153). In questo paragrafo ci si propone di mostrare come e quanto possano essere influenzati i pKa di una serie di acidi, riportati nella Tabella 6.12, passando dall’acqua ad un tipico solvente dipolare aprotico quale il dimetilsolfossido. Tabella 6.12. Acidità in acqua e dimetilsolfossido. _________________________________________________________________________________________________________ acido pKa _________________________ acqua DMSO -0.6 0.25 4.25 4.75 8.9 1.6 0 11.1 12.3 13.3 acido pKa _______________________ acqua DMSO 10.0 9.5 11.0 15.5 15.75 17.2 18.0 11.0 29.0 32 _________________________________________________________________________________________________________ CH3SO3H acido picrico PhCOOH CH3COOH (CH3CO)2CH2 CH3NO2 PhOH CH2(CN)2 CH3OH H2O _________________________________________________________________________________________________________ Nei paragrafi precedenti è emerso che l’effetto livellante esercitato dall’acqua non permette l’esistenza in soluzione di specie più acide dello ione idronio e più basiche dell’anione idrossido. Ciò dipende evidentemente dal valore di pKa dell’acqua, che è pari a 15.75. I valori di pKa misurati in dimetilsolfossido differiscono da quelli misurati in acqua per più motivi. In primo luogo in dimetilsolfossido si possono determinare pKa fino a 32 senza che intervengano le complicazioni dovute all’effetto livellante del solvente, che infatti ha pKa = 35. Dall’esame dei dati raccolti nella Tabella 6.12 si nota che in alcuni casi, che coincidono con basi coniugate a carica localizzata, esistono forti differenze tra i pKa determinati in acqua ed in dimetilsolfossido. Queste differenze sono dovute essenzialmente alla mancanza di legami ad idrogeno nel caso del solvente organico. Ad esempio l’acqua stessa manifesta una differenza pari a ben 16.25 unità pK, il metanolo 14.5. Per basi coniugate a carica delocalizzata le differenze di pKa sono molto inferiori e possono arrivare ad annullarsi. Ad esempio l’acido picrico, che non intrattiene legami ad idrogeno significativi in acqua, non mostra differenze di pKa al variare del solvente. 183 6.7 Nucleofili ed elettrofili Il concetto di specie acida o basica si inquadra nell’ambito più generale di specie nucleofila ed elettrofila. Il termine “base” si riferisce infatti ad una specie che mostra affinità nei confronti del protone; la sua basicità è la misura quantitativa di questa affinità. Per contro una specie nucleofila manifesta affinità nei confronti di qualsiasi centro reattivo elettrofilo; la nucleofilicità esprime la misura qualitativa o semiquantitativa di questa affinità. Per chiarire questo punto è opportuno ricorrere ad un esempio semplice. Nella reazione tra bromoacetato di etile ed n-butillitio, quest’ultimo reagente si comporta da base deprotonando l’estere in posizione α. Ma la reazione tra bromoacetato d’etile e sodio azide dà luogo all’azidoacetato d’etile; in questo caso l’anione azido non si comporta da base ma da nucleofilo attaccando l’atomo di carbonio in α al gruppo etossicarbonile. Br COOEt + nBuLi Br COOEt Li+ + nBuH Br COOEt + NaN3 N3 COOEt + NaBr Se è vero che il termine “base” rappresenta un caso particolare del termine “nucleofilo”, è altrettanto vero che i due sostantivi, così come i due concetti che ne sono espressione, non sono intercambiabili né tantomeno equivalenti. Si è detto che gli equilibri acido-base in acqua si fondano su misurazioni termodinamiche che ne garantiscono una descrizione rigorosa e dettagliata. Così non è nel caso generale delle specie nucleofile per le quali le determinazioni di reattività si basano su misure cinetiche. Anche nel caso di specie nucleofile assai simili, le velocità di reazione nei confronti del substrato elettrofilo correlano assai frequentemente in modo approssimativo con i corrispondenti valori di pKa. La stessa distinzione concettuale si applica alla definizione di acido, che dev’essere inteso come affinità del protone nei confronti di una specie basica, ed elettrofilo. Quest’ultimo termine indica infatti l’affinità di qualsiasi centro povero di elettroni nei confronti di un sito ad alta densità elettronica. Nello stabilire misure semiquantitative di nucleofilicità ed elettrofilicità sono assai utili le correlazioni lineari descritte nei seguenti paragrafi. 6.7.1 Diagrammi di Brønsted. La correlazione tra nucleofilicità e reattività dev’essere realizzata nell’ambito di specie nucleofile chimicamente simili, che mostrino cioè proprietà steriche ed elettroniche paragonabili. Un vincolo ulteriore è rappresentato dal mezzo di reazione, che dev’essere lo stesso per tutte le reazioni di cui si vuole studiare l’interdipendenza tra nucleofilicità e reattività. Se queste condizioni sono soddisfatte si possono ottenere buone correlazioni di tipo lineare. Una di queste correlazioni è l’equazione di Brønsted, che si basa sulla deprotonazione dell’acqua da parte della specie nucleofila Nu quale reazione di riferimento. NuH+ + OH¯ Nu + H2O 184 Log k = βNu Log Kb + C In questa relazione k è la costante di velocità della reazione in esame, Kb è la costante di basicità del nucleofilo e βNu esprime la sensibilità della reazione al variare della basicità del nucleofilo. Il pKa dell’acido coniugato del nucleofilo è espresso da Log Kb = pKa + Log Kw Diagrammando Log k in funzione di pKa si ottiene dunque una retta a coefficiente angolare βNu che indica quanto la velocità di reazione è influenzata dalla struttura del nucleofilo in ragione della sua basicità. Se βNu = 1 la relazione di Brønsted si semplifica in Log k = Log Kb; se un nucleofilo è 100 volte più basico di un altro la velocità di reazione aumenta di 100 volte. Se βNu < 1 la velocità della reazione aumenta meno di quanto aumenta Log Kb. Ciò significa che l’attacco nucleofilo è meno efficace di quanto lascerebbe prevedere il valore di Log Kb. E’ plausibile che per βNu < 1, cioè per nucleofili non molto reattivi, la formazione del nuovo legame tra nucleofilo e substrato sia poco avanzata a livello dello stato di transizione. L’effetto della basicità del gruppo uscente sulla reattività è descritto dalla seguente equazione che mette in relazione la costante di velocità k ed il pKa del gruppo uscente (Gu). Essa ha praticamente la stessa forma dell’equazione di Brønsted. Log k = βGu pKa + C Con βGu si indica la sensibilità della reazione all’allontanamento del gruppo uscente. E’ un fatto noto dalla chimica organica di base che una generica reazione di spostamento è tanto più veloce quanto più l’acido coniugato del gruppo uscente è forte (si pensi alla serie dei gruppi uscenti F¯, Cl¯, Br¯, I¯ ed alla forza dei rispettivi acidi coniugati). Poiché Log k è tanto più grande quanto minore è il valore di pKa dell’acido coniugato del gruppo uscente, βGu deve avere valore negativo. La grandezza di βGu è indice della facilità con cui il gruppo uscente è rimosso a livello dello stato di transizione. Ad esempio, per processi ionogenici tipo SN1 è lecito attendersi valori di βGu < -1. Per processi concertati (tipo SN2) βGu assume valori intermedi attorno a -0.5, il che significa che il gruppo uscente ha subìto un certo allontanamento dal centro reattivo a livello dello stato di transizione, ma non è ancora completamente staccato. Nell’ambito degli studi meccanicistici è quindi piuttosto comune misurare i valori di βNu e βGu poiché essi forniscono una misura, rispettivamente, della capacità di attacco nucleofilo e del grado di allontanamento del gruppo uscente dal centro di reazione nel passaggio lento del processo. A titolo d’esempio si consideri la reazione di defosforilazione dell’ATP nella quale l’alcol ROH si comporta da nucleofilo. O ROH + P O O P ADP RO O 185 O O + ADPH Diagrammando Log k in funzione di pKROH si ottiene una retta a pendenza βNu = 0.07 [Figura 6.3 (A)], che significa che la nucleofilicità dell’alcol ha un effetto molto ridotto sulla velocità di reazione. In questo caso si può pensare che il legame nucleofilo-substrato sia assai poco sviluppato a livello di stato di transizione. D’altra parte la velocità d’idrolisi di fosfoanidridi R1OPO2¯¯ in funzione del pKa mostra βGu = -1.1 ad indicare che la rottura del legame tra fosforo e gruppo uscente è piuttosto avanzato a livello dello stato di transizione [Figura 6.3 (B)]. Log k Log k 1.0 2 0 0 -2 -4 -1.0 -6 12 14 16 pKROH 0 2 4 6 8 pKGu (A) (B) Figura 6.3. Diagrammi di Brønsted per l’idrolisi dell’ATP (A) e di fosfoanidridi (B). Il valore piccolo di βNu e grande di βGu lasciano supporre che il meccanismo d’idrolisi dell’ATP proceda nel seguente modo dissociativo. O P O O O O ADP P O O + ADP _ ROH P RO O + ADPH O 6.7.2 Scale di nucleofilicità Mentre l’equazione di Brønsted correla la costante di velocità di una reazione con i pKa della specie nucleofila attraverso il coefficiente di sensibilità βNu, esistono un certo numero di correlazioni lineari che somigliano a quelle trattate nel capitolo 4 a proposito della correlazione tra struttura e reattività. Queste nuove correlazioni lineari permettono di stilare delle scale di nucleofilicità, ovvero di esprimere in modo semiquantitativo l’attitudine di una certa specie a comportarsi da nucleofilo. 6.7.2.1 Equazione di Swain-Scott. Questa equazione è stata sviluppata per descrivere a livello semiquantitativo il comportamento delle reazioni di sostituzione nucleofila al carbonio saturo. Quale reazione di riferimento si è scelto lo spostamento nucleofilo SN2 dello ione ioduro dallo ioduro di metile, MeI + Nu¯ → MeNu + I¯ processo per il quale si pone la costante di reazione s = 1. 186 L’equazione di Swain-Scott ha la forma di una retta passante per l’origine log(kNu/kw) = s n dove con n si indica la nucleofilicità della specie Nu. Per convenzione n = 0 nel caso dell’acqua, scelta quale nucleofilo di riferimento. Come esempio pratico si consideri la seguente reazione di sostituzione nucleofila Me Me N OMe + _ Nu NMe2 kNu + O2N Nu OMe O2N dalla quale si ricava s = 0.26. Questo valore della costante di reazione indica che la reazione in esame è meno sensibile alla variazione della specie nucleofila attaccante di circa quattro volte rispetto alla reazione di riferimento. Ciò è compatibile con il valore di βNu < 1 ottenuto per la stessa reazione, ad indicare che il legame tra il nucleofilo ed il gruppo metilenico del sale d’ammonio quaternario è poco sviluppato a livello dello stato di transizione. Utilizzando l’equazione di Swain-Scott si ricava una scala di nucleofilicità basata sul parametro n; nella Tabella 6.13 sono riportati i valori di n per alcuni nucleofili. Tabella 6.13. Scala di nucleofilicità basata sul parametro n. ___________________________________________________________________________________________ nucleofilo n nucleofilo n 9.92 7.42 6.70 5.79 5.78 5.75 PhNH2 NH3 Cl¯ MeCOO¯ F¯ NO3¯ 5.70 5.50 4.37 4.3 2.7 1.5 ___________________________________________________________________________________________ PhS¯ I¯ CN¯ Br¯ N3¯ PhO¯ ___________________________________________________________________________________________ 6.7.2.2 Equazione di Ritchie. L’addizione di nucleofili al carbocatione stabile “verde 4-nitromalachite” è utilizzabile quale reazione di riferimento per valutare la nucleofilicità delle specie che reagiscono con questo carbocatione. NMe2 NMe2 O2N + BF4 Nu _ kNu O2N Nu _ NMe2 NMe2 verde 4-nitromalachite 187 Il parametro di nucleofilicità N+ è espresso dall’equazione di Ritchie log(kNu/kw) = N+ per la quale si sceglie l’acqua quale nucleofilo di riferimento. Come nel caso dell’equazione di Swain-Scott è possibile ricavare una scala di nucleofilicità basata, questa volta, sul parametro N+ (Tabella 6.14). Tabella 6.14. Scala di nucleofilicità basata sul parametro N+. ___________________________________________________________________________________________ nucleofilo N+ nucleofilo N+ ___________________________________________________________________________________________ PhS¯ N3¯ EtNH2 H2NCH2CH2NH2 9.10 7.54 5.28 5.44 PhNH2NH2 OH¯ CN¯ NH3 4.77 4.75 4.12 3.89 ___________________________________________________________________________________________ 6.7.2.3 Equazione di Edwards. Le correlazioni lineari esaminate finora sono utilizzabili solo nel caso in cui le specie di cui si vuole valutare la nucleofilicità siano chimicamente simili. In caso contrario non si hanno correlazioni lineari ma piuttosto una distribuzione casuale di punti sperimentali. In alcuni casi si può ricorrere ad equazioni biparametriche che, almeno in parte, risolvono il problema legato alla diversa natura chimica delle specie nucleofile. Questo è il caso dell’equazione di Edwards; un’espressione empirica che ha la forma log(kNu/kw) = aEN + bHN dove: - il parametro EN è espressione del potenziale elettrochimico E0 della coppia Nu/Nu¯ attraverso l’equivalenza EN = E0 + 2.60; - il parametro HN è espressione del pKa dell’acido coniugato della specie nucleofila attraverso l’equivalenza HN = pKa(NuH) + 1.74. Utilizzando l’equazione di Edwards si costruisce la scala di nucleofilicità basata sul parametro EN (Tabella 6.15). Tabella 6.15. Scala di nucleofilicità basata sul parametro EN. ___________________________________________________________________________________________ nucleofilo EN nucleofilo EN ___________________________________________________________________________________________ PhS¯ CN¯ I¯ PhNH2 N3¯ Br¯ 2.9 2.79 2.06 1.78 1.58 1.51 PhO¯ NH3 Cl¯ MeCOO¯ NO3¯ F¯ 1.46 1.36 1.24 0.95 0.29 -0.27 ___________________________________________________________________________________________ 188 Si richiama l’attenzione sul fatto che, trattandosi di scale derivate da relazioni empiriche, le nucleofilicità espresse dai vari parametri considerati non ha validità assoluta al contrario di quanto accade nel caso dei valori di pKa di specie acide o basiche determinati in acqua con metodi termodinamici. Le Tabelle 6.13 e 6.15 ne sono un esempio lampante in quanto vi sono riportate le stesse specie nucleofile che però seguono un ordine di nucleofilicità differente. 6.8 Problemi 1. La funzione di acidità per l’acido solforico acquoso al 20% vale H0 = -0.89. Calcolare il grado di dissociazione per le specie A-D in queste condizioni. NH2 NH2 NO2 pKa = +1.11 pKa = -4.38 NO2 NO2 A B NH2 O2N COOH NO2 pKa = -9.29 pKa = -7.26 NO2 C D 2. Lo spettro UV dell’indene in KOH 15 M (H_ = 18.5) mostra due picchi: 1) 276 nm, A = 8.25, ελ = 249 2) 318 nm, A = 36.6, ελ = 27700 Calcolare il pKa dell’indene. 3. L’etere etilico a 25°C scioglie il 7% in peso di acido cloridrico gassoso. Una tale soluzione ha H0 = -6.0. Sapendo che in queste condizioni l’etere etilico protonato è un acido molto forte che ha pKa = -3.8, calcolare il suo grado di ionizzazione percentuale. 4. Lo spettro UV della 4-nitroanilina (pKa = +1.11 ) in una soluzione eterea di HCl mostra due picchi; quello relativo alla base libera con A = 0.80 ed ε = 167, quello relativo alla base protonata con A = 0.66 ed ε = 16880. Calcolare la funzione di acidità H0 della soluzione in questione. Nel calcolo utilizzare i logaritmi in base naturale. 5. Un passaggio sintetico richiede la deprotonazione della para-nitrodifenilammina (pKa = -2.38). Quale tra le seguenti basi è necessario utilizzare per avere deprotonazione quantitativa (> 99%) della para-nitrodifenilammina? 189 MeONa/MeOH: H_ = -3.68 NaNH2/NH3 (liq.): H_ = -6.70 NaOH (50%): H_ = -7.60 6. Calcolare il grado di ionizzazione % per la orto-nitrodifenilammina in acido solforico acquoso al 40%. La funzione di acidità del mezzo vale H0 = -2.41. 6.9 Bibliografia Due monografie che trattano in modo assai completo ed autorevole gli aspetti inerenti all’acidità e la basicità da un punto di vista chimico-organico, sono: 1. R. P. Bell The Proton in Chemistry Cornell University Press, Ithaca, New York, 1973. 2. R. Stewart The Proton: Applications in Organic Chemistry Academic Press, New York, 1985. Gli aspetti recenti sulle teorie acido-base sono discusse nel libro 3. H. L. Finston, A. C. Rychtman A New View of Current Acid-Base Theories Wiley, New York, 1982. Per una trattazione rigorosa degli equilibri acido-base in soluzione acquosa si possono consultare i due testi seguenti: 4. I. M. Kolthoff, E. B. Sandell, E. J. Meehan, S. Bruchenstein Analisi Chimica Quantitativa Piccin Editore, Padova, 1973; volume 1, capitoli 4, 5. 5. H. Freiser, Q. Fernando Gli Equilibri Ionici nella Chimica Analitica Piccin Editore, Padova, 1972; capitoli 4-7. Una monografia che tratta le correlazioni lineari discusse nel presente capitolo è 6. A.Williams Free Energy Relationships in Organic and Bio-Organic Chemistry The Royal Society of Chemistry, Cambridge, 2003. 190 7 UTILIZZO DEGLI ISOTOPI NEGLI STUDI MECCANICISTICI ____________________________________________________________________ 7.1 Introduzione 191 7.2 Effetti cinetici isotopici 191 7.3 Marcatura isotopica 211 7.4 Problemi 218 7.5 Bibliografia 219 ____________________________________________________________________ 7.1 Introduzione Nell’ambito di un edificio molecolare, la sostituzione di un atomo con un suo isotopo costituisce la minima perturbazione strutturale possibile. Ciononostante le informazioni che si possono dedurre dallo studio della reattività di molecole marcate sono di grande aiuto nell’elucidazione del quadro meccanicistico realmente operante. A questo proposito è utile introdurre il duplice aspetto degli effetti prodotti dalla sostituzione di un atomo con un suo isotopo in una molecola organica. In primo luogo si studiano le eventuali variazioni di velocità che intervengono nelle reazioni di molecole marcate e non marcate. In questo caso si considerano i cosiddetti effetti cinetici isotopici, che saranno discussi nella prima parte di questo capitolo. In secondo luogo si analizza la distribuzione della marcatura isotopica che si verifica in seguito alla reazione di una molecola marcata. Questo tipo di studio, che si avvale di metodi d’indagine non cinetici, sarà trattato nella seconda parte del capitolo. 7.2 Effetti cinetici isotopici Durante lo studio del meccanismo di una reazione organica capita frequentemente di riferirsi allo stadio lento dell’intero processo, che ne determina la velocità complessiva. Anche in presenza di informazioni che suggeriscono un quadro meccanicistico generale, può darsi il caso che non si sappia riconoscere lo stadio lento della reazione. A titolo d’esempio si consideri l’ossidazione cromica dell’alcol isopropilico, che consiste in un primo passaggio nel quale si ha la formazione di un estere cromico e di un secondo passaggio che prevede la decomposizione di questo 191 estere cromico in concomitanza con l’ossidazione dell’alcol secondario. Una questione importante riguarda il momento in cui avviene la rottura del legame C-H dell’isopropanolo, cioè se essa avviene o meno nello stadio lento della reazione. Per chiarire questo punto si ricorre a misurazioni cinetiche che interessano sia l’isopropanolo che il suo derivato Me2CLOH nel quale l’atomo d’idrogeno 1H (pròzio) è stato rimpiazzato da un suo isotopo indicato con la lettera L. H OH H O + _ + HCrO4 H O Cr OH + H2O O O H O O Cr OH + + base + (baseH) _ + HCrO3 O Poiché la velocità di reazione può cambiare passando dal substrato contenente pròzio a quello contenente il suo isotopo L, i metodi d’indagine cinetica permettono di individuare l’effetto cinetico isotopico inteso appunto come variazione della velocità di reazione di un substrato marcato rispetto allo stesso substrato non marcato. E’ possibile distinguere tre tipi di effetti cinetici isotopici. Se la rottura del legame C-L è coinvolta direttamente nello stadio lento della reazione, come nel caso delle sostituzioni nucleofile SN 2, si parla di effetto cinetico isotopico primario indicato di solito con l’acronimo PKIE (dall’inglese: Primary Kinetic Isotope Effect). Se non avviene la rottura del legame C-L si parla di effetto cinetico isotopico secondario (SKIE); ne è un esempio l’addizione nucleofila al carbonile dell’aldeide L3C-CHO. C L _ X lento L3C CHO δ Nu _ X + δ C _ L δ _ X C PKIE O SKIE L3C Nu Il terzo tipo di effetto cinetico isotopico non dipende dalla posizione dell’isotopo L rispetto al centro di reazione ma dal solvente in cui la reazione viene condotta. In questo capitolo gli effetti cinetici isotopici saranno discussi nel modo più possibile intuitivo evitando la formulazione matematica che, in una trattazione rigorosa, è piuttosto pesante. 7.2.1 Effetto cinetico isotopico primario Si consideri la generica molecola biatomica A-L. Nell’ambito dell’approssimazione dell’oscillatore armonico le energie delle vibrazioni molecolari sono espresse dall’equazione 7.1 192 En = h 2π k⎛ 1⎞ ⎜n + ⎟ µ⎝ 2⎠ equazione 7.1 dove En è l’energia associata alla vibrazione n-esima, k è la costante di forza del legame A-L, µ è la massa ridotta del sistema A-L ed è espressa da µ= mA mL m A + mL con mA, mL masse atomiche di A ed L; n è il numero quantico vibrazionale. L’equazione 7.1 ha la forma di una parabola, per cui diagrammando le energie En in funzione della distanza A-L si ottiene il grafico riportato nella Figura 7.1. In essa sono messi in evidenza i livelli vibrazionali più bassi indicati con i numeri 0, 1, 2… in ordine di energia crescente. En 1 0 3 2 A L Figura 7.1. Diagramma delle energie vibrazionali En in funzione della distanza A-L. Qualora L = H, l’energia di punto zero E0(H) si calcola attraverso l’espressione E 0 (H) = h 2π k mA + mH h = mA mH 2π k mA + 1 mA mentre se L = D il corrispondente valore E0(D) è dato da E 0 (D) = h 2π k mA + mD h = mA mD 2π k mA + 2 2m A Evidentemente il radicando di quest’ultima espressione è minore di k(mA + 1)/mA e ne consegue che E0(H) > E0(D). Questo risultato è piuttosto importante perché mette 193 chiaramente in luce che la sostituzione di un atomo di pròzio con un suo isotopo più pesante ha come effetto quello di abbassare l’energia di punto zero della molecola biatomica. Poiché di norma la sostituzione isotopica implica gli atomi pròzio e deuterio, nel seguito del paragrafo ci si riferirà esclusivamente a questo tipo di sostituzione. Si supponga ora che il legame A-L possa essere stirato fino alla sua rottura. Paragonando tra loro le parabole che descrivono l’andamento energetico della molecola proziata e di quella deuterata in funzione della distanza A-L si nota che l’energia di attivazione necessaria per produrre la rottura del legame A-H è inferiore a quella occorrente per realizzare lo stesso obiettivo nel caso del legame A-D. Dato che allora ∆G≠H < ∆G≠D la velocità del processo che conduce alla rottura del legame A-L dev’essere maggiore nel caso della specie proziata, ovvero kH > kD (Figura 7.2). En = ∆GH = ∆GD E0(H) E0(D) Figura 7.2. Confronto fra i ∆G di attivazione per la molecola proziata A-H e deuterata A-D. Questo importante risultato è soggetto a tre approssimazioni piuttosto drastiche. In primo luogo si è supposto che lo stato di transizione coinvolto nella rottura del legame A-L sia identico per L = H ed L = D, inoltre si è completamente trascurata la struttura vibrazionale di questo stato di transizione. Quale ulteriore approssimazione si è supposto che il legame chimico A-L possa essere descritto convenientemente da un oscillatore armonico. Ma i legami chimici sono oscillatori anarmonici descritti dall’equazione di Morse Er = D0[1-exp(- a∆r)] dove D0 è l’energia di dissociazione del legame A-L, ∆r è la variazione della distanza tra A ed L dalla posizione di equilibrio ed a = √k/2D0. L’andamento grafico dell’equazione di Morse è riportato nella Figura 7.3, dove con D0(H) si indica l’energia di dissociazione del legame A-H. Nonostante le tre approssimazioni menzionate il modello dell’oscillatore armonico dà buoni risultati posto che si trattino livelli vibrazionali sufficientemente bassi. 