Giorgio Molteni
Università degli Studi di Milano
ELEMENTI DI
CHIMICA ORGANICA FISICA
Lulu, 2008
Molteni, Giorgio, 1963Elementi di chimica organica fisica
Includes bibliographical references and index.
ID: 4613643
© 2008 Lulu Enterprises Inc., Morrisville, NC
860 Aviation Parkway, Morrisville, NC 27560
http://www.lulu.com
Printed in the United States of America
ai miei genitori
PREFAZIONE
Esistono numerosi libri di testo che descrivono in modo abbastanza approfondito
l’intero campo della chimica organica fisica. Di solito si tratta di volumi piuttosto
ponderosi, tutti editi in lingua inglese e progettati per un corso annuale a livello di
dottorato. Questi testi sono adattabili con una certa difficoltà all’insegnamento del
corso di “meccanismi delle reazioni organiche” poiché nei corsi di laurea chimici
italiani esso è attualmente compresso in soli 6 crediti. Il presente volume, di
dimensioni volutamente ridotte ed in lingua italiana, presenta una panoramica
sufficientemente dettagliata degli aspetti fondamentali della chimica organica fisica e
rappresenta una novità nel panorama della letteratura chimica italiana. La mia
speranza è che esso, oltre che a colmare un vuoto editoriale, si dimostri
didatticamente valido e possa quindi costituire un buon punto di partenza
nell’insegnamento dei principi fondamentali della chimica organica fisica impartito
nell’ambito di un corso semestrale. Poiché le esercitazioni svolte in classe sono di
primaria importanza allo scopo di fissare efficacamente gli argomenti trattati nelle
lezioni teoriche, sono stati proposti un certo numero di problemi la cui soluzione è
necessaria allo Studente per una migliore comprensione del testo. Per quanto
concerne i riferimenti bibliografici che corredano la fine di ogni capitolo, il ricorso
alla letteratura primaria non è stato ritenuto utile né necessario al presente livello di
esposizione. Si sono invece proposti libri a carattere specialistico che dovrebbero
essere facilmente reperibili dallo Studente particolarmente volenteroso in ogni
biblioteca chimica. Nella stesura di questo lavoro è risultato inevitabile operare dei
tagli di argomenti anche importanti. Ad esempio la teoria elettronica della chimica
organica, così come la stereochimica e l’analisi conformazionale, non sono state
nemmeno accennate. Benché questa scelta possa apparire bizzarra, essa è stata dettata
dal fatto che gli argomenti menzionati sono trattati in modo approfondito
rispettivamente nei corsi di chimica fisica e stereochimica organica, ragion per cui si
è preferito evitare sovrapposizioni.
Durante la compilazione di questo lavoro ho avuto la fortuna di poter contare
sull’apporto di varie persone, colleghi od amici, che mi sono stati di grande aiuto.
Desidero ringraziare la Prof.ssa Del Buttero (Università di Milano) per avere letto e
commentato criticamente alcune parti del libro nella sua prima versione e la Dott.ssa
Rossignolo (Almac Sciences), che si è prestata con entusiasmo alla lettura dell’intero
testo. Un profondo ringraziamento è dovuto alla Prof.ssa Garanti, che ha messo a
disposizione la sua immensa esperienza nella lettura critica dell’intero lavoro, ed al
Dott. Ponti (Istituto di Scienze e Tecnologie Molecolari del CNR), che ha corretto
con estrema pazienza e competenza le mie cattive interpretazioni della chimica fisica.
I miei Studenti del corso di “meccanismi delle reazioni organiche” hanno svolto un
lavoro prezioso segnalandomi molti degli errori presenti nella prima versione del
testo. Infine, un ringraziamento particolare va al Prof. Zecchi (Università
dell’Insubria) per avermi trasmesso l’interesse nei confronti della chimica organica
fisica. Nonostante l’aiuto di tutte queste persone ci si può domandare per quale
ragione il presente testo sia ancora tanto lontano dalla perfezione. L’unica risposta
possibile è da ricercare nella persona dell’autore, che si assume per intero la
responsabilità di tutti gli errori ancora presenti.
Giorgio Molteni
Milano, Dicembre 2008
INDICE DEI CAPITOLI
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Meccanismi di reazione
Elementi di cinetica chimica
Teoria perturbativa ed HSAB
Correlazioni lineari di energia libera
Effetti del solvente
Acidi e basi
Utilizzo degli isotopi negli studi meccanicistici
Catalisi
Metodi di attivazione non convenzionali di reazioni organiche
INDICE
1
2
Meccanismi di reazione
1.1 Introduzione
1.2 Coordinata di reazione
1.3 Principi meccanicistici
1.3.1 Principio della reversibilità microscopica
1.3.2 Postulato di Hammond
1.3.3 Principio di Bell-Evans-Polanyi
1.3.4 Controllo cinetico e termodinamico
1.3.5 Principio di Curtin-Hammett
1.3.6 Principio di reattività-selettività
1.4 Bibliografia
1
2
7
7
7
11
12
14
15
16
Elementi di cinetica chimica
2.1 Introduzione
2.2 Definizioni fondamentali
2.3 Equazioni cinetiche
2.3.1 Reazioni del primo ordine
2.3.2 Reazioni di ordine zero
2.3.3 Reazioni del secondo ordine
2.3.4 Reazioni in serie
2.3.5 Ipotesi dello stato stazionario
2.3.6 Reazioni parallele
2.3.7 Cinetiche enzimatiche
2.4 Metodi sperimentali
2.4.1 Metodi spettroscopici
2.4.2 Metodi elettrochimici
2.4.3 Metodi polarimetrici
2.5 Dipendenza della velocità dalla temperatura
2.5.1 L’ Equazione di Arrhenius
2.5.2 Teoria delle collisioni
2.5.3 Teoria dello stato attivato
2.6 Dipendenza della velocità dalla pressione
2.6.1 Cicloaddizioni
2.6.2 Sostituzioni nucleofile al carbonio saturo
2.6.3 Addizioni al carbonile
2.6.4 Reazioni al carbonio aromatico
2.7 Reazioni intramolecolari
2.8 Cinetica chimica applicata ad alcune reazioni organiche
2.8.1 Sostituzioni nucleofile
2.8.2 Sostituzioni elettrofile al carbonio aromatico
2.8.3 Idrolisi degli esteri
2.8.4 Reazioni di eliminazione
18
18
20
20
22
23
25
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38
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45
48
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50
50
50
55
55
59
61
62
3
4
2.9 Problemi
2.10 Bibliografia
63
65
Teoria perturbativa ed HSAB
3.1 Introduzione
3.2 Teoria perturbativa
3.2.1 Energie e coefficienti degli orbitali di frontiera
3.3 Applicazioni della teoria perturbativa
3.3.1 Sostituzioni al carbonio saturo
3.3.2 Sostituzioni elettrofile aromatiche
3.3.3 Cicloaddizioni
3.3.3.1 Reazioni di Diels-Alder
3.3.3.2 Cicloaddizioni [2+2]
3.3.3.3 Cicloaddizioni 1,3-dipolari
3.4 Teoria HSAB
3.5 Applicazioni della teoria HSAB
3.5.1 Reattivi bidentati
3.5.2 Debromurazione di α-bromochetoni
3.5.3 Sostituzioni-eliminazioni
3.5.4 Addizioni a doppi legami carbonio-carbonio
3.5.5 Addizioni a doppi legami carbonio-ossigeno
3.6 Aspetti quantitativi della teoria HSAB
3.7 Problemi
3.8 Bibliografia
66
68
73
76
76
77
80
83
89
91
99
102
103
104
105
105
105
106
110
111
Correlazioni lineari di energia libera
4.1 Introduzione
4.2 Equazione di Hammett
4.2.1 Significato della costante del sostituente, σX
4.2.2 Significato della costante di reazione, ρ
4.2.2.1 Equilibri con ρ > 0
4.2.2.2 Reazioni con ρ > 0
4.2.2.3 Reazioni con ρ < 0
4.2.2.4 Reazioni con ρ ≈ 0
4.2.3 Coniugazione diretta
4.3 Equazioni a due parametri
4.3.1 Equazione di Yukawa-Tsuno
4.3.2 Altre equazioni a due parametri
4.4 Deviazioni dalla linearità
4.5 Effetti sterici
4.5.1 Equazione di Taft
4.5.2 Parametri sterici
4.6 Problemi
4.7 Bibliografia
112
113
116
119
122
122
123
124
125
128
128
129
131
134
134
136
137
138
5
6
I solventi
5.1 Introduzione
5.2 Energia libera di solvatazione
5.3 Momento dipolare, costante dielettrica e polarità dei solventi
5.4 Relazioni empiriche
5.4.1 Parametri di polarità
5.4.1.1 Indice di rifrazione, n
5.4.1.2 Costante dielettrica, ε
5.4.1.3 Parametro di Dimroth, ET
5.4.1.4 Parametro di Kosover, Z
5.4.2 Potere ionizzante
5.4.3 Indici di solvatazione
5.4.4 Proprietà acide o basiche dei solventi secondo Lewis
5.4.4.1 Numero donatore, DN
5.4.4.2 Numero accettore, AN
5.5 Effetti del solvente sugli equilibri chimici
5.6 Effetti del solvente sul meccanismo di reazione
5.6.1 Reazioni con stati di transizione a sviluppo
o dispersione di carica
5.6.2 Reazioni pericicliche
5.6.3 Reazioni radicaliche
5.7 L’acqua
5.7.1 Reazioni organiche in fase acquosa
5.7.1.1 Cicloaddizioni [4+2]
5.7.1.2 Cicloaddizioni [3+2]
5.7.1.3 Riassestamento di Claisen
5.8 Liquidi ionici
5.9 Problemi
5.10 Bibliografia
Acidi e basi
6.1 Introduzione
6.2 Richiami sugli equilibri acido-base in acqua
6.3 Acidi e basi più deboli dell’acqua
6.4 Acidi più forti di H3O+, basi più forti di OH ¯
6.5 Meccanismo di trasferimento protonico
6.6 Effetti del solvente sull’acidità
6.7 Nucleofili ed elettrofili
6.7.1 Diagrammi di Brønsted
6.7.2 Scale di nucleofilicità
6.7.2.1 Equazione di Swain-Scott
6.7.2.2 Equazione di Ritchie
6.7.2.3 Equazione di Edwards
6.8 Problemi
6.9 Bibliografia
139
140
142
144
144
145
145
145
147
147
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151
151
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156
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162
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164
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184
184
186
186
187
188
189
190
7
8
Utilizzo degli isotopi negli studi meccanicistici
7.1 Introduzione
7.2 Effetti cinetici isotopici
7.2.1 Effetto cinetico isotopico primario
7.2.2 Esempi di effetti cinetici isotopici primari
7.2.2.1 Sostituzioni nucleofile al carbonio saturo
7.2.2.2 Sostituzioni elettrofile aromatiche
7.2.2.3 Eliminazioni
7.2.2.4 Addizioni elettrofile agli alcheni
7.2.3 Effetto cinetico isotopico secondario
7.2.4 Esempi di effetti cinetici isotopici secondari
7.2.5 Effetti cinetici isotopici di tipo sterico
7.2.6 Effetti isotopici dovuti al solvente
7.2.7 Metodo dell’inventario dei protoni
7.3 Marcatura isotopica
7.3.1 Sostituzioni nucleofile SN2
7.3.2 Sostituzioni all’anello aromatico
7.3.3 Addizioni nucleofile al doppio legame C=O
7.3.4 Eliminazioni
7.3.5 Condensazioni
7.3.6 Riassestamenti
7.4 Problemi
7.5 Bibliografia
191
191
192
200
200
201
202
203
203
205
206
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209
211
211
211
213
214
215
216
218
219
Catalisi
8.1 Introduzione
8.2 Catalisi acido-base
8.2.1 Catalisi acida specifica
8.2.2 Catalisi acida generale
8.1.3 Legge della catalisi secondo Brønsted
8.3 Catalisi enzimatica
8.4 Catalisi supramolecolare
8.5 Catalisi micellare
8.6 Catalisi a trasferimento di fase
8.6.1 Catalizzatori a trasferimento di fase
8.6.2 Cinetica dei processi a trasferimento di fase
8.7 Organocatalisi
8.8 Catalisi metallorganica
8.8.1 Idrogenazione omogenea di composti insaturi
8.8.2 Idrosililazione di composti insaturi
8.8.3 Carbonilazione del metanolo
8.8.4 Reazione di Heck
8.9 Problemi
8.10 Bibliografia
220
222
222
224
227
229
229
234
237
238
240
242
245
245
247
247
248
249
250
9
Metodi di attivazione non convenzionali di reazioni organiche
9.1 Introduzione
9.2 Microonde
9.2.1 Riscaldamento con microonde
9.2.2 Effetti specifici delle microonde
9.2.3 Esempi di reazioni organiche attivate dalle microonde
9.3 Sonochimica
9.3.1 Principi generali
9.3.2 Effetti degli ultrasuoni sulle reazioni organiche
9.3.3 Esempi di reazioni organiche attivate dagli ultrasuoni
9.4 Attivazione elettrochimica
9.4.1 Fattori termodinamici e cinetici
9.4.2 La reazione elettrorganica
9.4.3 Ossidazioni anodiche
9.4.4 Riduzioni catodiche
9.5 Fotochimica
9.5.1 Stati eccitati
9.5.2 Processi fotolitici
9.5.3 Processi fotofisici
9.5.4 Processi fotochimici
9.5.4.1 Reazioni fotolitiche
9.5.4.2 Riassestamenti
9.5.4.3 Isomerizzazioni
9.5.4.4 Estrazione di atomi di idrogeno
9.5.4.5 Fotodimerizzazioni
9.6 Problemi
9.7 Bibliografia
252
253
253
256
257
259
260
261
262
264
265
267
267
270
272
272
274
275
278
278
279
279
280
280
280
281
Costanti fisiche
283
Indice analitico
285
Elementi di Chimica Organica Fisica
1
MECCANISMI DI REAZIONE
____________________________________________________________________
1.1 Introduzione
1
1.2 Coordinata di reazione
2
1.3 Principi meccanicistici
7
1.4 Bibliografia
16
____________________________________________________________________
1.1 Introduzione
Il meccanismo di una reazione chimica consiste nella descrizione dettagliata,
passaggio per passaggio, attraverso il quale avviene la trasformazione da reagenti a
prodotti. Per prima cosa il meccanismo di una reazione viene ipotizzato, su basi più
possibile ragionevoli, in modo da rendere conto di tutti i fatti sperimentali disponibili.
Qualora vengano alla luce nuove evidenze sperimentali, queste ultime devono trovare
una spiegazione coerente col meccanismo ipotizzato in precedenza. Se i nuovi fatti vi
trovano riscontro il modello proposto per il meccanismo risulta rafforzato, se invece
non sono compatibili occorre rivedere il quadro meccanicistico modificandolo
opportunamente. La conoscenza dettagliata di un meccanismo di reazione implica la
descrizione di tutte le interazioni molecolari che prendono parte al processo reattivo,
nonché di tutte le specie che si formano nel percorso da reagenti a prodotti. Ad
esempio la formazione di intermedi reattivi dev’essere prevista dal meccanismo di
reazione. Allo stesso modo, la conoscenza dell’energia e della velocità con cui evolve
il sistema devono essere note in ogni momento della trasformazione. Da quanto detto
è chiaro che risulta difficile asserire che un meccanismo di reazione sia mai stato
dimostrato in toto. Tuttavia se esso è in grado di spiegare in modo soddisfacente un
buon numero di fatti sperimentali, se si possono fare previsioni basandosi sul
meccanismo ipotizzato trovando conferma nei fatti, ed infine se è coerente con i
meccanismi di altre reazioni correlate, allora si può dire che il meccanismo è ben
provato ed esso può essere annoverato tra le acquisizioni della chimica organica. Allo
stato attuale i numerosissimi testi di chimica organica fondamentale disponibili
presentano una forma grossolana di meccanismo attendibile per una gran quantità di
reazioni. Si tratta della nota rappresentazione per mezzo delle frecce ricurve che
mostrano il movimento delle coppie di elettroni. Sebbene questa formulazione “a
1
frecce” sia molto comoda, ma soprattutto efficace ed intuitiva, non bisogna
dimenticare che si tratta sempre e solo di ipotesi meccanicistiche attendibili, mentre
la definizione rigorosa di un meccanismo di reazione è stata raggiunta solo in casi
rarissimi. In questa sede ci si propone di illustrare le interdipendenze che sussistono
tra reattività e meccanismo di reazione in modo quantitativo o semiquantitativo. Il
perseguimento di questo obiettivo sarà realizzato determinando i parametri cinetici, il
decorso stereochimico, gli effetti isotopici o del mezzo di reazione, le correlazioni
struttura-reattività ed altri argomenti significativi.
1.2 Coordinata di reazione
E’ uso comune descrivere l’evoluzione di una generica reazione chimica tramite un
diagramma o profilo energetico bidimensionale nel quale viene riportata l’energia del
sistema in funzione della coordinata di reazione (Figura 1.1). Si possono costruire
diagrammi nei quali compare una misura dell’energia definita termodinamicamente,
ad esempio l’entalpia H, l’energia libera G o l’energia interna E. La coordinata di
reazione è invece un termine generico che descrive la riorganizzazione dei nuclei che
si produce durante lo svolgimento della reazione.
E
∆E
reagenti
prodotti
coordinata di reazione
Figura 1.1. Rappresentazione di un generico profilo di reazione bidimensionale per un processo
semplice ad uno stadio.
Questa definizione non è molto soddisfacente dato che per la stragrande maggioranza
delle reazioni organiche è impossibile descrivere rigorosamente tutti i gradi di libertà
posseduti da reagenti e prodotti. Ciò è evidente considerando che un sistema di N
atomi possiede un numero di gradi di libertà vibrazionali pari a 3N-6. Anche una
reazione molto semplice quale la sostituzione nucleofila bimolecolare (SN2) tra il
bromuro di metile e l’anione ioduro, che coinvolge solo 6 atomi,
I¯ + CH3Br → CH3I + Br¯
è descritta da 3 x 6 – 6 = 12 gradi di libertà vibrazionali. Di conseguenza un
diagramma accurato dovrebbe esprimere 13 parametri; 12 vibrazionali ed uno
energetico. Una rappresentazione di questo tipo è naturalmente impossibile. Il meglio
che si può fare è rappresentare due gradi di libertà vibrazionali in funzione
2
dell’energia ricavando il diagramma della superficie dell’energia potenziale (Figura
1.2). In un tale diagramma compaiono due parametri geometrici specifici, in questo
caso le lunghezze dei legami C-Br e C-I, in funzione dell’energia potenziale il cui
asse è perpendicolare al piano descritto dai due parametri geometrici di riferimento.
In questo modo la variazione dell’energia al procedere della reazione non è più
funzione di un generico parametro di riorganizzazione dei nuclei (la coordinata di
reazione) ma dipende da due entità geometriche, due lunghezze di legame, che sono
definite univocamente. E’ ovvio che dovendo limitarsi alla descrizione di due soli
parametri geometrici si scelgono quelli più significativi per la reazione in esame. Nel
caso della sostituzione nucleofila menzionata è naturale che la scelta riguardi il
legame che si forma (C-I) e quello che si rompe (C-Br).
RC-I
RC-Br
Figura 1.2. Rappresentazione del diagramma dell’energia potenziale per la reazione CH3-Br + I¯.
L’interpretazione di un diagramma della superficie potenziale è piuttosto semplice
tenendo presente che si tratta di una proiezione vista dall’alto di un diagramma
tridimensionale le cui linee di livello assumono lo stesso significato di quelle che si
incontrano in una normale mappa topografica. All’aumentare della lunghezza del
legame C-Br, cioè muovendosi lungo la coordinata RC-Br in direzione della freccia, si
sale di energia lungo la linea punteggiata arrivando al punto di rottura di questo
legame. Contemporaneamente la distanza tra carbonio e anione ioduro diminuisce
fino ad arrivare alla formazione del legame C-I. La trasformazione da CH3Br a CH3I
deve quindi passare per un massimo energetico contrassegnato dal simbolo ≠ nella
Figura 1.2; questo massimo assoluto prende il nome di stato di transizione.
Nonostante i profili energetici bidimensionali lascino piuttosto nel vago il concetto di
coordinata di reazione, nella pratica comune della chimica organica essi sono usati
3
molto più frequentemente dei diagrammi di superficie per via dell’immediatezza
nell’individuazione della barriera energetica che separa i reagenti dallo stato di
transizione. Per la reazione in esame il profilo energetico bidimensionale è infatti
molto semplice e del tutto simile a quello illustrato nella Figura 1.1, dove la barriera
energetica è contrassegnata dal simbolo ∆E≠. E’ di particolare importanza definire in
modo rigoroso il punto di massimo dei profili energetici denominato stato di
transizione, come si è detto pocanzi. Lo stato di transizione rispecchia l’assetto meno
stabile degli atomi o delle specie reagenti nella via verso i prodotti. Benché esso
debba essere necessariamente un’entità molecolare, si tratta di una specie altamente
instabile e non isolabile caratterizzato da un tempo di vita inferiore a quello di una
vibrazione molecolare (10-12 s). L’assetto degli atomi giunti allo stato di transizione
non è dunque rilevabile sperimentalmente, e sulla sua struttura si possono fare
congetture fondate sia sulla struttura dei reagenti che dei prodotti. Alternativamente si
può procedere al calcolo dello stato di transizione con metodi computazionali che
hanno il notevole vantaggio di fornirne la struttura e l’energia a partire da principi
non empirici.
E’ utile, a questo punto, passare in rassegna alcuni tra i tipi dei profili di reazione
bidimensionali che si incontrano più comunemente nello studio dei meccanismi delle
reazioni organiche. Va subito detto che è conveniente esprimere l’energia che
compare in ordinata con la funzione energia libera G, dato che il segno dell’energia
libera di reazione ∆Gr dà indicazioni termodinamiche immediate. Il profilo energetico
più semplice è quello relativo al meccanismo ad uno stadio. In questo caso il
passaggio da reagenti a prodotti è caratterizzato dal valore dell’energia libera di
attivazione ∆G≠, che determina la velocità del processo, e dal ∆Gr che indica se la
reazione è eso- od endoergonica. Nel caso del profilo energetico mostrato nella
Figura 1.3 l’energia libera dei prodotti è inferiore a quella dei reagenti e si tratta
dunque di un processo esoergonico: ∆Gr = ∆Gprodotti – ∆Greagenti < 0.
G
∆G
∆Gr
coordinata di reazione
Figura 1.3. Rappresentazione di un profilo di reazione bidimensionale per un processo esoergonico
(∆Gr < 0) ad uno stadio.
Il profilo energetico di una trasformazione endoergonica che avviene attraverso un
meccanismo ad uno stadio è rappresentato nella Figura 1.4.
4
G
∆Gr
∆G
coordinata di reazione
Figura 1.4. Rappresentazione di un profilo di reazione bidimensionale per un processo
endoergonico (∆Gr > 0) ad uno stadio.
Le reazioni che procedono attraverso un meccanismo semplice ad un solo stadio sono
piuttosto diffuse, ne sono esempi le sostituzioni nucleofile bimolecolari ed alcuni tipi
di cicloaddizioni importanti quali le reazioni di Diels-Alder.
Passando alla descrizione dei profili energetici per trasformazioni che avvengono in
più di un passaggio, si introduce il concetto di intermedio di reazione. Quest’ultimo è
un’entità molecolare caratterizzata da un’alta reattività, che è in grado cioè di
evolvere velocemente verso i prodotti oppure di percorrere il cammino inverso
tornando a reagenti. L’esistenza di un equilibrio tra reagenti ed intermedio di reazione
costituisce la prima differenza fondamentale tra esso e lo stato di transizione, per il
quale un equilibrio di questo tipo è precluso. Un’altra differenza fondamentale
resiede nel fatto che un intermedio di reazione può, in linea di principio, venire
isolato, mentre lo stato di transizione può solo evolvere verso i prodotti e, come si è
detto, non può essere mai isolato. Dal punto di vista chimico un intermedio di
reazione è dunque una specie reattiva che può essere evidenziata tramite metodi
chimici, cioè intrappolata con opportuni reagenti, oppure spettroscopici. Come
esempio si consideri il tipico meccanismo operante nelle sostituzioni elettrofile
aromatiche, che prevede la formazione intermedia di cationi arenio. Dalla reazione di
Friedel-Crafts tra il mesitilene ed il fluoruro di etile in presenza di BF3 è stato
possibile caratterizzare il catione intermedio A isolandolo quale solido a punto di
fusione 15°C.
Me
Me
Me
Me
EtF
BF3
+
Me
H
BF4
Et
Me
Me
_
Et
∆
Me
Me
A
Il profilo energetico bidimensionale per una trasformazione esoergonica che implica
la formazione di un intermedio indicato con la lettera I è schematizzato nella Figura
1.5. La reazione inizia con un primo stadio nettamente endoergonico che, passando
5
per un primo stato di transizione, dà luogo alla formazione dell’intermedio I. Un
secondo stadio fortemente esoergonico che passa attraverso un secondo stato di
transizione costituisce il passaggio che porta dall’intermedio I ai prodotti di reazione.
Poiché la prima barriera di attivazione ∆GI≠ è più alta della seconda (∆Gp≠), è
ragionevole supporre che il passaggio reagenti → intermedio debba essere lento
rispetto a quello intermedio → prodotti. In altre parole il primo passaggio, più lento, è
quello che determina la velocità complessiva dell’intero processo. Questa
constatazione, proposta per ora su basi intuitive, verrà ripresa in modo più rigoroso
nel capitolo dedicato alla cinetica chimica.
G
I
∆Gp
∆GI
∆Gr
coordinata di reazione
Figura 1.5. Rappresentazione di un profilo di reazione bidimensionale per un processo esoergonico
(∆Gr < 0) a due stadi.
Per una trasformazione esoergonica che decorre attraverso un meccanismo a due stadi
può anche darsi il caso in cui ∆GI≠ sia inferiore a ∆Gp≠, nel qual caso lo stadio lento
della reazione dev’essere quello che conduce dall’intermedio ai prodotti. La velocità
dell’intero processo è allora determinata da questo secondo stadio, come risulta
schematizzato nella Figura 1.6.
G
∆Gp
I
∆GI
∆Gr
coordinata di reazione
Figura 1.6. Rappresentazione di un profilo di reazione bidimensionale per un processo esoergonico
(∆Gr < 0) a due stadi.
6
1.3 Principi meccanicistici
L’utilizzo e l’interpretazione dei profili energetici bidimensionali si presta ad
introdurre alcuni principi o postulati di fondamentale importanza, dato che essi
esprimono criteri qualitativi in grado di descrivere la reattività degli intermedi, la
distribuzione dei prodotti ottenuta da una reazione e la struttura approssimativa dello
stato di transizione. In questo paragrafo ci si propone di passare in rassegna questi
principi o postulati formulandoli in modo più possibile intuitivo e cercando di
metterne contemporaneamente in rilievo il significato chimico.
1.3.1 Principio della reversibilità microscopica
Il principio della reversibilità microscopica stabilisce che per una reazione reversibile
il cammino percorso per andare da reagenti (R) a prodotti (P) dev’essere lo stesso
seguito per la trasformazione inversa da prodotti a reagenti. Questo principio è del
tutto generale e trae origine da un ragionamento semplice. Poiché durante una
reazione chimica i nuclei e gli elettroni assumomo l’assetto corrispondente alla
minima energia libera possibile, se la reazione è reversibile si deve ripetere lo stesso
assetto nucleare ed elettronico anche per la trasformazione inversa. Il principio della
reversibilità microscopica è importante dal punto di vista meccanicistico in quanto
assicura che se nel percorso R → P vengono generati uno o più intermedi labili, la
formazione di questi ultimi si deve verificare anche nel processo inverso P → R. Lo
stesso discorso vale per gli stati di transizione coinvolti nella reazione. In altre parole
ogni ipotesi meccanicistica proposta per la trasformazione diretta dev’essere valida e
verificata per quella inversa. Nel caso semplice di una reazione esoergonica
reversibile che procede attraverso un solo stadio per la quale sia valido il profilo
energetico illustrato nella Figura 1.3, i reagenti si collocano ad energia superiore
rispetto a quella dei prodotti. Da quanto già detto sull’entità della barriera di
attivazione, risulta chiaro che la velocità di andata dev’essere necessariamente
superiore a quella di ritorno. Ma in virtù del principio della reversibilità microscopica
lo stato di transizione coinvolto dev’essere lo stesso indipendentemente dalla
direzione della reazione.
1.3.2 Postulato di Hammond
Nella sua formulazione originale, il postulato di Hammond stabilisce una relazione
tra la struttura di uno stato di transizione e quella di un intermedio, un reagente od un
prodotto la cui formazione ricorre nella stessa reazione.
“Se due stati, ad esempio uno di transizione ed un intermedio reattivo, si susseguono
durante un processo reattivo ed hanno un contenuto energetico simile, la loro
interconversione implica una piccola riorganizzazione delle strutture molecolari”.
In pratica questo postulato ammette che uno stato di transizione ha struttura simile a
quella di un reagente, intermedio o prodotto la cui energia sia simile a quella dello
stato di transizione in oggetto. Ciò significa che per reazioni ad un solo stadio
caratterizzate da un passaggio esoergonico lo stato di transizione ha struttura simile a
quella dei reagenti, mentre per una reazione endoergonica la struttura dello stato di
transizione coinvolto deve somigliare a quella dei prodotti. Si può intuire come
7
questo postulato sia d’importanza fondamentale nell’ipotizzare la struttura di uno
stato di transizione a secondo delle caratteristiche termodinamiche della reazione.
Esaminando i profili energetici di due reazioni, una eso- e l’altra endoergonica, ci si
rende conto della validità generale del postulato di Hammond. Nel primo caso,
schematizzato nel profilo energetico a sinistra nella Figura 1.7, lo stato di transizione
ha energia e quindi struttura simile a quella dei reagenti. Per contro, nel caso di una
trasformazione endoergonica (profilo energetico di destra nella Figura 1.7), lo stato di
transione ha energia e struttura simile a quella dei prodotti.
G
G
coordinata di reazione
coordinata di reazione
Figura 1.7. Rappresentazione grafica del postulato da Hammond per una reazione esoergonica (a
destra) e di una endoergonica (a sinistra).
Una delle applicazioni più interessanti del postulato di Hammond riguarda il
confronto tra le specie carbocationiche coinvolte nella reazione di eterolisi del legame
carbonio-gruppo uscente (SN1). E’ noto che la stabilità dei carbocationi decresce
nell’ordine 3° > 2° > 1° > Me+. I profili energetici riguardanti la formazione di questi
carbocationi mostrano che passando dal catione t-butilico al catione metilico
l’energia degli stati di transizione si avvicina a quella dei prodotti. La generazione di
un carbocatione più stabile implica dunque il passaggio attraverso uno stato di
transizione più simile ai reagenti.
G
Me+
Et+
iPr+
tBu+
R X
coordinata di reazione
Figura 1.8. Profilo di reazione della generazione di carbocationi per eterolisi del legame R-X.
8
Il postulato di Hammond è stato finora illustrato attraverso i consueti diagrammi
bidimensionali nei quali l’energia libera G è funzione della coordinata di reazione.
Con questo tipo di rappresentazione risulta evidente il contenuto energetico di
reagenti, prodotti e stati di transizione coinvolti nel processo reattivo ma, ovviamente,
non è possibile ricavare informazioni sulla variazione delle lunghezze dei legami che
si formano o si rompono durante la reazione. Benché questi ultimi parametri si
possano desumere dalle superfici di energia potenziale del tipo riportato nella Figura
1.2, si preferisce ricorrere ad un tipo di grafico tridimensionale semplificato, nel
quale vengono omesse le linee di livello, noto come diagramma di More O’FerrallJencks. Nel piano della pagina si trovano le distanze di legame appropriate, che sono
espresse in funzione dell’energia libera il cui asse è perpendicolare al piano della
pagina. In questi diagrammi la coordinata di reazione appare vista dall’alto e per la
generica reazione di sostituzione
R-X + Nu¯ → R-Nu + X¯
l’aspetto del grafico è quello rappresentato nella Figura 1.9. Un processo associativo
puramente SN2 appare come la linea retta a che unisce l’angolo in basso a sinistra
(R-X + Nu¯ ) con quello in alto a destra (R-Nu + X¯ ) in cui la posizione dello stato
di transizione è raffigurata dal punto pieno. L’aspetto peculiare dei diagrammi di
More O’Ferrall-Jencks è legato alla possibilità di mostrare grandezze perpendicolari
alla coordinata di reazione, quali ad esempio le distanze di legame nello stato di
transizione. Qualora un raggruppamento R sia in grado di stabilizzare parzialmente il
carbocatione R+, il processo non segue più il meccanismo SN2 e di conseguenza lo
stato di transizione deve cambiare energia e posizione nel grafico delle distanze di
legame seguendo la linea curva b. Il nuovo stato di transizione è più lasco del
precedente essendo caratterizzato da maggiori distanze R….X ed R….Nu. Un processo
dissociativo descritto dal meccanismo SN1 segue la curva c che prevede l’aumento
della distanza R….X fino alla rottura del legame con formazione del carbocatione R+.
R-Nu+ X -
R+ + X - + Nuc
b
a
R....X
R-X + Nu-
R....Nu
[Nu....R....X] -
Figura 1.9. Diagramma di More O’Ferrall-Jencks per una generica reazione di sostituzione.
9
Quali esempi tipici di reazioni che seguono le linee a, b o c si considerino
rispettivamente le seguenti tre sostituzioni nucleofile, nelle quali è evidente la
crescente stabilizzazione dell’incipiente carica positiva nello stato di transizione.
CH3 Cl
+
I
_
CH3
+
I
l
+
CI
_
+
Cl
_
CI
_
l
Me2N
+
I
_
+
Me2N
Cl
CI
_
l
Nell’ambito di una reazione puramente SN2, qualora il gruppo R abbia caratteristiche
tali da condurre alla stabilizzazione dei prodotti si ravvisa la situazione delineata
nella Figura 1.10 passando dal profilo di reazione a a quello b. Lo stato di transizione
che conduce ai prodotti più stabili è meno energetico e somiglia maggiormente ai
reagenti (minore distanza R….X), come si deduce facilmente dall’esame della Figura
1.10.
a
b
R-Nu+ X -
R+ + X - + Nu-
R....X
R-X + Nu-
R....Nu
[Nu....R....X] -
Figura 1.10. Diagramma di More O’Ferrall-Jencks per reazioni SN2.
10
1.3.3 Principio di Bell-Evans-Polanyi
Questo principio sancisce che la barriera di attivazione per una reazione concertata è
inferiore a quella della corrispondente reazione a stadi. Considerando la generica
reazione di sostituzione
A + B-C → A-B + C
la barriera di attivazione è costituita dall’energia necessaria allo stiramento del
legame B-C e dall’iniziale repulsione A---B. Sovrapponendo i profili energetici
corrispondenti allo stiramento dei legami A-B e B-C si ottiene il diagramma
rappresentato nella Figura 1.11. La curva inferiore descrive la rottura del legame B-C
per l’ipotetica reazione A + B-C → A + B + C mentre la curva superiore è relativa
alla formazione del legame A-B nell’ipotetica reazione A + B + C → A-B + C. La
barriera di attivazione ∆G≠ per la reazione di sostituzione è data dalla differenza tra le
energie del punto d’incrocio tra i due profili di reazione ed i reagenti. Da questa
rappresentazione grafica risulta evidente che la barriera di attivazione per la reazione
concertata, nella quale cioè l’atomo o la specie A sposta il gruppo uscente C,
dev’essere più bassa di quella per il corrispondente processo a stadi che richiederebbe
la rottura completa del legame B-C la cui energia è data nel diagramma della Figura
1.11 dal punto in ordinata A + B + C.
A+B+C
A+B+C
G
A + B-C
∆G
A-B + C
stiramento dei legami
Figura 1.11. Diagramma di Bell-Evans-Polanyi che mostra la barriera di attivazione per la reazione
A + B-C → A-B + C.
Generalizzando, si considerino due reazioni in stretta relazione tra loro
A1 + B-C → A1-B + C
A2 + B-C → A2-B + C
il corrispondente diagramma di Bell-Evans-Polanyi è schematizzato nella Figura
1.12. Qualora i prodotti A1-B + C siano meno stabili di A2-B + C, il profilo
11
energetico relativo alla seconda reazione ha energia inferiore ed il punto di incrocio,
che esprime la barriera di attivazione, è più somigliante ai reagenti.
An + B + C
An + B + C
G
∆∆G
An + B-C
A1-B + C
A2-B + C
stiramento dei legami
Figura 1.12. Diagramma di Bell-Evans-Polanyi per le reazioni A1 + B-C → A1-B + C ed
A2 + B-C → A2-B + C
Sulla base di questi semplici diagrammi si ricavano due indicazioni importanti:
1.
la stabilizzazione dei prodotti comporta la stabilizzazione dello stato di
transizione e quindi la riduzione della barriera di attivazione,
2.
più una reazione è esoergonica più è caratterizzata da uno stato di
transizione simile ai reagenti.
1.3.4 Controllo cinetico e termodinamico
In chimica organica esistono numerosissimi esempi di reazioni nelle quali un certo
reagente A può dare luogo alla formazione contemporanea di due prodotti differenti
attraverso differenti cammini di reazione. Questa situazione è rappresentata dallo
schema
B
A
C
ed è nota col termine di reazione parallela o competitiva (cfr. paragrafo 2.3.6). Si
supponga che il prodotto B sia termodinamicamente più stabile del prodotto C, ma
che quest’ultimo si formi più velocemente. Ciò implica che la barriera di attivazione
per la reazione A → C debba essere più bassa di quella necessaria per lo svolgimento
della reazione A → B. Dal punto di vista grafico questa situazione è rappresentata
nella Figura 1.13, dove le grandezze ∆GB≠ e ∆GC≠ sono le barriere di attivazione
relative rispettivamente alle reazioni A → B ed A → C. Se nessuna di queste due
reazioni è reversibile, il prodotto C si deve ottenere in quantità preponderante dato
12
che si forma più velocemente. Questa situazione si modifica radicalmente se le
reazioni in oggetto sono reversibili e può quindi essere raggiunto un equilibrio. In
questa evenienza si possono distinguere due casi. Nel primo, che prevede
l’interruzione della reazione prima che venga raggiunto l’equilibrio, la reazione è
sotto il controllo cinetico e si ottiene preferenzialmente il prodotto C che si forma più
velocemente. Questo prodotto è detto cineticamente controllato. Se invece si lascia
procedere la reazione fino al raggiungimento dell’equilibrio si ha la formazione
predominante del prodotto B termodinamicamente più stabile. In queste condizioni
infatti il prodotto cinetico C è libero di equilibrare tornando al reagente A mentre il
prodotto B, detto termodinamicamente controllato, deve superare una barriera
energetica più alta per poter riequilibrare ad A.
G
∆GB
∆GC
Α
C
Β
coordinata di reazione
Figura 1.13. Profilo energetico che illustra il controllo cinetico e termodinamico per una reazione
competitiva B ← A → C.
Si può anche verificare il caso in cui il prodotto termodinamico B sia anche quello
che si forma più velocemente (∆GB≠ < ∆GC≠). Per questa evenienza, il cui profilo
energetico è illustrato nella Figura 1.14, si ha la formazione largamente
preponderante di B.
G
∆GC
∆GB
Α
C
Β
coordinata di reazione
Figura 1.14. Profilo energetico che illustra il controllo cinetico e termodinamico per una reazione
in cui il prodotto termodinamico B è anche quello che si forma più velocemente.
13
Esistono numerosissime reazioni organiche per le quali si può utilmente impiegare il
concetto di controllo cinetico o termodinamico. Un esempio particolarmente
interessante per via delle notevoli implicazioni sintetiche riguarda la formazione di
enolati per trattamento basico dei chetoni corrispondenti. Il 2-metilcicloesanone può
dare luogo alla formazione competitiva di due enolati isomeri. La deprotonazione
nella posizione 6 dell’anello cicloesanico avviene velocemente e porta alla
formazione dell’enolato cinetico meno sostituito. Ciò è dovuto alla accessibilità dei
protoni metilenici, cioè al fatto che i protoni in questa posizione non sono
stericamente ingombrati. Contemporaneamente la deprotonazione nella posizione 2
dell’anello comporta la formazione dell’enolato più sostituito e quindi
termodinamicamente più stabile. Interrompendo la reazione prima del
raggiungimento dell’equilibrio, ovvero operando a temperatura relativamente bassa,
si ha la formazione preponderante dell’enolato cinetico mentre a temperature
superiori o a tempi più lunghi si osserva la formazione dell’enolato termodinamico.
O
enolato cinetico
O
O
enolato termodinamico
1.3.5 Principio di Curtin-Hammett
Con il principio di Curtin-Hammett si spiega la distribuzione di prodotti che si
osserva in una reazione che decorre attraverso due o più reazioni competitive. Nella
sua forma più semplice ed intuitiva questo principio sancisce che il rapporto tra i
prodotti di una reazione è determinato solo dall’entità delle barriere energetiche di
attivazione che conducono ai rispettivi prodotti. Quale corollario molto importante
segue che il rapporto tra i prodotti di reazione non dipende dalla formazione di specie
isomeriche, conformeri o veri e propri intemedi formati prima degli stati di
transizione. Si consideri a questo proposito una reazione che, partendo da un dato
reagente, può condurre a due intermedi I1 ed I2 in equilibrio tra loro (Figura 1.15).
Questi intermedi possono equilibrare tra loro poiché la barriera energetica di
interconversione è piuttosto piccola. Una condizione che dev’essere necessariamente
rispettata è che questa barriera di interconversione sia assai minore di quelle che
conducono ai prodotti P1 e P2. Nel caso in questione la via che conduce al prodotto P1
deriva dall’intermedio I1, che è più stabile di I2. Ma per quest’ultimo intermedio la
barriera energetica di attivazione che lo separa dal corrispondente prodotto P2 è più
bassa di quella che caratterizza la trasformazione I1 → P1. Ci si deve dunque
attendere che il prodotto maggioritario della reazione sia P2 il linea con l’assunto che
14
il risultato della reazione dipende solo dall’entità delle barriere di attivazione reagenti
→ prodotti e non dalla stabilità relativa degli intermedi di reazione.
G
I2
I1
P1
P2
coordinata di reazione
Figura 1.15. Profilo energetico che illustra il controllo cinetico e termodinamico per una reazione
in cui il prodotto termodinamico P2 è anche quello che si forma più velocemente.
1.3.6 Principio di reattività-selettività
Uno dei primi principi che si incontrano nello studio della chimica organica è quello
relativo alla relazione tra reattività e selettività, laddove specie reattive sono ritentue
meno selettive di specie più stabili. Questa relazione inversa tra reattività e selettività
ha il pregio di essere intuitiva ed è infatti utilizzata molto diffusamente. Moltissime
reazioni organiche obbediscono al principio di reattività-selettività, basti pensare
all’alogenazione radicalica degli alcani o alla chimica dei carbeni. La selettività
mostrata nella bromurazione del 2-metilbutano è più alta di quella dell’analoga
reazione di clorurazione, come mostrato dal seguente Schema e in accordo con la
maggior stabilità (minor reattività) del radicale Br• rispetto a Cl•.
Br2
Br
+ Br
+
∆
+
Br
Br
90.4%
Cl2
Cl
9%
+ Cl
+
∆
0.34%
0.17%
+
Cl
Cl
28%
35%
15
24%
12%
In un ulteriore esempio, che riguarda la reattività dei carbeni con olefine, il metilene è
in grado di discriminare molto meno del difluorocarbene meno reattivo. Tuttavia, a
dispetto della sua immediatezza, il principio di reattività-selettività è tutt’altro che
generale poiché esistono numerosissimi esempi nei quali si manifesta un
comportamento opposto a quello atteso. A titolo di esempio si consideri la reazione di
addizione coniugata su metilenechinoni ad opera di carbanioni. Il carbanione più
reattivo tra quelli esaminati, cioè il nitroetilene, è anche quello che esprime la
maggior selettività.
NO2
O
COOEt
O
Ar
EtOOC
COOEt
O
O
O
O
In questo caso la mancanza di correlazione inversa tra reattività e selettività è stata
imputata a diversi fattori quali la solvatazione o l’ingombro sterico, che sarebbero in
grado di modificare la reattività intrinseca delle specie reattive. In effetti le richieste
steriche dell’anione del dimedone sono molto diverse e superiori a quelle dell’anione
del nitroetano.
E’ comunque opportuno constatare che il principio di reattività-selettività è empirico
e in quanto tale si può prestare a violazioni di vario tipo. Inoltre i modelli teorici che
nel corso del tempo sono stati utilizzati per inquadrare il principio di reattivitàselettività si basano essenzialmente sul principio di Bell-Evans Polanyi e in quanto
tali sono di gran lunga troppo semplificati per rendere conto della molteplicità delle
interazioni realmente operanti in una reazione organica.
1.4 Bibliografia
Tra i numerosi testi a carattere generale che trattano la chimica organica fisica si
segnalano qui i più recenti e completi, la cui lettura costituisce sempre un utilissimo
approfondimento. Esistono diverse tipologie di questi libri di testo a secondo che il
loro orientamento sia di tipo chimico-organico o chimico-fisico.
Fra i libri progettati per un corso annuale caratterizzati da un orientamento di tipo
chimico-organico, ovvero che dedicano la maggior parte dello spazio alla discussione
delle reazioni organiche dal punto di vista meccanicistico, si segnalano i seguenti
testi:
1.
2.
3.
N. S. Isaacs Physical Organic Chemistry Longman, Harlow, 1995.
E. V. Anslyn, D. A. Dougherty Modern Physical Organic Chemistry University
Science Book, Sansalito, 2006.
F. A. Carroll Perspectives and Structure and Mechanism in Organic Chemistry
Brooks Cole, 1995.
16
Un libro ormai classico, sebbene un pò datato, è il seguente
4.
R.W. Alder, R. Baker, J. M. Brown Meccanismi di Reazione della Chimica
Organica Piccin, Padova, 1976.
Buoni esempi di libri con orientamento chimico-fisico sono:
5.
6.
K. B. Wiberg Physical Organic Chemistry John Wiley & Sons, New York,
1964.
C. D. Ritchie Physical Organic Chemistry Marcel Dekker, New York, 1990.
17
2
ELEMENTI DI CINETICA CHIMICA
____________________________________________________________________
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
2.6
2.7
2.8
2.9
2.10
Introduzione
Definizioni fondamentali
Equazioni cinetiche
Metodi sperimentali
Dipendenza della velocità dalla temperatura
Dipendenza della velocità dalla pressione
Reazioni intramolecolari
Cinetica chimica applicata ad alcune reazioni organiche
Problemi
Bibliografia
18
18
20
34
38
45
50
55
63
65
2.1 Introduzione
La cinetica chimica si occupa di determinare sperimentalmente la variazione di
concentrazione di reagenti e/o prodotti che si verifica in una reazione chimica
nell’unità di tempo. Queste determinazioni si realizzano previa la conoscenza di
alcuni concetti fondamentali quali la velocità di una reazione chimica, l’ordine
cinetico della reazione e la sua molecolarità. La caratteristica più interessante legata
alla misura della velocità di reazione è la possibilità di trarre informazioni utili nella
definizione del meccanismo della reazione in questione. Si possono infatti
individuare quali molecole interagiscono nello stadio lento della reazione, il che è
essenziale per chiarire la dinamica dell’intero processo, oppure determinare
grandezze d’interesse fondamentale quali i parametri di attivazione.
2.2 Definizioni fondamentali
Per una generica reazione chimica
A+B→C+D
si definisce velocità di reazione la grandezza espressa dall’equazione 2.1, dove con
[A], [B] e [C], [D] si indicano rispettivamente le concentrazioni dei reagenti e dei
prodotti. Il segno meno davanti ai rapporti che si riferiscono ai reagenti significa che
18
la loro concentrazione diminuisce al procedere della reazione; viceversa nel caso dei
prodotti è ovvio l’andamento opposto, che implica un incremento della loro
concentrazione al procedere della reazione.
v=−
d[A ]
d[B] d[C] d[D]
=−
=
=
dt
dt
dt
dt
equazione 2.1
E’ bene puntualizzare che la velocità di reazione è una grandezza dimensionale.
Qualora le concentrazioni delle specie presenti nella miscela di reazione siano
espresse in termini di molarità, le dimensioni di v risultano mole l-1 s-1. Utilizzando
altre definizioni per la concentrazione (formalità, molalità, ecc.) le unità di misura di
v dovranno variare di conseguenza ma, indipendentemente dal metodo impiegato per
designare la concentrazione delle specie presenti, il significato fisico delle dimensioni
relative alla velocità di reazione resta invariato.
La dipendenza della velocità di reazione dalla concentrazione iniziale dei reagenti
determina la legge cinetica della reazione. Per la generica reazione tra le specie A e
B menzionata sopra, i dati sperimentali permettono di ottenere l’equazione 2.2 nella
quale k è la costante di velocità ed m,n sono i coefficienti con cui compaiono le
concentrazioni dei reagenti.
v = k[A]m [B]n
equazione 2.2
Anche k è una grandezza dimensionale ed il suo significato fisico verrà discusso caso
per caso, variando a secondo dell’ordine della reazione. A questo punto è naturale
eguagliare le equazioni 2.1 e 2.2 ottenendo la seguente relazione.
v=−
d[A ]
d[B] d[C] d[D]
=−
=
=
= k[A ]m [B]n
dt
dt
dt
dt
Gli esponenti m ed n sono definiti come ordini di reazione dei reagenti, mentre la
somma m + n determina l’ordine globale della reazione. Dall’esame dalla generica
reazione chimica finora utilizzata è chiaro che gli ordini di reazione non hanno nulla
a che vedere con i coefficienti stechiometrici che compaiono nella medesima
reazione. E’ bene insistere sul fatto che la determinazione degli ordini di reazione
viene eseguita attraverso una serie di misure sperimentali, alcune delle quali saranno
brevemente illustrate attraverso opportuni esempi nel paragrafo 2.4.
Di diversa natura è la molecolarità di una reazione chimica, che è definita come il
numero di molecole reagenti che prendono parte ad una sola reazione elementare
consistente in un unico passaggio. La maggior parte delle reazioni elementari hanno
molecolarità pari ad uno o a due, sebbene esistano rare reazioni nelle quali tre
molecole collidono simultaneamente dando luogo ad una molecolarità pari a tre.
Dalla definizione data per la molecolarità di una reazione risulta chiaro che essa è
definita solo per reazioni elementari. Per processi costituiti da più stadi non si può
parlare di molecolarità globale, ma solo della molecolarità relativa ad ogni singolo
stadio.
19
Il seguente esempio, che riguarda la decomposizione termica del pentossido di
diazoto, si presta bene a chiarire la differenza tra ordine e molecolarità di una
reazione chimica.
L’equazione stechiometrica della reazione è
2 N2O5 → 4 NO2 + O2
che dice poco o nulla sul suo meccanismo. In effetti l’intero processo è più
complicato di quanto possa apparire da questa semplice relazione stechiometrica.
Da misurazioni cinetiche si deduce la seguente legge di velocità
d[O2]
= k[ N 2 O 5 ]
dt
cioè la reazione è del primo ordine. Raccogliendo ulteriori evidenze sperimentali è
poi stato possibile mettere in luce il seguente meccanismo a tre passaggi
N2O5 → NO2 + NO3•
NO2 + NO3• → NO2 + NO + O2
NO + NO3• → 2 NO2
(veloce)
(lento)
(veloce)
nel quale il secondo passaggio è quello lento, che controlla la velocità complessiva
della reazione. La molecolarità di questo passaggio è due, dato che la reazione
elementare che lo caratterizza avviene per collisione tra una molecola di NO2 ed una
del radicale NO3•. Riassumendo per il caso in questione, una reazione dalla
stechiometria semplice risulta caratterizzata da un meccanismo a stadi piuttosto
complesso, è del primo ordine ed è bimolecolare.
2.3 Equazioni cinetiche
Lo scopo di questo paragrafo è quello di fungere da introduzione all’argomento
dell’integrazione di alcune equazioni cinetiche e di illustrarne le applicazioni in
chimica organica, laddove esse risultino particolarmente interessanti. Poiché il campo
relativo all’integrazione delle equazioni cinetiche è vasto e sovente complesso, ci si
limiterà all’esposizione dei casi più semplici o più comuni evitando nel contempo
dimostrazioni matematiche dettagliate.
2.3.1 Reazioni del primo ordine
Se dallo studio sperimentale della reazione
A → prodotti
si ricava una dipendenza della velocità proporzionale alla prima potenza del solo
reagente A, l’equazione cinetica assume la forma
20
v=−
d[A]
= k[A]
dt
L’integrazione di questa semplice equazione differenziale a variabili separabili è
immediata. Ponendo [A]0 come la concentrazione del reagente al tempo t = 0 si
ottiene
[ A ]0
log
= kt
equazione 2.3
[A]
Questa forma logaritmica dell’equazione cinetica non è altro che una retta passante
per l’origine degli assi cartesiani il cui coefficiente angolare è la costante di velocità k
(Figura 2.1), che in questo caso ha le dimensioni di una frequenza (s-1).
log [A]0
[A]
α
tan α = k
t
Figura 2.1. Rappresentazione grafica dell’equazione integrata in forma logaritmica per una cinetica
del primo ordine.
E’ utile esprimere l’equazione cinetica integrata nella seguente forma esponenziale.
[A]
= e −kt
[A]0
Quest’ultima espressione indica che la frazione di A non ancora reagita al tempo t
decresce esponenzialmente all’aumentare di t, come mostrato nella Figura 2.2.
[A] 1 [A]0
t
Figura 2.2. Dipendenza esponenziale del rapporto [A]/[A]0 in funzione di t.
21
Una volta nota la costante di velocità, la forma integrata dell’equazione cinetica del
primo ordine permette di ricavare in modo assai semplice il tempo che occorre
affinché reagisca una certo ammontare del reagente A. E’ uso comune procedere al
calcolo del tempo di semitrasformazione, definito come tempo necessario affiché la
concentrazione del reagente A diventi la metà di [A]0. Si procede semplicemente
sostituendo [A]0 con 2[A] nell’equazione 2.3 in modo che quest’ultima diventi
t½ = log 2/k = 0.693/k
dove t½ è indipendente da [A]0 e rappresenta dunque il tempo di dimezzamento di una
qualsiasi concentrazione di A.
Come esempio tipico di una reazione del primo ordine si consideri l’idrolisi del
cloruro di t-butile in acido formico. La velocità della reazione dipende solo dalla
concentrazione del cloruro di t-butile e non da quella dell’acqua.
−
t-BuCl + H2O→ t-BuOH + HCl
d[tBuCl]
= k1[tBuCl]
dt
Lo stesso comportamento cinetico è operante per la solvolisi della maggior parte
degli alogenuri alchilici terziari condotta in etanolo acquoso od altri solventi.
Una reazione del primo ordine che procede con meccanismo completamente diverso
dalle solvolisi è la decomposizione termica del bis-t-butil perossido, che è stata
studiata in fase vapore a 150°C.
t-Bu-O-O-t-Bu → 2Me2C=O + C2H6
−
d[tBu 2 O 2 ]
= k1[tBu 2 O 2 ]
dt
2.3.2 Reazioni di ordine zero
Si verifica questa eventualità quando la la velocità di reazione del reagente A è
costante nel tempo, ovvero quando l’equazione cinetica assume la forma
v=−
d[A ]
=k
dt
la cui integrazione dà subito
[A]0 - [A] = kt
dove k ha le dimensioni mol l-1 s-1.
Dal punto di vista pratico, la stessa espressione si ottiene anche da cinetiche di ordine
diverso da zero se la concentrazione di A è abbastanza grande da poter essere ritenuta
costante durante il corso della reazione senza commettere un errore significativo. In
questi casi si parla di reazioni di pseudo ordine zero.
22
L’esistenza di reazioni di ordine zero mette in evidenza la già discussa indipendenza
dei concetti di ordine e molecolarità. L’ordine di reazione rispetto ad un reagente non
può indicare il numero di molecole che prendono parte ad una reazione elementare in
un singolo stadio perché se così fosse si avrebbe l’assurdo che per reazioni di ordine
zero il reagente, che pure deve trasformarsi in prodotto, non prende parte alla
reazione elementare. La stessa considerazione si applica, naturalmente, in tutti quei
casi in cui l’integrazione dell’equazione cinetica dà luogo ad ordini di reazione
frazionari.
2.3.3 Reazioni del secondo ordine
Per quanto riguarda le cinetiche del secondo ordine, si possono distinguere due casi a
secondo del tipo di reazione preso in esame.
Considerando la generica reazione
2A → prodotti
la corrispondente equazione cinetica assume la forma
v=−
d[A]
= k[A] 2
dt
che per integrazione dà come risultato l’equazione 2.4
−∫
−
d[A]
[A]2
= k ∫ dt
1
1
= kt +
[ A ]0
[A]t
equazione 2.4
dove [A]t è la concentrazione del reagente al tempo t e [A]0 è la sua concentrazione
iniziale. L’equazione 2.4 è quella di una retta avente intercetta 1/[A]0 e pendenza k,
come mostrato dalla Figura 2.3.
_
1
[A]t
α
intercetta =
tan α = k
1
[A]0
t
Figura 2.3. Rappresentazione grafica dell’equazione 2.4.
23
Quale secondo caso si consideri la generica reazione
A + B → prodotti
dove essa mostri un andamento del primo ordine rispetto ad ognuno dei reagenti A e
B, ovvero una cinetica del secondo ordine complessivo. L’equazione generale è del
tipo
v=−
d[A]
= k[A] [B]
dt
Posto che A e B reagiscano mole a mole, la sua integrazione dà come risultato
[A]0 [B]
1
log
= kt
[B]0 − [A ]0
[B]0 [A]
che è l’equazione di una retta passante per l’origine degli assi cartesiani con pendenza
k([B]0 - [A]0). Le dimensioni della costante di velocità per una reazione del secondo
ordine, che si ricavano facilmente dalla forma integrata delle equazioni cinetiche,
sono concentrazione-1 tempo-1 ossia, nel caso la concentrazione sia espressa in termini
di molarità, k ≡ l mol-1 s-1.
Un gran numero di sostituzioni nucleofile di alogenuri alchilici primari procede
attraverso una cinetica del secondo ordine. Ne è un esempio la reazione tra il bromuro
di metile e l’idrossianione, la cui velocità dipende sia dalla concentrazione del
bromuro alchilico che da quella dell’idrossianione.
MeBr + OH¯ → MeOH + Br¯
−
d[MeBr]
= k 2 [MeBr][OH - ]
dt
Lo stesso schema cinetico è seguito da una reazione del tutto diversa come la
iodurazione dell’acetone in ambiente basico, che costituisce il primo passaggio del
saggio di riconoscimento di metilchetoni.
O
+ I2
−
O
_
OH
I
+ H2O + I
_
d[acetone]
= k 2 [acetone][OH - ]
dt
Quale esempio di reazioni del secondo ordine in uno solo dei reagenti è opportuno
considarare la cicloaddizione secondo Diels-Alder del ciclopentadiene. Di fatto si
tratta della dimerizzazione del reagente promossa termicamente.
24
∆
2
−
d[C 5 H 6 ]
= k 2 [C 5 H 6 ] 2
dt
2.3.4 Reazioni in serie
Quello delle reazioni in serie o consecutive è un caso molto importante in vista delle
sue numerose applicazioni in chimica organica, specialmente nel campo delle
reazioni di polimerizzazione. Lo schema generale si può scrivere
k1
A
B
k2
C
dove con B si designa un prodotto intermedio. Le equazioni cinetiche sono
−
d[A ]
= k1[A ];
dt
d[B]
= k1[A] − k 2 [B];
dt
d[C]
= k 2 [B]
dt
Dal punto di vista grafico, il diagramma che esprime la concentrazione delle tre
specie A, B, C in funzione del tempo ha l’aspetto descritto dalla Figura 2.4. La curva
relativa all’andamento della concentrazione in funzione del tempo per il reagente A
deve avere un andamento esponenziale tendente a zero, mentre la curva di
concentrazione relativa al prodotto C mostra un andamento crescente che si
approssima alla concentrazione massima che il prodotto C raggiunge a fine reazione.
La curva che descrive la concentrazione dell’intermedio B in funzione del tempo
mostra invece un massimo la cui altezza aumenta all’aumentare del rapporto k1/k2.
conc.
[C]
[A]
[B]
t
Figura 2.4. Rappresentazione grafica di una reazione in serie.
Dalle equazioni cinetiche si ricava
[A] = [A]0 exp(-k1t)
25
da cui
d[B]
= k1[A]0 exp(−k1t ) − k 2 [B]
dt
L’integrazione di quest’ultima espressione dà, dopo vari passaggi, l’equazione 2.5.
[ C] = [ A ] 0 −
k1[A]0
[exp(−k1t ) − exp(k 2 t )]
k 2 − k1
equazione 2.5
Nel caso sia k1 >> k2 si può ritenere che exp(-k1t)≅ 0, e l’equazione 2.5 si riduce a
[C] ≅ [A ]0 [1 − exp(k 2 t )]
ovvero un’equazione cinetica del primo ordine relativa allo stadio più lento, cioè
determinato dal valore di k2. In altre parole, poiché lo stadio più veloce non compare
nell’equazione cinetica, l’andamento di una reazione consecutiva che rispetti le
condizioni sopra imposte dipende esclusivamente dal passaggio lento dell’intero
processo.
Dal punto di vista pratico risulta interessante prendere in considerazione lo schema di
una reazione in serie caratterizzata da un primo stadio veloce e reversibile
(preequilibrio), poiché questo è il caso di numerose reazioni organiche.
Come primo esempio si consideri la condensazione benzoinica della benzaldeide, il
cui schema cinetico è così riassunto.
Ph
OH
_
PhCHO + CN
+ PhCHO
Ph
k2
CN
Ph
O
CN
OH
Il primo stadio di questa trasformazione implica un veloce equilibrio caratterizzato
dalla costante K mentre il secondo stadio, più lento, determina la velocità della
reazione complessiva. Si può quindi scrivere
OH
Ph
K=
OH
CN
PhCHO
_
CN
v = k2
PhCHO
Ph
CN
Dall’espressione della costante di equilibrio si ricava
OH
Ph
_
= K PhCHO CN
CN
26
che per sostituzione nell’equazione cinetica dà un’espressione del terzo ordine
complessivo: del secondo ordine rispetto alla benzaldeide e del primo ordine rispetto
all’anione cianuro.
v = k2 K PhCHO
2
_
CN
Un trattamento del tutto analogo si applica per il trattamento basico del 2-cloro
etanolo che dà luogo alla formazione dell’ossido di etilene. In questo caso la reazione
è complessivamente del secondo ordine.
Cl
_
OH + OH
k1
O
Cl
O
+ Cl
_
O
Cl
K=
OH
Cl
v = k1 Cl
_
OH
OH
v = k1K Cl
O
_
OH
2.3.5 Ipotesi dello stato stazionario
Nel caso delle reazioni consecutive non si è fatta alcuna ipotesi né sulla natura né
sulla reattività dell’intermedio B. Tuttavia nella chimica organica è prassi comune
riferirsi ad un intermedio di reazione quale entità assai reattiva la cui presenza, a
volte, non è neppure rivelabile. A patto che l’intermedio di reazione soddisfi la
caratteristica di essere estremamente reattivo, è ragionevole supporre che la sua
concentrazione debba essere sempre molto bassa durante lo svolgersi della reazione
anche per tempi piuttosto lunghi. Ciò implica che il rapporto d[B]/dt si possa ritenere
nullo nell’arco di tempo considerato. Dato dunque lo schema cinetico
A
k1
B
k- 1
k2
C
si può scrivere
−
d[B]
= k 2 [B] − k1[A] + k −1[B] ≅ 0
dt
che esprime l’ipotesi dello stato stazionario.
A questo punto, poiché
d[C]
= k 2 [B]
dt
e
[B] =
27
k1
[A ]
k 2 + k −1
si ha
kk
d[C]
= 1 2 [A]
dt
k 2 + k −1
equazione 2.6
Ma nell’ipotesi che B sia un intermedio reattivo si può correttamente porre k2 >> k-1,
il che significa che il primo stadio dello schema cinetico è quello lento. L’equazione
2.6 si riduce allora a
d[C]
= k1[A]
dt
che esprime una semplice cinetica del primo ordine.
Un esempio interessante che illustra in modo esauriente l’ipotesi dello stato
stazionario è dato dall’idrolisi del cloruro di benzidrile in acetone acquoso. Lo
schema meccanicistico della reazione e la corrispondente equazione cinetica sono
illustrati di seguito.
Ph2CHCl
v=
k1
k-1
_
Ph2CH + Cl
k1k2[Ph2CHCl]
_
k2 + k-1 [Cl ]
=
k2
H2O
Ph2CHOH + HCl
k1[Ph2CHCl]
_
1+
k-1 [Cl ]
k2
Prima di tutto si deve notare che al denominatore dell’equazione cinetica compare la
concentrazione dell’anione cloruro. Ciò implica che un aumento della sua
concentrazione rallenta la velocità della reazione, cioè se all’inizio della reazione
viene deliberatamente aggiunto ione cloruro in eccesso (per esempio KCl) si osserva
una diminuzione della velocità di reazione.
Nel caso non venga aggiunto ione cloruro in eccesso, nelle fasi iniziali della reazione
la sua concentrazione si può ritenere abbastanza piccola da poter essere trascurata. Il
secondo termine del denominatore dell’equazione cinetica si può allora ritenere nullo.
La cinetica complessiva diventa del primo ordine e la corrispondente equazione
assume la consueta forma
v = k1[Ph2CHCl]
2.3.6 Reazioni parallele
Si ha una reazione parallela quando un reagente può sottostare contemporaneamente
a differenti cammini di reazione ciascuno dei quali conduce ad un prodotto differente.
Lo schema generale di una reazione parallela si può scrivere come segue.
28
k1
B
k2
A
C
k3
D
La velocità di scomparsa del reagente A è data da
-
d[A ]
= (k1 + k 2 + k 3 )[A] = k[A ]
dt
equazione 2.7
dove con k = k1 + k2 + k3 si indica la costante di velocità globale. L’equazione 2.7 si
integra quindi come una semplice equazione del primo ordine ottenendo
[A] = [A]0 exp(-kt)
equazione 2.8
Per quanto riguarda il prodotto B si può scrivere
d[B]
= k1[A]
dt
ovvero
d[B] = k1[A]dt
e dato che per l’equazione 2.7 deve essere [A]dt = -d[A]/k si ottiene
d[B] = −
k1
d[A ]
k
L’integrazione di quest’ultima equazione è immediata e dà
[B] - [B]0 = −
k1
([A ] − [A ]0 )
k
nella quale, sostituendo l’equazione 2.8, si ha infine
[B] = [B]0 +
k1
[A ]0 [1 − exp(− kt )]
k
Per i prodotti C e D si procede in modo del tutto analogo.
2.3.7 Cinetiche enzimatiche
E’ noto che gli enzimi sono molecole proteiche in grado di esplicare una spiccata
attività catalitica nei confronti di un gran numero di reazioni chimiche. L'attività degli
enzimi è determinata dalla loro struttura quaternaria, ovvero dalla loro conformazione
tridimensionale. La maggior parte degli enzimi presenta una notevole specificità per
29
una certa reazione mostrando spesso livelli elevatissimi di chemo-, regio- e
stereoselettività. Esistono anche alcuni enzimi caratterizzati da una specificità minore
che agiscono su un numero relativamente ampio di substrati.
Dal punto di vista cinetico lo schema generale di una reazione enzimatica si può
scrivere
E + S
k1
k-1
ES
k2
E + P
k-2
dove con E, S, P si indicano rispettivamente l’enzima, il substrato ed il prodotto.
L’intermedio ES è detto complesso enzima-substrato. Va subito detto che la reazione
inversa dal prodotto al complesso ES è di solito estrememente lenta e quindi k-2 si
può trascurare nell’equazione cinetica che diventa
d[ES]
= k1[E ][S] − k −1[ES] − k 2 [ES]
dt
Applicando l’ipotesi dello stato stazionario si può scrivere
k1[E ][S] − k −1[ES] − k 2 [ES] = 0
ovvero
[ES] =
k1[E][S] [E ][S]
=
k −1 + k 2
Km
equazione 2.9
dove con Km = (k-1 + k2)/k1 si indica la costante di Michaelis. L’equazione 2.9 non è
utile ai fini della descrizione cinetica della reazione enzima-substrato poiché non è
nota la concentrazione [E] dell’enzima al tempo t. Viceversa è nota la concentrazione
[E]0 dell’enzima all’inizio della reazione, ed essendo [E]0 = [E] + [ES] l’equazione
2.9 si può riscrivere come
[ES] =
[E ]0 [S]
K m + [S]
A questo punto la velocità della reazione enzima-substrato si può scrivere
v=−
k [E] [S]
d[S]
= k 2 [ES] = 2 0
dt
K m + [S]
equazione 2.10
che prende il nome di equazione di Michaelis-Menten.
30
Dal punto di vista pratico risulta utile esprimere la velocità V definita come velocità
massima che si ha quando [S] >> Km, cioè V = k2[E]0. L’equazione 2.10 si può quindi
scrivere nella forma
v=
V [S]
K m + [S]
equazione 2.11
Quest’ultima equazione rappresenta un ramo d’iperbole che ha V come asintoto e per
cui, quando Km = [S] si ha v = V/2 (Figura 2.5).
v
V
V/2
[S]
Km
Figura 2.5. Rappresentazione grafica dell’equazione di Michaelis-Menten nella forma 2.11.
Con semplici manipolazioni algebriche è possibile ridurre l’equazione 2.11 in forma
lineare, più comoda per la rappresentazione ed il trattamento dei dati. Le tre
rappresentazioni lineari più usate dell’equazione 2.11 sono le seguenti.