194 En D0(H) D0(D) E0(H) E0(D) ∆r Figura 7.3. Andamento grafico dell’equazione di Morse. Il fatto più significativo è comunque legato alla diseguaglianza ∆G≠H < ∆G≠D che implica l’osservazione sperimentale di una variazione di velocità (kH > kD) solo se la rottura del legame A-L avviene nello stadio lento della reazione. In altri termini l’effetto cinetico isotopico primario, determinato dalla condizione kH/kD > 1, si manifesta solo se l’atto reattivo prevede la rottura di un legame connesso direttamente al centro di reazione, che avviene nello stadio cineticamente determinante dell’intero processo. Passando alla descrizione delle energie di punto zero per molecole poliatomiche è ancora possibile considerare un diagramma del tipo di quello riportato nella Figura 7.2, che fornisce grossomodo gli stessi risultati commentati a proposito del sistema biatomico A-L. A questo punto è interessante procedere al calcolo del valore massimo possibile per l’effetto cinetico isotopico primario nel caso di una generica molecola poliatomica R-L, dove L può essere H o D. Si considerino anzitutto i valori della masse ridotte µR-H, µR-L. Poiché in generale mR >> mH, mD si può scrivere µ R -H = µ R -D = mR mH mR m = ≈ R =1 mR + mH mR + 1 m R mR mD 2 mR 2m R = ≈ =2 mR + mD mR + 2 m R Dall’equazione 7.1 si ha mD ν R -H = = 2 mH ν R -D e poiché 195 ⎛ ∆G ≠ k = exp⎜⎜ − ⎝ RT ⎞ ⎟ = exp⎛⎜ − Nhν ⎞⎟ ⎟ ⎝ RT ⎠ ⎠ si può scrivere ⎡ Nh(1 − 1 / 2 )ν R -H ⎤ kD ⎡ Nh(ν R -H − ν R -D ) ⎤ = exp ⎢ = exp ⎢ ⎥ ⎥ 2RT 2RT kH ⎣ ⎦ ⎣ ⎦ Prendendo νR-H = 2900 cm-1, che è un valore tipico per lo stiramento di un legame C-H alifatico, dall’ultima espressione si ottiene kH/kD = 7.80 a 298 K. Si nota allora che il valore dell’effetto cinetico isotopico primario dipende solo dalla massa degli isotopi L, ed il valore massimo pari a 7.80 si riferisce al caso in cui avvenga la rottura di un solo legame nello stadio lento della reazione. Tuttavia è molto comune riferirsi a reazioni nelle quali si formano o si rompono simultaneamente più legami nello stesso passaggio. Soprattutto è comune incontrare reazioni a differente tonalità termica, ragione per cui è bene esaminare da un punto di vista qualitativo gli effetti isotopici per un processo esoergonico, uno endoergonico ed uno termoneutro. In base al postulato di Hammond lo stato di transizione coinvolto in un processo fortemente esoergonico somiglia ai reagenti, ragion per cui nella reazione in cui un atomo A provoca lo spostamento di L dal carbonio il legame C-L è poco stirato. Da un punto di vista puramente descrittivo si può visualizzare lo stato di transizione come segue ← → → CּּּLּּּּּּA Considerando il diagramma energetico in funzione della coordinata di reazione si ravvisa la situazione rappresentata nella Figura 7.4 (A), dalla quale appare evidente come le differenze energetiche relative ai livelli vibrazionali rispettivamente dello stato fondamentale e del corrispondente stato di transizione sono piuttosto simili. Ne segue che essendo ∆G≠H ≈ ∆G≠D l’effetto isotopico primario dev’essere molto piccolo o nullo. La stessa situazione si ritrova nel caso della reazione fortemente endoergonica il cui diagramma energetico è rappresentato nella Figura 7.4 (B). Gli stati di transizione ← → → CּּּLּּּּּּA e ← ← → CּּּּּּּLּּּA corrispondenti rispettivamente al processo esoergonico ed a quello endoergonico mostrano entrambi un modo vibrazionale di stiramento non nullo, da cui deriva che l’energia vibrazionale dipende dalla massa di L. Ma nel caso di una reazione a tonalità termica nulla o molto piccola, lo stato di transizione risulta posizionato simmetricamente rispetto ai reagenti ed i prodotti lungo la coordinata di reazione. Esso è visualizzabile come 196 ← → CּּּּּLּּּּּA nel quale l’atomo L non prende parte al modo vibrazionale di stiramento. L’energia vibrazionale dello stato di transizione non dipende dunque dalla posizione di L e si ravvisa la situazione mostrata nella Figura 7.4 (C). In quest’ultimo caso ∆G≠H < ∆G≠D e dunque kH/kD > 1. Per uno stato di transizione disposto simmetricamente rispetto a reagenti e prodotti lungo la coordinata di reazione ci si può aspettare che kH/kD sia prossimo al valore massimo di 7.80. Per tutti i processi in cui lo stato di transizione non si colloca esattamente a metà strada tra reagenti e prodotti ci si devono aspettare valori dell’effetto cinetico isotopico inferiori a 7.80. ∆GH G GH GD G GH GD ∆GH GH GD ∆GH ∆GD ∆GD ∆GD GH GD (A) (B) coordinata di reazione ∆GH ∆GD coordinata di reazione G ∆GH ∆GD ∆GH < ∆GD GH GD (C) coordinata di reazione Figura 7.4. Andamento grafico degli effetti cinetici isotopici primari al variare della tonalità termica del processo reattivo. Gli effetti cinetici isotopici che riguardano la sostituzione di un atomo di pròzio con uno di deuterio possono manifestare valori anche considerevolmente superiori a quello di 7.80 calcolato come massimo. Questo disaccordo col semplice modello teorico esaminato nel presente paragrafo trova spiegazione nel fatto che sono state prese in considerazione le sole vibrazioni di stiramento sia a livello fondamentale che di stato di transizione. Tenendo conto degli altri modi vibrazionali relativi al 197 piegamento dei legami C-H e C-D il valore massimo calcolato kH/kD si aggira intorno a 48. Nel corso della presente discussione si è pure trascurato un secondo aspetto che talvolta può assumere un’importanza rilevante nel determinare il valore sperimentale del rapporto kH/kD. Si tratta della possibilità che intervenga l’effetto tunnell; un fenomeno quantistico che consente il passaggio di un atomo attraverso la barriera di attivazione spendendo un’energia inferiore a ∆G≠. Questo effetto è operante quasi esclusivamente per atomi molto piccoli quali appunto il pròzio, mentre per atomi più grandi e pesanti quali deuterio o trizio il tunnelling quantistico ha probabilità assai inferiore di manifestarsi. E’ chiaro che in questo caso la differenza dell’energia libera di attivazione ∆∆G≠ = ∆GD≠ - ∆GH≠ dev’essere superiore a quella diagrammata nella Figura 7.2, il che implica un valore kH/kD superiore a quello calcolabile in base al modello semplificato. Un esempio in tal senso è offerto dalla deprotonazione del 2-nitropropano con piridine 2,6-disostituite, che mostra kH/kD = 24. Me2CLNO2 + kH/kD = 24 Me2CNO2 + R N R R N R L Fino a questo punto si è discusso degli effetti cinetici intermolecolari; si sono cioè paragonate le energie dei legami C-H e C-D appartenenti a due molecole diverse. Ma è particolarmente istruttivo descrivere l’effetto cinetico isotopico intramolecolare laddove esso risulti dalla competizione tra i legami C-H e C-D presenti nella stessa molecola nei confronti di una determinata trasformazione chimica. Quale esempio si consideri la reazione radicalica tra il generico radicale R• e l’α-deuterotoluene. H kH H H Ph D + R Ph + R H + R D D kD H Ph H Le costanti di velocità kH e kD si riferiscono rispettivamente all’allontanamento dal substrato di un atomo di pròzio o di deuterio. La rottura di un legame C-H genera un radicale contenente un legame C-D, sicché lo stato di transizione per questo processo si colloca ad energia inferiore rispetto a quello, concorrente, che prevede la rottura del legame C-D (Figura 7.5). La rimozione dell’atomo di deuterio dal substrato è dunque cineticamente sfavorita poiché ∆GD≠ > ∆GH≠, ovvero kH > kD. Nel caso in questione kH/kD = 1.3 se R• = Cl•. Qualora R• = Br• il rapporto kH/kD = 4.6. Questo maggior effetto isotopico è attribuibile alla diversa natura degli stati di transizione coinvolti; in presenza del radicale Br• lo stato di transizione è più simile ai prodotti di quanto non avvenga se R• = Cl•. Ne segue che nel primo caso lo stato di transizione deve possedere maggiore carattere radicalico ed è plausibile che la differenza energetica ∆GD≠ - ∆GH≠ sia superiore rispetto a quella in gioco se R• = Cl•. 198 G H Ph GD GH H H Ph ∆GH D ∆GD coordinata di reazione Figura 7.5. Diagramma energetico per la reazione radicalica dell’α-deuterotoluene. L’entità degli effetti cinetici isotopici primari solitamente diminuisce all’aumentare della temperatura. La razionalizzazione di questo comportamento è piuttosto semplice; le differenze energetiche ∆GH≠ - ∆GD≠ sono di solito abbastanza piccole e prossime al valore dell’energia termica a temperatura ambiente. Un aumento di temperatura del sistema rende quindi trascurabile questa differenza energetica. Nella Tabella 7.1 sono riportati i valori dell’effetto cinetico isotopico primario per la bromurazione dell’α-deuterotoluene al variare della temperatura, mentre nella Tabella 7.2 compaiono i dati relativi all’andamento dell’effetto cinetico isotopico primario per la clorurazione del metano. In quest’ultimo caso i valori di PKIE > 7.80 sono dovuti sia alle vibrazioni di piegamento dei legami C-H, C-D che all’effetto tunnel operante in questa reazione. Tabella 7.1. PKIE nella bromurazione dell’α-deutero toluene in funzione della temperatura.a ___________________________________________________________________ T (°C) kH/kD T (°C) kH/kD ___________________________________________________________________ 121 130 142 6.69 6.53 6.17 150 160 5.93 5.69 ___________________________________________________________________ a In fase gassosa. Tabella 7.2. PKIE nella clorurazione del metano in funzione della temperatura ___________________________________________________________________ T (°C) kH/kD T (°C) kH/kD ___________________________________________________________________ -23 0 14.4 12.1 52 71 8.2 7.1 ___________________________________________________________________ 199 Dato che l’effetto cinetico isotopico primario si manifesta come sola conseguenza della variazione di massa dell’atomo L, è evidente che il raddoppio della massa passando da pròzio a deuterio fa in modo che il rapporto kH/kD sia il massimo possibile in confronto a qualsiasi altra coppia di isotopi. Se l’atomo L è un atomo pesante, intendendo con questo termine un qualsiasi atomo diverso dal pròzio, il rapporto tra le masse atomiche dev’essere necessariamente inferiore a 2, il che implica un valore kL/kL* di poco superiore all’unità. E’ intuitivo che aumentando il valore della massa atomica di L il valore kL/kL* diventa sempre più prossimo all’unità. Valori tipici riscontrati per gli effetti cinetici isotopici primari di atomi pesanti sono i seguenti. 12 14 C/ C 1.092 14 N/15N 1.045 16 O/17O 1.063 32 34 S/ S 1.015 A titolo d’esempio si consideri la decarbossilazione dell’acido 3-fenil-3-osso propionico marcato al carbonio carbossilico il cui stato di transizione prevede la rottura del legame –CH2-*COO. Il rapporto tra le costanti di velocità misurate nel caso degli isotopi 12C e 13C è pari a 12k/13k = 1.040 confermando che l’estrusione di anidride carbonica avviene nello stadio lento della reazione. O Ph C*OOH O ∆ Ph _ δ CH2 + δ *C O O Ph + *CO2 O H 7.2.2 Esempi di effetti cinetici isotopici primari Poiché l’effetto cinetico isotopico primario si manifesta quando il legame C-L si rompe nello stadio lento della reazione, è plausibile che l’entità di tale effetto sia tanto più grande quanto più è avanzato lo stiramento del legame in questione. Questo parallelismo è molto utile nello studio meccanicistico delle reazioni organiche dato che da misurazioni cinetiche si può dedurre con sicurezza in quale passaggio viene scisso il legame C-L. Nel presente paragrafo saranno esaminati gli effetti cinetici isotopici primari per un certo numero di classi di reazioni, proponendo per ciascun esempio una spiegazione più possibile coerente con l’entità dell’effetto misurato. 7.2.2.1 Sostituzioni nucleofile al carbonio saturo. I processi dissociativi tipo SN1 sono caratterizzati da valori dell’effetto cinetico isotopico primario piuttosto elevati dato che il legame C-X si rompe nello stadio lento corrispondente alla ionizzazione del substrato. R X lento + δ R δ X _ prodotti Dato che l’atomo X che si scinde dando luogo alla formazione di un carbocatione è di solito un atomo pesante i valori di PKIE sono solitamente compresi tra 1.005 e 1.500 a secondo della sua massa. 200 Anche nel caso di processi SN2 l’effetto cinetico isotopico primario riguarda atomi pesanti e pertanto i valori sono compresi tra 1.0032 e 1.135. C X _ δ Y _ Y lento + δ C δ X _ prodotti 7.2.2.2 Sostituzioni elettrofile aromatiche. Per una reazione di sostituzione elettrofila aromatica sono possibili, in linea di principio, i tre meccanismi differenti riportati nello Schema seguente. (a) Ar Ar L _ + + B lento veloce + E Ar L B Ar (b) Ar L + E Eδ k1 k-1 Ar L + + E B lento k2 Ar veloce L lento (c) + + BL Ar E + + _ E + B Ar L Ar E + + BL E Ar L Ar E + B + BL Nel caso fossero realmente operanti i meccanismi contrassegnati con le lettere (a) e (c), si dovrebbe osservare un effetto cinetico isotopico primario grande e prossimo al valore teorico di 7.80. Ciò non avviene però nella maggior parte delle delle sostituzioni elettrofile aromatiche; ad esempio nelle due seguenti reazioni si ha benzene + HNO3 PhNMe2 + Br2 kH/kD = 1.00 kH/kD = 1.00 ovvero l’effetto cinetico isotopico primario è assente. Per queste tipiche sostituzioni elettrofile aromatiche i meccanismi SEAr e SE3, corrispondenti rispettivamente ai percorsi (a) e (c), possono essere scartati proprio sulla base dell’assenza di PKIE. Per quanto riguarda il meccanismo SE2Ar contrassegnato dalla lettera (b), esso è compatibile con le misurazioni cinetiche realizzate su molecole marcate solo nel caso in cui k2 >> k1, k-1. In questo caso infatti il legame C-L non viene scisso nello stadio lento del processo. Esistono tuttavia alcuni esempi di sostituzioni elettrofile aromatiche che mostrano un valore kH/kD maggiore di uno. Ne sono esempi l’ossimercuriazione del benzene e e la solfonazione del bromobenzene. benzene + (AcO)2Hg PhBr + oleum kH/kD = 6.00 kH/kD = 1.50 201 Nella prima di queste due reazioni si misura kH/kD = 6.00 il che può significare che, nell’ambito dello schema meccanicistico SE2Ar, k2 è piccola e costituisce lo stadio lento della reazione, oppure k-1 >> k1. La solfonazione del bromobenzene è un processo reversibile, sicché k1 ≈ k-1. In questo modo si instaura una situazione di equilibrio e la velocità del processo è determinata dai passaggi successivi che implicano la lisi del legame C-L. Un ulteriore esempio di sostituzione elettrofila aromatica che mostra PKIE non nullo è rappresentato dalla diazocopulazione tra sali di arildiazonio e naftaleni attivati. L’effetto cinetico isotopico primario di questa reazione dipende dalla concentrazione della base B. In acqua il passaggio lento è costituito dall’estrazione dell’atomo L da parte della base, che in questo caso è assai diluita. Aggiungendo piridina alla miscela di reazione si incrementa la concentrazione di base e k2 aumenta assumendo un valore simile a quello di k1. Ne segue, ovviamente, la diminuzione dell’effetto cinetico isotopico primario. Cl Cl N O3S L O3S L N2 OH k1 k-1 + O3S N O3S L N OH O3S OH B k2 N + + BL O3S Cl 7.2.2.3 Eliminazioni. In genere le reazioni di eliminazione bimolecolare mostrano valori apprezzabili dell’effetto cinetico isotopico primario sia nel caso della coppia H/D che per quanto riguarda coppie di atomi pesanti. (CL3)2CHBr + EtO¯ kH/kD = 6.70 CH3CH2N*+Me3 + t-BuO¯ 14 PhCL2CH2N+Me3 + EtO¯ PhCH2CH2N*+Me3 + EtO¯ kH/kD 14 15 PhCL2CH2S+Me2 + EtO¯ PhCH2CH2S*+Me2 + EtO¯ kH/kD 32 34 Me2(CL3)C-S+Me2 + EtO¯ Me3C-S*+Me2 + EtO¯ kH/kD = 5.1 32 34 k/ k = 1.0072 k/15k = 1.0141 = 3.23 k/ k = 1.0142 = 5.10 k/ k = 1.0064 Nel caso di sin-eliminazioni, che avvengono per lo più su sistemi ciclici rigidi, i valori kH/kD sono minori di quelli che si osservano nel caso di sistemi aperti. NMe3 L + + Me3N L 202 kH/kD = 1.71 7.2.2.4 Addizioni elettrofile agli alcheni. La somma di acidi al doppio legame etilenico decorre attraverso uno stato di transizione che prevede il parziale distacco del protone nello stadio lento della reazione. Per questo motivo si osservano effetti cinetici isotopici primari non nulli la cui entità è piuttosto variabile a secondo dell’acido coinvolto, come è testimoniato dai seguenti esempi. CH2=CHOR + HCOOL kH/kD = 6.80 + CH2=CHOR + L3O kH/kD = 2.95 RCH=CHR + LCl kH/kD = 1.80 7.2.3 Effetto cinetico isotopico secondario E’ possibile osservare effetti cinetici isotopici anche quando il legame C-L non è sottoposto a rottura durante il processo reattivo. In questi casi si parla di effetti cinetici isotopici secondari, che sono a loro volta classificabili come: - effetti α, se il legame C-L si trova in posizione 1- rispetto al sito reattivo, - effetti β, se il legame C-L è situato in posizione 2- rispetto al sito reattivo. Un esempio di effetto cinetico isotopico secondario di tipo α è quello relativo all’acetolisi del 2-bromopropano marcato in posizione 2-, per il quale kH/kD = 1.15. Me Me L Br _ AcO Me Me L OAc Un esempio di effetto cinetico isotopico secondario di tipo β si osserva nel caso della solvolisi del 2-bromopropano marcato ai due gruppi metilici, kH/kD = 1.34. CL3 H CL3 H2O CL3 H Br CL3 OH Come si può rilevare dai due esempi proposti, i valori degli effetti cinetici isotopici secondari sono in genere piuttosto piccoli ma pur sempre valutabili con precisione. Inoltre è possibile mettere in relazione il carattere carbocationico dell’intermedio che eventualmente si sviluppa nel corso della reazione con l’entità dell’effetto cinetico isotopico secondario, il che può costituire un’informazione meccanicistica preziosa. Per comprendere l’origine dell’effetto cinetico isotopico secondario di tipo α è utile prendere in considerazione i modi di vibrazione del legame C-L sia nello stato fondamentale che nello stato di transizione. Dall’analisi teorica dell’effetto cinetico isotopico si ricava la seguente espressione, che in questa sede è conveniente prendere come dato di fatto senza fornire una dimostrazione dettagliata. ⎡ 0.1865 ⎤ kH ≈ exp ⎢ (ν Hi − ν H≠ i )⎥ ∑ kD i ⎣ T ⎦ equazione 7.2 L’equazione 7.2 mette in relazione i numeri d’onda relativi alle vibrazioni della molecola proziata nel suo stato fondamentale e nello stato di transizione. Può apparire 203 sorprendente che il rapporto kH/kD possa essere determinato considerando solo i modi vibrazionali relativi alla molecola proziata. Una razionalizzazione intuitiva si basa sulla possibilità che lo stato di transizione possa essere stabilizzato per iperconiugazione. Qualora questo stato di transizione abbia carattere di carbocatione è plausibile l’intervento di strutture iperconiugative a carattere isovalente. Per illustrare il fenomeno dell’iperconiugazione è conveniente considerare il seguente classico esempio di stabilizzazione iperconiugativa del catione etilico. + H H H C CH2 ecc. H C CH2 H H E’ evidente che la lunghezza dei legami C-H del gruppo metilico aumenta proprio grazie all’intervento dell’iperconiugazione. Ma quanto più il legame è lungo tanto più la sua costante di forza è minore; l’energia richiesta per provocare una vibrazione dev’essere dunque minore rispetto a quella richiesta nello stato fondamentale. L’atomo di deuterio ha poca tendenza a stabilizzare i carbocationi per iperconiugazione, sicché le energie di punto zero per il legame C-D non subiscono variazioni significative né allo stato fondamentale né allo stato di transizione. Visivamente ne risulta un diagramma simile a quello riportato nella Figura 7.6 (pag. 205); si comprende allora come il rapporto kH/kD possa essere espresso in modo soddisfacente ricorrendo ai soli valori νH e ν≠H. Il valore dell’effetto cinetico isotopico secondario di tipo α si può prevedere considerando la variazione di ibridizzazione del centro reattivo. In riferimento all’esempio del 2-bromopropano proziato si identificano due modi vibrazionali degeneri dovuti al piegamento del legame C-H a 1340 cm-1. Nel caso il meccanismo di acetolisi preveda il passaggio attraverso un intermedio carbocationico il cui centro reattivo è ibridizzato sp2, occorre tenere conto della vibrazione di piegamento fuori dal piano del legame C-H, cui spetta numero d’onda pari ad 800 cm-1. Ammettendo che lo stato di transizione sia sufficientemente simile all’intermedio carbocationico, il che è plausibile sulla base del postulato di Hammond, l’argomento al secondo membro dell’equazione 7.2 è positivo. Se ne conclude che kH/kD > 1 se l’ibridizzazione del centro reattivo subisce un incremento del carattere s, passando da sp3 a sp2 come accade in questo caso. Qualora kH/kD > 1 l’effetto cinetico isotopico secondario si dice di tipo α normale. Me L Me Br Me Me L Br _ _ AcO Me Me L OAc + HBr Sulla base dell’equazione 7.2, e quindi dei modi vibrazionali associati allo stato fondamentale ed allo stato di transizione, è facile intuire che una variazione dell’ibridizzazione del centro reattivo a favore di una diminuzione del carattere s sortisce un effetto cinetico isotopico secondario di tipo α inverso per cui vale la diseguaglianza kH/kD < 1. 204 Per quanto concerne gli effetti cinetici isotopici di tipo β, la loro origine è stata a lungo oggetto di controversie. La spiegazione accettata comunemente si basa sull’iperconiugazione esercitata dal o dai legami C-L nei confronti dell’eventuale intermedio di reazione carbocationico, dato che l’entità dell’effetto cinetico isotopico secondario di tipo β è massima quando lo stato di transizione coinvolto nella trasformazione possiede un notevole carattere di carbocatione. A causa della minor propensione dei legami C-D ad instaurare il fenomeno dell’iperconiugazione, la differenza tra le energie vibrazionali relative ai legami C-H e C-D nello stato di transizione è inferiore rispetto a quella che si riscontra nello stato fondamentale. La reazione è dunque rallentata per sostituzione di un atomo di pròzio con uno di deuterio (kH/kD > 1, Figura 7.6). G GH GD ∆GH ∆GD GH GD ∆GH < ∆GD coordinata di reazione Figura 7.6. Diagramma energetico tipico di un effetto cinetico isotopico secondario di tipo β. 7.2.4 Esempi di effetti cinetici isotopici secondari Nella solvolisi di cloruri allilici opportunamente marcati in posizione 1- si osserva effetto cinetico isotopico secondario diretto di tipo α. Posizionando la marcatura a maggiore distanza dal centro reattivo, ovvero in posizione 3-, non si ha effetto cinetico isotopico. In questo caso l’eccessiva distanza della marcatura dal centro di reazione è da ritenersi responsabile di questo comportamento. L L L Cl L L SOH -HCl L L OS L Cl kH /kD =1.2 L SOH -HCl L kH /kD =1 L’addizione dello ione cianuro al carbonile della benzaldeide o di benzaldeidi para-sostituite produce un effetto di tipo α inverso dato che si verifica una diminuzione del carattere s del carbonio carbonilico la cui ibridizzazione passa da sp2 ad sp3. 205 O Ph HCN L L OH Ph kH /kD = 0.83 CN Lo stesso tipo di effetto si riscontra nella reazione di Diels-Alder tra antracene marcato ed anidride maleica. Anche in questo caso l’ibridizzazione degli atomi di carbonio interessati alla cicloaddizione subiscono la diminuzione del carattere s passando da sp2 ad sp3. L O O + O O O L L kH /kD = 0.91 O L Per quanto riguarda gli effetti cinetici isotopici di tipo β, si prendano quali esempi le reazioni di solvolisi di tipo SN1 su sistemi diidroantracenici pontati. In questi casi la posizione della marcatura è in grado di influenzare il tipo, diretto od inverso, dell’effetto cinetico. La posizione di questa marcatura sull’entità dell’effetto isotopico non è stata del tutto chiarita. Cl L L Cl L L kH /kD =0.99 kH /kD =1.14 7.2.5 Effetti cinetici isotopici di tipo sterico La variazione della velocità di reazione causata dalla sostituzione di uno o più atomi della struttura molecolare con una specie isotopica può avere anche un’origine di tipo sterico. Nel caso in cui gli isotopi coinvolti siano il pròzio ed il deuterio, è bene ricordare che la lunghezza del legame C-H è leggermente superiore a quella del legame C-D (0.001 Å). Ne segue che l’effetto d’ingombro sterico esercitato ad esempio dal gruppo CD3 è inferiore a quello del gruppo metilico. In reazioni nelle quali l’ingombro sterico è più importante a livello di stato di transizione piuttosto che allo stato fondamentale si osserva frequentemente un piccolo effetto cinetico isotopico inverso. Questo comportamento deriva dalla maggior costante di forza relativa al legame C-D rispetto al legame C-H, che a sua volta implica l’aumento dell’energia di punto zero relativa alla molecola proziata a livello dello stato di transizione, mentre l’energia di punto zero della molecola deuterata non subisce modifiche sostanziali. Quali esempi significativi si propongono le racemizzazioni di due substrati enantiopuri che per poter avvenire debbono passare attraverso uno stato di transizione particolarmente congestionato dal punto di vista sterico. 206 L3C L3C kH /kD = 0.88 CL3 CL3 L Br Br COOH HOOC Br L HOOC L COOH L kH /kD = 0.84 Br 7.2.6 Effetti isotopici dovuti al solvente La velocità di una reazione organica può variare qualora essa venga condotta in un solvente proziato, SOH, piuttosto che nel corrispondente solvente deuterato, SOD. Si possono distinguere tre casi nei quali questo fenomeno può avere luogo. 1. Se il solvente funge da reattivo ed il legame SO-H subisce la rottura nello stadio lento della reazione, si verifica un effetto cinetico isotopico primario esattamente come accade nel caso di molecole marcate il cui legame C-L si rompe nello stadio cineticamente determinante dell’intero processo. Qualora il solvente sia l’acqua e vengano realizzate le stesse reazioni in H2O ed in D2O si può manifestare un effetto cinetico isotopico secondario determinato dal legame O-D che non viene scisso. 2. Le molecole del substrato possono essere marcate con deuterio attraverso un rapido scambio con un idrogeno mobile. Un buon numero di gruppi funzionali come acidi carbossilici, alcoli, ammine, ammidi, fenoli ecc. sono in grado di realizzare facilmente questo scambio per semplice miscelazione del substrato proziato con D2O. Poiché di norma è necessario che il gruppo funzionale coinvolto nella deuterazione presenti un idrogeno mobile, il nuovo legame che si forma è del tipo X-D, dove con X si indica un generico eteroatomo. In un secondo tempo le molecole così deuterate possono subire rottura del legame X-D nello stadio lento del processo dando origine ad un effetto cinetico isotopico primario. 