1 Km 1 1
=
+
v V [S] V
v=−
v
Km +V
[S]
[S] K m 1
=
+ [S]
v
V
V
equazione di Lineweawer-Burk
equazione di Eadie
equazione di Dixon
Particolare interesse rivestono i cosiddetti sistemi di inibizione enzimatica. Col
termine inibitore enzimatico si designa ogni sostanza in grado di ridurre la velocità di
una reazione enzimatica. Gli enzimologi classificano le inibizioni enzimatiche in tre
categorie principali: l’inibizione competitiva, l’inibizione non-competitiva e
l’inibizione incompetitiva.
Un inibitore competitivo è una sostanza che si lega all’enzima libero, impedendo o
limitando la formazione del complesso enzima-substrato. Per chiarire quest’ultima
31
frase è utile ricorrere ad un esempio pratico. E’ noto che l’enzima succinico
deidrogenasi catalizza la reazione acido succinico → acido fumarico. Introducendo
nel sistema di reazione una piccola quantità di acido malonico, quest’ultimo si lega al
sito attivo dell’enzima ma non può poi venire ossidato avendo un solo gruppo
metilenico.
O
HO
HO
OH
O
OH
O
O
succinico deidrogenasi
O
HO
OH
O
Lo schema cinetico di una reazione enzimatica condotta in presenza di un inibitore
competitivo si può scrivere
E + S
+
I
KS
ES
k2
E + P
KI
EI
dove con KS e KI si indicano le costanti di equilibrio riferite rispettivamente agli
intermedi ES ed EI. La relazione che esprime la velocità di una reazione enzimatica
soggetta ad inibizione competitiva è
v=
V [S]
[I]
K S (1 +
) + [S]
KI
Si noti l’analogia formale con l’equazione 2.11, dove al posto della costante di
Michaelis compare il termine KS(1 + [I]/KI) detto costante di Michaelis apparente
(Kmapp). Il significato di questa modifica all’equazione 2.11 è che necessita una
maggior concentrazione di [S] per raggiungere la stessa V che si avrebbe in assenza
dell’inibitore. L’effetto di un inibitore competitivo sulla cinetica di una reazione
enzimatica si descrive facilmente utilizzando la trasformazione lineare di
Lineweawer-Burk riportata nella Figura 2.6 (diagramma dei reciproci).
32
enzima con inibitore
1/v
1/V
enzima senza inibitore
-1/Km
1/[S]
-1/Kmapp
Figura 2.6. Rappresentazione grafica di una reazione enzimatica in presenza di un inibitore
competitivo.
In un sistema caratterizzato da inibizione non competitiva l’inibitore non ha effetto
sul legame E-S, ed il substrato non ha effetto sul legame E-I. Ciò accade perché sia S
che I si legano all’enzima in siti differenti. L’espressione della velocità di reazione
per una reazione enzimatica in presenza di inibitore non competitivo è
V [S]
[ I]
1+
KI
v=
K S + [S]
ed il diagramma dei reciproci ha il tipico andamento mostrato nella Figura 2.7.
enzima con inibitore
1/v
1/V
enzima senza inibitore
-1/Km
1/[S]
Figura 2.7. Rappresentazione grafica di una reazione enzimatica in presenza di un inibitore non
competitivo.
Per concludere si consideri il caso dell’inibizione incompetitiva. Un inibitore
incompetitivo è una sostanza che si lega reversibilmente al complesso enzimasubstrato dando origine al complesso inattivo enzima-substrato-inibitore. Anche in
questo caso si può dedurre l’espressione della velocità di reazione per una reazione
enzimatica in presenza di inibitore incompetitivo, che è
33
V [S]
[ I]
1+
KI
v=
Ks
+ [S]
[I]
1+
KI
Un inibitore incompetitivo si riconosce facilmente nel diagramma dei reciproci per
via della presenza di rette parallele.
1/v
enzima con inibitore
1/V
enzima senza inibitore
-1/Km
1/[S]
Figura 2.8. Rappresentazione grafica di una reazione enzimatica in presenza di un inibitore
incompetitivo.
2.4 Metodi sperimentali
La determinazione dell’equazione cinetica e degli ordini di reazione inerenti ad una
reazione chimica vengono sempre effettuate sperimentalmente. E’ quindi opportuno
soffermarsi brevemente su alcune tecniche sperimentali utilizzate nell’ambito della
cinetica chimica pratica. Essenzialmente le misure cinetiche sono successioni di
analisi quantitative che vengono effettuate a tempi diversi sulla miscela di reazione. Il
sistema reattivo dev’essere controllato strettamente sia per quanto riguarda
l’ambiente di reazione che per la temperatura, il che significa condurre le reazioni in
ambienti chiusi di materiale inerte (in genere è sufficiente operare in palloni di vetro)
e termostatati. Le analisi che si effettuano su un sistema reattivo a scopo cinetico si
raggruppano in due categorie a secondo dei metodi impiegati.
Si hanno metodi chimici che consistono essenzialmente nella titolazione di
un’aliquota della miscela di reazione. Il vantaggio dei metodi chimici è che si tratta di
misure dirette, nel senso che forniscono il dato cinetico solo sulla base della
stechiometria della reazione. Gli svantaggi sono legati alla relativa laboriosità
dell’analisi ed al fatto che si deve realizzare l’arresto della reazione sull’aliquota da
prelevare. Infine i tempi necessari per l’analisi non sono sempre trascurabili rispetto
al tempo di reazione.
Si hanno poi svariati metodi fisici o strumentali classificabili a secondo del metodo di
indagine prescelto:
34
- spettroscopici (IR, UV, NMR),
- elettrochimici (misure di conduttanza),
- polarimetrici (se coinvolti reagenti o prodotti dotati di attività ottica).
I metodi fisici presentano il vantaggio di essere di rapida esecuzione e non alterare il
sistema di reazione. Gli svantaggi sono legati al fatto che si basano su leggi che si è
costretti ad adottare con una qualche approssimazione, il che può ingenerare errori
sistematici. Va però detto che le moderne tecniche computerizzate riducono al
minimo l’incidenza di errori sistematici. Alcuni esempi specifici sono riassunti nelle
seguenti sezioni.
2.4.1 Metodi spettroscopici
La cinetica dell’esterificazione acido catalizzata dell’acido dicloroacetico ad opera
del metanolo in CCl4 si presta ad essere studiata tramite spettroscopia NMR
confrontando l’integrale delle linee di risonanza protonica Ialc del metile dell’alcol e
Iest del metile dell’estere in funzione del tempo.
La reazione
Cl2CHCOOH + MeOH → Cl2CHCOOMe + H2O
mostra una cinetica del secondo ordine
v = koss[Cl2CHCOOH][MeOH]
dalla quale si ricava l’equazione integrata
k oss t =
1
Iest
[Cl 2 CHCOOH]0 Ialc
che è l’equazione di una retta passante per l’origine degli assi il cui coefficiente
angolare è la costante di velocità koss.
La spettroscopia IR può essere impiegata con successo nella determinazione delle
costanti di velocità ammesso che reagenti o prodotti presentino almeno una banda di
assorbimento facilmente misurabile in maniera quantitativa. E’ questo il caso della
cicloaddizione intramolecolare di un’azide funzionalizzata a dare il corrispondente
tetrazolo.
N
N
N3
O
N
N
O
N
L’intensità della banda corrispondente allo stiramento asimmetrico del gruppo
azidico (2120 cm-1) è particolarmente intensa e si presta ad essere misurata
35
periodicamente durante il corso della reazione. Si valuta quindi in modo quantitativo
il decremento di questa banda di assorbimento della specie reagente. L’equazione
cinetica che si ricava è del primo ordine essendo
log A = -kt
dove con A si indica l’assorbanza della banda caratteristica del gruppo azidico.
La misura periodica e quantitativa dell’assorbanza di bande caratteristiche è utile
anche nel caso della determinazione delle costanti cinetiche tramite le spettroscopie
nel visibile o nell’UV. La bromurazione dell’acetone in ambiente acido
O
+ Br2
H3O+
O
Br + HBr
decorre con una cinetica del secondo ordine complessivo,
−
d[Br2 ]
= k oss [acetone][H 3 O + ]
dt
e può essere seguita attraverso la decolorazione, cioè la variazione di assorbanza nel
visibile, della miscela di reazione alla scomparsa dell’alogeno. Poiché si opera in
modo che la concentrazione del bromo sia sempre assai inferiore rispetto a quella
dell’acetone e dell’acido, le concentrazioni di queste ultime due specie si possono
ritenere costanti e l’equazione cinetica si semplifica in un’equazione di pseudo ordine
zero.
d[Br2 ]
= k'
dt
La variazione di concentrazione del bromo si ricava dalla variazione di assorbanza
utilizzando la legge di Lambert-Beer A = εcl dove c = [Br2]
2.4.2 Metodi elettrochimici
I metodi elettrochimici di analisi si possono impiegare nelle determinazioni cinetiche
qualora si abbia una variazione di una qualche proprietà elettrica della miscela di
reazione nel corso del tempo. E’ questo il caso, ad esempio, dell’idrolisi alcalina di
un estere carbossilico.
RCOOR’ + OH¯ → RCOO¯ + R’OH
La conduttanza di queste reazioni è variabile nel tempo in quanto la scomparsa
dell’idrossianione è accompagnata dalla comparsa di un anione carbossilato, che ha
una conducibilità assai minore dell’idrossianione. La legge cinetica è del secondo
ordine.
36
−
d[estere]
d[OH - ]
=−
= k 2 [estere][OH - ]
dt
dt
Indicando con x le moli reagite al tempo t e tenendo presente che l’estere e
l’idrossianione reagiscono mole a mole, si ha
dx
= k ([estere]0 − x) 2
dt
ovvero
x
= kt
[estere]0 ([estere]0 - x)
Per ogni specie i presente nella miscela di reazione, la conduttanza Ki è direttamente
proporzionale alla sua concentrazione secondo la relazione
Ki = Λi[concentrazione]i
dove con Λi si indica la conducibilità equivalente della specie i-esima espressa in
moli-1cm-1µS. La legge cinetica si riscrive quindi nel seguente modo utililizzabile per
la costruzione di un grafico da cui si ottiene la costante di velocità.
K − Kt
x
= 0
= [estere]0 kt
([estere]0 - x) K t − K ∞
2.4.3 Metodi polarimetrici
La cinetica dell’idrolisi acida del saccarosio si presta ad essere studiata tramite
metodi polarimetrici, cioè misurando il potere ottico rotatorio complessivo del
sistema reagente al variare del tempo. L’equazione cinetica di questa idrolisi si riduce
allo pseudo primo ordine in quanto la concentrazione dell’acqua è normalmente
molto più alta di quella delle altre specie reagenti e può di fatto essere ritenuta
costante.
log
[saccarosio]0
= kt
[saccarosio]
Poiché in ogni istante il potere ottico rotatorio della miscela di reazione è dato dalla
somma algebrica dei poteri ottici rotatori di tutte le specie presenti, dopo svariati
passaggi algebrici la legge cinetica si trasforma nella seguente equazione.
log
α0 −α∞
[saccarosio]0
= log
= kt
αt −α∞
[saccarosio]
Quest’ultima è una retta passante per l’origine degli assi, per cui diagrammando il
primo membro in ordinata contro il tempo in ascisse si ricava il coefficiente angolare
che esprime la costante di velocità.
37
2.5 Dipendenza della velocità dalla temperatura
Nel corso della discussione svolta fino a questo punto si è affermato esplicitamente di
operare sempre a temperatura controllata. Come si è infatti detto, gli esperimenti
cinetici volti alla determinazione degli ordini di reazione vengono realizzati in
ambienti termostatati. Una volta che l’esperimento cinetico abbia messo in luce la
forma dell’equazione cinetica e si sia determinata la costante di velocità k, si può
passare allo studio della dipendenza della velocità di reazione al variare della
temperatura.
Dal punto di vista qualitativo appare abbastanza ovvio che la velocità di una reazione
debba aumentare al crescere della temperatura poiché ad un suo incremento deve
corrispondere un aumento dell’energia cinetica delle molecole e quindi della
possibilità di trasferire efficacemente energia tramite collisioni. Da questa
considerazione fondamentale hanno avuto origine diverse espressioni quantitative che
correlano la velocità di reazione con la variazione di temperatura. Nell’ambito di
questo paragrafo ci si occuperà dapprima di illustrare la fondamentale relazione di
Arrhenius per poi passare, attraverso l’esame tella teoria delle collisioni, alla
descrizione della teoria dello stato attivato che riveste un’importanza notevolissima in
chimica organica.
2.5.1 L’equazione di Arrhenius
Dal punto di vista storico, la prima relazione quantitativa in grado di correlare la
costante di velocità alla temperatura è l’equazione di Arrhenius, che ha la forma
k = A exp(-∆E≠/RT)
ovvero
log k = log A - ∆E≠/RT
dove con R si indica la costante universale dei gas e con T la temperatura assoluta.
Con i simboli A e ∆E≠ si indicano rispettivamente il fattore pre-esponenziale o fattore
di frequenza e l’energia di attivazione della reazione.
Dal punto di vista puramente matematico, dall’equazione di Arrhenius risulta subito
evidente che un grafico che riporti log k in ordinata e 1/T in ascissa è una retta avente
intercetta log A e coefficiente angolare ∆E≠/R.
log k
1/T
Figura 2.9. Rappresentazione tipo dell’equazione di Arrhenius.
38
Inoltre, una generica reazione dev’essere tanto più veloce quanto più grande è il suo
fattore pre-esponenziale e quanto minore è la sua energia di attivazione. Il significato
di quest’ultima frase potrà però essere compreso pienamente solo dopo aver
formulato la teoria delle collisioni, sia pure nelle sue linee generali. Per ora è
sufficiente sapere che il valore del fattore pre-esponenziale è legato alla frequenza
delle collisioni che avvengono tra le molecole ed al fatto che solo alcune tra esse,
energeticamente attivate, possono effettivamente dare luogo ad un atto reattivo.
2.5.2 Teoria delle collisioni
Per quanto la teoria delle collisioni sia piuttosto datata ed attualmente si preferisca
ricorrere alla teoria dello stato di transizione per ottenere informazioni sulle
grandezze più interessanti dal punto di vista chimico, è pur vero che essa permette di
ricavare utili indicazioni sui due parametri A e ∆E≠ introdotti dall’equazione di
Arrhenius. La formulazione della teoria delle collisioni data in questa sede è
necessariamente molto semplificata dal punto di vista matematico, essendo
sufficiente considerare le seguenti argomentazioni.
Nel caso di un’interazione tra due molecole A e B, esse devono necessariamente
entrare in contatto per poter reagire; in pratica ciò significa che si deve verificare una
collisione tra le specie interagenti. Le collisioni molecolari possono essere elastiche,
nel qual caso comportano solo trasferimento di energia cinetica, anelastiche, cioè
comportare anche trasferimento di energia interna, o finalmente possono dare luogo
alla reazione. In quest’ultimo caso, che è quello che interessa, si parla di collisioni
efficaci. La frequenza con cui avvengono le collisioni efficaci è legata all’aspetto
probabilistico del fenomeno, e dipende sia dalla geometria della collisione che dal
contenuto energetico delle molecole che collidono. Questa frequenza è ricavabile
dalla teoria cinetica dei gas. E’ poi intuitivo che la velocità di reazione tra A e B
debba essere proporzionale alla frequenza con cui avvengono le collisioni efficaci.
Per quanto riguarda l’aspetto energetico si ribadisce che l’aumento della temperatura
implica un incremento dell’energia cinetica molecolare; un maggior numero di
molecole possiedono allora una maggiore energia cinetica rispetto a quanto si osserva
ad una temperatura inferiore. L’andamento della distribuzione della velocità
molecolare, e quindi dell’energia cinetica, si appiattisce incrementando la
temperatura da T2 a T1 come mostrato nella Figura 2.10.
n
T2
T1
velocità
Figura 2.10. Distribuzione delle velocità molecolari in un gas dove T1 > T2.
39
Quando l’energia di collisione tra le molecole interagenti supera una certa soglia
designata col termine di energia di attivazione ed indicata dal simbolo E≠ può
avvenire un urto efficace.
Sulla base di queste semplici considerazioni di carattere qualitativo è possibile
esprimere la velocità della reazione bimolecolare tra A e B attraverso la solita
espressione
v = k2[A][B]
dove
k2 = Z exp(-E≠/RT)
è data da un’espressione del tutto analoga all’equazione di Arrhenius. Il termine Z
rappresenta il numero di collisioni tra A e B per unità di volume nell’unità di tempo,
ed è definito esplicitamente dall’equazione 2.12.
Z=k
(σ A + σ B ) 2
2
T
µ AB
equazione 2.12
In quest’ultima equazione compaiono le seguenti grandezze:
- la costante numerica k = 2.74·1025,
- i diametri molecolari σ delle specie A e B nell’approssimazione che esse possano
essere considerate come sfere rigide,
- la massa ridotta µAB dell’ipotetica specie AB, con µAB = MAMB/(MA+MB).
Il fattore Z differisce dal termine pre-esponenziale che compare nell’equazione di
Arrhenius poiché manifesta una dipendenza dalla temperatura assoluta in ragione di
T½, mentre il fattore pre-esponenziale A non dipende dalla temperatura.
Da un modello così semplificato non ci si può aspettare che sia in grado di rendere
conto di un gran numero di dati sperimentali. In effetti l’approssimazione più rozza,
che consiste nel considerare gli urti tra molecole assimilabili a sfere rigide, produce
deviazioni enormi dai dati sperimentali. Si considerino come esempi le reazioni di
pirolisi dell’acido iodidrico e la reazione di Diels-Alder tra etilene e butadiene.
Nel primo caso si ha la decomposizione dell’acido iodidrico in idrogeno e iodio
elementari.
2 HI → H2 + I2
La reazione in questione è chiaramente molto semplice dal punto di vista della
geometria delle molecole che vi prendono parte; in un caso simile è ancora possibile
ritenere le molecole di HI quali sfere rigide ed infatti il rapporto A/Z = 1.6, per cui il
valore calcolato di Z è in buon accordo col fattore pre-esponenziale di Arrhenius.
Reazioni ancora più semplici, ad esempio tra atomi, sono ben descritte dalla teoria
40
delle collisioni ed in particolare il termine Z calcolato dall’equazione 2.12 riflette
bene i dati sperimentali. E’ evidente che atomi isolati o molecole biatomiche hanno
un numero molto limitato di gradi di libertà. Ma passando alla reazione di DielsAlder tra etilene e butadiene il rapporto A/Z è pari a 4·10-5, cioè c’è una discrepanza
enorme tra Z ed il fattore pre-esponenziale di Arrhenius. La complessità dei reagenti
rende impossibile assimilarli a sfere rigide e quindi, oltre al requisito di possedere
un’energia sufficiente, le collisioni tra molecole complesse devono sottostare a
precisi vincoli geometrici. Dal punto di vista del chimico organico è infatti evidente
che la reazione di Diels-Alder menzionata, che pure è estrememente semplice, deve
avvenire nel rispetto dell’opportuna orientazione tra il diene ed il dienofilo. Il fatto
che le orientazioni relative delle molecole al momento dell’atto reattivo siano così
importanti indica che il fattore pre-esponenziale A debba essere legato alla probabilità
che si verifichi l’orientazione richiesta, ovvero deve entrare in gioco la variazione di
entropia che si verifica nel corso della reazione. Questo aspetto, che è trascurato nel
semplice modello qui proposto per la teoria delle collisioni, trova una descrizione
soddisfacente nel prossimo paragrafo riguardante gli elementi della teoria dello stato
di transizione (o teoria dello stato attivato).
2.5.3 Teoria dello stato attivato
Considerando la generica reazione
A + B → prodotti
la trasformazione da reagenti a prodotti implica un cammino di reazione
caratterizzato da una variazione continua di energia libera, ed è ragionevole supporre
che questa variazione in funzione della coordinata di reazione debba mostrare un
massimo (Figura 2.11).
(AB)
G
∆G
A+B
prodotti
coordinata di reazione
Figura 2.11. Variazione dell’energia libera G nella reazione A + B → prodotti.
In corrispondenza di tale massimo si colloca lo stato attivato o stato di transizione
designato col simbolo (AB)≠. Per definizione, la struttura dello stato di transizione
non è nota né rilevabile direttamente benché essa debba derivare necessariamente
41
dalla perturbazione reciproca delle specie reagenti. Per convenzione si stabilisce che
la durata della vita dello stato di transizione sia inferiore a quella di una vibrazione
molecolare (10-12 s). Benché la struttura dello stato di transizione non sia rilevabile
sperimentalmente, si assume che esso goda di tutte le proprietà di una molecola
comune e, di conseguenza, possa essere trattato come tale.
Un’ulteriore assunzione importante consiste nel fatto che la velocità con cui lo stato
di transizione subisce la trasformazione nei prodotti è sempre uguale
indipendentemente dallo stato di transizione coinvolto. Si tratta quindi di una velocità
assoluta espressa dalla costante k, la cui espressione è derivata dalla termodinamica
statistica
k = κkBT/h
dove con kB si indica la costante di Boltzmann, con T la temperatura assoluta e con h
la costante di Planck. Il simbolo κ indica il coefficiente di trasmissione, un fattore
probabilistico che di norma è difficile da calcolare ma che, fortunatamente, vale 1 per
la grande maggioranza della reazioni in soluzione. Per questo motivo il fattore di
trasmissione sarà trascurato in tutte le equazioni che seguono.
Ammettendo che tra i reagenti e lo stato di transizione si instauri una situazione di
equilibrio seguito da una reazione estremamente veloce ed irreversibile, lo schema
cinetico della generica reazione tra A e B si può scrivere come segue.
A+B
K
(AB)
k
C+D
La velocità della reazione è allora
v = k[(AB)≠]
ed essendo
K≠ =
[(AB)≠ ]
[A ][B]
si ha
v = kK≠[A][B]
Poiché la velocità di reazione v determinata con metodi sperimentali è data da
v = koss[A][B]
eguagliando le ultime due espressioni si arriva all’equazione 2.13.
koss = kK≠
equazione 2.13
Applicando le leggi termodinamiche ∆G = -RT log K e ∆G = ∆H - T∆S, la K≠ si può
esprimere come segue
42
K≠ = exp(-∆G≠/RT) = exp(∆S≠/R) exp(-∆H≠/RT)
dove con i simboli ∆H≠ e ∆S≠ si indicano rispettivamente l’entalpia di attivazione e
l’entropia di attivazione. Il significato fisico di queste due grandezze sarà discusso tra
breve. L’equazione 2.13 diventa allora
koss = k exp(∆S≠/R) exp(-∆H≠/RT)
equazione 2.14
ovvero
k oss =
k BT
exp(∆S≠ /R)exp(-∆H ≠ /RT)
h
equazione 2.15
L’equazione 2.14 è nota come equazione di Eyring ed ha il grandissimo pregio di
mettere in relazione la costante di velocità osservata sperimentalmente con i
parametri di attivazione ∆H≠ e ∆S≠. Mettendo l’equazione 2.14 in forma logaritmica
log k oss = log k +
∆S ≠ ∆H ≠
−
R
RT
equazione 2.16
risulta evidente la sua somiglianza con la relazione empirica di Arrhenius.
log k oss = log A −
∆E ≠
RT
E’ di particolare importanza confrontare le ultime due equazioni, dalle quali risulta la
seguente similitudine
log A ≡ log k +
∆S≠
R
dalla quale appare che, come si era anticipato trattando la teoria delle collisioni, il
fattore pre-esponenziale dell’equazione di Arrhenius è in relazione alla variazione di
entropia di attivazione ∆S≠.
Riguardo la natura ed il significato dei parametri di attivazione ∆H≠ e ∆S≠, prima di
tutto vale la pena di notare che la loro determinazione è semplice perché è ricavabile
direttamente dall’equazione 2.16. Quest’ultima è infatti l’equazione di una retta, per
cui diagrammando log koss in funzione di 1/T si ottengono la pendenza ∆H≠/R e
l’intercetta log k + ∆S≠/R.
L’entalpia di attivazione ∆H≠ rappresenta la differenza di energia tra stato di
transizione e reagenti.
Per rendere conto di questa affermazione basta considerare le equazioni di Arrhenius
e quella di Eyring in forma logaritmica.
43
∆E ≠
RT
k B ∆S ≠ ∆H ≠
k
+
−
log = log
h
T
R
RT
log k = log A −
Differenziando entrambe le equazioni si ottiene
d log k = −
d log(k / T ) = −
∆E ≠
d(1/T)
R
ovvero
∆E ≠ = -R
dlog k
d(1/T)
dlog(1/T)
dlog k
dlog(k/T)
∆H ≠
d(1/T) ovvero ∆H ≠ = −R
= −R
−R
d(1/T)
d(1/T)
d(1/T)
R
da cui risulta
∆H≠ = ∆E≠ - RT
L’entalpia di attivazione ∆H≠ può assumere solo valori positivi. Questa affermazione
si comprende ammettendo che nello stato di transizione uno o più legami debbano
essere parzialmente rotti, da cui segue che la forza di legame complessiva dello stato
di transizione dev’essere inferiore a quella dei reagenti. Dal punto di vista pratico può
risultare istruttivo confrontare il valore di ∆H≠ ottenuto sperimentalmente con quello
calcolato per un’ipotetica entità molecolare che si prevede abbia una struttura analoga
a quella dello stato di transizione. Per un calcolo di questo genere si deve procedere
col ben noto metodo termodinamico basato sulla legge di Hess. A prescindere dalle
obiettive difficoltà nell’ipotizzare una struttura più possibile somigliante a quella
dello stato di transizione, va detto che i valori dell’entalpia di attivazione calcolati
con questo metodo sono raramente in accordo con i ∆H≠ sperimentali. Risultati di
gran lunga migliori di ottengono calcolando la struttura dello stato di transizione ed i
parametri di attivazione con metodi computazionali. Attualmente ne esistono di
sofisticati che sono in grado di riprodurre con notevole precisione i risultati
sperimentali tipo Arrhenius.
Le deduzioni di carattere meccanicistico che è possibile ottenere dai valori delle
entropie di attivazione ∆S≠ sono assai precise e soprattutto significative poiché
riflettono la variazione del numero di gradi di libertà rotovibrazionali di reagenti e
prodotti. Se nel passaggio da reagenti a stato di transizione si verifica un aumento del
numero dei gradi di libertà rotovibrazionali deve essere ∆S≠ > 0. Per contro, valori
negativi dell’entropia di attivazione si avranno quando il numero di gradi di libertà
rotovibrazionali dei reagenti è superiore a quello dello stato di transizione.
Da quanto detto risulta che per un processo dissociativo, nel quale cioè si verifica un
aumento del numero di molecole passando da reagenti a prodotti, si deve avere
∆S≠ > 0.
A-B → (A…..B)≠ → A+ + B-
44
In questo caso infatti lo stato di transizione deve avere necessariamente un numero di
gradi di libertà superiore a quello del o dei reagenti.
Il caso opposto è rappresentato, ovviamente, dai processi associativi del tipo
A+ + B- → (A…..B)≠ → A-B
per i quali si verifica una perdita di gradi di libertà passando dai reagenti allo stato di
transizione originando un ∆S≠ < 0. La conoscenza del segno di ∆S≠ è molto
importante in campo meccanicistico dato che da determinazioni cinetiche è possibile
risalire al tipo di reazione in esame, sia esso associativo o dissociativo. Inoltre il
valore di ∆S≠ è diagnostico, come si vedrà in seguito, per differenziare le reazioni
intramolecolari da quelle intermolecolari.
2.6 Dipendenza della velocità dalla pressione
La velocità delle reazioni chimiche in fase liquida può essere influenzata dalla
variazione di pressione. Infatti, a causa della compressibilità idrostatica dei liquidi la
concentrazione di un generico soluto varia, sia pure di poco, al variare della
pressione. Poiché la compressibilità dei liquidi è generalmente assai piccola, per
osservare variazioni significative della velocità di reazione di devono applicare
pressioni dell’ordine di 1-20Kbar.
Dalla termodinamica elementare è noto che per un processo isobaro
-RT log K = p∆V
Differenziando rispetto alla pressione a temperatura costante si ottiene
⎛ ∂ log K ⎞
⎟⎟ = ∆V
- RT⎜⎜
⎝ ∂p ⎠T
che rende conto della variazione della costante di equilibrio al variare della pressione.
Questa relazione termodinamica può essere estesa alla descrizione cinetica dei
processi chimici applicando la teoria dello stato di transizione nell’ambito della quale
si assume che la reazione proceda attraverso uno stato di transizione ad alta energia in
equilibrio con i reagenti. L’ultima equazione diventa pertanto
⎛ ∂ log k ⎞
⎟⎟ = ∆V ≠
- RT⎜⎜
⎝ ∂p ⎠T
equazione 2.17
ed è impiegata per descrivere la dipendenza lineare della costante di velocità dalla
pressione in termini di volume di attivazione ∆V≠. Quest’ultimo è definito come
differenza tra il volume molare parziale dello stato di transizione e la somma dei
volumi molari parziali dei reagenti. Il valore del volume di attivazione ad alta
pressione può essere determinato direttamente dalle costanti di velocità misurate a
45
pressione ambiente. Il diagramma di log k in funzione della pressione a temperatura
costante mostra un andamento non sempre lineare, com’è evidente dalla Figura 2.12.
log k0
kp
0
_
1
2
3 p (Kbar)
Figura 2.12. Variazione di log k in funzione della pressione.
Questo comportamento non lineare si verifica perché il volume di attivazione non è
indipendente dalla pressione; esso infatti diminuisce all’aumentare della pressione.
Per volumi di attivazione positivi una contrazione del ∆V≠ all’aumentare della
pressione fa diminuire il valore di k meno di quanto ci si aspetterebbe dall’equazione
2.17; per volumi di attivazione negativi una contrazione di ∆V≠ all’aumentare della
pressione fa aumentare il valore di k meno di quanto ci aspetterebbe dall’equazione
2.17. Tra le espressioni impiegate per descrivere il comportamento di log k in
funzione della pressione la più usata è la relazione empirica
log k = a + bp + cp2
dove a = log k0 (per p → 0), b = -RT∆V0≠, c = ∆κ≠/2RT e ∆V0≠ è il volume di
attivazione a pressione ambiente.
E’ ora utile considerare alcune proprietà del volume molare parziale VM in quanto le
considerazioni che si possono trarre sono applicabili al volume di attivazione. Il
volume molare parziale VM è una quantità fisica complessa che dipende dal
contributo di tre fattori.
VM = V0 + Ve + Vv
46
V0 è il volume intrinseco del soluto determinato dai raggi di Van der Waals degli
atomi che lo compongono. E’ calcolabile facilmente e con grande precisione grazie
alla disponibilità dei valori dei raggi di Van der Waals. Ve è il volume di
elettrostrizione, che rappresenta la variazione in volume dovuta al tipo di
solvatazione in funzione del solvente. Le molecole o gli ioni del soluto esercitano
forze repulsive nei confronti del solvente su distanze piccole mentre esercitano forze
attrattive per distanze maggiori. In questo modo l’orientazione e la disposizione delle
molecole di solvente possono variare in modo significativo. Se il soluto è di natura
ionica le forze attrattive esercitate nei confronti delle molecole di solvente sono
preponderanti su quelle repulsive, sicché le molecole del solvente risultano contratte
attorno al soluto (fenomeno di elettrostrizione). Il contributo apportato da Ve è
importante e spesso così grande da superare quello dovuto al volume intrinseco V0.
Infine Vv rappresenta l’interazione tra molecole del soluto. Il suo contributo è in
genere abbastanza piccolo da poter essere trascurato.
L’utilizzo combinato del volume di reazione e di quello di attivazione in un
diagramma che esprime il volume molare parziale VM in funzione della coordinata di
reazione consente di tracciare il profilo volumetrico della reazione in luogo del più
familiare profilo energetico (Figura 2.13). Da un grafico di questo tipo si possono
ricavare informazioni di carattere qualitativo sulla posizione dello stato di transizione
nei confronti dei reagenti e/o dei prodotti.
VM
A + B
∆V
(A
B)
∆VM
A-B
coordinata di reazione
Figura 2.13. Profilo volumetrico della reazione associativa A + B → AB
Nella Figura 2.14 vengono sovrapposti due diagrammi: il primo energetico ed il
secondo, in basso, volumetrico. Questa Figura mostra come profili energetici
corrispondenti a stati di transizione simili sia ai reagenti che ai prodotti possono
essere messi in relazione con i rispettivi profili volumetrici e quindi con i
corrispondenti valori dei volumi di attivazione. In particolare, stati di transizione
simili ai reagenti sono solitamente caratterizzati da valori di ∆V≠ minori di quelli
caratteristici per stati di transizione simili ai prodotti.
47
E
∆V
V
coordinata di reazione
Figura 2.14. Profilo energetico/volumetrico della reazione associativa A + B → AB
Il significato meccanicistico del volume di attivazione verrà ora illustrato attraverso
alcuni esempi suddivisi per classi di reazioni.
2.6.1 Cicloaddizioni
Sono stati studiati i profili volumetrici per parecchie reazioni di Diels-Alder; per esse
i valori dei volumi di attivazione sono compresi tra -5 e -50 cm3 mol-1 e sono
generalmente simili ai valori ricavati per i volumi molari parziali. Ciò indica uno
stato di transizione che ha proprietà volumetriche simili a quelle dei prodotti ed a cui
dovrebbe corrispondere un meccanismo di tipo concertato e ciclico.
VM
reagenti
∆V
prodotti
(TS)
coordinata di reazione
Figura 2.15. Profilo volumetrico di una reazione di Diels-Alder.
48
Anche le cicloaddizioni 1,3-dipolari mostrano volumi di attivazione negativi (-20/-35
cm3 mol-1) ma inferiori in valore assoluto a quelli delle reazioni di Diels-Alder. La
ragione è da ricercare nella struttura dello stato di transizione; le cicloaddizioni
1,3-dipolari passano di solito per uno stato di transizione somigliante ai reagenti nel
quale i nuovi legami σ sono formati in minor misura rispetto alle reazioni di DielsAlder.
Nelle cicloaddizioni [2+2] si hanno ∆V≠ negativi e di valore assai variabile a secondo
del solvente, il che è compatibile con l’ipotesi che questa classe di cicloaddizioni
proceda attraverso un meccanismo a stadi.
2.6.2 Sostituzioni nucleofile al carbonio saturo
Si può prevedere facilmente che la variazione del volume molare parziale nei
processi associativi tipo SN2 debba essere necessariamente negativo; mentre per
processi dissociativi tipo SN1 si dovrebbero avere variazioni positive del volume
molare parziale. Al contrario il valore del volume di attivazione per le sostituzioni
nucleofile è di solito difficile da prevedere. Le difficoltà vengono dal fatto che gli
stati di transizione coinvolti sono solitamente piuttosto polari e le coppie cariche
possono influenzare a tal punto gli effetti della pressione da far passare in secondo
piano i processi di formazione o rottura dei legami. E’ prevedibile che un ruolo
importante in queste reazioni sia giocato dalla solvatazione dei reagenti e dello stato
di transizione; questo è un ulteriore elemento di complessità nella previsione dei
valori dei volumi di attivazione. Ne sono un esempio le reazioni di solvolisi i cui ∆V≠
variano enormemente al variare del solvente e della temperatura. Di solito questi
volumi di attivazione diventano tanto più negativi quanto più alta è la temperatura e
quanto più polare è il solvente. Come esempio si consideri la reazione di etanololisi
del bromuro di isopropile, che mostra volumi di attivazione negativi fino a pressioni
non eccessivamente elevate, ma che oltre 20 Kbar manifesta ∆V≠ positivi. In questo
caso si può tuttavia escludere che l’applicazione di pressioni molto alte ingeneri un
cambiamento nel meccanismo della reazione. Infatti queste variazioni implicano di
solito un aumento della velocità di reazione anziché una sua diminuzione, come
invece avviene in questo caso (Figura 2.16).
log k
20
40
p (Kbar)
Figura 2.16. Diagramma log k-pressione per la reazione di etanololisi del bromuro di isopropile.
49
2.6.3 Addizioni al carbonile
Le reazioni di addizione al carbonile con meccanismo di addizione-eliminazione sono
processi associativi e sono fortemente accelerate dall’aumento della pressione.
L’idrolisi degli esteri può decorrere attraverso due meccanismi competitivi
caratterizzati da volumi di attivazione di segno opposto. Se la reazione procede col
tipico meccanismo BAc2 si hanno ∆V≠ compresi tra -10 e -20 cm3 mol-1 ed essa è
moderatamente accelerata dall’aumento di pressione.
O
MeO
lento
_
O
veloce
OH
MeO
(-ROH)
OR
MeO
OR
O
_
O
_
HO
Se invece l’idrolisi degli esteri può essere assistita dalla presenza di un idrossile in
posizione para il meccanismo della reazione è del tipo E1cb caratterizzato da valori
positivi di ∆V≠ e quindi ostacolato da un aumento di pressione.
O
HO
_
HO
O
OR
OR
O
O
lento
O
O
H2O
veloce
HO
OH
2.6.4 Reazioni al carbonio aromatico
I composti aromatici danno reazioni di sostituzione elettrofila attraverso ioni
benzenio intermedi la cui formazione controlla solitamente la velocità di reazione. I
valori del volume di attivazione per le nitrazioni sono compresi tra -10 e -25cm3 mol-1
mentre le reazioni di Friedel-Crafts mostrano ∆V≠ pari a circa -10 cm3 mol-1. Questi
processi sono quindi moderatamente accelerati da un aumento della pressione.
2.7 Reazioni intramolecolari
Quando due funzionalità interagenti sono presenti nella stessa molecola la reazione
che avviene tra di esse è un processo intramolecolare. Lo studio cinetico delle
reazioni intramolecolari riveste una notevole importanza in chimica organica perché
un gran numero di trasformazioni di interesse sintetico decorre in modo
intramolecolare. Un tipico esempio è costituito dalla formazione dei lattoni, che
avviene da precursori bifunzionali aciclici.
O
COOH
(CH2)n
OH
-H2O
50
(CH2)n
O
Una reazione intramolecolare è un processo monomolecolare in quanto lo stadio lento
della reazione prevede l’interazione tra le funzionalità A e B presenti nella molecola
A----B. L’equazione che rende conto della velocità di un generico processo
intramolecolare è espressa in termini della costante di velocità kintra le cui dimensioni
sono quelle di una frequenza. Si conviene di indicare con [M] la concentrazione della
specie A----B.
A-----B
kintra
C
vintra = kintra [M]
Una reazione intermolecolare di solito è invece un processo bimolecolare, poiché allo
stadio lento della reazione partecipano due molecole contenenti ciascuna una delle
due funzionalità A o B. La velocità di una reazione intermolecolare è espressa dalla
costante di velocità kinter le cui dimensioni sono l mol-1 s-1.
kinter
A + B
C
vinter = kinter [A][B]
Qualora entrambe le funzionalità reattive A, B siano presenti nella stessa molecola, è
comodo esprimere la velocità della reazione intermolecolare di dimerizzazione
attraverso la costante kdim dimensionalmente identica alla kinter.
kdim
A-----B + A-----B
-----C-----
vdim = kdim [M]2
nel corso di una qualsiasi reazione intramolecolare c’è sempre competizione con il
corrispondente processo intermolecolare. Si vuole ora rendere conto dell’entità di tale
competizione paragonando vintra con vinter, ovvero con vdim, approssimando kinter ≅ kdim.
Il modo più immediato per determinare il grado di competizione tra un processo
intramolecolare ed il corrispondente processo intermolecolare è quello di valutare il
rapporto vintra/vinter.
v intra k intra [M ] k intra 1
k
1
=
=
≅ intra
2
v inter k inter [M]
k inter [M] k dim [M ]
Quest’ultima equazione esprime il rapporto tra le velocità di generici processi intraed intermolecolari. Si può notare che il processo intramolecolare è cineticamente
favorito rispetto a quello intermolecolare, cioè vintra >> vinter quando kintra/kinter >> [M]
oppure, in altre parole, si ha prevalenza del processo intramolecolare quando [M] è
51
piccola. Le reazioni intramolecolari vengono infatti condotte ad alta diluizione
oppure si adottano accorgimenti sperimentali che simulano l’alta diluizione.
Utilizzando l’equazione di Eyring si può scrivere il rapporto kintra/kinter nel seguente
modo
k intra
⎡ 1
⎤
= exp ⎢
(∆G ≠ inter − ∆G ≠ intra )⎥
RT
k inter
⎣
⎦
ovvero
k intra ∆S≠ intra − ∆S≠ inter ∆H ≠ intra − ∆H ≠ inter
=
−
kinter
R
RT
equazione 2.18
Per illustrare il significato dell’equazione 2.18 è opportuno ricorrere ad un esempio.
Si consideri una generica cicloaddizione 1,3-dipolare i cui parametri di attivazione
sono riassunti schematicamente nella Tabella 2.1.
Tabella 2.1. Parametri di attivazione per le cicloaddizioni 1,3-dipolari.
_________________________________________________________________________________________
Tipo di cicloaddizione
∆H≠ (Kcal/mol)
∆S≠ (cal/Kmol)
+5/+20
+23/+31
-40/-20
-14/-3
_________________________________________________________________________________________
Intermolecolare
Intramolecolare
_________________________________________________________________________________________
Dall’esame di questa Tabella si possono ricavare le indicazioni per il calcolo del
rapporto kintra/kinter attraverso l’applicazione dell’equazione 2.18. Utilizzando valori
medi tra quelli riportati in Tabella, si trova che kintra/kinter < 0.1; ciò significa che il
processo intermolecolare è cineticamente favorito rispetto al processo
intramolecolare concorrente. Per invertire questo comportamento si deve agire sulla
concentrazione [M] rendendola sufficientemente piccola. Esaminando ulteriormente i
dati della Tabella si ricavano altre indicazioni interessanti. Si nota che il contributo
entalpico delle cicloaddizioni intramolecolari è sfavorevole rispetto a quello delle
corrispondenti cicloaddizioni intermolecolari; nel primo caso la barriera energetica da
superare per raggiungere lo stato di transizione è quindi più alta. La spiegazione
qualitativa è semplice: in una reazione intermolecolare le due molecole interagenti
collidono e nell’atto reattivo le rispettive energie cinetiche vengono trasformate
nell’energia che aiuta a superare la barriera d’attivazione. Nelle reazioni
intramolecolari viene invece a mancare questo contributo dovuto all’energia cinetica.
Per quanto riguarda il contributo entropico, quest’ultimo è più favorevole, ossia meno
negativo, per le cicloaddizioni intramolecolari. In una cicloaddizione intermolecolare
le due molecole reagenti devono perdere i loro gradi di libertà dovendosi avvicinare,
disporsi nella corretta geometria per poter reagire ed infine reagire originando un
prodotto ciclico da due molecole acicliche. In questo modo il segno di ∆S≠ non può
52
che essere negativo. Nei processi intramolecolari una sola molecola perde gradi di
libertà, inoltre già nello stato fondamentale essa possiede verosimilmente un numero
di gradi di libertà limitato rispetto a due molecole isolate. In questo modo ∆S≠intra
deve essere necessariamente meno negativo di ∆S≠inter. Riassumendo, una
cicloaddizione intramolecolare presenta, rispetto al corrispondente processo
intermolecolare, le seguenti caratteristiche: è sfavorita da fattori entalpici, è favorita
da fattori entropici.
Le considerazioni esposte nel caso di una cicloaddizione si possono utilmente
estendere ad un qualsiasi processo intramolecolare. Dal punto di vista sintetico i
vantaggi offerti dalle reazioni intramolecolari si possono riassumere in due punti
sostanziali: la reattività propria di un processo intramolecolare può essere assai
migliore di quella di un’analoga reazione intermolecolare, ferme restando le
restrizioni dovute alla concentrazione della specie reattiva (alte diluizioni). Inoltre
una reazione intramolecolare può manifestare un grado di regio- e stereoselettività
superiore rispetto a quello che si osserva in una reazione intermolecolare.
Per dare un’illustrazione delle due ultime caratteristiche considerate si può
nuovamente ricorrere ad un esempio pratico basato su una reazione di cicloaddizione.
L’effetto di prossimità fra i gruppi reattivi ed il favorevole contributo entropico delle
reazioni intramolecolari può incrementare notevolmente la reattività di gruppi
relativamente inerti a livello intermolecolare. Ad esempio, la fenilazide non reagisce
col fenossiacetonitrile in quanto il gruppo ciano non si presta a subire reazioni di
cicloaddizione. Per contro, l’analoga reazione intramolecolare decorre con facilità.
Ph N3 + PhO
N
N
N
N3
O
N
N
O
N
Anche la regioselettività di un processo intramolecolare può essere determinata in
modo rigoroso dal vincolo geometrico esistente tra le funzioni reattive. Ad esempio la
fenilazide reagisce col fenilacetilene dando una miscela di 1,2,3-triazoli regioisomeri,
mentre dal corrispondente processo intramolecolare si ottiene un solo triazolo.
Ph N3 +
N
Ph
N
Ph
+
N
N
N
O
O
Ph
53
N
Ph
Ph
N3
Ph
N
N
N
Ph
L’applicazione dell’equazione 2.18 chiarisce dal punto di vista quantitativo un altro
importante aspetto delle reazioni intramolecolari; quello legato alla facilità di
formazione di un ciclo a secondo delle sue dimensioni. E’ infatti noto dalla chimica
organica fondamentale che è più facile ottenere anelli a 5 o 6 termini piuttosto che
anelli di dimensioni minori o maggiori. Le massime difficoltà sorgono nella sintesi di
anelli di dimensioni medie, ovvero ad otto o nove termini, e dipendono
essenzialmente da un fattore sterico (entalpico) e da uno probabilistico (entropico).
Lo sviluppo di interazioni destabilizzanti di tipo sterico durante la chiusura di un
anello medio è legata all’insorgere di interazioni transanulari. La differenza
∆H≠intra - ∆H≠inter nell’equazione 2.18 costituisce una buona approssimazione
dell’entità di tali interazioni, che invece sono assenti in un processo intermolecolare.
Per quanto riguarda il fattore entropico, la bassa probabilità d’incontro dei gruppi
reattivi nel dare luogo alla formazione di un ciclo di medie dimensioni riflette il
maggior valore della differenza ∆S≠intra - ∆S≠inter rispetto a quello osservato nel caso
della formazione di un ciclo a 5 o 6 termini. La relativa facilità di formazione di
anelli di grandi dimensioni è ancora razionalizzabile su base entropica. In questo caso
la differenza ∆S≠intra - ∆S≠inter diviene piccola perché data la grande distanza che
separa i gruppi reattivi la reazione inizia a somigliare ad un processo intermolecolare.
Lo studio semiquantitativo degli aspetti entalpico ed entropico nelle reazioni
intramolecolari è stato realizzato soprattutto nelle reazioni di ciclizzazione di
ω-bromoacidi.
O
Br(CH2)nCOOH
base
(CH2)n
O
Nelle Figure 2.17 e 2.18 sono riportati gli andamenti della costante di velocità di
ciclizzazione per questi substrati, nonché i profili entalpici ed entropici che rendono
conto della difficoltà di formazione di anelli medi (n = numero di CH2). Com’è facile
vedere, gli andamenti di questi diagrammi sono in accordo con gli aspetti entalpico
ed entropico delle reazioni di ciclizzazione appena discussi.
log k
inter
1
5
10
15
20
n
Figura 2.17. Diagramma di log k in funzione di n nella ciclizzazione di ω-bromoacidi
54
∆H
∆S
inter
inter
1
5
10
15
20
n
1
5
10
15
20
n
Figura 2.18. Diagrammi ∆H≠, ∆S≠ in funzione di n nella ciclizzazione di ω-bromoacidi
2.8 Cinetica chimica applicata ad alcune reazioni organiche
L’applicazione dei concetti cinetici fondamentali alla chimica organica è stato e
continua ad essere un mezzo insostituibile nella comprensione dei meccanismi
attraverso i quali procedono un gran numero di reazioni organiche. Per citare un
esempio storico, gli studi pionieristici compiuti dalla scuola inglese guidata da Ingold
hanno contribuito in modo essenziale a definire i meccanismi fondamentali attraverso
cui procedono le reazioni di sostituzione al carbonio saturo, e questi studi hanno
avuto come base un solido riferimento nella cinetica chimica. Senza entrare nel
dettaglio di ogni singolo meccanismo, lo scopo del presente paragrafo è piuttosto
quello di tratteggiare le informazioni che si possono trarre su pochi tipi fondamentali
di reazioni organiche attraverso l’utilizzo della cinetica chimica applicata. A tale
scopo questo paragrafo verrà diviso per classi di reazioni.
2.8.1 Sostituzioni nucleofile
Le sostituzioni nucleofile di tipo SN2 sono processi associativi solitamente
caratterizzati da un atto reattivo che implica la collisione efficace tra due specie
reagenti. Su questa base ci si può aspettare una cinetica del secondo ordine
complessivo, il che si verifica in effetti nella maggior parte dei casi. Ad esempio la
reazione tra il cloruro di benzile e lo ione azido è un tipico caso di sostituzione
nucleofila al carbonio saturo che decorre con meccanismo SN2 ed è caratterizzata
appunto da una cinetica del secondo ordine complessivo.
Ph
Cl
+
_
N3
Ph
N3
+
_
Cl
v = k2[PHCH2Cl][N3¯]
Le sostituzioni nucleofile bimolecolari mostrano normalmente valori negativi
dell’entropia di attivazione e del volume di attivazione, come ci si aspetta per
processi associativi. La reazione di Menshutkin tra trietilammina e ioduro di etile
rispetta questo tipo di comportamento in quanto ∆S≠ = -27 cal K-1 mol-1 e ∆V≠ = -38
55
cm3 mol-1. In questo caso si suppone che la reazione passi attraverso uno stato di
transizione a sviluppo di carica e risulti quindi più solvatato dei reagenti.
+
Et3N
+
δ
Et3N
CH3CH2I
CH3
−
δ
I
CH2
+
Et4N +
I
_
Dato che il fenomeno della solvatazione può generare qualche confusione, è bene
specificare che uno stato di transizione possiede tanti meno gradi di libertà quanto più
è solvatato, ed il volume di attivazione diminuisce all’aumentare della solvatazione
da parte di solventi polari per l’effetto di elettrostrizione.
Esistono tuttavia casi di sostituzioni nucleofile bimolecolari in cui il segno dei
parametri di attivazione è positivo, ne è un esempio la reazione tra il catione
trietilsolfonio e l’anione bromuro. I valori sperimentali ∆S≠ = 18 cal K-1 mol-1 e
∆V≠ = 32 cm3 mol-1 riflettono il passaggio attraverso uno stato di transizione a
dispersione di carica che risulta quindi meno solvatato dei reagenti.
+
Et2S -CH2CH3
+ Br
+
_
δ
Et2S
CH3
CH2
−
δ
Br
Et2S +
EtBr
Come già si è accennato a proposito della solvolisi degli alogenuri alchilici terziari i
processi puramente dissociativi tipo SN1 comportano la completa ionizzazione del
substrato accompagnata dalla generazione di un intermedio carbocationico. La legge
cinetica è del primo ordine nell’alogenuro e le entropie di attivazione sono positive.
Tutto ciò è compatibile con un meccanismo a stadi in cui la ionizzazione del
substrato costituisce il passaggio lento dell’intero processo. Lo schema cinetico per
una reazione di solvolisi (SOH è il solvente) si può scrivere
R X
k1
k-1
_
R Cl
k2
SOH
ROS
dove la velocità di reazione è espressa dall’equazione seguente, dato che la
concentrazione di SOH è abbastanza grande da poter essere ritenuta costante.
v=
d[ROS]
= k 2 [R + ]
dt
Applicando l’ipotesi dello stato stazionario (d[R+]/dt ≅ 0) si ha
k1[RX ] = k −1[R + ][X − ] + k 2 [R + ]
da cui
56
[R + ] =
k1[RX ]
v=
e quindi
-
k 2 + k −1[X ]
k1k 2 [RX ]
k 2 + k −1[X - ]
in modo identico a quanto già riportato nel caso dell’idrolisi del cloruro di benzidrile.
Siccome la ionizzazione è lo stadio lento del processo si può scrivere k2 >> k-1 per cui
la velocità risulta semplicemente v = k1[RX] e cioè del primo ordine in RX, come
atteso.
Va detto che i modelli meccanicistici puramente SN1 od SN2 sono da considerare di
tipo piuttosto estremo nel senso che le sostituzioni nucleofile nel loro complesso
mostrano da uno spettro meccanicistico che va dalla completa ionizzazione alla
completa assistenza. In questo contesto si inserisce l’importante nozione di coppia
ionica. Nella chimica organica fondamentale si è abituati a considerare la reazione di
solvolisi di un substrato opportunamente sostituito come un semplice processo di
ionizzazione. Per giustificare questa interpretazione del meccanismo si invoca la
crescente stabilità dei carbocationi intermedi all’aumentare della sostituzione ma di
solito si trascura l’effetto del mezzo di reazione. E’ invece ragionevole supporre che
la ionizzazione di un substrato implichi per prima cosa un equilibrio tra il reagente ed
un carbocatione che è ancora in stretto contatto con il controione; quest’ultima entità
a cariche separate prende il nome di coppia ionica intima. Un secondo equilibrio
conduce alla coppia ionica separata dal solvente, indicata con il simbolo R+║X¯ cui
fa seguito la dissociazione vera e propria in ioni opportunamente solvatati.
ionizzazione
R X
R
X
_
+
R
X
_
dissociazione
prodotti
+
R + X
_
prodotti
Storicamente l’esistenza di coppie ioniche è stata provata dalla misura della
variazione di conducibilità nelle reazioni di solvolisi, ma solo successivamente si
sono raccolte prove cinetiche e stereochimiche a sostegno della loro esistenza. Quali
semplici esempi si considerino la solvolisi di alogenuri allilici e la saponificazione di
esteri enantiopuri.
Sottoponendo a solvolisi il 2-metil-2-cloro-3-butene si osserva la formazione di tre
prodotti: due di solvolisi ed un isomero dell’alchene di partenza.
Me
Me
H
H
Cl
Me
H
H
Cl
SOH
Me
Me
H
Me
_
OS
H
H
H
Me
Cl
57
Me
+
H
H
Me
OS
Me
L’ottenimento dei due prodotti isomeri dovuti alla solvolisi è imputabile alla
delocalizzazione del doppio legame su tre atomi di carbonio contigui che si ha nella
coppia ionica. Ragionevolmente l’attacco da parte del solvente può avvenire in modo
non regioselettivo. E’ invece particolarmente interessante la formazione dell’1-cloro3-metil-2-butene, che è un isomero del reagente di partenza, dato che la velocità della
reazione che porta alla sua formazione è maggiore della velocità di solvolisi. Per
giustificare i dati sperimentali si ipotizza il cosiddetto ritorno da coppia ionica, cioè
il processo contrario della ionizzazione. In particolare, nel caso in questione, è più
corretto parlare di ritorno interno perchè ci si riferisce alla ricombinazione di ioni
della coppia ionica intima per formare un legame covalente.
Sono state raccolte anche evidenze stereochimiche dell’intervento delle coppie
ioniche, ed in particolare relativamente al fenomeno di ritorno interno. Un esempio
elegante concerne la saponificazione di esteri para-nitrobenzoici marcati con 18O ed
enantiomericamente puri realizzata in acetone acquoso all’80%. Sperimentalmente si
osservano la racemizzazione della porzione alcolica dell’estere ed il contemporaneo
scrambling dell’ossigeno 18 della porzione carbossilica. Questo comportamento è
dovuto evidentemente al ritorno da coppia ionica costituita da un carbocatione
planare stabilizzato e dall’anione carbossilato. Quest’ultimo, delocalizzando la carica
negativa su entrambi gli ossigeni, rende di fatto indistinguibile la posizione marcata
con 18O. L’attacco nucleofilo del carbossilato su una molecola planare quale il
carbocatione che funge da controione della coppia ionica deve avvenire
necessariamente in modo non stereoselettivo provocando la racemizzazione del
substrato di partenza.
Ph
H
Ph
O
4-Cl-C6H4
O
4-Cl-C6H4
NO2
18O
H
NO2
18O
L’acetolisi di alcuni esteri solfonici, in particolare del brosilato di treo-3-para-anisil2-butile, si è dimostrata assai significativa nello studio delle coppie ioniche per via
dell’intervento dell’ effetto sale speciale. In pratica si realizza la reazione in presenza
di perclorato di litio osservando una dipendenza non lineare della costante di velocità
all’aumentare della concentrazione di perclorato di litio. Questo comportamento è
schematizzato nella Figura 2.19, che mette in evidenza come si abbia un forte
aumento della velocità di reazione con piccole concentrazioni di perclorato di litio,
seguite da un andamento lineare della velocità in funzione della concentrazione di
sale aggiunto. Per giustificare questo andamento apparentemente anomalo è stata
proposta la soppressione del ritorno dalle coppie ioniche separate dal solvente. Il
ragionamento che sta alla base di questa razionalizzazione è il seguente. Se si
introduce nel mezzo di reazione un anione caratterizzato da nucleofilicità molto bassa
come ClO4¯, quest’ultimo può sostituirsi all’anione X¯ originariamente presente nella
coppia ionica. E’ plausibile che questa sostituzione debba avvenire nell’ambito della
coppia ionica separata dal solvente e non a livello della coppia ionica intima. A
58
questo punto si ha la formazione di una seconda coppia ionica separata dal solvente
costituita dal catione R+ e dall’anione perclorato (R+║ClO4¯). Come si è detto la
nucleofilicità dello ione perclorato è molto bassa e ciò impedisce il ritorno dalla
seconda coppia ionica, che implicherebbe l’attacco nucleofilo dell’anione perclorato
al carbocatione R+. Inoltre, anche se si formasse un estere perclorico covalente
(RClO4), esso subirebbe una ionizzazione velocissima dando il prodotto di acetolisi.
A questo punto è quindi chiaro che la seconda coppia ionica contenente l’anione
perclorato può solo trasformarsi molto velocemente nel prodotto di acetolisi a scapito
della riformazione della coppia ionica originaria R+║X¯. Ciò giustifica il forte
aumento della velocità di reazione reso graficamente dalla Figura 2.19.
+
R
X
_
+
105 k
+
LiCiO 4
R
_
_
+
ClO 4 + Li X
12
8
4
3
6
9
100 x [LiClO4] (M)
Figura 2.19. Diagramma log k in funzione di [ClO4¯] per la reazione di acetolisi di esteri solfonici.
2.8.2 Sostituzioni elettrofile al carbonio aromatico
La nitrazione di composti aromatici è forse la reazione più studiata di questa
categoria. Nel caso più generale lo schema cinetico si può scrivere
HNO3
k1
k-1
+
NO2 + ArH
k2
[(ArH)-NO2]+
k-2
k3
B
ArNO2 +
+
BH
L’espressione della velocità di reazione è variabile a secondo del mezzo nel quale
viene condotta la reazione.
Operando con acido nitrico ed acido solforico concentrati, cioè nelle tipiche
condizioni di nitrazione ad esempio del benzene, si ha una cinetica del secondo
ordine che diventa dello pseudo-primo ordine se la concentrazione di acido nitrico è
abbastanza grande rispetto a quella del substrato aromatico [ArH].
59
v = k[ArH][HNO3]
v = k[ArH]
Le nitrazioni realizzate con acido nitrico in solventi organici (ad esempio
l’acetonitrile) mostrano invece un comportamento cinetico molto più complesso nel
quale entrano in gioco tutte le costanti di velocità dello schema cinetico generale. In
questi casi l’espressione che si ricava sperimentalmente è
v = k 3 [ArH][NO 2 + ] =
k 3 K1K 2 [ArH][HNO 3 ]2
[NO 3 - ][H 2 O]
dove K1 = k1/k-1 e K2 = k2/k-2.
In entrambi i casi discussi si presume che la specie nitrante sia lo ione nitronio NO2+,
che come è noto viene generato in situ per protonazione dell’acido nitrico con acido
solforico o per autoprotolisi dell’acido nitrico in assenza di acidi più forti. Nella
pratica della sintesi organica sono disponibili molti agenti nitranti, ma ai fini della
discussione degli aspetti cinetici della nitrazione è interessante considerare il
comportamento dei sali di nitronio (tetrafluoroborato, esafluorofosfato). Questi
composti sono agenti nitranti estremamente efficaci anche nei confronti di substrati
poco reattivi poiché la concentrazione effettiva della specie NO2+ libera nella miscela
di reazione è particolarmente alta. L’estrema reattività dello ione nitronio libero fa si
che le reazioni realizzate con i suoi sali siano sotto il controllo della diffusione. A
questo proposito è istruttivo esaminare l’andamento della nitrazione dell’
1,2-difeniletano in differenti condizioni di reazione ma con uguale concentrazione dei
differenti agenti nitranti. In acido nitrico acquoso il rapporto tra prodotti mono- e
dinitro sostituiti è 7:1 mentre la nitrazione realizzata con NO2+ BF4¯ è molto più
veloce della precedente ed il rapporto mononitro/dinitro si inverte e diventa 1:3.6. In
quest’ultimo caso la preponderanza di prodotti dinitrati e la maggior quantità di
difeniletano non reagito nella miscela di reazione riflette il fatto che la reazione
avviene prima che sia completato il mescolamento dei reagenti. In altre parole il
difeniletano che si trova in regioni ad alta concentrazione di NO2+ viene per lo più
dinitrato mentre se si trova in regioni con bassa concentrazione di NO2+ viene
mononitrato in modo preponderante.
Il comportamento cinetico delle solfonazioni è piuttosto difficile da esaminare perché
il mezzo di reazione è costituito da acido solforico concentrato. Se le reazioni sono
condotte con oleum l’equazione empirica della velocità è
v = kH0 + k’[SO3]
dove H0 è la funzione di acidità del mezzo definita nel Capitolo 6. Da un punto di
vista totalmente empirico quest’ultima equazione potrebbe suggerire che il mezzo di
reazione fornisce sia un protone che una molecola di anidride solforica nello stato di
transizione.
60
2.8.3 Idrolisi degli esteri
L’idrolisi basica degli esteri carbossilici decorre con una cinetica del secondo ordine
la cui velocità è espressa dall’equazione
v = k2[estere][H2O]
Il decorso meccanicistico di questa reazione può avvenire in linea di principio
attraverso due percorsi distinti contrassegnati rispettivamente dai descrittori BAc2 ed
SN, ognuno dei quali rispetta la precedente equazione cinetica. Si pone quindi il
problema di trovare ulteriori fatti sperimentali che permettano di attribuire senza
equivoci il meccanismo di reazione.
O*
OR1
R
HO
O*
O*
OR1
R
R
OH
OH
+ R1O
BAc2
_
O*
R
O*
O R1
R
O
SN
+ R1OH
A questo scopo è utile soffermarsi sull’idrolisi basica di acetati di etile α-sostituiti
valutando la variazione relativa della costante di velocità al variare del gruppo R.
R
CH3
CH2Cl
CHCl2
CCl3
_________________________________________________________________
O
R
OEt
k
1
760
16000
100000
Dal confronto di queste velocità relative emerge che l’addizione del nucleofilo è
cineticamente più importante della fissione del gruppo uscente. Ciò significa che se
all’aumentare delle caratteristiche elettronattrattrici di R corrisponde un aumento
della velocità di reazione è molto probabile che lo stadio cineticamente rilevante sia
costituito dall’attacco nucleofilo dell’idrossianione al carbonile dell’estere. Da questa
semplice considerazione si può ragionevolmente ipotizzare che il meccanismo
realmente operante nel caso dell’idrolisi basica degli esteri sia di tipo BAc. A sostegno
di questa ipotesi emergono altri fatti interessanti. Studi di marcatura isotopica con 18O
hanno dimostrato che tutto l’ossigeno 18 rimane nell’alcol, il che preclude un
meccanismo di addizione ad R1 da parte dell’idrossianione.
O
R
O
O* R1
R
OH
+ R1O*H
Esistono poi evidenze stereochimiche molto chiare a sostegno del meccanismo BAc.
Per prima cosa l’idrolisi basica degli esteri procede senza difficoltà anche se R1 è
61
stericamente ingombrato. Inoltre, nel caso in cui R1 sia chirale a configurazione
assoluta definita, l’atomo di carbonio connesso all’ossigeno alcolico ritiene la
configurazione assoluta. Tutte le evidenze sperimentali appena discusse sono a
sostegno dell’ipotesi del meccanismo BAc2 che può quindi essere ritenuto realmente
operante.
Anche l’idrolisi acida di esteri carbossilici mostra una cinetica del second’ordine
espressa da un’equazione identica a quella trovata nel caso dell’idrolisi basica. Il
meccanismo proposto di seguito è coerente con i dati cinetici e con esperimenti di
marcatura isotopica dato che, ancora una volta, quest’ultima viene ritenuta
completamente sull’ossigeno alcolico.
O
R
OH
O*
R1
+ H+
R
O*
- H+
R1
+ H+
OH
O
O* R1
R
OH
R
OH
+ R1O*H
H2O
2.8.4 Reazioni di eliminazione
L’equazione cinetica per una tipica reazione di eliminazione bimolecolare quale la
deidroalogenazione di 2-bromofeniletani è del tipo
v = k2[substrato][base]
Per quanto riguarda le eliminazioni monomolecolari la situazione è un pò più
complessa. Lo schema meccanicistico e l’equazione cinetica generali sono
B
H C C X
k1
BH+
k-1
v=
C C X
k2
+
X
_
k1k 2 [RX ][B]
k -1[BH + ] + k 2
dove con B si designa la base e con RX il substrato.
Si distinguono tre casi principali di eliminazioni monomolecolari a seconda dei valori
relativi delle costanti cinetiche. In primo luogo si ha una ionizzazione irreversibile,
caratterizzata dal descrittore meccanicistico E1CbI, se k1>>k-1 e k2>>k-1. In questo caso
l’equazione cinetica generale si riduce a
v = k1[RX][B]
in modo identico a quanto accade per un’eliminazione bimolecolare. Si ha poi una
ionizzazione reversibile, caratterizzata dal descrittore meccanicistico E1CbR, se
k-1>>k2. L’equazione cinetica generale si semplifica ed assuma la seguente forma
62
v=
k1k 2 [RX ][B]
k -1[BH + ]
Nelle due possibilità meccanicistiche presentate fino ad ora si ritiene che la specie
carbanionica possieda le caratteristiche di un intermedio classico, nel senso che si
suppone debba trattarsi di una specie molto reattiva. Ma in linea di principio è
possibile la formazione di un carbanione stabile, nel qual caso il meccanismo della
reazione (E1a) è caratterizzato dalla decomposizione monomolecolare del carbanione
nel passaggio che determina la velocità di reazione. Perché l’intermedio carbanionico
stabile possa accumularsi durante la reazione è necessario che k1>>k-1, k2 e
l’equazione cinetica generale si semplifica in un’espressione del primo ordine
v = k[RX]
la cui velocità è indipendente dalla concentrazione della base, dato che si suppone
che tutto il substrato sia convertito nella sua base coniugata.
2.9 Problemi
Per la risoluzione dei problemi è solitamente necessaria l’applicazione del metodo dei
minimi quadrati limitato al calcolo di una retta. Tralasciando completamente la sua
dimostrazione si dà qui il sistema di equazioni che si impiega per trovare qual’è la
retta migliore che interpola i dati sperimentali dei problemi.
Per una serie di coppie di dati sperimentali xi, yi, la retta y = ax + b si trova risolvendo
il sistema lineare dato dalle due equazioni
2
a (∑ xi ) + b(∑ xi ) = ∑ xi yi
i
i
a (∑ xi ) + nb = ∑ yi
i
i
i
dove n è il numero delle misure effettuate. Per valutare l’affidabilità della retta
ottenuta come descritto si calcolano le deviazioni standard σa, σb relative ai
coefficienti a, b. Per il calcolo delle deviazioni standard ci si può riferire ad un
manuale di calcolo numerico.
1.
Due reazioni mostrano i seguenti parametri di Arrhenius
A = 109, ∆E≠ = 60 KJ/mol
A = 1010, ∆E≠ = 70 KJ/mol
Calcolare la temperatura alla quale si equivalgono le costanti di velocità.
2.
Per la seguente reazione di sostituzione nucleofila aromatica sono dati i valori di
[A] = f(t) riportati nella Tabella. Specificare l’ordine della reazione utilizzando
metodi grafici.
63
NO2
NO2 H
F
Ph
+
O2N
Me
COOMe
O2N
NH2
N
COOMe
Me
Ph
_________________________________________________________________________________
log([A]0/[A])
t (min)
([A]0-[A])/[A]0[A]
_________________________________________________________________________________
2.5
4.8
7.0
9.0
0
5
10
15
1.0
6.5
7.0
7.6
_________________________________________________________________________________
3.
L’idrolisi del cloruro di benzile viene monitorata attraverso misure di
conduttanza dell’HCl che si forma durante la reazione. La conduttanza di una
soluzione 0.001 M di HCl vale 1000 unità arbitrarie. Partendo da una
concentrazione di cloruro di benzile 0.001 M, determinare graficamente l’ordine
della reazione sulla base dei seguenti dati.
Conduttanza 100
200
300
400
500
Tempo (s)
15030
31830
50880
72870
98880
4.
Per la reazione di Diels-Alder tra anidride maleica e butadiene si hanno i
seguenti dati
log k
1/T
-32.5
-28.1
-24.4
-21.51
3.36 x 10-3 3.05 x 10-3 2.79 x 10-3 2.58 x 10-3
Calcolare l’energia di attivazione ed il fattore preesponenziale di Arrhenius.
5.
Per la reazione termica
si hanno i seguenti dati
k
103/T
9.74 x 10-5 3.95 x 10-4 1.28 x 10-3
2.247
2.169
2.092
Calcolare l’energia di attivazione.
6.
La reazione tra l’ossido di stirene e la piperidina è stata studiata dal punto di
vista cinetico ottenendo i seguenti risultati
64
104 k
T (K)
0.17
273
1.50
298
7.00
317
14.80
327.7
Calcolare la costante di velocità k a 33°C ed i parametri A, ∆E≠, ∆S≠ e ∆H≠.
7.
Si consideri la cicloaddizione di Diels-Alder tra etilene e butadiene. Dati i
diametri molecolari del butadiene A e dell’etilene B, rispettivamente σA = 622
pm e σB = 380 pm, calcolare il fattore pre-esponenziale di Arrhenius a 288°C.
8.
Per la reazione del problema 7 si hanno i seguenti dati sperimentali
log k
T (°C)
1.289
259
1.498
276
1.749
298
1.951
317
Calcolare il fattore pre-esponenziale di Arrhenius e paragonarne il valore con
quello ottenuto nell’esercizio 7 spiegando eventuali differenze.
9.
In riferimento al grafico della Figura 2.4 dimostrare che la concentrazione
dell’intermedio B aumenta all’aumentare del rapporto k1/k2.
10. Dimostrare dettagliatamente che nel caso di una reazione di eliminazione
caratterizzata dal meccanismo E1a vale l’equazione cinetica v = k[RX].
2.10 Bibliografia
Oltre ai testi più diffusi e completi di chimica organica fisica già citati nella sezione
bibliografica del capitolo 1, è possibile trarre un gran numero di informazioni utili
dalla consultazione dei seguenti libri di testo dedicati espressamente alla cinetica
chimica.
1.
2.
3.
4.
5.
H. E. Avery Basic Reaction Kinetics and Mechanisms Macmillan Press, London
1980.
J. H. Espenson Chemical Kinetics and Reaction Mechanisms McGraw-Hill, New
York, 1991. Testo didattico e completo di cinetica chimica elementare.
P. Beltrame Cinetica Chimica, in M. Simonetta Chimica Fisica Manfredi
Editore, Milano 1967, Vol. 1, Capitolo 3.
A. Gavezzotti Cinetica Chimica Editrice Scientifica Guadagni, Milano, 1982. La
lettura di questo libro è consigliata a chi desidera apprendere aspetti e procedure
sperimentali in cinetica chimica.
A. Cornish-Bowden Fundamentals of Enzyme Kinetics Portland Press, London
2004. Approfondisce gli aspetti connessi alla cinetica enzimatica.
65
3
TEORIA PERTURBATIVA ED HSAB
____________________________________________________________________
3.1 Introduzione
64
3.2 Teoria perturbativa
66
3.3 Applicazioni della teoria perturbativa
76
3.4 Teoria HSAB
99
3.5 Applicazioni della teoria HSAB
102
3.6 Aspetti quantitativi della teoria HSAB
106
3.7 Problemi
110
3.8 Bibliografia
111
____________________________________________________________________
3.1 Introduzione
Nella rappresentazione grafica dei meccanismi delle reazioni organiche si è soliti
indicare il movimento di coppie elettroniche per mezzo di frecce ricurve. Come si è
detto (cfr. pag 1) questo modo di raffigurare il meccanismo di una reazione è
piuttosto grossolano, benché comodo ed intuitivo, poiché si basa solo sulla
distribuzione della densità di carica dei reagenti. Esistono però altri fattori
determinanti al fine di stabilire il decorso di una reazione in termini della formazione
di alcuni prodotti piuttosto che di altri. Non deve dunque stupire che la
rappresentazione “a frecce” sia talvolta inadatta a rendere conto della formazione di
alcuni prodotti e, quindi, proporre un meccanismo adeguato. In effetti esistono un
gran numero di reazioni, alcune delle quali assai importanti da un punto di vista sia
meccanicistico che sintetico, il cui decorso non può essere giustificato da un
meccanismo basato interamente sull’interazione tra cariche.
A titolo di esempio si consideri la reazione tra ioduro di etile e cianuri di vari metalli.
Se con cianuro di potassio si verifica l’atteso spostamento dello iodio da parte
dell’anione cianuro, il comportamento in presenza di cianuro d’argento è del tutto
diverso dato che si ha la formazione dell’etilisocianuro.
Et-I + KCN → Et-C≡N + KI
Et-I + AgCN → Et-N=C‫ ׃‬+ AgI
Anche l’alchilazione degli enolati, che procede dando esclusivamente il prodotto
C-alchilato, non può essere prevista facilmente attraverso un meccanismo “a frecce”.
66
O
Me
MeI
O
OMe
Gli usuali meccanismi basati sulle cariche delle specie reagenti non rendono conto
della marcata differenza di reattività che si riscontra nelle reazioni di Diels-Alder tra
butadiene e dienofili diversi quali l’etilene e l’anidride maleica.
lenta
+
O
O
+
O
veloce
O
O
O
Soprattutto emerge l’incapacità di prevedere l’esito regiochimico di importanti
cicloaddizioni quali le reazioni di Diels-Alder ed 1,3-dipolari, che danno un solo
prodotto e non una miscela di due addotti isomeri.
OMe
CHO
OMe
CHO
+
OMe
CHO
N
N
COOMe
N
+
COOMe
COOMe
N
N
N
Per razionalizzare il decorso di queste e molte altre reazioni si ricorre alla teoria
perturbativa, che analizza le interazioni (perturbazioni, appunto) che si producono a
livello degli orbitali molecolari delle specie reagenti durante la formazione di un
nuovo legame.
67
3.2 Teoria perturbativa
L’interazione tra due orbitali φa, φb produce una perturbazione delle loro energie
iniziali Ea, Eb dando luogo ad una nuova coppia di orbitali φa + λφb, φa + λ*φb dove
compaiono i coefficienti di mescolamento λ, λ*. Se le energie di stabilizzazione ∆E e
di destabilizzazione ∆E* sono tali per cui ∆E > ∆E* ne segue che il mescolamento di
φa, φb produce una coppia di orbitali stabilizzata.
E
∆E*
φb
φa - λ∗φb
φa
∆E
stato iniziale
φa + λφb
stato finale
Figura 3.1. Diagramma perturbazionale dei due orbitali atomici interagenti φa, φb.
Come primo passo si procede al calcolo dei coefficienti di mescolamento λ, λ*, che
sono connessi alle energie Ea, Eb dalle relazioni
λ=−
β a,b
Ea - Eb
, λ* = −
β a,b
Eb - Ea
dove βa,b = ∫φaHφbdτ è l’integrale di risonanza. Prescindendo dalla successiva
elaborazione matematica, che è piuttosto pesante, da queste considerazioni iniziali si
ricava l’equazione di Klopman-Salem valida per la generica reazione intermolecolare
tra le specie r ed s. Essa esprime la variazione energetica in funzione della coordinata
di reazione partendo dallo stato iniziale non perturbato per arrivare allo stato
perturbato nel quale gli orbitali molecolari delle specie r, s interagiscono con
formazione del legame.
∆E = -∑a,b (q a + q b ) β a,b Sa,b + ∑k,l
2
Q k Q l occ nocc occ nocc 2(∑a,b c ra c sb β a,b )
+∑ ∑ −∑ ∑
Er - Es
εR k,l
r s
s r
Per maggiore chiarezza è utile analizzare separatamente ognuno dei termini che
compaiono al secondo membro dell’equazione di Klopman-Salem.
68
Termine I.
- ∑a,b (q a + q b ) β a,bSa,b
Il valore di questo termine è determinato dalle popolazioni elettroniche qa,b degli
orbitali atomici φa, φb, dove φa è un orbitale atomico della molecola r e φb un orbitale
atomico della molecola s. Con Sab = ∫φaφbdτ si indica l’integrale di sovrapposizione
relativo a φa, φb. La sommatoria in esame si limita alla descrizione dell’interazione tra
gli orbitali occupati delle molecole r, s; ha natura antilegante e riflette l’entità
dell’entalpia di attivazione del processo reattivo. Poiché quest’ultima grandezza non
risente, o risente poco, dell’orientazione reciproca delle specie reagenti, il termine I
dell’equazione di Klopman-Salem si può ritenere indipendente dalla regiochimica
della reazione. Questa constatazione è particolarmente rilevante nello studio delle
reazioni pericicliche. Si può allora intuire che la reattività tra le specie r, s è
determinata essenzialmente dai restanti due termini che compaiono al secondo
membro dell’equazione di Klopman-Salem. Per questo motivo le applicazioni della
teoria perturbativa alle reazioni organiche vedranno operare una forma semplificata
di questa equazione nella quale viene meno il termine I.
Termine II.
Q Ql
∑k,l εRk
k,l
E’ detto termine di carica, in quanto è determinato dai valori Qk, Ql che rappresentano
le cariche elettroniche totali sugli atomi k di r ed l di s. Rk,l è la distanza tra gli atomi
k,l ed ε è la costante dielettrica locale. Si può intuire che l’importanza relativa di
questo termine dell’equazione di Klopman-Salem aumenta considerevolmente nelle
reazioni che implicano la presenza o la comparsa di specie cariche.
Termine III.
occ nocc
occ nocc 2(
∑ ∑ −∑ ∑
r
s
r
∑a,b c ra c sb β a,b ) 2
E r - Es
s
Rappresenta l’interazione di tutti gli orbitali occupati (occ) di una delle specie
reagenti con tutti gli orbitali non occupati (nocc) dell’altra. Con cra si indica il
coefficiente dell’orbitale atomico φa nell’orbitale molecolare di r, con csb l’analogo
coefficiente per φb di s. Si ricorda che il valore del coefficiente atomico dell’orbitale
molecolare rappresenta una misura approssimata della localizzazione dello stesso
orbitale sulla data posizione atomica. Er ed Es sono le energie degli orbitali
molecolari interagenti di r ed s. Il contributo dato da questo terzo termine alla
69
stabilizzazione energetica espressa dall’equazione di Klopman-Salem aumenta al
diminuire della differenza energetica Er - Es ed all’aumentare dei coefficienti atomici
cra, csb. Queste dipendenze indicano che il contributo energetico espresso dal terzo
termine aumenta tanto più quanto è maggiore la sovrapposizione degli orbitali
interagenti.
A questo punto, poiché le specie reagenti tipicamente impiegate nella chimica
organica possono essere descritte da un numero molto elevato di orbitali molecolari,
occorre stabilire quali di questi orbitali conviene scegliere per studiarne l’interazione.
E’ ragionevole supporre che tra gli orbitali molecolari occupati coinvolti nella
reciproca perturbazione indotta dall’atto reattivo debba essere considerato
principalmente quello a maggior contenuto energetico. Si conviene di indicare quest’
orbitale con l’acronimo HOMO (Highest Occupied Molecular Orbital). Allo stesso
modo si può supporre che l’intervento più significativo di partecipazione all’atto
reattivo da parte di orbitali non occupati debba essere limitato, o per lo meno dovuto
in maggior misura, a quello di minor contenuto energetico. Anche in questo caso si
conviene di indicare quest’orbitale con un acronimo e precisamente LUMO (Lowest
Unoccupied Molecular Orbital). Gli orbitali HOMO e LUMO sono detti orbitali di
frontiera e di solito sono indicati con l’acronimo FMO (Frontier Molecular Orbitals).
Il passo successivo è quello di stabilire quali coppie di orbitali associate ai due
reagenti si possono perturbare al punto da instaurare un nuovo legame. A questo
proposito si può valutare il diagramma energetico relativo all’interazione HOMOHOMO rappresentata dalla Figura 3.2, per la cui costruzione valgono le regole note
dalla Chimica Generale. E’ facile constatare che l’energia di stabilizzazione E1 è
inferiore a quella di destabilizzazione E2; l’interazione HOMO-HOMO è
complessivamente destabilizzante e quindi non produttiva ai fini della reazione.
E
E2
E1
Figura 3.2. Diagramma perturbazionale di interazione HOMO-HOMO.
Esaminando il diagramma energetico proposto nella Figura 3.3, che rende conto
dell’interazione tra l’HOMO di un reagente ed il LUMO dell’altro, si può notare che
70
la perturbazione dei livelli energetici degli orbitali coinvolti è stabilizzante in ragione
dell’energia di stabilizzazione ES.
E
ES
Figura 3.3. Diagramma perturbazionale di interazione HOMO-LUMO.
Quale terzo ed ultimo caso si consideri l’interazione tra il LUMO di uno dei due
reagenti ed un orbitale occupato a contenuto energetico inferiore all’HOMO del
secondo reagente. Se quest’ultimo orbitale è quello energeticamente più prossimo
all’HOMO si conviene di indicarlo con l’acronimo NHOMO (Next to HOMO).
E
E'S
Figura 3.4. Diagramma perturbazionale di interazione NHOMO-LUMO.
71
In questo caso l’energia di stabilizzazione E’S è evidentemente inferiore al valore ES
operante nell’interazione HOMO-LUMO. Ne segue che, in linea generale,
l’interazione orbitalica più efficiente, che può cioè condurre alla formazione di un
nuovo legame, si verifica tra l’HOMO di uno dei due reagenti ed il LUMO dell’altro.
In prima approssimazione si possono dunque trascurare tutte le interazioni che non
coinvolgono direttamente la coppia degli orbitali di frontiera.
Va inoltre aggiunta una riflessione importante che concerne un aspetto prettamente
chimico degli orbitali di frontiera. Si è definito l’HOMO di una specie come
l’orbitale occupato a più alta energia; ciò significa che gli elettroni di questo orbitale
sono i più disponibili nella formazione di un nuovo legame. Si può quindi correlare in
modo coerente la definizione di HOMO con la nozione di specie nucleofila, nel senso
che un buon nucleofilo deve possedere un HOMO ad energia relativamente alta per
poter donare facilmente i propri elettroni. D’altra parte la specie accettrice, o
elettrofila, deve possedere un LUMO ad energia relativamente bassa per poter
alloggiare convenientemente gli elettroni che le vengono donati nella formazione di
un nuovo legame.
Queste ultime due constatazioni permettono di semplificare notevolmente
l’equazione di Klopman-Salem poiché, riassumendo,
- il primo termine può essere trascurato,
- il secondo termine si riduce nel tenere conto delle cariche elettroniche della specie
elettrofila (QE) e nucleofila (QN),
- il terzo termine deve tenere conto solo dell’interazione degli orbitali di frontiera
HOMO e LUMO.
A questo punto l’equazione di Klopman-Salem assume la forma
∆E =
QEQN
2(c E c N β ) 2
+
E HOMO - E LUMO
εR
(equazione 3.1)
che al secondo membro contiene solo due termini:
- il termine Coulombiano che rende conto dei contributi di carica,
- il termine degli orbitali di frontiera.
In quest’ultimo termine compaiono i coefficienti cE, cN in relazione, rispettivamente,
al sito attivo della specie elettrofila e di quella nucleofila. Da un punto di vista
puramente aritmetico è evidente che il contributo del secondo termine dell’equazione
3.1 è tanto più grande quanto minore è la differenza energetica tra l’HOMO del
nucleofilo ed il LUMO dell’elettrofilo. In termini chimici ciò significa semplicemente
che l’interazione perturbativa si fa più intensa se è implicata la partecipazione di
nucleofili forti, caratterizzati da valori elevati dell’energia dell’HOMO, e/o elettrofili
forti per i quali l’energia del LUMO è bassa.
Dal punto di vista della teoria perturbativa riassunta dall’equazione 3.1, le reazioni
organiche si possono classificare in due categorie a secondo di quale dei due termini
al secondo membro della stessa equazione prevale sull’altro. Si hanno reazioni sotto
controllo di carica quando l’energia di stabilizzazione dell’equazione 3.1 è data
principalmente dal termine Coulombiano, il che avviene per reazioni ioniche oppure
72
che comportano lo sviluppo di cariche. Si hanno reazioni sotto controllo orbitalico
qualora il termine degli orbitali di frontiera prenda il sopravvento sul termine
Coulombiano dell’equazione 3.1. A questa categoria di reazioni appartengono ad
esempio le reazioni pericicliche, che decorrono tra specie neutre senza sviluppo di
cariche.
3.2.1 Energie e coefficienti degli orbitali di frontiera
E’ ben noto che nei composti organici la sostituzione di uno o più atomi o gruppi con
altri dotati di diverse caratteristiche elettroniche può causare importanti variazioni
nella reattività. Questo aspetto è razionalizzabile nell’ambito della teoria perturbativa
e nell’approssimazione dell’orbitale di frontiera. Si consideri ad esempio l’etilene, il
cui HOMO calcolato col metodo AM1 ha energia pari a -10.55 eV (1 eV = 23.063
Kcal/mol). Sostituendo un raggruppamento =CH2 dell’etilene con un atomo di
ossigeno si ottiene la formaldeide, cui corrisponde un valore calcolato dell’HOMO
pari a -14.55 eV. La maggiore stabilità dell’HOMO della formaldeide rispetto a
quello dell’etilene è dovuta al fatto che l’atomo di ossigeno, che è più elettronegativo
del carbonio, alloggia più facilmente gli elettroni dell’orbitale occupato.
CH2 CH2
CH2 O
E (eV)
-10.55
-14.55
Figura 3.5. Energia dell’orbitale occupato a più alta energia (HOMO) per l’etilene e la formaldeide.
Queste previsioni teoriche sono confermate sperimentalmente da misure
spettroscopiche. L’energia degli orbitali di frontiera occupati è infatti data dal
potenziale di ionizzazione verticale ottenibile dalla spettroscopia di fotoelettroni
(PES). Nella Figura 3.5, così come in tutti i diagrammi di questo tipo, il valore del
potenziale di ionizzazione cambiato di segno viene inviduato come energia
dell’HOMO espressa in eV. Poiché una specie chimica trattiene i propri elettroni
tanto più fortemente quanto più alta è la sua elettronegatività, è ovvio che il
potenziale di ionizzazione debba risultare tanto più elevato quanto maggiore è
l’elettronegatività della specie in questione. Inoltre, dal punto di vista fisico, si
conviene di esprimere i potenziali di ionizzazione come quantità positive; risulta così
chiaro perché le energie degli HOMO sono espresse da valori negativi. Nella Tabella
3.1 sono riportati i valori dei potenziali di ionizzazione di alcune molecole organiche
semplici. Il buon accordo tra i valori energetici calcolati e quelli sperimentali
costituisce una valida conferma delle deduzioni tratte nell’ambito della teoria
perturbativa.
73
Tabella 3.1. Energie degli HOMO di semplici
molecole organiche ottenute dalla spettroscopia PES.
___________________________________________________________________
Molecola
Tipo di orbitale
Energia (eV)
π
π
π
n
ψ2
π
π
π
π
-10.51
-11.40
-14.09
-10.50
-9.10
-10.90
-9.25
-8.90
-10.50
___________________________________________________________________
etilene
acetilene
formaldeide
formammide
butadiene
acroleina
benzene
furano
piridina
___________________________________________________________________
Le energie degli orbitali di frontiera non occupati (LUMO) si possono stimare con
misure dell’affinità elettronica. Anche in questo caso si conviene di designare
l’energia del LUMO con il valore dell’affinità elettronica cambiata di segno. A
differenza dei dati ottenibili dalla spettroscopia PES, le misure di affinità elettronica
sono piuttosto difficili da eseguire e di conseguenza il numero di dati disponibili è
alquanto limitato. Nella Tabella 3.2 sono riportati i valori di affinità elettronica per
alcune semplici molecole organiche.
Tabella 3.2. Affinità elettroniche di semplici
molecole organiche.
_________________________________________________________________
Molecola
Energia (eV)
_________________________________________________________________
etilene
acrilato di metile
tetracianoetilene
n-butilviniletere
stirene
fenilacetilene
butadiene
anidride maleica
-0.84
0.80
2.89
-0.70
-0.55
-1.25
-0.32
1.80
_________________________________________________________________
Per quanto riguarda i coefficienti atomici degli orbitali di frontiera, si è detto che essi
contribuiscono a determinare la grandezza del termine dell’orbitale di frontiera
dell’equazione 3.1. Anche i coefficienti atomici possono essere calcolati utilizzando
il formalismo della teoria perturbativa ed un esempio interessante è offerto dal
sistema allilico i cui orbitali di frontiera sono illustrati nella Figura 3.6.
74
E
0.5 -0.7070.5
LUMO dell'anione
Ψ3
0.707
-0.707
LUMO del catione
HOMO dell'anione
Ψ2
0.5 0.707 0.5
Ψ1
HOMO del catione
C1
C2
C3
Figura 3.6. Orbitali di frontiera del sistema allilico.
L’orbitale ψ1 è l’HOMO del catione allilico, mentre il suo LUMO è rappresentato
dall’orbitale ψ2. Il valore dei coefficienti atomici di questi primi due orbitali ed i loro
segni si possono valutare graficamente utilizzando la parte destra della Figura 3.6,
che offre una rappresentazione pittorica delle funzioni d’onda associate ai singoli
orbitali. Si nota che ψ1 è legante su tutto il sistema coniugato, sicché i coefficienti
atomici devono avere tutti lo stesso segno. Inoltre la popolazione elettronica è
localizzata principalmente sull’atomo C2, ed il coefficiente più grande spetta quindi a
C2. Poiché vale la condizione di normalizzazione ∑ c i 2 = 1 si ricavano i valori dei
i
coefficienti espressi dai numeri riportati nella Figura 3.6.
Mentre l’orbitale ψ1 a contenuto energetico minore non ha nodi, ψ2 ha un nodo in
corrispondenza dell’atomo di carbonio centrale (C2). Ciò significa che il coefficiente
atomico di C2 dev’essere nullo. I segni dei coefficienti di C1 e C3 sono opposti e per
effetto della condizione di normalizzazione si ha |c1| = |c2| = 1/√2.
La simmetria dell’orbitale ψ3, che è il LUMO dell’allilanione, prevede due nodi in
corrispondenza di ciascuno dei due legami carbonio-carbonio. I coefficienti atomici
hanno quindi segni alternati.
Sperimentalmente i coefficienti atomici degli orbitali di frontiera si possono ricavare
da dati di spettroscopia di risonanza elettronica (ESR). Il loro valore è infatti in
relazione diretta con la popolazione elettronica che la spettrocopia ESR è in grado di
misurare su un certo nucleo atomico. Poiché la molteplicità del segnale ESR riferita
ad un certo atomo è direttamente proporzionale alla popolazione elettronica su
quell’atomo, ci si può aspettare una relazione semplice tra il valore del coefficiente
75
atomico e la costante di accoppiamento del segnale. Per un accoppiamento protonecarbonio è valida l’equazione di McConnell
aH = QCH ρC
dove aH è la costante di accoppiamento, QCH è una costante dipendente dal tipo di
ibridizzazione dell’atomo di carbonio e ρC è la popolazione di spin dell’atomo di
carbonio.
3.3 Applicazioni della teoria perturbativa
Le considerazioni generali espresse sugli orbitali di frontiera sono molto utili nella
razionalizzazione di un gran numero di reazioni organiche. Le regole generali da
seguire per l’applicazione pratica della teoria perturbativa nella descrizione di una
reazione in termini di orbitali di frontiera si possono riassumere in quattro punti:
1. stima delle energie dell’HOMO e del LUMO per ciascun reagente,
2. identificazione della coppia HOMO-LUMO con le energie più vicine,
3. stima delle dimensioni relative dei coefficienti sugli atomi coinvolti nella
formazione di nuovi legami,
4. combinazione dei lobi degli orbitali di frontiera secondo la loro dimensione.
Nell’ambito di questo paragrafo verranno considerate tre categorie di reazioni
organiche, ovvero le sostituzioni al carbonio saturo, le sostituzioni elettrofile
aromatiche e soprattutto le reazioni di cicloaddizione. Queste ultime trasformazioni si
prestano assai bene a mettere in evidenza le potenzialità della teoria perturbativa.
3.3.1 Sostituzioni al carbonio saturo
L’inversione di configurazione tipica delle sostituzioni nucleofile bimolecolari si può
spiegare facilmente studiando l’interazione tra gli orbitali di frontiera dei reagenti.
Per far ciò si considera l’interazione prodotta dall’HOMO della specie nucleofila ed il
LUMO di quella elettrofila. La sovrapposizione dei lobi degli orbitali di frontiera con
dimensioni paragonabili è completamente legante se l’attacco del nucleofilo avviene
dalla parte opposta a quella del gruppo uscente, mentre è parzialmente antilegante se
avviene dalla stessa parte. La prima delle due situazioni è favorita energeticamente ed
è quindi quella che rappresenta il meccanismo delle reazioni SN2.
interazione legante
Nu-
HOMO
interazione antilegante
NuHOMO
Cl
Cl
LUMO
LUMO
inversione di configurazione
ritenzione di configurazione
76
Anche nelle sostituzioni elettrofile bimolecolari, che nella maggior parte dei casi
decorrono con ritenzione di configurazione, la coppia di orbitali interagenti sono il
LUMO dell’elettrofilo e l’HOMO del nucleofilo. Per la reazione tra un generico
elettrofilo E+ ed il metillitio si possono ancora avere due tipi di attacco: dalla stessa
parte e dalla parte opposta rispetto al metallo. In entrambi i casi la sovrapposizione
dei lobi orbitalici è legante; si deve dunque supporre che l’attacco della specie
elettrofila avvenga dalla stessa parte del metallo per gran parte delle reazioni SE2.
LUMO
E+
interazione legante
interazione legante
E+
LUMO
Li
Li
HOMO
HOMO
inversione di configurazione
ritenzione di configurazione
3.3.2 Sostituzioni elettrofile aromatiche
Nell’ambito della Chimica Organica generale si discute in modo approfondito
l’effetto esercitato dai sostituenti presenti sull’anello benzenico nell’indirizzare le
reazioni di sostituzione elettrofila aromatica. Volendo riassumere, i sostituenti
fortemente elettronattrattori, caratterizzati da effetti –M e –I, disattivano l’anello
aromatico nei confronti delle sostituzioni elettrofile e sono meta orientanti. Al
contrario i sostituenti elettron repulsori distinti da effetti + M, + I sono attivanti ed
orto, para orientanti. Quali esempi si prendano in esame le nitrazioni del
nitrobenzene e dell’anisolo. La prima reazione decorre in condizioni alquanto
drastiche e dà l’1,3-dinitrobenzene quale prodotto preponderante mentre la nitrazione
dell’anisolo procede in condizioni blande dando una miscela dei prodotti 1,2- ed 1,4sostitutiti.
NO2
NO2
NO2
NO2
HNO3/H2SO4
+
95°C
NO2
88%
OMe
tracce
OMe
OMe
NO2
HNO3
+
45°C
NO2
40%
77
58%
Questa differenza di comportamento è descritta in modo soddisfacente dai classici
meccanismi “a frecce ricurve” dato che le formule di valenza utilizzate normalmente
sono in grado di rendere conto dell’effetto di stabilizzazione o destabilizzazione della
carica che si forma a livello del catione benzenio intermedio. In questo paragrafo ci si
propone di mostrare come l’esame degli orbitali molecolari delle specie aromatiche
conduce ai medesimi risultati costituendo un approccio alternativo a quello classico
basato sul movimento delle cariche.
Prendendo in esame gli orbitali molecolari π del benzene, si nota che esistono due
orbitali occupati degeneri che possono essere entrambi indicati come HOMO. Ciò è
dovuto alla particolare simmetria del benzene.
E (eV)
+2.98
+0.55
LUMO
+0.55
LUMO
-9.65
HOMO
-9.65
HOMO
-13.38
Figura 3.7. Orbitali molecolari π del benzene.
L’introduzione di un sostituente sull’anello benzenico ha come effetto quello di
desimmetrizzarne gli orbitali π. Considerando il diagramma degli orbitali del
nitrobenzene (Figura 3.8) si nota che l’HOMO si colloca ad energia inferiore rispetto
a quello del benzene. Ciò significa che il nitrobenzene è un nucleofilo peggiore del
benzene, il che giustifica la sua scarsa reattività nei confronti delle sostituzioni
elettrofile. I coefficienti atomici degli orbitali molecolari descritti nelle Figure 3.7 e
3.8 sono rappresentati in modo approssimato da cerchi il cui diametro è proporzionale
al valore numerico del coefficiente. L’esame di questi coefficienti mette in grado di
razionalizzare la regioselezione operante nella nitrazione del nitrobenzene. L’HOMO
è maggiormente localizzato sulla posizione meta; la specie elettrofila attaccante è
quindi indirizzata di preferenza verso quella posizione. Per contro il coefficiente
atomico nella posizione orto è piccolo ed è nullo in posizione para.
78
NO2
E (eV)
NO2
NO2
-0.31
-1.01
-1.11
NO2
NO2
NO2
-10.57
HOMO
-10.68
-14.23
Figura 3.8. Orbitali molecolari π del nitrobenzene.
L’HOMO dell’anisolo (Figura 3.9) ha energia più alta di quello del benzene; si tratta
dunque di un nucleofilo migliore che dà più facilmente le reazioni di sostituzione
elettrofila. I suoi coefficienti atomici sono localizzati principalmente nelle posizioni
orto, para giustificando la regioselezione osservata sperimentalmente.
OMe
E (eV)
OMe
OMe
+2.92
+0.66
+0.55
OMe
OMe
OMe
-8.98
HOMO
-9.78
-11.85
Figura 3.9. Orbitali molecolari π dell’anisolo.
79
3.3.3 Cicloaddizioni
Le cicloaddizioni sono reazioni nelle quali si ha la formazione di un anello
carbociclico od eterociclico da precursori aciclici. Nella stragrande maggioranza dei
casi esse avvengono attraverso uno stato di transizione concertato. In una
cicloaddizione il numero dei legami σ aumenta a spese del numero di legami π
preesistenti, ed il numero dei nuovi legami σ che si formano in luogo di tali legami π
suggerisce un criterio utile alla classificazione delle cicloaddizioni nell’ambito delle
reazioni pericicliche. In una cicloaddizione si formano due nuovi legami σ a spese di
due legami π mentre, ad esempio, le reazioni in cui si ha conversione di un legame π
in un legame σ si definiscono reazioni elettrocicliche.
+
(una reazione di cicloaddizione)
(una reazione elettrociclica)
In base alla classificazione suggerita dalle regole di Woodward-Hoffmann, le
cicloaddizioni secondo Diels-Alder sono processi [π4S+π2S] permesse termicamente.
Questa notazione indica che il frammento dienico, π4, e quello dienofilo, π2, si
combinano in modo suprafacciale. Le cicloaddizioni si possono anche classificare in
base alle dimensioni dell’anello formatosi. Una reazione di Diels-Alder è un processo
[4+2]; ciò significa che i due reagenti contribuiscono alla formazione dell’anello a sei
termini con frammenti a quattro ed a due atomi di carbonio, rispettivamente il diene e
il dienofilo. La notazione entro parentesi quadrata indica dunque il numero degli
atomi, coinvolti nella cicloaddizione, di ogni singolo reagente. D'altra parte, la stessa
reazione può essere considerata un processo (4π+2π), dove la notazione entro
parentesi tonda indica il numero degli elettroni π dei singoli reagenti che prendono
parte alla cicloaddizione. Questi tre criteri di classificazione si possono estendere a
qualsiasi reazione di cicloaddizione. Ad esempio le cicloaddizioni 1,3-dipolari si
possono designare come processi [π4S+π2S], [3 + 2] o (4π+2π).
a
[2+2]
+
b
a
[3+2]
+
b
c
c
a
c
d
b
d
d
e
b
a
c
e/o
a
d
c
b
d
e/o b
e
a
(2π+2π)
e
c d
(4π+2π)
(1,3-dipolari)
[4+2]
b
c
a
+
d
(Diels-Alder)
e
b
c
f
80
a
d
e
f
e/o
b
c
a
d
f
e
(4π+2π)
Prima di intraprendere la discussione delle cicloaddizioni nell’ambito della teoria
degli orbitali di frontiera, è opportuno soffermarsi sulle energie ed i coefficienti
atomici di semplici etileni monosostituiti. Questi composti sono largamente utilizzati
sia nelle reazioni di Diels-Alder che nelle cicloaddizioni 1,3-dipolari e rivestono
quindi una grande importanza sintetica oltre che meccanicistica. Nel diagramma
rappresentato dalla Figura 3.10 compaiono le energie degli orbitali di frontiera di
alcuni etileni monosostituiti ed i coefficienti atomici relativi a ciascuna posizione del
doppio legame carbonio-carbonio. Prendendo l’etilene quale substrato di riferimento
si nota immediatamente che la presenza di sostituenti elettronattrattori causa un
abbassamento delle energie degli FMO, che sono rappresentate da linee in grassetto.
L’andamento opposto, ovvero un incremento delle energie degli FMO, si osserva in
presenza di sostituenti elettron repulsori. Questo comportamento è prevedibile sulla
base delle considerazioni già formulate e rispecchia la conseguenza prodotta dalla
sostituzione di un atomo d’idrogeno dell’etilene con un altro atomo o gruppo a
richiesta elettronica differente.
NMe2
E (eV)
CH2 CH
0.62
OMe
CH2 CH
Me
CH2 CH
Cl
CH2 CH2
CH2 CH
COOMe
CH2 CH
NO2
CH2 CH
-0.69
+2.5
0.66
-0.72
+2.0
0.67
-0.65
0.71
+1.8
-0.71
+1.5
0.67
-0.54
+0.5
0.69
-0.47
0
0.54
-0.32
-0.7
0.50
0.20
-8.0
0.61
0.39
-9.1
0.67
-9.9
0.56
0.44
0.71
0.30
0.71
-10.5
-10.2
0.43
0.33
-10.7
0.62
0.60
-11.4
Figura 3.10. Orbitali di frontiera e coefficienti atomici di etileni monosostituiti.
Dovrebbe essere chiaro che i sostituenti elettronattrattori, più elettronegativi
dell’idrogeno, fanno si che i due elettroni π del doppio legame etilenico possano
81
essere meglio alloggiati sull’intero edificio molecolare. Al contrario i sostituenti
elettron repulsori fanno aumentare l’energia di questi elettroni causando una
destabilizzazione che si traduce nell’aumento delle energie degli FMO. I valori
numerici dei coefficienti atomici degli orbitali di frontiera sono riportati sopra le linee
in grassetto delle energie. Non deve sorprendere che la somma dei quadrati dei
coefficienti sia diversa dall’unità anche se in tutti i casi vale sempre la condizione di
normalizzazione Σi ci2 = 1. Ad esempio per l’HOMO del propilene si ha 0.672 + 0.562
= 0.49 + 0.31 = 0.80. La spegazione è semplice; gli FMO degli etileni monosostituiti
non sono localizzati solo sul legame C=C ma anche, e in modo significativo, sul
sostituente. Benché il diagramma illustrato dalla Figura 3.10 sia sufficientemente
dettagliato da permettere un’analisi accurata del decorso regiochimico di una
cicloaddizione, è conveniente ricorrere ad una sua versione semplificata che riporti
solo le energie degli etileni raggruppati a secondo del tipo di sostituente (Figura
3.11). Questa semplificazione è dovuta essenzialmente ad una maggiore
immediatezza nella comprensione dei diagrammi d’interazione che saranno discussi
più avanti. Rispetto alle energie degli FMO dell’etilene si distinguono solo tre
tipologie di substrati a secondo del tipo di sostituente. Si conviene d’indicare con Z i
sostituenti elettronattrattori, con X gli elettron repulsori e con C i cosiddetti
sostituenti coniugati, quali ad esempio un ulteriore doppio legame C=C od un gruppo
fenile. Nella Figura 3.11 i coefficienti atomici non sono espressi numericamente ma
resi in modo visivamente più immediato da cerchi di diametro proporzionale al
coefficiente e colore diverso a secondo della fase dell’orbitale. In questo modo però
la loro descrizione è valida solo a livello qualitativo.
C
X
CH2 CH
E (eV)
X
Z
CH2 CH
CH2 CH2
CH2 CH
+3.0
C
+1.5
Z
+1.0
0
X
C
-9.0
-9.1
Z
-10.5
-10.9
Figura 3.11. Diagramma approssimato degli FMO di etileni monosostituiti.
82
3.3.3.1 Reazioni di Diels-Alder. L’importanza delle reazioni di Diels-Alder nella
sintesi di strutture carbocicliche è ben nota dai corsi di Chimica Organica
fondamentale. A dispetto del loro largo impiego nella sintesi organica la
regioselettività operante nelle reazioni di Diels-Alder ha costituito un enigma per
intere generazioni di chimici organici. Infatti, la regioselettività e le variazioni di
reattività indotte dai sostituenti sul diene e/o sull’alchene non possono essere predette
sulla base dei semplici meccanismi a frecce ricurve. Inoltre la velocità di queste
reazioni è praticamente indipendente dal tipo di solvente, il che ha reso ancor più
difficoltosa la ricerca di un meccanismo plausibile. Mancando un modello adatto alla
razionalizzazione dei risultati sperimentali, le reazioni di Diels-Alder e le
cicloaddizioni 1,3-dipolari erano state definite –piuttosto pessimisticamente- “no
mechanism reactions”, ad indicare l’incapacità dei chimici di comprenderne gli
aspetti meccanicistici.
In questo paragrafo ci si propone di razionalizzare il decorso regiochimico di queste
cicloaddizioni alla luce della teoria dell’orbitale di frontiera. Per affrontare questo
argomento occorre in primo luogo descrivere le energie ed i coefficienti atomici dei
tipici reagenti utilizzati nelle reazioni di Diels-Alder, ovvero dieni ed alcheni. Nel
paragrafo precedente sono stati illustrati i diagrammi relativi agli orbitali di frontiera
degli etileni monosostituiti; gli stessi principi si applicano all’analisi degli FMO dei
dieni. Nelle Figure 3.12 e 3.13 sono riportate per l’appunto le energie ed i coefficienti
atomici approssimati di dieni 1- e 2-sostituiti con atomi o gruppi elettron repulsori,
elettronattrattori e gruppi coniugati. La simbologia è esattamente quella già utilizzata
nella descrizione approssimata degli FMO di etileni monosostituiti (Figura 3.11).
X
E (eV)
+2.5
C
+1.0
Z
+0.5
-0.5
C
X
Z
-8.2
-8.5
-9.1
-9.5
Figura 3.12. Diagramma approssimato degli FMO di butadieni 1-sostituiti.
83
E (eV)
X
+2.3
C
+1.0
Z
+0.2
-0.3
X
C
-8.2
Z
-8.5
-9.1
-9.3
Figura 3.13. Diagramma approssimato degli FMO di butadieni 2-sostituiti.
Trattandosi di reazioni tra specie neutre che procedono attraverso uno stato di
transizione ciclico senza sviluppo di cariche, il decorso delle cicloaddizioni [4+2] è
regolato dal secondo termine dell’equazione 3.1. Si tratta quindi di processi che
avvengono sotto controllo orbitalico. La velocità delle reazioni di Diels-Alder
decresce infatti all’aumentare della differenza EHOMO - ELUMO (Figura 3.14), come ci
si aspetta per processi la cui velocità è regolata dal solo termine relativo agli orbitali
di frontiera. Per la generica reazione di Diels-Alder
Cb
Cc
Ca
+
Cd
Ce
Cf
l’equazione di Klopman-Salem si riduce insomma al solo termine dell’orbitale di
frontiera che nel caso in questione assume la forma
∆E =
(c a c'e β a,e + c d c'f β d,f ) 2
E HOMOD - E LUMOd
+
(c'a c e β a,e + c'd c f β d,f ) 2
E LUMOD - E HOMOd
equazione 3.2
dove con il sub-pedice D si designano le grandezze relative al diene, col sub-pedice d
quelle relative al dienofilo (alchene).
84
log k
EHOMO-ELUMO
Figura 3.14. Variazione della velocità di una cicloaddizione [4+2] al variare della differenza
EHOMO - ELUMO.
Per predire la regioselettività di una reazione di Diels-Alder occorre confrontare le
energie ed i coefficienti atomici relativi agli orbitali di frontiera dei due cicloaddendi.
Si può così individuare quale coppia degli FMO interagisce nella formazione dei due
nuovi legami σ. Questa operazione si esegue facilmente correlando i diagrammi
energetici del dienofilo e del diene riportati rispettivamente nelle Figure 3.11, 3.12 e
3.13. Esemplificando, per quanto concerne le cicloaddizioni tra butadiene ed etilene,
dienofili elettronpoveri ed elettronricchi si fa riferimento alla Figura 3.15.
LUMOd
E (eV)
LUMOD
LUMOd
LUMOD
LUMOd
LUMOD
HOMOd
HOMOD
HOMOd
HOMOD
HOMOd
HOMOD
Z
X
Figura 3.15. Controllo orbitalico nelle reazioni di Diels-Alder.
Nel caso della cicloaddizione tra butadiene ed etilene non c’è una differenza
sostanziale tra le energie │HOMOD-LUMOd│ ed │HOMOd-LUMOD│. Il decorso
della reazione è quindi controllato sia dall’HOMO che dal LUMO del diene (reazione
85
HOMOD/LUMOD-controllata). Passando ai dipolarofili elettronpoveri, cioè etileni
monosostituiti da atomi o gruppi elettronattrattori, la differenza │HOMOD-LUMOd│
è minore di quella │HOMOd-LUMOD│. Ciò significa che la reazione è controllata
dall’HOMO del diene (HOMOD-controllo). Passando ai dienofili elettronricchi è
facile vedere che la differenza │LUMOD-HOMOd│ è inferiore a quella │LUMOdHOMOD│; la reazione è quindi LUMO-diene controllata (LUMOD-controllo). Il
controllo esercitato da un’orbitale di frontiera diviene pressoché completo quando la
differenza energetica tra le coppie di orbitali interagenti è > 1 eV.
Il passo successivo per stabilire la regioselettività di una reazione di Diels-Alder
consiste nella valutazione dei coefficienti sugli atomi coinvolti nella formazione dei
nuovi legami σ, combinandoli opportunamente in base alle loro grandezze relative.
Un esempio è utile per chiarire questo punto. La reazione tra l’1-carbossibutadiene e
l’acido acrilico procede dando una miscela di cicloaddotti regioisomeri in rapporto
90:10 a favore del cicloesene 1,2-dicarbossi sostituito.
COOH
COOH
COOH
COOH
COOH
+
+
COOH
90
:
10
Questo comportamento si razionalizza correlando le energie ed i coefficienti delle
coppie degli orbitali di frontiera HOMOD/LUMOd e LUMOD/HOMOd riportate nelle
Figure 3.11, 3.12. Sono possibili due interazioni orbitaliche le cui energie ammontano
a: │HOMOD-LUMOd│ = 9.5 eV; │LUMOD-HOMOd│ = 10.4 eV. La differenza
energetica tra queste due interazioni è ∆∆E = 0.9 eV, pertanto entrambe concorrono
alla formazione del derivato 1,2-dicarbossi sostituito.
Z
Z
Z
EHOMO = -9.5 eV
ELUMO = 0 eV
Z
ELUMO = -0.5 eV
EHOMO = -10.9 eV
Si deve mettere in evidenza che per questa reazione il meccanismo a frecce ricurve
basato sulle cariche prevede l’ottenimento del prodotto 3,5-dicarbossi sostituito.
L’analoga reazione sui corrispondenti carbossilati dà la miscela equimolecolare dei
due cicloaddotti isomeri.
COO
COO
COO
COO
COO
+
+
COO
50
86
:
50
Si deve notare che nel prodotto 1,2-disostituito esiste una repulsione considerevole
dovuta alla prossimità delle due cariche negative delle funzioni carbossilato. E’
quindi evidente che se ci si limitasse a considerazioni di carattere elettrostatico questo
prodotto non dovrebbe formarsi. Il fatto che esso si formi invece nella stessa quantità
dell’altro possibile regioisomero depone a favore della notevole influenza esercitata
dal controllo orbitalico. Considerando che dal punto di vista elettronico la funzione
carbossilato è assimilabile ad un sostituente coniugato (C) si possono costruire le due
interazioni descritte nella seguente Figura. La differenza energetica tra le due
interazioni orbitaliche │HOMOD-LUMOd│ = 9.2 eV, │LUMOD-HOMOd│ = 9.6 eV
è ∆∆E = 0.4 eV; si prevede quindi che entrambe lavorino contemporaneamente
comportando la formazione preferenziale del derivato 1,2-dicarbossi sostituito.
C
EHOMO = -8.2 eV
C
C
ELUMO = +1.0 eV
ELUMO = +0.5 eV
C
EHOMO = -9.1 eV
Come si è visto, l’interazione tra gli opportuni orbitali di frontiera è in grado di
determinare la formazione preferenziale di un regioisomero rispetto all’altro. Quale
ulteriore esempio si può citare quello relativo alla reazione di Diels-Alder tra dieni
1-sostituiti con gruppi coniugati od elettronattrattori ed etileni elettronricchi. Lo
schema delle due possibili interazioni è riportato nella Figura seguente. La reazione è
LUMOD controllata in quanto │LUMOD-HOMOd│ = 9.0 eV, mentre │HOMODLUMOd│ = 11.2 eV. La differenza energetica ∆∆E = 2.2 eV lascia prevedere la
formazione del solo addotto 1,2-disostituito. La maggior parte delle reazioni di DielsAlder sono controllate dall’HOMO del diene e sono dette normali o “a domanda
diretta”. Quest’ultimo esempio rappresenta una cosiddetta reazione “a domanda
inversa” poiché è controllata dal LUMO del diene.
C e Z
X
ELUMO = 0 eV
EHOMO = -9.5 eV
C e Z
C e Z
X
EHOMO = -8.2 eV
C e Z
X
ELUMO = +3.0 eV
87
X
Un’ulteriore possibilità offerta dall’analisi degli orbitali di frontiera riguarda la
razionalizzazione della reattività. Nell’introduzione a questo capitolo si è accennato
che la reazione tra butadiene ed etilene procede molto più lentamente che con
anidride maleica. In effetti nel primo caso si richiedono condizioni estremamente
severe; la reazione procede in autoclave a 900 atmosfere e 165°C dando dopo 17 ore
il cicloesene in ragione del 78%. Ma l’anidride maleica reagisce col butadiene in 24
ore a 20°C dando quantitativamente il corrispondente cicloaddotto. E’ ovvio che di
fronte ad una disparità di condizioni di reazione tanto evidente un meccanismo basato
solo sull’interazione tra cariche non può essere in grado di rendere conto della
differenza di reattività osservata sperimentalmente. La razionalizzazione di questi
fatti sperimantali può invece essere compresa confrontando gli FMO dell’etilene e
dell’anidride maleica rispetto al butadiene (Figura 3.16). La reazione tra butadiene ed
etilene è HOMOD/LUMOD controllata e le differenze energetiche tra le coppie di
orbitali interagenti valgono 11.5 eV e 10.6 eV. Il LUMO dell’anidride maleica si
colloca a -1.62 eV, un’energia particolarmente bassa dovuta alla presenza di due
gruppi elettronattrattori sul doppio legame etilenico. La reazione diviene così
HOMOD controllata con una differenza energetica pari a soli 7.48 eV. Ciò significa
che l’HOMO del butadiene interagisce molto più fortemente col LUMO dell’anidride
maleica che con quello dell’etilene (∆∆E = 4.02 eV). Ne segue che il secondo
termine dell’equazione 3.1 è più grande e la reazione risulta più veloce.
E (eV)
O
+1.5
O
+1.0
O
-1.62
O
-9.1
O
-10.5
O
-12.02
Figura 3.16. Diagramma degli FMO di etilene, butadiene ed anidride maleica.
88
3.3.3.2 Cicloaddizioni [2+2]. Nell’ambito di questo tipo di reazioni possono essere
operanti due meccanismi del tutto differenti. Si hanno infatti cicloaddizioni [2+2] che
decorrono sotto controllo orbitalico attraverso un meccanismo concertato ed altre,
controllate dal termine di carica dell’equazione 3.1, che avvengono secondo un
meccanismo a stadi.
Per quanto concerne la prima tipologia di meccanismo gli esempi classici sono
relativi alla formazione dell’anello ciclobutanico per reazione tra cheteni ed alcheni.
Nella Figura 3.17 sono riportate le interazioni orbitaliche chetene-alchene e le energie
degli orbitali di frontiera del chetene. Come si vede, l’approccio tra i due FMO
interagenti avviene secondo un’orientazione “antara”. Questo termine indica che le
due molecole dei reagenti non si avvicinano su piani paralleli o sullo stesso piano ma
su piani inclinati di circa 45° rendendo operativa l’interazione tra l’HOMO
dell’alchene (chetenofilo, HOMOk) e i lobi py e pz del LUMO del chetene (LUMOK).
Il tipo di attacco antara, che potrebbe apparire arduo da realizzare da un punto di vista
geometrico, in questo caso non comporta una distorsione eccessiva degli orbitali ed è
peraltro l’unica possibile in relazione alla loro simmetria. Per quanto riguarda la
collocazione energetica degli orbitali di frontiera del chetene appare evidente che le
cicloaddizioni [2+2] con etileni debbano essere favorite da sostituenti
elettronattrattori sul chetene. L’abbassamento dell’energia del LUMOK indotta da tali
sostituenti favorisce infatti il controllo della cicloaddizione da parte di quest’ultimo
orbitale (LUMOK-controllo).
O
py
C
C
C
pz
C
E (eV)
LUMO
HOMO
+0.34
-9.60
O
O
Figura 3.17. Diagramma degli FMO del chetene.
89
La regioselettività operante nelle cicloaddizioni [2+2] che decorrono sotto il controllo
del LUMOK si razionalizza confrontando le dimensioni relative dei coefficienti
atomici degli FMO interagenti. Nel seguente Schema si riportano tre esempi di
cicloaddizioni tra il difenilchetene ed alcheni a richiesta elettronica diversa.
Indipendentemente dal fatto che il chetenofilo sia elettronricco od elettronpovero, la
cicloaddizione è sempre controllata dal LUMOK ed avviene sempre con la stessa
regioselettività.
O
Ph
O
Ph
Ph
Ph
O
O
O
O
B
Ph
Ph
B
O
O
Ph
Ph
O
O
Ph
HOMOk
O
O
Ph
LUMOK
Ph
Ph
Per quanto riguarda le cicloaddizioni [2+2] controllate dal termine di carica, si è detto
che esse procedono attraverso un meccanismo a stadi. Ciò è compatibile con
l’esistenza di un sensibile effetto solvente che è invece assente nel caso delle
cicloaddizioni [2+2] controllate dal termine orbitalico dell’equazione 3.1. La
comparsa di intermedi carichi è peraltro tipica di un meccanismo a stadi, come
illustrato a proposito della reazione tra il dimetilchetene e vinilpirrolidine.
N
O
O
O
N
N
+
chetene
N
O
O
90
Per concludere la sezione dedicata all’applicazione della teoria dell’orbitale di
frontiera alle cicloaddizioni [2+2] è opportuno considerare le reazioni dei cheteni con
eterochetenofili quali gruppi carbonilici od immine. In genere queste reazioni
decorrono attraverso un meccanismo a stadi che può comportare lo sviluppo di
intermedi carichi. Se dal punto di vista meccanicistico non ci sono particolari novità,
è pur vero che l’interesse di queste reazioni è profondamente connesso al loro
interesse sintetico. Basta rendersi conto che dalla reazione chetene-immina si ottiene
l’anello β-lattamico che è caratteristico di un gran numero di farmaci antibatterici ed
antibiotici.
O
O
Ph
O
Ph
O
O
O
N
Ph
Ph
Ph
Ph
Ph Ph
Ph
Ph
N
O
Ph
3.3.3.3 Cicloaddizioni 1,3-dipolari. Un 1,3-dipolo è un sistema isoelettronico con
l’allil (o propargil) anione, che distribuisce i suoi quattro elettroni π su tre atomi
contigui. Lo stato fondamentale di un generico 1,3-dipolo costituito dai tre atomi
a,b,c può essere descritto, per mezzo della teoria del legame di valenza, da varie
formule di risonanza. Si può notare come sia impossibile scrivere la struttura di un
1,3-dipolo facendo a meno di impiegare formule a cariche separate.
Sistemi propargilici
a
b
c
a
CH C CH2
b
Sistemi allilici
a
b
c
c
CH C CH2
b
a
c
CH2 CH CH2
a
b
c
a
b
a
c
CH2 CH CH2
b
c
a
b
c
Figura 3.18. 1,3-Dipoli propargilici ed allilici. Confronto con il propargilanione e l’allilanione.
91
La quasi totalità delle specie 1,3-dipolari appartengono alla categoria degli 1,3-dipoli
con stabilizzazione dell’ottetto in cui ciascuno degli atomi a,b,c raggiunge la
configurazione elettronica stabile (ad ottetto chiuso) propria del gas nobile che lo
segue nel sistema periodico. Questi 1,3-dipoli sono ulteriormente classificabili in due
categorie:
- 1,3-dipoli dotati di un legame π perpendicolare al sistema allilico (sistemi
propargilici/allenilici);
- 1,3-dipoli privi del legame π perpendicolare al sistema allilico (sistemi allilici).
Gli esempi rappresentativi delle principali specie 1,3-dipolari appartenenti a queste
due classi sono mostrati, rispettivamente, nelle Tabelle 3.3 e 3.4.
Tabella 3.3. Specie 1,3-dipolari di tipo propargilico-allenilico con
stabilizzazione dell’ottetto.
__________________________________________________________
Sistemi di tipo propargilico-allenilico
Betaine di nitrilio
C N C
C N C
nitrililidi
C N N
C N N
nitrililimmine
C N O
C N O
nitrilossidi
C N S
C N S
nitrilsolfuri
N N C
N N C
diazocomposti
N N N
N N N
azidi
Betaine di diazonio
ossido nitroso
N N O
N N O
__________________________________________________________
In presenza del legame π perpendicolare al sistema allilico gli 1,3-dipoli debbono
essere lineari nel loro stato fondamentale (diazoalcani, nitrilossidi), mentre in assenza
del legame π perpendicolare al sistema allilico gli 1,3-dipoli risultano invece piegati
nel loro stato fondamentale (azometinilidi, nitroni, ozono). Un’ulteriore importante
considerazione è connessa alla natura degli atomi a,b,c che compongono la funzione
1,3-dipolare. Essi sono generalmente C, N, O, mentre sono assai meno comuni gli
1,3-dipoli che contengono atomi di elementi del terzo periodo o di periodi successivi.
La denominazione “1,3-dipoli” e l’analogia elettronica con l’allilanione potrebbero
erroneamente lasciar supporre che queste siano specie fortemente polari; in realtà la
92
polarità degli 1,3-dipoli non è particolarmente pronunciata poiché le cariche che
compaiono nelle formule di risonanza non sono localizzate. Ad esempio, se il
diazometano fosse adeguatamente rappresentato dalla sola formula ¯CH2-N+≡N
mostrerebbe un momento dipolare (calcolato) pari a 6.2 D. Il valore sperimentale del
momento dipolare per il diazometano è di 1.50 D; ciò significa che le cariche, nel
diazometano, sono delocalizzate in modo significativo. Queste considerazioni si
possono estendere a tutte le specie 1,3-dipolari.
Tabella 3.4. Specie 1,3-dipolari di tipo allilico con stabilizzazione dell’ottetto.
______________________________________________________________
Sistemi di tipo allilico
Azoto in posizione centrale
C N C
C N C
azometinilidi
C N N
C N N
azometinimmine
C N O
C N O
azometinossidi (nitroni)
N N N
N N N
azaimmine
N N O
N N O
azossicomposti
O N O
O N O
nitrocomposti
C O C
C O C
carbonililidi
C O N
C O N
carbonilimmine
C O O
C O O
carbonilossidi
N O N
N O N
nitrosoimmine
N O O
N O O
nitroso ossidi
Ossigeno in posizione centrale
ozono
O O O
O O O
______________________________________________________________
93
L’effetto dei sostituenti sull’1,3-dipolo influenza le energie degli orbitali di frontiera
a secondo delle sue caratteristiche elettroniche. Gruppi elettronattrattori producono
una diminuzione delle energie degli FMO della specie 1,3-dipolare, mentre gruppi
elettron repulsori ne producono un incremento. Queste influenze sono illustrate nella
Figura 3.19, che mostra l’andamento energetico degli orbitali di frontiera di
benzonitrilossidi sostituiti in posizione 4- sull’anello benzenico.
E (eV)
X = NMe 2
X = OMe
X = Me
X= H
-0.47
-0.53
-0.54
-0.50
X = Cl
X = NO 2
-0.81
-1.74
-8.63
-9.03
-9.22
-9.38
-9.41
-10.12
Figura 3.19. Andamento delle energie degli orbitali di frontiera di benzonitrilossidi a formula
4-X-C6H4CNO in funzione del sostituente X.
Considerando la simmetria degli orbitali di frontiera di una generica specie
1,3-dipolare ¯a-b-c+, schematizzata nella Figura 3.20, si osserva che l’HOMO
presenta un nodo, da cui segue che le fasi di questo orbitale sono discordi sugli atomi
a e c. Poiché il LUMO presenta due nodi, le sue fasi sono concordi sugli atomi a e c.
Dalla Figura 3.20 si nota anche che sull’HOMO il coefficiente ca dell’atomo
“anionico” è più grande del coefficiente cc dell’atomo “cationico”, mentre si osserva
l’ordine opposto nel LUMO.
c
b
c
a
HOMO
b
a
LUMO
Figura 3.20. Orbitali di frontiera per una generica specie 1,3-dipolare.
Come nel caso delle cicloaddizioni trattate nei paragrafi precedenti, anche la
regioselettività di una cicloaddizione 1,3-dipolare si predice confrontando le
grandezze dei lobi degli orbitali di frontiera coinvolti nella formazione di nuovi
legami σ. La reazione procede nella direzione che consente la maggior
94
sovrapposizione possibile dei lobi degli orbitali di frontiera che hanno i coefficienti
atomici più possibile simili.
Come esempio si possono prendere in considerazione le cicloaddizioni tra il
benzonitrilossido e dipolarofili elettronricchi quali vinileteri od enammine e le
cicloaddizioni tra il benzonitrilossido ed esteri acrilici. Nel primo caso le reazioni
sono completamente regioselettive dato che si forma solo il cicloaddotto 5-sostituito.
Con esteri acrilici le cicloaddizioni sono invece regioselettive a favore dell’isomero
5-sostituito, ma dalla miscela di reazione è possibile isolare anche piccole quantità
(3-5%) del prodotto 4-sostituito.
Ph
Ph
N
O +
X
N
X
O
X = OR, NR2
Ph
Ph
Ph
N
O +
COOR
N
O
95-97%
COOR
+
N
COOR
O
3-5%
Questo comportamento è interpretabile sulla base della Figura 3.21, che illustra le
energie ed i coefficienti atomici degli orbitali di frontiera del benzonitrilossido,
dell’acrilato di metile e di dipolarofili elettronricchi a formula generale CH2=CHX.
0.60
-0.29
.
0.33 -0 48 0.25
CH2 CH
COOMe
Ph
CH2 CH
X
C N O
CH2 CH
0.29
0.22
X
0.44 0.31 -0.60
CH2 CH
COOMe
Ph
C N O
Figura 3.21. Interazioni tra gli orbitali di frontiera di benzonitrilossido, acrilato di metile e
dipolarofili elettronricchi
L’interazione LUMO-dipolo/HOMO-dipolarofilo (LUMOD-HOMOd) è chiaramente
prevalente nella cicloaddizione tra benzonitrilossido e dipolarofili elettronricchi.
95
Inoltre i coefficienti relativi a questa coppia di orbitali di frontiera sono di grandezza
paragonabile sia per la coppia atomo di carbonio del nitrilossido-carbonio terminale
del dipolarofilo che per quella ossigeno del nitrilossido-carbonio interno del
dipolarofilo. Tutte queste circostanze sono concordi nell’indirizzare la cicloaddizione
verso la formazione del solo prodotto 5-sostituito. Così non è per la reazione tra
benzonitrilossido ed esteri acrilici. Innanzitutto il LUMOD controllo del processo non
è netto come nel caso precedente; non si può dunque trascurare l’interazione
HOMOD-LUMOd che conduce alla formazione dell’isomero 4-sostituito. Esaminando
poi la situazione dei coefficienti atomici delle due coppie degli orbitali di frontiera
coinvolti si osserva che:
- per la coppia LUMOD-HOMOd i valori numerici sono assai simili rendendo
possibile l’interazione tra l’atomo di carbonio del nitrilossido e l’atomo di carbonio
interno dell’acrilato, che conduce al cicloaddotto 5-sostituito;
- per la coppia HOMOD-LUMOd l’interazione tra l’atomo di ossigeno del nitrilossido
e l’atomo di carbonio terminale dell’acrilato è la sola possibile e conduce al
cicloaddotto 4-sostituito.
Il comportamento generale delle cicloaddizioni tra nitrilossidi e composti etilenici
monosostituiti è riassunto nella Figura 3.22. Queste cicloaddizioni sono LUMOdipolo controllate nel caso di tutti i dipolarofili ad eccezione di quelli fortemente
elettronpoveri.
NMe2
E (eV)
CH2 CH
0.62
OMe
CH2 CH
Me
CH2 CH
Cl
CH2 CH2
COOMe
CH2 CH
CH2 CH
NO2
CH2 CH
-0.69
+2.5
0.66
-0.72
+2.0
0.67
-0.65
0.71
+1.8
-0.71
+1.5
0.67
-0.54
+0.5
Ph C N O
0.69
-0.47
0
0.54
0.33 -0.48 0.25
-0.32
-0.7
-1.0
7.0
8.1
0.50
9.7
8.9
10.0
10.4
9.5
0.20
9.2
9.3
-8.0
0.61
0.39
-9.1
0.44 0.31 -0.60
-10.0
0.67
0.56
-9.9
0.44
0.71
0.71
-10.5
0.30
-10.2
0.43
0.33
-10.7
0.62
-11.4
Figura 3.22. Energie e coefficienti degli FMO del benzonitrilossido in confronto con tipici
dipolarofili etilenici monostituiti.
96
0.60
Le cicloaddizioni tra nitrilossidi e dipolarofili etilenici 1,2-disostituiti conducono alla
formazione di miscele di isossazoline regioisomere perchè i coefficienti degli orbitali
di frontiera dei dipolarofili possono essere anche molto simili.
Per mettere in evidenza la differenza di comportamento tra le varie specie
1,3-dipolari in funzione delle energie dei loro orbitali di frontiera è utile considerare
gli altri due esponenti delle betaine di nitrilio; nitrililidi e nitrilimmine. La Figura
3.23 mostra le energie ed i coefficienti degli orbitali di frontiera della
benzonitrilmetililide in confronto con alcuni dipolarofili etilenici monostituiti.
Dall’esame della Figura 3.23 si nota che tutte le cicloaddizioni, ad eccezione di quelle
con dipolarofili elettronricchi, avvengono sotto il controllo dell’HOMO della
nitrililide. D’altra parte non sono state finora osservate cicloaddizioni tra nitrililidi e
dipolarofili elettronricchi, il che significa che l’interazione orbitalica governata dal
LUMO dell’1,3-dipolo non è mai veramente importante.
NMe2
E (eV)
CH2 CH
0.62
OMe
CH2 CH
Me
CH2 CH
Cl
CH2 CH2
CH2 CH
COOMe
CH2 CH
NO2
CH2 CH
-0.69
+2.5
0.66
-0.72
+2.0
Ph C N CH2
0.67
-0.65
0.71
+1.8
-0.71
+1.5
0.33 -0.48 0.25
0.67
+0.60
-0.54
+0.5
8.40
8.90
8.20
0.69
-0.47
0
7.90
0.54
-0.32
-0.7
6.90
6.40
5.70
8.60
0.44 0.31 -0.60
-6.40
0.50
0.20
-8.0
0.61
0.39
-9.1
0.67
0.56
-9.9
0.44
0.71
0.71
-10.5
0.30
-10.2
0.43
0.33
-10.7
0.62
0.60
-11.4
Figura 3.23. Energie e coefficienti degli FMO della benzonitrilmetililide in confronto con tipici
dipolarofili etilenici monostituiti.
Il confronto tra i valori dei coefficienti degli orbitali di frontiera interagenti porta a
concludere che in presenza di dipolarofili elettronpoveri la cicloaddizione HOMOdipolo controllata dovrebbe condurre esclusivamente a ∆1-pirroline-2,3-disostituite.
Nel seguente Schema è data una rappresentazione pittorica e piuttosto intuitiva della
menzionata interazione HOMOD-LUMOd.
97
N
HOMO Ph
N
Ph
CH2
C
Z
Z
LUMO
Analizzando la Figura 3.24 si nota che la reazione tra dipolarofili etilenici
elettronricchi e nitrilimmine è controllata dal LUMO del dipolo mentre le
cicloaddizioni che coinvolgono dipolarofili elettronpoveri sono controllate
dall’HOMO della specie 1,3-dipolare.
NMe2
E (eV)
CH2 CH
0.62
OMe
CH2 CH
Me
Cl
CH2 CH
CH2 CH2
CH2 CH
COOMe
CH2 CH
NO2
CH2 CH
-0.69
+2.5
0.66
-0.72
+2.0
0.67
-0.65
0.71
+1.8
-0.71
+1.5
0.67
Ph C N NPh
-0.54
+0.5
0.69
-0.47
0
0.66 -0.66 0.35
0.54
-0.5
-0.32
-0.7
9.0
9.3
7.5
8.6
7.5
8.0
9.4
6.8
10.0
-0.60 -0.20 0.77
-7.5
0.50
0.20
-8.0
0.61
0.39
-9.1
0.67
0.56
0.44
-9.9
0.71
0.30
0.71
-10.5
-10.2
0.43
0.33
-10.7
0.62
0.60
-11.4
Figura 3.24. Energie e coefficienti degli FMO della difenilnitrilimmina in confronto con tipici
dipolarofili etilenici monostituiti.
Per quanto riguarda l’etilene o dipolarofili sostituiti con gruppi debolmente
elettrondonatori o coniugati il processo è HOMO/LUMO-dipolo controllato ed
entrambe le possibili interazioni conducono alla sola pirazolina 5-sostituita.
Ph
Ph
N N Ph
R
N
N
Ph
98
R
R = COOEt, Ph, Alchil
I valori dei coefficienti atomici degli orbitali di frontiera coinvolti nella
cicloaddizione con dipolarofili elettronricchi lasciano prevedere la formazione di
pirazoline 5-sostituite. In presenza di dipolarofili moderatamente elettronpoveri
l’intervento del LUMO della nitrilimmina non è trascurabile e comporta ancora la
formazione di pirazoline 5-sostituite quali unici regioisomeri. Solo in presenza di
dipolarofili molto elettronpoveri si dovrebbe avere la formazione di pirazoline
4-sostituite, come mostrato di seguito.
N
LUMO
Ph
N Ph
C
X, Z
Ph
Ph
C
N
Ph
X, Z
HOMO
N
HOMO
N
N
Ph
N Ph
N
Ph
Z
Z
LUMO
Si può facilmente immaginare che diagrammi di interazione del tipo rappresentato
nella Figura 3.24 si possano costruire per ogni specie 1,3-dipolare elencata nelle
Tabelle 3.3 e 3.4. Nonostante il notevole interesse sintetico legato ai prodotti
ottenibili dalle cicloaddizioni di alcune specie 1,3-dipolari quali nitroni ed azidi si
preferisce non entrare nel merito di tutti i diagrammi di interazione possibili dato che
dal punto di vista meccanicistico non si introducono novità di particolare rilievo.
3.4 Teoria HSAB
La teoria degli acidi e basi duri e molli, nota con l’acronimo HSAB (Hard Soft Acids
and Bases), è di grande aiuto nella previsione della reattività tra specie acide e
basiche. La teoria HSAB è fondata sul seguente principio: gli acidi duri reagiscono
più velocemente e formano legami più forti con basi dure, gli acidi molli reagiscono
più velocemente e formano legami più forti con basi molli. Nell’ambito di questo
principio, il concetto di acido e base viene ad essere definito secondo i seguenti
criteri. Un acido od una base sono duri se:
- il raggio atomico del centro di reazione è piccolo,
- la carica effettiva sul centro di reazione è elevata,
- il centro di reazione è poco polarizzabile.
Ne segue che un acido od una base duri dispongono di un centro reattivo
caratterizzato da una carica ben localizzata ovvero poco dispersa. Nella Tabella 3.5
sono riportati acidi e basi di Lewis classificati in base alla loro durezza.
99
Tabella 3.5. Acidi duri, basi dure.
__________________________________________________________________________________________________________
Acidi
Basi
H+, Li+, Na+, K+,
Be2+, Mg2+, Ca2+, Sr2+, Mn2+,
Al3+, Sc3+, Ga3+, In3+, La3+,
Cr3+, Co3+, Fe3+, As3+, Me3Sn3+,
Si4+, Ti4+, Zr4+, Th4+, U4+, Pu4+,
Ce3+, Hf4+, WO4+,
UO22+, Me2Sn2+, VO2+, MoO3+,
Me2Be, BF3, (RO)3B,
Me3Al, AlCl3, AlH3,
RPO2+, ROPO+,
RSO2+, ROSO2+, SO3,
I7+, I5+, Cl7+, Cr6+,
RCO+, CO2, N≡C+,
HX (molecole che intrattengono legami ad idrogeno)
H2O, OH ¯, F ¯,
MeCOO¯, PO43¯, SO42¯,
CO32¯, ClO4¯, NO3¯,
ROH, RO¯, R2O,
NH3, RNH2, N2H4
__________________________________________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________________________________________
Alcuni esempi di specie che possono comportarsi come acidi o basi sia duri che
molli, indicati come casi limite, sono riportati nella Tabella 3.6.
Tabella 3.6. Casi limite.
__________________________________________________________________________________________________________
Acidi
Basi
Fe2+, Co2+, Ni2+, Cu2+, Zn2+, Pb2+, Sn2+,
Sb3+, Bi3+, Rh3+, Ir3+,
Me3B, SO2, NO+,
Ru2+, Os2+,
R3C+, C6H5+
PhNH2, C5H5N,
N3¯, Cl¯,
Br¯, NO2¯, SO32¯
__________________________________________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________________________________________
La definizione di un acido od una base molli è vincolata agli stessi criteri; dunque le
caratteristiche di mollezza che identificano un composto acido o basico sono:
- grande raggio atomico del centro di reazione,
- piccola carica effettiva sul centro di reazione,
- elevata polarizzabilità del centro di reazione.
Un sistema acido o basico molle dispone di un centro reattivo caratterizzato da una
carica poco localizzata e quindi dispersa sugli atomi contigui. E’ facile individuare
come basi molli alcuni sistemi coniugati a carica delocalizzata assai diffusi quali ad
esempio gli anioni allilico o propargilico. Questi ultimi distribuiscono infatti i loro
quattro elettroni π su tre atomi di carbonio contigui.