3. La natura dell’interazione solvente-soluto può essere differente per le specie proziate e deuterate, il che può implicare variazioni dell’energia di attivazione a secondo del tipo di isotopo presente. Per definire quantitativamente l’efficacia con cui avviene la deuterazione del generico substrato proziato RX-H si misura la costante di equilibrio Φ, detta fattore di frazionamento, espressione dell’equilibrio RX-H + SO-D Φ= RX-D + SO-H [RX - D][SO - H ] [RX - H][SO - D] In questo caso l’effetto isotopico non è cinetico ma di equilibrio. Talvolta la costante Φ viene anche definita come rapporto [RX-D]/[RX-H]. Il fattore di frazionamento 207 dipende solo dal tipo di gruppo funzionale X al quale è legato l’atomo L soggetto a scambio isotopico. Qualora Φ > 1 il prodotto si arricchisce nell’isotopo più pesante; al contrario un valore di Φ < 1 indica l’arricchimento del prodotto nell’isotopo più leggero. La maggior parte dei fattori di frazionamento è compresa tra 0.9 ed 1.1, ma nel caso in cui L = H, D i valori possono anche risultare inferiori a 0.9 e superiori a 1.1. Per un fattore di frazionamento pari a 1.050 l’effetto isotopico di equilibrio ammonta al 5% [(1.050 – 1.000)100]. Nella Tabella 7.1 sono riportati i valori dei fattori di frazionamento per alcuni gruppi funzionali comuni. Per quanto riguarda alcoli ed acidi carbossilici, nelle miscele H2O/D2O si osserva Φ = 1; il substrato distribuisce statisticamente la marcatura. Questo comportamento è dovuto al fatto che i modi vibrazionali del gruppo alcolico e della parte idrossilica del gruppo carbossi sono praticamente identici a quelli dell’acqua. Qualora il protone mobile sia legato ad un carbonio, un azoto od uno zolfo si osserva Φ < 1 ad indicare la preferenza del substrato per l’isotopo più leggero. In questi casi, evidentemente, le costanti di forza relative ai legami X-H sono maggiori in acqua che in D2O. Tabella 7.1. Fattori di frazionamento di alcuni gruppi funzionali (L = H, D). _________________________________________________________________________________________________ Gruppo funzionale Φ Gruppo funzionale Φ _________________________________________________________________________________________________ R-O-L R-COO-L R-C(OR)O-L R2O+L L-O¯ 1 1 1.25 0.69 0.5 R2N-L R3N+-L R-S-L R3C-L N≡C-L 0.92 0.97 0.4 1 0.6 _________________________________________________________________________________________________ Il valore del fattore di frazionamento è utile nell’individuazione di legami ad idrogeno particolarmente forti. Si consideri ad esempio il caso del monoanione dell’acido orto-ftalico. La particolare situazione dell’idrogeno a ponte tra due gruppi carbossilato comporta che la somma delle costanti di forza dei due legami OּּּּHּּּּO sia inferiore a quella che si avrebbe nel caso di un legame ad idrogeno intermolecolare del tipo O-HּּּּO. Dato che il deuterio si accumula preferibilmente nel substrato caratterizzato dalla maggior costante di forza relativa al legame X-H, si giustifica il valore sperimentale Φ = 0.50 per il monoanione dell’acido orto-ftalico. O O δ O _ δ+ H O _ δ Considerando lo scambio protonico cui è soggetta la generica specie reagente RX-H sia in acqua pura che in D2O puro, l’equazione 7.3 mostra che il rapporto relativo alle costanti di equilibrio per le reazioni che avvengono in D2O puro (KD) ed in H2O pura 208 (KH) corrisponde al rapporto tra i prodotti dei fattori di frazionamento relativi ai prodotti di reazione (Φpi) ed ai reagenti (Φrj). KD = KH p ∏i Φ ip r ∏ j Φ rj equazione 7.3 L’estensione dell’equazione 7.3 a processi cinetici richiede di tenere conto dei fattori di frazionamento Φ≠i relativi ai corrispondenti stati di transizione trattati come prodotti. Si ottiene l’equazione 7.4, che rappresenta il reciproco dell’effetto cinetico isotopico definito come kH/kD. kD = kH ≠ ∏i Φ i≠ r ∏ j Φ rj equazione 7.4 7.2.7 Metodo dell’”inventario dei protoni” Si supponga che una reazione condotta in un solvente protico implichi il trasferimento di un protone nello stadio lento del processo. Come si è detto nei paragrafi precedenti, in queste condizioni si verifica un effetto cinetico isotopico primario. Se la reazione in questione viene realizzata in presenza di un solvente deuterato SO-D, è plausibile che avvenga uno scambio del tipo SO-D → SO-H Tra la costante velocità kn della reazione in esame e la frazione molare di deuterio presente nella miscela SO-D/SO-H che si va formando nel corso della reazione si instaura una relazione lineare. Infatti, detta n la frazione molare di deuterio presente nella specie SO-D, la costante di velocità kn è data da kn = (1 - n) kH + n kD Tenendo presente l’equazione 7.4 si ha kn = (1 - n) kH + n (kD/kH)kH = (1 - n) kH + n Φ kH kn = kH (1 - n + n Φ) equazione 7.5 Quest’ultima equazione mostra che se la reazione viene condotta nel solvente proziato puro SO-H si ha n = 0 e quindi kn = kH, mentre se la stessa reazione decorre nel solvente deuterato puro SO-D si ha n = 1 da cui kn = Φ kH = kD. Ma soprattutto l’equazione 7.5 si può riscrivere nella forma kn = 1 − n + nΦ kH che è valida nel caso si verifichi il trasferimento di un protone nello stadio lento del processo. Qualora si possa verificare il trasferimento contemporaneo di più protoni quest’ultima equazione diventa 209 kn = (1 − n + nΦ1 )(1 − n + nΦ 2 )(1 − n + nΦ 3 )...... kH equazione 7.6 dove ciascun Φi rappresenta il fattore di frazionamento per ciascun protone che viene trasferito. Qualora si verifichi il trasferimento di un solo protone, il diagramma che riporta kn/kH in funzione della frazione molare n è lineare. Se vengono trasferiti due protoni lo stesso diagramma mostra un andamento quadratico e così via. Il termine “inventario dei protoni”, che è una traduzione diretta del termine inglese “Proton Inventory”, rappresenta quindi un utile strumento che permette di stabilire quanti protoni vengono scambiati nello stadio lento della reazione. La tecnica dell’”inventario dei protoni” ha numerose applicazioni nell’elucidazione di meccanismi complessi, in particolare nel campo dell’enzimologia. In questo vasto campo infatti la catalisi enzimatica può implicare lo scambio di più protoni nello stadio lento del processo. Ad esempio l’enzima ribonucleasi A è in grado di aprire l’anello fosforato a cinque termini dell’RNA. Il meccanismo ipotizzato prevede lo spostamento di due protoni nello stadio lento del processo: un protone dell’acqua attaccato dall’imidazolo legato all’enzima ed un protone dello ione imidazolio fissato dal gruppo uscente. RO O Base Enz HN N H O O P O H O N NH O H Enz Se il meccanismo ipotizzato fosse corretto il diagramma di kn/kH in funzione della frazione molare n dovrebbe assumere una forma quadratica, il che accade effettivamente come rappresentato nella Figura 7.7. In questo caso l’equazione 7.6 è soddisfatta da due valori di Φ identici ed uguali a 0.58. kn/kH n (D2O) Figura 7.7. Diagramma di kn/kH in funzione di n per l’apertura d’anello del fosfodiestere dell’RNA. 210 7.3 Marcatura isotopica Tra i metodi impiegati tradizionalmente per l’elucidazione dei meccanismi delle reazioni organiche riveste particolare importanza la tecnica della marcatura isotopica. In una prima fase essa consiste nella sintesi di molecole marcate con gli isotopi opportuni, oppure nello svolgimento delle reazioni in un solvente marcato, ad esempio D2O. In seguito si svolge lo studio analitico, che consiste nell’individuazione della marcatura isotopica nel prodotto (o nei prodotti) di reazione. Per via del carattere introduttivo del presente paragrafo saranno presi in considerazione solo alcuni studi fondamentali raggruppati per classi di reazione. 7.3.1 Sostituzioni nucleofile SN2. L’inversione di configurazione tipica delle reazioni SN2 è stata stabilita attraverso un elegante esperimento in cui il 2-iodo ottano otticamente puro reagisce con l’isotopo 128 I ¯. Lo spostamento dello iodio non marcato viene seguito analizzando il contenuto di 128I nel 2-iodo ottano al procedere della reazione. Questa reazione di spostamento nucleofilo è del second’ordine e risulta espressa dall’equazione cinetica v = k2[2-iodo ottano][128I ¯] dove k2 = 3.00 ± 0.25 x 10-5 mol l-1 s-1. Nel caso avvenga l’inversione della configurazione allo stereocentro, come si prevede nel caso di una reazione SN2, l’attività ottica della soluzione si deve annullare nel corso della reazione mentre la velocità di racemizzazione dev’essere doppia rispetto alla velocità d’inversione. Seguendo la reazione con metodi polarimetrici si è in grado di determinare la velocità di racemizzazione dalla quale si calcola il valore della costante di velocità d’inversione che risulta pari a k2 = 2.88 ± 0.03 x 10-5 mol l-1 s-1 a 30°C. E’ evidente che le velocità di spostamento e d’inversione sono identiche entro i limiti dell’errore sperimentale, da cui segue che ogni singolo spostamento bimolecolare deve procedere con inversione di configurazione. 7.3.2 Sostituzioni all’anello aromatico. Nel loro stadio iniziale, le sostituzioni elettrofile aromatiche procedono attraverso la formazione di un complesso π nel quale non si ha formazione di legami diretti tra gli atomi di carbonio anulari e l’elettrofilo attaccante. + X Ad esempio il toluene forma reversibilmente un complesso 1:1 con l’acido cloridrico a -78°C. La mancanza di legame diretto tra uno dei carboni dell’anello aromatico ed il protone dell’acido cloridrico è confermata dall’analoga reazione condotta con DCl. Anche in questo caso infatti si forma un complesso π la cui decomposizione non dà luogo allo scambio H-D all’anello aromatico. D’altra parte l’azione del DCl in presenza di acidi di Lewis quale ad esempio AlCl3 comporta uno scambio pròzio- 211 deuterio all’anello aromatico confermando la formazione di un intermedio σ (intermedio di Wheland). H D _ AlCl4 Nell’ambito delle sostituzioni elettrofile aromatiche non esistono evidenze dirette che AlCl3 formi complessi di tipo H+ AlCl3X¯ con gli acidi alogenidrici. Tuttavia nell’alchilazione secondo Friedel/Crafts è stato dimostrato che gli alogenuri alchilici reagiscono con gli acidi di Lewis per scambio di bromo radioattivo tra bromuro di etile e Al*Br3. Et-Br + Al*Br3 → Et-*Br + BrAl*Br2 E’ noto che la solfonazione del naftalene condotta a 160°C in presenza di acido solforico concentrato produce una miscela d’equilibrio degli acidi solfonici 1- e 2sostituiti. SO3H SO3H + H2SO4 + 20 : 80 Questo processo è controllato termodinamicamente, come si può dedurre dal semplice fatto che riscaldando l’acido 1-naftalensolfonico oppure l’acido 2-naftalen solfonico in acido solforico a 160°C si ottiene in ogni caso la medesima miscela di equilibrio dei due acidi solfonici. La conversione degli acidi solfonici puri nella miscela 20 : 80 può procedere, in linea di principio, attraverso due vie differenti: (i) per isomerizzazione intramolecolare o (ii) per retrosolfonazione seguita da un nuovo attacco elettrofilo alla posizione adiacente. Per distinguere tra questi due percorsi meccanicistici è stata eseguita la reazioni in H235SO4. E’ evidente che il percorso (i) non può comportare l’incorporazione di 35S al nucleo naftalenico al contrario della via (ii). Sperimentalmente si rileva l’incorporazione di 35S al nucleo naftalenico, sebbene ad una velocità minore di quella di conversione. Ciò può significare che entrambi i percorsi (i) e (ii) operano simultaneamente, oppure che la retrosolfonazione prevista dalla via (ii) è seguita dal ritorno da parte dell’acido solforico non marcato che avviene più velocemente dell’attacco di H235SO4 che costituisce il mezzo di reazione; la questione non è ancora stata chiarita. Nel bilancio complessivo delle reazioni di sostituzione nucleofila aromatica che procedono attraverso il meccanismo SN1 l’estrusione di azoto è un processo irreversibile. Tuttavia lo spostamento di azoto dai sali di diazonio è reversibile, come testimoniato dallo scambio della marcatura isotopica sui sali di benzendiazonio marcati con 15N. 15 Ph N N Ph 15 N N 212 15 Ph N N Tra le sostituzioni nucleofile all’anello aromatico che procedono su substrati non attivati dalla presenza di gruppi elettronattrattori non si verifica solo ipsosostituzione, ovvero il nucleofilo attaccante non rimpiazza il gruppo uscente solo nella medesima posizione. Questo comportamento è spiegato dal meccanismo di eliminazioneaddizione che implica la formazione intermedia di arini, ed è stato elucidato dalla reazione tra l’1-14C-clorobenzene e la potassio ammide. Questa reazione comporta la formazione di una miscela equimolecolare di aniline marcate in posizione 1- e 2-. Cl 14 14 + NaNH2 + NH3 NH2 14 14 + NH3 H2N + NaCl 14 + 7.3.3 Addizioni nucleofile al doppio legame C=O. L’idratazione del gruppo carbonilico decorre in modo reversibile secondo il seguente schema generale R2C=O + H2O R2C(OH)2 I valori delle costanti di equilibrio riferiti alla formaldeide, l’acetaldeide e l’acetone valgono rispettivamente 2ּ103, 1.4 e 2ּ10-3 e riflettono il crescente carattere elettron donatore dei sostituenti R. L’equilibrio che coinvolge l’acetone è stato dimostrato effettuando la reazione in H218O e verificando l’incorporazione dell’18O nel substrato di partenza. E’ ovvio che l’incorporazione dell’ossigeno marcato avviene molto difficilmente a pH = 7, ovvero in assenza di catalisi acida o basica. In presenza di tracce di acidi o basi l’equilibrio si stabilisce invece piuttosto velocemente; l’incorporazione dell’ossigeno marcato diviene alquanto rapida e decorre attraverso l’intermedio tetraedrico di seguito riportato. O + H 218O 18OH OH 18O + H 2O Anche il meccanismo d’idrolisi degli esteri è stato elucidato tramite esperimenti realizzati su substrati marcati con 18O, il che ha permesso di escludere il percorso caratterizzato da una sostituzione nucleofila quale passaggio determinante a favore del meccamismo di addizione-eliminazione (cfr. capitolo 2, pag. 58, 61). La completa ritenzione della marcatura nell’alcol risultante dall’idrolisi di esteri etilici a formula generale RCO18OEt dimostra che la specie nucleofila attacca dapprima la funzione carbonilica e solo in seguito si verifica l’eliminazione della porzione alcolica dell’estere attraverso il corrispondente intermedio tetraedrico. 213 O R O O 18OEt _ 18OEt R OH _ 18 OEt _ R OH + Et18O _ OH O R O + Et18OH 7.3.4 Eliminazioni. Le eliminazioni monomolecolari caratterizzate da un primo passaggio nel quale si ha ionizzazione irreversibile del substrato di partenza (meccanismo E1CbI) mostrano l’equazione cinetica del tipo v = k1[RX][Base] e da questo punto di vista sono dunque indistinguibili dalle eliminazioni bimolecolari E2 (cfr. capitolo 2, pag. 62). Per distinguere tra questi due tipi di meccanismo si fa ricorso alla tecnica della marcatura isotopica illustrata attraverso il seguente esempio. La deidrobromurazione dell’1-bromo-2-feniletano può decorrere in linea di principio attraverso entrambi i meccanismi E1CbI ed E2. Eseguendo la reazione in presenza di etossido di sodio quale base in EtOD si giunge ai seguenti risultati: (i) il substrato di partenza isolato a metà conversione non contiene deuterio, (ii) lo stirene ottenuto come prodotto di reazione non contiene deuterio. Si può concludere che la reazione in oggetto deve decorrere attraverso un meccanismo concertato che non procede attraverso la formazione di carbanioni intermedi. Se così fosse l’intermedio carbanionico sarebbe infatti in grado di incorporare deuterio dando luogo alla formazione di stirene deuterato in posizione 1-. EtO _ Ph Ph H C CH2 Br _ EtOH H C CH2 Br H _ Br _ Ph CH CH2 _ Ph CD CH2 EtOD Ph D C CH2 Br H EtO _ Ph C CH2 Br D Br Tra le reazioni di eliminazione che non prevedono la cattura di un protone da parte della specie basica se ne annoverano alcune piuttosto interessanti dal punto di vista meccanicistico. Ad esempio la debromurazione del 2,3-dideutero-2,3-dibromobutano eritro ad opera dell’anione ioduro dà la sola olefina trans attraverso il tipico meccanismo E2. Diminuendo l’ingombro sterico al carbonio, come accade nel caso 214 dell’1,2-dideutero-1,2-dibromoetano, il trattamento con anioni ioduro della forma eritro conduce all’ottenimento del solo 1,2-dideuteroetilene cis. Questa inversione della stereoselezione non dipende dal modo in cui avviene l’eliminazione ma da un cambio di meccanismo: nel caso del substrato meno ingombrato avviene infatti dapprima una sostituzione nucleofila bimolecolare al carbonio saturo ad opera dell’anione ioduro cui fa seguito l’eliminazione bimolecolare. I Me Br _ D Me Br I _ D D D + Br H H Me E2 D D SN2 I Br _ + Br _ Me I H IBr H D D E2 Br H D + H I2 + Br _ D 7.3.5 Condensazioni. Lo studio delle reazioni di condensazione rappresenta uno degli argomenti che ha ricevuto più attenzione in chimica organica sia a livello sintetico che meccanicistico. A prescindere dalla classificazione sistematica delle reazioni di condensazione, si riconosce attualmente il ruolo fondamentale giocato dai carbanioni quali intermedi in questa classe di reazioni. Nel caso di un chetone provvisto di una sola posizione enolizzabile si verifica lo scambio pròzio-deuterio qualora il substrato proziato sia sottoposto a trattamento con DO¯ in D2O. Qualora il substrato di partenza sia otticamente attivo la velocità di scambio H/D eguaglia quella di racemizzazione. La perdita di attività ottica del substrato avviene infatti ad ogni rottura del legame C-H poiché il carbanione risultante è planare ed il successivo attacco da parte della specie D+ avviene statisticamente su ciascuna delle due facce enantiotopiche. O Ph O Ph H O _ DO lento D2O veloce O (S) Ph Ph D (R,S) L’effetto cinetico isotopico positivo testimonia inoltre che la rottura del legame C-H nella formazione del carbanione avviene nello stadio lento del processo reattivo. La condensazione aldolica dell’acetaldeide procede attraverso due equilibri fortemente spostati a favore dell’acetaldolo. Il meccanismo prevede due passaggi 215 distinti; la deprotonazione dell’acetaldeide di partenza e la condensazione su una seconda molecola di aldeide. Eseguendo la reazione in D2O non si rileva incorporazione di deuterio nell’acetaldeide non reagita. Ciò significa che il passaggio (B) inerente alla condensazione dev’essere molto più veloce del passaggio inverso relativo allo stadio di deprotonazione (A), il quale si può quindi assumere praticamente irreversibile. _ O H OH O O (A) H H O O O + H O O H H (B) H OH H2O Per quanto riguarda il comportamento delle aldeidi non enolizzabili, è interessante esaminare la distribuzione dei prodotti che si ottiene dalla reazione di Cannizzaro realizzata in D2O. Nel caso della benzaldeide non si ha incorporazione di deuterio al gruppo metilenico dell’alcol benzilico, il che dimostra che il trasferimento d’idruro tipico di questa reazione deve avvenire direttamente da una molecola di aldeide all’altra senza coinvolgimento del solvente. O Ph H _ O OH OH O Ph veloce H O lento Ph + Ph Ph O OH H O + Ph Ph OH O 7.3.6 Riassestamenti. Gli alcani, considerati inerti nei confronti dalla maggior parte delle reazioni organiche, subiscono un riassestamento di tipo carbocationico in presenza di acidi di Lewis. Questo comportamento si mette in luce trattando l’1-13C-propano con AlBr3. La miscela finale di reazione contiene due parti di 1-13C-propano ed una di 2-13Cpropano. E’ possibile che questa distribuzione finale della marcatura tragga origine da un meccanismo che prevede la formazione intermedia di un ciclopropano protonato. * CH 3 CH2 AlBr3 CH3 * CH 3 CH2 CH2 AlHBr3 H CH2 H2C * CH2 CH3 AlHBr3 * CH2 CH3 216 + AlBr3 Tra i riassestamenti all’azoto elettronpovero la trasformazione diretta ossima → ammide, nota come riassestamento di Beckmann, è stata studiata intensamente sotto il profilo meccanicistico. Eseguendo la reazione in H218O si osserva incorporazione dell’18O nell’ammide finale, il che implica la formazione intermedia di un carbocatione successivamente soggetto all’attacco da parte di una molecola di solvente. A sostegno di questa ipotesi occorre notare che né l’ossima di partenza né l’anilide risultante scambiano 18O con il mezzo di reazione. OH Ar OH2 Ar + H N N Me Me C NAr - H2O Me H218O + -H 18O Me NHAr L’intervento del solvente è invece escluso nell’ossidazione dei chetoni con peracidi organici nell’ambito della classica reazione di Baeyer-Villiger. L’ossidazione del benzofenone marcato con 18O procede con la completa ritenzione della marcatura all’ossigeno carbonilico dell’estere risultante. Ph Ph + H 18O 18OH Ph MeCO3H + -H Ph 18OH 18OH Ph Ph O _ - MeCOO OCOMe 18O Ph Ph + -H OPh OPh Il riassestamento della 1,2-chetoaldeide PhCOCHO in presenza di ioni idrossido produce l’α-idrossiacido PhCH(OH)COOH. Benché si possano ipotizzare sia la migrazione dell’idrogeno che del fenile, da esperimenti di marcatura isotopica risulta chiaro che solo l’idrogeno è coinvolto nello spostamento 1,2. _ Ph CDO OH O O D Ph OH O O OH O OH Ph Ph O D O D Il riassestamento di Claisen degli O-allilfenoli è un processo concertato e decorre attraverso uno stato di transizione ciclico; in quanto tale è caratterizzato da valori dell’entropia di attivazione grandi e negativi. La migrazione concertata della porzione allilica della molecola comporta l’inversione della marcatura isotopica situata sulla catena allilica. O O * OH O * * H 217 * Qualora le posizioni 2,6 dell’anello benzenico siano occupate da sostituenti diversi dall’idrogeno la migrazione della catena allilica procede dando fenoli 4-allilsostituiti. In questi casi si ha una nuova migrazione concertata che, comportando un’ulteriore inversione della posizione della marcatura, dà origine a prodotti nei quali solo l’atomo di carbonio terminale risulta marcato. O O O * * * O OH O * * H * La riduzione dei chetoni secondo Meerwein-Ponndorf decorre probabilmente attraverso un meccanismo concertato che implica il passaggio attraverso uno stato di transizione ciclico costituito dall’insieme delle due molecole reagenti: il chetone e l’alluminio isopropossido. Eseguendo la reazione sul generico chetone R2C=O in presenza dell’alcossido di alluminio marcato (Me2CDO)3Al si ottiene solo l’alcol R2CDOH, che conferma il passaggio diretto dello ione idruro da carbonio a carbonio. Me Me Me Me O D O D (iPrO)2Al CR2 O (iPrO)2Al O CR2 D - Me2C=O (iPrO)2Al O CR2 R2CDOH 7.4 Problemi 1. La velocità d’idrolisi acido-catalizzata del 2-idrossimetilbenzoato di etile è superiore a quella del benzoato di etile. Sapendo che kO-H/kO-D = 3.5, scrivere il meccanismo dettagliato dell’idrolisi del 2-idrossimetilbenzoato di etile giustificando il valore osservato dell’effetto cinetico isotopico. 2. Misurazioni cinetiche per la reazione PhCL2CH2N+Me3 + B¯ → PhCL=CH2 + Me3N + BL hanno dato logkH = 8.32, logkD = 7.23 con B¯ = EtO¯; logkH = 10.12, logkD = 8.18 con B¯ = t-BuO¯ Esprimere le dovute considerazioni sul meccanismo della reazione, con particolare riferimento alla natura degli stati di transizione coinvolti. 218 3. Calcolare l’effetto cinetico isotopico primario per la reazione L _ + EtO Me Ph + EtOL Ph CH2Br + Br _ Sono note le frequenze delle bande IR dovute allo stiramento simmetrico per il legame C-L: νC-H = 2914 cm-1, νC-D = 2085 cm-1. 4. Predire in modo approssimato il valore dell’effetto cinetico isotopico primario per le seguenti reazioni motivando la scelta. L + L L O2N + COOEt N O2N COOEt N L O O SO3Na + L L OH CL3 + + H2O L L O L3C SO3Na H2O + HO CrO3 O _ L3C CL2 + HOL O 7.5 Bibliografia La trattazione completa e rigorosa degli effetti cinetici isotopici si trova nelle seguenti monografie: 1. 2. L. Melander, W. H. Saunders Jr. Reaction Rates of Isotopic Molecules Wiley, New York, 1980. R. P. Bell The Proton in Chemistry Cornell University Press, Ithaca, New York, 1973, pag. 226. Per quanto riguarda la marcatura isotopica nello studio dei meccanismi delle reazioni organiche è utile consultare le seguenti rassegne: 3. 4. C. Wentrup, in C. F. Bernasconi Investigation of Rates and Mechanisms of Reactions Wiley, New York, 1986, 4a Edizione, Vol. 1, pag. 613. C. J. Collins Adv. Phys. Org. Chem. 1964, 2, 3. 219 8 CATALISI ____________________________________________________________________ 8.1 Introduzione 220 8.2 Catalisi acido-base 222 8.3 Catalisi enzimatica 229 8.4 Catalisi supramolecolare 229 8.5 Catalisi micellare 234 8.6 Catalisi a trasferimento di fase 237 8.7 Organocatalisi 242 8.8 Catalisi metallorganica 245 8.9 Problemi 249 8.10 Bibliografia 250 ____________________________________________________________________ 8.1 Introduzione L’argomento della catalisi in chimica organica è molto vasto ed articolato poiché esistono numerose tipologie di catalizzatori. La varietà dei composti elementoorganici utilizzata nella catalisi omogenea ne è un esempio; gli enzimi sono catalizzatori molto specifici e complessi dal punto di vista strutturale mentre la diffusissima catalisi acido-base implica l’intervento del semplice protone o dello ione idrossile in qualità di catalizzatori. Anche le reazioni organiche in grado di trarre benefici, in termini cinetici, dalla presenza di un catalizzatore sono numerosissime; ne segue che le reazioni catalizzate rappresentano probabilmente la classe più ampia di reazioni organiche. A queste considerazioni preliminari e del tutto generali si deve aggiungere il fatto che il meccanismo di una trasformazione organica non può dirsi chiarito in modo soddisfacente qualora non sia compreso il ruolo giocato dall’eventuale catalizzatore. Come regola generale nota dai primi corsi di chimica organica si ricorda che il catalizzatore non può modificare la posizione d’equilibrio di una reazione. Utilizzando la terminologia propria della termodinamica classica, le energie libere dei reagenti e dei prodotti non sono modificate dalla presenza del catalizzatore, come risulta evidente dall’esame della Figura 8.1. D’altra parte in presenza di un catalizzatore efficace si osserva un incremento della velocità di reazione rispetto al corrispondente processo non catalizzato; questo comportamento si 220 deve sempre al fatto che la specie catalitica impone un cammino, lungo la coordinata di reazione, caratterizzato da un’energia libera di attivazione inferiore rispetto a quella del processo non catalizzato. reazione non catalizzata ∆G ∆∆G = reazione catalizzata coordinata di reazione Figura 8.1. Andamento energetico di una generica reazione endoergonica catalizzata e del corrispondente processo non catalizzato. I due stati di transizione coinvolti debbono dunque essere caratterizzati da un assetto chimico differente, il che riflette il fatto che il catalizzatore dev’essere in grado di legarsi opportunamente ad uno o più reagenti, nonché allo stesso stato di transizione, promuovendo il passaggio attraverso il complesso attivato a minor contenuto energetico. Questa situazione è illustrata dalla Figura 8.2. Da essa risulta evidente l’andamento energetico relativo alla complessazione catalizzatore-reagente, catalizzatore-prodotto e stato di transizione-catalizzatore che comportano l’instaurarsi della diseguaglianza ∆G≠ > ∆G≠cat. reazione non catalizzata ∆G ∆G reazione catalizzata = = ∆Gcat coordinata di reazione Figura 8.2. Andamento di una generica reazione esoergonica catalizzata e del corrispondente processo non catalizzato. I due minimi energetici più profondi indicano l’esistenza di una complessazione catalizzatore-reagenti e catalizzatore-prodotti. 221 8.2 Catalisi acido-base La classe più ampia tra le reazioni catalizzate implica il trasferimento di un protone o di uno ione idrossile, il che individua l’insieme delle trasformazioni acido (o base)catalizzate. Questo tipo di catalisi si esplica qualora l’acido o la base coniugata del substrato sia più reattiva della corrispondente specie neutra. A titolo d’esempio si consideri l’idratazione degli alcheni, che decorre molto più velocemente in presenza di quantità catalitiche di acido. E’ evidente che il carbocatione che si sviluppa come intermedio è in grado di agire da elettrofilo molto più efficacemente del doppio legame neutro. + H2O H H OH2 H OH H + -H 8.2.1 Catalisi acida specifica Si consideri la reazione acido-catalizzata del generico substrato S a dare il prodotto P, che decorre attraverso il seguente schema cinetico nel quale il simbolo H+ non indica i protoni liberi ma rappresenta in forma semplificata il solvente protonato. k1 + S+H + SH k-1 k2 + SH + P+ H (veloce) (lenta) Si ha allora k1, k-1 >> k2 e quindi v = d[P]/dt = k2 [SH+]. Tenendo presente che il primo dei due stadi è un processo di equilibrio caratterizzato dalla costante K = [SH+]/[S][H+] si può scrivere d[P]/dt = Kk2 [S][H+] = k [S][H+] La velocità di reazione dipende dalle concentrazioni del substrato e del solvente protonato, ovvero l’unica specie acida in grado di catalizzare questo tipo di processo è il solvente protonato. In questo caso si parla di catalisi acida specifica. Se la reazione viene condotta in acqua la catalisi viene esplicata dallo ione idronio, suo acido coniugato; la terminologia corrente assegna in questo caso la denominazione di “catalisi specifica da ione idronio”. Per tutti gli altri solventi vale la denominazione di “catalisi specifica da ioni lionio”. E’ d’uso comune rappresentare la velocità di reazione per processi che decorrono in acqua od in fase acquosa attraverso l’espressione d[P]/dt = koss [S] dove koss = k [H+]. Ponendo quest’ultima eguaglianza in forma logaritmica si ricava Log koss = Log k - pH 222 che è l’equazione di una retta con pendenza -1. Diagrammando Log koss in funzione del pH si ottiene il grafico riportato nella Figura 8.3 (a), che mostra come all’aumentare del pH si ha diminuzione della velocità di reazione. Per una reazione soggetta a catalisi acida specifica la costante cinetica koss non varia al variare della concentrazione di una qualsiasi specie acida HA diversa da H+ che, infatti, non compare nell’espressione della velocità di reazione [Figura 8.3 (b)]. Log koss Log koss pH = 2 tan α = −1 α pH = 6 (a) pH (b) [HA] Figura 8.3. Diagrammi di Log koss in funzione del pH (a) e di [HA] (b) per una generica reazione soggetta a catalisi acida specifica in acqua. Per un processo che avvenga in acqua e sia soggetto a catalisi basica specifica si ha d[P]/dt = k [S][OH¯] = koss [S] dove koss = k [OH¯] = k Kw/[H+] , e quindi Log koss = Log k’ + pH L’andamento grafico di Log koss in funzione del pH è riportato in Figura 8.4 (a) ed è l’immagine speculare di quello operante nel caso della catalisi acida specifica. A pH costante, per variazione della concentrazione della base B [Figura 8.4 (b)] la costante cinetica osservata rimane invariata analogamente a quanto si osserva nel caso delle reazioni acido-catalizzate. Log koss Log koss pH = 6 α pH = 2 tan α = 1 (a) pH (b) [B] Figura 8.4. Diagrammi di Log koss in funzione del pH (a) e di [B] (b) per una generica reazione soggetta a catalisi basica specifica in acqua. 