100
anione allilico
CH2 CH CH2
CH2 CH CH2
anione propargilico
CH C CH2
CH C CH2
Alcuni esempi di acidi e basi molli sono elencati nella Tabella 3.7.
Tabella 3.7. Acidi e basi molli.
__________________________________________________________________________________________________________
Acidi
Basi
Cu+, Ag+, Au+, Tl+, Hg+,
Pd2+, Cd2+, Pt2+, Hg2+, MeHg+,
Co(CN)52¯, Pt4+, Te4+, Tl3+, Me3Tl, BH3,
Me3Ga, GaCl3, GaI3, InCl3,
RS+, RSe+, RTe+,
I+, Br+, HO+, RO+,
I2, Br2, ICN,
trinitrobenzene, cloranile, chinoni, tetracianoetilene
O, Cl, Br, I, RO•, RO2•,
M0 (atomi metallici), carbeni
R2S, RSH, RS ¯,
I ¯, SCN ¯, S2O32¯,
R3P, R3As, (RO)3P,
CN ¯, R-N≡C, CO,
etilene, benzene,
H ¯, R¯
__________________________________________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________________________________________
In relazione a quanto accennato nel paragrafo dedicato all’esposizione della teoria
perturbativa, le interazioni acido-base trattate secondo la definizione di durezza o
mollezza del sito reattivo possono essere ricondotte all’equazione di Klopman-Salem.
Per far ciò, occorre in primo luogo riconoscere la validità della teoria HSAB nella
previsione delle interazioni tra specie nucleofile ed elettrofile. Concettualmente si
tratta di estendere la definizione termodinamica di acido e base alla definizione
cinetica di nucleofilicità. Così facendo si possono dividere nucleofili ed elettrofili in
duri e molli adottando gli stessi criteri già stabiliti nella definizione generale di
durezza o mollezza. A proposito delle basi dure, che sono di norma poco nucleofile,
dovrebbe risultare evidente che una carica ben localizzata su un atomo
elettronegativo comporta la presenza di un HOMO ad energia relativamente bassa. Se
viceversa alla carica è consentito di disperdersi su più atomi contigui si ha una base
più molle, un miglior nucleofilo e quindi un HOMO ad energia più alta.
Riassumendo:
- gli acidi duri hanno un LUMO ad alta energia,
- le basi dure hanno un HOMO a bassa energia.
Come si è detto le interazioni migliori, più produttive dal punto di vista energetico,
avvengono tra acidi duri e basi dure oppure tra acidi molli e basi molli.
101
Nel primo caso la differenza EHOMO – ELUMO al secondo termine del secondo membro
dell’equazione 3.1 è grande. Come conseguenza si ha che il termine orbitalico
diventa piccolo, e quindi trascurabile, rispetto al termine Coulombiano. Pertanto, una
reazione tra acidi duri e basi dure si svolge sotto il controllo delle cariche e procede
essenzialmente grazie ad interazioni di tipo elettrostatico.
Le stesse considerazioni applicate agli acidi molli ed alle basi molli portano alla
conclusione che:
- gli acidi molli hanno un LUMO a bassa energia,
- le basi molli hanno un HOMO ad alta energia.
La differenza EHOMO – ELUMO nell’equazione 3.1 è quindi piccola ed il contributo
orbitalico è grande e prevalente sul contributo Coulombiano. Le reazioni tra acidi
molli e basi molli decorrono quindi sotto controllo orbitalico; in particolare
l’interazione principale avviene tra l’HOMO della specie basica ed il LUMO di
quella acida. Nelle reazioni tra specie molli non sono previsti sviluppi di carica
significativi. Poiché al numeratore del secondo termine al secondo membro
dell’equazione 3.1 compaiono i coefficienti atomici degli orbitali di frontiera cE e cN,
si può prevedere che anche il loro valore influenzi il decorso di una reazione tra
specie molli. In effetti, dato che la localizzazione dell’orbitale (non della carica!) su
un sito reattivo è espresso proprio dal maggior valore numerico del coefficiente
dell’orbitale in questione, è prevedibile che una reazione sia favorita da coefficienti
grandi, ovvero da orbitali di frontiera ben localizzati sul sito reattivo. Si ribadisce che
la localizzazione dell’orbitale su un certo sito non si deve confondere con la
localizzazione della carica. Infatti i coefficienti ci nella combinazione lineare
Ψ = Σi ciφi che descrive il generico orbitale molecolare esprimono l’entità relativa del
contributo di ogni orbitale atomico alla funzione d’onda Ψ: maggiore è ci, maggiore è
questo contributo.
3.5 Applicazioni della teoria HSAB.
E’ naturale che l’attenzione del chimico organico nei confronti della teoria HSAB si
concentri in particolare sulle specie contenenti siti acidi o basici localizzati su atomi
della seconda e della terza riga del sistema periodico.
Le basi di Lewis in cui l’atomo donatore è un carbonio sono molli, ad esempio i
reattivi di Grignard, gli enolati ed i carbanioni stabilizzati, così come sono molli gli
acidi di Lewis al carbonio. Ne sono un esempio gli alogenuri alchilici. Questi ultimi
divengono tanto più duri quanto più aumenta il loro carattere carbocationico. Per
quanto concerne le specie cariche, ovvero i carbocationi, si tratta di acidi duri. Grazie
al fatto che l’idrogeno è elettropositivo rispetto al carbonio, la sequenza di durezza
decresce lungo la serie
C6H5+ > Me3C+ > Me2CH+ > MeCH2+ > CH3+
Da questa scala risulta dunque che il catione metilico è il meno duro tra gli acidi di
Lewis al carbonio che portano una carica positiva. La sostituzione di uno o più atomi
d’idrogeno del catione metilico con atomi più elettronegativi del carbonio produce
102
specie più dure, mentre per ottenere una specie più molle di CH3+ l’unica opportunità
è legata alla rimozione di un atomo d’idrogeno ottenendo un carbene. Un radicale al
carbonio può comportarsi sia da acido che da base pur rimanendo sempre una specie
molle, il doppio legame etilenico si comporta come una base molle.
Le basi all’ossigeno ed all’azoto sono sempre dure a causa dell’elettronegatività
piuttosto alta degli elementi in questione; in quest’ambito le basi all’ossigeno sono
più dure di quelle all’azoto. Un’eccezione è rappresentata dall’anione idroperossido,
che è molle.
3.5.1. Reattivi bidentati
Una delle applicazioni più brillanti della teoria HSAB riguarda la previsione della
reattività dei nucleofili bidentati. Come esempio tipico si considera la reazione tra
ioduri alchilici e ione cianuro. Con cianuro di potassio lo ioduro di etile subisce la
sostituzione nucleofila di tipo SN2 dando il cianuro di etile quale unico prodotto. In
questo caso la base al carbonio N≡C¯ è molle ed interagisce con il carbonio
secondario dello ioduro d’etile che è un acido molle.
Et-I + KCN → Et-C≡N + KI
Eseguendo la reazione in presenza di sali d’argento si osserva invece la formazione
dell’etil isocianuro.
Et-I + AgCN → Et-N=C‫ ׃‬+ AgI
La razionalizzazione di questo comportamento basata sulla teoria HSAB prevede che
lo ione argento assista l’uscita dello ioduro creando un centro parzialmente
carbocationico.
δ+
δ−
δ+
MeCH2
I
Ag
Questo centro è più duro di quello dell’alogenuro alchilico covalente ed interagisce
preferenzialmente con la base all’azoto :C=N¯, che è una base dura.
Una reattività simile, per simili motivi, si riscontra tra gli alogenuri alchilici e lo ione
nitrito. Mentre la reazione con nitrito di sodio dà luogo al nitroalcano corrispondente
quale prodotto principale, il trattamento dell’alogenuro alchilico con nitrito d’argento
dà solo il nitrito alchilico.
R-Br + NaNO2 → RNO2
R-Br + AgNO2 → RONO
L’alchilazione di enolati semplici, come ad esempio l’amilazione del butirrofenone,
può decorrere sia a dare il prodotto sostituito al carbonio (C-alchilazione) che
all’ossigeno (O-alchilazione). Nel caso in questione si ha la formazione
preponderante del prodotto O-alchilato quando si utilizzano elettrofili più duri; a
103
questo proposito si deve tenere presente che la durezza della specie alchilante AmX
decresce nell’ordine AmCl > AmBr > AmI.
NaO
AmO
Et
Ph
AmX
+
O
Et
Ph
+
Et
Ph
Am
X = Cl
55
:
45
X = Br
X=I
39
19
:
:
61
81
Lo stesso andamento nella distribuzione dei prodotti C- ed O-alchilati si verifica
nell’alchilazione di enolati stabilizzati, ad esempio di β-chetoesteri e β-dichetoni. Il
sale sodico dell’acetacetato d’etile dà solo il prodotto di O-alchilazione con i
clorometileteri, che sono elettrofili duri. L’utilizzo di elettrofili molli quali i
clorometiltioeteri conduce invece alla formazione del prodotto C-alchilato.
Cl
OMe
Cl
SMe
O
OMe
COOEt
NaO
COOEt
O
SMe
COOMe
3.5.2. Debromurazione di α-bromochetoni
Per trattamento di α-bromochetoni con sodio boroidruro si ha la formazione di
chetoni via enolo. Per questa reazione è plausibile un meccanismo in cui avvengono
solo interazioni tra siti acidi molli (AM) e basici molli (BM).
AM
R
O
R
OH
R
O
H B
R'
Br
BM
BM
R'
R'
Na+
AM
Lo stesso tipo di reazione realizzata in presenza di BF3 (acido duro, AD) e ioduro di
litio (base molle, BM) decorre attraverso una doppia interazione duro-duro, mollemolle.
BD AD
O
O BF3
BF3
Br
AM
I
_
(-IBr)
BM
104
O
3.5.3 Sostituzioni-eliminazioni
Un esempio interessante di queste reazioni è offerto dal comportamento dell’1,2dicloroetano nei confronti di diverse specie basiche (nucleofile). Qualora la reazione
venga condotta con tiofenato sodico si ha una doppia reazione di sostituzione
nucleofila al carbonio saturo determinata dall’interazione tra una base molle (il
tiofenato) ed un acido molle (l’alogenuro alchilico). Utilizzando come base un
alcossido viene invece seguito il solo processo di eliminazione con formazione del
cloroetilene. Quest’ultimo comportamento è razionalizzabile invocando l’interazione
tra la base dura alcossido ed il protone metilenico, che è un acido duro.
PhS
SPh
PhS
Cl
Cl
RO
Cl
3.5.4 Addizioni a doppi legami carbonio-carbonio
Il doppio legame carbonio-carbonio delle olefine si comporta generalmente come una
base molle. Ciò spiega la facilità di complessazione di tipo π con ioni di metalli
pesanti (Ag+, Pd2+, Pt4+), che sono acidi molli.
L’addizione di alogeni decorre con facilità; in questo caso il meccanismo prevede
l’iniziale formazione di un complesso π fra l’olefina e la molecola dell’alogeno,
considerato come acido molle.
L’idroborazione delle olefine realizzata in presenza di borano, che è un acido molle,
comporta dapprima la facile π-complessazione borano-olefina. Questo complesso
evolve molto rapidamente attraverso uno stato di transizione a quattro centri nel quale
l’atomo di boro si comporta come un acido duro.
R
BH3
BH3
R
R
H
R
BH2
R
δ+
BH2
δ−
B
3
3.5.5 Addizioni a doppi legami carbonio-ossigeno
Il carbonio di un gruppo carbonilico si comporta come acido duro, l’ossigeno come
base dura. Si spiega così il diverso comportamento del tosilato della 2,2-dimetil-3idrossi propionaldeide nei confronti di differenti agenti basici. La base molle
tiofenato attacca di preferenza il carbonio in β al formile mentre lo ione cianuro, che
è una base meno molle, dà addizione al carbonile con formazione dell’anione della
cianidrina corrispondente come intermedio.
105
CHO
PhS
SPh
CHO
O
OTs
CN
CN
OTs
O
CN
3.6 Aspetti quantitativi della teoria HSAB
Dal punto di vista qualitativo la teoria HSAB si configura quale utile strumento nella
previsione della reattività di un gran numero di reazioni organiche; una sua versione
quantitativa costituisce un’approccio alternativo a quello proposto dalla teoria
perturbativa. La formulazione quantitativa della teoria HSAB si inquadra nell’ambito
generale della teoria del funzionale densità, nota attraverso l’acronimo DFT (Density
Functional Theory).
La teoria DFT si basa sull’idea che le densità elettroniche possano rendere conto
quantitativamente delle energie e di tutte le proprietà molecolari. In un simile
contesto la reattività chimica può essere spiegata ed interpretata facendo a meno di
impiegare gli orbitali molecolari. Sebbene la teoria DFT non utilizzi gli orbitali
molecolari si può dimostrare che i risultati da essa ottenuti sono correlati
quantitativamente con la teoria FMO. Il passaggio alle definizioni quantitative di
durezza e mollezza enunciate a livello qualitativo nel paragrafo precedente implica
l’applicazione del concetto di potenziale chimico µ, che rappresenta la propensione
degli elettroni ad essere trasferiti da una molecola all’altra. Questa grandezza
compare nell’espressione fondamentale dalla teoria DFT riguardante la variazione di
energia tra due stati fondamentali
dE = µdN + ∫ ρ (r )δν (r )dr
dove ρ(r) e ν(r) sono rispettivamente la densità elettronica ed il potenziale esterno del
sistema, mentre con N si indica il numero totale di elettroni. Nell’approssimazione
alle differenze finite il potenziale chimico si esprime tramite il quoziente
µ=
PI + AE
2
dove con PI ed AE si indicano rispettivamente il potenziale di ionizzazione e
l’affinità elettronica. Da quest’ultima equazione risulta chiaro che il potenziale
chimico assume valori grandi qualora da una molecola sia difficile rimuovere un
elettrone (PI alto) e sia facile aggiungere un elettrone (AE alta).
La definizione quantitativa della durezza η si esprime come derivata parziale del
potenziale chimico rispetto al numero di elettroni, che fisicamente rappresenta la
variazione energetica del potenziale chimico al variare del numero degli elettroni per
una geometria fissa.
106
⎡ ∂2E ⎤
1 ⎡ ∂µ ⎤
=⎢ 2⎥
η= ⎢ ⎥
2 ⎣ ∂N ⎦ν ( r ) ⎣ ∂N ⎦ν ( r )
Questa derivata parziale si approssima al quoziente
η=
PI − AE
2
La differenza tra potenziale di ionizzazione ed affinità elettronica si può mettere in
relazione con la differenza energetica tra HOMO e LUMO (cfr. pag. 99). Piccole
differenze nelle energie HOMO-LUMO indicano alta polarizzabilità molecolare
dovuta alla perturbazione che si produce facilmente tra l’orbitale occupato e quello
vuoto; si ha cioè un comportamento da specie molle. Per contro differenze
energetiche HOMO-LUMO grandi implicano potenziali di ionizzazione elevati e
quindi bassa polarizzabilità; un tipico comportamento da specie dura. L’inverso della
durezza η si indica con S e rappresenta la mollezza
S=
1
PI - AE
Nel linguaggio della teoria DFT le grandezze µ, η ed S sono dette descrittori globali,
nel senso che rappresentano rispettivamente il potenziale chimico, la durezza e la
mollezza estesa a tutto il sistema molecolare. Se si vuole focalizzare l’attenzione sulla
durezza (o mollezza) di un particolare sito reattivo si fa riferimento alle funzioni di
Fukui fk(r) che danno informazioni sulla durezza (o mollezza) locale riferita
all’atomo k situato nella struttura molecolare. Esistono tre tipi di funzioni di Fukui a
secondo che esse debbano descrivere il comportamento di specie elettrofile o positive
(fk+), nucleofile o negative (fk¯) e radicaliche (fk0). Dal punto di vista pratico i valori
di queste funzioni dipendono dalla popolazione elettronica qk relativa all’atomo k
posto in una molecola con N elettroni:
fk+ = [qk(N + 1) – qk(N)]
fk¯ = [qk(N) – qk(N - 1)]
fk0 = [qk(N + 1) – qk(N - 1)]
per un attacco nucleofilo
per un attacco elettrofilo
per un attacco radicalico
Il descrittore locale utilizzato più di frequente per la rappresentazione quantitativa
della reattività chimica è la mollezza condensata s espressa dal prodotto
s = S f(r)
Si hanno quindi le tre mollezze condensate
s+ = S fk+
s- = S fk¯
s0 = S f 0
per un attacco nucleofilo
per un attacco elettrofilo
per un attacco radicalico
107
Una delle applicazioni più rilevanti del principio HSAB nell’ambito della teoria DFT
è dato dalla razionalizzazione quantitativa della regioselettività di reazioni di
cicloaddizione. Questo obiettivo si ottiene correlando i valori delle mollezze
condensate degli atomi interessati alla formazione dei nuovi legami σ. Nel caso delle
cicloaddizioni 1,3-dipolari, ad esempio, si combinano i descrittori s¯ della generica
specie 1,3-dipolare X-Y-Z e quelli s+ della generica specie dipolarofila 1-2 secondo il
seguente Schema. Il valore più alto di mollezza condensata s¯ della specie
1,3-dipolare, che indica il sito più nucleofilo della molecola, si combina con il valore
più alto di mollezza condensata s+ del dipolarofilo che in questo caso funge da
elettrofilo.
s
_
0.3
X
s
s+
s
0.6
Z
Y
1
0.2
_
_
0.3
X
2
2
0.4
0.4
s+
s+
Interazione favorita
s
Y
_
0.6
Z
1
0.2
s+
Interazione sfavorita
La reazione tra metilazide ed etileni monosostituiti rappresenta un brillante esempio
di applicazione dei descrittori HSAB nell’ambito della teoria DFT. La metilazide si
comporta da elettrofilo nei confronti di vari dipolarofili etilenici monosostituiti. In
particolare, l’atomo di azoto terminale della metilazide è più elettrofilo di quello
C-sostituito mentre l’atomo di carbonio terminale del dipolarofilo è più nucleofilo di
quello sostituito. La formazione dell’1,2,3-triazolina 5-sostituita rispetta quindi
l’interazione molle-molle tra questi due centri.
s+
1.18
N
N
s+
0.89
NMe
N
s
_
s
_
1.19 0.21
OH
s
_
s
_
1.15 0.57
Me
s
_
s
_
1.06 0.14
s
_
s
1.17 0.44
Cl
R
N
_
N
Me
F
Nel caso dell’acrilonitrile si osserva la regioselezione opposta, che implica la
formazione della 4-ciano-1,2,3-triazolina. In questo caso la metilazide si comporta da
nucleofilo ed l’acrilonitrile funge da elettrofilo. L’esame dei valori di s rende conto
della regioselezione osservata.
108
s
_
0.93
N
N
s
_
0.96
NMe
CN
N
s+
N
s+
N
0.91 0.35
Me
CN
Come ulteriore esempio, la combinazione delle mollezze condensate nella
cicloaddizione tra diazometano e la specie dipolarofila H-C≡P rende conto in modo
quantitativo della formazione preferenziale del 3-fosfa-1,2-diazolo.
I vantaggi rispetto all’approccio perturbativo si riassumono in due punti:
- si hanno previsioni di regioselettività quantitative e non qualitative,
- si possono fare previsioni di regioselettività con specie che, presentando coefficienti
atomici molto simili, sono molto difficili da realizzare a livello di teoria
perturbativa.
Un altro esempio mette in evidenza la possibilità di ottenere previsioni quantitative di
regioselettività anche nel caso in cui la teoria perturbativa dia risultati in disaccordo
con i dati sperimentali. E’ questo il caso delle cicloaddizioni 1,3-dipolari tra arilazidi
e propiolato di metile. Poiché queste reazioni sono controllate sia dall’HOMO che dal
LUMO della specie 1,3-dipolare ed i coefficienti atomici del dipolarofilo sono
piuttosto simili è difficile prevedere la regioselettività del processo. Inoltre i rapporti
sperimentali tra i cicloaddotti mostrano un andamento casuale rispetto alla differenza
energetica tra HOMO e LUMO. Applicando il principio HSAB nell’ambito della
teoria DFT è invece possibile ottenere previsioni molto accurate.
COOMe
N3
N
N
COOMe
+
∆
CCl4
N
N
N
N
COOMe
+
R
R
R
__________________________________________________________________________________________________________
R
rapporti sperimentali (calcolati)
__________________________________________________________________________________________________________
H
Me
MeO
F
Cl
NO2
75 (74)
73 (69)
68 (69)
70 (31)
68 (70)
55 (54)
25 (26)
27 (31)
32 (31)
30 (31)
32 (30)
45 (46)
__________________________________________________________________________________________________________
109
3.7 Problemi
1. Costruire i diagrammi degli orbitali di frontiera e prevedere quanti e quali
prodotti si ottengono per riscaldamento dei seguenti dieni.
PhSO2
MeO
2.
Prevedere l’andamento regiochimico delle seguenti cicloaddizioni 1,3-dipolari.
Ph N N
COOMe
OH
+
OPh
N O
Ph
Ph N N
N O
Ph
3.
+
Ph
+
Ph
+
Ph
N
Ph
Br
Utilizzando i principi della teoria HSAB giustificare la possibilità di formazione
dei seguenti complessi.
Ph
Mo(CO)3
Cr(CO)3
Me
O
BH2
Ag
BH3
S
Me
4.
Utilizzando i principi della teoria HSAB prevedere l’esito delle seguenti
reazioni.
O
O
Ph
O
O
+
+
NHMe
MeONa
EtSNa
+
Cl
I
110
Me3C CH2OTs +
MeONa
Me3C CH2OTs +
EtSNa
3.8 Bibliografia
Il testo classico più consultato dai chimici organici per lo studio dei fondamenti e
delle applicazioni della teoria dell’orbitale di frontiera è il seguente.
1. I. Fleming Frontier Orbitals and Organic Chemical Reactions John Wiley &
Sons, Chichester, 1976.
Altri libri molto interessanti, sebbene più orientati all’esposizione del soggetto dal
punto di vista chimico-fisico (ma comunque non eccessivamente matematizzato),
sono:
2. K. Fukui Theory of Orientation and Stereoselection Springer-Verlag, West
Berlin 1973.
3. A. Streitwieser Molecular Orbital Theory for Organic Chemists, McGraw-Hill,
New York, 1961.
Una classica rassegna sul principio HSAB e soprattutto sulle sue applicazioni in
chimica organica è la seguente.
4. T.-L. Ho Hard Soft Acids Bases (HSAB) Principle and Organic Chemistry
Chemical Reviews, Washington, 1975, 75, 1-20.
111
4
CORRELAZIONI LINEARI DI ENERGIA
LIBERA
____________________________________________________________________
4.1 Introduzione
112
4.2 Equazione di Hammett
113
4.3 Equazioni a due parametri
128
4.4 Deviazioni dalla linearità
131
4.5 Effetti sterici
134
4.6 Problemi
137
4.7 Bibliografia
138
____________________________________________________________________
4.1 Introduzione
Fin dal primo corso di chimica organica si acquisisce familiarità con i concetti di
atomi o gruppi elettronattrattori ed elettron repulsori che, come si è illustrato nel
capitolo precedente, sono in grado di produrre una perturbazione nella struttura
molecolare. Questi effetti sono riconducibili a tre tipologie di fenomeni:
- effetti induttivi (I) esercitati dal sostituente in virtù della sua elettronegatività, che si
trasmettono attraverso i legami σ della struttura molecolare;
- effetti di campo (F) che si manifestano in particolarmodo in presenza di sostituenti
carichi. Il campo elettrico prodotto dal sostituente si trasmette nello spazio senza
che vi sia connessione diretta attraverso legami chimici;
- effetti di risonanza o mesomerici (M) esercitati dall’atomo o dal sostituente
attraverso sistemi coniugati, solitamente legami π.
Questi tre effetti trovano vastissime applicazioni in tutti i campi della chimica
organica e sono di sicuro orientamento nella razionalizzazione di un gran numero di
fatti sperimentali.
I chimici organici sono abituati a considerare la reattività relativa di molte serie di
composti in riferimento ad una particolare reazione. A titolo d’esempio si consideri la
reazione di spostamento nucleofilo dell’anione bromuro, promosso dallo ione
etossido, su una serie di bromoalcani. La reattività decresce nell’ordine
112
Br >
Br >
Br >
Br
il che è giustificabile in base a fattori sia elettronici che sterici. E’ chiaro che gli
effetti I ed F rendono conto di questo andamento della reattività solo in modo
qualitativo. In questo capitolo ci si propone di descrivere le relazioni che connettono
la struttura e la reattività da un punto di vista quantitativo.
4.2 Equazione di Hammett
La relazione più utilizzata nell’espressione delle relazioni struttura-attività per un
gran numero di reazioni organiche è l’equazione di Hammett. Come per tutte le
correlazioni lineari di energia libera si tratta di un’espressione derivata in modo
empirico. Considerando le reazioni d’idrolisi basica di metilesteri e di dissociazione
dei corrispondenti acidi carbossilici in acqua
R COOMe + Me3N
R COOH
+ H2O
k
K
R COO
+ NMe4
R COO
+ H3O
si trova sperimentalmente che esiste una relazione lineare tra le costanti cinetiche k
inerenti all’idrolisi dei metilesteri R-COOMe e le costanti di equilibrio K relative alla
dissociazione dei corrispondenti acidi R-COOH.
-logkRCOOMe
-logKRCOOH
Figura 4.1. Correlazione tra –log k per l’idrolisi di metilesteri e –log K per la dissociazione degli
acidi corrispondenti.
113
Poiché sia la costante di equilibrio K che la costante cinetica k sono legate alle
rispettive variazioni di energia libera secondo le relazioni
k T
∆G ≠
+ log B
RT
h
∆G 0
log K = −
RT
log k = −
segue che la relazione lineare tra –log k e –log K implica l’esistenza di una relazione
lineare tra l’energia libera di attivazione per l’idrolisi degli esteri ∆G≠ e l’energia
libera standard ∆G0 per la ionizzazione dei corrispondenti acidi RCOOH. A seguito
di quest’ultima dipendenza lineare, i diagrammi del tipo riportato nella Figura 4.1
sono detti correlazioni lineari di energia libera. Poiché sono messe in relazione una
grandezza cinetica ed una termodinamica, gli stessi diagrammi e le relazioni che ne
scaturiscono sono anche denominati relazioni (o correlazioni) extratermodinamiche.
Esistono numerose correlazioni di energia libera del tipo di quella appena descritta.
Ad esempio sussiste un’eccellente relazione lineare tra l’idrolisi basica di benzoati
etilici e la dissociazione dei corrispondenti acidi benzoici, purché ci si limiti a
considerare solo substrati meta- o para- sostituiti.
-logkArCOOEt
p-NO2
m-Br
p-Br
m-NO2
m-Cl
p-Cl
p-Me
H
m-MeO
p-MeO
-logKArCOOH
Figura 4.2. Correlazione tra –log k per l’idrolisi di etil benzoati e –log K per la dissociazione degli
acidi corrispondenti.
Questo esempio di correlazione lineare può apparire scontato data la spiccata
similitudine con la relazione che intercorre tra l’idrolisi dei metilesteri R-COOMe e
la dissociazione dei corrispondenti acidi R-COOH. Ma l’andamento dei dati
sperimentali riportati nella Figura 4.3 mostra che i due substrati orto-cloro ed ortonitro sostituiti non sottostanno ad una relazione lineare.
114
p-NO2
-logkArCOOEt
o-NO2
o-Cl
H
p-Me
-logKArCOOH
Figura 4.3. Correlazione tra –log k per l’idrolisi di benzoati etilici e –log K per la dissociazione
degli acidi corrispondenti.
In questi due casi emerge la limitazione più evidente delle correlazioni di energia
libera di composti aromatici: non sussiste una relazione lineare riguardante i composti
orto-sostituiti. Il motivo di questo comportamento è legato all’ingombro sterico negli
intermedi carichi che si generano nello stadio lento della reazione. Questo ingombro
sterico è invece assente nel caso di composti meta- e para-sostituiti. Sempre per
motivi legati all’ingombro sterico non sussistono relazioni lineari tra l’idrolisi di
etilesteri alifatici e le costanti di dissociazione degli acidi corrispondenti. Anche in
questo caso è ragionevole prevedere l’insorgere di una forte repulsione a livello di
intermedio di reazione, come esemplificato dal seguente Schema e testimoniato dal
diagramma in Figura 4.4.
OH
O
OH
OEt
O
OEt
OH
O
OEt
R
R
R
OH
O
OH
OEt
O
OH
OEt
O
OEt
R
R
R
115
-logkRCOOEt
p-NO2-C6H4
MeCH(OH)
Me
Ph
p-Me-C6H4
-logKRCOOH
Figura 4.4. Correlazione tra –log k per l’idrolisi esteri etilici e –log K per la dissociazione degli
acidi corrispondenti.
Dal punto di vista quantitativo, laddove sussista una relazione lineare tra –log k e
–log K l’espressione generale della retta che interpola i risultati sperimentali si ricava
nel modo seguente. In presenza di un generico sostituente X vale la relazione
log kX = ρlog KX + c
per i composti non sostituiti (X = H) si ha
log kH = ρlog KH + c
dove ρ è il coefficiente angolare della retta e c è l’intercetta. Sottraendo l’una
dall’altra le due equazioni si ottiene
log
K
kX
= ρ log X
KH
kH
Ponendo log(KX/KH) = σX si ottiene l’equazione di Hammett valida per derivati
benzenici meta- o para-sostituiti
log
kX
= ρσ X
kH
nella quale con σX si indica la costante del sostituente mentre con ρ si designa la
costante di reazione.
4.2.1 Significato della costante del sostituente, σX
Il termine σX che compare nell’equazione di Hammett è riferito ad una reazione
standard, ossia la ionizzazione di acidi benzoici meta- e para- sostituiti in acqua a
25°C. La scelta di questa reazione quale processo di riferemento è dovuta alla
116
disponibilità delle costanti di dissociazione K per un gran numero di acidi benzoici
meta- e para-sostituiti. Poiché la costante del sostituente si può scrivere nella forma
σX = pKa(H) – pKa(X)
è evidente che il suo valore numerico è costante per un certo sostituente X
indipendentemente dal tipo di reazione in cui è coinvolto il generico derivato
benzenico meta- o para-sostituito. In pratica quindi si utilizzano i valori noti delle
costanti di dissociazione degli opportuni acidi benzoici in acqua a 25°C per ricavare i
corrispondenti valori di σX, ponendo per convenzione σH = 0. Nella Tabella 4.1 sono
riportati i valori di σ per i sostituenti più comuni.
Tabella 4.1. Valori delle costanti del sostituente σ.
_______________________________________________________________
Sostituente
σmeta
σpara
_______________________________________________________________
-NH2
-OH
-OMe
-Me
-CMe3
-H
-F
-Cl
-Br
-COMe
-CN
-NO2
-0.40
+0.12
+0.12
-0.07
-0.10
0
+0.34
+0.37
+0.39
+0.38
+0.56
+0.71
-0.66
-0.37
-0.27
-0.17
-0.20
0
+0.06
+0.23
+0.23
+0.50
+0.66
+0.78
_______________________________________________________________
L’esame della Tabella 4.1 mostra che i valori di σX possono essere sia negativi che
positivi a secondo che il sostituente sia rispettivamente elettron repulsore od
elettronattrattore. Si può dunque stabilire una connessione tra la costante del
sostituente e l’effetto induttivo conformemente alle caratteristiche elettroniche del
sostituente.
Nel caso di sostituenti collocati nella posizione meta gli effetti I ed F agiscono
concordemente; si può quindi affermare che i valori σm costituiscono una misura
dell’effetto polare complessivo (induttivo e di campo) esercitato dal sostituente X sul
centro di reazione. Un esempio in questo senso è offerto dalle reazioni di idrolisi
basica di etil benzoati meta-sostituiti. L’idrolisi del substrato nitro-sostituito risulta
63.5 volte più veloce di quella del benzoato di etile. Questo comportamento si
interpreta agevolmente sulla base del fatto che il gruppo nitro, fortemente
elettronattrattore, è in grado esercitare il suo effetto induttivo -I disperdendo
efficacemente l’incipiente carica negativa che si sviluppa in posizione benzilica nello
stato di transizione. Al contrario l’idrolisi basica del meta-metilbenzoato di etile
decorre più lentamente rispetto a quella del benzoato di etile.
117
Anche questo comportamento è coerente con le caratteristiche elettroniche del
sostituente metilico che, esercitando un effetto +I, destabilizza l’incipiente carica
negativa in posizione benzilica nello stato di transizione.
δ−
COOEt
_
OH
δ−
O
OH
OH
OEt
O
δ−OEt
km,NO2
kH
NO2
NO2
NO2
δ−
COOEt
_
OH
δ−
O
= 63.5
σm,NO2 = +0.71
OH
OH
O
δ−OEt
OEt
km,Me
kH
Me
Me
Me
= 0.66
σm,Me = -0.07
Da queste considerazioni emerge che i valori numerici delle costanti del sostituente
σm esprimono quantitativamente l’entità dell’effetto induttivo esercitato dallo stesso
sostituente. In altri termini il valore σm,NO2 = +0.71 dà la misura di quanto il gruppo
nitro è elettronattrattore rispetto al metile per il quale σm,Me = -0.07.
Per quanto concerne i sostituenti in posizione para-, la Tabella 4.1 mostra che i valori
di σp non solo variano a secondo del sostituente e differiscono dai σm, ma per un dato
sostituente σm e σp possono avere segno diverso. E’ questo il caso del gruppo
metossile, per il quale σm,MeO = +0.12 proprio di un gruppo debolmente
elettronattrattore e σp,MeO = -0.27 tipico di un gruppo elettron repulsore. Questa
apparente contraddizione è facilmente spiegabile considerando che l’ossigeno del
metossile è più elettronegativo del carbonio ed esercita quindi un effetto -I quando si
trova in posizione meta. Il metossile si comporta allora come un sostituente
elettronattrattore (σ > 0). Qualora lo stesso sostituente si trovi in posizione para-,
esso esercita un effetto +M che prevale su quello induttivo -I ed il gruppo metossile si
comporta da sostituente elettron repulsore (σ < 0). Appare chiaro che le costanti del
sostituente σp tengono conto sia degli effetti polari, induttivi e di campo, che degli
effetti mesomerici. Analogamente a quanto detto a proposito delle costanti del
sostituente σm, i valori numerici di σp esprimono in modo quantitativo l’entità degli
effetti induttivi e mesomerici esercitati dallo stesso sostituente.
La velocità d’idrolisi basica dei benzoati d’etile metossi-sostituiti è perfettamente
coerente con questo tipo di analisi. L’estere meta-metossi sostituito reagisce più
velocemente rispetto al benzoato di etile mentre il para-metossibenzoato di etile si
idrolizza più lentamente del substrato non sostituito.
118
δ−
COOEt
OH
_
δ−
O
OH
OH
O
δ−OEt
OEt
km,MeO > kH
OMe
OMe
OMe
δ−
COOEt
_
OH
δ−
O
σm,MeO = +0.12
OH
OH
OEt
O
δ−OEt
kp,MeO < kH
OMe
σp,MeO = -0.27
OMe
OMe
4.2.2 Significato della costante di reazione, ρ
La forma analitica dell’equazione di Hammett è quella di una retta passante per
l’origine degli assi il cui coefficiente angolare ρ è detto costante di reazione. Questa
definizione, benché ineccepibile dal punto di vista formale, è piuttosto
insoddisfacente poiché non mette in luce il significato chimico di ρ. La Figura 4.3
mostra un diagramma nel quale la costante del sostituente σX è espressa in funzione
del rapporto log(kX/kH) per tre reazioni differenti ognuna delle quali è caratterizzata
dal corrispondente valore della costante di reazione ρ1, ρ2, ρ3. Questa
rappresentazione grafica dell’equazione di Hammett mette in evidenza che per un
dato sostituente X la reazione caratterizzata dalla costante ρ3 è più veloce delle altre
due.
ρ3
log(kX/kH)
ρ2
ρ1
σX
Figura 4.5. Rappresentazione grafica dell’equazione di Hammett per tre diverse reazioni
caratterizzate dalle rispettive costanti di reazione positive ρ1, ρ2, ρ3.
119
La costante di reazione ρ costituisce la misura quantitativa della suscettibilità di una
reazione indotta della presenza del sostituente X. Il diagramma mostrato nella Figura
4.5 si riferisce a tre processi caratterizzati da valori positivi della costante di reazione
ρ. La velocità di reazione aumenta all’aumentare del valore σX; le reazioni
caratterizzate da valori positivi di ρ sono tanto più veloci quanto più
elettronattrattore è il sostituente X.
L’andamento opposto si verifica per reazioni caratterizzate da valori negativi di ρ,
come mostrato nella Figura 4.6: le reazioni caratterizzate da valori negativi di ρ sono
rallentate dalla presenza di sostituenti elettronattrattori.
0
_
log(kX/kH)
ρ1
ρ2
ρ3
σX
Figura 4.6. Rappresentazione grafica dell’equazione di Hammett per tre diverse reazioni
caratterizzate dalle rispettive costanti di reazione negative ρ1, ρ2, ρ3.
Nella Tabella 4.2 sono riportati esempi di reazioni che obbediscono all’equazione di
Hammett.
Tabella 4.2. Valori delle costanti di reazione ρ.
_________________________________________________________________________________________
Reazione
ρ
_________________________________________________________________________________________
ArNH2 + 2,4-(NO2)2-C6H3Cl in EtOH (25°C)
ArNH2 + PhCOCl in benzene (25°C)
Idrolisi di ArCH2Cl in acetone acquoso (69.8°C)
ArO¯ + EtI in EtOH (25°C)
Idrolisi acida di ArCH2COOMe in metanolo acquoso (25°C)
ArCH2Cl + I¯ in acetone (25°C)
Ionizzazione di ArCOOH in acqua (25°C)
Ionizzazione di ArOH in acqua (25°C)
Idrolisi basica di ArCOOEt in etanolo acquoso (25°C)
Ionizzazione di ArNH3+ in acqua (25°C)
-3.19
-2.69
-1.88
-0.99
+0.03
+0.79
+1.00
+2.01
+2.51
+2.73
_________________________________________________________________________________________
120
Come reazione standard si sceglie la ionizzazione degli acidi benzoici in acqua a
25°C per analogia con la definizione di σX. Per questo processo la costante di velocità
si assume ρ = 1.00. Il valore di ρ per una data reazione realizzata in condizioni
specificate è indipendente dalla posizione (meta o para) del sostituente sull’anello
benzenico. Inoltre, per una data reazione la presenza di un sostituente ne influenza la
velocità a secondo dello sviluppo o della dispersione di carica che si verifica nello
stato di transizione. Questa constatazione, di per sé ragionevole, permette di mettere
in relazione la costante di reazione ρ con la variazione della carica tra stato di
transizione e reagenti. Valori positivi di ρ implicano il passaggio attraverso uno stato
di transizione con densità elettronica superiore a quella dei reagenti; la velocità della
reazione aumenta quindi in presenza di gruppi elettronattrattori. Valori negativi di ρ
denotano invece uno stato di transizione con densità elettronica inferiore a quella dei
reagenti sicché la reazione è accelerata da gruppi a rilascio elettronico. La costante di
reazione rappresenta dunque una misura della variazione di carica dello stato di
transizione rispetto ai reagenti. Valori grandi di ρ sottintendono una spiccata
variazione di carica mentre valori di ρ inferiori indicano una situazione elettronica
dello stato di transizione simile a quella dei reagenti. Facendo riferimento ad un
anello benzenico sostituito, che è il tipico sistema che obbedisce all’equazione di
Hammett, le cariche dei reagenti e del corrispondente stato di transizione sono in
relazione con ρ come è mostrato in modo riassuntivo nel seguente specchietto.
ρ
6543-
la carica negativa si sviluppa direttamente sull'anello benzenico
o può delocalizzare direttamente
la carica negativa si sviluppa in posizione adiacente o coniugata
all'anello benzenico
210-1 -
1) l'anello benzenico è troppo distante dal centro di reazione
2) non ci sono variazioni di carica significative tra reagenti e stato di transizione
3) due ρ simili e di segno opposto tendono ad annullarsi
-2 -3 -
la carica positiva si sviluppa in posizione adiacente o coniugata
all'anello benzenico
-4 -5 -6 -
la carica positiva si sviluppa direttamente sull'anello benzenico
o può delocalizzare direttamente
121
Per illustrare compiutamente il significato della costante di reazione è opportuno
ricorrere ai seguenti esempi.
4.2.2.1 Equilibri con ρ > 0. Come si è detto, la costante di reazione è per definizione
posta uguale all’unità per la dissociazione degli acidi benzoici in acqua. Questo
valore di ρ è compatibile con lo sviluppo di una parziale carica negativa sull’ossigeno
carbossilico nello stato di transizione. Le costanti di reazione per la dissociazione di
acidi omologhi devono avere valori inferiori all’unità, benché positivi, per via della
maggiore distanza tra l’incipiente carica negativa ed il sostituente X. Si giustificano
quindi il valore ρ = 0.5 per la dissociazione degli acidi arilacetici ed il valore ancora
inferiore (ρ = 0.2) per la dissociazione degli acidi 3-arilpropionici. Se esiste la
possibilità che intervenga coniugazione il valore di ρ aumenta a parità di distanza
carica-sostituente; è questo il caso degli acidi cinnamici sostituiti.
COOH
COO
+ H+
X
ρ = 1.00
X
COOH
COOH
X
X
ρ = 0.5
COOH
X
ρ = 0.2
ρ = 0.5
Se la carica negativa si sviluppa in posizione più prossima all’anello benzenico, come
ad esempio nella ionizzazione dei fenoli, ci si deve attendere un valore di ρ piuttosto
grande e positivo. La stessa tendenza si manifesta in quegli equilibri che prevedono la
scomparsa di una carica positiva su un atomo direttamente connesso all’anello
benzenico, come ad esempio la dissociazione di ioni anilinio.
OH
NH3
X
X
ρ = 2.3
ρ = 3.2
4.2.2.2 Reazioni con ρ > 0. L’idrolisi alcalina dei benzoati etilici mostra ρ = 2.6 come
conseguenza della parziale carica negativa all’ossigeno che si sviluppa nello stato di
transizione (vedi pag. 118). Per reazioni che decorrono in più stadi la costante di
reazione ρ è determinata dal passaggio cineticamente determinante, ovvero dal
passaggio lento dell’intero processo. Alcuni esempi significativi comprendono la
reazione di Wittig, le sostituzioni nucleofile aromatiche e le sostituzioni viniliche.
122
X
CHO
COOEt
lento
+
Ar3P
X
EtOOC
EtOOC
veloce
Ar3P
ρ = 2.7
Ar3P
O
X
O
X
veloce
+
EtOOC
Br
Br
+
lento
HN
ρ = 4.9
NO2
X
Ar3P=O
N
N
X
O
Br
lento
Ot-Bu
+
t-BuO
ρ = 9.0
Ar
Ar
Br
NO2
X
O
Ot-Bu
Ar
N
veloce
_
- Br
Ar
veloce
_
- Br
Ar
Ar
4.2.2.3 Reazioni con ρ < 0. Le sostituzioni elettrofile aromatiche presentano valori
della costante di reazione grandi e negativi, ovvero sono accelerate da sostituenti
elettron repulsori, poiché nello stato di transizione si ha lo sviluppo di una carica
positiva sull’anello benzenico. I valori tipici di ρ per questa classe di reazioni sono
compresi tra -5.0 e -9.0. Valori meno negativi si hanno per le sostituzioni nucleofile
monomolecolari, nelle quali la carica positiva si sviluppa in posizione adiacente
all’anello benzenico.
H
+
NO2
+
lento
ρ = -6.4
X
+
lento
_
X
OH
veloce
+
H2O
- Cl
ρ = -4.5
NO2
veloce
-H
X
Cl
X
NO2
X
+
H
X
Si hanno costanti di reazione di segno negativo anche nel caso di reazioni che
comportano la dispersione di una carica negativa nello stato di transizione. Ne è un
esempio l’alchilazione dei fenoli, che risulta accelerata da sostituenti a rilascio
elettronico.
123
Me
O
+
O
lento
EtI
I
ρ = -1.0
X
OEt
veloce
_
-I
H H
X
X
4.2.2.4 Reazioni con ρ ≈ 0. Le costanti di reazione sono piccole, sia positive che
negative, quando la formazione o la dispersione della carica avviene in una posizione
distante o non coniugata all’anello benzenico sostituito. A titolo di esempio si
consideri la reazione d’idrolisi basica di acidi arilalifatici non coniugati. Un’altra
ragione che comporta valori di ρ piccoli è l’assenza di variazioni di carica
significative tra i reagenti e lo stato di transizione. Le reazioni di Diels-Alder, che
decorrono generalmente sotto il controllo dell’HOMO del diene, avvengono su
reagenti neutri attraverso uno stato di transizione privo di cariche.
COOEt
+
COOH
_
HO
H2O
+
X
ρ = +0.5
EtOH
X
Ar
Ar
O
+
O
H
O
ρ = -0.6
O
H
O
O
Il terzo motivo che implica la comparsa di ρ piccoli è operante nel caso di quelle
reazioni a stadi nelle quali due singoli stadi sono caratterizzati da valori di ρ di segno
opposto. Ciò conduce alla parziale cancellazione delle costanti di reazione. L’idrolisi
acida di benzoati etilici decorre attraverso un meccanismo a cinque stadi nel quale il
primo ed il secondo, più lenti, sono caratterizzati da ρ con segno opposto. Ne risulta
che la costante di reazione per l’intero processo vale solo +0.03.
O
OH
OEt
+
H
HO
H2O
OEt
-H
lento
X
HO
O
OH
O Et
X
X
ρ>0
OH
H
+
H
OEt
+
ρ<0
X
OH
OH
OH
+
- EtOH
-H
X
X
124
ρtot = +0.03
4.2.3 Coniugazione diretta
Si è finora tacitamente assunto che le costanti del sostituente σ siano valide
indipendentemente dalla posizione del centro su cui avviene la reazione rispetto
all’anello benzenico. In realtà la discussione svolta fino a questo punto si è limitata a
sistemi nei quali il centro reattivo, pur essendo legato all’anello benzenico, non è in
grado di mettere in pratica una coniugazione diretta. Ad esempio nell’idrolisi basica
dei benzoati alchilici la carica negativa che si sviluppa a livello dell’intermedio di
reazione non può coniugare direttamente con l’anello aromatico.
O
OH
OR
Z
Una situazione assai differente si prospetta nel caso della dissociazione di fenoli
para-sostituiti, nei quali la carica negativa dell’ossigeno fenolico può entrare in
coniugazione diretta con l’anello benzenico.
O
O
Z
Z
Date le due reazioni di dissociazione in acqua a, b riguardanti rispettivamente acidi
benzoici e fenoli para-sostituiti
a
Z
COOH
b
Z
OH
+
+
H2O
COO
Z
H2O
Z
O
+
+
+
H3O
+
H3O
il diagramma che si ottiene ponendo i valori di log(KX/KH)a per la reazione a in
funzione dei valori log(KX/KH)b per la reazione b mostra che i punti sperimentali per i
sostituenti fortemente elettronattrattori –CN e –NO2 non sottostanno ad una relazione
lineare, indicando che i fenoli para-sostituiti con questi gruppi sono acidi più forti di
quanto ci si aspetterebbe da questa correlazione lineare. In altri termini i valori σp per
gruppi fortemente elettronattrattori non tengono conto degli effetti dovuti alla
coniugazione diretta sull’anello benzenico, il che implica che in questi casi
l’equazione di Hammett basata sui valori σp non è più valida.
125
log(KX/KH)a
p-NO2
p-CN
p-Br
p-Cl
H
p-F
p-Me
log(KX/KH)b
Figura 4.7. Correlazione di log(KX/KH) per la dissociazione di acidi benzoici e fenoli.
Per ricondursi alla situazione di linearità si definisce una nuova costante del
sostituente σp¯ valida per reazioni che prevedono intermedi in grado di esercitare
coniugazione diretta. Il procedimento operativo che porta alla determinazione di
queste nuove costanti del sostituente si esegue in modo semplice. Basta diagrammare
log(kX/kH) in funzione di σ per fenoli meta-sostituiti, che non sono in grado di
produrre coniugazione diretta. Dalla pendenza della retta che interpola i dati
sperimentali si ricava la costante di reazione ρ valida per la dissociazione di fenoli
meta-sostituiti. Ricordando che il valore di ρ è indipendente dalla posizione (meta o
para) del sostituente sull’anello benzenico (cfr. pag. 119), il passaggio successivo
comporta l’utilizzo di questa ρ nell’equazione di Hammett riguardante la
dissociazione di fenoli para-sostituiti. Si ottengono così le nuove costanti del
sostituente σp¯ valide per sostituenti elettronattrattori. Nella seguente Tabella, a titolo
di confronto, si affiancano i valori di σ già riportati nella Tabella 4.1.
Tabella 4.3. Valori delle costanti del sostituente σp¯.
_________________________________________________________________
Sostituente
σp¯
σp
_________________________________________________________________
-COOEt
-COMe
-CN
-CHO
-NO2
0.68
0.84
0.88
1.03
1.27
0.45
0.50
0.66
0.43
0.78
_______________________________________________________________
Naturalmente esistono reazioni nelle quali la coniugazione diretta con l’anello
benzenico, e quindi con il sostituente, coinvolge centri carichi positivamente. E’
questo il caso della solvolisi (SN1) di 2-aril-2-cloropropani.
126
Cl
OH
H2O
-H+
X
X
X
X
Il diagramma log(kX/kH) in funzione di σ non è lineare per i sostituenti elettron
repulsori. Il motivo di questa mancanza di linearità è dovuta alla possibilità del
catione in posizione benzilica di coniugare direttamente con l’anello benzenico e
quindi con il sostituente X. Questa situazione è ovviamente stabilizzata da sostituenti
elettron repulsori più di quanto ci si aspetterebbe sulla base dei valori di σ.
p-MeO
log(kX/kH)
p-Me
H
p-CN
p-NO2
σ
Figura 4.8. Correlazione tra log(kX/kH) in funzione di σ per la solvolisi di 2-aril-2-cloropropani.
Procedendo in modo analogo a quanto fatto nel caso dei fenoli para-sostituiti si
definiscono le costanti del sostituente σp+, che sono valide per gruppi elettron
repulsori.
Tabella 4.4. Valori delle costanti del sostituente σp+.
_________________________________________________________________
σp+
σp
_________________________________________________________________
Sostituente
-Ph
-Me
-OMe
-NMe2
-0.18
-0.31
-0.78
-1.70
-0.01
-0.17
-0.27
-0.83
_______________________________________________________________
Si hanno dunque due serie di costanti del sostituente; i valori σp utilizzabili sia per
sostituenti elettronattrattori che elettron repulsori ed i valori σp- e σp+ validi
127
rispettivamente per sostituenti elettronattrattori ed elettron repulsori. L’utilizzo di una
delle due serie di costanti del sostituente è determinata dalla collocazione del centro
reattivo rispetto all’anello benzenico e, quindi, alla possibilità che possa intervenire
coniugazione diretta. I valori tabulati di σp- e σp+ si ottengono dalle reazioni di
riferimento sopra menzionate; non deve quindi sorprendere che per altri processi in
grado di esercitare coniugazione diretta queste nuove costanti del sostituente non
siano sempre del tutto valide. In effetti lo sviluppo della carica nello stadio lento della
reazione può risultare assai variabile a secondo del tipo di centro reattivo coinvolto.
A titolo d’esempio, l’anione tiofenato è in grado di disperdere la carica negativa
sull’atomo di zolfo più efficacemente di quanto accada nel caso dell’ossigeno
fenolico. In definitiva è plausibile che un certo sostituente in posizione para risponda
in modo diverso alla coniugazione diretta a secondo della localizzazione di carica sul
centro reattivo proprio perché quest’ultima può variare a secondo della natura del
centro reattivo.
4.3 Equazioni a due parametri
La considerevole attività di ricerca svolta nel campo delle correlazioni lineari di
energia libera ha prodotto come risultato la comparsa di un gran numero di queste
relazioni, formulate nel tentativo di inquadrare il maggior numero possibile di
reazioni organiche. Particolare enfasi è stata posta sulle correlazioni a due parametri,
che in alcuni casi permettono di ottenere correlazioni lineari assai accurate laddove
viene meno l’applicabilità dell’equazione di Hammett.
4.3.1 Equazione di Yukawa-Tsuno
La variabilità, o meglio la non perfetta costanza dei valori di σp- e σp+ al variare del
centro reattivo in grado di esercitare coniugazione diretta, ha prodotto come risultato
l’introduzione di ulteriori parametri nell’equazione di Hammett nel tentativo di
ottenere correlazioni lineari per un numero di reazioni più possibile vasto.
L’equazione di Yukawa-Tsuno rappresenta uno degli esempi di equazioni a due
parametri concettualmente più semplici e maggiormente utilizzati nella pratica. Per
sostituenti elettron repulsori l’equazione di Yukawa-Tsuno ha la forma seguente
log
kX
= ρ[σ + r (σ + − σ )]
kH
mentre per sostituenti elettronattrattori vale l’analoga relazione lineare
log
kX
= ρ[σ + r (σ − − σ )]
kH
Il nuovo parametro r quantifica l’intervento della coniugazione diretta in una certa
reazione ed è posto uguale all’unità, per definizione, in riferimento alla solvolisi dei
2-aril-2-cloropropani già utilizzata per definire le costanti del sostituente σp+. Per
questa reazione standard l’equazione di Yukawa-Tsuno si semplifica nelle seguenti
espressioni
128
log
kX
= ρσ +
kH
oppure
log
kX
= ρσ −
kH
mentre se non vi è coniugazione diretta si pone r = 0 riottenendo l’equazione di
Hammett. Per ricavare i valori di r si misurano le kX per sostituenti collocati in
posizione meta-, da cui si ottiene il valore di ρ da inserire nell’equazione di YukawaTsuno. Si misurano quindi le kX per sostituenti in posizione para- per i quali siano
noti i valori σp+ o σp-. A questo punto dall’equazione di Yukawa-Tsuno si ricava r.
Per l’idrolisi base-catalizzata di fenossitrietilsilani para-sostituiti si trova r = 0.50, ad
indicare che per questa reazione la coniugazione diretta è operante in modo
significativo. In altri termini la carica negativa sull’ossigeno fenolico è presente in
modo piuttosto consistente nello stato di transizione, il che implica necessariamente
che la rottura del legame O-Si a questo livello sia piuttosto avanzata. Si può quindi
affermare che la grandezza del parametro r costituisce una misura indiretta del grado
di rottura del legame esistente tra il centro reattivo ed il gruppo uscente nello stato di
transizione.
−
δ
O
N
O
O
−
Et
δ
OH
Si
Et
Et
r = 0.50
ρ = +3.52
4.3.2 Altre equazioni a due parametri
Oltre all’equazione di Yukawa-Tsuno esistono molte altre correlazioni a due
parametri alcune delle quali sono di utilizzo piuttosto ampio, mentre alcune possono
dare l’impressione di essere costruite ad hoc per ottenere relazioni lineari nel caso
venga meno la validità dell’equazione di Hammett. E’ bene guardarsi da un’eccessiva
confidenza nell’introduzione di parametri atti solo a produrre migliori relazioni
lineari con i dati sperimentali, poiché si può correre il rischio di perdere di vista il
significato fisico di questi nuovi parametri. In tal caso è consigliabile limitarsi
all’analisi dei dati sperimentali tramite la semplice equazione di Hammett, che ha il
notevole pregio di definire univocamente le costanti ρ e σ.
Tenendo presente questo avvertimento, è pur vero che alcune correlazioni a due
parametri, come si è detto, possono risultare piuttosto utili. E’ questo il caso
dell’equazione di Swain-Lupton, che utilizza quale reazione di riferimento la
dissociazione degli acidi biciclo[2.2.2]ottanocarbossilici sostituiti.
COOH
X
129
L’equazione di Swain-Lupton ha la forma
log
kX
= fF + rR
kH
dove la costante del sostituente è espressa come somma di due termini; uno di campo
(effetto polare o induttivo, F) ed uno di risonanza, R. In questo modo per il
sostituente X si separano, di fatto, il contributo dato dall’effetto induttivo da quello
dovuto all’effetto di risonanza. Le costanti di reazione sono invece f ed r. I termini F
ed R si possono mettere in relazione con le costanti del sostituente σm, σp di Hammett
e σ+, σ¯ di Yukawa-Tsuno attraverso le seguenti relazioni empiriche
σm = 0.60 F + 0.27 R
σp = 0.56 F + 1.00 R
σ+ = 0.51 F + 1.59 R
σ¯ = 0.75 F + 1.52 R
Tabella 4.5. Valori di F ed R per l’equazione
di Swain-Lupton.
_________________________________________________________
X
F
R
_________________________________________________________
COMe
NH2
Br
COOH
COO¯
Cl
CN
OEt
COOEt
H
F
OPh
NMe2
NHCOMe
SO2NH2
OH
Me
NO2
Ph
CF3
0.50 ± 0.05
0.38 ± 0.08
0.72 ± 0.03
0.44 ± 0.03
-0.27 ± 0.03
0.72 ± 0.03
0.90 ± 0.03
0.61 ± 0.10
0.47 ± 0.02
0
0.74 ± 0.06
0.76 ± 0.07
0.69 ± 0.13
0.77 ± 0.07
0.55 ± 0.09
0.46 ± 0.04
-0.01 ± 0.03
1.00 ± 0.00
0.52 ± 0.05
0.64 ± 0.03
0.90 ± 0.12
-2.52 ± 0.23
-0.18 ± 0.07
0.66 ± 0.08
0.40 ± 0.08
-0.24 ± 0.08
0.71 ± 0.07
-1.72 ± 0.30
0.67 ± 0.02
0
-0.60 ± 0.12
-1.29 ± 0.15
-3.81 ± 0.42
-1.43 ± 0.17
1.07 ± 0.27
-1.89 ± 0.17
-0.41 ± 0.08
1.00 ± 0.00
-0.37 ± 0.11
0.76 ± 0.08
_________________________________________________________
130
La decomposizione termica dei sali di arildiazonio a dare i corrispondenti cloruri
arilici
_
N Cl
N
Cl
X
+
N2
X
non rispetta l’equazione di Hammett come si vede dal diagramma di sinistra riportato
nella Figura 4.9. Il trattamento dei dati sperimentali con i parametri dell’equazione di
Swain-Lupton, proposto nel grafico di destra della Figura 4.9, produce invece
un’eccellente correlazione lineare.
0-
0-
log(kX/kH)
log(kX/kH)
-4 -0.5
0.5
-4 -4
σp
fF + rR 0
Figura 4.9. Correlazione di log(kX/kH) in funzione del σ di Hammett (diagramma di sinistra) ed in
funzione dei parametri dell’equazione di Swain-Lupton (diagramma di destra).
4.4 Deviazioni dalla linearità
Nel paragrafo precedente si è verificata la possibilità di ottenere correlazioni lineari
attraverso l’uso di equazioni multiparametriche qualora l’equazione di Hammett
fornisca diagrammi non lineari. Per contro si possono ottenere informazioni
meccanicistiche molto utili soprattutto dall’esame dei diagrammi non lineari espressi
in funzione delle costanti del sostituente definite dall’equazione di Hammett. Ad
esempio il grafico che esprime log kX in funzione di σX per l’acetolisi dei 3-aril-2butil brosilati non è lineare, come testimoniato dal diagramma riportato nella Figura
4.10.
X
X
_
AcO /AcOH
kX
OBs
OAc
131
p-MeO
logkX
p-Me
m-Me
H
p-Cl
m-Cl
p-CF3
p-NO2
m-CF3
σX
Figura 4.10. Grafico di logkX in funzione di σ per l’acetolisi dei 3-aril-2-butil brosilati.
L’aumento non lineare della velocità di acetolisi si verifica nel caso di sostituenti
elettron repulsori, poiché in questi casi è possibile l’assistenza interna alla
sostituzione nucleofila con formazione dello ione fenonio ciclico come intermedio. E’
evidente che sostituenti elettronattrattori non possono essere in grado di fornire
l’assistenza necessaria per produrre questo attacco nucleofilo interno.
OMe
OMe
OMe
_
-BsO
lento
AcO
_
veloce
OBs
OAc
Si hanno evidenze stereochimiche dell’intervento dello ione fenonio ciclico. Partendo
dall’isomero treo puro, l’attacco nucleofilo esterno da parte dell’anione acetato può
condurre solo all’acetato eritro attraverso un meccanismo SN2, mentre l’attacco
nucleofilo interno promosso dalla presenza di un gruppo a rilascio elettronico
produce solo l’isomero treo.
AcO
Ar
H
Me
Ar
_
H
Me
OAc
Me
H
eritro
H
Me
OBs
X
treo
_
-BsO
AcO
H
Me
H
Me
132
Ar
_
H
Me
Ar
H
Me
OAc
H
Me
OAc
H
treo
Me
In presenza del sostituente metossi- in posizione para sull’anello benzenico si ottiene
solo il diastereoisomero treo, il che è indice di completa assistenza interna
(intramolecolare). Se X = NO2 si ha invece la netta predominanza dell’isomero eritro,
ad indicare che la reazione procede solo per attacco nucleofilo esterno da parte dello
ione acetato.
La velocità d’idrolisi di benzoati etilici in acido solforico al 99.9% non è lineare in
funzione di σX, al contrario di quanto avviene per l’analoga idrolisi condotta in
presenza di acidi diluiti. Questo comportamento è evidentemente dovuto ad un
cambio di meccanismo rispetto a quello già discusso ed operante in queste ultime
condizioni. In presenza di sostituenti elettron repulsori sull’anello benzenico la
velocità d’idrolisi diminuisce all’aumentare di σX e si ha ρ = -3.25. Questa situazione
descrive il ramo lineare sinistro della curva riportata nella Figura 4.11, ed è
compatibile con il meccanismo AAc1 nel quale la carica positiva risulta tanto più
stabilizzata quanto più il sostituente è elettron repulsore.
Ar
O
lento
Ar C O
Ar
H2O
OEt
O
-H+
Ar
O
OH
OH2
In presenza di sostituenti elettronattrattori si verifica l’inversione della pendenza del
ramo lineare sinistro della curva. Ciò implica un cambio di meccanismo da AAc1 ad
AAl1. L’uscita del catione etilico nello stadio lento della reazione comporta una forte
diminuzione della carica positiva nello stato di transizione che conduce all’acido
carbossilico ArCOOH. Questa dispersione di carica positiva è compatibile con il
valore ρ = 2.0 e col fatto che la reazione risulta accelerata da sostituenti
elettronattrattori.
Ar
O
H+
Ar
O
lento
Ar
O
OEt
H
O
OH
Me
+ Et +
H2O
EtOH + H+
logkX
ρ = -3.25
ρ = 2.0
0
0.7
1.4
σX
Figura 4.11. Grafico di logkX in funzione di σx per l’idrolisi di benzoati etilici in H2SO4 al 99.9%.
133
La ciclodisidratazione di 2-fenil-triarilcarbinoli mostra il seguente diagramma di
logkX in funzione di σX.
logkX
ρ = -2.51
ρ = 2.67
0
σX
Figura 4.12. Grafico di logkX in funzione di σx per la ciclodisidratazione di 2-fenil-triarilcarbinoli.
In questo caso si ipotizza il seguente meccanismo a stadi. La pendenza del ramo
lineare sinistro, caratterizzato da un valore di ρ > 0, è coerente con la dispersione
della carica positiva che si verifica nel passaggio lento c. La pendenza del ramo
lineare destro si inverte rispetto al precedente. Il valore di ρ < 0 che lo caratterizza è
conseguenza della creazione della carica positiva in posizione benzilica nel passaggio
lento b del meccanismo proposto.
Ar
H+
veloce
OH
a
Ar
lento
c
Ar
Ar
H
-H2O
Ar
lento
OH2
b
Ar
Ar
Ar
-H+
veloce
d
Ar
Ar
4.5 Effetti sterici
Come si è detto, i derivati benzenici orto-sostituiti ed i composti alifatici non
obbediscono all’equazione di Hammett in virtù degli ingombri sterici esercitati dal
sostituente sul centro di reazione (cfr. pag. 115). In questo paragrafo si mostrerà
come si possa tenere debitamente conto di questi effetti sterici attraverso
l’introduzione di appositi parametri che consentono di ottenere correlazioni lineari.
4.5.1 Equazione di Taft
In riferimento alle reazioni di idrolisi base- ed acido-catalizzate di esteri alifatici è
ragionevole ammettere che i rispettivi stati di transizione siano assai somiglianti dal
134
punto di vista dell’ingombro sterico. In effetti questi due stati di transizione
differiscono, oltre che per la carica complessiva, per il numero di protoni presenti
nella struttura, laddove lo stato di transizione derivante dal meccanismo acidocatalizzato ne prevede due in più. Entrambi gli stati di transizione sono tetraedrici e,
poiché i protoni esercitano un ingombro sterico sufficientemente piccolo da poter
essere trascurato, si può ritenere che ogni effetto di natura sterica possa essere
attribuito al solo sostituente R e sia sostanzialmente identico sia nella reazione acidocatalizzata che in quella base-catalizzata.
O
R
C
OH
OEt
R
OH
OEt
C
OH2
E’ quindi possibile scrivere la seguente equazione che rappresenta i soli effetti polari
dovuti al sostituente R nelle reazioni acido-catalizzate (pedice: a) e base-catalizzate
(pedice: b)
⎛k ⎞
⎛k ⎞
log⎜⎜ R ⎟⎟ − log⎜⎜ R ⎟⎟ = ρ * σ *
⎝ k0 ⎠ b
⎝ k0 ⎠a
Dato che gli effetti sterici dovuti al sostituente R sono gli stessi indipendentemente
dal tipo di idrolisi (acido- o base-catalizzata) i termini sterici dovuti al sostituente si
cancellano reciprocamente e non compaiono in quest’ultima equazione. Il termine ρ*
indica la suscettibilità della reazione rispetto ai soli effetti polari; vale +2.48 ed è
determinato dalla sottrazione delle rispettive costanti di reazione per l’idrolisi basecatalizzata (ρ = +2.51) ed acido-catalizzata (ρ = + 0.03). Inoltre si conviene di
adottare il gruppo metilico quale sostituente di riferimento, sicché la costante di
velocità k0 si riferisce all’idrolisi dell’acetato d’etile (R = Me). Eseguendo misure
cinetiche su una serie di esteri alifatici con R ≠ Me si possono calcolare le nuove
costanti del sostituente σ* assumendo che, per definizione, σMe* = 0. Questi valori
σR* si utilizzano nell’equazione di Taft che assume la forma
k
log R = ρ * σ *
k Me
valida per un buon numero di reazioni che coinvolgono derivati alifatici, ad esempio
base
R
OH
R
Br + Ph S
R
O
R
SPh
+ Br
_
NH2
R
O
+
Ph
PhCOCl
NH
135
R
4.5.2 Parametri sterici
L’equazione di Taft esprime solo l’effetto polare esercitato dal sostituente R. Ciò non
significa che non vi siano effetti sterici operanti durante la reazione ma solo che la
variazione di questi effetti tra stati di transizione e reagenti è piccola. Non deve
quindi sorprendere che, come nel caso dell’equazione di Hammett, si possano
verificare deviazioni dalla linearità dovute ad effetti di tipo sterico qualora non sia più
trascurabile il loro diverso apporto a stati di transizione e reagenti. Per tenere conto
convenientemente di questi effetti si introduce il parametro ES la cui definizione si
regge sull’idrolisi acido-catalizzata di esteri. Si è detto (pag. 124) che per la reazione
acido-catalizzata dei benzoati etilici si ha ρ = + 0.03, il che implica l’indipendenza di
questa reazione dagli effetti polari esercitati dal sostituente X.
O
OEt
X
E’ ragionevole ammettere che anche per gli etilesteri alifatici a formula generale
RCOOEt gli effetti polari dovuti al sostituente debbano essere piccoli come nel caso
dei benzoati etilici e possano pertanto essere trascurati. Qualora si verifichino
variazioni nella velocità d’idrolisi acida di esteri è chiaro che tali variazioni possono
essere imputate solo ad effetti di natura sterica. Il parametro ES si definisce attraverso
la seguente relazione, prendendo R = Me quale sostituente di riferimento.
⎛ k
E S = log⎜⎜ RCOOEt
⎝ k MeCOOEt
⎞
⎟⎟
⎠ acida
Tutti i sostituenti più ingombranti del metile rallentano la reazione d’idrolisi acida,
cioè i valori di ES sono tanto più negativi quanto più ingombrante è il sostituente R
(Tabella 4.6).
Tabella 4.6. Valori del parametro sterico ES.
_________________________________________________________________
Sostituente
ES
Sostituente
ES
_________________________________________________________________
-H
-Me
-Et
-CH2Cl
+1.24
0
-0.07
-0.24
-CH2Ph
-CMe3
-CHPh2
-CEt3
-0.38
-1.54
-1.76
-3.81
_______________________________________________________________
Poiché si trova sperimentalmente che i valori di ES sono alquanto variabili a secondo
del tipo di reazione, per ottenere l’andamento lineare si è costretti ad introdurre un
136
uletriore parametro, δ, atto a misurare la suscettibilità di una reazione nei confronti
dei soli effetti sterici. Il valore del parametro δ è posto pari all’unità, per definizione,
nel caso dell’idrolisi acido-catalizzata di esteri. L’equazione che tiene conto degli
effetti polari e sterici assume la forma
log
kR
= ρ * σ R * +δE S
k Me
4.6 Problemi
1. Per la reazione
O
R
H+
HO
H2O
R
CH2OH
si hanno i seguenti dati cinetici
k
σ*
R
16.80
0
Me
20.17
-0.10
Et
5.60
+0.60
Ph
11.33
+0.215
PhCH2
Verificare graficamente se è seguita una correlazione lineare di logkR/kMe in
funzione di σ*. In caso affermativo specificare: (1) di quale correlazione si
tratta e (2) calcolare il valore di ρ*.
2.