223 8.2.2 Catalisi acida generale Qualora il trasferimento protonico avvenga completamente o parzialmente nello stadio lento della reazione essa è soggetta a catalisi acida generale. Se il protone viene ceduto direttamente dalla specie acida HA al substrato S senza che avvenga mediazione da parte del solvente, può essere seguito uno schema cinetico in due stadi dei quali quello lento è rappresentato dal trasferimento protonico. _ + k1 SH + A (lenta) HA + S k-1 + SH k2 + (veloce) P + H In alternativa il trasferimento protonico può avvenire, sempre nello stadio lento, dando il prodotto protonato PH+ che, in quanto intermedio labile, dà velocemente il prodotto P. _ + k1 PH + A (lenta) HA + S k-1 + PH k2 + P + H (veloce) In entrambi i casi prospettati la velocità di reazione è espressa dall’equazione 8.1 d[P]/dt = k1[S][HA] equazione 8.1 il che significa che ogni specie acida presente nella miscela di reazione è in grado di esplicare un effetto catalitico. In questo senso è valida l’espressione di catalisi acida generale. Nel caso siano presenti più specie acide HA1, HA2, …, HAn l’equazione relativa alla velocità di reazione assume l’aspetto d[P] = ∑ k i [S][HA i ] dt i Dato che Ka = [H+][A¯]/[HA], l’equazione 8.1 si può riscrivere nel modo seguente d[P] [S][H + ][A - ] = k1 = k oss [S] dt Ka dove koss = k1 [H+][A¯]/Ka, quindi Log koss = c + Log [A¯] - pH L’andamento grafico di Log koss in funzione del pH è rappresentato nella Figura 8.5. Quando il pH è minore di almeno 1 unità rispetto al valore di pKa della specie acida HA, quest’ultima è completamente protonata e la sua concentrazione è costante. Poiché è [HA] e non pH a comparire nell’equazione cinetica 8.1 si giustifica 224 l’andamento rettilineo a coefficiente angolare nullo della porzione sinistra del grafico. Qualora il pH sia maggiore di almeno 1 unità rispetto al valore di pKa della specie acida HA, l’aumento di un’unità pH si traduce nella diminuzione pari a 10 volte del rapporto [HA]/[A¯]. Se ne deduce che l’andamento di Log koss in funzione del pH è rappresentato da una retta con pendenza pari a -1, com’è illustrato nella porzione destra del grafico. Per valori di pH prossimi al pKa di HA, cioè nell’intervallo pH ≈ pKa ± 1, l’aumento del pH non è in relazione lineare con la diminuzione di Log koss, come si vede dalla porzione centrale del diagramma. In questo intervallo non è possibile trascurare la concentrazione degli ioni idrossido ed il mantenimento della condizione di elettroneutralità implica la seguente relazione quadratica [H+] = [OH¯] + [A¯] = Kw/[H+] + [A¯] ovvero [H+]2 – [A¯][H+] – Kw = 0 per cui la variazione di pH non può essere in relazione lineare con la diminuzione di Log koss. Log koss pK +1 pKa-1 pKa a pH Figura 8.5. Diagramma di Log koss in funzione del pH per una generica reazione soggetta a catalisi acida generale. Per reazioni soggette a catalisi basica generale che decorrono in acqua od in fase acquosa il diagramma di Log koss in funzione del pH è l’immagine speculare di quello riportato nella Figura 8.5. In questo caso si ha infatti d[P] [BH + ] = k1[S][B] = k1 [S] = k oss [S] dt K b [H + ] dove Log koss = Log (k1/Kb) + Log [BH+] + pH L’andamento della porzione destra del grafico in Figura 8.6 si spiega sulla base di quest’ultima equazione. Seguendo considerazioni del tutto simili a quelle appena esposte nel caso di reazioni soggette a catalisi acida generale si spiegano facilmente le rimanenti due parti del grafico in questione. 225 Log koss pH pKa (BH+) Figura 8.6. Diagramma di Log koss in funzione del pH per una generica reazione soggetta a catalisi basica generale. La catalisi acida generale si esplica anche nel caso avvenga un trasferimento protonico veloce dalla specie acida HA al substrato S seguita da un secondo trasferimento protonico che costituisce il passaggio lento dell’intero processo. Questo secondo trasferimento protonico avviene dal substrato protonato SH+ alla base coniugata A¯ della specie acida HA. Poiché il substrato viene protonato prima che intervenga lo stadio lento della reazione si suole indicare questo tipo di catalisi col termine di catalisi acida specifica-basica generale. k1 HA + S + k-1 _ SH + A k2 + _ SH + A P + HA (veloce) (lenta) La velocità di questo processo è data dall’equazione cinetica d[P]/dt = k2 [SH+][A¯]. Tenendo presente che Ka = [H+][A¯]/[HA] e Kb = [SH+]/[S][H+], la precedente equazione che esprime la velocità di reazione diventa d[P]/dt = k2Kb [S][H+][A¯] = k2KaKb [S][HA] = kHA [S][HA] equazione 8.2 dove kHA = k2KaKb. E’ evidente la stretta analogia tra le equazioni 8.1 ed 8.2, che giustifica l’intervento della catalisi acida generale nel caso in questione. E’ possibile che una data reazione sia soggetta contemporaneamente a più tipi di catalisi acido-base. Ad esempio, quando lo iodio reagisce con l’acetone in soluzione acquosa tamponata la costante di velocità k ricavata sperimentalmente ha la forma k = kw [H2O] +kH [H+] + kOH [OH¯] +kA [A¯] + kHA [HA] dove con kw si indica la costante di velocità della stessa reazione condotta in acqua, in assenza di tampone. In questo esempio sono operanti simultaneamente la catalisi 226 acida sia specifica che generale e la catalisi basica sia specifica che generale. Tenendo conto che Kw = [H+][OH¯], Ka = [H+][A¯]/[HA] ed indicando con r = [HA]/[A¯] il rapporto tampone, la costante di velocità k diviene k = k(r) + (kHA + kA/r) [HA] Diagrammando k in funzione di [HA] si ottiene il grafico di una retta a pendenza kHA + kA/r ed intercetta k(r). Eseguendo la stessa reazione in differenti condizioni di concentrazione relativa delle specie tampone [A¯] ed [HA], cioè al variare di r, si ricavano i valori di kHA e kA. 8.1.3 Legge della catalisi secondo Brønsted Qualora una generica reazione sia soggetta a catalisi acida generale, la relazione che sussiste tra la concentrazione di ogni specie acida presente (HA) e la costante di velocità della reazione ka è espressa dalla relazione ka = Ga Kaα che rappresenta la legge della catalisi secondo Brønsted. Questa relazione pone in relazione diretta la costante cinetica ka e quella di equilibrio Ka a meno della costante Ga. Ponendo questa legge in forma logaritmica si ottiene Log ka = α Log Ka + c Spesso risulta comodo esprimere la costante di equilibrio attraverso il valore di pK; ne segue allora Log ka = – α pKa + c equazione 8.3 Diagrammando i valori di Log ka in funzione dei pKa di una serie di acidi si ottiene il grafico di una retta a pendenza α. Log ka -0 -0.5 -1.0 α = 0.47 -1.5 -7.5 -7.0 -6.5 -6.0 -5.5 -5.0 -4.5 -4.0 -3.5 -pKa Figura 8.7. Diagramma di Brønsted per l’idrolisi del dietilfenil ortoformiato in diossano/acqua 50:50. 227 I grafici del tipo di quello riportato nella Figura 8.7 sono detti diagrammi di Brønsted. Sul significato del parametro α, il cui valore è compreso tra 0 ed 1, esistono attualmente due versioni complementari nessuna delle quali è accettata universalmente. Secondo una prima definizione, il valore di α esprime la sensibilità della costante di velocità nei confronti delle variazioni strutturali che intervengono nell’ambito di una serie di reazioni realizzate in presenza di differenti specie acide HA. Quest’ultima frase è piuttosto generica e non permette di mettere a fuoco in modo preciso il significato chimico del parametro di Brønsted. Un secondo modo di affrontare questo problema mette in relazione il valore di α con il grado di trasferimento protonico che interviene a livello dello stato di transizione relativo allo stadio lento del processo reattivo. Il valore α = 1 implica che la variazione di una unità pKa della specie acida HA comporti una variazione pari a 10 volte nel valore della costante di velocità ka. Una situazione di questo tipo si verifica plausibilmente quando il trasferimento protonico da HA al substrato è avvenuto completamente a livello dello stato di transizione. Quest’affermazione è ragionevole sulla base del fatto che la definizione di pKa si riferisce al trasferimento protonico completo dalla specie acida HA all’acqua, il che chiarisce anche il motivo per cui il valore massimo di α debba essere 1. All’estremo opposto, ovvero se α = 0, la reazione è insensibile alla forza della specie acida. In questo caso HA non dona il proprio protone al substrato nello stadio lento della reazione. Coefficienti di Brønsted di valore inferiore allo zero non sono possibili. Infatti, in questa situazione un certo acido esplicherebbe un’attività catalitica minore di un altro acido più debole, il che è in contrasto con l’idea stessa di catalisi acida intesa come processo che implica necessariamente il verificarsi di un trasferimento protonico. Sono invece stati osservati valori di α anomali in quanto superiori all’unità. In questi rari casi il valore di ka in funzione di – pKa aumenta più rapidamente di quanto si possa prevedere sulla base dell’equazione 8.3. Questi valori anomali del parametro di Brønsted indicano che la generica reazione in esame è più sensibile dell’acqua nei confronti della capacità protonante della specie acida. Le stesse considerazioni espresse nel caso della catalisi acida si possono applicare alla catalisi basica dato che kb = Gb Kbβ e Log kb = β Log Kb + c Si può stabilire il tipo di relazione quantitativa che intercorre tra i parametri di Brønsted α e β considerando il generico equilibrio acido-base A ka kb B per il quale è valida la condizione Kb = 1/Ka. Si può allora scrivere Log ka = αLog Ka + c Log kb = βLog Kb + c 228 Sottraendo membro a membro le ultime due equazioni e passando alla forma esponenziale si ottiene ka = K a (α + β ) kb che è soddisfatta se α + β = 1. 8.3 Catalisi enzimatica I principi riguardanti le cinetiche enzimatiche sono stati discussi nel capitolo 2, pag. 29-34, cui si rimanda per la discussione sulla catalisi enzimatica. 8.4 Catalisi supramolecolare Prima di procedere alla descrizione della catalisi supramolecolare è opportuno richiamare le due definizioni ricorrenti di chimica supramolecolare: 1. la chimica supramolecolare è la chimica del legame intermolecolare e prende in esame le strutture e le funzioni di nuove entità chimiche che si formano in seguito all’associazione tra due o più specie chimiche diverse (J.-M. Lehn); 2. la chimica supramolecolare può essere definita come la chimica “oltre la molecola”, ovvero la chimica delle interazioni intermolecolari. In una supramolecola le informazioni sono conservate sotto forma di aspetti strutturali specifici (F. Voegtle). Entrambe le definizioni sono molto ampie e possono servire da guida, benché nessuna di esse sia esauriente dal punto di vista operazionale. E’ bene specificare che, concettualmente, la chimica supramolecolare si basa sulle interazioni deboli tra molecole che non implicano la formazione di nuovi legami covalenti. Le interazioni che si sviluppano hanno quindi natura intermolecolare, sono reversibili e classificabili nell’abito di quattro tipi fondamentali: elettrostatiche, coordinative, idrofobiche, implicanti legami ad idrogeno. In natura esistono molecole relativamente piccole che si configurano quali utili prototipi nello studio dei concetti fondamentali della chimica supramolecolare e quindi della catalisi supramolecolare. Un esempio è costituito dalle ciclodestrine (a), oligomeri ciclici costituiti da 6-8 unità glucosidiche. Si tratta di composti idrosolubili che presentano una cavità poco polare (idrofobica, b) all’interno della quale possono essere ospitate molecole sufficientemente piccole e poco polari. 229 L’interazione ciclodestrina-substrato avviene sulla base del riconoscimento molecolare, così come accade nel caso della catalisi enzimatica. Le ciclodestrine sono infatti in grado di operare un riconoscimento selettivo a livello molecolare dato che la loro cavità interna ha un diametro praticamente costante. Inoltre il processo di riconoscimento è reversibile, non avviene attraverso la formazione di nuovi legami covalenti ed è soggetto ad inibizione da parte di molecole che abbiano una maggiore affinità per la ciclodestrina dello stesso substrato. Uno dei primi esempi di catalisi supramolecolare operati dall’α-ciclodestrina riguarda l’idrolisi del 4-t-butilfenilacetato. Il meccanismo di funzionamento di questa reazione è semplice; la parte idrofobica del substrato viene inclusa nella cavità della ciclodestrina in modo che il gruppo acetile resti in soluzione acquosa potendo subire la reazione d’idrolisi. In seguito a questa reazione il 4-t-butilfenolo viene rimosso dalla cavità della ciclodestrina. O O t-Bu Qualora due funzionalità siano tenute in stretto contatto da vincoli geometrici, ad esempio per inclusione entro un’opportuna cavità molecolare, l’incremento della velocità di reazione può essere dovuto all’aumento della concentrazione locale delle specie reattive. Il vantaggio entropico di questa sorta di reazioni “intramolecolari” nei confronti dei corrispondenti processi intermolecolari si può tradurre in vantaggi di tipo cinetico. La misura dell’efficienza della catalisi supramolecolare indotta da un sistema nel quale i gruppi reattivi sono predisposti ad interagire dalla corretta geometria relativa rispetto all’analogo processo catalizzato ma intermolecolare si attua attraverso un parametro detto molarità efficace (ME), definito dal rapporto tra le costanti di velocità kcat ≡ k”intra” e kinter ME = k”intra”/kinter (mol l-1) Evidentemente l’effetto della catalisi supramolecolare “intramolecolare” è tanto maggiore quanto più grande è ME; valori superiori a 10 sono indice di una buona attività catalitica dovuta all’effetto di prossimità dei gruppi interagenti. A titolo d’esempio si consideri l’idrolisi del 4-nitrofenilacetato, che è stata realizzata utilizzando quale catalizzatore una β-ciclodestrina funzionalizzata con zinco complessi di poliazamacrocicli. Il gruppo idrossile coordinato allo zinco (II) si dovrebbe trovare nella situazione geometrica favorevole affinché si realizzi l’attacco al gruppo carbonilico dell’estere acetico. Ma i valori di ME riportati per questa idrolisi sono compresi nell’intervallo 0.2-0.3 mol l-1, il che significa che la catalisi indotta dal sistema azamacrociclo complessato/β-ciclodestrina non è efficace rispetto a quella operante nella corrispondente reazione intermolecolare in presenza del 230 poliazamacrociclo zinco(II)-complessato e della β-ciclodestrina non legati in modo covalente, che infatti è più veloce. Ciononostante l’entità della catalisi supramolecolare operante in questo esempio è notevole in quanto il rapporto tra le costanti di velocità kcat/knc = 234, dove con knc si indica la costante cinetica per la reazione d’idrolisi non catalizzata. H H N N N N O OH Zn O H NO2 Poiché, come si è detto, l’attività delle ciclodestrine si esplica attraverso l’inclusione nella cavità molecolare della porzione idrofobica di piccole molecole, è possibile costruire derivati di ciclodestrine in grado di modulare la regioselettività di una reazione. Ne è un esempio la cicloaddizione tra il 4-t-butilbenzonitrilossido e la 6A-acrilamido-6A-deossi-β-ciclodestrina, che dà quale regioisomero maggioritario l’isossazolina 4-sostituita. Dalla teoria FMO (cfr. pag. 95, 96) è invece noto che le normali cicloaddizioni intermolecolari tra nitrilossidi ed acrilammidi conducono alla formazione quasi esclusiva dell’isossazolina 5-sostituita. Questo processo non è catalitico ma stechiometrico. H _ O O H H N+ N O N + t-Bu N O N O O N + t-Bu 70 : 30 t-Bu Oltre alle ciclodestrine esistono numerosi altri esempi di molecole sintetizzate espressamente allo scopo di esplicare catalisi supramolecolare. Il seguente esempio riporta l’idrolisi del carbonato della 4-nitrofenilcolina (PNPCC) catalizzato da un cavitando funzionalizzato con un complesso di tipo zinco (II)-salen a struttura A. Quest’ultimo sistema riesce ad adottare una conformazione “a vaso” in cui lo zinco(II) si trova nella posizione opportuna per attivare convenientemente il carbonile della PNPCC nei confronti delle addizioni nucleofile. O2N O O O NMe3 231 I _ (PNPCC) L’idrolisi di PNPCC procede lentamente nelle usuali condizioni di reazioni mentre in presenza di un equivalente di A la velocità del processo aumenta di 50 volte. EtCONH NHCOEt O O Et O EtCONH Et EtCONH O O O O Zn O t-Bu NHCOEt O Et N NHCOEt Et N tBu O t-Bu t-Bu A Il legante ter-piridinico B derivato dall’acido di Kemp è stato utilizzato nella sintesi del corrispondente complesso dimero contenente il nucleo catalitico di-µ-osso dimanganese (IV). Quest’ultimo complesso è in grado di ossidare selettivamente l’ibuprofene nella posizione benzilica monosostituita grazie al riconoscimento molecolare descritto visivamente nel complesso supramolecolare C. H O N O O N N O N B COOH COOH B "Mn2O4" O ibuprofene 232 Nell’ambito di questo complesso supramolecolare risultano evidenti il legame ad idrogeno tra l’ossigeno carbonilico dell’ibuprofene ed il gruppo OH dell’acido di Kemp, e la prossimità tra la posizione benzilica monosostituita dell’ibubrofene ed uno degli ossigeni legati al manganese (IV). O O O H N O O N N O O N H Mn O O N N O Mn N H O O O N O C La presenza di opportuni catalizzatori supramolecolari può modificare la stereoselettività di un processo reattivo. La seguente reazione di Diels/Alder non catalizzata dà il solo cicloaddotto endo mentre in presenza di quantità catalitiche di triporfirine cicliche zinco(II)complessate si ottiene il solo addotto eso. Evidentemente la cavità della triporfirina ciclica può accogliere contemporaneamente il diene ed il dienofilo mantenendoli nella geometria corretta per poter procedere all’attacco eso. N O N O cat + N N O N N O Zn N cat = Zn eso O N O O O Zn 233 endo N O 8.5 Catalisi micellare Le micelle sono aggregati globulari formati da opportune molecole dette surfattanti. Queste ultime entità sono costituite a loro volta da una regione lipofila o idrofobica non polare e da una testa idrofila che può essere anionica, cationica o neutra. sodio dodecilsolfato CH3(CH2)11OSO3¯ Na+ (anionico) cetiltrimetilammonio bromuro CH3(CH2)15(CH3)3N+ Br¯ (cationico) poliossietilene(6)ottanolo CH3(CH2)7(OCH2CH2)6OH (neutro) I surfattanti sono del tutto solubili in acqua fino al raggiungimento di una concentrazione detta concentrazione micellare critica (CMC), variabile tra 10-5 e 10-3M a secondo del surfattante, definita come concentrazione al di sotto della quale non si ha la formazione di micelle. Al di sopra della CMC iniziano a formarsi le micelle che possono variare notevolmente sia come forma che come dimensione, benché normalmente si tratti di aggregati nanometrici approssimativamente sferici caratterizzati da numeri di aggregazione compresi tra 40 e 100 molecole di surfattante. La struttura di una micella in acqua è rappresentata in modo schematico nella Figura 8.8 (a) dove le teste polari sono poste all’esterno della micella, a contatto diretto con la fase acquosa, mentre la parte interna, detta fase micellare o volume micellare, è costituita dalle catene idrocarburiche del surfattante. Una micella di questo tipo è detta micella diretta. Col termine micella inversa [Figura 8.8 (b)] si designa la disposizione delle molecole di surfattante caratterizzata dalla disposizione verso l’esterno delle catene idrocarburiche, mentre le teste polari sono rivolte all’interno. Le micelle inverse si formano, ovviamente, in un ambiente poco polare, ad esempio un solvente idrocarburico. Le micelle inverse sono capaci di trattenere quantità relativamente grandi di acqua all’interno della struttura verso cui puntano le teste polari. In questo modo si crea un sistema idoneo a sciogliere e trasportare soluti polari attraverso un solvente apolare. (a) (b) Figura 8.8. (a) Sezione di una generica micella diretta a forma approssimativamente sferica. Le catene idrofobiche sono contrassegnate dalla linea a zig-zag, i cerchi neri rappresentano la testa polare del surfattante. (b) Micella inversa. 234 La costituzione di una micella in seno alla fase acquosa comporta una forte diminuzione dell’entalpia del sistema dovuta a due fattori. In primo luogo la forza di coesione tra le molecole d’acqua della soluzione impone alle catene idrocarburiche del surfattante di occupare il minor volume possibile. Questa circostanza opera a favore della costituzione della fase micellare, che dev’essere accompagnata dalla disposizione verso l’esterno delle teste polari del surfattante. In questo modo subentra il secondo fattore di stabilizzazione, dato che solo la parte polare della micella resta a contatto diretto con la fase acquosa. La diminuzione di entalpia che accompagna la formazione di una micella è sufficiente a superare i fattori che giocano un ruolo contro la formazione della stessa micella, ovvero la diminuzione di entropia dovuta all’organizzazione delle catene idrocarburiche e le forze di repulsione che si instaurano tra di esse. Un buon numero di reazioni organiche risultano notevolmente accelerate qualora siano condotte in presenza di micelle, si dice allora che le reazioni in questione sono soggette a catalisi micellare. Le basi fisiche della catalisi micellare implicano l’intervento di due fattori. In primo luogo l’energia libera di attivazione del processo reattivo diminuisce se avviene nella fase micellare, cioè nella porzione interna ed idrofobica della micella, piuttosto che in acqua. Questo fattore (∆G≠cat < ∆G≠non cat) è comune a tutti i tipi di catalisi. L’elemento di distinzione della catalisi micellare è connesso alla localizzazione delle specie reagenti nell’ambito del volume definito dalla fase micellare. In altri termini le specie reagenti si trovano in condizioni di concentrazione molto elevata dovendo occupare necessariamente il piccolo volume dalla porzione idrofobica della micella al contrario di quanto avverrebbe nella fase acquosa libera nella quale i reagenti risulterebbero dispersi. Questo effetto di alta concentrazione dei reagenti è il vero responsabile dell’incremento della velocità di reazione rispetto all’analogo processo condotto in assenza di micelle. Molte classi di reazioni organiche traggono benefici di carattere cinetico qualora siano realizzate in presenza di micelle, per questo motivo è preferibile focalizzare l’attenzione su un esempio specifico piuttosto che seguire una lunga trattazione per classi di reazione. L’idrolisi basica del 5,5’-ditiobis (2-nitrobenzoato) (DTNB) decorre in acqua secondo il seguente meccanismo COO OOC Ar S S Ar 2 Ar SOH + OH (DTNB) NO2 S S O2N _ Ar S Ar S + Ar SO2 + + Ar SOH (lenta) 2H+ (veloce) Ar = NO2 COO 235 che implica la stechiometria complessiva 2 Ar S S Ar + _ 2 OH 3 Ar S + Ar SO2 + 2H+ Questa reazione procede attraverso una cinetica del secondo ordine espressa dall’equazione d[DTNB] − = k 2 [DTNB][OH − ] dt la cui costante di velocità vale k2 = 0.54 l mol-1 s-1 a 25°C. Qualora la stessa reazione sia condotta aggiungendo il surfattante cetiltrimetilammonio bromuro (CTAB) presente in concentrazione superiori alla sua CMC (3.4ּ10-4 M), si verifica un incremento della costante di velocità diagrammato nel grafico della Figura 8.9. Si può notare che detta costante di velocità aumenta ulteriormente all’aumentare del pH della soluzione acquosa, il che è compatibile con l’espressione piuttosto complessa di k2 ricavata appositamente per l’idrolisi in presenza di micelle (equazione 8.4) k2 = (k m / V ) K DTNB K OH [DTNB] + k w (1 + K DTNB [DTNB])(1 + K OH [DTNB]) equazione 8.4 dove: km e kw sono rispettivamente la costante di velocità all’interno del volume micellare e nella fase acquosa, V è il volume molare parziale del surfattante, KDTNB e KOH rappresentano rispettivamente le costanti di legame del surfattante e dell’acqua; si tratta di indici della ripartizione tra la fase acquosa ed il volume micellare. k2 3.0 pH = 13.5 2.0 pH = 12.33 1.0 pH = 11.94 103 [CTAB] 1.74 Figura 8.9. Diagramma della costante di velocità k2 per l’idrolisi di DTNB catalizzata da CTAB. Esistono esempi di reazioni che, contrariamente a quanto ci si potrebbe attendere da un processo catalizzato, vengono rallentate dalla presenza di micelle; ad esempio 236 alcune cicloaddizioni secondo Diels/Alder. In questi casi è stata avanzata una spiegazione basata sul fatto che la specie dienofila si lega solo sulla superficie della micella senza penetrare nel volume micellare. Ciò implica che la cicloaddizione avvenga ancora in ambiente acquoso senza trarre quindi alcun beneficio dalla presenza della micella. 8.6 Catalisi a trasferimento di fase La maggior parte delle reazioni che procedono attraverso un meccanismo bimolecolare avvengono quando i reagenti si avvicinano l’uno all’altro in fase omogenea. Una difficoltà che può sorgere è quindi determinata dalla scarsa solubilità di uno dei reagenti nel solvente scelto quale mezzo di reazione. A questo proposito un esempio classico riguarda la sostituzione nucleofila bimolecolare tra il bromuro di n-ottile e lo ione cianuro. Mentre il substrato organico è ovviamente solubile nella maggior parte dei solventi poco polari, il cianuro di sodio non lo è a causa del suo carattere di sale inorganico. Ne segue che la reazione non avviene in solventi organici a bassa costante dielettrica, il che è comprensibile sulla base del fatto che si viene a formare un sistema eterogeneo nel quale il cianuro di sodio si trova in sospensione, ma non in soluzione, nel solvente organico. Benché situazioni di questo tipo si possano risolvere aggiungendo un cosolvente polare nella miscela di reazione oppure realizzando la trasformazione in un solvente dipolare aprotico, risulta più comodo e pratico ricorrere alla tecnica della catalisi a trasferimento di fase. Dal punto di vista pratico, riferendosi alla reazione tra bromuro di n-ottile e ione cianuro, si utilizza il sistema bifasico n-decano/acqua in presenza di quantità catalitiche di esadecil tributilfosfonio bromuro. Ovviamente il bromuro di n-ottile è completamente solubile nell’ n-decano così come il cianuro di sodio lo è in acqua. La presenza del bromuro di fosfonio quaternario, abbreviato come Q+ Br¯, serve a far si che s’instaurino simultaneamente i quattro equilibri (1)-(4) indicati nella Figura 8.10. R Br + QCN (3) R CN + (2) NaBr Q+ Br _ (4) + QCN (1) NaCN + Q+ Br fase organica interfaccia _ fase acquosa Figura 8.10. Ciclo catalitico a trasferimento di fase per una reazione di sostituzione nucleofila. A causa della sua natura ionica, si potrebbe pensare che il surfattante Q+ Br¯ sia solubile nella fase acquosa dove sottostà all’equilibrio (1) dando il nuovo sale quaternario QCN. In realtà i sali di quaternari di fosfonio o di ammonio sono troppo lipofili per essere solubili nella soluzione acquosa concentrata di un sale inorganico, in questo caso il cianuro di sodio. Di conseguenza è verosimile che lo QCN avvenga all’interfaccia e non in seno alla fase acquosa. scambio Q+ Br¯ 237 La specie QCN è meno ionizzata del corrispondente bromuro ed è ugualmente dotata di una lunga catena alchilica in grado di farla penetrare nella fase organica secondo l’equilibrio (2), che costituisce il vero e proprio “trasferimento di fase”. All’interno della fase organica la porzione anionica della specie Q+ CN¯ è poco solvatata e quindi fortemente nucleofila. Come risultato, nella fase organica avviene rapidamente la reazione di sostituzione nucleofila (3) che dà il cianuro di n-ottile e rigenera il bromuro di fosfonio quaternario Q+ Br¯. L’equilibrio (4) regola la ripartizione di Q+ Br¯ tra la fase organica e quella acquosa completando il ciclo catalitico. 