La reazione di idroborazione di stireni para-sostituiti obbedisce all’equazione di
Hammett. Dati i seguenti valori della costante di velocità in funzione del
sostituente
102logk
R
90.68
Me2N
81.86
Me
75.00
H
40.21
CN
calcolare: (1) il valore di ρ, spiegandone il significato attraverso un meccanismo
plausibile; (2) il valore di σ per il sostituente –CF3 se 102logk = 49.03
3.
La seguente reazione di eliminazione
I
+
_
EtO
+
X
EtOH
_
+ I
X
rispetta l’equazione di Hammett. In base alle misurazioni cinetiche riassunte
nella seguente Tabella, calcolare il valore di ρ.
kX/kH
σ
X
1.000
0
H
0.787
-0.12
MeO
137
2.096
+0.37
Cl
5.155
+0.82
NO2
4.
Si hanno i seguenti valori di Ka per gli acidi benzoici para-sostituiti con un
alogeno:
KH = 1.74 x 10-5; KF = 2.00 x 10-5; KCl = 2.21 x 10-5;
KBr = 2.24 x 10-5; KI = 2.30 x 10-5
Utilizzando la Tabella dei valori di σ stabilire se viene seguita l’equazione di
Hammett.
5.
La seguente reazione
+
X
H
N Me
X
NHMe
NO
non obbedisce all’equazione di Hammett in quanto il diagramma di logk in
funzione di σ non è lineare e mostra l’andamento descritto nella seguente
Figura.
logkX
0
0.5
1.0
σX
Spiegare la variazione di meccanismo in funzione delle caratteristiche
elettroniche del sostituente X.
4.7 Bibliografia
Alcune monografie specialistiche che trattano in modo approfondito le correlazioni
lineari di energia libera sono le seguenti.
1.
2.
3.
A. Williams Free Energy Relationships in Organic and Bio-Organic Chemistry
The Royal Society of Chemistry, Cambridge, 2003.
C. D. Johnson The Hammett Equation Cambridge University Press, Cambridge,
2003.
J. E. Leffler, E. Grunwald Rates and Equilibria of Organic Reactions Dover
Publications, New York, 1989.
138
5
I SOLVENTI
____________________________________________________________________
5.1 Introduzione
139
5.2 Energia libera di solvatazione
140
5.3 Momento dipolare, costante dielettrica e polarità dei solventi
142
5.4 Relazioni empiriche
144
5.5 Effetti del solvente sugli equilibri chimici
153
5.6 Effetti del solvente sul meccanismo di reazione
156
5.7 L’acqua
161
5.8 Liquidi ionici
164
5.9 Problemi
166
5.10 Bibliografia
167
____________________________________________________________________
5.1 Introduzione
La realizzazione delle reazioni organiche copre uno spettro amplissimo di condizioni
sperimentali. Si conoscono processi che decorrono in fase gassosa così come in fase
solida oppure per miscelazione diretta di reagenti liquidi. Ma nella stragrande
maggioranza dei casi le trasformazioni utili ed interessanti in chimica organica sono
condotte in soluzione, cioè le specie reagenti interagiscono in presenza di un
solvente. Il solvente è sempre una specie liquida le cui caratteristiche chimiche e
chimico-fisiche sono da tenere in debita considerazione nelle fasi di separazione e
purificazione dei prodotti di reazione, nell’analisi mediante i comuni metodi
spettroscopici e, naturalmente, nell’adeguata predisposizione di una reazione. In
questo capitolo ci si soffermerà essenzialmente su quest’ultimo punto.
Si prenda in considerazione, a titolo d’esempio, la reazione di trasferimento protonico
tra il 2-fenil propionitrile e lo ione metossido. La velocità di questo semplice
processo dipende in modo eclatante dal solvente impiegato; passando dal metanolo al
dimetilsolfossido la costante di velocità aumenta di nove ordini di grandezza.
Ph
CN
Me
_
+ MeO
Ph
CN
Me
139
+ MeOH
kDMSO/ kMeOH = 10
9
Di fronte ad effetti tanto importanti sulla velocità di reazione è evidente che la scelta
del solvente rappresenta un fattore determinante nella messa a punto delle condizioni
sperimentali più opportune. Il ricorso al solvente non è tuttavia dettato solo da
esigenze di tipo cinetico. Le reazioni in fase gassosa sono infatti piuttosto rare nella
pratica della chimica organica perché i reagenti utilizzati comunemente hanno una
volatilità troppo bassa per poter vaporizzare in modo efficace. Inoltre in fase gassosa
si possono realizzare solo reazioni tra specie neutre per le quali non si prevede
sviluppo o dispersione di carica nello stato di transizione. Per quanto riguarda le
reazioni in fase solida, la limitazione principale è legata alla grande difficoltà di
diffusione dei reagenti. Lo stesso problema può presentarsi anche nel caso di reazioni
tra specie liquide, che di solito sono caratterizzate da viscosità piuttosto elevate. Il
ricorso ad un mezzo di reazione è quindi una condizione necessaria affinché la
maggior parte delle reazioni organiche possa avere luogo in tempi sufficientemente
brevi. Dal punto di vista pratico la scelta del solvente si compie in base a diversi
criteri. La stabilità chimica e termica nelle condizioni d’impiego e la buona solubilità
dei reagenti sono fattori determinanti ma non vanno trascurate altre importanti
caratteristiche legate alla tossicità, all’infiammabilità e all’eventuale miscibilità con
altri solventi. Sempre per scopi pratici è conveniente classificare i solventi in base
alle loro proprietà acide o basiche secondo Brønsted. I solventi capaci di produrre
autoprotolisi sono detti anfiprotici; l’acqua ne è il prototipo. Solventi di acidità
paragonabile a quella dell’acqua sono detti neutri, mentre sono classificati
protogenici e protofilici i solventi anfiprotici rispettivamente più acidi e più basici
dell’acqua. I solventi che non sono in grado di autoionizzarsi si dicono aprotici e si
distinguono a loro volta in inerti o dipolari aprotici. Questi ultimi solventi possono
essere protofilici se sono più basici dell’acqua, protofobici se lo sono meno. Questi
criteri di classificazione sono riassunti nella Tabella 5.1.
Tabella 5.1. Classificazione dei solventi organici
_________________________________________________________________________________________________________
Classificazione
Esempi
_________________________________________________________________________________________________________
anfiprotici
neutri
protogenici
protofilici
H2O, MeOH, PhOH,
MeCOOH,
MeNH2, MeCONH2
aprotici
dipolari protofilici
dipolari protofobici
inerti
DMSO, DMF, piridina, 1,4-diossano,
MeCN, CHCl3, MeNO2, acetone,
esano, benzene, CCl4, 1,2-dicloroetano
_________________________________________________________________________________________________________
5.2 Energia libera di solvatazione
Si definisce soluzione una fase liquida omogenea risultante dal mescolamento di un
soluto in un solvente, dove quest’ultimo è di solito presente in grande eccesso. Il
soluto può essere una specie chimica sia liquida che solida o gassosa. Per ottenere
140
una soluzione di un soluto gassoso lo si gorgoglia nel solvente appropriato, di solito
fino a saturazione. Se la dissoluzione del soluto avviene spontaneamente essa
dev’essere accompagnata dalla diminuzione di energia libera del sistema. Questa
energia libera, detta di solvatazione, si indica con ∆GS ed è una quantità complessa
costituita da quattro processi fisici:
1 creazione di una cavità nel solvente. Questo fenomeno comporta la riduzione
delle forze intermolecolari solvente-solvente ed è un processo endoergonico
caratterizzato quindi da valori positivi di ∆G;
2 separazione delle molecole di soluto. Anche in questo caso si ha diminuzione od
annullamento delle forze intermolecolari soluto-soluto, il che comporta una
variazione positiva dell’energia libera;
3 introduzione di una molecola di soluto nella cavità del solvente. Si creano nuove
forze intermolecolari solvente-soluto, il processo è esoergonico e comporta
valori negativi di ∆G;
4 entropia di mescolamento soluto-solvente. E’ una quantità positiva che è quindi
accompagnata da ∆G < 0.
I processi 1,2 sono in relazione con il calore latente di evaporazione rispettivamente
del solvente e del soluto. Questa dipendenza è intuitiva; a ∆Hev maggiori deve
corrispondere un lavoro superiore per diminuire od annullare le forze di interazione
intermolecolari. E’ altrettanto intuitivo che al fine di giungere al dissolvimento del
soluto la somma delle energie libere positive dei processi 1,2 debbano essere inferiori
alla somma di quelle negative dei processi 3,4. Qualora solvente e soluto siano specie
chimicamente simili i contributi esoergonici hanno il sopravvento e come risultato si
ha una buona solubilità.
Una volta ottenuta la dissoluzione del soluto occorre tenere conto delle forze
intermolecolari tra lo stesso soluto e le molecole di solvente che lo circondano. Si
vengono a creare degli aggregati soluto-solvente e le forze responsabili della
costituzione di questi aggregati danno luogo al fenomeno della solvatazione. E’
plausibile che la solvatazione non riguardi esclusivamente il primo strato delle
molecole di solvente che circondano il soluto. Ciò è vero particolarmente nel caso di
soluti ionici ed è plausibile che l’intorno del soluto carico, detta regione cibotattica e
caratterizzata dalla disposizione relativamente ordinata delle molecole di solvente, si
possa estendere oltre lo strato interno del solvente, cioè quello direttamente a contatto
col soluto. Il volume occupato dalla regione cibotattica è tanto più grande quanto
meno polarizzabile è il solvente dato che la caduta del potenziale elettrico
determinata dal soluto carico è tanto più rapida quanto più efficacemente può essere
dispersa dal solvente. Come risultato dell’esplicarsi delle forze di solvatazione la
densità della regione cibotattica risulta superiore a quella del solvente libero. Ne
consegue il fenomeno di elettrostrizione del soluto, inteso come riduzione del volume
occupato dal soluto rispetto a quello che occuperebbe in assenza di solvente. In altri
termini l’aumento di densità del solvente indotto dalle forze di solvatazione ha come
effetto la compressione del soluto. L’effetto di tutte le forze di attrazione
intermolecolari produce una pressione interna pari ad alcune migliaia di atmosfere
che agisce su tutte le molecole della fase liquida.
141
5.3 Momento dipolare, costante dielettrica e polarità dei solventi
Fino a questo punto la discussione si è svolta su basi puramente descrittive dato che
lo studio dettagliato di tutte le forze intermolecolari che operano simultaneamente in
seno ad una soluzione è molto complesso. Tuttavia ci si può chiedere quali
caratteristiche fisiche deve possedere una specie covalente, qual’è la maggior parte
dei solventi, per portare in soluzione una specie ionica. Queste caratteristiche si
riassumono in un elevato momento dipolare ed un’elevata costante dielettrica.
Il momento dipolare di una molecola è la somma vettoriale di tutti i singoli dipoli
presenti al suo interno. Ogni legame tra elementi a diversa elettronegatività possiede
un momento di dipolo
µ=rq
dove r è la distanza tra i centri delle cariche e q è la carica su ciascun atomo. Il
momento di dipolo è espresso in Debye (1D = 3.336 ּ 10-30 C m) e per convenzione è
rappresentato da una freccia diretta dal centro della carica positiva al centro di quella
negativa. Quasi tutti i solventi presentano un dipolo permanente, fanno eccezione i
solventi apolari e quelli a simmetria tale per cui la somma vettoriale dei contributi
dipolari di ogni singolo legame è nulla (Figura 5.1).
Me
Cl
S
C
S
Cl
Cl
Cl
Me
Figura 5.1. Alcuni solventi organici a momento dipolare nullo.
Nella seguente Tabella sono riportati i momenti dipolari di alcuni dei solventi
organici più utilizzati.
Tabella 5.2. Momenti dipolari di alcuni solventi organici.
_____________________________________________________________________________________________________
solvente
µ (D)
solvente
µ (D)
toluene
1,4-diossano
CHCl3
Et2O
CH2Cl2
MeOH
THF
0.30
0.45
1.14
1.14
1.56
1.71
1.74
AcOEt
Me2C=O
MeNO2
DMF
MeCN
DMSO
HMPT
1.83
2.85
3.57
3.90
4.11
4.11
5.55
_____________________________________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________________________________
142
In questa Tabella fa spicco il valore molto contenuto del momento dipolare dell’
1,4-diossano (µ = 0.45 D), che è dovuto alla somma dei momenti dipolari per la
conformazione non polare a sedia, largamente preponderante, e per quella polare a
barca. I momenti dipolari più elevati si hanno per molecole costituite da eteroatomi
ad elettronegatività molto diversa fra loro, come ad esempio il caso dell’HMPT
(µ = 5.55 D).
O
O
O
O
O
Me2N
Me2N
P
NMe2
La costante dielettrica del mezzo, εm, è espressa dalla legge di Coulomb, che nel
sistema SI si scrive
1 q 1q 2
F=
r1,2
4πε 0 r 3
dove q1, q2 sono cariche elettriche puntiformi, r è la distanza lineare tra q1 e q2, r1,2 è
il raggio vettore che collega q1 e q2 ed ε0 è la permettività dielettrica nel vuoto, che
vale 8.85 ּ 10-12 C2N/m2. Nello studio del mezzo solvente la scala delle costanti
dielettriche ε si basa sul rapporto ε = εm/ε0, per cui la costante dielettrica del vuoto
vale 1.00. La costante dielettrica è indice di quanto la forza di interazione tra le
cariche q1 e q2 è minore nel mezzo solvente rispetto al vuoto. In altri termini ε
esprime la capacità del solvente di schermare le cariche elettriche. E’ infatti evidente
che all’aumentare della costante dielettrica la forza di interazione tra le cariche
diminuisce esistendo tra ε ed F una relazione di proporzionalità inversa.
Tabella 5.3. Costante dielettrica di alcuni solventi organici a 25°C.
_________________________________________________________________________________________________________
solvente
ε
solvente
ε
solvente
ε
2.21
2.27
4.20
4.81
6.02
THF
CH2Cl2
Me2C=O
EtOH
HMPT
7.58
8.93
20.56
24.55
29.60
MeOH
MeNO2
MeCN
DMF
DMSO
32.66
35.94
35.94
36.71
46.45
_________________________________________________________________________________________________________
1,4-diossano
Benzene
Et2O
CHCl3
AcOEt
_________________________________________________________________________________________________________
Nella pratica è molto comune esprimere la polarità del solvente attraverso la sua
costante dielettrica; un solvente è ritenuto tanto più polare quanto maggiore è la sua ε.
143
Le scale eluotrope dei solventi, ad esempio, sono solitamente disposte in ordine
crescente di ε. Questo modo di correlare la costante dielettrica alla polarità del
solvente è però sbagliato sia praticamente che concettualmente. Dal punto di vista
pratico infatti è infatti frequente incontrare reazioni la cui velocità non correla in
alcun modo con la costante dielettrica del solvente. Dal punto di vista concettuale la
costante dielettrica è una grandezza la cui definizione vale per cariche puntiformi e
che, come tale, non può essere in grado di rendere conto di tutte le forze inter- ed
intramolecolari operanti simultaneamente all’interno di un solvente determinandone
la polarità.
5.4 Relazioni empiriche
Come si è accennato nei paragrafi precedenti, la solvatazione e la polarità del mezzo
di reazione sono entità complesse. Questa complessità ha come principale
conseguenza la mancanza di un modello fisico adatto alla descrizione di tutti i tipi di
forze che operano simultaneamente all’interno di una soluzione o di un solvente. La
cosa migliore che si può fare è ricorrere a parametri od indici empirici ognuno dei
quali descrive in modo approssimato, a livello semiquantitativo, una sola proprietà
del solvente. Questi parametri si possono classificare convenientemente proprio in
base alla proprietà del solvente che esprimono, come è illustrato schematicamente nel
seguente specchietto.
_______________________________________________________________________________________
Proprietà del solvente
Parametro empirico
polarità
indice di rifrazione, n
costante dielettrica, ε
parametro di Dimroth, ET
parametro di Kosover, Z
potere ionizzante
parametro di Grunwald/Wienstein, Y
solvatazione
energia di coesione, CED
parametro di solubilità, δ
caratteristiche acido-base
(secondo Lewis)
numero accettore, AN
numero donatore, DN
_______________________________________________________________________________________
_______________________________________________________________________________________
5.4.1 Parametri di polarità
Misure indirette della polarità del solvente si possono ottenere sia facendo ricorso a
proprietà macroscopiche che molecolari. La bontà delle correlazioni che si ottengono
dipendono dal campo di applicabiltà di ogni parametro. Bisogna tenere presente che,
trattandosi pur sempre di indici empirici, i valori dei parametri del solvente non
possono essere applicati indiscriminatamente ma per ognuno di essi si devono
definire proprietà e limitazioni nel loro utilizzo.
144
5.4.1.1 Indice di rifrazione, n. Si tratta di un parametro macroscopico definito
nell’ottica fisica dalla legge di Snell
sin α n 2
=
sin β n 1
Questa equivalenza correla gli angoli α e β, rispettivamente del raggio luminoso
incidente e di quello rifratto, passando dal mezzo 1 avente indice di rifrazione n1 al
mezzo 2 con indice di rifrazione n2. Si può tentare di correlare la polarità del solvente
col suo indice di rifrazione tenendo presente l’interazione tra il campo elettrico della
radiazione ed i dipoli, indotti o permanenti, del mezzo. E’ intuitivo che se un solvente
S1 possiede un momento dipolare forte, il campo elettrico della radiazione visibile
che lo attraversa perturba la distribuzione degli elettroni di valenza più intensamente
di quanto avviene nel caso di un secondo solvente S2 dotato di momento dipolare
inferiore. Ne segue che l’indice di rifrazione del solvente S1 dev’essere maggiore di
quello di S2. Le correlazioni tra l’indice di rifrazione del mezzo di reazione e le
velocità dei processi che vi avvengono sono però raramente lineari.
5.4.1.2 Costante dielettrica, ε. Come si è detto nel paragrafo 5.3 è piuttosto raro
trovare buone correlazioni lineari tra costante dielettrica e velocità di reazione.
Risultati migliori, sebbene viziati dalle medesime limitazioni concettuali, si possono
ottenere utilizzando la funzione empirica
fε = (ε - 1)/(2ε + 1)
5.4.1.3 Parametro di Dimroth, ET. Tra i diversi parametri utilizzati nella
quantificazione della polarità del solvente, quelli di maggiore interesse sono da
mettere in relazione con lo spostamento solvatocromico. Questo effetto non è altro
che la variazione di frequenza della banda di assorbimento nello spettro visibile di
una specie opportuna a secondo del solvente in cui si trova. Le specie chimiche più
indicate a questo scopo devono possedere alcune caratteristiche peculiari, quali la
solubilità nel maggior numero possibile di solventi e la presenza di cariche separate
all’interno della struttura molecolare. Un esempio di specie di questo tipo è la betaina
di Dimroth-Reichardt
Ph
Ph
Ph
N
Ph
O
Ph
il cui massimo di assorbimento della radiazione elettromagnetica visibile varia tra
450 nm ed 800 nm in funzione del solvente. Il colore della betaina di Dimroth è
infatti giallo in anisolo, verde in acetone, violetto in etanolo. Per mettere sul piano
145
quantitativo gli spostamenti solvatocromici e la polarità del solvente è necessario
constatare che la betaina di Dimroth nel suo stato fondamentale ha un momento di
dipolo permanente molto più alto che nello stato eccitato. La somministrazione di un
quanto energetico nel visibile alla betaina di Dimroth produce infatti uno stato
eccitato in cui si ha una parziale dispersione della carica rispetto allo stato
fondamentale.
Ph
Ph
N
Ph
Ph
Ph
O
hν
δ+ N
Ph
Ph
Ph
Ph
δ
_
O
Ph
Evidentemente questo stato fondamentale risulta tanto più stabilizzato quanto
maggiore è la polarità del solvente, mentre il corrispondente stato eccitato risente
assai meno della stabilizzazione indotta dalla diversa polarità del mezzo. La
situazione dei livelli energetici relativi alla betaina di Dimroth in due solventi S1, S2
tra i quali il primo è più polare del secondo è rappresentata nella seguente Figura.
hν2
hν1
S1
S2
Figura 5.1. Livelli energetici della betaina di Dimroth in due solventi,
con il solvente S1 più polare di S2.
Passando dal solvente S1 ad S2 si osserva che l’energia occorrente per effettuare la
transizione dallo stato fondamentale a quello eccitato diminuisce da E1 = hν1 ad
E2 = hν2. Ciò implica che la banda di assorbimento si sposta a frequenze inferiori
(verso il rosso) passando da S1 ad S2. Il parametro di Dimroth ET non è altro che
l’energia di eccitazione, espressa in Kcal/mole, corrispondente alla banda presente
nello spettro visibile della betaina di Dimroth che presenta il massimo di
assorbimento in un dato solvente: all’aumentare della polarità del solvente si hanno
valori di ET superiori. La principale limitazione legata all’utilizzo del parametro ET è
dovuta all’impossibilità di eseguire misurazioni in solventi abbastanza acidi da
protonare l’ossigeno fenolico della betaina. In questi casi infatti la funzione fenolica
neutra preclude l’intervento della struttura zwitterionica nello stato fondamentale.
146
Tabella 5.4. Valori del parametro di Dimroth, ET (Kcal/mole).
_____________________________________________________________________________________________________
solvente
ET
solvente
ET
_____________________________________________________________________________________________________
cicloesano
CS2
Et2O
benzene
1,4-diossano
CHCl3
CH2Cl2
Me2C=O
32.1
32.6
34.3
34.5
36.0
39.1
41.1
42.2
Me3COH
MeCN
Me2CHOH
EtOH
MeOH
aq. Me2C=O (20% acqua)
aq. EtOH (20% acqua)
HCONH2
43.9
46.0
48.6
51.9
55.5
52.2
53.7
56.6
_____________________________________________________________________________________________________
5.4.1.4 Parametro di Kosover, Z. Anche la determinazione del parametro di Kosover
è basata su un effetto rilevabile spettroscopicamente, questa volta sul 4-etossicarbonil
-N-metilpiridinio ioduro quale specie di riferimento. Lo spettro visibile di questo
composto mostra una banda a trasferimento di carica imputabile alla formazione di
una specie eccitata a carattere biradicalico che, come nel caso della betaina di
Dimroth, è assai meno polare dello stato fondamentale.
COOEt
N
I
COOEt
_
hν
N
Me
I
Me
L’intervento dell’effetto solvatocromico fa si che l’energia di eccitazione
Z = hν = hc/λmax
sia maggiore in solventi polari. Come nel caso del parametro ET anche il parametro Z
di Kosover è espresso in Kcal/mole ed il suo valore aumenta all’aumentare della
polarità del solvente. Fra Z ed ET intercorre la relazione empirica
Z = 1.41 E + 6.92
5.4.2 Potere ionizzante
Quale alternativa ai parametri macroscopici n, ε ed a quelli spettroscopici Z, ET si può
esprimere quantitativamente il potere ionizzante del solvente attraverso una
correlazione lineare basata su una reazione standard. A questo scopo si considera la
velocità di solvolisi del t-butil cloruro in diversi solventi. La reazione di riferimento
viene eseguita in etanolo acquoso all’80% (20% acqua) ed in un secondo solvente A.
147
Me3C Cl
SN 1
lento
Me3C
Cl
_
SOH
veloce
Me3C OS
+
HCl
SOH = solvente
coppia ionica
Dalle misurazioni cinetiche condotte nel solvente di riferimento e nel solvente A si
ricavano le costanti di velocità k0 e kA. La relazione lineare espressa dall’equazione
5.1 esprime i parametri empirici del solvente: Y0 per il solvente di riferimento, YA per
il solvente A.
log kA – log k0 = YA – Y0
equazione 5.1
Ponendo per convenzione Y0 = 0 e ripetendo la reazione di riferimento in solventi
diversi si possono misurare le costanti di velocità della reazione di riferimento in tutti
questi nuovi solventi. Tramite l’equazione 5.1 si ricava l’insieme dei valori di YA
ciascuno dei quali corrisponde ad un dato solvente. I valori del parametro YA di
alcuni solventi organici sono riassunti nella Tabella 5.5.
Tabella 5.5. Valori del parametro YA di alcuni solventi organici.
_________________________________________________________________________________________________________
solvente
YA solvente
YA
solvente
YA
_________________________________________________________________________________________________________
HCOOH
CF3CH2OH
HCONH2
aq. MeOHa
2.054
1.045
0.60
0.381
aq. EtOHa
aq. Me2C=Oa
MeOH
MeCOOH
0.00
-0.67
-1.09
-1.64
EtOH
Me2CHOH
Me3COH
DMF
-2.03
-2.73
-3.26
-3.50
_________________________________________________________________________________________________________
a
80% solvente + 20% acqua.
Poiché la reazione di riferimento è un tipico processo dissociativo, il parametro YA
deve riflettere l’attitudine del solvente nello stabilizzare le cariche in via di
separazione. In altri termini YA dev’essere in relazione con la capacità del mezzo di
esercitare una solvatazione specifica delle specie cariche che si vanno formando
durante la reazione di riferimento. In questo senso è lecito parlare di potere ionizzante
del solvente perchè la facilità di formazione della coppia ionica è tanto più spiccata
quanto più il solvente è in grado di stabilizzarla. A questo punto dovrebbe essere
chiaro che solventi molto polari accelerano la reazione solvolitica di riferimento più
della miscela etanolo-acqua 80:20 ed hanno quindi valori di YA positivi. Solventi
meno polari rallentano la reazione di riferimento ed hanno YA negativi.
Estendendo il campo di applicazione del parametro Y al caso generale della solvolisi
di alogenuri alchilici si ha la relazione lineare
log
kA
= mYA
k0
equazione 5.2
148
dove kA, k0 sono le costanti di velocità relative alla solvolisi di un qualsiasi alogenuro
alchilico, rispettivamente nel solvente A ed in quello di riferimento. La relazione
lineare 5.2 è nota come equazione di Grunwald-Wienstein; in essa compaiono il
parametro del solvente YA che è indice del potere ionizzante del solvente ed il
parametro m relativo all’alogenuro alchilico considerato. Si conviene di assegnare il
valore m = 1 all’alogenuro alchilico di riferimento, cioè il t-butilcloruro. In questo
modo il valore di m può essere inteso come misura della sensibilità della reazione di
solvolisi di un particolare alogenuro alchilico nei confronti del potere ionizzante YA
del solvente.
Non è quindi sorprendente che il valore di m per la solvolisi dell’1-bromo-1-fenil
etano, che decorre attraverso il carbocatione benzilico relativamente stabile, sia più
grande di quello della reazione di riferimento riguardante il t-butilcloruro (Tabella
5.6).
Me
Ph
Ph
Br
Me
Br
_
Me
SOH
Ph
OS
+
HBr
Al contrario la solvolisi di alogenuri alchilici semplici quali il bromuro di etile,
oppure lineari come l’1-bromobutano, è molto meno sensibile alla variazione di
solvente rispetto alla reazione di riferimento; è infatti noto che queste reazioni
procedono attraverso il meccanismo SN 2. Un’altra interpretazione del valore di m
appare chiaramente da questi ultimi esempi: valori bassi di m indicano un
meccanismo associativo tipo SN 2 mentre valori superiori all’unità implicano il
decorrere di un meccanismo dissociativo tipo SN 1. Si può quindi considerare il valore
di m quale indice della competizione tra i meccanismi SN 1 ed SN 2. Se m = 0.5 il
meccanismo operante è verosimilmente una via di mezzo tra la completa ionizzazione
e la completa assistenza. La limitazione principale della trattazione di GrunwaldWienstein è che può essere applicata con successo solo a reazioni che prevedono un
atto dissociativo quale passaggio lento, cioè che procedono attraverso uno schema
meccanicistico del tipo sotto riportato.
A
B
k
+
A
lento
B
_
prodotti
Tabella 5.6. Valori del parametro m nell’equazione di Grunwald-Wienstein.
_____________________________________________________________________________________________________
Alogenuro alchilico
m
Alogenuro alchilico
m
1.20
1.00
0.94
CH2=CHCH(Me)Cl
EtBr
Me(CH2)3Br
0.89
0.34
0.33
_____________________________________________________________________________________________________
PhCH(Me)Br
Me3CCl
Me3CBr
_____________________________________________________________________________________________________
149
5.4.3 Indici di solvatazione
Il processo di solvatazione prevede come primo stadio la creazione di una cavità
all’interno della massa di solvente. Come si è detto (pag. 141), l’energia necessaria
per formare queste cavità è in relazione con l’entalpia di evaporazione del solvente
∆Hev. Per ottenere una misura quantitativa di questa energia si definisce l’energia di
coesione per unità di volume, o densità dell’energia di coesione CED (cohesive
energy density) attraverso la relazione
CED =
∆H ev − RT
M/ρ
dove M è la massa molare del solvente e ρ è la sua densità. Dal punto di vista
dimensionale CED è un’energia per unità di volume e di solito è espressa in cal/cm3.
Fisicamente, valori alti di CED significano che bisogna fornire molta energia al
solvente per annullare le forze di attrazione intermolecolari che vi operano e crearvi
una cavità. E’ intuitivo che ai solventi polari spettino valori di CED piuttosto elevati,
come si può vedere dai dati raccolti nella Tabella 5.7.
Tabella 5.7. Valori di CED (cal/cm3) e δ per alcuni solventi organici.
_____________________________________________________________________________________________________
solvente
CED
δ
Et2O
cicloesano
AcOEt
CHCl3
THF
Me2C=O
60.8
67.2
79.2
86.5
86.5
92.16
7.8
8.2
8.9
9.3
9.3
9.6
solvente
CED
δ
1,4-diossano
CS2
CH2Cl2
MeCN
MeNO2
MeOH
96.0
98.0
100.0
136.9
158.8
204.5
9.8
9.9
10.0
11.7
12.6
14.3
_____________________________________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________________________________
Non dovrebbe sorprendere che siano state ottenute relativamente poche correlazioni
lineari fra CED ed il potere solvatante del mezzo di reazione o, se si preferisce, tra
CED e la costante di velocità di una data reazione al variare del solvente. Il motivo
resiede nella limitazione del modello fisico che prende in considerazione solo il
primo dei quattro processi che nel loro complesso costituiscono il fenomeno della
solvatazione (cfr. pag. 141). Risultati migliori si ottengono correlando le costanti
cinetiche di alcune reazioni al variare del solvente con il parametro di solubilità del
solvente δ definito dalla semplice relazione
δ = CED
Anche in questo caso occorre tenere presenti le stesse limitazioni del modello fisico
già descritte a proposito del CED.
150
log k
1.4
CS2
CCl4
1.0
CH2Cl2
benzene
AcOEt
0.6
esano
8
10
12
δ
Figura 5.2. Correlazione tra log k e δ per una reazione di Diels/Alder.
5.4.4 Proprietà acide o basiche dei solventi secondo Lewis
L’interazione tra una specie donatrice di un doppietto elettronico ed una specie
accettrice crea di solito un legame piuttosto forte. Questa formulazione del principio
di interazione acido-base secondo Lewis si può estendere alle specie solventi. Dal
punto di vista delle loro proprietà basiche esistono solventi in grado di fungere
- da donatori di elettroni π (idrocarburi aromatici, olefine)
- da donatori di elettroni n (alcoli, eteri, ammine, nitrili ecc.).
D’altra parte alcuni solventi quali la DMF o l’acetone contengono un gruppo
carbonilico in grado di esplicare la funzione di acido di Lewis. Sono quindi stati
definiti alcuni parametri empirici nell’intento di esprimere semiquantitativamente le
caratteristiche acide o basiche di un certo solvente. Alcuni tra gli indici empirici che a
questo proposito si sono mostrati piuttosto utili sono riportati di seguito.
5.4.4.1 Numero donatore, DN. Una misura delle proprietà basiche (secondo Lewis)
del solvente si ricava dall’entalpia d’interazione tra la specie donatrice, cioè il
solvente, ed un acido di Lewis di riferimento. Quale acido di riferimento si è scelto il
pentacloruro di antimonio. L’entalpia di formazione dell’addotto equimolecolare tra
solvente S ed il pentacloruro di antimonio (S – SbCl5) si misura con metodi
termochimici, dimensionalmente è un’energia e viene di solito espressa in Kcal/mole.
Si conviene di assegnare il valore DN = 0 all’entalpia d’interazione tra SbCl5 ed il
solvente non complessante 1,2-dicloroetano. Il valore massimo dell’entalpia
d’interazione S – SbCl5 è stato ottenuto con HMPT (38.8 Kcal/mole). La scala
normalizzata del numero donatore si ottiene dal rapporto DN/38.8 e si indica con il
numero adimensionale DNN. Entrambi i parametri di basicità per alcuni solventi
organici sono riassunti nella Tabella 5.8. Questi valori esprimono in modo
semiquantitativo l’attitudine del solvente a comportarsi come specie basica; a valori
più alti del numero donatore corrispondono solventi caratterizzati da proprietà
basiche più marcate.
151
Tabella 5.8. Valori di DN (Kcal/mole) e DNN per alcuni solventi organici.
_____________________________________________________________________________________________________
solvente
DN
DNN
solvente
DN
DNN
1,2-dicloroetano
MeNO2
MeCN
1,4-diossano
Me2C=O
0
2.7
14.1
14.8
17.0
0
0.07
0.36
0.38
0.44
AcOEt
Et2O
THF
DMSO
HMPT
17.1
19.2
20.0
29.8
38.8
0.44
0.49
0.52
0.77
1.00
_____________________________________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________________________________
Il numero DN dà buone correlazioni lineari con varie grandezze termodinamiche
(∆G, K), cinetiche (k) e spettroscopiche. A quest’ultimo riguardo è interessante
sapere che DN correla assai bene con i chemical shifts al carbonio-13 di CF3I in
numerosi solventi. Nonostante questi aspetti positivi esistono limitazioni piuttosto
serie in relazione all’utilizzo del numero DN dato che sono stati talora misurati valori
delle entalpie di interazione S – SbCl5 diversi da quelli riassunti nella Tabella 5.8. Per
rimediare a questo inconveniente si è istituita una nuova scala di basicità secondo
Lewis dei solventi, questa volta basata sulle misure calorimetriche delle entalpie di
formazione di complessi 1:1 tra il solvente S e l’acido di Lewis BF3 gassoso in
diclorometano a 25°C. I risultati di alcune tra queste misurazioni sono riassunti nella
Tabella 5.9, dalla quale si può notare che: (i) i valori misurati delle entalpie di
formazione S – BF3 sono molto diversi da quelli espressi dal numero DN; e
(ii) l’ordine relativo di basicità dei solventi non è costante. Ad esempio l’acetato
d’etile risulta più basico dell’acetone nell’ambito della scala DN, ma avviene
l’inverso se ci si riferisce alla scala basata sull’interazione S – BF3. Il punto (i) è
comprensibile sulla base del fatto che si misurano entalpie di formazione per
complessi differenti, ma il punto (ii) mette in luce il limite più evidente di queste
scale di basicità: il carattere donatore è variabile a secondo dell’acido di Lewis
utilizzato per costruire la scala.
Tabella 5.9. Entalpie di formazione ∆Hf del complesso S – BF3 (Kcal/mole).
_____________________________________________________________________________________________________
solvente
∆Hf
solvente
∆Hf
_____________________________________________________________________________________________________
CH2Cl2
MeNO2
MeCN
1,4-diossano
AcOEt
10.0
37.63
60.39
74.09
75.55
Me2C=O
Et2O
THF
DMSO
HMPT
76.03
78.77
90.40
105.34
117.53
_____________________________________________________________________________________________________
5.4.4.2 Numero accettore, AN. Le proprietà accettrici (acide) del solvente si
definiscono in base al numero accettore AN che si determina spettroscopicamente.
Una scala di AN, riportata nella Tabella 5.10, è stata ottenuta confrontando i valori
152
dello spostamento chimico al fosforo-31 del complesso Et3P=O-SbCl5 al variare del
solvente. Per convenzione si pone AN = 100 per il complesso sciolto in 1,2dicloroetano ed AN = 0 per lo stesso complesso in n-esano. I solventi non polari e
non donatori hanno i valori più bassi di AN mentre ai solventi protici spettano i valori
più alti.
Tabella 5.10. Valori di AN per alcuni solventi organici.
_________________________________________________________________________________________________________
solvente
AN
solvente
AN
solvente
AN
n-esano
Et2O
THF
benzene
0
3.9
8.0
8.2
AcOEt
1,4-diossano
Me2C=O
DMF
9.3
10.8
12.5
18.8
MeCN
DMSO
CHCl3
EtOH
18.9
19.3
23.1
37.9
_________________________________________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________________________________________
5.5 Effetti del solvente sugli equilibri chimici.
In un equilibrio acido-base secondo Brønsted il solvente può intervenire
simultaneamente in due modi: (i) in qualità di specie acida o basica e (ii) solvatando
le specie prodotte all’equilibrio. Per il generico equilibrio di una specie acida HA nel
solvente SOH valgono le relazioni
_
A + SOH2
HA + SOH
A
_
+ SOH
HA + SO
Le diverse caratteristiche acide o basiche del solvente possono dunque provocare uno
spostamento dell’equilibrio variando, di fatto, l’acidità della specie HA. In generale
l’acidità della specie HA è tanto più pronunciata quanto più è basico il solvente. A
titolo d’esempio si prenda in considerazione l’acidità degli acidi carbossilici che è
fino a 106 volte superiore in acqua che in etanolo, dato che l’acqua è una base più
forte dell’etanolo. Per rendere conto della diminuzione di pKa della specie acida
all’aumentare della basicità del mezzo occorre tenere presente un secondo fattore
importante connesso alla polarità del solvente. Infatti un solvente polare è in grado di
solvatare in modo efficace le specie ioniche prodotte all’equilibrio. Tornando al caso
della ionizzazione degli acidi carbossilici in acqua ed in etanolo, l’acqua è solo 15
volte più basica dell’etanolo, il che non giustifica l’aumento di acidità pari a sei
ordini di grandezza. Questo aumento è razionalizzabile in base all’elevata costante
dielettrica dell’acqua (ε = 78.3) rispetto a quella dell’etanolo (ε = 24.6); è infatti ben
noto che l’acqua è in grado di solvatare molto efficacemente le specie ioniche. Nella
Tabella 5.11 sono riportati i valori di pKa di alcune specie acide al variare del
solvente.
153
Tabella 5.11. Valori di pKa di acidi organici in diversi solventi.
_______________________________________________________________________________
acido
pKa
_________________________________________________
acqua
MeOH
DMSO
MeCN
4.8
4.2
7.2
4.6
9.5
9.3
11.4
12.6
11.1
11.0
9.2
a
_______________________________________________________________________________
MeCOOH
PhCOOH
p-nitrofenolo
PhNH3+
a
20.7
21.0
a
_______________________________________________________________________________
a
Dato non disponibile.
Considerando in maggior dettaglio la dissociazione degli acidi benzoici meta e para
sostituiti, si trova che il valore della costante di reazione ρ aumenta al diminuire della
polarità del solvente, passando da 1.00 in acqua (per definizione) a 1.96 in etanolo.
Questo andamento di ρ indica la maggiore suscettibilità della dissociazione, in
etanolo, in funzione del sostituente. Infatti l’etanolo, che è assai meno polare
dell’acqua, solvata molto meno efficacemente l’anione carbossilato. Quest’ultimo
ione risulta quindi più “nudo”, la sua carica negativa è poco dispersa dal solvente e
risente in modo significativo delle richieste elettroniche del sostituente X. Le stesse
considerazioni si applicano nel caso dell’idrolisi alcalina dei benzoati etilici.
COOH
solvente
COO
+
H2O
+
X
acqua
aq. EtOH (50% acqua)
EtOH
+
H2O
X
COOEt
solvente
COO
+
OH
1.00
1.60
1.96
ρ
_______________________________________
_
+
aq. 1,4-diossano
(30% acqua)
aq. EtOH (80% acqua)
EtOH
X
X
ρ
_______________________________________
1.83
2.54
Gli equilibri tautomerici sono influenzati dalle caratteristiche del solvente in ragione
della sua polarità. Nel caso di composti 1,3-dicarbonilici la possibilità di formare un
enolo stabilizzato dal legame ad idrogeno intramolecolare aumenta in solventi poco
polari dato che la forma 1,3-dicarbonilica è più polare dell’enolo.
H
O
R
R1
O
O
R
154
O
R1
Al contrario sistemi 1,3-dicarbonilici il cui enolo non può prevedere la formazione di
un legame ad idrogeno intramolecolare vedono quale forma preferita in solventi
polari proprio quella enolica. Ciò è vero nel caso di sistemi ciclici quali i cicloalcan3,5-dioni la cui forma dicarbonilica è meno polare di quella enolica.
O
O
HO
O
Altri equilibri tautomerici fortemente influenzati dal solvente sono quelli che
coinvolgono composti ad anello eterociclico funzionalizzato. Nel caso della 2- o
4-idrossi piridina l’equilibrio è spostato verso la forma idrossi- in fase gassosa mentre
in solventi polari predomina il tautomero chetonico.
HO
N
O
N
H
La capacità del solvente di concorrere alla stabilizzazione di legami ad idrogeno
intramolecolari fa si che casi particolari di equilibri tautomerici, detti tautomerie
anello-catena, siano spostati a favore della forma aperta in solventi poco polari. Ne è
un esempio l’acido ftalilaldeidico, presente come composto bifunzionale a catena
aperta in DMSO e come ftalide in decalina.
O
COOH
O
CHO
OH
Anche la posizione di altri tipi di equilibrio, noti col termine di equilibri di valenza,
subiscono l’influenza del solvente. Ad esempio il 4,4-difenil-3-butenillitio è in
equilibrio con la corrispondente forma ciclopropanica. Quest’ultima specie a cariche
separate è stabile in THF mentre il composto di alchenillitio è stabile in dietiletere. La
ragione che giustifica questo comportamento è dovuta al fatto che il THF è una base
di Lewis migliore del dietiletere (vedi i numeri AN nella Tabella 5.10) e può quindi
solvatare più efficacemente la forma ciclopropilica fortemente polare più di quanto
non possa fare il dietiletere.
Ph
Li+
Li
Ph
Ph
Ph
155
5.6 Effetti del solvente sul meccanismo di reazione
La capacità del solvente di influenzare il decorso meccanicistico delle reazioni
organiche può avere luogo in due modi distinti:
1 attraverso effetti statici o di equilibrio, cioè intervenendo sull’energia libera dello
stato di transizione;
2 attraverso effetti dinamici legati alla capacità di riorganizzazione delle molecole di
solvente.
Nel caso 1 giocano un ruolo determinante il differente grado di solvatazione dei
reagenti e dello stato di transizione. E’ plausibile che le reazioni nelle quali lo stato di
transizione è più polare dei reagenti esso risulti meglio solvatato, e quindi
stabilizzato, da solventi polari. Per quanto riguarda il punto 2, la velocità di reazione
può dipendere dalle proprietà macroscopiche del solvente quali densità, viscosità o
pressione interna. Ciò accade nel caso di mezzi fortemente polari che rilassano
lentamente e per i quali è lento il processo di riorientazione delle molecole di
solvente.
5.6.1 Reazioni con stati di transizione a sviluppo o dispersione di carica.
In virtù della differente solvatazione operante tra reagenti e stato di transizione, le
reazioni a sviluppo di carica vedono incrementare la propria velocità all’aumentare
della polarità del solvente. Ciò è evidente per processi del tutto o parzialmente
ionogenici quali le reazioni SN 1. Nel caso della solvolisi del t-butilcloruro, che è un
tipico esempio di processo dissociativo, si ha il seguente andamento delle velocità di
reazione in funzione del solvente.
k (s-1)
acqua
1011
etanolo
335000
benzene
1
E’ altresì evidente che l’aumento di polarità del solvente debba provocare una forte
diminuzione di velocità nelle reazioni in cui la densità di carica dello stato di
transizione è inferiore a quella dei reagenti. Questa situazione è però assai poco
comune nelle reazioni SN 1. L’andamento cinetico delle reazioni SN 2 in funzione
dell’aumento di polarità del solvente è riassunto nel seguente specchietto.
_________________________________________________________________________________________________________
reagenti
stato di transizione variazione della carica
variazione della velocità
R-X + Y
R-X + Y ¯
R-X+ + Y
R-X+ + Y¯
Rδ+ּּּּּXּּּּּYδRδ-ּּּּּXּּּּּYδRδ+ּּּּּXּּּּּYδ+
Rδ+ּּּּּXּּּּּYδ-
grande aumento
piccola diminuzione
piccola diminuzione
grande diminuzione
_________________________________________________________________________________________________________
separazione
dispersione
dispersione
dispersione
_________________________________________________________________________________________________________
Alcuni esempi significativi sono i seguenti
156
_
HO +
δ−
HO
NR3
δ+
NR3
HO
+
R3N
k(H2O)/k(EtOH) = 0.001
δ−
HO
Br
_
HO +
δ−
Br
HO
+
Br
_
k(H2O)/k(EtOH) = 0.2
Le reazioni SN 2 ed SNAr subiscono forti accelerazioni passando da solventi protici in
grado di solvatare gli anioni nucleofili a solventi dipolari aprotici nei quali le specie
nucleofile attaccanti sono sostanzialmente “nude” e quindi molto più reattive. Ne
sono esempi la reazione dell’n-butilbromuro e del para-nitrofluorobenzene con sodio
azide.
N3¯ + n-BuBr → n-BuN3 + Br¯
H2O
6.31
k(S)/k(MeOH)
_
N3 +
F
NO2
k(S)/k(MeOH)
MeCN DMSO DMF Me2C=O HMPT
5010
1260 2510
3980
2 ּ 105
N3
HCONH2
12.6
NO2
MeCN
7940
+
F
DMSO
7940
_
DMF
31620
Me2C=O HMPT
79430
2 ּ 107
Per quanto riguarda le reazioni di addizione, la somma di bromo oppure di
arilsolfenilcloruri (ArSCl) a doppi legami etilenici sono fortemente accelerate da
solventi polari per via della separazione di carica che si verifica a livello dello stato di
transizione.
Br2 + 1-pentene
k(S)/k(CCl4)
1,4-diossano
51
AcOH
4860
MeOH
1.6 ּ 105
acqua
1.1 ּ 1010
ArSCl + cicloesene (Ar = 2,4-dinitrofenil)
k(S)/k(CCl4)
CHCl3
605
157
AcOH
1370
ClCH2CH2Cl
1380
acqua
2800
5.6.2 Reazioni pericicliche
Il meccanismo delle reazioni pericicliche è generalmente concertato e decorre a
partire da reagenti neutri attraverso uno stato di transizione ciclico nel quale non si ha
sviluppo o dispersione di carica.
+
R
R
R
Si può quindi prevedere che il mezzo di reazione eserciti una solvatazione
differenziale tra reagenti e stato di transizione alquanto modesta. Come risultato la
velocità della maggior parte delle reazioni pericicliche è poco sensibile alla
variazione del solvente. Questa situazione è illustrata chiaramente dai dati cinetici
relativi alla reazione di Diels-Alder tra l’1,1-dicianoetilene ed il 9,10-dimetil
antracene, che mostra un incremento della costante di velocità di sole 2.9 volte
passando dall’1,4-diossano al diclorometano.
Me
Me
NC
CN
+
Me
Me
CN
CN
___________________________________________________________________________________
ET (Kcal/mole)
10k2 (M-1 s-1)
___________________________________________________________________________________
solvente
toluene
1,4-diossano
CH2Cl2
MeCN
33.9
36.0
41.1
46.7
1.8
1.3
4.9
3.8
___________________________________________________________________________________
La stessa situazione, che riflette un meccanismo analogo, è operante nella
cicloaddizione 1,3-dipolare tra l’acrilato di etile ed il fenildiazometano.
EtOOC
EtOOC
COOEt
PhCHN2
+
N
N
Ph
N
N
H
158
Ph
___________________________________________________________________________________
ET (Kcal/mole)
10k2 (M-1 s-1)
___________________________________________________________________________________
solvente
cicloesano
AcOEt
DMF
MeCN
butanolo
31.2
38.1
43.8
46.0
50.2
4.14
5.00
13.1
10.0
23.2
___________________________________________________________________________________
A testimoniare la scarsa dipendenza della velocità di queste reazioni al variare del
solvente vi è anche la mancanza di una correlazione lineare tra k2 ed ET.
Nella formazione dell’anello ciclobutanico dall’etil isobuteniletere ed il tetraciano
etilene si osserva invece una netta dipendenza della velocità di reazione al variare
della polarità del solvente, il che costituisce la prova che alcune cicloaddizioni [2+2]
decorrono attraverso un meccanismo a stadi che prevede la formazione di un
intermedio carico nello stato di transizione.
H
Me
NC
OEt
CN
+
Me
NC
CN
Me
k1
k-1
Me
NC
CN
k2 = k1
OEt
Me H
k3
OEt
NC
CN
CN
CN CN
CN
k3
k-1 + k3
Me
k2(MeCN)/k2(CCl4) = 4900
5.6.3 reazioni radicaliche
Il decorso delle reazioni radicaliche è generalmente poco influenzato dalla variazione
del solvente. Meccanismi che implicano la scissione o la ricombinazione omolitica
dei legami sono infatti caratterizzati da stati di transizione nei quali la distribuzione
elettronica è simile a quella dei reagenti.
R–R1 → Rδ• ּּּּּR1 δ• → R• + R1•
R• + R1• → Rδ• ּּּּּR1 δ• → R–R1
Ad esempio la velocità di auto ossidazione del cicloesene a 60°C risente poco
dell’effetto solvente dato che k(MeCN)/k(benzene) = 2.7. Anche la velocità di
decomposizione termica del para-metossifenilperacetato di t-butile è praticamente
indipendente dal mezzo di reazione nonostante il valore ρ = -1.1 che lascerebbe
prevedere l’intervento di uno stato di transizione polare. Per questa reazione si
osserva k(EtOH)/k(cicloesano) = 3.8.
159
CH2
MeO
O CMe3
∆
MeO
O
O O CMe3
prodotti
-CO2
CH2
MeO
O CMe3
In alcune reazioni di scissione omolitica l’effetto del solvente può tuttavia
manifestarsi qualora il momento dipolare del radicale risultante dal processo
degradativo sia molto diverso da quello del reagente. E’ questo il caso della
decomposizione termica dei diacilperossidi, dato che il momento dipolare del radicale
acilico è assai superiore a quello del dimero di partenza. In questo caso si ha
k(MeCN)/k(iso-ottano)= 22.0.
O
O
Me
∆
Me
O
O
2 Me
O
O
L’effetto del solvente è poi piuttosto sensibile nelle reazioni in cui interviene il
trasferimento elettronico da o verso il radicale, con formazione di un intermedio
carico R+ od R¯ e di un radicalcatione (od un radicalanione).
R• + S → R+ + S•¯
R+ + S → R¯ + S•+
A questo proposito la velocità di disproporzione del tetrafeniletano (TFE) in presenza
di ioni potassio è assai variabile a secondo del mezzo di reazione impiegato. Solventi
polari spostano l’equilibrio a favore del radicalanione TFE¯ּ.
2 TFE¯ּ, K+ → TFE2-, 2K+ + TFE
k(THF)/k(diglima) = 600
Un caso di reazione molto interessante e studiato riguarda la decomposizione dei sali
di arendiazonio, in quanto il meccanismo di questa trasformazione varia da ionico a
radicalico in funzione del solvente. In solventi protici e poco nucleofili (ad esempio
acqua a pH < 1) si ha la dediazotazione del sale di arendiazonio tramite meccanismo
ionico, che ovviamente è poco influenzata dalla variazione del solvente dato che
reagente, stato di transizione e prodotti sono carichi. Ma in solventi nucleofili aprotici
il meccanismo di dediazotazione è radicalico e comporta una forte differenza della
distribuzione elettronica tra reagenti e stato di transizione. La velocità di questo
processo è quindi fortemente influenzata dalla variazione di solvente.
160
solvente protico
δ+
Ar
δ+
N2
Ar
δ+
N N
prodotti
Ar+
-N2
Ar N2
solvente aprotico
δ+
S
Ar
-N2
+
S+
prodotti
5.7 L’acqua
Può risultare sorprendente che fino a questo punto non si siano prese in
considerazione le caratteristiche dell’acqua quale solvente. Infatti, benché l’acqua
non sia un solvente organico, le sue proprietà ed il suo comportamento nei confronti
di molte reazioni organiche sono del tutto peculiari e meritano di essere trattate in un
paragrafo apposito. Ognuno è a conoscenza delle proprietà fisiche fondamentali
dell’acqua e delle circostanze strutturali che le determinano. I punti di congelamento
e di ebollizione, molto elevati in relazione alla massa molecolare, sono una delle
conseguenze dei forti legami ad idrogeno che operano all’interno della massa
acquosa. Gli stessi legami ad idrogeno, unitamente alla presenza di un momento di
dipolo permanente, sono responsabili della struttura dell’acqua che si discosta in
modo netto da quella della maggior parte dei liquidi organici. Se infatti non si può
certo parlare di un motivo strutturale nel caso dei tipici solventi organici, le cui
molecole sono disposte disordinatamente in seno alla massa liquida, l’acqua mostra
alcuni elementi strutturali tipici, benché in rapido equilibrio tra loro. Nel tentativo di
visualizzare la struttura microscopica dell’acqua si può fare riferimento a quella
esagonale del ghiaccio in cui ogni molecola d’acqua compartecipa quattro legami ad
idrogeno con le molecole vicine.
H
H
O
H
H
H H
O
O
H
H
H
O
H
O
O
H
H
Questo aggregato esagonale a bassa entropia e densità dispone di cavità nelle quali i
soluti possono essere inglobati e quindi debitamente solvatati. La struttura dell’acqua
liquida si può immaginare come una sorta di equilibrio tra l’aggregato esagonale
fortemente strutturato e l’acqua libera, che deve possedere un’entropia ed una densità
superiore a quella dell’acqua “strutturata”. Questo equilibrio è influenzato dalla
temperatura, dalla pressione e dall’eventuale presenza di agenti additivi di tipo salino
o covalente. A temperatura e pressione ambiente la diffrazione neutronica ha
mostrato che ogni molecola d’acqua è circondata mediamente da 4.4 altre molecole
nel liquido puro.
Altre proprietà tipiche dei solventi quali la polarità ed il potere solvatante sono
altrettanto singolari nel caso dell’acqua e meritano di essere brevemente discussi. La
161
molecola dell’acqua mostra un valore del momento dipolare pari a 1.77 D,
abbastanza simile a quello posseduto da molecole organiche polari quali metanolo od
acetato d’etile. D’altra parte il valore della costante dielettrica di 78.3 è molto più
elevato di quello della maggior parte dei solventi organici, fatta eccezione per quelli
dipolari aprotici. Ciò implica che l’acqua è in grado di stabilizzare in modo molto
efficiente un gran numero di specie ioniche. L’elevata solubilità di sali sia inorganici
che organici è dovuta alla capacità dell’acqua di solvatare altrettanto efficacemente
sia specie anioniche che cationiche. Passando all’esame dei parametri empirici già
discussi per i solventi organici, l’acqua ha ET = 63.1 Kcal/mole (Z = 94.6 Kcal/mole)
ad indicare la sua elevata polarità rispetto a quella dei comuni solventi organici (cfr.
Tabella 5.4). Il potere ionizzante espresso dal parametro di Grunwald-Wienstein è
parimenti molto elevato, YA = 3.493. Inoltre il valore della tensione superficiale
dell’acqua (72 dine/cm) è conseguenza della sua CED molto alta e pari a 550 cal/cm3
(22000 atm). Ciò induce una tendenza a minimizzare la superficie di contatto tra
l’eventuale soluto idrofobico (organico) e le molecole d’acqua. L’effetto idrofobico
esprime la tendenza manifestata da specie non polari ad aggregarsi in soluzione
acquosa per diminuire la superficie di contatto acqua-soluto idrofobico. Questo
effetto è facilitato dalla contrazione volumetrica dei reagenti lungo la coordinata di
reazione, il che significa che reazioni caratterizzate da volumi di attivazione negativi
sono più sensibili all’effetto idrofobico. E’ facile intuire che l’effetto idrofobico è il
principale responsabile della reattività in fase acquosa di sostanze organiche di per sé
poco solubili in acqua.
5.7.1 reazioni organiche in fase acquosa
A causa della sua aggressività nei confronti di molte funzionalità organiche, l’acqua è
sempre stata considerata dai chimici organici come un mezzo di reazione del tutto
particolare, adatto più che altro all’esercizio di alcune “curiosità chimiche”. Tuttavia
la possibilità di utilizzare l’acqua quale solvente a basso impatto ambientale è
particolarmente interessante. Attualmente sono state sperimentate con successo
numerose classi di trasformazioni organiche in fase acquosa, tuttavia dati cinetici
dettagliati utili nello studio del meccanismo di reazione sono disponibili
essenzialmente nel campo delle reazioni pericicliche. Per questo motivo il presente
paragrafo sarà limitato alla trattazione degli effetti del mezzo acquoso su questa
particolare classe di reazioni organiche. Si è già ripetutamente accennato che la
velocità della maggior parte delle reazioni pericicliche non risente, o risente poco,
della variazione del solvente. Quest’affermazione è vera se ci si limita a considerare
le variazioni di velocità che intervengono per le reazioni condotte in solventi
organici. Ma operando in acqua questo scenario cambia radicalmente; a questo
proposito è conveniente suddividere il presente paragrafo a secondo del tipo di
reazione coinvolto.
5.7.1.1 Cicloaddizioni [4+2]. Si consideri la reazione di Diels-Alder tra il
ciclopentadiene e l’acrilonitrile. La variazione di solvente da iso-ottano a metanolo
provoca solo il raddoppio della velocità di reazione, in accordo con la sua scarsa
dipendenza in relazione alla polarità del solvente organico. Per la stessa reazione
162
condotta in acqua si ha k(H2O)/k(iso-ottano) = 30, un valore che è difficilmente
razionalizzabile solo in base alla polarità del solvente. In effetti nelle reazioni di
Diels-Alder condotte in acqua entra in gioco l’effetto idrofobico, che è favorito dal
loro volume di attivazione negativo, tipicamente intorno a -30 cm3/mole.
L’accelerazione subita dalle reazioni di Diels-Alder in acqua è ancora più evidente se
si prende in considerazione la reazione tra il ciclopentadiene ed il 2-butenone, dato
che in questo caso k(H2O)/k(MeOH) = 59. In questo caso l’accelerazione della
reazione in fase acquosa dipende da una variazione favorevole dell’entropia di
attivazione, che risulta meno negativa in acqua che in metanolo (∆∆S≠ = 8.13 cal/K
mole), cui si accompagna un valore dell’entalpia di attivazione praticamente costante.
Riguardo quest’ultima reazione è anche interessante notare che il rapporto tra gli
isomeri endo ed eso varia a secondo del mezzo, raggiungendo il valore massimo
proprio in acqua. La razionalizzazione di questo comportamento si basa ancora sul
valore negativo del volume di attivazione per le reazioni di Diels-Alder. Tra i due
possibili stati di transizione diastereoisomerici che conducono alla formazione della
coppia di isomeri endo ed eso il primo è infatti più compatto ed è quindi favorito
dall’elevata pressione interna dell’acqua espressa dalla sua CED. La maggior polarità
del solvente non è collegabile all’aumento della selettività nei confronti dell’isomero
endo poiché in formammide o in N-metil acetammide, che sono più polari dell’acqua,
il rapporto endo/eso è minore di quello osservato in fase acquosa.
O
+
+
O
endo
O
eso
_______________________________________________________
solvente
ε
endo/eso
2
17
78
109
183
70:30
83:17
88:12
87:13
82:18
_______________________________________________________
iso-ottano
butanolo
acqua
formammide
N-metil acetammide
_______________________________________________________
5.7.1.2 Cicloaddizioni [3+2]. Anche alcuni casi le cicloaddizioni 1,3-dipolari
manifestano un notevole incremento della velocità dei reazione passando da un
qualsiasi solvente organico all’acqua in relazione all’effetto idrofobico operante e al
volume di attivazione negativo di questa classe di reazioni. Ne sono un esempio le
reazioni di alcune nitrilimmine nei confronti di etileni monosostituiti per le quali le
condizioni in solvente organico prevedono di operare a riflusso per diverse ore,
163
mentre in fase acquosa si ha conversione completa nel cicloaddotto pirazolinico a
temperatura ambiente ed in pochi minuti.
Anche le cicloaddizioni di alcuni nitrilossidi stabili procedono più velocemente in
acqua.
MeOOC
COOEt
Ph N N
COOMe +
N
COOEt
N
Ph
O
O
Cl
O
N O
+
Cl
O
O
N
Cl
Cl
_______________________________________________________
solvente
103 k (M-1 s-1)
CHCl3
MeCN
DMSO
EtOH
acqua
3.9
7.1
14.0
14.6
55.5
_______________________________________________________
_______________________________________________________
5.7.1.3 Riassestamento di Claisen. L’effetto idrofobico implicato nelle cicloaddizioni
intermolecolari secondo Diels-Alder ed 1,3-dipolari si manifesta anche a livello
intramolecolare nel riassestamento di Claisen. Questo processo 3,3-sigmatropico
mostra volumi di attivazione negativi compresi tra -13 e -16 cm3/mole, il che è
responsabile del fatto che il riassestamento dei corismati procede 100 volte più
velocemente in acqua che in metanolo.
H
O
∆
O
( )6
( )6
COONa
COONa
5.8 Liquidi ionici
Normalmente si pensa ai composti ionici come a solidi altofondenti. Ne sono esempio
gli alogenuri dei metalli alcalini, poiché occorre una notevole quantità di energia per
distruggere il reticolo cristallino nel quale sono posizionati gli ioni. Per fare un
esempio il cloruro di sodio fonde a 804°C dando, di fatto, un liquido formato
esclusivamente da ioni. Esistono però composti che, pur essendo costituiti solamente
164
da ioni e loro combinazioni, sono liquidi a temperatura ambiente. Una definizione
generale dei liquidi ionici è quindi quella che li descrive come sali che hanno punti di
fusione inferiori al punto d’ebollizione dell’acqua. Trattandosi di una definizione
basata esclusivamente sulla temperatura, essa non fornisce alcuna informazione di
tipo chimico, ovvero non specifica la natura degli ioni che costituiscono il liquido
ionico. Dal punto di vista storico il primo liquido ionico è stato descritto nel 1914; si
trattava dell’etilammonio nitrato EtNH3+ NO3¯ a punto di fusione 12°C. La proprietà
fisiche che rendono i liquidi ionici interessanti quali solventi in chimica organica
sono in relazione innanzitutto con la loro polarità, necessariamente molto elevata, ed
il loro buon potere solvente nei confronti di molte specie sia organiche che
inorganiche. Per quanto riguarda misure quantitative della polarità dei liquidi ionici,
per una serie di derivati di alchilammonio sono stati misurati ET compresi tra 60 e 64
Kcal/mole, un valore di entità paragonabile a quello dell’acqua (ET(H2O) = 63.1
Kcal/mole). Poiché sono generalmente formati da ioni scarsamente complessanti, i
liquidi ionici possono essere impiegati quali solventi molto polari e non coordinanti.
Un’altra caratteristica peculiare dei liquidi ionici è che si tratta di specie immiscibili
con la maggior parte dei solventi organici, il che li rende utilizzabili quali componenti
alternativi all’acqua nei sistemi bifasici. Trattandosi di composti costituiti solamente
da ioni, è lecito attendersi che la volatilità dei liquidi ionici sia estremamente bassa;
in effetti essi possono essere impiegati anche in apparecchiature ad alto vuoto. In
seguito sono stati sviluppati liquidi ionici particolarmente resistenti all’azione
dell’acqua contenuta nell’atmosfera, il che ha aperto un capitolo assai interessante
nell’ambito applicativo.
Tra i liquidi ionici più utilizzati negli studi cinetici o meccanicistici si annoverano:
- gli alogenuri di alchilammonio [RnNH4-n]+ X ¯ o di alchilfosfonio [RnPH4-n]+ X ¯
- derivati dei sali di N-alchilpiridinio od N-metil-N-alchilimidazolio
R1
N
N
R
X
_
N
X
_
Me
_______________________________________________________________
R1
X
sigla
Et
Et
Et
nBu
Cl
BF4
PF6
Cl
[emin]Cl
[emin]BF4
[emin]PF6
[bmin]Cl
p.f. (°C)
_______________________________________________________________
77
12
60
70
_______________________________________________________________
Lo studio cinetico della reazione di Diels-Alder tra ciclopentadiene ed acrilato d’etile
è stato realizzato in etilammonio nitrato quale solvente ionico. La selettività endo/eso
è risultata piuttosto alta ma inferiore a quella ottenuta in acqua. Comportamenti simili
si sono riscontrati per la stessa reazione condotta in liquidi ionici di nuova
generazione quali [emin]BF4 e composti analoghi.
165
_________________________________________________________
solvente
endo/eso
_________________________________________________________
[EtNH3]NO3
[emin]NO3
[bmin]BF4
H2O
87 : 13
77 : 23
81 : 19
88 : 12
_________________________________________________________
Anche l’incremento della velocità di reazione, consistente rispetto a quello osservato
in solventi polari aprotici, è risultato inferiore rispetto a quello ottenuto in acqua.
5.9 Problemi
1. Per la reazione di sostituzione nucleofila
PhCH2Cl + X ¯→ PhCH2X + Cl¯
si hanno i seguenti dati cinetici.
log k
X¯
3.406
CN ¯
3.258
N3 ¯
3.799
PhS ¯
2.962
AcO ¯
1.910
NO3 ¯
Stabilire una scala di reattività dandone una giustificazione.
2.
Dalla cicloaddizione 1,3-dipolare tra benzonitrilossido e fumarato dietilico si
ottiene la sola isossazolina sotto riportata e si osserva kEtOH/kesano = 7.2 a 55°C.
COOEt
Ph
N O
+
Ph
N
EtOOC
COOEt
O
COOEt
In linea di principio si possono avere tra meccanismi: concertato, ionico,
biradicalico. Quale meccanismo è realmente operante?
3.
L’allilazione di fenoli 4-nitro e 4-metossisostituiti decorre con velocità variabile
a secondo del mezzo di reazione. Nella seguente Tabella sono riportati i valori
della costante di velocità k per R = NO2, OMe. Stabilire la dipendenza
quantitativa di k in funzione del parametro δ e spiegare l’andamento dei
diagrammi k = f(δ).
solvente
k(NO2)
k(OMe)
PhMe
41.5
34.8
MeCN
37.6
44.9
166
EtOH
36.2
48.5
CHCl3
41.0
36.3
4.
La velocità della seguente reazione di eliminazione è stata determinata in
funzione del solvente ottenendo i dati riassunti nella Tabella.
Ph
O2N
OMe
log k
solvente
Ph
piridina
+
MeOH
O2N
7.68
DMSO
3.16
PhMe
3.71
CHCl3
5.31
5.94
MeCN Me2CO
Stabilire la scala di reattività relativa al toluene e commentarla dandone un
significato meccanicistico.
5.10 Bibliografia
Una monografia specialistica che tratta in modo approfondito tutti gli aspetti inerenti
ai solventi è la seguente.
1. C. Reichardt Solvents and Solvent Effects in Organic Chemistry WCH,
Weinheim, 1988.
Un capitolo molto interessante sull’effetto solvente e la struttura dei liquidi si trova
in:
2. E. M. Kosover An Introduction to Physical Organic Chemistry Wiley, New
York, 1968.
Per gli aspetti pratici relativi ai solventi organici è utile consultare:
3. D. Savoia, in M. d’Ischia, La chimica Organica in Laboratorio Tomo 1,
Capitolo 6.2, Piccin Editore, Padova, 2002.
Le reazioni organiche in acqua o in fase acquosa sono trattate in modo esauriente
nella monografia:
4. U. M. Lindstrøm Organic Reactions in Water: Principles, Strategies and
Applications Blackwell, Oxford, 2007.
Sulla “struttura” dell’acqua liquida si veda:
5. B. Pispisa Chimica Fisica Biologica Aracne Editrice, Roma, 2007.
167
6
ACIDI E BASI
____________________________________________________________________
6.1 Introduzione
168
6.2 Richiami sugli equilibri acido-base in acqua
169
6.3 Acidi e basi più deboli dell’acqua
174
6.4 Acidi più forti di H3O+, basi più forti di OH ¯
176
6.5 Meccanismo di trasferimento protonico
181
6.6 Effetti del solvente sull’acidità
183
6.7 Nucleofili ed elettrofili
184
6.8 Problemi
189
6.9 Bibliografia
190
____________________________________________________________________
6.1 Introduzione
Nel corso di studi in Chimica è difficile imbattersi in un concetto tanto generale
quanto quello di acido o base; non esiste forse un’altra classe di equilibri così
importante come quella che interessa gli acidi e le basi. I concetti fondamentali
relativi a questo argomento sono noti dal corso di Chimica Generale nel quale si tratta
diffusamente degli equilibri in acqua. Il ruolo davvero centrale del concetto di specie
acida o basica, nonché degli equilibri acido-base in soluzione acquosa, è illustrato
anche dallo sviluppo storico che ha accompagnato nel corso del tempo le definizioni
e le teorie atte a descrivere il comportamento delle specie acide e basiche. Dalla
definizione data da Arrhenius, che individua una specie acida in virtù della sua
capacità di ionizzare soluzioni acquose producendo “ioni idrogeno”, si è passati alla
teoria di Brønsted per sfociare infine nella definizione più generale data da Lewis. Un
modello relativamente recente nella classificazione delle specie acide e basiche è
stato discusso nel capitolo 3 a proposito della teoria HSAB dove sono state mostrate
le connessioni con la teoria FMO e, più in generale, con le nozioni di durezza e di
mollezza assolute. Ciò che ci si propone di realizzare nell’ambito del presente
capitolo è l’estensione del concetto di acido o base a soluzioni non acquose,
mostrando come gli equilibri descritti quantitativamente dalla termodinamica delle
soluzioni acquose siano utili nella generalizzazione ad altri sistemi solvente. Un
ulteriore obiettivo è rappresentato dalla descrizione di quelle correlazioni lineari che,
168
mettendo in relazione grandezze termodinamiche e cinetiche, permettono di trarre
informazioni utili sul meccanismo di alcune reazioni organiche.