8.6.1 Catalizzatori a trasferimento di fase Per quanto concerne le specie utilizzate come catalizzatori a trasferimento di fase, studi dettagliati sul loro comportamento hanno messo in luce come l’attività catalitica di un generico surfattante Q+ X¯ migliora se: 1. Q+ contiene un numero elevato di atomi di carbonio, almeno 16, connessi tra loro in catene idrocarburiche; 2. la disposizione delle catene alchiliche attorno all’eteroatomo carico positivamente è più possibile simmetrica; 3. la carica positiva dell’eteroatomo è più possibile schermata dall’affollamento sterico prodotto dalle catene idrocarburiche. In base a queste tre semplici regole è plausibile che, ad esempio, la nucleofilicità dell’anione cloruro risulti superiore nel caso di nBu4N+ Cl¯ rispetto a Me4N+ Cl¯, come accade effettivamente. E’ particolarmente interessante considerare quale ulteriore esempio la reazione tra il bromuro di n-ottile ed il sodio tiofenato, che decorre molto più velocemente in presenza di tetrabutilammonio ioduro piuttosto che con l’esadecil trimetilammonio bromuro. Questo comportamento consente di dirimere una questione che sorge di fronte all’utilizzo di agenti surfattanti quali catalizzatori nelle reazioni di sostituzione nucleofila, ovvero se nel corso della reazione si produca un’autentica catalisi a trasferimento di fase piuttosto che una catalisi micellare. Questo quesito trova una risposta molto semplice dal fatto che il tetrabutilammonio ioduro non è in grado di formare micelle. Inoltre, studi approfonditi sulla capacità di aggregazione di diversi surfattanti nella condizioni sperimentali proprie della catalisi a trasferimento di fase hanno messo in evidenza la formazione di aggregati formati da 2-5 molecole di surfattante; un numero troppo modesto perché si possa invocare l’intervento della catalisi micellare (cfr. pag. 234). Nella Figura 8.11 è rappresentata la variazione del numero di aggregazione N per i surfattanti cetil trimetilammonio bromuro e cetil trimetilfosfonio bromuro al variare della concentrazione di surfattante. Come ci si può aspettare, il numero di aggregazione aumenta all’aumentare della concentrazione di surfattante e risulta maggiore in benzene piuttosto che in 1-bromopropano. In ogni caso N indica un’aggregazione di gran lunga inferiore a quella necessaria per la formazione di micelle. 238 a N 5 4 b 3 c d 2 1 0 0.13 0.26 [surfattante] Figura 8.11. Numero di aggregazione N in funzione della concentrazione di surfattante. a: C16H33(nBu)3N+ Br¯/benzene, b: C16H33(nBu)3P+ Br¯/benzene, c: C16H33(nBu)3N+ Br¯/1-bromopropano, d: C16H33(nBu)3P+ Br¯/1-bromopropano. In alternativa all’utilizzo dei sali quaternari di ammonio o di fosfonio quali controioni della specie nucleofila si possono utilizzare agenti in grado di complessare il catione del sale inorganico fornendogli nel contempo un intorno lipofilo sufficiente al suo trasferimento nella fase organica. A questo scopo si utilizzano eteri corona o vari agenti criptanti. O O O O O O O N O O O O O O O O 15-C-5 18-C-6 O BuO(CH2CH2O)3 N N O N [2,2,2]criptando O O O N O O O 12-C-4 O O O N polietere a catena aperta 239 (OCH2CH2)3OBu N (OCH2CH2)3OBu polipode La complessazione del catione da parte di queste molecole chelanti implica da un lato la possibilità di sciogliere il complesso metallo-chelante in soluzione organica, dall’altro l’esaltazione della nucleofilicità dell’anione X¯. O O O O + K X + O O _ O _ X + K O O O O O E’ anche possibile modulare la selettività della complessazione nei confronti di un certo metallo alcalino a secondo della dimensione della cavità dell’agente complessante. Il 18-C-6 è particolarmente adatto alla complessazione dello ione K+ mentre 15-C-5 e 12-C-4 complessano rispettivamente Na+ e Li+. Per quanto concerne la solubilità degli anioni nella fase organica essa aumenta all’aumentare della loro mollezza. Le costanti di ripartizione per i sali n-Bu4N+ X¯ tra diclorometano ed acqua indicano il seguente ordine di solubilità in diclorometano picrato >> ClO4¯ > I¯ >> NO3¯ > Br¯ > Cl¯ > AcO¯ Anche se gli anioni fluoruro ed idrossido non compaiono in questa scala di solubilità è facile immaginare che F¯ ed OH¯ debbano mostrare solubilità molto basse in diclorometano. Per quanto riguarda l’anione idrossile è plausibile che le reazioni che richiedono il suo intervento avvengano all’interfaccia e non nella fase organica. A titolo d’esempio si consideri l’alchilazione del fenilacetonitrile in condizioni di trasferimento di fase. Ph CN + R + _ QX _ HO R Cl Ph CN In questo caso non si forma Q+ OH¯ libero di diffondere nella fase organica; il nitrile viene probabilmente deprotonato all’interfaccia e forma una coppia ionica con il catione quaternario Q+. Questa coppia ionica diffonde poi nella fase organica e subisce l’alchilazione. Il meccanismo potrebbe dunque essere Ph CN _ HO -H2O (all'interfaccia) Ph CN + _ Q_ X -X + CN Q R R X Ph Ph CN + _ + QX (in fase organica) 8.6.2 Cinetica dei processi a trasferimento di fase In questo paragrafo si esaminerà il comportamento cinetico delle sostituzioni nucleofile tra bromuri alchilici e ione cianuro realizzata in condizioni di trasferimento di fase, essendo i risultati estendibili a qualsiasi reazione di sostituzione nucleofila. Dunque, per la reazione 240 R Br + + _ Q Br NaCN R CN + NaBr la velocità di scomparsa del bromuro alchilico è data dall’equazione cinetica − d[RBr] = k[RBr ][QCN]org dt Si noti che in questa equazione non compare la concentrazione [CN¯]aq, il che è ovvio dato che l’anione cianuro in fase acquosa non è il nucleofilo efficace nella reazione di sostituzione. Questo ruolo è invece assunto dalla specie QCN presente nella fase organica. Il trasferimento dell’anione cianuro dalla fase acquosa a quella organica sottostà al seguente equilibrio nel quale i due anioni presenti in fase acquosa, cioè CN¯ ed il Br¯ proveniente dalla dissociazione del catalizzatore a trasferimento di fase, si associano ad un catione quaternario nella fase organica. (Q+ Br¯)org + (CN¯)aq (QCN)org + (Br¯)aq Questo equilibrio è regolato dalla costante K= [QCN]org [Br - ]aq [QBr]org [CN - ]aq Poiché la concentrazione del bromuro quaternario in fase organica [QBr]org è data dalla differenza tra la sua concentrazione totale Q0 e la concentrazione del cianuro quaternario in fase organica (QCNorg), si può scrivere [QCN ]org = K [CN - ]aq [Br - ]aq [QBr]org = K [CN - ]aq [Br - ]aq (Q 0 − [QCN ]org ) da cui ⎡ [CN - ]aq ⎤ [CN - ]aq [QCN ]org ⎢1 + K Q0 ⎥=K [Br - ]aq ⎥⎦ [Br - ]aq ⎢⎣ Indicando con r = [Br¯]aq/[CN¯]aq il rapporto tra le concentrazioni degli anioni in fase acquosa, si può esprimere [QCN]org nel modo seguente [QCN]org = KQ 0 K/r Q0 = 1 + K/r r+K Sostituendo quest’ultima eguaglianza nell’equazione cinetica della reazione in oggetto si ha kKQ 0 d[RBr] =− [RBr ] r+K dt 241 Se r può considerarsi costante, il che è plausibile dal punto di vista chimico, il rapporto kKQ0/(r + K) non è che la costante cinetica osservata, per cui l’equazione della velocità di reazione assume la semplice forma d[RBr] = −k oss [RBr ] dt che sancisce una cinetica dello pseudo-primo ordine per le reazioni soggette alla catalisi a trasferimento di fase. Questo comportamento cinetico è stato dedotto assumendo che l’equilibrio di scambio tra gli anioni nella fase acquosa e quelli associati al sale quaternario in fase organica sia molto veloce rispetto alla reazione di sostituzione nucleofila che ha luogo nella fase organica. Questa assunzione non è più valida qualora il trasferimento di massa attraverso l’interfaccia risulti ritardato, ad esempio, da un’agitazione troppo scarsa. In assenza di agitazione la reazione di sostituzione nucleofila non procede mentre con una frequenza di agitazione superiore a 250 giri/minuto il valore di koss rimane praticamente costante (Figura 8.12). Questo comportamento è tipico per una reazione che avviene all’interno della fase organica mentre è noto che per reazioni che hanno luogo all’interfaccia la velocità del processo risulta direttamente proporzionale alla frequenza di agitazione. 104 koss 2 1 0 250 giri/min Figura 8.12. Andamento di koss in funzione della frequenza di agitazione. 8.7 Organocatalisi L’attività catalitica esplicata da piccole molecole organiche in grado di formare legami covalenti con il substrato è nota col termine di organocatalisi. La molecola organica che funge da catalizzatore deve poter legare il substrato dando un intermedio che sia più reattivo dello stesso substrato nei confronti della trasformazione che si intende realizzare. Un esempio molto semplice riguarda l’addizione nucleofila coniugata sull’acroleina in presenza di un’ammina secondaria in qualità di catalizzatore. Innanzitutto il gruppo aldeidico dell’acroleina reagisce con l’ammina secondaria presente in quantità catalitiche. A questo punto avviene l’addizione nucleofila coniugata ad opera del generico nucleofilo Nu¯, che decorre più velocemente sul sale di imminio che sull’acroleina. In seguito l’ammina secondaria viene liberata dal sale di imminio per idrolisi completando il ciclo catalitico. 242 O + H+ H2O N NH O + H + Nu H2O Nu N _ N + H Nu Nu La maggiore reattività del sale di imminio rispetto all’acroleina nei confronti delle specie nucleofile è dovuta alla carica positiva coniugata al doppio legame etilenico che ne abbassa il livello energetico del LUMO. Poiché l’addizione nucleofila è controllata dall’HOMO della specie nucleofila ne deriva una una diminuzione dell’energia E(LUMO) – E(HOMO), rappresentata da ∆E2 (Figura 8.13), rispetto alla differenza ∆E1 dell’acroleina. E O _ Nu N LUMO LUMO ∆E1 ∆E2 HOMO Figura 8.13. Energie degli orbitali di frontiera dell’acroleina, del nucleofilo e del sale di imminio. Utilizzando quali catalizzatori opportune ammine secondarie enantiopure si hanno addizioni di Michael enantioselettive. In effetti l’utilità e l’efficacia dell’organo catalisi si riscontra soprattutto nella possibilità di ottenere trasformazioni che 243 decorrono con un elevato grado di stereoselettività. Il seguente esempio si riferisce all’addizione di Michael enantioselettiva sulla crotonaldeide. O + H+ H2O O O NH Bn NH tBu N Bn tBu N H Nu + H + O H2O Nu O O NH Bn _ NH tBu N H Bn + Nu tBu N Nu Gli stessi principi si applicano ad altre classi di reazioni organiche quali le cicloaddizioni secondo Diels/Alder, 1,3-dipolari e le reazioni di Friedel/Crafts. La cicloaddizione di nitroni sulla crotonaldeide decorre con elevata diastereoselezione in presenza di opportuni imidazolinoni enantiopuri. In questo caso la reazione tra il catalizzatore e la crotonaldeide dà origine ad una specie dipolarofila carica positivamente in cui il doppio legame etilenico è fortemente attivato nei confronti della cicloaddizione. Anche in questo caso l’accelerazione rispetto al processo non catalizzato avviene grazie all’abbassamento dell’energia del LUMO del dipolarofilo etilenico dato che la cicloaddizione è controllata dall’HOMO del nitrone. O + H+ H2O O O NMe Bn Ph Bn N NMe Bn N H N CHO + H+ Ph O H2O O NMe Bn Ph Bn N O 244 N O H N Bn 8.8 Catalisi metallorganica La catalisi promossa da complessi di metalli di transizione è particolarmente interessante sia per via delle implicazioni meccanicistiche che per il massiccio utilizzo che ne viene fatto nella sintesi organica di laboratorio ed industriale. Il campo della catalisi omogenea è molto vasto dato che sono noti numerosissimi complessi di metalli di transizione in grado di fungere da catalizzatori; inoltre un gran numero di reazioni organiche sono facilitate dalla presenza di tali complessi. Poiché in questa sede l’argomento della catalisi omogenea è limitato ad un solo paragrafo appare ovvio che vi si può solo accennare molto brevemente. Le sole nozioni necessarie per la comprensione di questo paragrafo sono quelle relative alla regola dei 18 elettroni ed ai meccanismi di somma ossidativa ed eliminazione riduttiva. Per via della natura puramente introduttiva di questa discussione ci si limiterà alla descrizione di pochi cicli catalitici di particolare rilevanza, privilegiando gli aspetti connessi alla chimica del centro metallico piuttosto che quelli più propriamente sintetici. 8.8.1 Idrogenazione omogenea di composti insaturi Il complesso d8 (Ph3P)3RhICl a struttura planare quadrata distorta è noto come complesso di Wilkinson o catalizzatore di Wilkinson. Malgrado l’ingombro sterico esercitato dalle fosfine esso è poco dissociato a temperatura ambiente (Ph3P)3RhICl (Ph3P)2RhICl + Ph3P K = 1.4ּ10-4 M ma dimerizza a temperature superiori dando una specie con due ponti alogeno. Cl I (Ph3P)2Rh 2(Ph3P)3Rh Cl Rh(PPh3)2 + 2Ph 3P K = 3 10-4 M Cl La somma ossidativa di idrogeno al complesso di Wilkinson dà luogo alla formazione del diidruro complesso di rodio(III) a formula (Ph3P)2RhH2Cl con struttura bipiramidale trigonale. Si tratta di una specie a 16 elettroni come lo stesso catalizzatore di Wilkinson. I (Ph3P)3Rh Cl Ph3P + H2 H III Rh Ph3P H Cl Questo diidruro complesso catalizza l’idrogenazione in fase omogenea di olefine ed altri composti insaturi secondo il seguente ciclo catalitico. Seguendo il ciclo catalitico in senso orario dalla prima formula in alto a sinistra, il primo passaggio consiste nella complessazione dell’olefina col mantenimento del numero di ossidazione (III) al rodio. Seguono la β-migrazione d’idruro al carbonio dell’olefina e l’eliminazione riduttiva della corrispondente paraffina con formazione della specie a 14 elettroni (Ph3P)2RhICl. Data l’insaturazione coordinativa di quest’ultima specie, il ciclo si chiude con la somma ossidativa di idrogeno su di essa, che ripristina il diidrurocomplesso iniziale. 245 H Ph3P III Rh Ph3P Ph3P H Cl H III Rh PPh3 Cl (18 e-) (16 e-) β−migrazione H2 -H2 H H Ph3P I Rh H Ph3P Cl Ph3P Ph3P (14 e-) III Rh Cl (16 e-) H H Nei cicli catalitici che implicano l’intervento di complessi con fosfine terziarie l’ingombro sterico del legante è molto importante poiché influenza gli equilibri dissociativi, l’orientazione della complessazione con i leganti insaturi e la stabilità degli alchilderivati intermedi. Una conseguenza delle interazioni steriche è quella di rendere possibili idrogenazioni sitoselettive come illustrato nel seguente esempio. H2 (Ph3P)3RhCl O O COOMe COOMe Utilizzando quali leganti bifosfine chirali in luogo della trifenilfosfina si possono promuovere idrogenazioni stereoselettive. Esempi di questi leganti sono i seguenti. PPh2 Ph2P O Ph2P O PPh2 PPh2 PPh2 DIOP (+)-camphos Nel campo della sintesi organica uno dei risultati più eclatanti ottenuti nell’applicazione della catalisi omogenea in presenza di fosfine chirali quali leganti 246 concerne la preparazione della alcheni a formula generale L–DOPA in forma enantiopura per riduzione di NHR1 RCH COOH Si sono ottenuti eccessi enantiomerici fino al 95%. L’esatto ruolo del legante chirale non è comunque del tutto chiarito per cui la scelta del legante più adatto e delle condizioni sperimentali sono empiriche e vanno sempre messe a punto per ogni particolare riduzione. 8.8.2 Idrosililazione di composti insaturi Nella reazione di idrosililazione delle olefine si ottengono prodotti recanti il gruppo silile in posizione terminale. + R R3SiH SiR3 R Questo processo è catalizzato da acido esacloroplatinico in etanolo, un reattivo noto come catalizzatore di Speier. Esso è efficace già a concentrazioni molto piccole rispetto a quella del substrato (10-5-10-8 M) ed è utilmente impiegato nella chimica dei siliconi. Il ciclo catalitico implica dapprima la formazione di complessi olefinaplatino(II) che subiscono la somma ossidativa del silano R3SiH a dare un idruro complesso piramidale di PtIV. Seguono la β-migrazione di idruro al carbonio sp2 e per finire l’eliminazione riduttiva della paraffina α-sililata. In questo ciclo catalitico con S si indica una molecola di solvente. R3SiH Cl S H Cl II Pt S Cl Cl (16 e-) IV Pt SiR3 (16 e-) β−migrazione H SiR3 Cl S + Cl IV Pt SiR3 H (14 e-) 8.8.3 Carbonilazione del metanolo La reazione MeOH + CO → MeCOOH è catalizzata da metallocarbonili di Fe, Co e Ni in presenza dell’anione ioduro in qualità di co-catalizzatore. Con questi sistemi catalitici il processo decorre a 210°C e 510 atm. Impiegando catalizzatori a base di RhI quali il complesso a 16 elettroni (CO)2RhII2¯ la reazione procede in condizioni 247 molto meno drastiche, ovvero a 100°C ed a pressione ambiente. Il ciclo catalitico prevede la somma ossidativa dello ioduro di metile sul complesso (CO)2RhII2¯ con la generazione di un nuovo complesso bipiramidale tetragonale. Quali stadi ulteriori si hanno la β-trasposizione di CO e la successiva addizione di una seconda molecola di CO. Si genera così un acilcomplesso bipiramidale tetragonale che per eliminazione riduttiva di ioduro di acetile rigenera il complesso (CO)2RhII2¯. I I CO Rh CO I Me I MeI III Rh I CO CO I (16 e-) (18 e-) MeCOI β-trasposizione I I COMe III CO Rh CO I I I CO COMe III Rh CO I (18 e-) (16 e-) Lo ioduro di acetile così formato si idrolizza assai facilmente ad acido acetico, MeCOI + H2O → MeCOOH + HI mentre lo ioduro di metile necessario per l’innesco del ciclo catalitico proviene dalla reazione MeOH + HI → MeI + H2O 8.8.4 Reazione di Heck Il metallo di transizione più studiato ed utilizzato a fini sintetici nella chimica organica recente è il palladio attraverso la reazione di Heck, che ne riassume l’utilità preparativa. Questa trasformazione consiste nell’alchilazione diretta di olefine in presenza di complessi di Pd0 e di un agente basico. R X + R1 "Pd 0" base R R1 + HX Il ciclo catalitico prevede dapprima la somma ossidativa di R-X al complesso di Pd0, una specie a 14 elettroni caratterizzata da forte insaturazione coordinativa. Lo stadio successivo implica la carbometallazione dell’olefina R1CH=CH2 accompagnata dalla generazione del complesso di alchilpalladio(II) a struttura planare quadrata distorta. La β-migrazione di idruro comporta quindi l’estrusione dell’olefina trans-alchilata RCH=CHR1 e la concomitante generazione del complesso di idruropalladio(II). Come ultimo passaggio l’intervento della base B provoca la deidroalogenazione del 248 complesso di idruropalladio(II) che comporta la rigenerazione del catalizzatore (Ph3P)2Pd0. R X Ph3P (Ph3P)2Pd0 Ph3P (14 e-) II Pd (16 e-) R X _ BH+X R1 B Ph3P Ph3P II Pd X Ph3P H Ph3P R (16 e-) R1 II Pd X R H (16 e-) R1 Al lato pratico la generazione del complesso di Pd0 viene realizzata in situ per azione della trifenilfosfina su un sale di palladio(II). Un esempio di reazione di Heck è il seguente. S Br + (AcO)2Pd (1%) N S Ph3P (2%) N 8.9 Problemi 1. “La catalisi acido-base generale si verifica solo: (a) su siti che implicano grandi variazioni di pK nel corso della reazione, (b) quando il pK del catalizzatore è intermedio tra i valori iniziali e finali di pK del sito reattivo.” Sulla base di questa regola, nota come “regola della libido” (W. P. Jencks, 1972) dire se le seguenti trasformazioni decorrono attraverso catalisi acido-base generale: (a) idrolisi acido-catalizzata degli esteri di acidi carbossilici, (b) idrolisi acidocatalizzata di acetali, chetali ed ortoesteri. 2. L’equazione generale per reazioni soggette a catalisi acida o basica specifica è koss = k0 + k(H+) [H3O+] + k(OH¯) [OH¯] Ricavare le espressioni di koss: (a) per un processo soggetto a catalisi acida specifica, (b) per un processo soggetto a catalisi basica specifica. 3. Il 4-nitrofenilacetato si idrolizza molto facilmente in presenza di imidazolo in quantità catailtiche. Suggerire un meccanismo plausibile per questa trasformazione. 249 4. Si consideri l’enolizzazione dell’acetofenone. Scrivere: (a) un meccanismo a catalisi acida specifica, (b) un meccanismo a catalisi acida generale. 5. Il riassestamento secondo Beckmann è una reazione acido-catalizzata che comporta l’ottenimento di ammidi a partire da ossime. In presenza d’acqua si verifica invece la seguente reazione di Beckmann “anomala”. Ph N OH H+ H2O Ph OH + N Proporre un meccanismo plausibile per quest’ultima trasformazione. 6. Quando una reazione è soggetta sia a catalisi acida generale che a catalisi basica generale si osserva il seguente andamento “a campana” di log koss in funzione del pH. Spiegare. log koss pH 7. Dimostrare che l’equazione ka = K a (α + β ) kb (pag 228-229) è soddisfatta se α + β = 1. 8. Spiegare i valori di ME associati ai seguenti substrati OH OH COOH COOH 4 ּ 104 M 9. 2 ּ 1013 M Discutere i motivi per cui, nella catalisi a trasferimento di fase, è possibile ritenere che r = [Br¯]aq/[CN¯]aq sia costante. 8.10 Bibliografia Tra le monografie che trattano i vari aspetti inerenti alla catalisi risalta la seguente opera per la sua completezza e la chiarezza espositiva: 1. W. P. Jencks Catalysis in Chemistry and Enzymology Dover Publications, New York, 1987. 250 Approfondimenti molto utili si trovano anche in: 2. R. P. Bell The Proton in Chemistry Cornell University Press, Ithaca, New York, 1973. 3. R. Stewart The Proton: Applications in Organic Chemistry Academic Press, New York, 1985. Le seguenti monografie riguardano aspetti o campi specifici nell’ambito della catalisi: - catalisi micellare: 4. M. N. Khan Micellar Catalysis CRC Press, London, 2006. - catalisi a trasferimento di fase: 5. C. M. Starks, C. L. Liotta, M. Halpern Phase Transfer Catalysis Chapman & Hall, New York, 1994. - catalisi supramolecolare 6. P. W. N. M. van Leeuwen Supramolecular Catalysis Wiley-VCH, Weinheim, 2008. - organocatalisi 7. A. Berkessel, H. Gröger Asymmetric Organocatalysis Wiley-VCH, Weinheim, 2005. - catalisi metallorganica 8. J. P. Collman, L. S. Hegedus, J. R. Norton, R. G. Finke Principles and Applications of Organotransition Metal Chemistry University Science Books, Mill Valley, 1987. 251 9 METODI DI ATTIVAZIONE NON CONVENZIONALI DI REAZIONI ORGANICHE ____________________________________________________________________ 9.1 Introduzione 252 9.2 Microonde 253 9.3 Sonochimica 259 9.4 Attivazione elettrochimica 264 9.5 Fotochimica 272 9.6 Problemi 280 9.7 Bibliografia 281 ____________________________________________________________________ 9.1 Introduzione Il decorso delle reazioni organiche può essere facilitato in vari modi, alcuni dei quali sono stati presi in considerazione nei capitoli precedenti. Gli effetti della temperatura sono stati discussi nell’ambito dell’equazione di Arrhenius, della teoria delle collisioni e dello stato attivato. Si è anche detto che l’applicazione di pressioni dell’ordine di diversi Kbar può migliorare l’andamento di molte reazioni e addirittura rendere possibili trasformazioni che non avvengono a pressione ambiente. Inoltre si è constatato che la catalisi in tutte le sue forme è in grado di produrre notevoli vantaggi di ordine cinetico nei confronti di un’enorme numero di reazioni organiche. Naturalmente è possibile intervenire su fattori strutturali ed elettronici per migliorare la reattività di un substrato. Esistono tuttavia altre forme di attivazione delle reazioni organiche che esulano dai metodi e dai concetti finora presi in considerazione e possono risultare molto utili ai fini preparativi, oltre che costituire argomenti di per sé interessanti dal punto di vista della chimica organica fisica. Seguendo lo stesso criterio adottato nei capitoli precedenti ci si propone ora di illustrare alcuni degli aspetti più rilevanti nell’utilizzo delle microonde, degli ultrasuoni e delle attivazioni elettrochimica e fotochimica enfatizzandone gli aspetti fisici e meccanicistici. 252 9.2 Microonde Le microonde sono caratterizzate da lunghezze d’onda comprese tra 1 mm ed 1 m cui corrispondono, rispettivamente, frequenze di 300 e 0.3 GHz. Nell’ambito dello spettro delle radiazioni elettromagnetiche le microonde si collocano ad energie piuttosto basse, al di sotto di 28.6 cal/mole. La particolare importanza delle microonde in chimica organica è legata al rapido riscaldamento del materiale irradiato, com’è noto dall’esperienza quotidiana legata all’utilizzo dei comuni forni a microonde per il riscaldamento dei cibi. Nel campo della chimica organica si è soliti procedere al riscaldamento di una miscela di reazione con apparecchiature che hanno lo svantaggio di produrre piuttosto lentamente l’aumento della temperatura. Oltretutto non è raro che durante il riscaldamento, ad esempio con un termomanto, si producano surriscaldamenti locali che comportano la parziale decomposizione dei reagenti. Questo inconveniente si elimina irradiando il reattore che contiene la miscela di reazione con microonde dato che esse non sono assorbite dalle pareti del recipiente e possono quindi riscaldare solo il solvente ed i reagenti. Servendosi di un’apparecchiatura ben congegnata l’aumento della temperatura risulta abbastanza omogeneo in tutta la miscela di reazione. 9.2.1 Riscaldamento con microonde Come qualsiasi tipo di radiazione elettromagnetica, le microonde sono costituite da un campo elettrico ed un campo magnetico ortogonali. Il campo elettrico è responsabile del riscaldamento dielettrico del campione, che avviene attraverso due modalità differenti: il meccanismo di polarizzazione dei dipoli ed il meccanismo di conduzione. Per quanto concerne il primo dei due meccanismi, esso è operante solo se il campione è costituito da molecole che possiedono un momento dipolare. Un dipolo molecolare è infatti sensibile alle variazioni di direzione del campo elettrico esterno nel senso che le molecole dipolari si allineano a questo campo ruotando. Se il campo elettrico esterno è statico si può ritenere che l’orientazione del dipolo molecolare sia fissa (Figura 9.1 a) mentre in presenza di un campo elettrico oscillante con frequenza molto elevata l’orientazione dei dipoli molecolari è distribuita statisticamente (Figura 9.1 b). In nessuno di questi due casi avviene il riscaldamento indotto dalle microonde. Quest’ultimo si manifesta invece qualora la frequenza del campo elettrico oscillante sia tale per cui i dipoli molecolari non dispongono del tempo necessario per riallinearsi completamente lungo le linee di forza del campo (Figura 9.1 c). In questa evenienza, che occorre proprio nel dominio di frequenza delle microonde, i dipoli molecolari si allineano nel tentativo di seguire la direzione del campo elettrico il quale ha contemporaneamente variato direzione generando una differenza di fase con la direzione dei dipoli molecolari. Questa differenza di fase causa la dissipazione di energia da parte del dipolo molecolare dovuta a fenomeni di frizione e collisione intermolecolare. Poiché la dissipazione energetica in oggetto avviene sotto forma di calore ha luogo il fenomeno del riscaldamento dielettrico. Il semplice modello fisico ora preso in esame permette di giungere ad alcune considerazioni interessanti. In primo luogo si ha la spiegazione del motivo per cui l’irradiamento con microonde non produce riscaldamento nei gas; le molecole in fase 253 gassosa sono troppo distanti perché si possa dissipare efficacemente energia attraverso frizioni e collisioni intermolecolari. (a) (b) (c) Figura 9.1. Rappresentazione pittorica della disposizione dei dipoli molecolari: (a) in un campo elettrico statico, (b) in un campo elettrico ad alta frequenza, (c) in un campo elettrico generato da microonde. Un fenomeno interessante si rileva sottoponendo ad irradiamento con microonde campioni di solventi a diversa costante dielettrica, ad esempio acqua e diossano. Il solvente più polare subisce un netto incremento della temperatura che manca invece nel caso del diossano, che è un solvente poco polare (Figura 9.2). Questo comportamento si può spiegare agevolmente sulla base di quanto detto in precedenza. La bassa polarità del diossano fa si che le sue molecole non risentano in modo significativo del campo elettrico che accompagna le microonde. Al contrario i fenomeni dissipativi dell’energia rotazionale, che si convertono in calore, si manifestano nella massa acquosa dato che il momento dipolare delle molecole d’acqua subisce la variazione di fase rispetto al campo elettrico applicato. T (°C) acqua 120 100 80 60 40 diossano 20 10 20 30 tempo (min.) Figura 9.2. Riscaldamento con microonde di acqua e diossano in funzione del tempo. Dalla Figura 9.2 si nota immediatamente che l’irradiamento dell’acqua con microonde produce un riscaldamento che porta la temperatura della massa acquosa ben oltre il suo punto di ebollizione a pressione ambiente. Questo fenomeno è detto di sovrariscaldamento. Durante il processo di ebollizione il cambiamento di fase liquido → vapore può avvenire in seno al fluido oppure, più comunemente, in siti di 254 nucleazione presenti sulla superficie riscaldante. Poiché, come si è detto, il recipiente che contiene il solvente è trasparente alle microonde si ha la mancanza dei siti di nucleazione, che è accompagnata dal ritardo nell’ebollizione. Nella Tabella 9.1 sono riassunti i punti di ebollizione di alcuni solventi organici polari a pressione ambiente con e senza irradiamento da microonde. Tabella 9.1. Punti di ebollizione di solventi organici polari. _______________________________________________________________________________________ Solvente P. eb. (°C) P. eb. con irradiamento (°C) _______________________________________________________________________________________ 1-butanolo metanolo acetone acetato d’etile acetonitrile THF 117 65 56 77 82 67 138 84 89 102 120 103 _______________________________________________________________________________________ Per quanto riguarda il riscaldamento prodotto dalle microonde attraverso il meccanismo della conduzione si può fare riferimento all’irradiamento di due campioni d’acqua; il primo d’acqua distillata, il secondo di acqua contenente ioni. Questi ioni si muovono in seno alla soluzione acquosa sotto l’influenza del campo elettrico, il che comporta la dissipazione di energia traslazionale sotto forma di calore. E’ ovvio che questo tipo di fenomeno è assente nel caso dell’acqua distillata. T (°C) 120 acqua 100 acqua distillata 80 60 40 20 10 20 30 tempo (min.) Figura 9.3. Riscaldamento con microonde di acqua distillata ed acqua contenente ioni in funzione del tempo. Può accadere che due solventi puri di polarità simile irradiati con microonde per un certo tempo e con la stessa potenza subiscano un aumento di temperatura assai diverso. Ad esempio l’acetone (ε = 20.56) e l’etanolo (ε = 24.55) dopo 30 minuti d’irradiamento raggiungono rispettivamente i 52 ed i 105°C. Questo comportamento 255 è razionalizzabile prendendo in considerazione la permettività dielettrica del solvente, ε’. Essa rappresenta la tendenza di una molecola ad essere polarizzata dal campo elettrico applicato. Definendo con ε’’ la perdita dielettrica, che quantifica l’efficienza del materiale dielettrico nel trasformare in calore l’energia delle microonde, si stabilisce la relazione tan δ = ε”/ε’. Tan δ è il fattore di dispersione del dielettrico, che indica la capacità del materiale di assorbire l’energia delle microonde convertendola in energia termica. A parità di costante dielettrica solventi caratterizzati da valori di tan δ maggiori si riscaldano più rapidamente. Nel caso preso in considerazione i valori di tan δ per l’etanolo e l’acetone valgono rispettivamente 0.054 e 0.042. 9.2.2 Effetti specifici delle microonde Gli effetti delle microonde esercitano un’influenza sia sul fattore pre-esponenziale che sull’energia libera di attivazione dell’equazione di Arrhenius k = A exp(∆G≠/RT). Le molecole dei reagenti sono infatti sottoposte all’influenza di un campo elettrico oscillante in grado di produrre un parziale allineamento dei dipoli molecolari. Ne segue che questo parziale allineamento aumenta la frequenza delle collisioni utili a produrre un urto efficace e quindi un atto reattivo. Grazie alla parziale orientazione dei dipoli molecolari il termine ∆G≠ subisce un aumento dovuto al valore più negativo di -T∆S≠, che riflette il grado di relativa organizzazione delle molecole dei reagenti rispetto a quanto avviene nel caso del riscaldamento tradizionale. Da quanto si è detto a proposito del riscaldamento dei solventi ad opera delle microonde appare evidente che il trasferimento energetico alle molecole di soluto può risultare efficace solo in presenza di solventi poco polari. Ad esempio la reazione di Biginelli Ar EtOOC H2N ArCHO + EtOOC O NH O + H2N N O H condotta in etanolo non comporta incrementi del rendimento né della velocità di reazione per irradiamento con microonde. Aumenti significativi delle rese accompagnati da una forte diminuzione del tempo di reazione si osservano invece quando quando la reazione è sottoposta ad irradiamento con microonde in assenza di solvente. La mancanza di effetti specifici delle microonde risulta evidente da molti altri esperimenti realizzati in etanolo o in dimetilformammide. Utilizzando solventi poco polari l’entità dell’effetto delle microonde è legato alla polarità delle molecole dei reagenti. La reazione di Diels/Alder tra antracene e dimetilmalonato in xilene non risente degli effetti specifici dovuti all’irradiamento con microonde mentre l’analoga reazione tra 3,4-dimetilbuta-1,3-diene e metilvinilchetone in xilene decorre circa 5 volte più velocemente per irradiamento con microonde rispetto al riscaldamento tradizionale. Sono poi stati evidenziati alcuni effetti specifici determinati dall’irradiamento con microonde a secondo del meccanismo di reazione. Per processi di tipo concertato che coinvolgono reagenti poco polari è plausibile che gli effetti specifici dovuti alle microonde siano di scarsa entità o non si manifestino affatto, 256 come nel caso della reazione di Diels/Alder sopra menzionata tra antracene e dimetilmalonato. Nell’evenienza che ad un processo concertato partecipino reagenti relativamente polari si possono invece verificare effetti specifici dovuti all’irradiamento con microonde. Costituisce un esempio in questo senso la cicloaddizione 1,3-dipolare tra nitroni e composti fluorurati. OH O F3C COOEt F3C COOEt Me H + N Ph O COOEt Ph Me N CF3 O OH _________________________________________________________________________________________ Attivazione Solvente Tempo T (°C) ∆ ∆ microonde __ 3 min. 24 h 3 min. 119 110 119 Resa (%) _________________________________________________________________________________________ toluene __ 64 65 98 _________________________________________________________________________________________ Nel caso di reazioni bimolecolari tra reagenti neutri, ad esempio l’alchilazione di ammine o fosfine e l’addizione nucleofila al carbonile, si ha sviluppo di carica a livello dello stato di transizione. L’incremento di polarità rispetto ai reagenti dovrebbe garantire l’accelerazione di queste reazioni per irradiamento con microonde. Al contrario le reazioni bimolecolari a dispersione di carica non dovrebbero risultare accelerate dall’irradiamento con microonde. Poiché però lo spettro delle reazioni SN 2 è molto ampio si possono ulteriormente distinguere due situazioni alquanto differenti: (i) se la reazione implica l’intervento di una coppia di ioni legata fortemente nello stato fondamentale, ad esempio formata da due ioni duri, è prevedibile un’accelerazione del processo indotta dall’irradiamento con microonde. Nel corso della reazione l’iniziale coppia di ioni “chiusa” si trasforma infatti in una seconda coppia di ioni più lasca e quindi più polare della prima; (ii) se lo stato fondamentale dei reagenti è caratterizzato da una coppia di ioni lasca, ad esempio formata da ioni molli, la sua evoluzione non comporta una variazione sostanziale della sua polarità ed è prevedibile un’azione assai limitata da parte delle microonde. Per un classico processo monomolecolare corrispondente ad una reazione SN 1 l’accelerazione prodotta dall’irradiamento con microonde dovrebbe risultare efficace dato che lungo la coordinata di reazione si deve verificare un forte sviluppo di carica. 9.2.3 Esempi di reazioni organiche attivate dalle microonde In questo paragrafo saranno discussi alcuni esempi di reazioni organiche che vengono accelerate per irradiamento con microonde. Poiché gli esempi in letteratura sono ormai molto numerosi ci si limiterà a considerare solo pochi esempi significativi la cui interpretazione si basa sui principi discussi nella sezione precedente. 257 Tipici processi di sostituzione nucleofila quali le reazioni SN 2 tra la 2-cloropiridina e cloruri alchilici e la reazione di sostituzione nucleofila aromatica tra para-cloro toluene e piperidina subiscono una forte accelerazione passando dal riscaldamento tradizionale, indicato col simbolo ∆, all’irradiamento con microonde (MW). R + N Cl Cl Cl _ N Cl R _____________________________________________________________________________ R Tempo T (°C) Resa (%) _________________________ ∆ MW __ 80 _____________________________________________________________________________ COOEt COOEt CN CN 40 min 23 h 40 min 23 h 165 165 165 165 __ 46 __ 56 __ 10 _____________________________________________________________________________ Cl + Me N N Me H MW: 6 min, a riflusso, 70%. ∆: 16 h, a riflusso, 60%. Per quanto riguarda le addizioni al carbonile, si considerino le preparazioni di N-sulfonilimmine o di ∆2-ossazoline. A parità di condizioni, cioè tempi e temperature, i rendimenti risultano di gran lunga migliori irradiando la miscela di reazione con microonde. PhCHO + H2NSO2p-Tol → PhCH=NSO2p-Tol MW: 6 min, 190°C, 91%. ∆: 6 min, 190°C, 40%. OH O Ar OH ArCOOH + H2N OH OH HN OH N OH - H2O Ar OH O OH MW: 10 min, 200°C, 80-95%. ∆: 10 min, 200°C, < 5%. Notevoli incrementi della velocità di reazione si verificano anche nell’esterificazione di acidi carbossilici. Queste reazioni possono essere realizzate efficacemente in 258 presenza di un catalizzatore a trasferimento di fase; nel caso dell’esterificazione dell’acido benzoico con il bromuro di n-ottile si opera infatti in presenza di carbonato di potassio e tetrabutilammonio bromuro. Procedendo all’irradiamento con microonde non è necessario ricorrere all’impiego del catalizzatore a trasferimento di fase ed i tempi di reazione risultano molto contenuti. O n-C8H17Br + Ph K2CO3 O Ph OH On-C8H17 MW: 150 s, 145°C, 99%. Anche la reazione opposta, cioè l’idrolisi basica del benzoato di metile, decorre molto più velocemente per irradiamento con microonde rispetto alla normale reazione termica. Come si è detto, esistono reazioni che non risentono degli effetti prodotti dalle microonde. Ne è un esempio la reazione di Friedel/Crafts tra il mesitilene ed il fenilsolfonilcloruro in presenza di FeCl3. In questo caso la mancanza di accelerazione è imputabile al fatto che la specie reattiva Ph-SO2+ FeCl4¯ forma una coppia ionica piuttosto lasca come del resto lo stato di transizione implicato nella reazione. + PhSO2Cl FeCl3 SO2Ph MW: 30 min, 110°C, 80%. ∆: 30 min, 110°C, 78%. 9.3 Sonochimica La sonochimica studia gli effetti provocati da onde sonore, solitamente ultrasuoni, sulle reazioni chimiche. Gli ultrasuoni sono onde acustiche di frequenza compresa tra 15 KHz e ≈5 MHz che vengono trasmesse attraverso qualsiasi sostanza, sia essa solida, liquida o gassosa, purché possieda proprietà elastiche. Quando le vibrazioni emesse da una sorgente acustica sono trasmesse alle molecole del mezzo, ciascuna di esse dissipa il suo moto per collisione con le molecole vicine prima di tornare allo stato iniziale. Ne deriva un movimento continuo di molecole che produce regioni nelle quali si hanno compressioni e rarefazioni del fluido che si alternano seguendo la frequenza dell’onda sonora. Nel caso di liquidi e gas l’oscillazione delle molecole avviene lungo la direzione di propagazione dell’onda sonora producendo onde longitudinali. Per quanto riguarda il presente paragrafo ci si occuperà solo della trasmissione delle onde ultrasoniche nei liquidi dato che la stragrande maggioranza delle reazioni chimiche decorre allo stato liquido. Gli effetti della propagazione di ultrasuoni a bassa frequenza trovano applicazione nella pulitura ultrasonica, nell’emulsificazione di sospensioni eterogenee e nell’accelerazione di reazioni chimiche. Tutte queste applicazioni sono il risultato dell’agitazione meccanica causata dalle onde ultrasoniche o dalla cavitazione -formazione di piccole bolleprodotta nella massa liquida. 259 9.3.1 Principi generali Applicando un campo acustico ad un liquido la vibrazione causata dall’onda sonora crea una pressione acustica Pa dipendente dal tempo t tale per cui Pa = PA sin 2πνt dove ν è la frequenza dell’onda acustica e PA la sua ampiezza massima. L’intensità dell’onda acustica, che esprime l’energia trasmessa al secondo per cm2 di liquido, è espressa da I = P2A/2ρc dove ρ è la densità del mezzo e c la velocità di propagazione dell’onda sonora nello stesso mezzo. L’intensità di un’onda sonora risulta attenuata al procedere del suo passaggio attraverso un mezzo liquido dato che le molecole del mezzo vibrano sotto l’influenza dell’onda sonora e dissipano l’energia di questa vibrazione per frizione sotto forma di calore. Si ha riscaldamento nei siti di compressione mentre nei siti di rarefazione avviene un raffreddamento. Dato che la compressibilità dei liquidi è comunque molto piccola il riscaldamento della massa liquida risulta alquanto modesto. L’energia I convertita in calore è espressa dalla relazione I = I0exp(-2αl) dove I rappresenta l’intensità alla distanza l dalla sorgente sonora ed α è il coefficiente di assorbimento espresso dall’equazione di Kirchoff α= 2π 2ν 2 ⎡ 4 (γ − 1)k ' ⎤ η + ηs + ⎥ 3 ⎢ b 3 C p ⎦⎥ ρc ⎣⎢ nella quale compaiono la viscosità del fluido ηb e la sua viscosità trasversale ηs, la conduttività termica del mezzo k’, la sua capacità termica a pressione costante Cp e il rapporto dei calori specifici γ. Sotto l’influenza di un’onda di pressione la distanza molecolare media di un liquido varia seguendo l’oscillazione delle molecole intorno alla loro posizione di equilibrio. Come si è detto, applicando una pressione sufficientemente alta, in seno alla massa liquida si creano zone nelle quali la distanza tra le molecole è superiore alla distanza critica R propria del liquido non perturbato. In queste zone la struttura del liquido subisce dunque una rarefazione che comporta lo sviluppo di vuoti che prendono il nome di bolle di cavitazione. Queste entità si formano irradiando la massa liquida con onde ultrasoniche aventi intensità superiore a 10 W cm-2 ed esistono per un tempo abbastanza breve pari ad alcuni cicli acustici. Durante la loro esistenza le bolle di cavitazione si espandono fino ad assumere un raggio circa doppio di quello iniziale, quindi collassano violentemente dando spesso luogo alla formazione di nuove bolle di diametro molto inferiore. Nel caso dell’acqua la pressione necessaria per creare bolle di cavitazione si calcola attraverso la relazione semplificata PC ≈ 2σ/R, dove σ indica la tensione superficiale dell’acqua. Assumendo R = 10-8 cm si ricava PC ≈ 10 Kbar, mentre se si assume che le bolle di cavitazione siano riempite da 260 vapore si ottiene PC ≈ 1 Kbar. La temperatura massima TM e la pressione massima PM raggiunte dalle bolle di cavitazione all’inizio del loro collasso sono espresse dalla relazioni ⎡ P (γ − 1) ⎤ TM = T0 ⎢ m ⎥ P ⎣ ⎦ ⎡ P (γ − 1) ⎤ PM = P ⎢ m ⎥ P ⎣ ⎦ γ / γ −1 dove T0 è la temperatura ambiente del liquido, γ il rapporto tra i calori specifici gas/vapore, P è la pressione all’interno della bolla di cavitazione al momento della sua massima espansione e Pm è la pressione all’interno della massa liquida al momento del collasso della bolla. Il tempo impiegato per il collasso della bolla di cavitazione non supera di norma 1/5 del periodo di vibrazione dell’onda acustica ed è espresso da I = 0.915 R M / ρ M dove RM è il raggio massimo raggiunto dalla bolla di cavitazione. Una stima dei valori TM e PM che ricorrono nella fase finale dell’implosione di una bolla di cavitazione contenente azoto (γ = 1.33) in acqua a 20°C ed 1 bar dà rispettivamente valori pari a 4200 K e 975 bar. L’esistenza di queste temperature e pressioni molto elevate sono alla base della razionalizzazione della maggiore reattività che si osserva generalmente per irradiamento con gli ultrasuoni. Questo incremento di reattività è imputabile al maggior numero di collisioni molecolari efficaci ed è quindi in relazione con il termine pre-esponenziale dell’equazione di Arrhenius. 9.3.2 Effetti degli ultrasuoni sulle reazioni organiche Nell’ambito della realizzazione di reazioni organiche si utilizzano ultrasuoni a frequenze comprese tra 20 e 100 KHz. Nel caso di reazioni che implicano l’intervento di superfici metalliche gli ultrasuoni svolgono inizialmente il compito di pulire in modo molto efficace la superficie metallica rendendo più facile l’innesco della reazione. Tuttavia esaminando la superficie di un metallo sottoposto all’azione degli ultrasuoni si rilevano asperità che vanno ad incrementare la superficie attiva del metallo. Queste asperità sono probabilmente dovute all’azione meccanica dell’implosione delle bolle di cavitazione che avvengono in prossimità della superficie del metallo. Gli ultrasuoni hanno poi l’effetto di rimuovere i prodotti di reazione dalla superficie del metallo rigenerando in modo molto efficace la superficie metallica attiva libera. Le stesse considerazioni si applicano a quelle reazioni che decorrono in presenza di polveri sia metalliche che non metalliche. In questo tipo di trasformazioni gli ultrasuoni hanno il ruolo di ridurre le dimensioni delle particelle aumentandone quindi la superficie effettiva. Nelle reazioni tra liquidi non miscibili gli ultrasuoni possono indurre la formazione di emulsioni particolarmente frammentate comportando l’incremento dell’area interfacciale tra i due liquidi. Poiché è nel volume sotteso da quest’area che avvengono le reazioni chimiche gli 261 ultrasuoni risultano molto efficienti nell’aumentare la reattività, tanto che in tipiche reazioni catalizzate a trasferimento di fase si può eliminare il catalizzatore sostituendolo con l’irradiamento ultrasonico. Tutte queste azioni meccaniche messe in campo dagli ultrasuoni non sono ovviamente in grado di rendere conto dell’incremento della velocità di reazione che si osserva nel caso delle reazioni realizzate in fase omogenea. Alcuni processi quali la frammentazione radicalica degli alcani o la solvolisi del 2-cloro-2-metilpropano in solventi alcolici sono promossi dal collasso delle bolle di cavitazione. Esse contengono vapori del solvente e/o dei reagenti che nel momento del collasso sono soggetti ad un enorme incremento della pressione e della temperatura. In queste condizioni estreme sia i vapori del solvente che dei reagenti possono subire diversi tipi di frammentazione generando specie molto reattive. L’onda d’urto provocata dal collasso della bolla di cavitazione provoca inoltre la distruzione locale della struttura del solvente e può quindi influenzare la reattività alterando la solvatazione delle specie reattive presenti. 9.3.3 Esempi di reazioni organiche attivate dagli ultrasuoni Gli ultrasuoni trovano impiego nell’attivazione di intere classi di reazioni organiche. In questo paragrafo ci si limiterà all’illustrazione di pochi esempi rappresentativi rinunciando ad una trattazione sistematica dell’argomento dato che gli sviluppi in questo campo riguardano soprattutto le applicazioni nel campo della sintesi organica piuttosto che in quello dei meccanismi di reazione. Un’applicazione interessante dell’irradiamento con ultrasuoni si ha nella generazione di reattivi di Grignard difficilmente accessibili con metodi convenzionali. La reazione tra il magnesio ed il 2-bromobutano, ad esempio, richiede tempi di 2-3 ore nelle condizioni classiche di reazione mentre irradiando la miscela dei reagenti con ultrasuoni a 50 KHz sono sufficienti 3-4 minuti. La preparazione di organoborani può essere eseguita molto convenientemente in condizioni sonolitiche utilizzando quali reagenti l’alogenuro alchilico, magnesio in polvere e BF3 eterato. Operando in questo modo la formazione degli organoborani viene realizzata in situ previa generazione del reattivo di Grignard RMgX. Il trattamento degli stessi reagenti in assenza dell’irradiamento di ultrasuoni non produce alcun risultato. 3R-X + Mg + BF3 → R3B (90-100%) Una drastica riduzione dei tempi di reazione si manifesta nella generazione della sodio isobenzochinolina _ Na+ N che in condizioni classiche richiede tempi di 48 ore, mentre per irradiamento ultrasonico sono sufficienti 45 minuti. 262 Nella sintesi di composti di organozinco a partire da alogenuri alchilici e litio si hanno notevoli vantaggi in termini di tempi di reazione, rispetto ai metodi tradizionali, irradiando la miscela di reazione con ultrasuoni (us). R X + Li R Li us ZnBr2 R 2Zn us: 20 min. ∆: 2 h. Dato che gli ultrasuoni promuovono l’estrusione di ossido di carbonio da complessi ferrocarbonilici secondo la reazione generale Fe(CO)5 → Fe(CO)5-n + nCO la sonicazione di Fe2(CO)9 realizzata in benzene in presenza di alchenilepossidi dà luogo alla formazione di complessi di η3-allilferrocarbonil lattonici. O CO O O Fe2(CO)9 R O R Fe O us CeIV R R O O In presenza di litio e rame metallici dispersi come polveri nella miscela di reazione l’azione degli ultrasuoni a 50 KHz promuove l’addizione coniugata di organocuprati generati in situ con rese molto interessanti. O O + BuBr Li, Cu us (89%) Bu Per quanto riguarda le reazioni di addizione al doppio legame carbonio-carbonio, l’irradiamento con ultrasuoni a 50 KHz dà luogo all’idrosililazione oppure alla riduzione olefina → alcano in solo 1 ora evitando di operare con idrogeno gassoso. + R3SiH Pt/C 30°C, us R3Si H Pd/C, HCOOH 20°C, us Le idroalchilazioni di alchini realizzate in presenza di zinco in polvere e ioduro di rame (I) decorrono in modo molto pulito per irradiamento di ultrasuoni, così come le arilazioni di alogenuri arilici. Ad esempio, irradiando una miscela di bromobenzene e 263 litio in polvere con ultrasuoni a 117 W e 50 KHz si ottiene il bifenile con buone rese. La stessa reazione non ha luogo in condizioni normali. R + R1 PhBr Li us I Zn, CuI us R1 R Ph Ph 9.4 Attivazione elettrochimica Le reazioni elettrorganiche sono processi che avvengono all’interno di celle elettrolitiche per passaggio di una corrente elettrica. Una reazione elettrorganica è eterogenea o diretta quando lo scambio di elettroni col substrato organico avviene direttamente all’elettrodo generando una specie elettroattiva. In questo caso il trasferimento di elettroni ha luogo all’interfaccia che si forma tra l’elettrodo e la soluzione contenente il substrato organico. L’elettrodo cede elettroni nei processi catodici ed assorbe elettroni nei processi anodici; si può quindi parlare di ossidazioni che avvengono all’anodo e riduzioni che avvengono al catodo. Nel seguente schema sono rappresentate alcune delle possibili ossidazioni anodiche dirette. R M + R M++ disproporzionamento (R M)++ dicatione dimero 2 R M _ -e R M+ _ -e + -M R+ carbocatione R _ -e R R dimero R M++ dicatione Lo schema riassuntivo dei principali processi di riduzione catodica è molto simile al precedente. R M + R M= disproporzionamento (R M)2= dianione dimero R M e _ R M _ -M e _ _ -e _ R _ carbanione R R R dimero R M= dianione 264 Una reazione elettrodica diretta implica tre passaggi fondamentali: (i) trasferimento del substrato dalla soluzione alla superficie elettrodica, (ii) scambio di elettroni tra substrato ed elettrodo, (iii) rimozione della specie elettroattiva, cioè un radicalanione od un radicalcatione, dalla superficie dell’elettrodo. Il più lento di questi tre stadi determina la velocità dell’intero processo. Una reazione elettrorganica è omogena od indiretta se il substrato organico non scambia elettroni direttamente con l’elettrodo ma con qualche specie elettroattiva. In linea di massima le reazioni elettrorganiche sia dirette che indirette sono processi irreversibili per cui la formazione dei prodotti è soggetta a controllo cinetico. 