6.2 Richiami sugli equilibri acido-base in acqua
Nonostante i fondamenti degli equilibri acido-base in soluzione acquosa siano noti
dal corso di Chimica Generale, la loro considerevole importanza suggerisce
l’opportunità di dedicare un paragrafo a carattere riassuntivo su questo argomento.
Nell’ambito della teoria acido-base secondo Brønsted, un acido è una sostanza in
grado di cedere protoni ed una base è una sostanza in grado di accettarli. La relazione
chimica che intercorre tra un acido ed una base è
Base¯ + H+
Acido
In questo modo si definisce la coppia coniugata acido-base, nel senso che la specie
“Base¯” corrisponde alla base coniugata della specie “Acido”. E’ opportuno ricordare
che poiché i protoni non possono praticamente esistere allo stato libero in soluzione,
affinché un acido possa cedere protoni è necessaria la presenza di una base capace di
riceverli. Considerando la reazione
Acido 1 + Base 2
Acido 2 + Base 1
Quando l’equilibrio è spostato verso destra l’Acido 1 è più forte della Base 1, dato
che ad un acido più forte corrisponde necessariamente una base coniugata più debole.
L’acqua può comportarsi sia da acido che da base in accordo con le seguenti
equazioni.
H2O
H+ + OH ¯
H2O + H+
H3O+
La decorrenza simultanea di questi due equilibri conduce alla definizione di pH.
Sommando le due equazioni precedenti si ricava infatti l’equilibrio relativo
all’autoprotolisi dell’acqua
H3O+ + OH ¯
2H2O
caratterizzato dalla costante di equilibrio
Ka =
[H 3O + ][OH - ]
[ H 2 O] 2
La frazione di acqua dissociata è sempre molto piccola rispetto al numero totale delle
molecole d’acqua presenti nelle soluzioni diluite, sicché [H2O]2 può ritenersi costante
e si può scrivere [H3O+][OH¯] = Kw, dove con Kw si indica la costante di autoprotolisi
169
dell’acqua il cui valore è pari a 10-14. Affinché possa essere mantenuta
l’elettroneutralità della soluzione si deve avere [H3O+] = [OH¯] = 10-7. Definendo
pH = - Log [H3O+] è evidente che una soluzione acquosa è acida se pH < 7 mentre è
basica se pH > 7. La costante di equilibrio per la reazione
Base¯ + H3O+
Acido + H2O
è, ritenendo [H2O] costante,
Ka =
[Base - ][H 3 O + ]
[Acido]
ovvero
pH = pK a + Log
[Base - ]
[Acido]
Un acido è forte quando cede quantitativamente i suoi protoni all’acqua, ovvero
quando l’equilibrio precedente è completamente spostato verso destra. Gli acidi più
forti di [H3O+], che non possono esistere in soluzione acquosa, sono per l’appunto
acidi forti. Ne sono esempi gli acidi minerali inorganici. Analogamente le basi forti
reagiscono quantitativamente con l’acqua che in questo caso si comporta da specie
acida, e non possono esistere in acqua basi più forti di OH¯. Ne sono esempi
l’etossido di sodio, la sodioammide ed il butillitio.
EtO ¯ + H2O → EtOH + OH ¯
NH2¯ + H2O → NH3 + OH ¯
nBuLi + H2O → nBuH + LiOH
Considerando la dissociazione in acqua di un generico acido alla concentrazione c
si ha
Base¯ + H3O+
Acido + H2O
Ka =
[Base - ][H 3 O + ]
[Acido]
cioè
[H 3O + ] = K a
da cui
[Acido]
[Base - ]
= Ka
[H3O+]2 = Ka(c-[H3O+])
(c - [H 3 O + ])
[H 3 O + ]
equazione 6.1
Se l’acido è debole vale la relazione c >> [H3O+] e l’equazione 6.1 si semplifica in
170
[H3O+]2 = cKa
Passando ai logaritmi si ottiene
pH =
1
1
pK a + Log c
2
2
che è l’espressione utilizzata nella maggior parte dei casi di interesse pratico. Se
invece l’acido è forte, cioè se è dissociato completamente, la sua concentrazione c è
praticamente uguale ad [H3O+] e si ottiene
pH = -Log c
In modo del tutto analogo, per la dissociazione di una base a concentrazione c si ha
[H 3 O + ] = K a
[Acido]
[Base - ]
= Ka
[OH − ]
(c - [OH − ])
Se la base è debole vale la diseguaglianza c >> [OH¯] e la precedente equazione
diventa
[OH − ]
10 −14
1
[H 3 O + ] = K a
= Ka
c
c [H 3O + ]
da cui
10 −14
[H 3O + ]2 = K a
c
Passando ai logaritmi
2pH = pK a + Log c + 14
ovvero
1
1
pH = 7 + pK a + Log c
2
2
Per una base forte, completamente dissociata, c = [OH ¯] da cui pH = 14 + Log c.
Volendo riassumere:
per un acido debole
pH =
per un acido di media forza
per un acido forte
per una base debole
per una base di media forza
per una base forte
1
1
pK a + Log c
2
2
[H 3O + ] = K a (c − [H 3 O + ])
pH = - Log c
1
1
pH = 7 + pK a + Log c
2
2
10 -14
(c − [OH - ])
Ka
pH = 14 + Log c
[OH - ] =
171
Poiché un acido è tanto più forte quanto maggiore è la sua Ka, ovvero quanto minore
è la sua pKa, è evidente che esso è in grado di protonare una qualsiasi base coniugata
di un secondo acido meno forte. Questa constatazione è esemplificata nella Tabella
6.1 nella quale sono riportati alcuni acidi organici in ordine di acidità decrescente. Le
basi coniugate corrispondenti risultano quindi elencate in ordine di basicità crescente
dall’alto verso il basso. Ciò significa che ogni acido elencato nella Tabella 6.1 è in
grado di protonare una qualsiasi delle basi coniugate che lo seguono ma non quelle
che lo precedono. Tutti i valori di pKa raccolti nella Tabella 6.1 sono stati ottenuti in
modo rigoroso attraverso la determinazione della corrispondente costante di
dissociazione acida in soluzione acquosa. Come si può notare da questi valori di pKa
ognuno di questi acidi è più debole dello ione idronio e più forte dell’acqua. Misure
termodinamiche accurate sono possibili solo per acidi di questa forza. Per acidi o basi
molto forti (rispettivamente più forti di [H3O+] ed [OH¯]) o molto deboli (più deboli
dell’acqua) si possono ottenere valori di pKa approssimati, come si discuterà nei
prossimi paragrafi.
Tabella 6.1. Valori di pKa per alcuni acidi organici.
_____________________________________________________________________________________
Acido
Base coniugata
pKa
_____________________________________________________________________________________
HOOC-COOH
Cl2CHCOOH
ClCH2COOH
HCOOH
PhCOOH
HOOC-COO¯
2Py-2’PyH+
PhNH3+
MeCOOH
Me3CCOOH
PyH+
PhSH
MeCOCH2COMe
PhOH
CH3NO2
CH3SH
CH2(CN)2
HOOC-COO¯
Cl2CHCOO¯
ClCH2COO¯
HCOO¯
PhCOO¯
¯OOC-COO¯
2Py-2’Py
PhNH2
MeCOO¯
Me3CCOO¯
Py
PhS¯
MeCOCH¯ COMe
PhO¯
¯CH2NO2
CH3S¯
¯CH(CN)2
1.25
1.3
2.9
3.8
4.2
4.3
4.4
4.6
4.75
5.03
5.2
6.50
9.0
9.5
10.2
10.3
11.0
_____________________________________________________________________________________
L’andamento dei valori di pKa degli acidi elencati nella Tabella 6.1 si presta ad
alcune considerazioni ulteriori piuttosto utili in vista delle loro applicazioni. L’acidità
del gruppo idrossile è influenzata piuttosto fortemente dal tipo di sostituzione. A
questo proposito si prenda come riferimento il valore di pKa del fenolo, che in acqua
si comporta come un acido debole. La sostituzione di uno o più idrogeni dell’anello
172
benzenico con atomi o gruppi a carattere elettronattrattore produce come risultato la
diminuzione del valore di pKa. Questa variazione si giustifica facilmente con la
maggiore stabilizzazione della carica negativa situata sull’ossigeno fenolico, che
viene dispersa efficacemente dal gruppo elettronattrattore attraverso l’anello
benzenico. L’andamento opposto dei valori di pKa si riscontra per sostituzione di uno
o più idrogeni con gruppi elettronrepulsori (Tabella 6.2).
Tabella 6.2. Acidità di fenoli monosostituiti.
___________________________________________________________________________
sostituente
pKa (25°C)
___________________________________________
orto
meta
para
10.3
10.0
8.5
7.2
10.1
9.7
9.0
8.4
10.3
10.2
9.4
7.15
___________________________________________________________________________
Me
MeO
Cl
NO2
___________________________________________________________________________
L’aumento di acidità determinato dall’introduzione di un secondo gruppo nitro è
particolarmente elevato qualora il nuovo sostituente si trovi in posizione orto o para
rispetto al gruppo idrossi. L’acidità dei 2,4-dinitrofenoli è paragonabile a quella degli
acidi carbossilici, ad esempio il pKa del 2,4-dinitrofenolo è 4.9 e quello dell’acido
picrico addirittura 0.25; un acido forte a tutti gli effetti. Il pKa del tiofenolo è
superiore a quello dell’analogo ossigenato di ben tre unità pK. Questo
comportamento è dovuto all’interazione di risonanza assai minore che coinvolge la
carica negativa sullo zolfo rispetto a quanto avviene nel caso del fenolo. In altri
termini la carica negativa dell’anione tiofenato è situata sull’atomo di zolfo, che è in
grado di disperderla più efficacemente di quanto possa fare l’atomo di ossigeno più
piccolo.
Per quanto riguarda gli ioni ammonio, essi sono solitamente acidi più forti dei
corrispondenti composti ossigenati. Lo ione anilinio è infatti più forte del fenolo di
ben 4.9 unità pK. Ne segue che le basi all’ossigeno devono essere più forti di quelle
all’azoto, ossia l’anione fenossido è una base più forte dell’anilina.
L’andamento dei valori di pKa degli acidi acetici sostituiti riflette le richieste
elettroniche del o dei gruppi sostituenti. Come riportato nella Tabella 6.3, si passa da
acidi forti quali il trifluoroacetico ad acidi medio-deboli come l’acido propionico. E’
altresì evidente l’effetto di additività dei gruppi sulla forza dell’acido così come
l’effetto elettronattrattore di doppi e tripli legami carbonio-carbonio. Questi ultimi
gruppi sono infatti più elettronegativi del carbonio ibridizzato sp3 a causa del loro
maggior carattere s. Per quanto riguarda i valori di pKa degli acidi benzoici
para-sostituiti (Tabella 6.4) le variazioni di acidità seguono una relazione lineare con
le costanti del sostituente σ come è logico aspettarsi per questi composti, che servono
da substrati di riferimento per l’equazione di Hammett.
173
Tabella 6.3. Acidità di acidi acetici sostituiti.
___________________________________________________________________________________________
acido
pKa
acido
pKa
___________________________________________________________________________________________
CF3COOH
Cl3CCOOH
NCCH2COOH
CH≡CCH2COOH
0.23
0.64
2.46
3.32
MeOCH2COOH
PhCH2COOH
CH2=CHCH2COOH
MeCH2COOH
3.43
4.31
4.35
4.87
___________________________________________________________________________________________
Tabella 6.4. Acidità di acidi benzoici sostituiti.
___________________________________________________________________________________________________
pKa
pKa
σp acido
σp
___________________________________________________________________________________________________
acido
4-NO2-C6H4COOH
4-CN-C6H4COOH
4-Cl-C6H4COOH
3.42
3.55
3.98
+0.78 4-Me-C6H4COOH
+0.66 4-OH-C6H4COOH
+0.23 4-NH2-C6H4COOH
4.37
4.58
4.86
-0.14
-0.37
-0.66
___________________________________________________________________________________________________
6.3 Acidi e basi più deboli dell’acqua
La dissociazione di specie acide caratterizzate da valori di pKa > 14 non avviene
apprezzabilmente in acqua dato che, di fatto, l’acido è troppo debole per potersi
dissociare. Per misurare i valori di pKa di acidi così deboli si devono utilizzare
solventi diversi dall’acqua e, naturalmente, basi diverse dallo ione idrossido. Se due
acidi HA1 ed HA2 vengono sciolti in un solvente opportuno e si aggiunge una piccola
percentuale di una base forte, si instaura l’equilibrio
HA1 + A2¯
HA2 + A1¯
la cui costante K è espressa dall’equazione
K=
[HA 2 ][A1- ] γ (HA 2 )γ (A1- )
[HA1 ][A -2 ] γ (HA1 )γ (A -2 )
=
a (HA 2 )a (A1- )
a (HA1 )a (A -2 )
=
I2
I1
nella quale compaiono i coefficienti di attività γ e le attività a di ciascuna specie
presente all’equilibrio. Con I1 = a(HA1)/a(A1¯) ed I2 = a(HA2)/a(A2¯) si indicano i
rapporti tra le attività relative alle specie acide HA1 ed HA2. Essendo
K(HA1 ) =
a (H + )a (A1- )
,
a (HA1 )
K(HA 2 ) =
a (H + )a (A -2 )
a (HA 2 )
e passando ai logaritmi si ottengono le due equazioni
pKa(HA1) = pH – Log[a(A1¯)/a(HA1)]
pKa(HA2) = pH – Log[a(A2¯)/a(HA2)]
174
Poiché Log K = Log I2 – Log I1 si può scrivere
Log K = pKa(HA2) – pH – pKa(HA1) + pH = pKa(HA2) – pKa(HA1)
Ovvero la costante di equilibrio è data dalla differenza dei valori di pKa delle due
specie acide in soluzione. Misurando la costante di equilibrio si può allora risalire al
valore di pKa di una delle due specie acide posto che per l’altra sia noto il valore di
pKa in acqua. Ad esempio, se è noto il pKa in acqua della specie HA1 è possibile
determinare il valore di pKa dell’acido HA2 anch’esso relativo all’acqua, nonostante
la misurazione sia stata effettuata in un solvente diverso dall’acqua. Un’ulteriore
misurazione di un’altra costante di equilibrio K’, questa volta relativa all’acido HA2 e
ad un nuovo acido debole HA3 il cui pKa in acqua non sia noto, permette di ricavare il
pKa di HA3 in acqua. In questo modo si può costruire una scala di pKa per acidi più
deboli dell’acqua la cui forza si misura in solventi non acquosi ma i cui valori di pKa
risultano comunque riferiti all’acqua quale solvente. Per gli acidi organici al
carbonio, che sono solitamente molto più deboli dell’acqua, questo modo di
procedere permette di ottenere valori di pKa che non sono misurabili direttamente.
Alcuni di questi acidi al carbonio sono elencati nella Tabella 6.5, affiancati ai
rispettivi valori di pKa, in ordine di acidità decrescente.
Tabella 6.5. Valori di pKa di alcuni acidi deboli al carbonio.
___________________________________________________________________________________________
acido
pKa
acido
pKa
___________________________________________________________________________________________
ciclopentadiene
CH3COPh
(CH3)2C=O
(PhCH2)2SO2
15
19.5
20
22
fluorene
CH3CN
(CH3)2S=O
Ph2CH2
22.7
25
28.5
33
___________________________________________________________________________________________
La dissociazione degli acidi al carbonio prevede la formazione di un carbanione
secondo l’equazione generale
R3C¯ + (BaseH)+
R3C-H + Base
Poiché il legame C-H è sostanzialmente omopolare, la sua scissione eterolitica è un
processo termodinamicamente sfavorito e, di conseguenza, è meno facile della
scissione eterolitica dei legami O-H od N-H. Naturalmente queste considerazioni si
applicano a tutti quegli acidi al carbonio le cui basi coniugate non godono della
stabilizzazione dovuta alla presenza di uno o più gruppi elettronattrattori. Se è vero
che gli acidi al carbonio non stabilizzati mostrano valori di pKa elevati è pur vero che
opportune modificazioni strutturali possono cambiare radicalmente questo scenario.
A titolo d’esempio si prendano i valori di pKa del metano e dei suoi nitroderivati,
elencati nella Tabella 6.6. Il metano, la cui base coniugata è l’anione metilico, ha
pKa > 40, è cioè 1026 volte meno acido dell’acqua. Tuttavia la sostituzione degli
175
idrogeni del metano con gruppi nitro vede capovolgere questa situazione tanto che il
trinitrometano, pKa = 0.14, è un acido al carbonio forte al pari dell’acido
trifluoroacetico.
Tabella 6.6. Valori di pKa di metani sostituiti.
___________________________________________________________________________________________
acido
pKa
acido
pKa
___________________________________________________________________________________________
CH4
CH3NO2
> 40
10.2
CH2(NO2)2
CH(NO2)3
3.63
0.14
___________________________________________________________________________________________
Le stesse considerazioni si applicano ad ogni gruppo elettronattrattore; il
tricianometano HC(CN)3 ha pKa = -5.13 ed è quindi un acido molto forte. Anche la
variazione di ibridizzazione produce effetti notevoli sull’acidità degli acidi al
carbonio. A causa del carattere s molto spiccato degli atomi di carbonio ibridizzati sp,
l’acetilene ha pKa = 23.0, molto più acido dell’etilene (pKa ≈ 32) i cui carboni sono
ibridizzati sp2 e dell’etano, pKa ≈ 40.
6.4 Acidi più forti di H3O+, basi più forti di OH ¯
Nel paragrafo dedicato all’esposizione degli equilibri acido-base in soluzione acquosa
si è assunto che la concentrazione delle specie acide o basiche presenti all’equilibrio
sia sufficientemente piccola in modo da poter trascurare i coefficienti di attività γ tali
per cui aA = γA[A], dove aA è l’attività del soluto ed [A] è la sua concentrazione.
Un’altra assunzione importante è implicita nella stessa natura dell’acqua quale
solvente. Poiché in acqua non possono esistere acidi più forti dello ione idronio e basi
più forti dello ione idrossile la scala di pH è definita univocamente nell’intervallo
compreso tra 0 e 14. Tuttavia, volendo prendere in considerazione soluzioni
concentrate di acidi o basi forti non è possibile ricorrere alle costanti di equilibrio
riferite all’acqua quale solvente. In primo luogo infatti se la soluzione è
sufficientemente concentrata il valore dei coefficienti di attività γ si discosta
dall’unità e per ogni specie in soluzione occorre tenere conto della sua attività
piuttosto che della sua concentrazione apparente. In secondo luogo per acidi e basi
più forti rispettivamente di H3O+ ed OH¯ l’acqua esercita un effetto livellante, nel
senso che la base forte B¯ non può esistere come tale in soluzione acquosa dato che
l’equilibrio
B¯ + H2O
B-H + OH ¯
è completamente spostato verso destra. E’ quindi necessario ricorrere alla
generalizzazione della misura di acidità e basicità per soluzioni concentrate e/o non
acquose. Nell’ambito di questa generalizzazione si colloca il concetto di funzione di
acidità secondo Hammett. Se nella soluzione di una specia acida viene introdotta una
base B elettricamente neutra ha luogo l’equilibrio
BH+ + A¯
HA + B
176
Il catione BH+ si dissocia a sua volta secondo l’equilibrio
BH+
B + H+
nel quale il protone H+ non deve intendersi libero ma legato ad una molecola di
solvente; questo formalismo semplificato si usa solo per comodità grafica.
La costante Ka relativa a quest’ultimo equilibrio permette di valutare la forza della
base B.
γ (B)[B]
a(H + )a(B)
Ka =
= a(H + )
γ (BH + )[BH + ]
a (BH + )
Indicando con
γ (B)
h0 = a (H + )
γ (BH + )
si ha
[BH + ]
h0 = K a
[B]
La funzione di acidità H0 è definita come il logaritmo decimale negativo di h0, cioè
H0 = -Log h0, e dunque si ha
[B]
H 0 = pK a + Log
equazione 6.2
[BH + ]
Nelle soluzioni acquose diluite i coefficienti di attività sono praticamente uguali
all’unità, da cui h0 = a(H+) e quindi H0 = pH. In questo senso la funzione di acidità H0
costituisce un’estensione della scala di pH applicabile nel caso di soluzioni
concentrate di acidi, siano essi in soluzione acquosa oppure no.
Per la determinazione della funzione di acidità H0 si utilizzano basi B opportune a
pKa nota in grado di fungere da indicatori. Per queste specie il massimo
dell’assorbimento della luce visibile od UV dev’essere situato a lunghezze d’onda
molto diverse da quella relativa alla specie protonata BH+. Le concentrazioni [B] e
[BH+] vengono quindi misurate con metodi colorimetrici o spettrofotometrici e, dato
che pKa di B è nota, si ricava il valore di H0. In pratica quindi la determinazione della
funzione di acidità H0 di una specie fortemente acida HA si esegue aggiungendo alla
soluzione concentrata dell’acido in questione l’indicatore, che viene protonato e per il
quale si determina sperimentalmente il rapporto [B]/[BH+]. Di solito come indicatori
si scelgono delle basi deboli e, poiché ogni indicatore è utilizzabile in un intervallo
piuttosto ristretto delle concentrazioni di HA, è necessario utilizzare una serie di
indicatori per poter costruire il diagramma di H0 in un ambito abbastanza ampio delle
concentrazioni della specie acida. Nella Tabella 6.7 sono riportati alcuni tra gli
indicatori più utilizzati, affiancati al corrispondente valore di pKa.
Potendo utilizzare diversi indicatori nella determinazione della funzione di acidità, si
ottengono funzioni H diverse a secondo della classe chimica cui appartiene
l’indicatore utilizzato. Ad esempio la funzione H0 viene determinata utilizzando come
indicatori ammine primarie opportunamente sostituite all’anello benzenico.
177
Altre funzioni di acidità sono elencate nella Tabella 6.8 accanto al tipo di indicatore
utilizzato per la loro definizione.
Tabella 6.7. Indicatori utilizzati nella determinazione di H0.
___________________________________________________________________________________________
acido
pKa
acido
pKa
___________________________________________________________________________________________
4-NO2-C6H4NH2
2-NO2-C6H4NH2
4-NO2-C6H4NHPh
4-NO2-azobenzene
2,4-(NO2)2-C6H3NH2
+1.11
-0.13
-2.38
-3.35
-4.38
benzalacetofenone
para-benzoilbifenile
PhCOOH
antrachinone
picrilammina
-5.61
-6.19
-7.26
-8.15
-9.29
___________________________________________________________________________________________
Tabella 6.8. Funzioni di acidità.
___________________________________________________________________________________________
funzione indicatore
funzione indicatore
H0
H0m
HI
HA
H0m
HR
___________________________________________________________________________________________
aniline primarie
N,N-dialchilnitroaniline
indoli
ammine
triarilmetanoli
eteri
___________________________________________________________________________________________
Nella Figura 6.1 è mostrato l’andamento grafico di alcune funzioni di acidità per il
sistema acido solforico-acqua.
H
HR
H0m
-12
H0
-10
-8
-6
HA
-4
-2
0
2
20
40
60
80
100
% H2SO4
Figura 6.1. Andamento di alcune funzioni di acidità per il sistema H2SO4-H2O.
178
Nella Figura 6.2 sono invece diagrammate le rette che si ottengono sperimentalmente
per lo stesso sistema acido dall’equazione 6.2 utilizzando come indicatori (a) la
2-nitroanilina, (b) la 4-cloro-2-nitroanilina e (c) la 2,5-dicloro-4-nitroanilina.
2.0
(a)
Log[B]/[BH+]
(b)
1.5
1.0
(c)
0.5
0
-0.5
-1.0
10
20
30
40
50
% H2SO4
Figura 6.2. Diagramma lineare di Log[B]/[BH+] in funzione della % di acido solforico
per il sistema H2SO4-H2O.
Poiché la funzione di acidità H0 è la più utilizzata nella pratica ed il sistema acido
solforico-acqua riveste un notevole interesse sia teorico che pratico, nella Tabella 6.9
è riportato il valore di H0 per questo sistema in funzione della percentuale di acido
solforico.
Tabella 6.9. Valori di H0 per il sistema acido solforico-acqua.
___________________________________________________________________________________________
H0
% acido solforico
H0
% acido solforico
___________________________________________________________________________________________
0.24
-0.16
-0.89
-1.54
-2.28
-3.23
5
10
20
30
40
50
-4.32
-5.54
-6.82
-8.17
-8.74
-10.60
60
70
80
90
95
100
___________________________________________________________________________________________
Sono state determinate dettagliatamente le funzioni di acidità per altre specie
d’interesse quali l’acido perclorico, l’acido cloridrico, l’acido fosforico, l’acido
nitrico e l’acido para-toluensolfonico. Sebbene la maggior parte delle funzioni di
acidità sia formulata per dare un’indicazione semiquantitativa sul potere protonante
di soluzioni fortemente acide, lo stesso trattamento può essere applicato ad ogni base
179
più forte dell’anione idrossile. E’ stata infatti costruita la scala H_ valida per le
soluzioni di tetralchilammonio idrossido in solfolano, dimetilsolfossido-acqua ed altri
solventi. La funzione di acidità H_ costituisce l’estensione della scala di pH oltre il
valore 14 in acqua.
Un altro tipo di approccio al problema riguardante soluzioni concentrate di acidi forti
è stato proposto da Bunnett ed Olsen, che hanno derivato la seguente equazione.
Log
[BH + ]
+ H 0 = φ ( H 0 + Log[H + ]) + pK a
[B]
La pendenza della retta che si ottiene diagrammando Log([BH+]/[B]) + H0 in
funzione di (H0 +Log[H+]) è il parametro φ, mentre l’intercetta è il pKa della specie
protonata BH+. Il valore di φ esprime la suscettibilità dell’equilibrio
B + H+
BH+
rispetto alla variazione di concentrazione della specie acida. Utilizzando quale
indicatore la 4-nitroanilina si pone per convenzione φ = 0 e dall’equazione di
Bunnett-Olsen si riottiene l’equazione 6.2. Cambiando l’indicatore i valori di φ
possono assumere sia valori positivi che negativi. Se φ < 0 il rapporto di ionizzazione
[BH+]/[B] aumenta più rapidamente di –H0 all’aumentare della concentrazione di
acido. E’ questo il caso di basi (indicatori) che per protonazione danno sistemi nei
quali la carica positiva è ben delocalizzata, una possibilità è rappresentata
dall’ottenimento di carbocationi relativamente stabili. Valori di φ > 0 indicano che il
rapporto di ionizzazione [BH+]/[B] aumenta meno rapidamente di –H0 all’aumentare
della concentrazione di acido. In questo caso la base utilizzata come indicatore dà per
protonazione la specie BH+ in cui la carica positiva è ben localizzata.
_____________________________________________________________________
φ
Base (indicatore)
_____________________________________________________________________
2,4,6-(MeO)3-C6H2COMe
4-NO2-C6H4NH2
AcOEt
Me2C=O
-0.11
0.00
+0.40
+0.75
_____________________________________________________________________
Gli acidi più forti dello ione idronio di interesse in chimica organica sono
essenzialmente specie acide elettroneutre, oppure protonate, all’ossigeno o all’azoto.
Non mancano specie elettroneutre quali gli acidi solfonici e persino un acido al
carbonio quale il tricianometano. Alcuni esempi significativi sono riportati nella
Tabella 6.10. I mezzi più protonanti in assoluto sono i cosiddetti “superacidi”, ovvero
BF3, PF5, AsF5 ed SbF5 in HF liquido. Sono superacidi anche l’acido fluorosolfonico
180
FSO3F ed il solfonilclorofluoruro SO2ClF in HF liquido. La forza protonante di
alcuni superacidi è talmente marcata da permettere la reazione con basi estremamente
deboli come il metano, dando la specie pentacoordinata CH5+, o come il benzene. I
pKa dei superacidi sono generalmente inferiori a -20. Acidi più forti dello ione
idronio sono anche i comuni acidi inorganici HCl (pKa = -7), HBr (pKa = -9), HNO3
(pKa = -1.4).
Tabella 6.10. Valori approssimati di pKa di acidi più forti dello ione idronio.
_________________________________________________________________________________________________________
acido
base coniugata
pKa acido
base coniugata
pKa
_________________________________________________________________________________________________________
HClO4
RCH=OH+
R2C=OH+
ArSO3H
R(RO)C=OH+
R(HO)C=OH+
ClO4¯
RCH=O
R2C=O
ArSO3¯
RCOOR
RCOOH
ArOH+R
(CN3)CH
ROH+R
R3COH2+
R2CHOH2+
RCH2OH2+
-10
-10
-7
-6.5
-6.5
-6
ArOR
(CN3)C¯
ROR
R3COH
R2CHOH
RCH2OH
-6
-5.13
-3.5
-2
-2
-2
_________________________________________________________________________________________________________
Tra le basi più forti dello ione idrossile se ne annoverano moltissime d’interesse
pratico in chimica organica (Tabella 6.11).
Tabella 6.11. Valori approssimati di pKa di basi più forti dell’anione idrossile.
_________________________________________________________________________________________________________
base
acido coniugato
pKa base
acido coniugato pKa
_________________________________________________________________________________________________________
RCH2O¯
RCH¯CHO
R2CHO¯
R3CO¯
RCONH¯
RCOCH¯R
RCH¯COOR
RCH2OH
RCH2CHO
R2CHOH
R3COH
RCONH2
RCOCH2R
RCH2COOR
16
16
16.5
17
17
18-20
24.5
RCH¯CN
HC≡C¯
EtOCOCH2¯
Ar3C¯
H¯
NH2¯
PhCH2¯
RCH2CN
HC≡CH
EtOCOCH3
Ar3CH
H2
NH3
PhCH3
25
25
25.6
31.5
35
38
40
_________________________________________________________________________________________________________
6.5 Meccanismo di trasferimento protonico
Il trasferimento di protoni tra acidi e basi all’ossigeno od all’azoto sono di norma
estremamente veloci e nella maggior parte dei casi procedono sotto il controllo della
diffusione. Il meccanismo di trasferimento protonico da un acido ad una base di
questo tipo consta di tre passaggi:
(1) formazione di un complesso che implica un legame ad idrogeno tra l’acido HA
e la base B,
(2) trasferimento del protone dall’acido alla base,
(3) dissociazione del complesso proveniente dal secondo passaggio.
181
(1)
HA + B
A-HּּּּּB
(2)
A-HּּּּּB
(3)
Aδ-ּּּּּH-Bδ+
Aδ-ּּּּּH-Bδ+
A¯ + BH+
Non tutti i trasferimenti protonici sono controllati dalla diffusione; ad esempio se è
operante un legame ad idrogeno intramolecolare la reazione con un acido od una base
esterna decorre di solito più lentamente. Nel caso dell’acido 3-idrossipropionico lo
ione OH¯ esterno può iniziare a formare il legame ad idrogeno col protone
carbossilico solo previa rottura del legame ad idrogeno intramolecolare. Solo una
parte delle collisioni tra lo ione OH¯ e l’acido 3-idrossipropionico può dare luogo al
trasferimento protonico. Nella maggior parte delle collisioni lo ione OH¯ si allontana
senza reagire, il che diminuisce in modo consistente la velocità del trasferimento
protonico.
O
O
O
δ
O
_
+ OH
O
H
O
H
_
H
_
δ
OH
H
Un altro fattore che comporta la diminuzione della velocità di trasferimento protonico
riguarda quelle strutture molecolari nelle quali il protone acido è protetto all’interno
di una cavità molecolare quale ad esempio quella presente in alcuni criptandi.
(CH2)n
N
H
N
(CH2)m
(CH2)k
X
_
Un caso particolarmente interessante di trasferimenti protonici che avvengono al di
sotto del limite diffusivo è quello delle spugne protoniche. Ad esempio
l’1,8-bis-dimetilammino-2,7-dimetossi naftalene è una base molto forte (pKa = 16.3)
per un’ammina terziaria; a titolo di confronto si consideri il valore pKa = 5.1 della
N,N-dimetilanilina.
H
Et2N
MeO
NEt2
Et2N
MeO
OMe
NEt2
OMe
+ H+
La notevole basicità del derivato naftalenico è resa possibile dal forte ingombro
sterico dovuto ai doppietti elettronici dei due atomi di azoto che sono forzati a dover
occupare uno spazio contiguo. La protonazione della specie neutra comporta la
182
diminuzione di questa compressione sterica dato che uno dei due doppietti elettronici
viene impegnato nel legame covalente col protone mentre il secondo doppietto
intrattiene con esso un legame ad idrogeno. Nonostante la sua basicità termodinamica
molto alta, il trasferimento protonico dall’1,8-bis-dimetilammino-2,7-dimetossi
naftalene decorre molto lentamente denotando quindi un’acidità cinetica piuttosto
bassa.
Anche il trasferimento protonico che riguarda gli acidi al carbonio decorre
solitamente con velocità inferiori al limite di diffusione. Per questa classe di specie
acide è infatti normalmente preclusa la possibilità di formare legami ad idrogeno.
6.6 Effetti del solvente sull’acidità
L’effetto esercitato dal mezzo di reazione nella variazione dei valori di pKa degli
acidi carbossilici è già stato discusso nell’ambito dell’effetto solvente (pag. 153). In
questo paragrafo ci si propone di mostrare come e quanto possano essere influenzati i
pKa di una serie di acidi, riportati nella Tabella 6.12, passando dall’acqua ad un tipico
solvente dipolare aprotico quale il dimetilsolfossido.
Tabella 6.12. Acidità in acqua e dimetilsolfossido.
_________________________________________________________________________________________________________
acido
pKa
_________________________
acqua
DMSO
-0.6
0.25
4.25
4.75
8.9
1.6
0
11.1
12.3
13.3
acido
pKa
_______________________
acqua
DMSO
10.0
9.5
11.0
15.5
15.75
17.2
18.0
11.0
29.0
32
_________________________________________________________________________________________________________
CH3SO3H
acido picrico
PhCOOH
CH3COOH
(CH3CO)2CH2
CH3NO2
PhOH
CH2(CN)2
CH3OH
H2O
_________________________________________________________________________________________________________
Nei paragrafi precedenti è emerso che l’effetto livellante esercitato dall’acqua non
permette l’esistenza in soluzione di specie più acide dello ione idronio e più basiche
dell’anione idrossido. Ciò dipende evidentemente dal valore di pKa dell’acqua, che è
pari a 15.75. I valori di pKa misurati in dimetilsolfossido differiscono da quelli
misurati in acqua per più motivi. In primo luogo in dimetilsolfossido si possono
determinare pKa fino a 32 senza che intervengano le complicazioni dovute all’effetto
livellante del solvente, che infatti ha pKa = 35. Dall’esame dei dati raccolti nella
Tabella 6.12 si nota che in alcuni casi, che coincidono con basi coniugate a carica
localizzata, esistono forti differenze tra i pKa determinati in acqua ed in
dimetilsolfossido. Queste differenze sono dovute essenzialmente alla mancanza di
legami ad idrogeno nel caso del solvente organico. Ad esempio l’acqua stessa
manifesta una differenza pari a ben 16.25 unità pK, il metanolo 14.5. Per basi
coniugate a carica delocalizzata le differenze di pKa sono molto inferiori e possono
arrivare ad annullarsi. Ad esempio l’acido picrico, che non intrattiene legami ad
idrogeno significativi in acqua, non mostra differenze di pKa al variare del solvente.
183
6.7 Nucleofili ed elettrofili
Il concetto di specie acida o basica si inquadra nell’ambito più generale di specie
nucleofila ed elettrofila. Il termine “base” si riferisce infatti ad una specie che mostra
affinità nei confronti del protone; la sua basicità è la misura quantitativa di questa
affinità. Per contro una specie nucleofila manifesta affinità nei confronti di qualsiasi
centro reattivo elettrofilo; la nucleofilicità esprime la misura qualitativa o
semiquantitativa di questa affinità. Per chiarire questo punto è opportuno ricorrere ad
un esempio semplice. Nella reazione tra bromoacetato di etile ed n-butillitio,
quest’ultimo reagente si comporta da base deprotonando l’estere in posizione α. Ma
la reazione tra bromoacetato d’etile e sodio azide dà luogo all’azidoacetato d’etile; in
questo caso l’anione azido non si comporta da base ma da nucleofilo attaccando
l’atomo di carbonio in α al gruppo etossicarbonile.
Br
COOEt
+ nBuLi
Br
COOEt Li+ + nBuH
Br
COOEt
+ NaN3
N3
COOEt
+ NaBr
Se è vero che il termine “base” rappresenta un caso particolare del termine
“nucleofilo”, è altrettanto vero che i due sostantivi, così come i due concetti che ne
sono espressione, non sono intercambiabili né tantomeno equivalenti. Si è detto che
gli equilibri acido-base in acqua si fondano su misurazioni termodinamiche che ne
garantiscono una descrizione rigorosa e dettagliata. Così non è nel caso generale delle
specie nucleofile per le quali le determinazioni di reattività si basano su misure
cinetiche. Anche nel caso di specie nucleofile assai simili, le velocità di reazione nei
confronti del substrato elettrofilo correlano assai frequentemente in modo
approssimativo con i corrispondenti valori di pKa.
La stessa distinzione concettuale si applica alla definizione di acido, che dev’essere
inteso come affinità del protone nei confronti di una specie basica, ed elettrofilo.
Quest’ultimo termine indica infatti l’affinità di qualsiasi centro povero di elettroni nei
confronti di un sito ad alta densità elettronica. Nello stabilire misure semiquantitative
di nucleofilicità ed elettrofilicità sono assai utili le correlazioni lineari descritte nei
seguenti paragrafi.
6.7.1 Diagrammi di Brønsted.
La correlazione tra nucleofilicità e reattività dev’essere realizzata nell’ambito di
specie nucleofile chimicamente simili, che mostrino cioè proprietà steriche ed
elettroniche paragonabili. Un vincolo ulteriore è rappresentato dal mezzo di reazione,
che dev’essere lo stesso per tutte le reazioni di cui si vuole studiare l’interdipendenza
tra nucleofilicità e reattività. Se queste condizioni sono soddisfatte si possono
ottenere buone correlazioni di tipo lineare. Una di queste correlazioni è l’equazione di
Brønsted, che si basa sulla deprotonazione dell’acqua da parte della specie nucleofila
Nu quale reazione di riferimento.
NuH+ + OH¯
Nu + H2O
184
Log k = βNu Log Kb + C
In questa relazione k è la costante di velocità della reazione in esame, Kb è la costante
di basicità del nucleofilo e βNu esprime la sensibilità della reazione al variare della
basicità del nucleofilo. Il pKa dell’acido coniugato del nucleofilo è espresso da
Log Kb = pKa + Log Kw
Diagrammando Log k in funzione di pKa si ottiene dunque una retta a coefficiente
angolare βNu che indica quanto la velocità di reazione è influenzata dalla struttura del
nucleofilo in ragione della sua basicità. Se βNu = 1 la relazione di Brønsted si
semplifica in Log k = Log Kb; se un nucleofilo è 100 volte più basico di un altro la
velocità di reazione aumenta di 100 volte. Se βNu < 1 la velocità della reazione
aumenta meno di quanto aumenta Log Kb. Ciò significa che l’attacco nucleofilo è
meno efficace di quanto lascerebbe prevedere il valore di Log Kb. E’ plausibile che
per βNu < 1, cioè per nucleofili non molto reattivi, la formazione del nuovo legame tra
nucleofilo e substrato sia poco avanzata a livello dello stato di transizione.
L’effetto della basicità del gruppo uscente sulla reattività è descritto dalla seguente
equazione che mette in relazione la costante di velocità k ed il pKa del gruppo uscente
(Gu). Essa ha praticamente la stessa forma dell’equazione di Brønsted.
Log k = βGu pKa + C
Con βGu si indica la sensibilità della reazione all’allontanamento del gruppo uscente.
E’ un fatto noto dalla chimica organica di base che una generica reazione di
spostamento è tanto più veloce quanto più l’acido coniugato del gruppo uscente è
forte (si pensi alla serie dei gruppi uscenti F¯, Cl¯, Br¯, I¯ ed alla forza dei rispettivi
acidi coniugati). Poiché Log k è tanto più grande quanto minore è il valore di pKa
dell’acido coniugato del gruppo uscente, βGu deve avere valore negativo. La
grandezza di βGu è indice della facilità con cui il gruppo uscente è rimosso a livello
dello stato di transizione. Ad esempio, per processi ionogenici tipo SN1 è lecito
attendersi valori di βGu < -1. Per processi concertati (tipo SN2) βGu assume valori
intermedi attorno a -0.5, il che significa che il gruppo uscente ha subìto un certo
allontanamento dal centro reattivo a livello dello stato di transizione, ma non è ancora
completamente staccato.
Nell’ambito degli studi meccanicistici è quindi piuttosto comune misurare i valori di
βNu e βGu poiché essi forniscono una misura, rispettivamente, della capacità di attacco
nucleofilo e del grado di allontanamento del gruppo uscente dal centro di reazione nel
passaggio lento del processo. A titolo d’esempio si consideri la reazione di
defosforilazione dell’ATP nella quale l’alcol ROH si comporta da nucleofilo.
O
ROH
+
P
O
O
P
ADP
RO
O
185
O
O
+ ADPH
Diagrammando Log k in funzione di pKROH si ottiene una retta a pendenza βNu = 0.07
[Figura 6.3 (A)], che significa che la nucleofilicità dell’alcol ha un effetto molto
ridotto sulla velocità di reazione. In questo caso si può pensare che il legame
nucleofilo-substrato sia assai poco sviluppato a livello di stato di transizione.
D’altra parte la velocità d’idrolisi di fosfoanidridi R1OPO2¯¯ in funzione del pKa
mostra βGu = -1.1 ad indicare che la rottura del legame tra fosforo e gruppo uscente è
piuttosto avanzato a livello dello stato di transizione [Figura 6.3 (B)].
Log k
Log k
1.0
2
0
0
-2
-4
-1.0
-6
12
14
16
pKROH
0
2
4
6
8
pKGu
(A)
(B)
Figura 6.3. Diagrammi di Brønsted per l’idrolisi dell’ATP (A) e di fosfoanidridi (B).
Il valore piccolo di βNu e grande di βGu lasciano supporre che il meccanismo d’idrolisi
dell’ATP proceda nel seguente modo dissociativo.
O
P
O
O
O
O
ADP
P
O
O
+ ADP
_
ROH
P
RO
O
+ ADPH
O
6.7.2 Scale di nucleofilicità
Mentre l’equazione di Brønsted correla la costante di velocità di una reazione con i
pKa della specie nucleofila attraverso il coefficiente di sensibilità βNu, esistono un
certo numero di correlazioni lineari che somigliano a quelle trattate nel capitolo 4 a
proposito della correlazione tra struttura e reattività. Queste nuove correlazioni lineari
permettono di stilare delle scale di nucleofilicità, ovvero di esprimere in modo
semiquantitativo l’attitudine di una certa specie a comportarsi da nucleofilo.
6.7.2.1 Equazione di Swain-Scott. Questa equazione è stata sviluppata per descrivere
a livello semiquantitativo il comportamento delle reazioni di sostituzione nucleofila
al carbonio saturo. Quale reazione di riferimento si è scelto lo spostamento nucleofilo
SN2 dello ione ioduro dallo ioduro di metile,
MeI + Nu¯ → MeNu + I¯
processo per il quale si pone la costante di reazione s = 1.
186
L’equazione di Swain-Scott ha la forma di una retta passante per l’origine
log(kNu/kw) = s n
dove con n si indica la nucleofilicità della specie Nu. Per convenzione n = 0 nel caso
dell’acqua, scelta quale nucleofilo di riferimento.
Come esempio pratico si consideri la seguente reazione di sostituzione nucleofila
Me
Me
N
OMe
+
_
Nu
NMe2
kNu
+
O2N
Nu
OMe
O2N
dalla quale si ricava s = 0.26. Questo valore della costante di reazione indica che la
reazione in esame è meno sensibile alla variazione della specie nucleofila attaccante
di circa quattro volte rispetto alla reazione di riferimento. Ciò è compatibile con il
valore di βNu < 1 ottenuto per la stessa reazione, ad indicare che il legame tra il
nucleofilo ed il gruppo metilenico del sale d’ammonio quaternario è poco sviluppato
a livello dello stato di transizione.
Utilizzando l’equazione di Swain-Scott si ricava una scala di nucleofilicità basata sul
parametro n; nella Tabella 6.13 sono riportati i valori di n per alcuni nucleofili.
Tabella 6.13. Scala di nucleofilicità basata sul parametro n.
___________________________________________________________________________________________
nucleofilo
n
nucleofilo
n
9.92
7.42
6.70
5.79
5.78
5.75
PhNH2
NH3
Cl¯
MeCOO¯
F¯
NO3¯
5.70
5.50
4.37
4.3
2.7
1.5
___________________________________________________________________________________________
PhS¯
I¯
CN¯
Br¯
N3¯
PhO¯
___________________________________________________________________________________________
6.7.2.2 Equazione di Ritchie. L’addizione di nucleofili al carbocatione stabile “verde
4-nitromalachite” è utilizzabile quale reazione di riferimento per valutare la
nucleofilicità delle specie che reagiscono con questo carbocatione.
NMe2
NMe2
O2N
+
BF4
Nu
_
kNu
O2N
Nu
_
NMe2
NMe2
verde 4-nitromalachite
187
Il parametro di nucleofilicità N+ è espresso dall’equazione di Ritchie
log(kNu/kw) = N+
per la quale si sceglie l’acqua quale nucleofilo di riferimento.
Come nel caso dell’equazione di Swain-Scott è possibile ricavare una scala di
nucleofilicità basata, questa volta, sul parametro N+ (Tabella 6.14).
Tabella 6.14. Scala di nucleofilicità basata sul parametro N+.
___________________________________________________________________________________________
nucleofilo
N+
nucleofilo
N+
___________________________________________________________________________________________
PhS¯
N3¯
EtNH2
H2NCH2CH2NH2
9.10
7.54
5.28
5.44
PhNH2NH2
OH¯
CN¯
NH3
4.77
4.75
4.12
3.89
___________________________________________________________________________________________
6.7.2.3 Equazione di Edwards. Le correlazioni lineari esaminate finora sono
utilizzabili solo nel caso in cui le specie di cui si vuole valutare la nucleofilicità siano
chimicamente simili. In caso contrario non si hanno correlazioni lineari ma piuttosto
una distribuzione casuale di punti sperimentali. In alcuni casi si può ricorrere ad
equazioni biparametriche che, almeno in parte, risolvono il problema legato alla
diversa natura chimica delle specie nucleofile. Questo è il caso dell’equazione di
Edwards; un’espressione empirica che ha la forma
log(kNu/kw) = aEN + bHN
dove:
- il parametro EN è espressione del potenziale elettrochimico E0 della coppia Nu/Nu¯
attraverso l’equivalenza EN = E0 + 2.60;
- il parametro HN è espressione del pKa dell’acido coniugato della specie nucleofila
attraverso l’equivalenza HN = pKa(NuH) + 1.74.
Utilizzando l’equazione di Edwards si costruisce la scala di nucleofilicità basata sul
parametro EN (Tabella 6.15).
Tabella 6.15. Scala di nucleofilicità basata sul parametro EN.
___________________________________________________________________________________________
nucleofilo
EN
nucleofilo
EN
___________________________________________________________________________________________
PhS¯
CN¯
I¯
PhNH2
N3¯
Br¯
2.9
2.79
2.06
1.78
1.58
1.51
PhO¯
NH3
Cl¯
MeCOO¯
NO3¯
F¯
1.46
1.36
1.24
0.95
0.29
-0.27
___________________________________________________________________________________________
188
Si richiama l’attenzione sul fatto che, trattandosi di scale derivate da relazioni
empiriche, le nucleofilicità espresse dai vari parametri considerati non ha validità
assoluta al contrario di quanto accade nel caso dei valori di pKa di specie acide o
basiche determinati in acqua con metodi termodinamici. Le Tabelle 6.13 e 6.15 ne
sono un esempio lampante in quanto vi sono riportate le stesse specie nucleofile che
però seguono un ordine di nucleofilicità differente.
6.8 Problemi
1. La funzione di acidità per l’acido solforico acquoso al 20% vale H0 = -0.89.
Calcolare il grado di dissociazione per le specie A-D in queste condizioni.
NH2
NH2
NO2
pKa = +1.11
pKa = -4.38
NO2
NO2
A
B
NH2
O2N
COOH
NO2
pKa = -9.29
pKa = -7.26
NO2
C
D
2.
Lo spettro UV dell’indene in KOH 15 M (H_ = 18.5) mostra due picchi:
1) 276 nm, A = 8.25, ελ = 249
2) 318 nm, A = 36.6, ελ = 27700
Calcolare il pKa dell’indene.
3.
L’etere etilico a 25°C scioglie il 7% in peso di acido cloridrico gassoso. Una tale
soluzione ha H0 = -6.0. Sapendo che in queste condizioni l’etere etilico protonato
è un acido molto forte che ha pKa = -3.8, calcolare il suo grado di ionizzazione
percentuale.
4.
Lo spettro UV della 4-nitroanilina (pKa = +1.11 ) in una soluzione eterea di HCl
mostra due picchi; quello relativo alla base libera con A = 0.80 ed ε = 167,
quello relativo alla base protonata con A = 0.66 ed ε = 16880. Calcolare la
funzione di acidità H0 della soluzione in questione. Nel calcolo utilizzare i
logaritmi in base naturale.
5.
Un passaggio sintetico richiede la deprotonazione della para-nitrodifenilammina
(pKa = -2.38). Quale tra le seguenti basi è necessario utilizzare per avere
deprotonazione quantitativa (> 99%) della para-nitrodifenilammina?
189
MeONa/MeOH: H_ = -3.68
NaNH2/NH3 (liq.): H_ = -6.70
NaOH (50%): H_ = -7.60
6.
Calcolare il grado di ionizzazione % per la orto-nitrodifenilammina in acido
solforico acquoso al 40%. La funzione di acidità del mezzo vale H0 = -2.41.
6.9 Bibliografia
Due monografie che trattano in modo assai completo ed autorevole gli aspetti inerenti
all’acidità e la basicità da un punto di vista chimico-organico, sono:
1. R. P. Bell The Proton in Chemistry Cornell University Press, Ithaca, New York,
1973.
2. R. Stewart The Proton: Applications in Organic Chemistry Academic Press,
New York, 1985.
Gli aspetti recenti sulle teorie acido-base sono discusse nel libro
3. H. L. Finston, A. C. Rychtman A New View of Current Acid-Base Theories
Wiley, New York, 1982.
Per una trattazione rigorosa degli equilibri acido-base in soluzione acquosa si
possono consultare i due testi seguenti:
4. I. M. Kolthoff, E. B. Sandell, E. J. Meehan, S. Bruchenstein Analisi Chimica
Quantitativa Piccin Editore, Padova, 1973; volume 1, capitoli 4, 5.
5. H. Freiser, Q. Fernando Gli Equilibri Ionici nella Chimica Analitica Piccin
Editore, Padova, 1972; capitoli 4-7.
Una monografia che tratta le correlazioni lineari discusse nel presente capitolo è
6. A.Williams Free Energy Relationships in Organic and Bio-Organic
Chemistry The Royal Society of Chemistry, Cambridge, 2003.
190
7
UTILIZZO DEGLI ISOTOPI NEGLI STUDI
MECCANICISTICI
____________________________________________________________________
7.1 Introduzione
191
7.2 Effetti cinetici isotopici
191
7.3 Marcatura isotopica
211
7.4 Problemi
218
7.5 Bibliografia
219
____________________________________________________________________
7.1 Introduzione
Nell’ambito di un edificio molecolare, la sostituzione di un atomo con un suo isotopo
costituisce la minima perturbazione strutturale possibile. Ciononostante le
informazioni che si possono dedurre dallo studio della reattività di molecole marcate
sono di grande aiuto nell’elucidazione del quadro meccanicistico realmente operante.
A questo proposito è utile introdurre il duplice aspetto degli effetti prodotti dalla
sostituzione di un atomo con un suo isotopo in una molecola organica. In primo luogo
si studiano le eventuali variazioni di velocità che intervengono nelle reazioni di
molecole marcate e non marcate. In questo caso si considerano i cosiddetti effetti
cinetici isotopici, che saranno discussi nella prima parte di questo capitolo. In
secondo luogo si analizza la distribuzione della marcatura isotopica che si verifica in
seguito alla reazione di una molecola marcata. Questo tipo di studio, che si avvale di
metodi d’indagine non cinetici, sarà trattato nella seconda parte del capitolo.
7.2 Effetti cinetici isotopici
Durante lo studio del meccanismo di una reazione organica capita frequentemente di
riferirsi allo stadio lento dell’intero processo, che ne determina la velocità
complessiva. Anche in presenza di informazioni che suggeriscono un quadro
meccanicistico generale, può darsi il caso che non si sappia riconoscere lo stadio
lento della reazione. A titolo d’esempio si consideri l’ossidazione cromica dell’alcol
isopropilico, che consiste in un primo passaggio nel quale si ha la formazione di un
estere cromico e di un secondo passaggio che prevede la decomposizione di questo
191
estere cromico in concomitanza con l’ossidazione dell’alcol secondario. Una
questione importante riguarda il momento in cui avviene la rottura del legame C-H
dell’isopropanolo, cioè se essa avviene o meno nello stadio lento della reazione. Per
chiarire questo punto si ricorre a misurazioni cinetiche che interessano sia
l’isopropanolo che il suo derivato Me2CLOH nel quale l’atomo d’idrogeno 1H
(pròzio) è stato rimpiazzato da un suo isotopo indicato con la lettera L.
H
OH
H O
+
_
+ HCrO4
H
O Cr OH
+ H2O
O
O
H O
O Cr OH
+
+ base
+ (baseH)
_
+ HCrO3
O
Poiché la velocità di reazione può cambiare passando dal substrato contenente pròzio
a quello contenente il suo isotopo L, i metodi d’indagine cinetica permettono di
individuare l’effetto cinetico isotopico inteso appunto come variazione della velocità
di reazione di un substrato marcato rispetto allo stesso substrato non marcato. E’
possibile distinguere tre tipi di effetti cinetici isotopici. Se la rottura del legame C-L è
coinvolta direttamente nello stadio lento della reazione, come nel caso delle
sostituzioni nucleofile SN 2, si parla di effetto cinetico isotopico primario indicato di
solito con l’acronimo PKIE (dall’inglese: Primary Kinetic Isotope Effect). Se non
avviene la rottura del legame C-L si parla di effetto cinetico isotopico secondario
(SKIE); ne è un esempio l’addizione nucleofila al carbonile dell’aldeide L3C-CHO.
C
L
_
X
lento
L3C CHO
δ
Nu
_
X
+
δ
C
_
L
δ
_
X
C
PKIE
O
SKIE
L3C
Nu
Il terzo tipo di effetto cinetico isotopico non dipende dalla posizione dell’isotopo L
rispetto al centro di reazione ma dal solvente in cui la reazione viene condotta. In
questo capitolo gli effetti cinetici isotopici saranno discussi nel modo più possibile
intuitivo evitando la formulazione matematica che, in una trattazione rigorosa, è
piuttosto pesante.
7.2.1 Effetto cinetico isotopico primario
Si consideri la generica molecola biatomica A-L. Nell’ambito dell’approssimazione
dell’oscillatore armonico le energie delle vibrazioni molecolari sono espresse
dall’equazione 7.1
192
En =
h
2π
k⎛
1⎞
⎜n + ⎟
µ⎝
2⎠
equazione 7.1
dove En è l’energia associata alla vibrazione n-esima, k è la costante di forza del
legame A-L, µ è la massa ridotta del sistema A-L ed è espressa da
µ=
mA mL
m A + mL
con mA, mL masse atomiche di A ed L; n è il numero quantico vibrazionale.
L’equazione 7.1 ha la forma di una parabola, per cui diagrammando le energie En in
funzione della distanza A-L si ottiene il grafico riportato nella Figura 7.1. In essa
sono messi in evidenza i livelli vibrazionali più bassi indicati con i numeri 0, 1, 2…
in ordine di energia crescente.
En
1
0
3
2
A L
Figura 7.1. Diagramma delle energie vibrazionali En in funzione della distanza A-L.
Qualora L = H, l’energia di punto zero E0(H) si calcola attraverso l’espressione
E 0 (H) =
h
2π
k
mA + mH
h
=
mA mH
2π
k
mA + 1
mA
mentre se L = D il corrispondente valore E0(D) è dato da
E 0 (D) =
h
2π
k
mA + mD
h
=
mA mD
2π
k
mA + 2
2m A
Evidentemente il radicando di quest’ultima espressione è minore di k(mA + 1)/mA e
ne consegue che E0(H) > E0(D). Questo risultato è piuttosto importante perché mette
193
chiaramente in luce che la sostituzione di un atomo di pròzio con un suo isotopo più
pesante ha come effetto quello di abbassare l’energia di punto zero della molecola
biatomica. Poiché di norma la sostituzione isotopica implica gli atomi pròzio e
deuterio, nel seguito del paragrafo ci si riferirà esclusivamente a questo tipo di
sostituzione. Si supponga ora che il legame A-L possa essere stirato fino alla sua
rottura. Paragonando tra loro le parabole che descrivono l’andamento energetico della
molecola proziata e di quella deuterata in funzione della distanza A-L si nota che
l’energia di attivazione necessaria per produrre la rottura del legame A-H è inferiore a
quella occorrente per realizzare lo stesso obiettivo nel caso del legame A-D. Dato che
allora ∆G≠H < ∆G≠D la velocità del processo che conduce alla rottura del legame A-L
dev’essere maggiore nel caso della specie proziata, ovvero kH > kD (Figura 7.2).
En
=
∆GH
=
∆GD
E0(H)
E0(D)
Figura 7.2. Confronto fra i ∆G di attivazione per la molecola proziata A-H e deuterata A-D.
Questo importante risultato è soggetto a tre approssimazioni piuttosto drastiche. In
primo luogo si è supposto che lo stato di transizione coinvolto nella rottura del
legame A-L sia identico per L = H ed L = D, inoltre si è completamente trascurata la
struttura vibrazionale di questo stato di transizione. Quale ulteriore approssimazione
si è supposto che il legame chimico A-L possa essere descritto convenientemente da
un oscillatore armonico. Ma i legami chimici sono oscillatori anarmonici descritti
dall’equazione di Morse
Er = D0[1-exp(- a∆r)]
dove D0 è l’energia di dissociazione del legame A-L, ∆r è la variazione della distanza
tra A ed L dalla posizione di equilibrio ed a = √k/2D0. L’andamento grafico
dell’equazione di Morse è riportato nella Figura 7.3, dove con D0(H) si indica
l’energia di dissociazione del legame A-H. Nonostante le tre approssimazioni
menzionate il modello dell’oscillatore armonico dà buoni risultati posto che si trattino
livelli vibrazionali sufficientemente bassi.
194
En
D0(H)
D0(D)
E0(H)
E0(D)
∆r
Figura 7.3. Andamento grafico dell’equazione di Morse.
Il fatto più significativo è comunque legato alla diseguaglianza ∆G≠H < ∆G≠D che
implica l’osservazione sperimentale di una variazione di velocità (kH > kD) solo se la
rottura del legame A-L avviene nello stadio lento della reazione. In altri termini
l’effetto cinetico isotopico primario, determinato dalla condizione kH/kD > 1, si
manifesta solo se l’atto reattivo prevede la rottura di un legame connesso
direttamente al centro di reazione, che avviene nello stadio cineticamente
determinante dell’intero processo. Passando alla descrizione delle energie di punto
zero per molecole poliatomiche è ancora possibile considerare un diagramma del tipo
di quello riportato nella Figura 7.2, che fornisce grossomodo gli stessi risultati
commentati a proposito del sistema biatomico A-L.
A questo punto è interessante procedere al calcolo del valore massimo possibile per
l’effetto cinetico isotopico primario nel caso di una generica molecola poliatomica
R-L, dove L può essere H o D. Si considerino anzitutto i valori della masse ridotte
µR-H, µR-L. Poiché in generale mR >> mH, mD si può scrivere
µ R -H =
µ R -D =
mR mH
mR
m
=
≈ R =1
mR + mH mR + 1 m R
mR mD
2 mR
2m R
=
≈
=2
mR + mD mR + 2 m R
Dall’equazione 7.1 si ha
mD
ν R -H
=
= 2
mH
ν R -D
e poiché
195
⎛ ∆G ≠
k = exp⎜⎜ −
⎝ RT
⎞
⎟ = exp⎛⎜ − Nhν ⎞⎟
⎟
⎝ RT ⎠
⎠
si può scrivere
⎡ Nh(1 − 1 / 2 )ν R -H ⎤
kD
⎡ Nh(ν R -H − ν R -D ) ⎤
= exp ⎢
= exp ⎢
⎥
⎥
2RT
2RT
kH
⎣
⎦
⎣
⎦
Prendendo νR-H = 2900 cm-1, che è un valore tipico per lo stiramento di un legame
C-H alifatico, dall’ultima espressione si ottiene kH/kD = 7.80 a 298 K. Si nota allora
che il valore dell’effetto cinetico isotopico primario dipende solo dalla massa degli
isotopi L, ed il valore massimo pari a 7.80 si riferisce al caso in cui avvenga la rottura
di un solo legame nello stadio lento della reazione. Tuttavia è molto comune riferirsi
a reazioni nelle quali si formano o si rompono simultaneamente più legami nello
stesso passaggio. Soprattutto è comune incontrare reazioni a differente tonalità
termica, ragione per cui è bene esaminare da un punto di vista qualitativo gli effetti
isotopici per un processo esoergonico, uno endoergonico ed uno termoneutro. In base
al postulato di Hammond lo stato di transizione coinvolto in un processo fortemente
esoergonico somiglia ai reagenti, ragion per cui nella reazione in cui un atomo A
provoca lo spostamento di L dal carbonio il legame C-L è poco stirato. Da un punto
di vista puramente descrittivo si può visualizzare lo stato di transizione come segue
←
→
→
CּּּLּּּּּּA
Considerando il diagramma energetico in funzione della coordinata di reazione si
ravvisa la situazione rappresentata nella Figura 7.4 (A), dalla quale appare evidente
come le differenze energetiche relative ai livelli vibrazionali rispettivamente dello
stato fondamentale e del corrispondente stato di transizione sono piuttosto simili. Ne
segue che essendo ∆G≠H ≈ ∆G≠D l’effetto isotopico primario dev’essere molto piccolo
o nullo. La stessa situazione si ritrova nel caso della reazione fortemente
endoergonica il cui diagramma energetico è rappresentato nella Figura 7.4 (B). Gli
stati di transizione
←
→
→
CּּּLּּּּּּA
e
←
←
→
CּּּּּּּLּּּA
corrispondenti rispettivamente al processo esoergonico ed a quello endoergonico
mostrano entrambi un modo vibrazionale di stiramento non nullo, da cui deriva che
l’energia vibrazionale dipende dalla massa di L. Ma nel caso di una reazione a
tonalità termica nulla o molto piccola, lo stato di transizione risulta posizionato
simmetricamente rispetto ai reagenti ed i prodotti lungo la coordinata di reazione.
Esso è visualizzabile come
196
←
→
CּּּּּLּּּּּA
nel quale l’atomo L non prende parte al modo vibrazionale di stiramento. L’energia
vibrazionale dello stato di transizione non dipende dunque dalla posizione di L e si
ravvisa la situazione mostrata nella Figura 7.4 (C). In quest’ultimo caso ∆G≠H < ∆G≠D
e dunque kH/kD > 1. Per uno stato di transizione disposto simmetricamente rispetto a
reagenti e prodotti lungo la coordinata di reazione ci si può aspettare che kH/kD sia
prossimo al valore massimo di 7.80. Per tutti i processi in cui lo stato di transizione
non si colloca esattamente a metà strada tra reagenti e prodotti ci si devono aspettare
valori dell’effetto cinetico isotopico inferiori a 7.80.
∆GH
G
GH
GD
G
GH
GD
∆GH
GH
GD
∆GH
∆GD
∆GD
∆GD
GH
GD
(A)
(B)
coordinata di reazione
∆GH
∆GD
coordinata di reazione
G
∆GH
∆GD
∆GH < ∆GD
GH
GD
(C)
coordinata di reazione
Figura 7.4. Andamento grafico degli effetti cinetici isotopici primari al variare della tonalità
termica del processo reattivo.
Gli effetti cinetici isotopici che riguardano la sostituzione di un atomo di pròzio con
uno di deuterio possono manifestare valori anche considerevolmente superiori a
quello di 7.80 calcolato come massimo. Questo disaccordo col semplice modello
teorico esaminato nel presente paragrafo trova spiegazione nel fatto che sono state
prese in considerazione le sole vibrazioni di stiramento sia a livello fondamentale che
di stato di transizione. Tenendo conto degli altri modi vibrazionali relativi al
197
piegamento dei legami C-H e C-D il valore massimo calcolato kH/kD si aggira intorno
a 48. Nel corso della presente discussione si è pure trascurato un secondo aspetto che
talvolta può assumere un’importanza rilevante nel determinare il valore sperimentale
del rapporto kH/kD. Si tratta della possibilità che intervenga l’effetto tunnell; un
fenomeno quantistico che consente il passaggio di un atomo attraverso la barriera di
attivazione spendendo un’energia inferiore a ∆G≠. Questo effetto è operante quasi
esclusivamente per atomi molto piccoli quali appunto il pròzio, mentre per atomi più
grandi e pesanti quali deuterio o trizio il tunnelling quantistico ha probabilità assai
inferiore di manifestarsi. E’ chiaro che in questo caso la differenza dell’energia libera
di attivazione ∆∆G≠ = ∆GD≠ - ∆GH≠ dev’essere superiore a quella diagrammata nella
Figura 7.2, il che implica un valore kH/kD superiore a quello calcolabile in base al
modello semplificato. Un esempio in tal senso è offerto dalla deprotonazione del
2-nitropropano con piridine 2,6-disostituite, che mostra kH/kD = 24.
Me2CLNO2 +
kH/kD = 24
Me2CNO2 +
R
N
R
R
N
R
L
Fino a questo punto si è discusso degli effetti cinetici intermolecolari; si sono cioè
paragonate le energie dei legami C-H e C-D appartenenti a due molecole diverse. Ma
è particolarmente istruttivo descrivere l’effetto cinetico isotopico intramolecolare
laddove esso risulti dalla competizione tra i legami C-H e C-D presenti nella stessa
molecola nei confronti di una determinata trasformazione chimica. Quale esempio si
consideri la reazione radicalica tra il generico radicale R• e l’α-deuterotoluene.
H
kH
H
H
Ph
D
+
R
Ph
+
R H
+
R D
D
kD
H
Ph
H
Le costanti di velocità kH e kD si riferiscono rispettivamente all’allontanamento dal
substrato di un atomo di pròzio o di deuterio. La rottura di un legame C-H genera un
radicale contenente un legame C-D, sicché lo stato di transizione per questo processo
si colloca ad energia inferiore rispetto a quello, concorrente, che prevede la rottura
del legame C-D (Figura 7.5). La rimozione dell’atomo di deuterio dal substrato è
dunque cineticamente sfavorita poiché ∆GD≠ > ∆GH≠, ovvero kH > kD. Nel caso in
questione kH/kD = 1.3 se R• = Cl•. Qualora R• = Br• il rapporto kH/kD = 4.6. Questo
maggior effetto isotopico è attribuibile alla diversa natura degli stati di transizione
coinvolti; in presenza del radicale Br• lo stato di transizione è più simile ai prodotti di
quanto non avvenga se R• = Cl•. Ne segue che nel primo caso lo stato di transizione
deve possedere maggiore carattere radicalico ed è plausibile che la differenza
energetica ∆GD≠ - ∆GH≠ sia superiore rispetto a quella in gioco se R• = Cl•.
198
G
H
Ph
GD
GH
H
H
Ph
∆GH
D
∆GD
coordinata di reazione
Figura 7.5. Diagramma energetico per la reazione radicalica dell’α-deuterotoluene.
L’entità degli effetti cinetici isotopici primari solitamente diminuisce all’aumentare
della temperatura. La razionalizzazione di questo comportamento è piuttosto
semplice; le differenze energetiche ∆GH≠ - ∆GD≠ sono di solito abbastanza piccole e
prossime al valore dell’energia termica a temperatura ambiente. Un aumento di
temperatura del sistema rende quindi trascurabile questa differenza energetica. Nella
Tabella 7.1 sono riportati i valori dell’effetto cinetico isotopico primario per la
bromurazione dell’α-deuterotoluene al variare della temperatura, mentre nella Tabella
7.2 compaiono i dati relativi all’andamento dell’effetto cinetico isotopico primario
per la clorurazione del metano. In quest’ultimo caso i valori di PKIE > 7.80 sono
dovuti sia alle vibrazioni di piegamento dei legami C-H, C-D che all’effetto tunnel
operante in questa reazione.
Tabella 7.1. PKIE nella bromurazione dell’α-deutero
toluene in funzione della temperatura.a
___________________________________________________________________
T (°C)
kH/kD
T (°C)
kH/kD
___________________________________________________________________
121
130
142
6.69
6.53
6.17
150
160
5.93
5.69
___________________________________________________________________
a
In fase gassosa.
Tabella 7.2. PKIE nella clorurazione del metano in
funzione della temperatura
___________________________________________________________________
T (°C)
kH/kD
T (°C)
kH/kD
___________________________________________________________________
-23
0
14.4
12.1
52
71
8.2
7.1
___________________________________________________________________
199
Dato che l’effetto cinetico isotopico primario si manifesta come sola conseguenza
della variazione di massa dell’atomo L, è evidente che il raddoppio della massa
passando da pròzio a deuterio fa in modo che il rapporto kH/kD sia il massimo
possibile in confronto a qualsiasi altra coppia di isotopi. Se l’atomo L è un atomo
pesante, intendendo con questo termine un qualsiasi atomo diverso dal pròzio, il
rapporto tra le masse atomiche dev’essere necessariamente inferiore a 2, il che
implica un valore kL/kL* di poco superiore all’unità. E’ intuitivo che aumentando il
valore della massa atomica di L il valore kL/kL* diventa sempre più prossimo all’unità.