9.4.1 Fattori termodinamici e cinetici Il potenziale elettrodico per una coppia redox Rid → Oss + n e¯ è espresso dall’equazione di Nerst E = E0 + RT a (Oss) log nF a (Rid) dove E0 rappresenta il potenziale elettrodico standard per la coppia redox in questione. Dalla termodinamica è noto che per processi reversibili è valida la relazione ∆G0 = -RT log K = -nFE0 ma nella pratica della chimica elettrorganica si ha a che fare con processi irreversibili per i quali quest’ultima eguaglianza non è valida. Si assume allora che nFE0 = nFE½ dove E½ è il potenziale di semionda che si ricava facilmente con metodi polarografici. In pratica da un polarogramma che mette in relazione la corrente i ed il potenziale applicato E si ricava E½ con metodi grafici. i E1/2 E Figura 9.4. Potenziale di semionda E½ per interpolazione grafica di un generico polarogramma. 265 Facendo riferimento a due processi di scarica dei quali uno è reversibile e l’altro è irreversibile, la differenza ∆E½ = E½(rev) + E½(irr) è in relazione con il ∆∆G0 secondo l’eguaglianza ∆∆G0 = ∆E½ I potenziali di semionda di processi irreversibili non hanno un significato termodinamico preciso, tuttavia sono molto utilizzati nella pratica dato che sono in relazione con l’energia di attivazione di processi elettrorganici e delle corrispondenti costanti di velocità in fase eterogenea. ∆∆G≠ = ∆log k = ∆E½ Nel caso di processi irreversibili il potenziale elettrico effettivo Eeff necessario per far avvenire una reazione con velocità apprezzabile non è determinato dal rapporto a(Oss)/a(Rid) che compare nell’equazione di Nerst, che è valida per processi reversibili. Occorre infatti applicare un potenziale superiore ad E0 di una quantità η detta sovrapotenziale tale per cui η = Eeff – E0 La relazione che intercorre tra il sovrapotenziale η e la corrente elettrica osservata i è espressa dall’equazione di Tafel ⎛ αFη ⎞ i = i0 exp⎜ ⎟ ⎝ RT ⎠ nella quale i0 rappresenta la densità di corrente all’equilibrio ed α esprime la frazione del potenziale elettrodico che sostiene la reazione. Per quanto riguarda la cinetica del trasferimento elettronico, la velocità di una reazione elettrodica è espressa implicitamente dalla corrente osservata i i = i0 {exp(αFη/RT) – exp[(1-α)Fη/RT]} il sovrapotenziale η costituisce infatti una misura della variazione dell’energia libera di attivazione riferita al processo di trasferimento elettronico. Come esempio di un tipico processo irreversibile si consideri la reazione R + 2H2O + 2e¯ → RH2 + 2OH¯ La velocità complessiva dell’intero processo è determinata dall’intensità della corrente i relativa al secondo passaggio del meccanismo, che è lento ed irreversibile. 1) R + e¯→ R¯• • = rapido e reversibile 2) R¯ + e¯→ R lento ed irreversibile 3) R= + 2H2O → RH2 + 2OH¯ rapido ed irreversibile 266 9.4.2 La reazione elettrorganica Dal punto di vista elettrochimico le molecole organiche sono di solito considerate specie alquanto complesse che possono reagire in molti modi diversi qualora sia applicato un dato potenziale elettrico. Nella maggior parte dei casi la reazione elettrorganica di un substrato si ha solo applicando potenziali elettrici piuttosto elevati che possono produrre intermedi molto reattivi in grado di dare luogo a processi collaterali indesiderati. Come regola generale, l’applicazione di potenziali elevati si riflette in una selettività piuttosto scarsa. Per un processo catodico del tipo e R _ R _ v1 v2 P1 P2 il potenziale elettrodico determina la velocità di formazione del radicalanione R•¯ e la sua concentrazione all’interfaccia elettrodo-soluzione. La velocità di conversione del radicalanione nei prodotti P1, P2, che avviene rispettivamente con le velocità v1, v2, dipende in primo luogo dalla concentrazione della specie reattiva generata all’elettrodo. Altri fattori sono ugualmente importanti nel determinare il percorso seguito da una reazione elettrorganica. La stabilità, o vita media, della specie reattiva generata all’elettrodo determina la possibilità che questa specie sia in grado di diffondere nella soluzione elettrolitica influenzandone quindi la reattività. Specie estremamente reattive, con una vita media di 10-7-10-8 s, sono destinate a reagire nell’immediato intorno dell’interfaccia elettrodo-soluzione; specie caratterizzate da una vita media > 10-2 s diffondono nella soluzione elettrolitica. L’andamento delle reazioni elettrorganiche è influenzato anche da parametri extra-elettrodici quali la frequenza di agitazione della soluzione e la temperatura della cella elettrolitica, nonché dalla composizione della soluzione elettrolitica. Riguardo quest’ultimo parametro vanno tenute presenti la natura chimica del solvente, dell’elettrolita di supporto e di ogni altra sostanza, organica e non, presente nella cella elettrolitica. 9.4.3 Ossidazioni anodiche Per quanto concerne la formazione elettrochimica del legame carbonio-carbonio la reazione di Kolbe costituisce un ottimo esempio di reazione elettrorganica. Si tratta dell’ossidazione anodica dell’anione acetato che viene realizzata con elettrodi di platino o di iridio. Utilizzando elettrodi costruiti con altri materiali la reazione non avviene. CH3COO 2CH3 _ -e Pt CH3COO CH3 + CO2 C2H6 Il diagramma corrente-potenziale per la reazione di Kolbe mette in luce che, a potenziali inferiori a 2V e con densità di corrente ≈ 10 mA/cm2, da una soluzione acquosa di acetato sodico si ha sviluppo di ossigeno all’anodo: come richiesto dalla termodinamica si ha l’idrolisi dell’acqua. Aumentando l’intensità della corrente si 267 osserva un brusco incremento del potenziale finché a ≈ 2.3 V ha inizio l’ossidazione anodica dell’anione acetato che in queste condizioni corrente-potenziale è favorita cineticamente rispetto allo sviluppo si ossigeno. E (V) 2.4 reazione di Kolbe 2.2 2.0 elettrolisi dell'acqua 0 1 2 3 i Figura 9.5. Diagramma corrente-potenziale per la reazione di Kolbe. L’ossidazione dei carbossilati avviene anche su anodi di grafite ma poiché quest’ultimo materiale adsorbe i radicali carbossilato molto più efficacemente del platino i radicali acetossi vengono ulteriormente ossidati a carbocationi con l’estrusione di anidride carbonica. Come conseguenza si ha la formazione di specie ossigenate per reazione con il mezzo elettrolitico. CH3COO CH3 H2O _ -e CH3 + CO2 + CH3OH + H Altre formazioni di legami carbonio-carbonio interessanti sono intramolecolari (E½ = 1.5 V). OMe OMe _ -2e + -2H OMe OMe L’acetossilazione anodica degli areni decorre applicando potenziali di semionda compresi tra 0.9 e 1.9 V. E’ verosimile che nel caso del meccanismo 3) le specie cariche negativamente che non sono in grado di formare legami diretti col substrato organico possono catalizzare la migrazione elettronica dall’arene all’anodo. Il potenziale elettrodico dev’essere mantenuto < 2V per evitare la decarbossilazione dell’anione acetato (reazione di Kolbe). 268 1) ArH 2) ArH 3) _ -e AcO + ArH _ -e _ -e + ArH Ar H X _ -e ArHOAc ++ ArH _ AcO ArOAc + -H AcO ArOAc + -H ArOAc Composti aromatici alchilsostituiti subiscono l’ossidazione anodica a dare alcoli arilalifatici attraverso un meccanismo che prevede la formazione intermedia del carbocatione benzilico. Per il toluene E½ = 1.98 V riferito all’elettrodo Ag|Ag+ 0.1 N. ArCH3 _ -e _ -e + ArCH3 + ArCH2 + -H X _ ArCH2X L’ossidazione della catena alchilica può essere spinta, con rimozione di quattro elettroni, fino all’ottenimento selettivo di aldeidi. _ -4e ArCH3 + H3O MeOH ArCHO Alcoli alchilaromatici con solubilità in acqua inferiore a 3 g/100 ml sono convertiti nelle corrispondenti aldeidi od acidi carbossilici su elettrodi di NiIII(O)OH in KOH acquosa. Per l’alcol benzilico E½ = 1.9 V riferito all’elettrodo Ag|Ag+ 0.1 N. OH OH OH _ -2e PhCOOH + _ -e + -H , H2O _ -e + -H + -H PhCHO le ammine alifatiche ed aromatiche subiscono un’ossidazione anodica molto facile (E½ ≈ 0.7 V). La specie elettroattiva RNH2+• dà luogo alla formazione di una serie di prodotti differenti a secondo delle condizioni in cui viene realizzata l’elettrolisi. RNH2 _ -e + RNH2 prodotti L’ossidazione anodica dell’anilina in mezzo alcalino dà principalmente l’azobenzene la cui formazione è però accompagnata da quantità variabili di polimeri a struttura chinoidica. 269 _ -e PhNH2 PhNH NHPh + -H base + PhNH2 _ -2e PhN + -2H PhNH NPh L’ossidazione anodica di ammine arilalifatiche è invece selettiva su anodi di NiIII(O)OH e dà solo i corrispondenti nitrili. Ph NH2 Ph NH _ -e _ -e + Ph NH2 Ph NH + _ -e + -H _ -e + -H + Ph NH2 Ph NH + -H + + -H PhCN 9.4.4 Riduzioni catodiche L’elettroidrogenazione degli alcheni in ambiente acido è un processo indiretto, poiché la riduzione dell’olefina avviene per somma dell’idrogeno molecolare che si scarica al catodo. _ + 2H + 2e H2 + H2 H H Dalla riduzione catodica di immine si genera il corrispondente radicalanione che è in grado di legarsi a specie elettrofile presenti nella soluzione elettrolitica. Questa reazione è utilizzata nella preparazione di derivati pirrolidinici e piperidinici per reazione tra la base di Schiff ed opportuni α,ω-dibromoalcani. RCH N e _ Ar _ 2e ArCH N Ar Br E RCH N + E RCH N Ar N ( )n Br ( )n n = 1, 2 Il gruppo nitro rappresenta una delle funzionalità più versatili nei processi di riduzione catodica. Si possono ottenere selettivamente tutti i prodotti di riduzione sia monomeri che dimeri, a secondo delle condizioni elettrolitiche, ovvero operando sul pH, sul mezzo di reazione e sul flusso di corrente. L’effetto della frequenza di agitazione del mezzo elettrolitico è ugualmente importante nel determinare la distribuzione dei prodotti di reazione. 270 NH2 _ + 2e , 2H -H2O _ + 6e , 6H PhNO2 -3H2O 2e Ph N O _ + 2H OH O Ph N N Ph + 3H2O _ + 8e , 8H _ + 2e , 2H OH Ph NH NH Ph -H2O Ph N NH Ph -H2O Ph N N Ph Il meccanismo generale di elettroriduzione degli alogenuri alchilici si può formulare come segue. Si possono avere sia processi diretti, come la dimerizzazione del radicale R•, che indiretti come la reazione con anidride carbonica a dare il corrispondente carbossilato RCOO¯. R H e RX e _ + H _ R + X e _ R R _ R CO2 RCOO Nella riduzione catodica dell’orto-diclorobenzene in presenza di anidride carbonica si hanno evidenze di un meccanismo di tipo ionico. Cl + H Cl Cl _ 2e _ -Cl _ 2e _ -Cl CO2 + H Cl _ -Cl CO2 2e _ + 2H COO Cl 271 PhCOO La prova che questo tipo di riduzioni catodiche possono avvenire via benzino si ottiene realizzando la reazione in presenza di un opportuno agente in grado di intrappolare l’intermedio reattivo. _ 2e _ -2Br Br Br O O 9.5 Fotochimica La stragrande maggioranza delle reazioni organiche decorrono tra molecole che si trovano nel loro stato energetico fondamentale. Tuttavia un cospicuo numero di trasformazioni richiedono, per poter avvenire, che uno o più reagenti siano promossi ad uno stato elettronico eccitato. Lo studio di queste reazioni e dei meccanismi che descrivono le interazioni di molecole eccitate elettronicamente costituisce l’oggetto della fotochimica. Nell’ambito di questo paragrafo ci si propone di illustrare brevemente alcuni dei concetti più importanti nel campo dell’attivazione delle reazioni organiche con metodi fotochimici, trascurando le applicazioni di tipo sintetico ed enfatizzando gli aspetti più propriamente meccanicistici. 9.5.1 Stati eccitati Le reazioni fotochimiche sono promosse dall’assorbimento di luce visibile od ultravioletta di energia E = hν = hc/λ. Per avere un’idea delle energie in gioco, una radiazione a lunghezza d’onda 253 nm (UV vicino) è caratterizzata da un’energia pari a circa 113 Kcal/mol, superiore dunque all’energia di dissociazione di gran parte dei legami covalenti. Dato che i livelli energetici di una molecola sono quantizzati, l’energia richiesta per promuovere un elettrone dallo stato fondamentale ad uno stato eccitato è espressa da una certa quantità E0 = hc/λ0. E a stato eccitato, E' V2 V1 V0 E0 stato fondamentale, E V2 V1 V0 0 distanza internucleare Figura 9.6. Energia di eccitazione elettronica E0 = hc/λ0 che promuove la transizione E(V0) → E’(V2) in una generica molecola biatomica. 272 Solo la radiazione elettromagnetica caratterizzata dalla lunghezza d’onda λ0 è in grado di fornire l’esatta energia E0 capace di provocare la transizione tra stato fondamentale e stato eccitato. Qualora la lunghezza d’onda della radiazione sia diversa da λ0 essa non viene assorbita; la sua intensità non viene quindi diminuita passando attraverso il mezzo. Praticamente in tutte le molecole organiche stabili il numero degli elettroni è pari ed essi risultano accoppiati nello stato fondamentale in modo che il loro spin sia opposto in accordo con il principio di Pauli. L’accoppiamento degli spin elettronici implica che la molecola, nel suo complesso, sia priva di un momento magnetico elettronico. Questa situazione che descrive uno stato non magnetico è detta di singoletto e si indica con i simboli S0, S1, S2 per i diversi stati di singoletto in ordine di energia crescente. Qualora una coppia di elettroni sia promossa in un orbitale ad alta energia per assorbimento di luce ad opportuna lunghezza d’onda, l’eccitazione degli elettroni non ne modifica gli spin, sicché si formano solo stati eccitati di singoletto. Infatti le eccitazioni che implicano l’inversione di uno spin elettronico non sono permesse dato che un simile processo comporterebbe una variazione del momento angolare violandone il principio di conservazione. Negli stati eccitati di singoletto gli elettroni hanno ancora spin opposti benché presenti in orbitali differenti. Invertendo uno degli spin elettronici lo stato eccitato di singoletto dà luogo alla transizione verso un nuovo stato eccitato nel quale gli spin elettronici non sono accoppiati. Si ha quindi uno stato eccitato caratterizzato da un momento magnetico non nullo, detto di tripletto e contrassegnato dalle lettere T0, T1, T2 ecc. Nella maggior parte dei casi uno stato di tripletto possiede energia inferiore a quella del corrispondente stato di singoletto, il che è in accordo con la regola di Hund. Per quanto riguarda le transizioni tra stato fondamentale e stato eccitato si può concludere che le transizioni che implicano l’inversione di uno spin elettronico sono proibite. Ne segue che le transizioni permesse sono singoletto → singoletto (S → S) tripletto → tripletto (T → T) mentre sono proibite le transizioni singoletto → tripletto (S → T) tripletto → singoletto (T → S). Si deve tuttavia aggiungere che le transizioni di spin proibite non lo sono in senso assoluto ma vanno intese come assai poco probabili. L’eccitazione tra uno stato fondamentale di singoletto ed uno stato eccitato di tripletto è talmente poco probabile che in pratica viene osservata assai raramente. Tuttavia in casi particolari determinati dalla presenza di atomi pesanti possono avvenire anche eccitazioni S → T sebbene con intensità molto ridotta rispetto alle corrispondenti eccitazioni S → S. Fino a questo punto si è ritenuto implicitamente di designare la transizione tra stati elettronici con la simbologia S0 → Sn dove S0 rappresenta lo stato fondamentale di singoletto ed Sn è uno degli stati di singoletto eccitati. Esistono altri metodi per la notazione delle transizioni elettroniche. Il più diffuso tra i chimici organici mette in evidenza gli orbitali coinvolti nella transizione. Ad esempio la promozione di un elettrone dall’orbitale π dell’etilene all’orbitale π* si contrassegna con 1(π,π*) dove 273 l’apice 1 indica che la transizione avviene tra stati di singoletto. Un tipo di notazione più completa, in uso tra gli spettroscopisti, si basa sulle proprietà di simmetria delle molecole coinvolte nella transizione. In questo ambito, ad esempio, la transizione σ → σ* per l’idrogeno molecolare si indica con la simbologia 1 + ∑u 1 → + ∑g nella quale l’apice 1 indica che la transizione si realizza tra stati di singoletto, mentre i pedici u, g si riferiscono alla simmetria dell’orbitale considerato. Nello stato indicato con Σ il momento angolare intorno all’asse molecolare è nullo, mentre l’apice + indica che il segno della funzione d’onda è invariante rispetto ad un operatore di riflessione. In generale le proprietà degli stati eccitati sono piuttosto difficili da misurare in quanto è abbastanza ovvio che le loro concentrazioni, come del resto le loro vite medie, sono molto piccole e rendono ostico il loro studio. Nonostante queste difficoltà sono stati comunque escogitati esperimenti atti a ricavare informazioni su alcune proprietà degli stati eccitati. Ad esempio, per quanto riguarda la loro geometria, sono emerse alcune evidenze alquanto singolari se valutate con gli stessi criteri con cui si considerano le normali geometrie molecolari. L’acetilene mostra una geometria trans nello stato 1(π,π*) indicando che i due atomi di carbonio sono ibridizzati quasi sp2 piuttosto che sp. Anche gli stati eccitati 1(π,π*) e 3(π,π*) dell’etilene sono caratterizzati da una geometria singolare dato che i protoni geminali sono tra loro perpendicolari e non coplanari. H H C C C C H H H H La differente geometria degli stati eccitati rispetto a quelli fondamentali è in grado di alterare alcuni tipici parametri molecolari quali il momento dipolare o l’acidità. Nel caso della formaldeide lo stato eccitato S1 corrispondente alla transizione n → π* ha una geometria piramidale caratterizzata dal momento dipolare µ = 1.5 D, inferiore dunque a quello dello stato fondamentale S0 che è pari a 2.3 D. H O hν H H H µ = 2.3 D O µ = 1.5 D Lo stato eccitato S1 del 2-naftolo ha pKa = 3.1 e risulta quindi molto più acido del naftolo nello stato fondamentale (pKa = 9.5). 9.5.2 Processi fotolitici Non è sempre detto che l’assorbimento di un quanto di luce comporti il passaggio dallo stato fondamentale ad uno stato eccitato come unico risultato possibile. Se 274 l’eccitazione conduce allo stato elettronico eccitato E’ in uno stato vibrazionale molto elevato, energeticamente superiore alla linea a della Figura 9.6 (pag. 272), la molecola eccitata si scinde alla prima vibrazione dando luogo al processo di fotolisi. La fotolisi può verificarsi anche se l’eccitazione dello stato fondamentale conduce ad uno stato vibrazionale di E’ ad energia inferiore ad a. Dalla Figura 9.6 si può notare che le distanze internucleari di equilibrio sono maggiori nello stato eccitato E’ rispetto allo stato fondamentale E. Poiché, in base al principio di Franck-Condon, l’eccitazione di un elettrone avviene molto più velocemente (10-15 s) del tempo richiesto da una vibrazione molecolare (10-12 s) la distanza internucleare nello stato eccitato deve rimanere uguale a quella dello stato fondamentale. Ne risulta che il legame nello stato eccitato è “compresso” dato che si trova ad una distanza internucleare inferiore alla sua distanza di equilibrio. La liberazione dell’“energia di compressione” del legame ne può causare la rottura. In alcuni casi, come quello relativo alla transizione σ → σ* dell’idrogeno molecolare, la curva energetica che caratterizza lo stato eccitato è del tutto dissociativa (Figura 9.7). Dal punto di vista fisico questa situazione riflette il fatto che in nessun punto della curva E’ esiste una distanza alla quale la forza di attrazione internucleare è superiore a quella di repulsione, sicché il legame è destinato a scindersi. E E' E0 E V2 V1 V0 0 distanza internucleare Figura 9.7. Eccitazione ad uno stato completamente dissociativo E’. Nel caso di molecole organiche la fotolisi comporta la frammentazione della molecola originaria in due radicali, come si discuterà nel paragrafo 9.5.4. La frammentazione ionica, benché nota, è assai più rara di quella omolitica. 9.5.3 Processi fotofisici Benché l’eccitazione promossa da un quanto di luce provochi principalmente la transizione S0 → S1 possono avere luogo anche altre transizioni a stati di singoletto ad energia superiore, S0 → Sn, con n > 1. L’eccitazione a questi stati ad energia superiore ad S1 implica sempre la ricaduta nello stato S1 in tempi molto brevi, solitamente 275 dell’ordine di 10-12 s. Considerando la transizione S0 → S2 promossa dall’energia hν2 mostrata nel diagramma di Jablonski (Figura 9.8) si nota che essa comporta l’occupazione di un livello vibrazionale eccitato dello stato elettronico S2. L’energia vibrazionale in eccesso viene dissipata raggiungendo il livello vibrazionale più basso dello stato S2 attraverso una cascata vibrazionale (cv), durante la quale avvengono piccoli scambi di energia con l’intorno per collisione con le molecole adiacenti. Attraverso la conversione interna (CI) tra stati eccitati si passa dallo stato S2 al livello vibrazionale più basso ad un livello vibrazionale eccitato di S1. Una nuova cascata vibrazionale comporta il raggiungimento dello stato S1 al livello vibrazionale più basso. A questo punto si può verificare la transizione S1 → S0, cioè il ritorno allo stato fondamentale, attraverso tre vie distinte: 1) conversione interna ad uno stato vibrazionale eccitato di S0, 2) emissione diretta di luce ad energia hν(fluor) che produce il fenomeno della fluorescenza, 3) incrocio intersistema (IIS) allo stato di tripletto T1 e successiva evoluzione. cv CI S2 cv IIS CI S1 cv IIS T1 hν2 hν(fluor) hν1 cv hν(fosf) S0 Figura 9.8. Diagramma di Jablonski. 276 La cascata vibrazionale dagli stati vibrazionali eccitati di S0 fino al suo livello vibrazionale più basso è un processo piuttosto lento perché la quantità di energia da dissipare per collisione con le molecole adiacenti è solitamente cospicua. Il processo di decadimento alternativo, ossia la fluorescenza, avviene in ≈ 10-9 s. Quello della fluorescenza non è un fenomeno molto frequente tranne che per molecole biatomiche od aromatiche. Esso avviene quasi sempre per decadimento S1 → S0, benché nel caso dell’azulene e dei suoi derivati si rilevi fluorescenza per decadimento S2 → S0. La terza via di decadimento da S1, che è di gran lunga la più comune, prevede l’incrocio intersistema (IIS) verso lo stato di tripletto più stabile (T1), che avviene senza dispersione di energia. Si deve notare che, benché l’incrocio intersistema S1 → T1 sia proibito, esso rappresenta l’unico modo in cui alcuni tipi di molecole, tra cui i benzofenoni, decadono dagli stati eccitati ad S0. Poiché, come si è detto, la transizione S1 → T1 avviene senza dispersione di energia e lo stato S1 si trova ad energia più alta di T1 l’incrocio intersistema implica il raggiungimento di livelli vibrazionali eccitati di T1. Ha dunque luogo una cascata vibrazionale fino a che si raggiunge il livello vibrazionale più basso dello stato T1. A questo punto il decadimento T1 → S0 può procedere attraverso due vie: incrocio intersistema verso uno stato vibrazionale eccitato di S0 oppure emissione di luce ad energia hν(fosf). Entrambi i processi sono proibiti e sono pertanto molto lenti (10-3-10 s), il che implica che lo stato T1 debba avere una vita media molto superiore a quella di S1 o S2. Riguardo la lunghezza d’onda della luce emessa per fosforescenza, essa è superiore a quella che caratterizza l’emissione per fluorescenza dato che hν(fluor) > hν(fosf). Tutte le considerazioni espresse in questo paragrafo sono chiaramente visualizzabili nel diagramma di Jablonski riportato nella Figura 9.8. E’ evidente che all’eccitazione S0 → S1, indicata con hν1 nella Figura 9.8, seguono gli stessi processi fotofisici appena descritti. Uno schema riassuntivo di tutti questi processi è mostrato nella Tabella 9.2. Tabella 9.2. Processi fotofisici di molecole eccitate. __________________________________________________________________________________________________ S0 + hν1 → S1v S1v → S1 + calore S1 → S0 + hν(fluor) S1 → S0 + calore S1 → T1v T1v → T1 + calore T1 → S0 + hν(fosf) T1 → S0 + calore eccitazione cascata vibrazionale fluorescenza conversione interna + cascata vibrazionale incrocio intersistema cascata vibrazionale fosforescenza incrocio intersistema + cascata vibrazionale __________________________________________________________________________________________________ Un processo molto comune e distinto da quelli menzionati implica l’intervento di una seconda specie chimica eccitata in grado di trasferire al substrato il proprio eccesso di energia. In questo caso si parla di fotosensibilizzazione del substrato, che avviene aggiungendo quantità catalitiche di un’opportuna sostanza facilmente eccitabile. Un 277 esempio semplice riguarda la dimerizzazione del butadiene, che ha luogo irradiando il substrato con luce a 250 nm. Il butadiene non assorbe la luce a 250 nm, per cui in assenza di additivi non avviene alcuna reazione. Aggiungendo una quantità catalitica di biacetile, quest’ultimo viene eccitato allo stato S1 che per incrocio intersistema dà luogo allo stato T1. Il biacetile allo stato T1 torna allo stato fondamentale trasferendo la propria energia in eccesso al butadiene che viene promosso allo stato eccitato T1 e può quindi reagire. Il trasferimento energetico tra la molecola eccitata ed il substrato avviene nel rispetto della regola di conservazione dello spin totale o regola di Wigner: gli spin elettronici totali non cambiano dopo il trasferimento energetico. Indicando la molecola eccitata o fotosensibilizzatore con D ed il substrato con M si possono quindi avere i seguenti processi D (T1) + M (S0) → D (S0) + M (T1) D (S1) + M (S0) → D (S0) + M (S1) trasferimento tripletto-tripletto trasferimento singoletto-singoletto Entrambi i processi di fotosensibilizzazione sono indispensabili per promuovere allo stato eccitato substrati che non sono sensibili all’irradiamento diretto. Il trasferimento tripletto-tripletto è particolarmente utile dato che lo stato T1 del substrato si raggiunge molto difficilmente per irradiamento diretto dallo stato S0. 9.5.4 Processi fotochimici Come regola generale i processi fotochimici si identificano con la chimica degli stati eccitati di tripletto. Gli stati eccitati Sn hanno infatti una vita media troppo breve (10-10 s) per poter dare luogo a trasformazioni chimiche e sottostanno ad uno dei processi fotofisici descritti nel paragrafo precedente prima di aver modo di reagire. Tra le centinaia di processi fotochimici noti in letteratura i più comuni sono: 1) reazioni fotolitiche, 2) riassestamenti, 3) isomerizzazioni, 4) estrazione di atomi di idrogeno, 5) fotodimerizzazioni. 9.5.4.1 Reazioni fotolitiche. Aldeidi e chetoni assorbono nella zona compresa tra 230 e 330 nm dando luogo alla transizione n → π* (S0 → S1). La successiva fotolisi genera specie radicaliche (scissione secondo Norrish del tipo 1). Gli acilradicali prodotti possono dare luogo ad un’ulteriore scissione con estrusione di CO. R O hν R C O + R R R + CO Altri legami che subiscono facilmente la scissione omolitica per fotolisi sono il legame O-O degli alchilidroperossidi, il legame Cl-Cl, il legame C-N di azocomposti alifatici. 278 Le aldeidi danno luogo anche a reazioni di estrusione che non comportano la formazione di radicali. Questi processi sono noti come scissioni secondo Norrish del tipo 2 ed avvengono anche su chetoni, esteri, anidridi ed altri composti carbonilici. R O hν R H + CO H O R R H H R O hν O H + H OH HO hν R R H + H O H Altri esempi di questo tipo di scissione riguadrano il chetene e gli alcani. CH2 C O R CH3 hν hν CH2 C O (S1) _ CH2 + CO CH2 C O (T1) CH2 + CO R CH + H2 9.5.4.2 Riassestamenti. Il riassestamento interno di orto-nitrobenzaldeidi decorre probabilmente attraverso un’iniziale scissione del gruppo nitro. L’ossigeno liberato è in grado di attaccare il gruppo aldeidico vicinale promuovendone l’ossidazione a carbossile. CHO R hν COOH R NO2 NO 9.5.4.3 Isomerizzazioni. Sono processi che avvengono sia nello stato S1 che T1 e coinvolgono essenzialmente molecole insature che negli stati eccitati adottano una geometria non planare. Ph H Ph hν H Ph H hν 279 H Ph 9.5.4.4 Estrazione di atomi di idrogeno. Ne costituisce un esempio la riduzione fotochimica del benzofenone in isopropanolo, che avviene per interazione dello stato T1 del substrato con il solvente dal quale viene estratto un atomo di idrogeno. Ph2CO hν OH Ph2CO(S1) OH OH Ph C Ph Ph2CO(T1) Ph Ph OH Ph Ph 9.5.4.5 Fotodimerizzazioni. Un esempio è la dimerizzazione del ciclopentene, che dà luogo ad una miscela di cicloaddotti isomeri. O O O hν O + O 9.6 Problemi 1. Quali previsioni si possono fare sulla variazione del punto di ebollizione di toluene, etanolo e tetracloruro di carbonio per irradiamento con microonde? 2. Completare le seguenti reazioni e prevedere se possono essere accelerate dalle microonde. tBuCl H2O CN N O COOEt N + + ∆ O O ∆ O O _ OH MeO O 3. NO2 H2O La reazione tra antracene e magnesio in THF avviene solo per irradiamento con ultrasuoni dando il seguente prodotto metallorganico. Proporre una razionalizzazione. 280 Mg 3THF 4. Proporre un meccanismo elettrochimico dettagliato per l’ossidazione anodica toluene → benzaldeide e le riduzioni catodiche nitrobenzene → nitrosobenzene e nitrobenzene → azossibenzene. Per quest’ultima reazione considerare la formazione intermedia della fenilidrossilammina per riduzione catodica del nitrosobenzene. 5. Considerando le transizioni n → π* del cicloesanone e del cicloesenone, quale tra le due avviene a lunghezze d’onda inferiori? 6. Proporre un meccanismo plausibile per le seguenti reazioni fotochimiche. O hν + CO hν O O R R hν N3 N O N2 hν MeOH + N2 COOMe 9.7 Bibliografia Una monografia recente riguardante le applicazioni delle microonde alla chimica organica è la seguente. 1. V. Santagada, G. Caliendo, E. Perissutti Le microonde nella sintesi organica Piccin Editore, Padova, 2008. Gli aspetti fondamentali della sonochimica sono trattati nelle due eccellenti rassegne: 2. J. P. Lorimer, T. J. Mason Sonochemistry. Part I-The Physical Aspects, Chem. Soc. Rev. 1987, 16, 239. 3. J. Lindley, T. J. Mason Sonochemistry. Part II-Synthetic Applications, Chem. Soc. Rev. 1987, 16, 275. 281 I principi fondamentali dell’elettrochimica organica sono trattati in modo approfondito ma tuttavia accessibile nell’ambito dei seguenti testi: 4. D. K. Kyriacou Modern Electroorganic Chemistry Springer-Verlag, Berlin, 1994. 5. D. K. Kyriacou, D. A. Jannakoudakis Electrocatalysis for Organic Synthesis Wiley, New York, 1986. 6. S. D. Ross, M. Finkelstein, E. J. Rudd Anodic Oxidation Academic Press, New York, 1975. Tra i numerosi testi disponibili riguardanti la fotochimica organica si segnala il seguente libro: 7. J. Michl, V. Bonačić-Koutecký Electronic Aspects of Organic Photochemistry Wiley, New York, 1990. 282 COSTANTI FISICHE _____________________________________________________________________________________________________ Costante Simbolo Valore _____________________________________________________________________________________________________ Carica elementare Carica specifica dell'elettrone e -e/me 1.60217733 ×10-19 C -1.75881962 ×1011 C kg-1 Constante di Boltzmann Costante di Faraday Costante di Planck k F h 1.380658 ×10-23 J k-1 96485.309 C mol-1 6.6260755 ×10-34 J s Costante di Rydberg R∞ 3.2898419499 ×1015 Hz Costante gravitazionale Costante molare dei gas G R Elettronvolt eV Energia di Hartree Eh Fattore g dell'elettrone ge 6.67 × 10-11 N m2 kg-2 8.314 510 J mol-1 K-1 1.6021892 ×10-19 J 23.05 Kcal mol-1 4.3597482 ×10-18 J 627.5 Kcal mol-1 2.002319304386 Indice di rifrazione dell'acqua nw 1.33 Massa dell'elettrone me 9.1093897 ×10-31 kg Momento magnetico dell'elettrone me 928.47701 ×10-28 m2 Numero di Avogadro N 6.0221367 ×1023 mol-1 Permeabilità dello spazio libero M0 12.566370614 × 10-7 N A-2 Permettività dello spazio libero h0 8.854187817 ×10-12 F m-1 Raggio dell'elettrone re 2.81794092 ×10-15 m Raggio di di Bohr a0 5.29177249 ×10-11 m Unità di massa atomica mu 1.6605402 ×10-27 kg Velocità del suono nell'aria v 340 m s-1 Velocità della luce nel vuoto c 299792458 m s-1 Vm 22.41410 l3 mol-1 _____________________________________________________________________________________________________ Volume molare di un gas ideale 283 284 INDICE ANALITICO Benzonitrilmetililide, 97 Benzonitrilossido, 95 Betaina di Dimroth-Reichardt, 145, 146 Betaine di nitrilio, 97 Biacetile, 278 bis-t-Butilperossido, 22 bis-Trifenilfosfinopalladio(0), 248, 249 Bolle di cavitazione, 260 1-Bromo-1-feniletano, 149 Bromurazione dell’acetone, 36 Bromuro di metile, 24 Calore latente di evaporazione, 141 (+)-Camphos, 246 Campo elettrico, 253, 254, 255, 256 Carbanioni, 16, 63, 175, 215 Carbocationi, 8, 9, 102, 180, 200, 204, 205, 217, 222, 268 Carbometallazione, 248 Carbonilazione del metanolo, 247 1-Carbossibutadiene, 86 Cascata vibrazionale, 276, 277 Catalisi a trasferimento di fase, 237-242 Catalisi acida generale, 224-227 Catalisi acida specifica, 222 Catalisi acida specifica-basica generale, 226 Catalisi basica generale, 225 Catalisi basica specifica, 223 Catalisi metallorganica, 245-249 Catalisi micellare, 234-237, 238 Catalisi omogenea, 245 Catalisi specifica da ione idronio, 222 Catalisi specifica da ione lionio, 222 Catalisi supramolecolare, 229-233 Catalizzatore di Speier, 247 Catalizzatore di Wilkinson, 245 Catalizzatori a trasferimento di fase, 238-240 Cationi arenio, 5 Catodo, 264 Cavità delle ciclodestrine, 230 Cavitandi, 232 Cavitazione, 259 CED, 150, 162 Celle elettrolitiche, 264 Cetiltrimetilammonio bromuro, 234, 236, 238 Cetiltrimetilfosfonio bromuro, 238 Chetene, 89, 279 Chimica supramolecolare, definizioni, 229 Cicli catalitici, 246, 247, 248, 249 Ciclizzazione di ω-bromoacidi, 54 Acetolisi del 2-bromopropano marcato, 203, 204 Acetolisi di esteri solfonici, 58 Acetone, 24 Acetossilazione anodica di areni, 268, 269 Acidi e basi secondo Brønsted, 169, 184 Acidi al carbonio, 175 Acidi biciclo[2.2.2]ottanocarbossilici, 129 Acidi deboli, 170, 171, 174-176 Acidi duri, 99-100, 102, 103, 104, 105 Acidi forti, 170, 171, 172, 176-181 Acidi molli, 100-101, 102, 103, 104, 105 Acidità cinetica, 183 Acidità degli stati eccitati, 274 Acido 1-naftalensolfonico, 212 Acido 2-naftalensolfonico, 212 Acido 3-fenil-3-ossopropionico, 200 Acido 3-idrossipropionico, 182 Acido di Kemp, 232, 233 Acido ftalaldeidico, 155 Acido solforico marcato, 212 Addizione al carbonile, 258 Addizioni di Michael enantioselettive, 243, 244 Addizioni di Michael, 242 Affinità elettronica, 74, 106 Agitazione, 242 Alchilazione del fenilacetonitrile, 240 Alchilazioni di Friedel/Crafts, 212 AN, 152 treo-3-para-Anisil-2-butile, 58 Anodo, 264 3-Aril-2-butilbrosilati, 131 1-Aril-2-cloropropani, 126, 128 Arilsolfenilcloruri, 157 Arini, 213 Assistenza interna, 132 Attività di ioni, 174 Autoprotolisi dell’acqua, 169 Autossidazione del cicloesene, 159 Basi deboli, 171 Basi dure, 99-100, 102, 103, 105 Basi forti, 170, 171 Basi molli, 100-101, 102, 103, 104, 105 Basicità del gruppo uscente, 185 Basicità termodinamica, 183 Bell-Evans-Polanyi, diagramma di, 11,12 Bell-Evans-Polanyi, principio di, 11,16 Benazaldeidi para-sostituite, 205 285 Correlazione nucleofilicità-reattività, 184-185 Correlazioni extratermodinamiche, 114 Correlazioni lineari di energia libera, 114 Corrente elettrica, 264, 265, 266 Costante cinetica osservata, koss, 222-223, 225, 242 Costante del sostituente, σm, 117, 118, 130 Costante del sostituente, σp, 118, 130 Costante del sostituente, σX, 116-119, 173, 174 Costante di autoprotolisi dell’acqua, 169 Costante di forza, 193, 204, 206 Costante di Michaelis apparente, 32 Costante di Michaelis, 30 Costante di reazione ρ per l’idrolisi acida di benzoati etilici, 124 Costante di reazione ρ per l’idrolisi di acidi arilalifatici non coniugati, 124 Costante di reazione ρ per l’idrolisi di benzoati etilici, 122 Costante di reazione ρ per la dissociazione di acidi 3-arilpropionici, 122 Costante di reazione ρ per la dissociazione di acidi arilacetici, 122 Costante di reazione ρ per la dissociazione di acidi cinnamici, 122 Costante di reazione ρ per la dissociazione di fenoli, 122 Costante di reazione ρ per la dissociazione di ioni anilinio, 122 Costante di reazione ρ per la reazione di Wittig, 123 Costante di reazione ρ per reazioni di Diels/Alder, 124 Costante di reazione ρ per reazioni SEAr, 123 Costante di reazione ρ per reazioni SNAr, 123 Costante di reazione ρ per sostituzioni viniliche, 123 Costante di reazione ρ*, 135 Costante di reazione ρ, 119-124 Costante di velocità globale, 29 Costante di velocità, 19 Costante dielettrica del solvente, 142, 143, 145, 153, 162 Costante dielettrica, 69, 255, 256 Costanti del sostituente σ-p, 126, 128, 130 Costanti del sostituente σ*, 135 Costanti del sostituente σ+p, 127, 128, 130 Criptandi, 182, 239 Curtin-Hammett, principio di, 14-15 Cicloaddizioni [2+2], 49, 89-91 Cicloaddizioni 1,3-dipolari, 49, 52, 67, 80, 91-99, 158, 163, 164, 231, 244, 257 Cicloalcan-3,5-dioni, 155 Ciclodestrine, 229, 230, 231 Ciclodisidratazione di 2-fenil-triarilcarbinoli, 134 Cinetica della catalisi a trasferimento di fase, 240-242 Classificazione dei solventi, 140 2-Cloroetanolo, 27 1-Cloro-3-metil-2-butene, 58 2-Cloropiridina, 258 Cloruro di t-butile, 22, 148, 149 CMC, 234 Coefficiente di assorbimento, 260 Coefficiente di mescolamento λ, 68 Coefficiente di trasmissione, 42 Coefficienti atomici, 69, 70, 72, 73-75, 78, 82, 86-90, 94-99, 102 Coefficienti di attività, 174, 176 Collasso delle bolle di cavitazione, 261, 262 Collisioni anelastiche, 39 Collisioni efficaci, 39 Collisioni elastiche, 39 Complessazione catalizzatore-prodotti, 221 Complessazione catalizzatore-reagente, 221 Complesso di idruropalladio(II), 248 Complesso di Wilkinson, 245 Complesso enzima-substrato, 30 Complesso enzima-substrato-inibitore, 33 Complesso Et3P=O-SbCl5, 153 Complesso solvente-BF3, 152 Concentrazione micellare critica (CMC), 234, 236 Condensazione aldolica, 215-216 Condensazione benzoinica, 26 Condizione di elettroneutralità, 225 Condizione di normalizzazione, 75 Conducibilità equivalente, 37 Conduttanza, 36, 37 Coniugazione diretta, 125-128 Controllo cinetico, 12-14, 15 Controllo orbitalico, 86 Controllo termodinamico, 12-14, 15 Conversione interna tra stati eccitati, 276 Coordinata di reazione, 2, 221 Coppia coniugata acido-base, 169, 172 Coppia ionica intima, 57 Coppia ionica separata dal solvente, 57 Coppie ioniche, 57-59, 240, 257, 259 286 Effetti isotopici di equilibrio, 207 Effetto cinetico isotopico dovuto ad atomi pesanti, 200, 201, 202 Effetto cinetico isotopico intramolecolare, 198 Effetto cinetico isotopico massimo, 195-196, 198 Effetto cinetico isotopico nella bromurazione dell’α-deuterotoluene, 198, 199 Effetto cinetico isotopico nella clorurazione del metano, 199 Effetto cinetico isotopico primario (PKIE), 192-203 Effetto cinetico isotopico secondario α inverso, 204, 205, 206 Effetto cinetico isotopico secondario α normale, 204 Effetto cinetico isotopico secondario α, 203, 204, 205 Effetto cinetico isotopico secondario β, 203, 205, 206 Effetto cinetico isotopico secondario (SKIE), 203-206 Effetto cinetico isotopico, 192 Effetto di campo, 112 Effetto idrofobico, 162, 163, 164 Effetto induttivo, 112 Effetto livellante del solvente, 176, 183 Effetto mesomerico (di risonanza), 112 Effetto sale speciale, 58 Effetto solvatocromico, 145, 146, 147 Effetto tunnell, 198, 199 Elettrodi, 264, 265 Elettrofili duri, 103-104 Elettrofili molli, 103-104 Elettrofili, 72 Elettrofilicità, 184 Elettroidrogenazione di alcheni, 270 Elettrostrizione del soluto, 141 Eliminazione riduttiva, 245, 247, 248 Eliminazioni bimolecolari, 62 Eliminazioni monomolecolari, 214 Eliminazioni monomolecolari, 62 [emin]BF4, 165 Energia di attivazione, 38, 39, 40 Energia di punto zero, 193, 194, 195, 204, 206 Energia di stabilizzazione, 68, 70, 72 Energia libera di attivazione, 114 Energia libera di attivazione, 4, 6, 11, 12, 14, 194, 198, 199, 221, 235, 256 Debromurazione del 2,3-dideutero-2,3dibromobutano, 214 Debromurazione dell’1,2-dideutero-1,2dibromoetano, 214 Decomposizione dei sali di arendiazonio, 160, 161 Defosforilazione dell’ATP, 185 Deidroalogenazione di 2-bromofeniletani, 62 Densità dell’energia di coesione, 150, 162 Descrittori globali, 107 Determinazione di H0, 177 α-Deuterotoluene, 198 DFT, 106 Diagramma corrente-potenziale, 268 Diagramma dei reciproci, 32, 33, 34 Diagramma di Bell-Evans-Polanyi, 11, 12 Diagramma di Jablonski, 276 Diagrammi d’interazione, 85, 88, 95-98 Diagrammi di Brønsted, 184-186, 227 Diagrammi di Hammett non lineari, 132-134 Diagrammi di More-O’Ferrall-Jencks, 9 Diagrammi Log koss/pH, 223, 225, 226 Diagrammi perturbazionali, 68, 70, 71 Diazocopulazione su naftaleni, 202 Diazometano, 93, 109 Dicarbonilrodio(I)diioduro, 247 1,1-Dicianoetilene, 158 1,2-Dicloroetano, 105, 151, 153 4,4-Difenil-3-butenillitio, 155 Difenilchetene, 90 Difenilnitrilimmina, 98 Difluorocarbene, 16 Diidrurocomplessi, 245 Dimedone, 16 1,8-bis-Dimetilammino-2,7-dimetossi naftalene, 182 9,10-Dimetilantracene, 158 Dimetilchetene, 90 2,2-Dimetil-3-idrossipropionaldeide, 105 DIOP, 246 Dipoli molecolari, 253, 256 Disproporzione del tetrafeniletano, 160 Distribuzione delle velocità molecolari, 39 5,5’-Ditiobis(2-nitrobenzoato), 235 DN, 151 DNN, 151 L-DOPA, 247 Durezza η, 106, 107 Effetti cinetici isotopici dovuti al solvente, 206-209 Effetti cinetici isotopici sterici, 206 287 Fattore pre-esponenziale, 38, 39, 40, 43, 256 Fenilazide, 53 Fenildiazometano, 158 2-Fenilpropionitrile, 139 Fenossitrietilsilani, 129 Ferrocarbonili, 263 Fluorescenza, 276, 277 Fosforescenza, 277 Fotodimerizzazioni, 280 Fotolisi, 274-275 Fotosensibilizzazione, 277, 278 Funzione di acidità H_, 180 Funzione di acidità H0, 177-179 Funzioni di acidità, 176-180 Funzioni di Fukui, 107 Geometria degli stati eccitati, 274 Gradi di libertà vibrazionali, 2 βGu, 185, 186 Hammond, postulato di, 7 HOMO, 70-72, 75, 76, 77, 78, 79, 85-90, 9499, 101, 102, 107, 109, 243, 244 Ibuprofene, 232 Idratazione del carbonile, 213 Idratazione di alcheni, 222 Idroalchilazione di alchini, 263 Idroborazione di olefine, 105 Idrogenazione sitoselettiva, 246 Idrolisi acida degli esteri, 62 Idrolisi acida del saccarosio, 37 Idrolisi basica degli esteri, 61 Idrolisi del 4-nitrofenilacetato, 230 Idrolisi del 4-t-butilfenilacetato, 230 Idrolisi del bromuro di benzidrile, 28 Idrolisi del carbonato della 4-nitrofenilcolina, 231 Idrolisi di esteri, 259 Idrosililazione, 247 Idrosililazione, 263 2-Idrossipiridina, 155 Idrurocomplessi, 247, 248, 249 Incorporazione di 18O, 213, 217 Incrocio intersistema, 276, 277 Indicatori, 177, 178, 179, 180 Indice di rifrazione, 145 Ingombro sterico, 16 Inibizione competitiva, 31 Inibizione enzimatica, 31 Inibizione incompetitiva, 33 Inibizione non competitiva, 33 Integrale di risonanza, 68 Integrale di sovrapposizione, 69 Energia libera di solvatazione, 141 Energia libera standard, 114 Energia libera, 4 Energia vibrazionale, 193, 196, 197 Enolati, 14, 67, 103, 104 Entalpia di attivazione, 43, 44, 52, 53, 69, 163 Entalpia di evaporazione del solvente, 150 Entropia di attivazione, 43, 45, 52, 53, 163, 217 Enzima Ribonucleasi A, 210 Enzima succinico deidrogenasi, 32 Equazione di Arrhenius, 38, 256 Equazione di Brønsted, 185 Equazione di Bunnett-Olsen, 180 Equazione di Dixon, 31 Equazione di Eadie, 31 Equazione di Edwards, 188 Equazione di Eyring, 43 Equazione di Grunwald-Wienstein, 149 Equazione di Hammett, 113-124, 116 Equazione di Kirchoff, 260 Equazione di Klopman-Salem, 68-72, 84, 101, 102 Equazione di Lineweawer-Burk, 31 Equazione di McConnell, 76 Equazione di Michaelis-Menten, 30 Equazione di Morse, 194 Equazione di Nerst, 265, 266 Equazione di Ritchie, 187 Equazione di Swain-Lupton, 129 Equazione di Swain-Scott, 186-187 Equazione di Tafel, 266 Equazione di Taft, 134 Equazione di Yukawa-Tsuno, 128 Equazioni biparametriche, 128-131 Equilibri di valenza, 155 Equilibri tautomerici, 154-155 Esadeciltributilfosfonio bromuro, 237 Esteri marcati, 213 Esterificazione dell’acido dicloroacetico, 35 Esterificazione, 259 Etanololisi del bromuro d’isopropile, 49 Eteri corona, 239, 240 Eterochetenofili, 91 Etilammonio nitrato, 165 Etilisobuteniletere, 159 Etilisocianuro, 103 4-Etossicarbonil-N-piridinio ioduro, 147 Fase micellare, 234, 235 Fattore di frazionamento Φ,207-208, 210 Fattore di frequenza, 38 288 Meccanismo BAc2, 50, 61, 62 Meccanismo di conduzione, 253 Meccanismo di polarizzazione dei dipoli, 253 Meccanismo E1a, 63 Meccanismo E1cb, 50 Meccanismo E1CbI, 62, 214 Meccanismo E1CbR, 62 Meccanismo E2, 214 Meccanismo monostadio, 4 Meccanismo SE2Ar, 201, 202 Meccanismo SE3, 201 Meccanismo SEAr, 201 Metallocarbonili, 247 Metilazide, 108 2-Metilbutano, 15 2-Metilcicloesano, 14 2-Metil-2-cloro-3-butene, 57 Metilene, 16 Metilenechinoni, 16 Metodo AM1, 73 Micelle dirette, 234 Micelle inverse, 234 Micelle, 234, 235, 236 Microonde, 253 β-Migrazione di idruro, 245, 247, 248 Misure cinetiche, 34-37 Molarità efficace, 230 Molecolarità, 19-20, 23 Mollezza condensata s, 107 Mollezza S, 107 Mollezza, 240 Momento dipolare del solvente, 142, 143, 162 Momento dipolare di radicali, 160 Momento dipolare, 93, 253, 254 n-Esano, 153 NHOMO, 71 Nitrazione del nitrobenzene, 77 Nitrazione dell’1,2-difeniletano, 60 Nitrazione dell’anisolo, 77 Nitrazione di areni, 59-60 Nitrito d’argento, 103 Nitroetilene, 16 2-Nitropropano, 198 Notazioni per le transizioni elettroniche, 273274 N-Sulfonilimmine, 258 βNu, 185, 186, 187 Nucleofili bidentati, 103 Nucleofili duri, 101 Nucleofili molli, 101 Nucleofili, 72 Interazione ciclodestrina-substrato, 230 Interazioni transanulari, 54 Interfaccia elettrodo-soluzione, 267 Interfaccia, 237, 240, 242 Intermedio di reazione, 5, 6, 7, 14, 27, 28, 203, 204, 205 Intermedio di Wheland, 212 Inventario dei protoni, 209 2-Iodo ottano, 211 Ioduro di acetile, 248 Ione fenonio ciclico, 132 Ione idronio, 169-171, 172, 222 Iperconiugazione, 204, 205 Ipotesi dello stato stazionario, 27 Isomerizzazioni fotochimiche, 279 ∆2-Isossazoline, 258 Legami ad idrogeno, 208 Legge cinetica, 19 Legge della catalisi di Brønsted, 227 Legge di Coulomb, 143 Legge di Lambert-Beer, 36 LUMO, 70-72, 75, 76, 77, 85-90, 94-99, 101, 102, 107, 109, 243, 244 Marcatura isotopica negli arini, 213 Marcatura isotopica nel riassestamento di Beckman, 217 Marcatura isotopica nel riassestamento di Claisen, 217-218 Marcatura isotopica nel riassestamento di PhCOCHO, 217 Marcatura isotopica nell’idratazione del carbonile, 213 Marcatura isotopica nella condensazione aldolica, 215-216 Marcatura isotopica nella reazione di BaeyerVilliger, 217 Marcatura isotopica nella reazione di Cannizzaro, 216 Marcatura isotopica nella riduzione di Meerwein-Ponndorf, 218 Marcatura isotopica nella solfonazione del naftalene, 212 Marcatura isotopica nelle alchilazioni di Friedel/Crafts, 212 Marcatura isotopica nelle eliminazioni monomolecolari, 214 Marcatura isotopica nelle sostituzioni elettrofile aromatiche, 211-212 ME, 230 Meccanismo AAc1, 133 Meccanismo AAl1, 133 289 Piperidina, 258 Pirolisi dell’acido iodidrico, 40 ∆1-Pirroline-2,3-disostituite, 97 pK dell’acqua, 183 pK di acidi acetici, 173, 174 pK di acidi benzoici, 174 pK di del tiofenolo, 173 pK di fenoli sostituiti, 172, 173 pK di ioni ammonio, 173 pK, 170-171, 172, 173, 174-175, 177, 178180, 181, 183, 186, 224, 225, 227, 228 Polarità del solvente, 143, 165 Polarizzazione dei dipoli, 253 Polarogramma, 265 Poliossietilene(6)ottanolo, 234 Popolazione elettronica, 69 Postulato di Hammond, 7, 196, 204 Potenziale chimico, 106 Potenziale di ionizzazione 73, 74, 106 Potenziale di semionda, 265, 266, 268, 269 Potenziale elettrico effettivo, 266 Potenziale elettrodico standard, 265 Potenziale elettrodico, 265, 267 Potere ionizzante del solvente, 147-149 Preequilibrio, 26 Pressione acustica, 260 Principio della reversibilità microscopica, 7 Principio di Bell-Evans-Polanyi, 11, 16 Principio di Curtin-Hammett, 15 Principio di Franck-Condon, 275 Principio di reattività-selettività, 15-16 Processi concertati, 11 Processi endoergonici, 5,7,8 Processi esoergonici 4,6,7,8,12 Processi fotofisici di molecole eccitate, 277 Processi reversibili, 13 Profilo energetico bidimensionale 2, 4, 6, 8, 13, 15 Profilo volumetrico, 47 1-13C-Propano, 216 Radicalanioni, 264, 267, 270 Rapporto tempone, 227 Reattivi di Grignard, 262 Reattività-selettività, principio di, 15-16 Reazione di Baeyer-Villiger, 217 Reazione di Biginelli, 256 Reazione di Cannizzaro, 216 Reazione di Diels/Alder, 5, 24, 40, 48, 67, 80, 83-88, 151, 158, 162-163, 165, 206, 233, 237, 256 Reazione di Friedel/Crafts, 5, 50, 259 Nucleofilicità, 187, 240 Numero accettore AN, 152 Numero donatore DN, 151-152 Orbitali di frontiera di benzonitrilossidi, 94 Orbitali di frontiera di butadieni 1-sostituiti, 83 Orbitali di frontiera di butadieni 2-sostituiti, 84 Orbitali di frontiera di etileni monosostituiti, 81, 82 Orbitali di frontiera, 70-72, 73, 75 Orbitali molecolari del benzene, 78 Orbitali molecolari del nitrobenzene, 79 Orbitali molecolari dell’anisolo, 79 Ordine cinetico, 19-20, 23 Organoborani, 262 Organocatalisi, 242-244 Organocuprati, 263 Organozinco, 263 Orientazione antara, 89 Oscillatore anarmonico, 194 Oscillatore armonico, 192, 194 Ossidazione anodica del toluene, 269 Ossidazione anodica dell’alcol benzilico, 269 Ossidazione anodica di ammine, 269, 270 Ossidazione anodica, 254, 267-270 Ossidazione cromica dell’isopropanolo, 191 Ossimercuriazione del benzene, 201, 202 para-Clorotoluene, 258 para-Metossifenilperacetato di t-butile, 159 Parametri empirici del solvente, 144 Parametro α di Brønsted, 228 Parametro β di Brønsted, 228 Parametro φ, 180 Parametro di Dimroth, 145-147, 162, 165 Parametro di Kosover, 147, 162 Parametro di nucleofilicità EN, 187 Parametro di nucleofilicità n, 187 Parametro di nucleofilicità N+, 187 Parametro di solubilità del solvente δ, 150 Parametro di suscettibilità δ, 137 Parametro m, 149 Parametro r, 128, 129 Parametro sterico ES, 136 Parametro YA, 148, 149, 162 Pentacloruro di antimonio, 151 Pentossido di diazoto, 20 Perclorato di litio, 58 Permettività relativa, 256 PES, 73 pH, 170, 176, 223, 224, 225, 236, 270 290 Ritorno interno, 58 Sali di nitronio, 60 Saponificazione di esteri enantiopuri, 58 Scale di nucleofilicità, 186, 189 Scale di pK, 175 Scissione di Norrish tipo I, 278 Scissione di Norrish tipo II, 279 Singoletto, 273-280 Siti di nucleazione, 255 Sodio dodecilsolfato, 234 Sodio isobenzochinolina, 262 Solfonazione del bromobenzene, 201, 202 Solfonazione del naftalene, 212 Soluzioni, 140 Solvatazione di anioni nucleofili, 157 Solvatazione, 16, 56, 141, 154, 156 Solventi anfiprotici, 140 Solventi, classificazione, 140 Solvolisi dei cloruri allilici, 205 Solvolisi del 2-bromopropano marcato, 203 Solvolisi del 2-cloro-2-metilpropano, 262 Solvolisi di alogenuri allilici, 57-58 Somma di acidi al doppio legame etilenico, 203 Somma ossidativa, 245, 247, 248 Sonochimica, 259 Soppressione di ritorno da coppia ionica, 58 Sostituzioni elettrofile aromatiche, 211-212 Sovrapotenziale, 266 Sovrariscaldamento, 254 Specie elettroattive, 264, 265, 269 Spettroscopia di fotoelettroni, 73 Spettroscopia di risonanza elettronica, 75 Spostamento della marcatura isotopica, 217218 Spostamento solvatocromico, 145, 146, 147 Spugne protoniche, 182 Stadio lento, 6, 20, 191, 195, 196, 200, 209, 210, 224, 226, 228, 266 Stato di transizione, 3, 4, 5, 7, 9, 10, 12, 4142, 134, 135, 156, 157, 159, 160, 163, 194, 196, 198, 203, 204, 205, 206, 217, 218, 221, 228 Stato eccitato, 272-274 Struttura esagonale del ghiaccio, 161 Superacidi, 180-181 Superficie dell’energia potenziale, 3 Surfattanti, 232, 237, 238 Tautomeria anello-catena, 155 t-Butil cloruro, 148, 149 Tempo di semitrasformazione, 22 Reazione di Heck, 248 Reazione di Kolbe, 267, 268 Reazione di Menshutkin, 55 Reazione di solfonazione, 60 Reazione iodio-acetone, 226 Reazione SN1, 8, 9, 49, 56, 126, 149, 156, 185, 200, 206, 212, 257 Reazione SN2, 2, 5, 9, 10, 49, 55, 56, 76, 103, 132, 149, 156, 157, 185, 186, 201, 211, 237, 238, 240, 257, 258 Reazioni competitive, 12, 14 Reazioni di Diels/Alder a domanda inversa, 87 Reazioni di pseudo-ordine zero, 22 Reazioni di solvolisi, 49, 56 Reazioni elettrorganiche dirette, 264, 271 Reazioni elettrorganiche, 264, 267-272 Reazioni elettrorganiche indirette, 265, 271 Reazioni fotolitiche, 278-279 Reazioni parallele, 12 Reazioni SE2, 77 Reazioni SNAr, 157 Reazioni sotto controllo di carica, 72, 90, 102 Reazioni sotto controllo orbitalico, 73, 84, 8590, 94-99, 102 Regione cibotattica, 141 Regioselettività nelle cicloaddizioni [2+2], 90 Regioselettività nelle cicloaddizioni 1,3-dipolari, 94-99, 108, 109 Regioselettività nelle reazioni di Diels/Alder, 86, 87 Regola di Wigner, 278 Relazione tra ρ e carica dello stato di transizione, 121 Riassestamenti fotochimici, 279 Riassestamento di Beckman, 217 Riassestamento di Claisen in acqua, 164 Riassestamento di Claisen, 217-218 Riassestamento di PhCOCHO, 217 Riconoscimento molecolare, 230 Riduzione catodica dell’orto-diclorobenzene, 270 Riduzione catodica di alogenuri alchilici, 271 Riduzione catodica di immine, 270 Riduzione catodica di nitroderivati, 270, 271 Riduzione catodica di olefine, 270 Riduzione catodica, 264 Riduzione di Meerwein-Ponndorf, 218 Riduzione fotochimica del benzofenone, 280 Riscaldamento dielettrico, 253 Ritorno da coppia ionica, 58 291 Teoria del funzionale densità, 106 Termine di carica (Coulombiano), 69, 72, 102 Termine orbitalico, 69, 72, 102 Tetrabutilammonio ioduro, 238 Tetracianoetilene, 159 Tiofenato di sodio, 105 Transizioni permesse, 273 Transizioni proibite, 273 Trasferimento elettronico, 266 Trasferimento protonico, 139, 181-183, 209, 222, 224, 226, 228 β-Trasposizione di CO, 248 Tripletto, 273-280 Triporfirine cicliche Zn(II) complessate, 233 Ultrasuoni, 259-264 Velocità assoluta, 42 Velocità di inversione, 211 Velocità di racemizzazione, 221, 215 Velocità di reazione, 18 Verde 4-nitromalachite, 187-188 Viscosità, 260 Vita media di specie elettroattive, 267 Volume di attivazione, 45-47, 48-50, 162, 163, 164 Volume di elettrostrizione, 47 Volume intrinseco del soluto, 47 Volume micellare, 234, 236, 237 Volume molare parziale del surfattante, 236 Volume molare parziale, 46 292