Valori tipici riscontrati per gli effetti cinetici isotopici primari di atomi pesanti sono i
seguenti.
12 14
C/ C
1.092
14
N/15N
1.045
16
O/17O
1.063
32 34
S/ S
1.015
A titolo d’esempio si consideri la decarbossilazione dell’acido 3-fenil-3-osso
propionico marcato al carbonio carbossilico il cui stato di transizione prevede la
rottura del legame –CH2-*COO. Il rapporto tra le costanti di velocità misurate nel
caso degli isotopi 12C e 13C è pari a 12k/13k = 1.040 confermando che l’estrusione di
anidride carbonica avviene nello stadio lento della reazione.
O
Ph
C*OOH
O
∆
Ph
_
δ
CH2
+
δ
*C
O
O
Ph
+ *CO2
O H
7.2.2 Esempi di effetti cinetici isotopici primari
Poiché l’effetto cinetico isotopico primario si manifesta quando il legame C-L si
rompe nello stadio lento della reazione, è plausibile che l’entità di tale effetto sia
tanto più grande quanto più è avanzato lo stiramento del legame in questione. Questo
parallelismo è molto utile nello studio meccanicistico delle reazioni organiche dato
che da misurazioni cinetiche si può dedurre con sicurezza in quale passaggio viene
scisso il legame C-L. Nel presente paragrafo saranno esaminati gli effetti cinetici
isotopici primari per un certo numero di classi di reazioni, proponendo per ciascun
esempio una spiegazione più possibile coerente con l’entità dell’effetto misurato.
7.2.2.1 Sostituzioni nucleofile al carbonio saturo. I processi dissociativi tipo SN1
sono caratterizzati da valori dell’effetto cinetico isotopico primario piuttosto elevati
dato che il legame C-X si rompe nello stadio lento corrispondente alla ionizzazione
del substrato.
R X
lento
+
δ
R
δ
X
_
prodotti
Dato che l’atomo X che si scinde dando luogo alla formazione di un carbocatione è di
solito un atomo pesante i valori di PKIE sono solitamente compresi tra 1.005 e 1.500
a secondo della sua massa.
200
Anche nel caso di processi SN2 l’effetto cinetico isotopico primario riguarda atomi
pesanti e pertanto i valori sono compresi tra 1.0032 e 1.135.
C
X
_
δ
Y
_
Y
lento
+
δ
C
δ
X
_
prodotti
7.2.2.2 Sostituzioni elettrofile aromatiche. Per una reazione di sostituzione elettrofila
aromatica sono possibili, in linea di principio, i tre meccanismi differenti riportati
nello Schema seguente.
(a)
Ar
Ar
L
_
+
+
B
lento
veloce
+
E
Ar
L
B
Ar
(b)
Ar
L +
E
Eδ
k1
k-1
Ar
L +
+
E
B
lento
k2
Ar
veloce
L
lento
(c)
+
+
BL
Ar E
+
+
_
E
+
B
Ar
L
Ar E +
+
BL
E
Ar
L
Ar E +
B
+
BL
Nel caso fossero realmente operanti i meccanismi contrassegnati con le lettere (a) e
(c), si dovrebbe osservare un effetto cinetico isotopico primario grande e prossimo al
valore teorico di 7.80. Ciò non avviene però nella maggior parte delle delle
sostituzioni elettrofile aromatiche; ad esempio nelle due seguenti reazioni si ha
benzene + HNO3
PhNMe2 + Br2
kH/kD = 1.00
kH/kD = 1.00
ovvero l’effetto cinetico isotopico primario è assente. Per queste tipiche sostituzioni
elettrofile aromatiche i meccanismi SEAr e SE3, corrispondenti rispettivamente ai
percorsi (a) e (c), possono essere scartati proprio sulla base dell’assenza di PKIE. Per
quanto riguarda il meccanismo SE2Ar contrassegnato dalla lettera (b), esso è
compatibile con le misurazioni cinetiche realizzate su molecole marcate solo nel caso
in cui k2 >> k1, k-1. In questo caso infatti il legame C-L non viene scisso nello stadio
lento del processo. Esistono tuttavia alcuni esempi di sostituzioni elettrofile
aromatiche che mostrano un valore kH/kD maggiore di uno. Ne sono esempi
l’ossimercuriazione del benzene e e la solfonazione del bromobenzene.
benzene + (AcO)2Hg
PhBr + oleum
kH/kD = 6.00
kH/kD = 1.50
201
Nella prima di queste due reazioni si misura kH/kD = 6.00 il che può significare che,
nell’ambito dello schema meccanicistico SE2Ar, k2 è piccola e costituisce lo stadio
lento della reazione, oppure k-1 >> k1. La solfonazione del bromobenzene è un
processo reversibile, sicché k1 ≈ k-1. In questo modo si instaura una situazione di
equilibrio e la velocità del processo è determinata dai passaggi successivi che
implicano la lisi del legame C-L. Un ulteriore esempio di sostituzione elettrofila
aromatica che mostra PKIE non nullo è rappresentato dalla diazocopulazione tra sali
di arildiazonio e naftaleni attivati. L’effetto cinetico isotopico primario di questa
reazione dipende dalla concentrazione della base B. In acqua il passaggio lento è
costituito dall’estrazione dell’atomo L da parte della base, che in questo caso è assai
diluita. Aggiungendo piridina alla miscela di reazione si incrementa la concentrazione
di base e k2 aumenta assumendo un valore simile a quello di k1. Ne segue,
ovviamente, la diminuzione dell’effetto cinetico isotopico primario.
Cl
Cl
N
O3S
L
O3S L
N2
OH
k1
k-1
+
O3S
N
O3S L
N
OH
O3S
OH
B
k2
N
+
+
BL
O3S
Cl
7.2.2.3 Eliminazioni. In genere le reazioni di eliminazione bimolecolare mostrano
valori apprezzabili dell’effetto cinetico isotopico primario sia nel caso della coppia
H/D che per quanto riguarda coppie di atomi pesanti.
(CL3)2CHBr + EtO¯
kH/kD = 6.70
CH3CH2N*+Me3 + t-BuO¯
14
PhCL2CH2N+Me3 + EtO¯
PhCH2CH2N*+Me3 + EtO¯
kH/kD
14 15
PhCL2CH2S+Me2 + EtO¯
PhCH2CH2S*+Me2 + EtO¯
kH/kD
32 34
Me2(CL3)C-S+Me2 + EtO¯
Me3C-S*+Me2 + EtO¯
kH/kD = 5.1
32 34
k/ k = 1.0072
k/15k = 1.0141
= 3.23
k/ k = 1.0142
= 5.10
k/ k = 1.0064
Nel caso di sin-eliminazioni, che avvengono per lo più su sistemi ciclici rigidi, i
valori kH/kD sono minori di quelli che si osservano nel caso di sistemi aperti.
NMe3
L
+
+ Me3N L
202
kH/kD = 1.71
7.2.2.4 Addizioni elettrofile agli alcheni. La somma di acidi al doppio legame
etilenico decorre attraverso uno stato di transizione che prevede il parziale distacco
del protone nello stadio lento della reazione. Per questo motivo si osservano effetti
cinetici isotopici primari non nulli la cui entità è piuttosto variabile a secondo
dell’acido coinvolto, come è testimoniato dai seguenti esempi.
CH2=CHOR + HCOOL
kH/kD = 6.80
+
CH2=CHOR + L3O
kH/kD = 2.95
RCH=CHR + LCl
kH/kD = 1.80
7.2.3 Effetto cinetico isotopico secondario
E’ possibile osservare effetti cinetici isotopici anche quando il legame C-L non è
sottoposto a rottura durante il processo reattivo. In questi casi si parla di effetti
cinetici isotopici secondari, che sono a loro volta classificabili come:
- effetti α, se il legame C-L si trova in posizione 1- rispetto al sito reattivo,
- effetti β, se il legame C-L è situato in posizione 2- rispetto al sito reattivo.
Un esempio di effetto cinetico isotopico secondario di tipo α è quello relativo
all’acetolisi del 2-bromopropano marcato in posizione 2-, per il quale kH/kD = 1.15.
Me
Me
L
Br
_
AcO
Me
Me
L
OAc
Un esempio di effetto cinetico isotopico secondario di tipo β si osserva nel caso della
solvolisi del 2-bromopropano marcato ai due gruppi metilici, kH/kD = 1.34.
CL3
H
CL3
H2O
CL3
H
Br
CL3
OH
Come si può rilevare dai due esempi proposti, i valori degli effetti cinetici isotopici
secondari sono in genere piuttosto piccoli ma pur sempre valutabili con precisione.
Inoltre è possibile mettere in relazione il carattere carbocationico dell’intermedio che
eventualmente si sviluppa nel corso della reazione con l’entità dell’effetto cinetico
isotopico secondario, il che può costituire un’informazione meccanicistica preziosa.
Per comprendere l’origine dell’effetto cinetico isotopico secondario di tipo α è utile
prendere in considerazione i modi di vibrazione del legame C-L sia nello stato
fondamentale che nello stato di transizione. Dall’analisi teorica dell’effetto cinetico
isotopico si ricava la seguente espressione, che in questa sede è conveniente prendere
come dato di fatto senza fornire una dimostrazione dettagliata.
⎡ 0.1865
⎤
kH
≈ exp ⎢
(ν Hi − ν H≠ i )⎥
∑
kD
i
⎣ T
⎦
equazione 7.2
L’equazione 7.2 mette in relazione i numeri d’onda relativi alle vibrazioni della
molecola proziata nel suo stato fondamentale e nello stato di transizione. Può apparire
203
sorprendente che il rapporto kH/kD possa essere determinato considerando solo i modi
vibrazionali relativi alla molecola proziata. Una razionalizzazione intuitiva si basa
sulla possibilità che lo stato di transizione possa essere stabilizzato per
iperconiugazione. Qualora questo stato di transizione abbia carattere di carbocatione
è plausibile l’intervento di strutture iperconiugative a carattere isovalente. Per
illustrare il fenomeno dell’iperconiugazione è conveniente considerare il seguente
classico esempio di stabilizzazione iperconiugativa del catione etilico.
+
H
H
H C CH2
ecc.
H C CH2
H
H
E’ evidente che la lunghezza dei legami C-H del gruppo metilico aumenta proprio
grazie all’intervento dell’iperconiugazione. Ma quanto più il legame è lungo tanto più
la sua costante di forza è minore; l’energia richiesta per provocare una vibrazione
dev’essere dunque minore rispetto a quella richiesta nello stato fondamentale.
L’atomo di deuterio ha poca tendenza a stabilizzare i carbocationi per
iperconiugazione, sicché le energie di punto zero per il legame C-D non subiscono
variazioni significative né allo stato fondamentale né allo stato di transizione.
Visivamente ne risulta un diagramma simile a quello riportato nella Figura 7.6 (pag.
205); si comprende allora come il rapporto kH/kD possa essere espresso in modo
soddisfacente ricorrendo ai soli valori νH e ν≠H. Il valore dell’effetto cinetico isotopico
secondario di tipo α si può prevedere considerando la variazione di ibridizzazione del
centro reattivo. In riferimento all’esempio del 2-bromopropano proziato si
identificano due modi vibrazionali degeneri dovuti al piegamento del legame C-H a
1340 cm-1. Nel caso il meccanismo di acetolisi preveda il passaggio attraverso un
intermedio carbocationico il cui centro reattivo è ibridizzato sp2, occorre tenere conto
della vibrazione di piegamento fuori dal piano del legame C-H, cui spetta numero
d’onda pari ad 800 cm-1. Ammettendo che lo stato di transizione sia sufficientemente
simile all’intermedio carbocationico, il che è plausibile sulla base del postulato di
Hammond, l’argomento al secondo membro dell’equazione 7.2 è positivo. Se ne
conclude che kH/kD > 1 se l’ibridizzazione del centro reattivo subisce un incremento
del carattere s, passando da sp3 a sp2 come accade in questo caso. Qualora kH/kD > 1
l’effetto cinetico isotopico secondario si dice di tipo α normale.
Me
L
Me
Br
Me
Me
L
Br
_
_
AcO
Me
Me
L
OAc
+ HBr
Sulla base dell’equazione 7.2, e quindi dei modi vibrazionali associati allo stato
fondamentale ed allo stato di transizione, è facile intuire che una variazione
dell’ibridizzazione del centro reattivo a favore di una diminuzione del carattere s
sortisce un effetto cinetico isotopico secondario di tipo α inverso per cui vale la
diseguaglianza kH/kD < 1.
204
Per quanto concerne gli effetti cinetici isotopici di tipo β, la loro origine è stata a
lungo oggetto di controversie. La spiegazione accettata comunemente si basa
sull’iperconiugazione esercitata dal o dai legami C-L nei confronti dell’eventuale
intermedio di reazione carbocationico, dato che l’entità dell’effetto cinetico isotopico
secondario di tipo β è massima quando lo stato di transizione coinvolto nella
trasformazione possiede un notevole carattere di carbocatione. A causa della minor
propensione dei legami C-D ad instaurare il fenomeno dell’iperconiugazione, la
differenza tra le energie vibrazionali relative ai legami C-H e C-D nello stato di
transizione è inferiore rispetto a quella che si riscontra nello stato fondamentale. La
reazione è dunque rallentata per sostituzione di un atomo di pròzio con uno di
deuterio (kH/kD > 1, Figura 7.6).
G
GH
GD
∆GH
∆GD
GH
GD
∆GH < ∆GD
coordinata di reazione
Figura 7.6. Diagramma energetico tipico di un effetto cinetico isotopico secondario di tipo β.
7.2.4 Esempi di effetti cinetici isotopici secondari
Nella solvolisi di cloruri allilici opportunamente marcati in posizione 1- si osserva
effetto cinetico isotopico secondario diretto di tipo α. Posizionando la marcatura a
maggiore distanza dal centro reattivo, ovvero in posizione 3-, non si ha effetto
cinetico isotopico. In questo caso l’eccessiva distanza della marcatura dal centro di
reazione è da ritenersi responsabile di questo comportamento.
L
L
L
Cl
L
L
SOH
-HCl
L
L
OS
L
Cl
kH /kD =1.2
L
SOH
-HCl
L
kH /kD =1
L’addizione dello ione cianuro al carbonile della benzaldeide o di benzaldeidi
para-sostituite produce un effetto di tipo α inverso dato che si verifica una
diminuzione del carattere s del carbonio carbonilico la cui ibridizzazione passa da sp2
ad sp3.
205
O
Ph
HCN
L
L
OH
Ph
kH /kD = 0.83
CN
Lo stesso tipo di effetto si riscontra nella reazione di Diels-Alder tra antracene
marcato ed anidride maleica. Anche in questo caso l’ibridizzazione degli atomi di
carbonio interessati alla cicloaddizione subiscono la diminuzione del carattere s
passando da sp2 ad sp3.
L
O
O
+
O
O
O
L
L
kH /kD = 0.91
O
L
Per quanto riguarda gli effetti cinetici isotopici di tipo β, si prendano quali esempi le
reazioni di solvolisi di tipo SN1 su sistemi diidroantracenici pontati. In questi casi la
posizione della marcatura è in grado di influenzare il tipo, diretto od inverso,
dell’effetto cinetico. La posizione di questa marcatura sull’entità dell’effetto
isotopico non è stata del tutto chiarita.
Cl
L
L
Cl
L
L
kH /kD =0.99
kH /kD =1.14
7.2.5 Effetti cinetici isotopici di tipo sterico
La variazione della velocità di reazione causata dalla sostituzione di uno o più atomi
della struttura molecolare con una specie isotopica può avere anche un’origine di tipo
sterico. Nel caso in cui gli isotopi coinvolti siano il pròzio ed il deuterio, è bene
ricordare che la lunghezza del legame C-H è leggermente superiore a quella del
legame C-D (0.001 Å). Ne segue che l’effetto d’ingombro sterico esercitato ad
esempio dal gruppo CD3 è inferiore a quello del gruppo metilico. In reazioni nelle
quali l’ingombro sterico è più importante a livello di stato di transizione piuttosto che
allo stato fondamentale si osserva frequentemente un piccolo effetto cinetico
isotopico inverso. Questo comportamento deriva dalla maggior costante di forza
relativa al legame C-D rispetto al legame C-H, che a sua volta implica l’aumento
dell’energia di punto zero relativa alla molecola proziata a livello dello stato di
transizione, mentre l’energia di punto zero della molecola deuterata non subisce
modifiche sostanziali. Quali esempi significativi si propongono le racemizzazioni di
due substrati enantiopuri che per poter avvenire debbono passare attraverso uno stato
di transizione particolarmente congestionato dal punto di vista sterico.
206
L3C
L3C
kH /kD = 0.88
CL3
CL3
L
Br
Br
COOH
HOOC
Br
L
HOOC
L
COOH
L
kH /kD = 0.84
Br
7.2.6 Effetti isotopici dovuti al solvente
La velocità di una reazione organica può variare qualora essa venga condotta in un
solvente proziato, SOH, piuttosto che nel corrispondente solvente deuterato, SOD. Si
possono distinguere tre casi nei quali questo fenomeno può avere luogo.
1. Se il solvente funge da reattivo ed il legame SO-H subisce la rottura nello stadio
lento della reazione, si verifica un effetto cinetico isotopico primario esattamente
come accade nel caso di molecole marcate il cui legame C-L si rompe nello stadio
cineticamente determinante dell’intero processo. Qualora il solvente sia l’acqua e
vengano realizzate le stesse reazioni in H2O ed in D2O si può manifestare un effetto
cinetico isotopico secondario determinato dal legame O-D che non viene scisso.
2. Le molecole del substrato possono essere marcate con deuterio attraverso un rapido
scambio con un idrogeno mobile. Un buon numero di gruppi funzionali come acidi
carbossilici, alcoli, ammine, ammidi, fenoli ecc. sono in grado di realizzare
facilmente questo scambio per semplice miscelazione del substrato proziato con D2O.
Poiché di norma è necessario che il gruppo funzionale coinvolto nella deuterazione
presenti un idrogeno mobile, il nuovo legame che si forma è del tipo X-D, dove con
X si indica un generico eteroatomo. In un secondo tempo le molecole così deuterate
possono subire rottura del legame X-D nello stadio lento del processo dando origine
ad un effetto cinetico isotopico primario.
3. La natura dell’interazione solvente-soluto può essere differente per le specie
proziate e deuterate, il che può implicare variazioni dell’energia di attivazione a
secondo del tipo di isotopo presente.
Per definire quantitativamente l’efficacia con cui avviene la deuterazione del
generico substrato proziato RX-H si misura la costante di equilibrio Φ, detta fattore di
frazionamento, espressione dell’equilibrio
RX-H + SO-D
Φ=
RX-D + SO-H
[RX - D][SO - H ]
[RX - H][SO - D]
In questo caso l’effetto isotopico non è cinetico ma di equilibrio. Talvolta la costante
Φ viene anche definita come rapporto [RX-D]/[RX-H]. Il fattore di frazionamento
207
dipende solo dal tipo di gruppo funzionale X al quale è legato l’atomo L soggetto a
scambio isotopico. Qualora Φ > 1 il prodotto si arricchisce nell’isotopo più pesante;
al contrario un valore di Φ < 1 indica l’arricchimento del prodotto nell’isotopo più
leggero. La maggior parte dei fattori di frazionamento è compresa tra 0.9 ed 1.1, ma
nel caso in cui L = H, D i valori possono anche risultare inferiori a 0.9 e superiori a
1.1. Per un fattore di frazionamento pari a 1.050 l’effetto isotopico di equilibrio
ammonta al 5% [(1.050 – 1.000)100]. Nella Tabella 7.1 sono riportati i valori dei
fattori di frazionamento per alcuni gruppi funzionali comuni. Per quanto riguarda
alcoli ed acidi carbossilici, nelle miscele H2O/D2O si osserva Φ = 1; il substrato
distribuisce statisticamente la marcatura. Questo comportamento è dovuto al fatto che
i modi vibrazionali del gruppo alcolico e della parte idrossilica del gruppo carbossi
sono praticamente identici a quelli dell’acqua. Qualora il protone mobile sia legato ad
un carbonio, un azoto od uno zolfo si osserva Φ < 1 ad indicare la preferenza del
substrato per l’isotopo più leggero. In questi casi, evidentemente, le costanti di forza
relative ai legami X-H sono maggiori in acqua che in D2O.
Tabella 7.1. Fattori di frazionamento di alcuni gruppi funzionali (L = H, D).
_________________________________________________________________________________________________
Gruppo funzionale
Φ
Gruppo funzionale
Φ
_________________________________________________________________________________________________
R-O-L
R-COO-L
R-C(OR)O-L
R2O+L
L-O¯
1
1
1.25
0.69
0.5
R2N-L
R3N+-L
R-S-L
R3C-L
N≡C-L
0.92
0.97
0.4
1
0.6
_________________________________________________________________________________________________
Il valore del fattore di frazionamento è utile nell’individuazione di legami ad
idrogeno particolarmente forti. Si consideri ad esempio il caso del monoanione
dell’acido orto-ftalico. La particolare situazione dell’idrogeno a ponte tra due gruppi
carbossilato comporta che la somma delle costanti di forza dei due legami
OּּּּHּּּּO sia inferiore a quella che si avrebbe nel caso di un legame ad idrogeno
intermolecolare del tipo O-HּּּּO. Dato che il deuterio si accumula preferibilmente
nel substrato caratterizzato dalla maggior costante di forza relativa al legame X-H, si
giustifica il valore sperimentale Φ = 0.50 per il monoanione dell’acido orto-ftalico.
O
O
δ
O
_
δ+
H
O _
δ
Considerando lo scambio protonico cui è soggetta la generica specie reagente RX-H
sia in acqua pura che in D2O puro, l’equazione 7.3 mostra che il rapporto relativo alle
costanti di equilibrio per le reazioni che avvengono in D2O puro (KD) ed in H2O pura
208
(KH) corrisponde al rapporto tra i prodotti dei fattori di frazionamento relativi ai
prodotti di reazione (Φpi) ed ai reagenti (Φrj).
KD
=
KH
p
∏i Φ ip
r
∏ j Φ rj
equazione 7.3
L’estensione dell’equazione 7.3 a processi cinetici richiede di tenere conto dei fattori
di frazionamento Φ≠i relativi ai corrispondenti stati di transizione trattati come
prodotti. Si ottiene l’equazione 7.4, che rappresenta il reciproco dell’effetto cinetico
isotopico definito come kH/kD.
kD
=
kH
≠
∏i Φ i≠
r
∏ j Φ rj
equazione 7.4
7.2.7 Metodo dell’”inventario dei protoni”
Si supponga che una reazione condotta in un solvente protico implichi il
trasferimento di un protone nello stadio lento del processo. Come si è detto nei
paragrafi precedenti, in queste condizioni si verifica un effetto cinetico isotopico
primario. Se la reazione in questione viene realizzata in presenza di un solvente
deuterato SO-D, è plausibile che avvenga uno scambio del tipo
SO-D → SO-H
Tra la costante velocità kn della reazione in esame e la frazione molare di deuterio
presente nella miscela SO-D/SO-H che si va formando nel corso della reazione si
instaura una relazione lineare. Infatti, detta n la frazione molare di deuterio presente
nella specie SO-D, la costante di velocità kn è data da
kn = (1 - n) kH + n kD
Tenendo presente l’equazione 7.4 si ha
kn = (1 - n) kH + n (kD/kH)kH = (1 - n) kH + n Φ kH
kn = kH (1 - n + n Φ)
equazione 7.5
Quest’ultima equazione mostra che se la reazione viene condotta nel solvente
proziato puro SO-H si ha n = 0 e quindi kn = kH, mentre se la stessa reazione decorre
nel solvente deuterato puro SO-D si ha n = 1 da cui kn = Φ kH = kD. Ma soprattutto
l’equazione 7.5 si può riscrivere nella forma
kn
= 1 − n + nΦ
kH
che è valida nel caso si verifichi il trasferimento di un protone nello stadio lento del
processo. Qualora si possa verificare il trasferimento contemporaneo di più protoni
quest’ultima equazione diventa
209
kn
= (1 − n + nΦ1 )(1 − n + nΦ 2 )(1 − n + nΦ 3 )......
kH
equazione 7.6
dove ciascun Φi rappresenta il fattore di frazionamento per ciascun protone che viene
trasferito. Qualora si verifichi il trasferimento di un solo protone, il diagramma che
riporta kn/kH in funzione della frazione molare n è lineare. Se vengono trasferiti due
protoni lo stesso diagramma mostra un andamento quadratico e così via. Il termine
“inventario dei protoni”, che è una traduzione diretta del termine inglese “Proton
Inventory”, rappresenta quindi un utile strumento che permette di stabilire quanti
protoni vengono scambiati nello stadio lento della reazione.
La tecnica dell’”inventario dei protoni” ha numerose applicazioni nell’elucidazione di
meccanismi complessi, in particolare nel campo dell’enzimologia. In questo vasto
campo infatti la catalisi enzimatica può implicare lo scambio di più protoni nello
stadio lento del processo. Ad esempio l’enzima ribonucleasi A è in grado di aprire
l’anello fosforato a cinque termini dell’RNA.
Il meccanismo ipotizzato prevede lo spostamento di due protoni nello stadio lento del
processo: un protone dell’acqua attaccato dall’imidazolo legato all’enzima ed un
protone dello ione imidazolio fissato dal gruppo uscente.
RO
O
Base
Enz
HN
N H
O
O
P
O
H
O
N
NH
O
H
Enz
Se il meccanismo ipotizzato fosse corretto il diagramma di kn/kH in funzione della
frazione molare n dovrebbe assumere una forma quadratica, il che accade
effettivamente come rappresentato nella Figura 7.7. In questo caso l’equazione 7.6 è
soddisfatta da due valori di Φ identici ed uguali a 0.58.
kn/kH
n (D2O)
Figura 7.7. Diagramma di kn/kH in funzione di n per l’apertura d’anello del fosfodiestere dell’RNA.
210
7.3 Marcatura isotopica
Tra i metodi impiegati tradizionalmente per l’elucidazione dei meccanismi delle
reazioni organiche riveste particolare importanza la tecnica della marcatura isotopica.
In una prima fase essa consiste nella sintesi di molecole marcate con gli isotopi
opportuni, oppure nello svolgimento delle reazioni in un solvente marcato, ad
esempio D2O. In seguito si svolge lo studio analitico, che consiste nell’individuazione
della marcatura isotopica nel prodotto (o nei prodotti) di reazione. Per via del
carattere introduttivo del presente paragrafo saranno presi in considerazione solo
alcuni studi fondamentali raggruppati per classi di reazione.
7.3.1 Sostituzioni nucleofile SN2.
L’inversione di configurazione tipica delle reazioni SN2 è stata stabilita attraverso un
elegante esperimento in cui il 2-iodo ottano otticamente puro reagisce con l’isotopo
128
I ¯. Lo spostamento dello iodio non marcato viene seguito analizzando il contenuto
di 128I nel 2-iodo ottano al procedere della reazione. Questa reazione di spostamento
nucleofilo è del second’ordine e risulta espressa dall’equazione cinetica
v = k2[2-iodo ottano][128I ¯]
dove k2 = 3.00 ± 0.25 x 10-5 mol l-1 s-1. Nel caso avvenga l’inversione della
configurazione allo stereocentro, come si prevede nel caso di una reazione SN2,
l’attività ottica della soluzione si deve annullare nel corso della reazione mentre la
velocità di racemizzazione dev’essere doppia rispetto alla velocità d’inversione.
Seguendo la reazione con metodi polarimetrici si è in grado di determinare la velocità
di racemizzazione dalla quale si calcola il valore della costante di velocità
d’inversione che risulta pari a k2 = 2.88 ± 0.03 x 10-5 mol l-1 s-1 a 30°C. E’ evidente
che le velocità di spostamento e d’inversione sono identiche entro i limiti dell’errore
sperimentale, da cui segue che ogni singolo spostamento bimolecolare deve
procedere con inversione di configurazione.
7.3.2 Sostituzioni all’anello aromatico.
Nel loro stadio iniziale, le sostituzioni elettrofile aromatiche procedono attraverso la
formazione di un complesso π nel quale non si ha formazione di legami diretti tra gli
atomi di carbonio anulari e l’elettrofilo attaccante.
+
X
Ad esempio il toluene forma reversibilmente un complesso 1:1 con l’acido cloridrico
a -78°C. La mancanza di legame diretto tra uno dei carboni dell’anello aromatico ed
il protone dell’acido cloridrico è confermata dall’analoga reazione condotta con DCl.
Anche in questo caso infatti si forma un complesso π la cui decomposizione non dà
luogo allo scambio H-D all’anello aromatico. D’altra parte l’azione del DCl in
presenza di acidi di Lewis quale ad esempio AlCl3 comporta uno scambio pròzio-
211
deuterio all’anello aromatico confermando la formazione di un intermedio σ
(intermedio di Wheland).
H
D
_
AlCl4
Nell’ambito delle sostituzioni elettrofile aromatiche non esistono evidenze dirette che
AlCl3 formi complessi di tipo H+ AlCl3X¯ con gli acidi alogenidrici. Tuttavia
nell’alchilazione secondo Friedel/Crafts è stato dimostrato che gli alogenuri alchilici
reagiscono con gli acidi di Lewis per scambio di bromo radioattivo tra bromuro di
etile e Al*Br3.
Et-Br + Al*Br3 → Et-*Br + BrAl*Br2
E’ noto che la solfonazione del naftalene condotta a 160°C in presenza di acido
solforico concentrato produce una miscela d’equilibrio degli acidi solfonici 1- e 2sostituiti.
SO3H
SO3H
+
H2SO4
+
20 : 80
Questo processo è controllato termodinamicamente, come si può dedurre dal
semplice fatto che riscaldando l’acido 1-naftalensolfonico oppure l’acido 2-naftalen
solfonico in acido solforico a 160°C si ottiene in ogni caso la medesima miscela di
equilibrio dei due acidi solfonici. La conversione degli acidi solfonici puri nella
miscela 20 : 80 può procedere, in linea di principio, attraverso due vie differenti: (i)
per isomerizzazione intramolecolare o (ii) per retrosolfonazione seguita da un nuovo
attacco elettrofilo alla posizione adiacente. Per distinguere tra questi due percorsi
meccanicistici è stata eseguita la reazioni in H235SO4. E’ evidente che il percorso (i)
non può comportare l’incorporazione di 35S al nucleo naftalenico al contrario della
via (ii). Sperimentalmente si rileva l’incorporazione di 35S al nucleo naftalenico,
sebbene ad una velocità minore di quella di conversione. Ciò può significare che
entrambi i percorsi (i) e (ii) operano simultaneamente, oppure che la
retrosolfonazione prevista dalla via (ii) è seguita dal ritorno da parte dell’acido
solforico non marcato che avviene più velocemente dell’attacco di H235SO4 che
costituisce il mezzo di reazione; la questione non è ancora stata chiarita.
Nel bilancio complessivo delle reazioni di sostituzione nucleofila aromatica che
procedono attraverso il meccanismo SN1 l’estrusione di azoto è un processo
irreversibile. Tuttavia lo spostamento di azoto dai sali di diazonio è reversibile, come
testimoniato dallo scambio della marcatura isotopica sui sali di benzendiazonio
marcati con 15N.
15
Ph N N
Ph
15
N N
212
15
Ph N N
Tra le sostituzioni nucleofile all’anello aromatico che procedono su substrati non
attivati dalla presenza di gruppi elettronattrattori non si verifica solo ipsosostituzione,
ovvero il nucleofilo attaccante non rimpiazza il gruppo uscente solo nella medesima
posizione. Questo comportamento è spiegato dal meccanismo di eliminazioneaddizione che implica la formazione intermedia di arini, ed è stato elucidato dalla
reazione tra l’1-14C-clorobenzene e la potassio ammide. Questa reazione comporta la
formazione di una miscela equimolecolare di aniline marcate in posizione 1- e 2-.
Cl
14
14
+
NaNH2
+
NH3
NH2
14
14
+
NH3
H2N
+
NaCl
14
+
7.3.3 Addizioni nucleofile al doppio legame C=O.
L’idratazione del gruppo carbonilico decorre in modo reversibile secondo il seguente
schema generale
R2C=O + H2O
R2C(OH)2
I valori delle costanti di equilibrio riferiti alla formaldeide, l’acetaldeide e l’acetone
valgono rispettivamente 2ּ103, 1.4 e 2ּ10-3 e riflettono il crescente carattere elettron
donatore dei sostituenti R. L’equilibrio che coinvolge l’acetone è stato dimostrato
effettuando la reazione in H218O e verificando l’incorporazione dell’18O nel substrato
di partenza. E’ ovvio che l’incorporazione dell’ossigeno marcato avviene molto
difficilmente a pH = 7, ovvero in assenza di catalisi acida o basica. In presenza di
tracce di acidi o basi l’equilibrio si stabilisce invece piuttosto velocemente;
l’incorporazione dell’ossigeno marcato diviene alquanto rapida e decorre attraverso
l’intermedio tetraedrico di seguito riportato.
O + H 218O
18OH
OH
18O
+ H 2O
Anche il meccanismo d’idrolisi degli esteri è stato elucidato tramite esperimenti
realizzati su substrati marcati con 18O, il che ha permesso di escludere il percorso
caratterizzato da una sostituzione nucleofila quale passaggio determinante a favore
del meccamismo di addizione-eliminazione (cfr. capitolo 2, pag. 58, 61). La completa
ritenzione della marcatura nell’alcol risultante dall’idrolisi di esteri etilici a formula
generale RCO18OEt dimostra che la specie nucleofila attacca dapprima la funzione
carbonilica e solo in seguito si verifica l’eliminazione della porzione alcolica
dell’estere attraverso il corrispondente intermedio tetraedrico.
213
O
R
O
O
18OEt
_
18OEt
R
OH
_ 18
OEt
_
R
OH
+ Et18O
_
OH
O
R
O
+
Et18OH
7.3.4 Eliminazioni.
Le eliminazioni monomolecolari caratterizzate da un primo passaggio nel quale si ha
ionizzazione irreversibile del substrato di partenza (meccanismo E1CbI) mostrano
l’equazione cinetica del tipo
v = k1[RX][Base]
e da questo punto di vista sono dunque indistinguibili dalle eliminazioni bimolecolari
E2 (cfr. capitolo 2, pag. 62). Per distinguere tra questi due tipi di meccanismo si fa
ricorso alla tecnica della marcatura isotopica illustrata attraverso il seguente esempio.
La deidrobromurazione dell’1-bromo-2-feniletano può decorrere in linea di principio
attraverso entrambi i meccanismi E1CbI ed E2. Eseguendo la reazione in presenza di
etossido di sodio quale base in EtOD si giunge ai seguenti risultati: (i) il substrato di
partenza isolato a metà conversione non contiene deuterio, (ii) lo stirene ottenuto
come prodotto di reazione non contiene deuterio. Si può concludere che la reazione in
oggetto deve decorrere attraverso un meccanismo concertato che non procede
attraverso la formazione di carbanioni intermedi. Se così fosse l’intermedio
carbanionico sarebbe infatti in grado di incorporare deuterio dando luogo alla
formazione di stirene deuterato in posizione 1-.
EtO
_
Ph
Ph
H C CH2 Br _
EtOH
H
C CH2 Br
H
_
Br
_
Ph CH CH2
_
Ph CD CH2
EtOD
Ph
D C CH2 Br
H
EtO
_
Ph
C CH2 Br
D
Br
Tra le reazioni di eliminazione che non prevedono la cattura di un protone da parte
della specie basica se ne annoverano alcune piuttosto interessanti dal punto di vista
meccanicistico. Ad esempio la debromurazione del 2,3-dideutero-2,3-dibromobutano
eritro ad opera dell’anione ioduro dà la sola olefina trans attraverso il tipico
meccanismo E2. Diminuendo l’ingombro sterico al carbonio, come accade nel caso
214
dell’1,2-dideutero-1,2-dibromoetano, il trattamento con anioni ioduro della forma
eritro conduce all’ottenimento del solo 1,2-dideuteroetilene cis. Questa inversione
della stereoselezione non dipende dal modo in cui avviene l’eliminazione ma da un
cambio di meccanismo: nel caso del substrato meno ingombrato avviene infatti
dapprima una sostituzione nucleofila bimolecolare al carbonio saturo ad opera
dell’anione ioduro cui fa seguito l’eliminazione bimolecolare.
I
Me
Br
_
D
Me
Br
I
_
D
D
D
+
Br
H
H
Me
E2
D
D
SN2
I
Br
_
+
Br
_
Me
I
H
IBr
H
D
D
E2
Br
H
D
+
H
I2
+
Br
_
D
7.3.5 Condensazioni.
Lo studio delle reazioni di condensazione rappresenta uno degli argomenti che ha
ricevuto più attenzione in chimica organica sia a livello sintetico che meccanicistico.
A prescindere dalla classificazione sistematica delle reazioni di condensazione, si
riconosce attualmente il ruolo fondamentale giocato dai carbanioni quali intermedi in
questa classe di reazioni. Nel caso di un chetone provvisto di una sola posizione
enolizzabile si verifica lo scambio pròzio-deuterio qualora il substrato proziato sia
sottoposto a trattamento con DO¯ in D2O. Qualora il substrato di partenza sia
otticamente attivo la velocità di scambio H/D eguaglia quella di racemizzazione. La
perdita di attività ottica del substrato avviene infatti ad ogni rottura del legame C-H
poiché il carbanione risultante è planare ed il successivo attacco da parte della specie
D+ avviene statisticamente su ciascuna delle due facce enantiotopiche.
O
Ph
O
Ph
H
O
_
DO
lento
D2O
veloce
O
(S)
Ph
Ph
D
(R,S)
L’effetto cinetico isotopico positivo testimonia inoltre che la rottura del legame C-H
nella formazione del carbanione avviene nello stadio lento del processo reattivo.
La condensazione aldolica dell’acetaldeide procede attraverso due equilibri
fortemente spostati a favore dell’acetaldolo. Il meccanismo prevede due passaggi
215
distinti; la deprotonazione dell’acetaldeide di partenza e la condensazione su una
seconda molecola di aldeide. Eseguendo la reazione in D2O non si rileva
incorporazione di deuterio nell’acetaldeide non reagita. Ciò significa che il passaggio
(B) inerente alla condensazione dev’essere molto più veloce del passaggio inverso
relativo allo stadio di deprotonazione (A), il quale si può quindi assumere
praticamente irreversibile.
_
O
H
OH
O
O
(A)
H
H
O
O
O
+
H
O
O
H
H
(B)
H
OH
H2O
Per quanto riguarda il comportamento delle aldeidi non enolizzabili, è interessante
esaminare la distribuzione dei prodotti che si ottiene dalla reazione di Cannizzaro
realizzata in D2O. Nel caso della benzaldeide non si ha incorporazione di deuterio al
gruppo metilenico dell’alcol benzilico, il che dimostra che il trasferimento d’idruro
tipico di questa reazione deve avvenire direttamente da una molecola di aldeide
all’altra senza coinvolgimento del solvente.
O
Ph
H
_
O
OH
OH O
Ph
veloce
H
O
lento
Ph
+ Ph
Ph
O
OH
H
O
+ Ph
Ph
OH
O
7.3.6 Riassestamenti.
Gli alcani, considerati inerti nei confronti dalla maggior parte delle reazioni
organiche, subiscono un riassestamento di tipo carbocationico in presenza di acidi di
Lewis. Questo comportamento si mette in luce trattando l’1-13C-propano con AlBr3.
La miscela finale di reazione contiene due parti di 1-13C-propano ed una di 2-13Cpropano. E’ possibile che questa distribuzione finale della marcatura tragga origine
da un meccanismo che prevede la formazione intermedia di un ciclopropano
protonato.
*
CH
3 CH2
AlBr3
CH3
*
CH
3 CH2
CH2 AlHBr3
H
CH2
H2C
*
CH2
CH3
AlHBr3
* CH2 CH3
216
+
AlBr3
Tra i riassestamenti all’azoto elettronpovero la trasformazione diretta ossima →
ammide, nota come riassestamento di Beckmann, è stata studiata intensamente sotto
il profilo meccanicistico. Eseguendo la reazione in H218O si osserva incorporazione
dell’18O nell’ammide finale, il che implica la formazione intermedia di un
carbocatione successivamente soggetto all’attacco da parte di una molecola di
solvente. A sostegno di questa ipotesi occorre notare che né l’ossima di partenza né
l’anilide risultante scambiano 18O con il mezzo di reazione.
OH
Ar
OH2
Ar
+
H
N
N
Me
Me C NAr
- H2O
Me
H218O
+
-H
18O
Me
NHAr
L’intervento del solvente è invece escluso nell’ossidazione dei chetoni con peracidi
organici nell’ambito della classica reazione di Baeyer-Villiger. L’ossidazione del
benzofenone marcato con 18O procede con la completa ritenzione della marcatura
all’ossigeno carbonilico dell’estere risultante.
Ph
Ph
+
H
18O
18OH
Ph
MeCO3H
+
-H
Ph
18OH
18OH
Ph
Ph
O
_
- MeCOO
OCOMe
18O
Ph
Ph
+
-H
OPh
OPh
Il riassestamento della 1,2-chetoaldeide PhCOCHO in presenza di ioni idrossido
produce l’α-idrossiacido PhCH(OH)COOH. Benché si possano ipotizzare sia la
migrazione dell’idrogeno che del fenile, da esperimenti di marcatura isotopica risulta
chiaro che solo l’idrogeno è coinvolto nello spostamento 1,2.
_
Ph
CDO
OH
O
O
D
Ph
OH O
O
OH O
OH
Ph
Ph
O
D
O
D
Il riassestamento di Claisen degli O-allilfenoli è un processo concertato e decorre
attraverso uno stato di transizione ciclico; in quanto tale è caratterizzato da valori
dell’entropia di attivazione grandi e negativi. La migrazione concertata della porzione
allilica della molecola comporta l’inversione della marcatura isotopica situata sulla
catena allilica.
O
O
*
OH
O
*
*
H
217
*
Qualora le posizioni 2,6 dell’anello benzenico siano occupate da sostituenti diversi
dall’idrogeno la migrazione della catena allilica procede dando fenoli 4-allilsostituiti.
In questi casi si ha una nuova migrazione concertata che, comportando un’ulteriore
inversione della posizione della marcatura, dà origine a prodotti nei quali solo
l’atomo di carbonio terminale risulta marcato.
O
O
O
*
*
*
O
OH
O
*
*
H
*
La riduzione dei chetoni secondo Meerwein-Ponndorf decorre probabilmente
attraverso un meccanismo concertato che implica il passaggio attraverso uno stato di
transizione ciclico costituito dall’insieme delle due molecole reagenti: il chetone e
l’alluminio isopropossido. Eseguendo la reazione sul generico chetone R2C=O in
presenza dell’alcossido di alluminio marcato (Me2CDO)3Al si ottiene solo l’alcol
R2CDOH, che conferma il passaggio diretto dello ione idruro da carbonio a carbonio.
Me
Me
Me
Me
O
D
O
D
(iPrO)2Al
CR2
O
(iPrO)2Al
O
CR2
D
- Me2C=O
(iPrO)2Al
O
CR2
R2CDOH
7.4 Problemi
1. La velocità d’idrolisi acido-catalizzata del 2-idrossimetilbenzoato di etile è
superiore a quella del benzoato di etile. Sapendo che kO-H/kO-D = 3.5, scrivere il
meccanismo dettagliato dell’idrolisi del 2-idrossimetilbenzoato di etile
giustificando il valore osservato dell’effetto cinetico isotopico.
2.
Misurazioni cinetiche per la reazione
PhCL2CH2N+Me3 + B¯ → PhCL=CH2 + Me3N + BL
hanno dato
logkH = 8.32, logkD = 7.23 con B¯ = EtO¯;
logkH = 10.12, logkD = 8.18 con B¯ = t-BuO¯
Esprimere le dovute considerazioni sul meccanismo della reazione, con
particolare riferimento alla natura degli stati di transizione coinvolti.
218
3.
Calcolare l’effetto cinetico isotopico primario per la reazione
L
_
+ EtO
Me
Ph
+ EtOL
Ph
CH2Br
+
Br
_
Sono note le frequenze delle bande IR dovute allo stiramento simmetrico per il
legame C-L: νC-H = 2914 cm-1, νC-D = 2085 cm-1.
4.
Predire in modo approssimato il valore dell’effetto cinetico isotopico primario
per le seguenti reazioni motivando la scelta.
L
+
L
L
O2N
+
COOEt
N
O2N
COOEt
N
L
O
O
SO3Na +
L
L
OH
CL3
+
+
H2O L
L
O
L3C
SO3Na
H2O
+
HO
CrO3
O
_
L3C
CL2
+
HOL
O
7.5 Bibliografia
La trattazione completa e rigorosa degli effetti cinetici isotopici si trova nelle
seguenti monografie:
1.
2.
L. Melander, W. H. Saunders Jr. Reaction Rates of Isotopic Molecules Wiley,
New York, 1980.
R. P. Bell The Proton in Chemistry Cornell University Press, Ithaca, New York,
1973, pag. 226.
Per quanto riguarda la marcatura isotopica nello studio dei meccanismi delle reazioni
organiche è utile consultare le seguenti rassegne:
3.
4.
C. Wentrup, in C. F. Bernasconi Investigation of Rates and Mechanisms of
Reactions Wiley, New York, 1986, 4a Edizione, Vol. 1, pag. 613.
C. J. Collins Adv. Phys. Org. Chem. 1964, 2, 3.
219
8
CATALISI
____________________________________________________________________
8.1 Introduzione
220
8.2 Catalisi acido-base
222
8.3 Catalisi enzimatica
229
8.4 Catalisi supramolecolare
229
8.5 Catalisi micellare
234
8.6 Catalisi a trasferimento di fase
237
8.7 Organocatalisi
242
8.8 Catalisi metallorganica
245
8.9 Problemi
249
8.10 Bibliografia
250
____________________________________________________________________
8.1 Introduzione
L’argomento della catalisi in chimica organica è molto vasto ed articolato poiché
esistono numerose tipologie di catalizzatori. La varietà dei composti elementoorganici utilizzata nella catalisi omogenea ne è un esempio; gli enzimi sono
catalizzatori molto specifici e complessi dal punto di vista strutturale mentre la
diffusissima catalisi acido-base implica l’intervento del semplice protone o dello ione
idrossile in qualità di catalizzatori. Anche le reazioni organiche in grado di trarre
benefici, in termini cinetici, dalla presenza di un catalizzatore sono numerosissime;
ne segue che le reazioni catalizzate rappresentano probabilmente la classe più ampia
di reazioni organiche. A queste considerazioni preliminari e del tutto generali si deve
aggiungere il fatto che il meccanismo di una trasformazione organica non può dirsi
chiarito in modo soddisfacente qualora non sia compreso il ruolo giocato
dall’eventuale catalizzatore. Come regola generale nota dai primi corsi di chimica
organica si ricorda che il catalizzatore non può modificare la posizione d’equilibrio di
una reazione. Utilizzando la terminologia propria della termodinamica classica, le
energie libere dei reagenti e dei prodotti non sono modificate dalla presenza del
catalizzatore, come risulta evidente dall’esame della Figura 8.1. D’altra parte in
presenza di un catalizzatore efficace si osserva un incremento della velocità di
reazione rispetto al corrispondente processo non catalizzato; questo comportamento si
220
deve sempre al fatto che la specie catalitica impone un cammino, lungo la coordinata
di reazione, caratterizzato da un’energia libera di attivazione inferiore rispetto a
quella del processo non catalizzato.
reazione non catalizzata
∆G
∆∆G
=
reazione catalizzata
coordinata di reazione
Figura 8.1. Andamento energetico di una generica reazione endoergonica catalizzata e del
corrispondente processo non catalizzato.
I due stati di transizione coinvolti debbono dunque essere caratterizzati da un assetto
chimico differente, il che riflette il fatto che il catalizzatore dev’essere in grado di
legarsi opportunamente ad uno o più reagenti, nonché allo stesso stato di transizione,
promuovendo il passaggio attraverso il complesso attivato a minor contenuto
energetico. Questa situazione è illustrata dalla Figura 8.2. Da essa risulta evidente
l’andamento energetico relativo alla complessazione catalizzatore-reagente,
catalizzatore-prodotto e stato di transizione-catalizzatore che comportano l’instaurarsi
della diseguaglianza ∆G≠ > ∆G≠cat.
reazione non catalizzata
∆G
∆G
reazione catalizzata
=
=
∆Gcat
coordinata di reazione
Figura 8.2. Andamento di una generica reazione esoergonica catalizzata e del corrispondente
processo non catalizzato. I due minimi energetici più profondi indicano l’esistenza di una
complessazione catalizzatore-reagenti e catalizzatore-prodotti.
221
8.2 Catalisi acido-base
La classe più ampia tra le reazioni catalizzate implica il trasferimento di un protone o
di uno ione idrossile, il che individua l’insieme delle trasformazioni acido (o base)catalizzate. Questo tipo di catalisi si esplica qualora l’acido o la base coniugata del
substrato sia più reattiva della corrispondente specie neutra. A titolo d’esempio si
consideri l’idratazione degli alcheni, che decorre molto più velocemente in presenza
di quantità catalitiche di acido. E’ evidente che il carbocatione che si sviluppa come
intermedio è in grado di agire da elettrofilo molto più efficacemente del doppio
legame neutro.
+
H2O
H
H
OH2
H
OH
H
+
-H
8.2.1 Catalisi acida specifica
Si consideri la reazione acido-catalizzata del generico substrato S a dare il prodotto P,
che decorre attraverso il seguente schema cinetico nel quale il simbolo H+ non indica
i protoni liberi ma rappresenta in forma semplificata il solvente protonato.
k1
+
S+H
+
SH
k-1
k2
+
SH
+
P+ H
(veloce)
(lenta)
Si ha allora k1, k-1 >> k2 e quindi v = d[P]/dt = k2 [SH+]. Tenendo presente che il
primo dei due stadi è un processo di equilibrio caratterizzato dalla costante
K = [SH+]/[S][H+] si può scrivere
d[P]/dt = Kk2 [S][H+] = k [S][H+]
La velocità di reazione dipende dalle concentrazioni del substrato e del solvente
protonato, ovvero l’unica specie acida in grado di catalizzare questo tipo di processo
è il solvente protonato. In questo caso si parla di catalisi acida specifica. Se la
reazione viene condotta in acqua la catalisi viene esplicata dallo ione idronio, suo
acido coniugato; la terminologia corrente assegna in questo caso la denominazione di
“catalisi specifica da ione idronio”. Per tutti gli altri solventi vale la denominazione di
“catalisi specifica da ioni lionio”.
E’ d’uso comune rappresentare la velocità di reazione per processi che decorrono in
acqua od in fase acquosa attraverso l’espressione d[P]/dt = koss [S] dove koss = k [H+].
Ponendo quest’ultima eguaglianza in forma logaritmica si ricava
Log koss = Log k - pH
222
che è l’equazione di una retta con pendenza -1. Diagrammando Log koss in funzione
del pH si ottiene il grafico riportato nella Figura 8.3 (a), che mostra come
all’aumentare del pH si ha diminuzione della velocità di reazione. Per una reazione
soggetta a catalisi acida specifica la costante cinetica koss non varia al variare della
concentrazione di una qualsiasi specie acida HA diversa da H+ che, infatti, non
compare nell’espressione della velocità di reazione [Figura 8.3 (b)].
Log koss
Log koss
pH = 2
tan α = −1
α
pH = 6
(a)
pH
(b)
[HA]
Figura 8.3. Diagrammi di Log koss in funzione del pH (a) e di [HA] (b) per una generica reazione
soggetta a catalisi acida specifica in acqua.
Per un processo che avvenga in acqua e sia soggetto a catalisi basica specifica si ha
d[P]/dt = k [S][OH¯] = koss [S] dove koss = k [OH¯] = k Kw/[H+] , e quindi
Log koss = Log k’ + pH
L’andamento grafico di Log koss in funzione del pH è riportato in Figura 8.4 (a) ed è
l’immagine speculare di quello operante nel caso della catalisi acida specifica. A pH
costante, per variazione della concentrazione della base B [Figura 8.4 (b)] la costante
cinetica osservata rimane invariata analogamente a quanto si osserva nel caso delle
reazioni acido-catalizzate.
Log koss
Log koss
pH = 6
α
pH = 2
tan α = 1
(a)
pH
(b)
[B]
Figura 8.4. Diagrammi di Log koss in funzione del pH (a) e di [B] (b) per una generica reazione
soggetta a catalisi basica specifica in acqua.
223
8.2.2 Catalisi acida generale
Qualora il trasferimento protonico avvenga completamente o parzialmente nello
stadio lento della reazione essa è soggetta a catalisi acida generale.
Se il protone viene ceduto direttamente dalla specie acida HA al substrato S senza
che avvenga mediazione da parte del solvente, può essere seguito uno schema
cinetico in due stadi dei quali quello lento è rappresentato dal trasferimento
protonico.
_
+
k1
SH + A
(lenta)
HA + S
k-1
+
SH
k2
+
(veloce)
P + H
In alternativa il trasferimento protonico può avvenire, sempre nello stadio lento,
dando il prodotto protonato PH+ che, in quanto intermedio labile, dà velocemente il
prodotto P.
_
+
k1
PH + A
(lenta)
HA + S
k-1
+
PH
k2
+
P + H
(veloce)
In entrambi i casi prospettati la velocità di reazione è espressa dall’equazione 8.1
d[P]/dt = k1[S][HA]
equazione 8.1
il che significa che ogni specie acida presente nella miscela di reazione è in grado di
esplicare un effetto catalitico. In questo senso è valida l’espressione di catalisi acida
generale. Nel caso siano presenti più specie acide HA1, HA2, …, HAn l’equazione
relativa alla velocità di reazione assume l’aspetto
d[P]
= ∑ k i [S][HA i ]
dt
i
Dato che Ka = [H+][A¯]/[HA], l’equazione 8.1 si può riscrivere nel modo seguente
d[P]
[S][H + ][A - ]
= k1
= k oss [S]
dt
Ka
dove koss = k1 [H+][A¯]/Ka, quindi
Log koss = c + Log [A¯] - pH
L’andamento grafico di Log koss in funzione del pH è rappresentato nella Figura 8.5.
Quando il pH è minore di almeno 1 unità rispetto al valore di pKa della specie acida
HA, quest’ultima è completamente protonata e la sua concentrazione è costante.
Poiché è [HA] e non pH a comparire nell’equazione cinetica 8.1 si giustifica
224
l’andamento rettilineo a coefficiente angolare nullo della porzione sinistra del grafico.
Qualora il pH sia maggiore di almeno 1 unità rispetto al valore di pKa della specie
acida HA, l’aumento di un’unità pH si traduce nella diminuzione pari a 10 volte del
rapporto [HA]/[A¯]. Se ne deduce che l’andamento di Log koss in funzione del pH è
rappresentato da una retta con pendenza pari a -1, com’è illustrato nella porzione
destra del grafico. Per valori di pH prossimi al pKa di HA, cioè nell’intervallo
pH ≈ pKa ± 1, l’aumento del pH non è in relazione lineare con la diminuzione di
Log koss, come si vede dalla porzione centrale del diagramma. In questo intervallo
non è possibile trascurare la concentrazione degli ioni idrossido ed il mantenimento
della condizione di elettroneutralità implica la seguente relazione quadratica
[H+] = [OH¯] + [A¯] = Kw/[H+] + [A¯]
ovvero
[H+]2 – [A¯][H+] – Kw = 0
per cui la variazione di pH non può essere in relazione lineare con la diminuzione di
Log koss.
Log koss
pK +1
pKa-1
pKa a
pH
Figura 8.5. Diagramma di Log koss in funzione del pH per una generica reazione
soggetta a catalisi acida generale.
Per reazioni soggette a catalisi basica generale che decorrono in acqua od in fase
acquosa il diagramma di Log koss in funzione del pH è l’immagine speculare di quello
riportato nella Figura 8.5. In questo caso si ha infatti
d[P]
[BH + ]
= k1[S][B] = k1
[S] = k oss [S]
dt
K b [H + ]
dove
Log koss = Log (k1/Kb) + Log [BH+] + pH
L’andamento della porzione destra del grafico in Figura 8.6 si spiega sulla base di
quest’ultima equazione. Seguendo considerazioni del tutto simili a quelle appena
esposte nel caso di reazioni soggette a catalisi acida generale si spiegano facilmente
le rimanenti due parti del grafico in questione.
225
Log koss
pH
pKa (BH+)
Figura 8.6. Diagramma di Log koss in funzione del pH per una generica reazione
soggetta a catalisi basica generale.
La catalisi acida generale si esplica anche nel caso avvenga un trasferimento
protonico veloce dalla specie acida HA al substrato S seguita da un secondo
trasferimento protonico che costituisce il passaggio lento dell’intero processo. Questo
secondo trasferimento protonico avviene dal substrato protonato SH+ alla base
coniugata A¯ della specie acida HA. Poiché il substrato viene protonato prima che
intervenga lo stadio lento della reazione si suole indicare questo tipo di catalisi col
termine di catalisi acida specifica-basica generale.
k1
HA + S
+
k-1
_
SH + A
k2
+
_
SH + A
P + HA
(veloce)
(lenta)
La velocità di questo processo è data dall’equazione cinetica d[P]/dt = k2 [SH+][A¯].
Tenendo presente che Ka = [H+][A¯]/[HA] e Kb = [SH+]/[S][H+], la precedente
equazione che esprime la velocità di reazione diventa
d[P]/dt = k2Kb [S][H+][A¯] = k2KaKb [S][HA] = kHA [S][HA]
equazione 8.2
dove kHA = k2KaKb. E’ evidente la stretta analogia tra le equazioni 8.1 ed 8.2, che
giustifica l’intervento della catalisi acida generale nel caso in questione.
E’ possibile che una data reazione sia soggetta contemporaneamente a più tipi di
catalisi acido-base. Ad esempio, quando lo iodio reagisce con l’acetone in soluzione
acquosa tamponata la costante di velocità k ricavata sperimentalmente ha la forma
k = kw [H2O] +kH [H+] + kOH [OH¯] +kA [A¯] + kHA [HA]
dove con kw si indica la costante di velocità della stessa reazione condotta in acqua, in
assenza di tampone. In questo esempio sono operanti simultaneamente la catalisi
226
acida sia specifica che generale e la catalisi basica sia specifica che generale.
Tenendo conto che Kw = [H+][OH¯], Ka = [H+][A¯]/[HA] ed indicando con
r = [HA]/[A¯] il rapporto tampone, la costante di velocità k diviene
k = k(r) + (kHA + kA/r) [HA]
Diagrammando k in funzione di [HA] si ottiene il grafico di una retta a pendenza
kHA + kA/r ed intercetta k(r). Eseguendo la stessa reazione in differenti condizioni di
concentrazione relativa delle specie tampone [A¯] ed [HA], cioè al variare di r, si
ricavano i valori di kHA e kA.
8.1.3 Legge della catalisi secondo Brønsted
Qualora una generica reazione sia soggetta a catalisi acida generale, la relazione che
sussiste tra la concentrazione di ogni specie acida presente (HA) e la costante di
velocità della reazione ka è espressa dalla relazione
ka = Ga Kaα
che rappresenta la legge della catalisi secondo Brønsted. Questa relazione pone in
relazione diretta la costante cinetica ka e quella di equilibrio Ka a meno della costante
Ga. Ponendo questa legge in forma logaritmica si ottiene
Log ka = α Log Ka + c
Spesso risulta comodo esprimere la costante di equilibrio attraverso il valore di pK;
ne segue allora
Log ka = – α pKa + c
equazione 8.3
Diagrammando i valori di Log ka in funzione dei pKa di una serie di acidi si ottiene il
grafico di una retta a pendenza α.
Log ka
-0
-0.5
-1.0
α = 0.47
-1.5
-7.5
-7.0
-6.5 -6.0 -5.5 -5.0
-4.5 -4.0 -3.5
-pKa
Figura 8.7. Diagramma di Brønsted per l’idrolisi del dietilfenil ortoformiato
in diossano/acqua 50:50.
227
I grafici del tipo di quello riportato nella Figura 8.7 sono detti diagrammi di Brønsted.
Sul significato del parametro α, il cui valore è compreso tra 0 ed 1, esistono
attualmente due versioni complementari nessuna delle quali è accettata
universalmente. Secondo una prima definizione, il valore di α esprime la sensibilità
della costante di velocità nei confronti delle variazioni strutturali che intervengono
nell’ambito di una serie di reazioni realizzate in presenza di differenti specie acide
HA. Quest’ultima frase è piuttosto generica e non permette di mettere a fuoco in
modo preciso il significato chimico del parametro di Brønsted.
Un secondo modo di affrontare questo problema mette in relazione il valore di α con
il grado di trasferimento protonico che interviene a livello dello stato di transizione
relativo allo stadio lento del processo reattivo. Il valore α = 1 implica che la
variazione di una unità pKa della specie acida HA comporti una variazione pari a 10
volte nel valore della costante di velocità ka. Una situazione di questo tipo si verifica
plausibilmente quando il trasferimento protonico da HA al substrato è avvenuto
completamente a livello dello stato di transizione. Quest’affermazione è ragionevole
sulla base del fatto che la definizione di pKa si riferisce al trasferimento protonico
completo dalla specie acida HA all’acqua, il che chiarisce anche il motivo per cui il
valore massimo di α debba essere 1. All’estremo opposto, ovvero se α = 0, la
reazione è insensibile alla forza della specie acida. In questo caso HA non dona il
proprio protone al substrato nello stadio lento della reazione. Coefficienti di Brønsted
di valore inferiore allo zero non sono possibili. Infatti, in questa situazione un certo
acido esplicherebbe un’attività catalitica minore di un altro acido più debole, il che è
in contrasto con l’idea stessa di catalisi acida intesa come processo che implica
necessariamente il verificarsi di un trasferimento protonico. Sono invece stati
osservati valori di α anomali in quanto superiori all’unità. In questi rari casi il valore
di ka in funzione di – pKa aumenta più rapidamente di quanto si possa prevedere sulla
base dell’equazione 8.3. Questi valori anomali del parametro di Brønsted indicano
che la generica reazione in esame è più sensibile dell’acqua nei confronti della
capacità protonante della specie acida.
Le stesse considerazioni espresse nel caso della catalisi acida si possono applicare
alla catalisi basica dato che
kb = Gb Kbβ
e
Log kb = β Log Kb + c
Si può stabilire il tipo di relazione quantitativa che intercorre tra i parametri di
Brønsted α e β considerando il generico equilibrio acido-base
A
ka
kb
B
per il quale è valida la condizione Kb = 1/Ka. Si può allora scrivere
Log ka = αLog Ka + c
Log kb = βLog Kb + c
228
Sottraendo membro a membro le ultime due equazioni e passando alla forma
esponenziale si ottiene
ka
= K a (α + β )
kb
che è soddisfatta se α + β = 1.
8.3 Catalisi enzimatica
I principi riguardanti le cinetiche enzimatiche sono stati discussi nel capitolo 2, pag.
29-34, cui si rimanda per la discussione sulla catalisi enzimatica.
8.4 Catalisi supramolecolare
Prima di procedere alla descrizione della catalisi supramolecolare è opportuno
richiamare le due definizioni ricorrenti di chimica supramolecolare:
1. la chimica supramolecolare è la chimica del legame intermolecolare e prende in
esame le strutture e le funzioni di nuove entità chimiche che si formano in seguito
all’associazione tra due o più specie chimiche diverse (J.-M. Lehn);
2. la chimica supramolecolare può essere definita come la chimica “oltre la
molecola”, ovvero la chimica delle interazioni intermolecolari. In una
supramolecola le informazioni sono conservate sotto forma di aspetti strutturali
specifici (F. Voegtle).
Entrambe le definizioni sono molto ampie e possono servire da guida, benché
nessuna di esse sia esauriente dal punto di vista operazionale. E’ bene specificare che,
concettualmente, la chimica supramolecolare si basa sulle interazioni deboli tra
molecole che non implicano la formazione di nuovi legami covalenti. Le interazioni
che si sviluppano hanno quindi natura intermolecolare, sono reversibili e classificabili
nell’abito di quattro tipi fondamentali: elettrostatiche, coordinative, idrofobiche,
implicanti legami ad idrogeno.
In natura esistono molecole relativamente piccole che si configurano quali utili
prototipi nello studio dei concetti fondamentali della chimica supramolecolare e
quindi della catalisi supramolecolare. Un esempio è costituito dalle ciclodestrine (a),
oligomeri ciclici costituiti da 6-8 unità glucosidiche. Si tratta di composti idrosolubili
che presentano una cavità poco polare (idrofobica, b) all’interno della quale possono
essere ospitate molecole sufficientemente piccole e poco polari.
229
L’interazione ciclodestrina-substrato avviene sulla base del riconoscimento
molecolare, così come accade nel caso della catalisi enzimatica. Le ciclodestrine sono
infatti in grado di operare un riconoscimento selettivo a livello molecolare dato che la
loro cavità interna ha un diametro praticamente costante. Inoltre il processo di
riconoscimento è reversibile, non avviene attraverso la formazione di nuovi legami
covalenti ed è soggetto ad inibizione da parte di molecole che abbiano una maggiore
affinità per la ciclodestrina dello stesso substrato.
Uno dei primi esempi di catalisi supramolecolare operati dall’α-ciclodestrina riguarda
l’idrolisi del 4-t-butilfenilacetato. Il meccanismo di funzionamento di questa reazione
è semplice; la parte idrofobica del substrato viene inclusa nella cavità della
ciclodestrina in modo che il gruppo acetile resti in soluzione acquosa potendo subire
la reazione d’idrolisi. In seguito a questa reazione il 4-t-butilfenolo viene rimosso
dalla cavità della ciclodestrina.
O
O
t-Bu
Qualora due funzionalità siano tenute in stretto contatto da vincoli geometrici, ad
esempio per inclusione entro un’opportuna cavità molecolare, l’incremento della
velocità di reazione può essere dovuto all’aumento della concentrazione locale delle
specie reattive. Il vantaggio entropico di questa sorta di reazioni “intramolecolari” nei
confronti dei corrispondenti processi intermolecolari si può tradurre in vantaggi di
tipo cinetico. La misura dell’efficienza della catalisi supramolecolare indotta da un
sistema nel quale i gruppi reattivi sono predisposti ad interagire dalla corretta
geometria relativa rispetto all’analogo processo catalizzato ma intermolecolare si
attua attraverso un parametro detto molarità efficace (ME), definito dal rapporto tra le
costanti di velocità kcat ≡ k”intra” e kinter
ME = k”intra”/kinter (mol l-1)
Evidentemente l’effetto della catalisi supramolecolare “intramolecolare” è tanto
maggiore quanto più grande è ME; valori superiori a 10 sono indice di una buona
attività catalitica dovuta all’effetto di prossimità dei gruppi interagenti. A titolo
d’esempio si consideri l’idrolisi del 4-nitrofenilacetato, che è stata realizzata
utilizzando quale catalizzatore una β-ciclodestrina funzionalizzata con zinco
complessi di poliazamacrocicli. Il gruppo idrossile coordinato allo zinco (II) si
dovrebbe trovare nella situazione geometrica favorevole affinché si realizzi l’attacco
al gruppo carbonilico dell’estere acetico. Ma i valori di ME riportati per questa
idrolisi sono compresi nell’intervallo 0.2-0.3 mol l-1, il che significa che la catalisi
indotta dal sistema azamacrociclo complessato/β-ciclodestrina non è efficace rispetto
a quella operante nella corrispondente reazione intermolecolare in presenza del
230
poliazamacrociclo zinco(II)-complessato e della β-ciclodestrina non legati in modo
covalente, che infatti è più veloce. Ciononostante l’entità della catalisi
supramolecolare operante in questo esempio è notevole in quanto il rapporto tra le
costanti di velocità kcat/knc = 234, dove con knc si indica la costante cinetica per la
reazione d’idrolisi non catalizzata.
H
H
N
N
N
N
O
OH
Zn
O
H
NO2
Poiché, come si è detto, l’attività delle ciclodestrine si esplica attraverso l’inclusione
nella cavità molecolare della porzione idrofobica di piccole molecole, è possibile
costruire derivati di ciclodestrine in grado di modulare la regioselettività di una
reazione. Ne è un esempio la cicloaddizione tra il 4-t-butilbenzonitrilossido e la
6A-acrilamido-6A-deossi-β-ciclodestrina, che dà quale regioisomero maggioritario
l’isossazolina 4-sostituita. Dalla teoria FMO (cfr. pag. 95, 96) è invece noto che le
normali cicloaddizioni intermolecolari tra nitrilossidi ed acrilammidi conducono alla
formazione quasi esclusiva dell’isossazolina 5-sostituita. Questo processo non è
catalitico ma stechiometrico.
H
_
O
O
H
H
N+
N
O
N
+
t-Bu
N
O
N
O
O
N
+
t-Bu
70
:
30
t-Bu
Oltre alle ciclodestrine esistono numerosi altri esempi di molecole sintetizzate
espressamente allo scopo di esplicare catalisi supramolecolare. Il seguente esempio
riporta l’idrolisi del carbonato della 4-nitrofenilcolina (PNPCC) catalizzato da un
cavitando funzionalizzato con un complesso di tipo zinco (II)-salen a struttura A.
Quest’ultimo sistema riesce ad adottare una conformazione “a vaso” in cui lo
zinco(II) si trova nella posizione opportuna per attivare convenientemente il carbonile
della PNPCC nei confronti delle addizioni nucleofile.
O2N
O
O
O
NMe3
231
I
_
(PNPCC)
L’idrolisi di PNPCC procede lentamente nelle usuali condizioni di reazioni mentre in
presenza di un equivalente di A la velocità del processo aumenta di 50 volte.
EtCONH
NHCOEt
O
O
Et
O
EtCONH
Et
EtCONH
O
O
O
O
Zn
O
t-Bu
NHCOEt
O
Et
N
NHCOEt
Et
N
tBu
O
t-Bu
t-Bu
A
Il legante ter-piridinico B derivato dall’acido di Kemp è stato utilizzato nella sintesi
del corrispondente complesso dimero contenente il nucleo catalitico di-µ-osso
dimanganese (IV). Quest’ultimo complesso è in grado di ossidare selettivamente
l’ibuprofene nella posizione benzilica monosostituita grazie al riconoscimento
molecolare descritto visivamente nel complesso supramolecolare C.
H O
N
O
O
N
N
O
N
B
COOH
COOH
B
"Mn2O4"
O
ibuprofene
232
Nell’ambito di questo complesso supramolecolare risultano evidenti il legame ad
idrogeno tra l’ossigeno carbonilico dell’ibuprofene ed il gruppo OH dell’acido di
Kemp, e la prossimità tra la posizione benzilica monosostituita dell’ibubrofene ed
uno degli ossigeni legati al manganese (IV).
O
O
O H
N
O
O
N
N
O
O
N
H
Mn
O
O
N
N
O
Mn
N
H O
O
O
N
O
C
La presenza di opportuni catalizzatori supramolecolari può modificare la
stereoselettività di un processo reattivo. La seguente reazione di Diels/Alder non
catalizzata dà il solo cicloaddotto endo mentre in presenza di quantità catalitiche di
triporfirine cicliche zinco(II)complessate si ottiene il solo addotto eso. Evidentemente
la cavità della triporfirina ciclica può accogliere contemporaneamente il diene ed il
dienofilo mantenendoli nella geometria corretta per poter procedere all’attacco eso.
N
O
N
O
cat
+
N
N
O
N
N
O
Zn
N
cat =
Zn
eso
O
N
O
O
O
Zn
233
endo
N
O
8.5 Catalisi micellare
Le micelle sono aggregati globulari formati da opportune molecole dette surfattanti.
Queste ultime entità sono costituite a loro volta da una regione lipofila o idrofobica
non polare e da una testa idrofila che può essere anionica, cationica o neutra.
sodio dodecilsolfato
CH3(CH2)11OSO3¯ Na+
(anionico)
cetiltrimetilammonio bromuro
CH3(CH2)15(CH3)3N+ Br¯
(cationico)
poliossietilene(6)ottanolo
CH3(CH2)7(OCH2CH2)6OH
(neutro)
I surfattanti sono del tutto solubili in acqua fino al raggiungimento di una
concentrazione detta concentrazione micellare critica (CMC), variabile tra 10-5 e
10-3M a secondo del surfattante, definita come concentrazione al di sotto della quale
non si ha la formazione di micelle. Al di sopra della CMC iniziano a formarsi le
micelle che possono variare notevolmente sia come forma che come dimensione,
benché normalmente si tratti di aggregati nanometrici approssimativamente sferici
caratterizzati da numeri di aggregazione compresi tra 40 e 100 molecole di
surfattante. La struttura di una micella in acqua è rappresentata in modo schematico
nella Figura 8.8 (a) dove le teste polari sono poste all’esterno della micella, a contatto
diretto con la fase acquosa, mentre la parte interna, detta fase micellare o volume
micellare, è costituita dalle catene idrocarburiche del surfattante. Una micella di
questo tipo è detta micella diretta. Col termine micella inversa [Figura 8.8 (b)] si
designa la disposizione delle molecole di surfattante caratterizzata dalla disposizione
verso l’esterno delle catene idrocarburiche, mentre le teste polari sono rivolte
all’interno. Le micelle inverse si formano, ovviamente, in un ambiente poco polare,
ad esempio un solvente idrocarburico. Le micelle inverse sono capaci di trattenere
quantità relativamente grandi di acqua all’interno della struttura verso cui puntano le
teste polari. In questo modo si crea un sistema idoneo a sciogliere e trasportare soluti
polari attraverso un solvente apolare.
(a)
(b)
Figura 8.8. (a) Sezione di una generica micella diretta a forma approssimativamente sferica. Le
catene idrofobiche sono contrassegnate dalla linea a zig-zag, i cerchi neri rappresentano
la testa polare del surfattante. (b) Micella inversa.
234
La costituzione di una micella in seno alla fase acquosa comporta una forte
diminuzione dell’entalpia del sistema dovuta a due fattori. In primo luogo la forza di
coesione tra le molecole d’acqua della soluzione impone alle catene idrocarburiche
del surfattante di occupare il minor volume possibile. Questa circostanza opera a
favore della costituzione della fase micellare, che dev’essere accompagnata dalla
disposizione verso l’esterno delle teste polari del surfattante. In questo modo subentra
il secondo fattore di stabilizzazione, dato che solo la parte polare della micella resta a
contatto diretto con la fase acquosa. La diminuzione di entalpia che accompagna la
formazione di una micella è sufficiente a superare i fattori che giocano un ruolo
contro la formazione della stessa micella, ovvero la diminuzione di entropia dovuta
all’organizzazione delle catene idrocarburiche e le forze di repulsione che si
instaurano tra di esse. Un buon numero di reazioni organiche risultano notevolmente
accelerate qualora siano condotte in presenza di micelle, si dice allora che le reazioni
in questione sono soggette a catalisi micellare. Le basi fisiche della catalisi micellare
implicano l’intervento di due fattori. In primo luogo l’energia libera di attivazione del
processo reattivo diminuisce se avviene nella fase micellare, cioè nella porzione
interna ed idrofobica della micella, piuttosto che in acqua. Questo fattore
(∆G≠cat < ∆G≠non cat) è comune a tutti i tipi di catalisi. L’elemento di distinzione della
catalisi micellare è connesso alla localizzazione delle specie reagenti nell’ambito del
volume definito dalla fase micellare. In altri termini le specie reagenti si trovano in
condizioni di concentrazione molto elevata dovendo occupare necessariamente il
piccolo volume dalla porzione idrofobica della micella al contrario di quanto
avverrebbe nella fase acquosa libera nella quale i reagenti risulterebbero dispersi.
Questo effetto di alta concentrazione dei reagenti è il vero responsabile
dell’incremento della velocità di reazione rispetto all’analogo processo condotto in
assenza di micelle. Molte classi di reazioni organiche traggono benefici di carattere
cinetico qualora siano realizzate in presenza di micelle, per questo motivo è
preferibile focalizzare l’attenzione su un esempio specifico piuttosto che seguire una
lunga trattazione per classi di reazione. L’idrolisi basica del 5,5’-ditiobis
(2-nitrobenzoato) (DTNB) decorre in acqua secondo il seguente meccanismo
COO
OOC
Ar S S Ar
2 Ar SOH
+
OH
(DTNB)
NO2
S S
O2N
_
Ar S
Ar S
+
Ar SO2
+
+
Ar SOH
(lenta)
2H+
(veloce)
Ar =
NO2
COO
235
che implica la stechiometria complessiva
2 Ar S S Ar +
_
2 OH
3 Ar S
+
Ar SO2
+ 2H+
Questa reazione procede attraverso una cinetica del secondo ordine espressa
dall’equazione
d[DTNB]
−
= k 2 [DTNB][OH − ]
dt
la cui costante di velocità vale k2 = 0.54 l mol-1 s-1 a 25°C. Qualora la stessa reazione
sia condotta aggiungendo il surfattante cetiltrimetilammonio bromuro (CTAB)
presente in concentrazione superiori alla sua CMC (3.4ּ10-4 M), si verifica un
incremento della costante di velocità diagrammato nel grafico della Figura 8.9. Si può
notare che detta costante di velocità aumenta ulteriormente all’aumentare del pH
della soluzione acquosa, il che è compatibile con l’espressione piuttosto complessa di
k2 ricavata appositamente per l’idrolisi in presenza di micelle (equazione 8.4)
k2 =
(k m / V ) K DTNB K OH [DTNB] + k w
(1 + K DTNB [DTNB])(1 + K OH [DTNB])
equazione 8.4
dove:
km e kw sono rispettivamente la costante di velocità all’interno del volume
micellare e nella fase acquosa,
V è il volume molare parziale del surfattante,
KDTNB e KOH rappresentano rispettivamente le costanti di legame del surfattante e
dell’acqua; si tratta di indici della ripartizione tra la fase acquosa ed il volume
micellare.
k2
3.0
pH = 13.5
2.0
pH = 12.33
1.0
pH = 11.94
103 [CTAB]
1.74
Figura 8.9. Diagramma della costante di velocità k2 per l’idrolisi di DTNB catalizzata da CTAB.
Esistono esempi di reazioni che, contrariamente a quanto ci si potrebbe attendere da
un processo catalizzato, vengono rallentate dalla presenza di micelle; ad esempio
236
alcune cicloaddizioni secondo Diels/Alder. In questi casi è stata avanzata una
spiegazione basata sul fatto che la specie dienofila si lega solo sulla superficie della
micella senza penetrare nel volume micellare. Ciò implica che la cicloaddizione
avvenga ancora in ambiente acquoso senza trarre quindi alcun beneficio dalla
presenza della micella.
8.6 Catalisi a trasferimento di fase
La maggior parte delle reazioni che procedono attraverso un meccanismo
bimolecolare avvengono quando i reagenti si avvicinano l’uno all’altro in fase
omogenea. Una difficoltà che può sorgere è quindi determinata dalla scarsa solubilità
di uno dei reagenti nel solvente scelto quale mezzo di reazione. A questo proposito un
esempio classico riguarda la sostituzione nucleofila bimolecolare tra il bromuro di
n-ottile e lo ione cianuro. Mentre il substrato organico è ovviamente solubile nella
maggior parte dei solventi poco polari, il cianuro di sodio non lo è a causa del suo
carattere di sale inorganico. Ne segue che la reazione non avviene in solventi organici
a bassa costante dielettrica, il che è comprensibile sulla base del fatto che si viene a
formare un sistema eterogeneo nel quale il cianuro di sodio si trova in sospensione,
ma non in soluzione, nel solvente organico. Benché situazioni di questo tipo si
possano risolvere aggiungendo un cosolvente polare nella miscela di reazione oppure
realizzando la trasformazione in un solvente dipolare aprotico, risulta più comodo e
pratico ricorrere alla tecnica della catalisi a trasferimento di fase. Dal punto di vista
pratico, riferendosi alla reazione tra bromuro di n-ottile e ione cianuro, si utilizza il
sistema bifasico n-decano/acqua in presenza di quantità catalitiche di esadecil
tributilfosfonio bromuro. Ovviamente il bromuro di n-ottile è completamente solubile
nell’ n-decano così come il cianuro di sodio lo è in acqua. La presenza del bromuro di
fosfonio quaternario, abbreviato come Q+ Br¯, serve a far si che s’instaurino
simultaneamente i quattro equilibri (1)-(4) indicati nella Figura 8.10.
R Br
+
QCN
(3)
R CN
+
(2)
NaBr
Q+ Br
_
(4)
+
QCN
(1)
NaCN
+
Q+ Br
fase organica
interfaccia
_
fase acquosa
Figura 8.10. Ciclo catalitico a trasferimento di fase per una reazione di sostituzione nucleofila.
A causa della sua natura ionica, si potrebbe pensare che il surfattante
Q+ Br¯ sia solubile nella fase acquosa dove sottostà all’equilibrio (1) dando il nuovo
sale quaternario QCN. In realtà i sali di quaternari di fosfonio o di ammonio sono
troppo lipofili per essere solubili nella soluzione acquosa concentrata di un sale
inorganico, in questo caso il cianuro di sodio. Di conseguenza è verosimile che lo
QCN avvenga all’interfaccia e non in seno alla fase acquosa.
scambio Q+ Br¯
237
La specie QCN è meno ionizzata del corrispondente bromuro ed è ugualmente dotata
di una lunga catena alchilica in grado di farla penetrare nella fase organica secondo
l’equilibrio (2), che costituisce il vero e proprio “trasferimento di fase”. All’interno
della fase organica la porzione anionica della specie Q+ CN¯ è poco solvatata e quindi
fortemente nucleofila. Come risultato, nella fase organica avviene rapidamente la
reazione di sostituzione nucleofila (3) che dà il cianuro di n-ottile e rigenera il
bromuro di fosfonio quaternario Q+ Br¯. L’equilibrio (4) regola la ripartizione di
Q+ Br¯ tra la fase organica e quella acquosa completando il ciclo catalitico.
8.6.1 Catalizzatori a trasferimento di fase
Per quanto concerne le specie utilizzate come catalizzatori a trasferimento di fase,
studi dettagliati sul loro comportamento hanno messo in luce come l’attività catalitica
di un generico surfattante Q+ X¯ migliora se:
1. Q+ contiene un numero elevato di atomi di carbonio, almeno 16, connessi tra loro
in catene idrocarburiche;
2. la disposizione delle catene alchiliche attorno all’eteroatomo carico positivamente
è più possibile simmetrica;
3. la carica positiva dell’eteroatomo è più possibile schermata dall’affollamento
sterico prodotto dalle catene idrocarburiche.
In base a queste tre semplici regole è plausibile che, ad esempio, la nucleofilicità
dell’anione cloruro risulti superiore nel caso di nBu4N+ Cl¯ rispetto a Me4N+ Cl¯,
come accade effettivamente. E’ particolarmente interessante considerare quale
ulteriore esempio la reazione tra il bromuro di n-ottile ed il sodio tiofenato, che
decorre molto più velocemente in presenza di tetrabutilammonio ioduro piuttosto che
con l’esadecil trimetilammonio bromuro. Questo comportamento consente di
dirimere una questione che sorge di fronte all’utilizzo di agenti surfattanti quali
catalizzatori nelle reazioni di sostituzione nucleofila, ovvero se nel corso della
reazione si produca un’autentica catalisi a trasferimento di fase piuttosto che una
catalisi micellare. Questo quesito trova una risposta molto semplice dal fatto che il
tetrabutilammonio ioduro non è in grado di formare micelle.
Inoltre, studi approfonditi sulla capacità di aggregazione di diversi surfattanti nella
condizioni sperimentali proprie della catalisi a trasferimento di fase hanno messo in
evidenza la formazione di aggregati formati da 2-5 molecole di surfattante; un
numero troppo modesto perché si possa invocare l’intervento della catalisi micellare
(cfr. pag. 234). Nella Figura 8.11 è rappresentata la variazione del numero di
aggregazione N per i surfattanti cetil trimetilammonio bromuro e cetil
trimetilfosfonio bromuro al variare della concentrazione di surfattante. Come ci si
può aspettare, il numero di aggregazione aumenta all’aumentare della concentrazione
di surfattante e risulta maggiore in benzene piuttosto che in 1-bromopropano. In ogni
caso N indica un’aggregazione di gran lunga inferiore a quella necessaria per la
formazione di micelle.
238
a
N
5
4
b
3
c
d
2
1
0
0.13
0.26
[surfattante]
Figura 8.11. Numero di aggregazione N in funzione della concentrazione di surfattante.
a: C16H33(nBu)3N+ Br¯/benzene, b: C16H33(nBu)3P+ Br¯/benzene,
c: C16H33(nBu)3N+ Br¯/1-bromopropano, d: C16H33(nBu)3P+ Br¯/1-bromopropano.
In alternativa all’utilizzo dei sali quaternari di ammonio o di fosfonio quali controioni
della specie nucleofila si possono utilizzare agenti in grado di complessare il catione
del sale inorganico fornendogli nel contempo un intorno lipofilo sufficiente al suo
trasferimento nella fase organica. A questo scopo si utilizzano eteri corona o vari
agenti criptanti.
O
O
O
O
O
O
O
N
O
O
O
O
O
O
O
O
15-C-5
18-C-6
O
BuO(CH2CH2O)3
N
N
O
N
[2,2,2]criptando
O
O
O
N
O
O
O
12-C-4
O
O
O
N
polietere a catena aperta
239
(OCH2CH2)3OBu
N
(OCH2CH2)3OBu
polipode
La complessazione del catione da parte di queste molecole chelanti implica da un lato
la possibilità di sciogliere il complesso metallo-chelante in soluzione organica,
dall’altro l’esaltazione della nucleofilicità dell’anione X¯.
O
O
O
O
+
K X
+
O
O
_
O
_
X
+
K
O
O
O
O
O
E’ anche possibile modulare la selettività della complessazione nei confronti di un
certo metallo alcalino a secondo della dimensione della cavità dell’agente
complessante. Il 18-C-6 è particolarmente adatto alla complessazione dello ione K+
mentre 15-C-5 e 12-C-4 complessano rispettivamente Na+ e Li+.
Per quanto concerne la solubilità degli anioni nella fase organica essa aumenta
all’aumentare della loro mollezza. Le costanti di ripartizione per i sali n-Bu4N+ X¯ tra
diclorometano ed acqua indicano il seguente ordine di solubilità in diclorometano
picrato >> ClO4¯ > I¯ >> NO3¯ > Br¯ > Cl¯ > AcO¯
Anche se gli anioni fluoruro ed idrossido non compaiono in questa scala di solubilità
è facile immaginare che F¯ ed OH¯ debbano mostrare solubilità molto basse in
diclorometano. Per quanto riguarda l’anione idrossile è plausibile che le reazioni che
richiedono il suo intervento avvengano all’interfaccia e non nella fase organica. A
titolo d’esempio si consideri l’alchilazione del fenilacetonitrile in condizioni di
trasferimento di fase.
Ph
CN
+
R
+ _
QX
_
HO
R Cl
Ph
CN
In questo caso non si forma Q+ OH¯ libero di diffondere nella fase organica; il nitrile
viene probabilmente deprotonato all’interfaccia e forma una coppia ionica con il
catione quaternario Q+. Questa coppia ionica diffonde poi nella fase organica e
subisce l’alchilazione. Il meccanismo potrebbe dunque essere
Ph
CN
_
HO
-H2O
(all'interfaccia)
Ph
CN
+ _
Q_
X
-X
+
CN
Q
R
R X
Ph
Ph
CN
+ _
+ QX
(in fase organica)
8.6.2 Cinetica dei processi a trasferimento di fase
In questo paragrafo si esaminerà il comportamento cinetico delle sostituzioni
nucleofile tra bromuri alchilici e ione cianuro realizzata in condizioni di trasferimento
di fase, essendo i risultati estendibili a qualsiasi reazione di sostituzione nucleofila.
Dunque, per la reazione
240
R Br
+
+ _
Q Br
NaCN
R CN +
NaBr
la velocità di scomparsa del bromuro alchilico è data dall’equazione cinetica
−
d[RBr]
= k[RBr ][QCN]org
dt
Si noti che in questa equazione non compare la concentrazione [CN¯]aq, il che è ovvio
dato che l’anione cianuro in fase acquosa non è il nucleofilo efficace nella reazione di
sostituzione. Questo ruolo è invece assunto dalla specie QCN presente nella fase
organica. Il trasferimento dell’anione cianuro dalla fase acquosa a quella organica
sottostà al seguente equilibrio nel quale i due anioni presenti in fase acquosa, cioè
CN¯ ed il Br¯ proveniente dalla dissociazione del catalizzatore a trasferimento di fase,
si associano ad un catione quaternario nella fase organica.
(Q+ Br¯)org + (CN¯)aq
(QCN)org + (Br¯)aq
Questo equilibrio è regolato dalla costante
K=
[QCN]org [Br - ]aq
[QBr]org [CN - ]aq
Poiché la concentrazione del bromuro quaternario in fase organica [QBr]org è data
dalla differenza tra la sua concentrazione totale Q0 e la concentrazione del cianuro
quaternario in fase organica (QCNorg), si può scrivere
[QCN ]org = K
[CN - ]aq
[Br - ]aq
[QBr]org = K
[CN - ]aq
[Br - ]aq
(Q 0 − [QCN ]org )
da cui
⎡
[CN - ]aq ⎤
[CN - ]aq
[QCN ]org ⎢1 + K
Q0
⎥=K
[Br - ]aq ⎥⎦
[Br - ]aq
⎢⎣
Indicando con r = [Br¯]aq/[CN¯]aq il rapporto tra le concentrazioni degli anioni in fase
acquosa, si può esprimere [QCN]org nel modo seguente
[QCN]org =
KQ 0
K/r
Q0 =
1 + K/r
r+K
Sostituendo quest’ultima eguaglianza nell’equazione cinetica della reazione in
oggetto si ha
kKQ 0
d[RBr]
=−
[RBr ]
r+K
dt
241
Se r può considerarsi costante, il che è plausibile dal punto di vista chimico, il
rapporto kKQ0/(r + K) non è che la costante cinetica osservata, per cui l’equazione
della velocità di reazione assume la semplice forma
d[RBr]
= −k oss [RBr ]
dt
che sancisce una cinetica dello pseudo-primo ordine per le reazioni soggette alla
catalisi a trasferimento di fase. Questo comportamento cinetico è stato dedotto
assumendo che l’equilibrio di scambio tra gli anioni nella fase acquosa e quelli
associati al sale quaternario in fase organica sia molto veloce rispetto alla reazione di
sostituzione nucleofila che ha luogo nella fase organica. Questa assunzione non è più
valida qualora il trasferimento di massa attraverso l’interfaccia risulti ritardato, ad
esempio, da un’agitazione troppo scarsa. In assenza di agitazione la reazione di
sostituzione nucleofila non procede mentre con una frequenza di agitazione superiore
a 250 giri/minuto il valore di koss rimane praticamente costante (Figura 8.12). Questo
comportamento è tipico per una reazione che avviene all’interno della fase organica
mentre è noto che per reazioni che hanno luogo all’interfaccia la velocità del processo
risulta direttamente proporzionale alla frequenza di agitazione.
104 koss
2
1
0
250
giri/min
Figura 8.12. Andamento di koss in funzione della frequenza di agitazione.
8.7 Organocatalisi
L’attività catalitica esplicata da piccole molecole organiche in grado di formare
legami covalenti con il substrato è nota col termine di organocatalisi. La molecola
organica che funge da catalizzatore deve poter legare il substrato dando un
intermedio che sia più reattivo dello stesso substrato nei confronti della
trasformazione che si intende realizzare. Un esempio molto semplice riguarda
l’addizione nucleofila coniugata sull’acroleina in presenza di un’ammina secondaria
in qualità di catalizzatore. Innanzitutto il gruppo aldeidico dell’acroleina reagisce con
l’ammina secondaria presente in quantità catalitiche. A questo punto avviene
l’addizione nucleofila coniugata ad opera del generico nucleofilo Nu¯, che decorre
più velocemente sul sale di imminio che sull’acroleina. In seguito l’ammina
secondaria viene liberata dal sale di imminio per idrolisi completando il ciclo
catalitico.
242
O + H+
H2O
N
NH
O
+
H +
Nu
H2O
Nu
N
_
N
+
H
Nu
Nu
La maggiore reattività del sale di imminio rispetto all’acroleina nei confronti delle
specie nucleofile è dovuta alla carica positiva coniugata al doppio legame etilenico
che ne abbassa il livello energetico del LUMO. Poiché l’addizione nucleofila è
controllata dall’HOMO della specie nucleofila ne deriva una una diminuzione
dell’energia E(LUMO) – E(HOMO), rappresentata da ∆E2 (Figura 8.13), rispetto alla
differenza ∆E1 dell’acroleina.
E
O
_
Nu
N
LUMO
LUMO
∆E1
∆E2
HOMO
Figura 8.13. Energie degli orbitali di frontiera dell’acroleina, del nucleofilo e del sale di imminio.
Utilizzando quali catalizzatori opportune ammine secondarie enantiopure si hanno
addizioni di Michael enantioselettive. In effetti l’utilità e l’efficacia dell’organo
catalisi si riscontra soprattutto nella possibilità di ottenere trasformazioni che
243
decorrono con un elevato grado di stereoselettività. Il seguente esempio si riferisce
all’addizione di Michael enantioselettiva sulla crotonaldeide.
O + H+
H2O
O
O
NH
Bn
NH
tBu
N
Bn
tBu
N
H
Nu
+
H +
O
H2O
Nu
O
O
NH
Bn
_
NH
tBu
N
H
Bn
+
Nu
tBu
N
Nu
Gli stessi principi si applicano ad altre classi di reazioni organiche quali le
cicloaddizioni secondo Diels/Alder, 1,3-dipolari e le reazioni di Friedel/Crafts. La
cicloaddizione di nitroni sulla crotonaldeide decorre con elevata diastereoselezione in
presenza di opportuni imidazolinoni enantiopuri. In questo caso la reazione tra il
catalizzatore e la crotonaldeide dà origine ad una specie dipolarofila carica
positivamente in cui il doppio legame etilenico è fortemente attivato nei confronti
della cicloaddizione. Anche in questo caso l’accelerazione rispetto al processo non
catalizzato avviene grazie all’abbassamento dell’energia del LUMO del dipolarofilo
etilenico dato che la cicloaddizione è controllata dall’HOMO del nitrone.
O + H+
H2O
O
O
NMe
Bn
Ph
Bn
N
NMe
Bn
N
H
N
CHO
+ H+
Ph
O
H2O
O
NMe
Bn
Ph
Bn N
O
244
N
O
H
N
Bn
8.8 Catalisi metallorganica
La catalisi promossa da complessi di metalli di transizione è particolarmente
interessante sia per via delle implicazioni meccanicistiche che per il massiccio
utilizzo che ne viene fatto nella sintesi organica di laboratorio ed industriale. Il campo
della catalisi omogenea è molto vasto dato che sono noti numerosissimi complessi di
metalli di transizione in grado di fungere da catalizzatori; inoltre un gran numero di
reazioni organiche sono facilitate dalla presenza di tali complessi. Poiché in questa
sede l’argomento della catalisi omogenea è limitato ad un solo paragrafo appare
ovvio che vi si può solo accennare molto brevemente. Le sole nozioni necessarie per
la comprensione di questo paragrafo sono quelle relative alla regola dei 18 elettroni
ed ai meccanismi di somma ossidativa ed eliminazione riduttiva. Per via della natura
puramente introduttiva di questa discussione ci si limiterà alla descrizione di pochi
cicli catalitici di particolare rilevanza, privilegiando gli aspetti connessi alla chimica
del centro metallico piuttosto che quelli più propriamente sintetici.
8.8.1 Idrogenazione omogenea di composti insaturi
Il complesso d8 (Ph3P)3RhICl a struttura planare quadrata distorta è noto come
complesso di Wilkinson o catalizzatore di Wilkinson. Malgrado l’ingombro sterico
esercitato dalle fosfine esso è poco dissociato a temperatura ambiente
(Ph3P)3RhICl
(Ph3P)2RhICl + Ph3P
K = 1.4ּ10-4 M
ma dimerizza a temperature superiori dando una specie con due ponti alogeno.
Cl
I
(Ph3P)2Rh
2(Ph3P)3Rh Cl
Rh(PPh3)2 + 2Ph 3P
K = 3 10-4 M
Cl
La somma ossidativa di idrogeno al complesso di Wilkinson dà luogo alla formazione
del diidruro complesso di rodio(III) a formula (Ph3P)2RhH2Cl con struttura
bipiramidale trigonale. Si tratta di una specie a 16 elettroni come lo stesso
catalizzatore di Wilkinson.
I
(Ph3P)3Rh Cl
Ph3P
+
H2
H
III
Rh
Ph3P
H
Cl
Questo diidruro complesso catalizza l’idrogenazione in fase omogenea di olefine ed
altri composti insaturi secondo il seguente ciclo catalitico. Seguendo il ciclo catalitico
in senso orario dalla prima formula in alto a sinistra, il primo passaggio consiste nella
complessazione dell’olefina col mantenimento del numero di ossidazione (III) al
rodio. Seguono la β-migrazione d’idruro al carbonio dell’olefina e l’eliminazione
riduttiva della corrispondente paraffina con formazione della specie a 14 elettroni
(Ph3P)2RhICl. Data l’insaturazione coordinativa di quest’ultima specie, il ciclo si
chiude con la somma ossidativa di idrogeno su di essa, che ripristina il
diidrurocomplesso iniziale.
245
H
Ph3P
III
Rh
Ph3P
Ph3P
H
Cl
H
III
Rh
PPh3
Cl
(18 e-)
(16 e-)
β−migrazione
H2 -H2
H
H
Ph3P
I
Rh
H
Ph3P
Cl
Ph3P
Ph3P
(14 e-)
III
Rh
Cl
(16 e-)
H
H
Nei cicli catalitici che implicano l’intervento di complessi con fosfine terziarie
l’ingombro sterico del legante è molto importante poiché influenza gli equilibri
dissociativi, l’orientazione della complessazione con i leganti insaturi e la stabilità
degli alchilderivati intermedi. Una conseguenza delle interazioni steriche è quella di
rendere possibili idrogenazioni sitoselettive come illustrato nel seguente esempio.
H2
(Ph3P)3RhCl
O
O
COOMe
COOMe
Utilizzando quali leganti bifosfine chirali in luogo della trifenilfosfina si possono
promuovere idrogenazioni stereoselettive. Esempi di questi leganti sono i seguenti.
PPh2
Ph2P
O
Ph2P
O
PPh2
PPh2
PPh2
DIOP
(+)-camphos
Nel campo della sintesi organica uno dei risultati più eclatanti ottenuti
nell’applicazione della catalisi omogenea in presenza di fosfine chirali quali leganti
246
concerne la preparazione della
alcheni a formula generale
L–DOPA
in forma enantiopura per riduzione di
NHR1
RCH
COOH
Si sono ottenuti eccessi enantiomerici fino al 95%.
L’esatto ruolo del legante chirale non è comunque del tutto chiarito per cui la scelta
del legante più adatto e delle condizioni sperimentali sono empiriche e vanno sempre
messe a punto per ogni particolare riduzione.
8.8.2 Idrosililazione di composti insaturi
Nella reazione di idrosililazione delle olefine si ottengono prodotti recanti il gruppo
silile in posizione terminale.
+
R
R3SiH
SiR3
R
Questo processo è catalizzato da acido esacloroplatinico in etanolo, un reattivo noto
come catalizzatore di Speier. Esso è efficace già a concentrazioni molto piccole
rispetto a quella del substrato (10-5-10-8 M) ed è utilmente impiegato nella chimica
dei siliconi. Il ciclo catalitico implica dapprima la formazione di complessi olefinaplatino(II) che subiscono la somma ossidativa del silano R3SiH a dare un idruro
complesso piramidale di PtIV. Seguono la β-migrazione di idruro al carbonio sp2 e per
finire l’eliminazione riduttiva della paraffina α-sililata. In questo ciclo catalitico con
S si indica una molecola di solvente.
R3SiH
Cl
S
H
Cl
II
Pt
S
Cl
Cl
(16 e-)
IV
Pt
SiR3
(16 e-)
β−migrazione
H
SiR3
Cl
S +
Cl
IV
Pt
SiR3
H
(14 e-)
8.8.3 Carbonilazione del metanolo
La reazione MeOH + CO → MeCOOH è catalizzata da metallocarbonili di Fe, Co e
Ni in presenza dell’anione ioduro in qualità di co-catalizzatore. Con questi sistemi
catalitici il processo decorre a 210°C e 510 atm. Impiegando catalizzatori a base di
RhI quali il complesso a 16 elettroni (CO)2RhII2¯ la reazione procede in condizioni
247
molto meno drastiche, ovvero a 100°C ed a pressione ambiente. Il ciclo catalitico
prevede la somma ossidativa dello ioduro di metile sul complesso (CO)2RhII2¯ con la
generazione di un nuovo complesso bipiramidale tetragonale. Quali stadi ulteriori si
hanno la β-trasposizione di CO e la successiva addizione di una seconda molecola di
CO. Si genera così un acilcomplesso bipiramidale tetragonale che per eliminazione
riduttiva di ioduro di acetile rigenera il complesso (CO)2RhII2¯.
I
I CO
Rh
CO
I
Me
I
MeI
III
Rh
I
CO
CO
I
(16 e-)
(18 e-)
MeCOI
β-trasposizione
I
I
COMe
III CO
Rh
CO
I
I
I
CO
COMe
III
Rh
CO
I
(18 e-)
(16 e-)
Lo ioduro di acetile così formato si idrolizza assai facilmente ad acido acetico,
MeCOI + H2O → MeCOOH + HI
mentre lo ioduro di metile necessario per l’innesco del ciclo catalitico proviene dalla
reazione
MeOH + HI → MeI + H2O
8.8.4 Reazione di Heck
Il metallo di transizione più studiato ed utilizzato a fini sintetici nella chimica
organica recente è il palladio attraverso la reazione di Heck, che ne riassume l’utilità
preparativa. Questa trasformazione consiste nell’alchilazione diretta di olefine in
presenza di complessi di Pd0 e di un agente basico.
R X +
R1
"Pd 0"
base
R
R1 + HX
Il ciclo catalitico prevede dapprima la somma ossidativa di R-X al complesso di Pd0,
una specie a 14 elettroni caratterizzata da forte insaturazione coordinativa. Lo stadio
successivo implica la carbometallazione dell’olefina R1CH=CH2 accompagnata dalla
generazione del complesso di alchilpalladio(II) a struttura planare quadrata distorta.
La β-migrazione di idruro comporta quindi l’estrusione dell’olefina trans-alchilata
RCH=CHR1 e la concomitante generazione del complesso di idruropalladio(II).
Come ultimo passaggio l’intervento della base B provoca la deidroalogenazione del
248
complesso di idruropalladio(II) che comporta la rigenerazione del catalizzatore
(Ph3P)2Pd0.
R X
Ph3P
(Ph3P)2Pd0
Ph3P
(14 e-)
II
Pd
(16 e-)
R
X
_
BH+X
R1
B
Ph3P
Ph3P
II
Pd
X
Ph3P
H
Ph3P
R
(16 e-)
R1
II
Pd
X R
H
(16 e-)
R1
Al lato pratico la generazione del complesso di Pd0 viene realizzata in situ per azione
della trifenilfosfina su un sale di palladio(II). Un esempio di reazione di Heck è il
seguente.
S
Br
+
(AcO)2Pd (1%)
N
S
Ph3P (2%)
N
8.9 Problemi
1. “La catalisi acido-base generale si verifica solo: (a) su siti che implicano grandi
variazioni di pK nel corso della reazione, (b) quando il pK del catalizzatore è
intermedio tra i valori iniziali e finali di pK del sito reattivo.” Sulla base di
questa regola, nota come “regola della libido” (W. P. Jencks, 1972) dire se le
seguenti trasformazioni decorrono attraverso catalisi acido-base generale: (a)
idrolisi acido-catalizzata degli esteri di acidi carbossilici, (b) idrolisi acidocatalizzata di acetali, chetali ed ortoesteri.
2.
L’equazione generale per reazioni soggette a catalisi acida o basica specifica è
koss = k0 + k(H+) [H3O+] + k(OH¯) [OH¯]
Ricavare le espressioni di koss: (a) per un processo soggetto a catalisi acida
specifica, (b) per un processo soggetto a catalisi basica specifica.
3.
Il 4-nitrofenilacetato si idrolizza molto facilmente in presenza di imidazolo in
quantità catailtiche. Suggerire un meccanismo plausibile per questa
trasformazione.
249
4.
Si consideri l’enolizzazione dell’acetofenone. Scrivere: (a) un meccanismo a
catalisi acida specifica, (b) un meccanismo a catalisi acida generale.
5.
Il riassestamento secondo Beckmann è una reazione acido-catalizzata che
comporta l’ottenimento di ammidi a partire da ossime. In presenza d’acqua si
verifica invece la seguente reazione di Beckmann “anomala”.
Ph
N
OH
H+
H2O
Ph
OH
+
N
Proporre un meccanismo plausibile per quest’ultima trasformazione.
6.
Quando una reazione è soggetta sia a catalisi acida generale che a catalisi
basica generale si osserva il seguente andamento “a campana” di log koss in
funzione del pH. Spiegare.
log koss
pH
7.
Dimostrare che l’equazione
ka
= K a (α + β )
kb
(pag 228-229) è soddisfatta se α + β = 1.
8.
Spiegare i valori di ME associati ai seguenti substrati
OH
OH
COOH
COOH
4 ּ 104 M
9.
2 ּ 1013 M
Discutere i motivi per cui, nella catalisi a trasferimento di fase, è possibile
ritenere che r = [Br¯]aq/[CN¯]aq sia costante.
8.10 Bibliografia
Tra le monografie che trattano i vari aspetti inerenti alla catalisi risalta la seguente
opera per la sua completezza e la chiarezza espositiva:
1. W. P. Jencks Catalysis in Chemistry and Enzymology Dover Publications, New
York, 1987.
250
Approfondimenti molto utili si trovano anche in:
2. R. P. Bell The Proton in Chemistry Cornell University Press, Ithaca, New York,
1973.
3. R. Stewart The Proton: Applications in Organic Chemistry Academic Press,
New York, 1985.
Le seguenti monografie riguardano aspetti o campi specifici nell’ambito della
catalisi:
- catalisi micellare:
4. M. N. Khan Micellar Catalysis CRC Press, London, 2006.
- catalisi a trasferimento di fase:
5. C. M. Starks, C. L. Liotta, M. Halpern Phase Transfer Catalysis Chapman &
Hall, New York, 1994.
- catalisi supramolecolare
6. P. W. N. M. van Leeuwen Supramolecular Catalysis Wiley-VCH, Weinheim,
2008.
- organocatalisi
7. A. Berkessel, H. Gröger Asymmetric Organocatalysis Wiley-VCH, Weinheim,
2005.
- catalisi metallorganica
8. J. P. Collman, L. S. Hegedus, J. R. Norton, R. G. Finke Principles and
Applications of Organotransition Metal Chemistry University Science Books,
Mill Valley, 1987.
251
9
METODI DI ATTIVAZIONE NON
CONVENZIONALI DI REAZIONI
ORGANICHE
____________________________________________________________________
9.1 Introduzione
252
9.2 Microonde
253
9.3 Sonochimica
259
9.4 Attivazione elettrochimica
264
9.5 Fotochimica
272
9.6 Problemi
280
9.7 Bibliografia
281
____________________________________________________________________
9.1 Introduzione
Il decorso delle reazioni organiche può essere facilitato in vari modi, alcuni dei quali
sono stati presi in considerazione nei capitoli precedenti. Gli effetti della temperatura
sono stati discussi nell’ambito dell’equazione di Arrhenius, della teoria delle
collisioni e dello stato attivato. Si è anche detto che l’applicazione di pressioni
dell’ordine di diversi Kbar può migliorare l’andamento di molte reazioni e addirittura
rendere possibili trasformazioni che non avvengono a pressione ambiente. Inoltre si è
constatato che la catalisi in tutte le sue forme è in grado di produrre notevoli vantaggi
di ordine cinetico nei confronti di un’enorme numero di reazioni organiche.
Naturalmente è possibile intervenire su fattori strutturali ed elettronici per migliorare
la reattività di un substrato.
Esistono tuttavia altre forme di attivazione delle reazioni organiche che esulano dai
metodi e dai concetti finora presi in considerazione e possono risultare molto utili ai
fini preparativi, oltre che costituire argomenti di per sé interessanti dal punto di vista
della chimica organica fisica. Seguendo lo stesso criterio adottato nei capitoli
precedenti ci si propone ora di illustrare alcuni degli aspetti più rilevanti nell’utilizzo
delle microonde, degli ultrasuoni e delle attivazioni elettrochimica e fotochimica
enfatizzandone gli aspetti fisici e meccanicistici.
252
9.2 Microonde
Le microonde sono caratterizzate da lunghezze d’onda comprese tra 1 mm ed 1 m cui
corrispondono, rispettivamente, frequenze di 300 e 0.3 GHz. Nell’ambito dello
spettro delle radiazioni elettromagnetiche le microonde si collocano ad energie
piuttosto basse, al di sotto di 28.6 cal/mole. La particolare importanza delle
microonde in chimica organica è legata al rapido riscaldamento del materiale
irradiato, com’è noto dall’esperienza quotidiana legata all’utilizzo dei comuni forni a
microonde per il riscaldamento dei cibi. Nel campo della chimica organica si è soliti
procedere al riscaldamento di una miscela di reazione con apparecchiature che hanno
lo svantaggio di produrre piuttosto lentamente l’aumento della temperatura. Oltretutto
non è raro che durante il riscaldamento, ad esempio con un termomanto, si producano
surriscaldamenti locali che comportano la parziale decomposizione dei reagenti.
Questo inconveniente si elimina irradiando il reattore che contiene la miscela di
reazione con microonde dato che esse non sono assorbite dalle pareti del recipiente e
possono quindi riscaldare solo il solvente ed i reagenti. Servendosi di
un’apparecchiatura ben congegnata l’aumento della temperatura risulta abbastanza
omogeneo in tutta la miscela di reazione.
9.2.1 Riscaldamento con microonde
Come qualsiasi tipo di radiazione elettromagnetica, le microonde sono costituite da
un campo elettrico ed un campo magnetico ortogonali. Il campo elettrico è
responsabile del riscaldamento dielettrico del campione, che avviene attraverso due
modalità differenti: il meccanismo di polarizzazione dei dipoli ed il meccanismo di
conduzione. Per quanto concerne il primo dei due meccanismi, esso è operante solo
se il campione è costituito da molecole che possiedono un momento dipolare. Un
dipolo molecolare è infatti sensibile alle variazioni di direzione del campo elettrico
esterno nel senso che le molecole dipolari si allineano a questo campo ruotando. Se il
campo elettrico esterno è statico si può ritenere che l’orientazione del dipolo
molecolare sia fissa (Figura 9.1 a) mentre in presenza di un campo elettrico oscillante
con frequenza molto elevata l’orientazione dei dipoli molecolari è distribuita
statisticamente (Figura 9.1 b). In nessuno di questi due casi avviene il riscaldamento
indotto dalle microonde. Quest’ultimo si manifesta invece qualora la frequenza del
campo elettrico oscillante sia tale per cui i dipoli molecolari non dispongono del
tempo necessario per riallinearsi completamente lungo le linee di forza del campo
(Figura 9.1 c). In questa evenienza, che occorre proprio nel dominio di frequenza
delle microonde, i dipoli molecolari si allineano nel tentativo di seguire la direzione
del campo elettrico il quale ha contemporaneamente variato direzione generando una
differenza di fase con la direzione dei dipoli molecolari. Questa differenza di fase
causa la dissipazione di energia da parte del dipolo molecolare dovuta a fenomeni di
frizione e collisione intermolecolare. Poiché la dissipazione energetica in oggetto
avviene sotto forma di calore ha luogo il fenomeno del riscaldamento dielettrico. Il
semplice modello fisico ora preso in esame permette di giungere ad alcune
considerazioni interessanti. In primo luogo si ha la spiegazione del motivo per cui
l’irradiamento con microonde non produce riscaldamento nei gas; le molecole in fase
253
gassosa sono troppo distanti perché si possa dissipare efficacemente energia
attraverso frizioni e collisioni intermolecolari.
(a)
(b)
(c)
Figura 9.1. Rappresentazione pittorica della disposizione dei dipoli molecolari: (a) in un campo
elettrico statico, (b) in un campo elettrico ad alta frequenza,
(c) in un campo elettrico generato da microonde.
Un fenomeno interessante si rileva sottoponendo ad irradiamento con microonde
campioni di solventi a diversa costante dielettrica, ad esempio acqua e diossano. Il
solvente più polare subisce un netto incremento della temperatura che manca invece
nel caso del diossano, che è un solvente poco polare (Figura 9.2). Questo
comportamento si può spiegare agevolmente sulla base di quanto detto in precedenza.
La bassa polarità del diossano fa si che le sue molecole non risentano in modo
significativo del campo elettrico che accompagna le microonde. Al contrario i
fenomeni dissipativi dell’energia rotazionale, che si convertono in calore, si
manifestano nella massa acquosa dato che il momento dipolare delle molecole
d’acqua subisce la variazione di fase rispetto al campo elettrico applicato.
T (°C)
acqua
120
100
80
60
40
diossano
20
10
20
30
tempo (min.)
Figura 9.2. Riscaldamento con microonde di acqua e diossano in funzione del tempo.
Dalla Figura 9.2 si nota immediatamente che l’irradiamento dell’acqua con
microonde produce un riscaldamento che porta la temperatura della massa acquosa
ben oltre il suo punto di ebollizione a pressione ambiente. Questo fenomeno è detto di
sovrariscaldamento. Durante il processo di ebollizione il cambiamento di fase
liquido → vapore può avvenire in seno al fluido oppure, più comunemente, in siti di
254
nucleazione presenti sulla superficie riscaldante. Poiché, come si è detto, il recipiente
che contiene il solvente è trasparente alle microonde si ha la mancanza dei siti di
nucleazione, che è accompagnata dal ritardo nell’ebollizione. Nella Tabella 9.1 sono
riassunti i punti di ebollizione di alcuni solventi organici polari a pressione ambiente
con e senza irradiamento da microonde.
Tabella 9.1. Punti di ebollizione di solventi organici polari.
_______________________________________________________________________________________
Solvente
P. eb. (°C)
P. eb. con
irradiamento (°C)
_______________________________________________________________________________________
1-butanolo
metanolo
acetone
acetato d’etile
acetonitrile
THF
117
65
56
77
82
67
138
84
89
102
120
103
_______________________________________________________________________________________
Per quanto riguarda il riscaldamento prodotto dalle microonde attraverso il
meccanismo della conduzione si può fare riferimento all’irradiamento di due
campioni d’acqua; il primo d’acqua distillata, il secondo di acqua contenente ioni.
Questi ioni si muovono in seno alla soluzione acquosa sotto l’influenza del campo
elettrico, il che comporta la dissipazione di energia traslazionale sotto forma di
calore. E’ ovvio che questo tipo di fenomeno è assente nel caso dell’acqua distillata.
T (°C)
120
acqua
100
acqua distillata
80
60
40
20
10
20
30
tempo (min.)
Figura 9.3. Riscaldamento con microonde di acqua distillata ed acqua contenente ioni
in funzione del tempo.
Può accadere che due solventi puri di polarità simile irradiati con microonde per un
certo tempo e con la stessa potenza subiscano un aumento di temperatura assai
diverso. Ad esempio l’acetone (ε = 20.56) e l’etanolo (ε = 24.55) dopo 30 minuti
d’irradiamento raggiungono rispettivamente i 52 ed i 105°C. Questo comportamento
255
è razionalizzabile prendendo in considerazione la permettività dielettrica del solvente,
ε’. Essa rappresenta la tendenza di una molecola ad essere polarizzata dal campo
elettrico applicato. Definendo con ε’’ la perdita dielettrica, che quantifica l’efficienza
del materiale dielettrico nel trasformare in calore l’energia delle microonde, si
stabilisce la relazione tan δ = ε”/ε’. Tan δ è il fattore di dispersione del dielettrico, che
indica la capacità del materiale di assorbire l’energia delle microonde convertendola
in energia termica. A parità di costante dielettrica solventi caratterizzati da valori di
tan δ maggiori si riscaldano più rapidamente. Nel caso preso in considerazione i
valori di tan δ per l’etanolo e l’acetone valgono rispettivamente 0.054 e 0.042.
9.2.2 Effetti specifici delle microonde
Gli effetti delle microonde esercitano un’influenza sia sul fattore pre-esponenziale
che sull’energia libera di attivazione dell’equazione di Arrhenius k = A exp(∆G≠/RT).
Le molecole dei reagenti sono infatti sottoposte all’influenza di un campo elettrico
oscillante in grado di produrre un parziale allineamento dei dipoli molecolari. Ne
segue che questo parziale allineamento aumenta la frequenza delle collisioni utili a
produrre un urto efficace e quindi un atto reattivo. Grazie alla parziale orientazione
dei dipoli molecolari il termine ∆G≠ subisce un aumento dovuto al valore più
negativo di -T∆S≠, che riflette il grado di relativa organizzazione delle molecole dei
reagenti rispetto a quanto avviene nel caso del riscaldamento tradizionale. Da quanto
si è detto a proposito del riscaldamento dei solventi ad opera delle microonde appare
evidente che il trasferimento energetico alle molecole di soluto può risultare efficace
solo in presenza di solventi poco polari. Ad esempio la reazione di Biginelli
Ar
EtOOC
H2N
ArCHO +
EtOOC
O
NH
O
+
H2N
N
O
H
condotta in etanolo non comporta incrementi del rendimento né della velocità di
reazione per irradiamento con microonde. Aumenti significativi delle rese
accompagnati da una forte diminuzione del tempo di reazione si osservano invece
quando quando la reazione è sottoposta ad irradiamento con microonde in assenza di
solvente. La mancanza di effetti specifici delle microonde risulta evidente da molti
altri esperimenti realizzati in etanolo o in dimetilformammide. Utilizzando solventi
poco polari l’entità dell’effetto delle microonde è legato alla polarità delle molecole
dei reagenti. La reazione di Diels/Alder tra antracene e dimetilmalonato in xilene non
risente degli effetti specifici dovuti all’irradiamento con microonde mentre l’analoga
reazione tra 3,4-dimetilbuta-1,3-diene e metilvinilchetone in xilene decorre circa 5
volte più velocemente per irradiamento con microonde rispetto al riscaldamento
tradizionale. Sono poi stati evidenziati alcuni effetti specifici determinati
dall’irradiamento con microonde a secondo del meccanismo di reazione. Per processi
di tipo concertato che coinvolgono reagenti poco polari è plausibile che gli effetti
specifici dovuti alle microonde siano di scarsa entità o non si manifestino affatto,
256
come nel caso della reazione di Diels/Alder sopra menzionata tra antracene e
dimetilmalonato. Nell’evenienza che ad un processo concertato partecipino reagenti
relativamente polari si possono invece verificare effetti specifici dovuti
all’irradiamento con microonde. Costituisce un esempio in questo senso la
cicloaddizione 1,3-dipolare tra nitroni e composti fluorurati.
OH
O
F3C
COOEt
F3C
COOEt
Me
H
+
N
Ph
O
COOEt
Ph
Me N
CF3
O
OH
_________________________________________________________________________________________
Attivazione
Solvente
Tempo
T (°C)
∆
∆
microonde
__
3 min.
24 h
3 min.
119
110
119
Resa (%)
_________________________________________________________________________________________
toluene
__
64
65
98
_________________________________________________________________________________________
Nel caso di reazioni bimolecolari tra reagenti neutri, ad esempio l’alchilazione di
ammine o fosfine e l’addizione nucleofila al carbonile, si ha sviluppo di carica a
livello dello stato di transizione. L’incremento di polarità rispetto ai reagenti
dovrebbe garantire l’accelerazione di queste reazioni per irradiamento con
microonde. Al contrario le reazioni bimolecolari a dispersione di carica non
dovrebbero risultare accelerate dall’irradiamento con microonde. Poiché però lo
spettro delle reazioni SN 2 è molto ampio si possono ulteriormente distinguere due
situazioni alquanto differenti:
(i) se la reazione implica l’intervento di una coppia di ioni legata fortemente
nello stato fondamentale, ad esempio formata da due ioni duri, è prevedibile
un’accelerazione del processo indotta dall’irradiamento con microonde. Nel corso
della reazione l’iniziale coppia di ioni “chiusa” si trasforma infatti in una seconda
coppia di ioni più lasca e quindi più polare della prima;
(ii) se lo stato fondamentale dei reagenti è caratterizzato da una coppia di ioni lasca,
ad esempio formata da ioni molli, la sua evoluzione non comporta una variazione
sostanziale della sua polarità ed è prevedibile un’azione assai limitata da parte
delle microonde.
Per un classico processo monomolecolare corrispondente ad una reazione SN 1
l’accelerazione prodotta dall’irradiamento con microonde dovrebbe risultare efficace
dato che lungo la coordinata di reazione si deve verificare un forte sviluppo di carica.
9.2.3 Esempi di reazioni organiche attivate dalle microonde
In questo paragrafo saranno discussi alcuni esempi di reazioni organiche che vengono
accelerate per irradiamento con microonde. Poiché gli esempi in letteratura sono
ormai molto numerosi ci si limiterà a considerare solo pochi esempi significativi la
cui interpretazione si basa sui principi discussi nella sezione precedente.
257
Tipici processi di sostituzione nucleofila quali le reazioni SN 2 tra la 2-cloropiridina e
cloruri alchilici e la reazione di sostituzione nucleofila aromatica tra para-cloro
toluene e piperidina subiscono una forte accelerazione passando dal riscaldamento
tradizionale, indicato col simbolo ∆, all’irradiamento con microonde (MW).
R
+
N
Cl
Cl
Cl
_
N
Cl
R
_____________________________________________________________________________
R
Tempo
T (°C)
Resa (%)
_________________________
∆
MW
__
80
_____________________________________________________________________________
COOEt
COOEt
CN
CN
40 min
23 h
40 min
23 h
165
165
165
165
__
46
__
56
__
10
_____________________________________________________________________________
Cl
+
Me
N
N
Me
H
MW: 6 min, a riflusso, 70%. ∆: 16 h, a riflusso, 60%.
Per quanto riguarda le addizioni al carbonile, si considerino le preparazioni di
N-sulfonilimmine o di ∆2-ossazoline. A parità di condizioni, cioè tempi e
temperature, i rendimenti risultano di gran lunga migliori irradiando la miscela di
reazione con microonde.
PhCHO + H2NSO2p-Tol → PhCH=NSO2p-Tol
MW: 6 min, 190°C, 91%. ∆: 6 min, 190°C, 40%.
OH
O
Ar
OH
ArCOOH
+
H2N
OH
OH
HN
OH
N
OH
- H2O
Ar
OH
O
OH
MW: 10 min, 200°C, 80-95%. ∆: 10 min, 200°C, < 5%.
Notevoli incrementi della velocità di reazione si verificano anche nell’esterificazione
di acidi carbossilici. Queste reazioni possono essere realizzate efficacemente in
258
presenza di un catalizzatore a trasferimento di fase; nel caso dell’esterificazione
dell’acido benzoico con il bromuro di n-ottile si opera infatti in presenza di carbonato
di potassio e tetrabutilammonio bromuro. Procedendo all’irradiamento con
microonde non è necessario ricorrere all’impiego del catalizzatore a trasferimento di
fase ed i tempi di reazione risultano molto contenuti.
O
n-C8H17Br
+
Ph
K2CO3
O
Ph
OH
On-C8H17
MW: 150 s, 145°C, 99%.
Anche la reazione opposta, cioè l’idrolisi basica del benzoato di metile, decorre molto
più velocemente per irradiamento con microonde rispetto alla normale reazione
termica.
Come si è detto, esistono reazioni che non risentono degli effetti prodotti dalle
microonde. Ne è un esempio la reazione di Friedel/Crafts tra il mesitilene ed il
fenilsolfonilcloruro in presenza di FeCl3. In questo caso la mancanza di accelerazione
è imputabile al fatto che la specie reattiva Ph-SO2+ FeCl4¯ forma una coppia ionica
piuttosto lasca come del resto lo stato di transizione implicato nella reazione.
+
PhSO2Cl
FeCl3
SO2Ph
MW: 30 min, 110°C, 80%. ∆: 30 min, 110°C, 78%.
9.3 Sonochimica
La sonochimica studia gli effetti provocati da onde sonore, solitamente ultrasuoni,
sulle reazioni chimiche. Gli ultrasuoni sono onde acustiche di frequenza compresa tra
15 KHz e ≈5 MHz che vengono trasmesse attraverso qualsiasi sostanza, sia essa
solida, liquida o gassosa, purché possieda proprietà elastiche. Quando le vibrazioni
emesse da una sorgente acustica sono trasmesse alle molecole del mezzo, ciascuna di
esse dissipa il suo moto per collisione con le molecole vicine prima di tornare allo
stato iniziale. Ne deriva un movimento continuo di molecole che produce regioni
nelle quali si hanno compressioni e rarefazioni del fluido che si alternano seguendo la
frequenza dell’onda sonora. Nel caso di liquidi e gas l’oscillazione delle molecole
avviene lungo la direzione di propagazione dell’onda sonora producendo onde
longitudinali. Per quanto riguarda il presente paragrafo ci si occuperà solo della
trasmissione delle onde ultrasoniche nei liquidi dato che la stragrande maggioranza
delle reazioni chimiche decorre allo stato liquido. Gli effetti della propagazione di
ultrasuoni a bassa frequenza trovano applicazione nella pulitura ultrasonica,
nell’emulsificazione di sospensioni eterogenee e nell’accelerazione di reazioni
chimiche. Tutte queste applicazioni sono il risultato dell’agitazione meccanica
causata dalle onde ultrasoniche o dalla cavitazione -formazione di piccole bolleprodotta nella massa liquida.
259
9.3.1 Principi generali
Applicando un campo acustico ad un liquido la vibrazione causata dall’onda sonora
crea una pressione acustica Pa dipendente dal tempo t tale per cui
Pa = PA sin 2πνt
dove ν è la frequenza dell’onda acustica e PA la sua ampiezza massima. L’intensità
dell’onda acustica, che esprime l’energia trasmessa al secondo per cm2 di liquido, è
espressa da
I = P2A/2ρc
dove ρ è la densità del mezzo e c la velocità di propagazione dell’onda sonora nello
stesso mezzo. L’intensità di un’onda sonora risulta attenuata al procedere del suo
passaggio attraverso un mezzo liquido dato che le molecole del mezzo vibrano sotto
l’influenza dell’onda sonora e dissipano l’energia di questa vibrazione per frizione
sotto forma di calore. Si ha riscaldamento nei siti di compressione mentre nei siti di
rarefazione avviene un raffreddamento. Dato che la compressibilità dei liquidi è
comunque molto piccola il riscaldamento della massa liquida risulta alquanto
modesto. L’energia I convertita in calore è espressa dalla relazione
I = I0exp(-2αl)
dove I rappresenta l’intensità alla distanza l dalla sorgente sonora ed α è il
coefficiente di assorbimento espresso dall’equazione di Kirchoff
α=
2π 2ν 2 ⎡
4
(γ − 1)k ' ⎤
η + ηs +
⎥
3 ⎢ b
3
C p ⎦⎥
ρc ⎣⎢
nella quale compaiono la viscosità del fluido ηb e la sua viscosità trasversale ηs, la
conduttività termica del mezzo k’, la sua capacità termica a pressione costante Cp e il
rapporto dei calori specifici γ.
Sotto l’influenza di un’onda di pressione la distanza molecolare media di un liquido
varia seguendo l’oscillazione delle molecole intorno alla loro posizione di equilibrio.
Come si è detto, applicando una pressione sufficientemente alta, in seno alla massa
liquida si creano zone nelle quali la distanza tra le molecole è superiore alla distanza
critica R propria del liquido non perturbato. In queste zone la struttura del liquido
subisce dunque una rarefazione che comporta lo sviluppo di vuoti che prendono il
nome di bolle di cavitazione. Queste entità si formano irradiando la massa liquida con
onde ultrasoniche aventi intensità superiore a 10 W cm-2 ed esistono per un tempo
abbastanza breve pari ad alcuni cicli acustici. Durante la loro esistenza le bolle di
cavitazione si espandono fino ad assumere un raggio circa doppio di quello iniziale,
quindi collassano violentemente dando spesso luogo alla formazione di nuove bolle
di diametro molto inferiore. Nel caso dell’acqua la pressione necessaria per creare
bolle di cavitazione si calcola attraverso la relazione semplificata PC ≈ 2σ/R, dove σ
indica la tensione superficiale dell’acqua. Assumendo R = 10-8 cm si ricava
PC ≈ 10 Kbar, mentre se si assume che le bolle di cavitazione siano riempite da
260
vapore si ottiene PC ≈ 1 Kbar. La temperatura massima TM e la pressione massima PM
raggiunte dalle bolle di cavitazione all’inizio del loro collasso sono espresse dalla
relazioni
⎡ P (γ − 1) ⎤
TM = T0 ⎢ m
⎥
P
⎣
⎦
⎡ P (γ − 1) ⎤
PM = P ⎢ m
⎥
P
⎣
⎦
γ / γ −1
dove T0 è la temperatura ambiente del liquido, γ il rapporto tra i calori specifici
gas/vapore, P è la pressione all’interno della bolla di cavitazione al momento della
sua massima espansione e Pm è la pressione all’interno della massa liquida al
momento del collasso della bolla. Il tempo impiegato per il collasso della bolla di
cavitazione non supera di norma 1/5 del periodo di vibrazione dell’onda acustica ed è
espresso da
I = 0.915 R M / ρ M
dove RM è il raggio massimo raggiunto dalla bolla di cavitazione. Una stima dei
valori TM e PM che ricorrono nella fase finale dell’implosione di una bolla di
cavitazione contenente azoto (γ = 1.33) in acqua a 20°C ed 1 bar dà rispettivamente
valori pari a 4200 K e 975 bar. L’esistenza di queste temperature e pressioni molto
elevate sono alla base della razionalizzazione della maggiore reattività che si osserva
generalmente per irradiamento con gli ultrasuoni. Questo incremento di reattività è
imputabile al maggior numero di collisioni molecolari efficaci ed è quindi in
relazione con il termine pre-esponenziale dell’equazione di Arrhenius.
9.3.2 Effetti degli ultrasuoni sulle reazioni organiche
Nell’ambito della realizzazione di reazioni organiche si utilizzano ultrasuoni a
frequenze comprese tra 20 e 100 KHz. Nel caso di reazioni che implicano
l’intervento di superfici metalliche gli ultrasuoni svolgono inizialmente il compito di
pulire in modo molto efficace la superficie metallica rendendo più facile l’innesco
della reazione. Tuttavia esaminando la superficie di un metallo sottoposto all’azione
degli ultrasuoni si rilevano asperità che vanno ad incrementare la superficie attiva del
metallo. Queste asperità sono probabilmente dovute all’azione meccanica
dell’implosione delle bolle di cavitazione che avvengono in prossimità della
superficie del metallo. Gli ultrasuoni hanno poi l’effetto di rimuovere i prodotti di
reazione dalla superficie del metallo rigenerando in modo molto efficace la superficie
metallica attiva libera. Le stesse considerazioni si applicano a quelle reazioni che
decorrono in presenza di polveri sia metalliche che non metalliche. In questo tipo di
trasformazioni gli ultrasuoni hanno il ruolo di ridurre le dimensioni delle particelle
aumentandone quindi la superficie effettiva. Nelle reazioni tra liquidi non miscibili
gli ultrasuoni possono indurre la formazione di emulsioni particolarmente
frammentate comportando l’incremento dell’area interfacciale tra i due liquidi.
Poiché è nel volume sotteso da quest’area che avvengono le reazioni chimiche gli
261
ultrasuoni risultano molto efficienti nell’aumentare la reattività, tanto che in tipiche
reazioni catalizzate a trasferimento di fase si può eliminare il catalizzatore
sostituendolo con l’irradiamento ultrasonico. Tutte queste azioni meccaniche messe
in campo dagli ultrasuoni non sono ovviamente in grado di rendere conto
dell’incremento della velocità di reazione che si osserva nel caso delle reazioni
realizzate in fase omogenea. Alcuni processi quali la frammentazione radicalica degli
alcani o la solvolisi del 2-cloro-2-metilpropano in solventi alcolici sono promossi dal
collasso delle bolle di cavitazione. Esse contengono vapori del solvente e/o dei
reagenti che nel momento del collasso sono soggetti ad un enorme incremento della
pressione e della temperatura. In queste condizioni estreme sia i vapori del solvente
che dei reagenti possono subire diversi tipi di frammentazione generando specie
molto reattive. L’onda d’urto provocata dal collasso della bolla di cavitazione
provoca inoltre la distruzione locale della struttura del solvente e può quindi
influenzare la reattività alterando la solvatazione delle specie reattive presenti.
9.3.3 Esempi di reazioni organiche attivate dagli ultrasuoni
Gli ultrasuoni trovano impiego nell’attivazione di intere classi di reazioni organiche.
In questo paragrafo ci si limiterà all’illustrazione di pochi esempi rappresentativi
rinunciando ad una trattazione sistematica dell’argomento dato che gli sviluppi in
questo campo riguardano soprattutto le applicazioni nel campo della sintesi organica
piuttosto che in quello dei meccanismi di reazione.
Un’applicazione interessante dell’irradiamento con ultrasuoni si ha nella generazione
di reattivi di Grignard difficilmente accessibili con metodi convenzionali. La reazione
tra il magnesio ed il 2-bromobutano, ad esempio, richiede tempi di 2-3 ore nelle
condizioni classiche di reazione mentre irradiando la miscela dei reagenti con
ultrasuoni a 50 KHz sono sufficienti 3-4 minuti. La preparazione di organoborani può
essere eseguita molto convenientemente in condizioni sonolitiche utilizzando quali
reagenti l’alogenuro alchilico, magnesio in polvere e BF3 eterato. Operando in questo
modo la formazione degli organoborani viene realizzata in situ previa generazione del
reattivo di Grignard RMgX. Il trattamento degli stessi reagenti in assenza
dell’irradiamento di ultrasuoni non produce alcun risultato.
3R-X + Mg + BF3 → R3B
(90-100%)
Una drastica riduzione dei tempi di reazione si manifesta nella generazione della
sodio isobenzochinolina
_
Na+
N
che in condizioni classiche richiede tempi di 48 ore, mentre per irradiamento
ultrasonico sono sufficienti 45 minuti.
262
Nella sintesi di composti di organozinco a partire da alogenuri alchilici e litio si
hanno notevoli vantaggi in termini di tempi di reazione, rispetto ai metodi
tradizionali, irradiando la miscela di reazione con ultrasuoni (us).
R X + Li
R Li
us
ZnBr2
R 2Zn
us: 20 min. ∆: 2 h.
Dato che gli ultrasuoni promuovono l’estrusione di ossido di carbonio da complessi
ferrocarbonilici secondo la reazione generale
Fe(CO)5 → Fe(CO)5-n + nCO
la sonicazione di Fe2(CO)9 realizzata in benzene in presenza di alchenilepossidi dà
luogo alla formazione di complessi di η3-allilferrocarbonil lattonici.
O
CO
O
O
Fe2(CO)9
R
O
R
Fe
O
us
CeIV
R
R
O
O
In presenza di litio e rame metallici dispersi come polveri nella miscela di reazione
l’azione degli ultrasuoni a 50 KHz promuove l’addizione coniugata di organocuprati
generati in situ con rese molto interessanti.
O
O
+ BuBr
Li, Cu
us
(89%)
Bu
Per quanto riguarda le reazioni di addizione al doppio legame carbonio-carbonio,
l’irradiamento con ultrasuoni a 50 KHz dà luogo all’idrosililazione oppure alla
riduzione olefina → alcano in solo 1 ora evitando di operare con idrogeno gassoso.
+ R3SiH
Pt/C
30°C, us
R3Si
H
Pd/C, HCOOH
20°C, us
Le idroalchilazioni di alchini realizzate in presenza di zinco in polvere e ioduro di
rame (I) decorrono in modo molto pulito per irradiamento di ultrasuoni, così come le
arilazioni di alogenuri arilici. Ad esempio, irradiando una miscela di bromobenzene e
263
litio in polvere con ultrasuoni a 117 W e 50 KHz si ottiene il bifenile con buone rese.
La stessa reazione non ha luogo in condizioni normali.
R
+ R1
PhBr
Li
us
I
Zn, CuI
us
R1
R
Ph Ph
9.4 Attivazione elettrochimica
Le reazioni elettrorganiche sono processi che avvengono all’interno di celle
elettrolitiche per passaggio di una corrente elettrica. Una reazione elettrorganica è
eterogenea o diretta quando lo scambio di elettroni col substrato organico avviene
direttamente all’elettrodo generando una specie elettroattiva. In questo caso il
trasferimento di elettroni ha luogo all’interfaccia che si forma tra l’elettrodo e la
soluzione contenente il substrato organico. L’elettrodo cede elettroni nei processi
catodici ed assorbe elettroni nei processi anodici; si può quindi parlare di ossidazioni
che avvengono all’anodo e riduzioni che avvengono al catodo. Nel seguente schema
sono rappresentate alcune delle possibili ossidazioni anodiche dirette.
R M + R M++ disproporzionamento
(R M)++
dicatione dimero
2
R M
_
-e
R M+
_
-e
+
-M
R+ carbocatione
R
_
-e
R R dimero
R M++ dicatione
Lo schema riassuntivo dei principali processi di riduzione catodica è molto simile al
precedente.
R M + R M=
disproporzionamento
(R M)2= dianione dimero
R M
e
_
R M
_
-M
e
_
_
-e
_
R
_
carbanione
R
R R dimero
R M=
dianione
264
Una reazione elettrodica diretta implica tre passaggi fondamentali:
(i) trasferimento del substrato dalla soluzione alla superficie elettrodica,
(ii) scambio di elettroni tra substrato ed elettrodo,
(iii) rimozione della specie elettroattiva, cioè un radicalanione od un radicalcatione,
dalla superficie dell’elettrodo.
Il più lento di questi tre stadi determina la velocità dell’intero processo.
Una reazione elettrorganica è omogena od indiretta se il substrato organico non
scambia elettroni direttamente con l’elettrodo ma con qualche specie elettroattiva. In
linea di massima le reazioni elettrorganiche sia dirette che indirette sono processi
irreversibili per cui la formazione dei prodotti è soggetta a controllo cinetico.
9.4.1 Fattori termodinamici e cinetici
Il potenziale elettrodico per una coppia redox
Rid → Oss + n e¯
è espresso dall’equazione di Nerst
E = E0 +
RT
a (Oss)
log
nF
a (Rid)
dove E0 rappresenta il potenziale elettrodico standard per la coppia redox in
questione. Dalla termodinamica è noto che per processi reversibili è valida la
relazione
∆G0 = -RT log K = -nFE0
ma nella pratica della chimica elettrorganica si ha a che fare con processi irreversibili
per i quali quest’ultima eguaglianza non è valida. Si assume allora che
nFE0 = nFE½
dove E½ è il potenziale di semionda che si ricava facilmente con metodi polarografici.
In pratica da un polarogramma che mette in relazione la corrente i ed il potenziale
applicato E si ricava E½ con metodi grafici.
i
E1/2
E
Figura 9.4. Potenziale di semionda E½ per interpolazione grafica di un generico polarogramma.
265
Facendo riferimento a due processi di scarica dei quali uno è reversibile e l’altro è
irreversibile, la differenza
∆E½ = E½(rev) + E½(irr)
è in relazione con il ∆∆G0 secondo l’eguaglianza
∆∆G0 = ∆E½
I potenziali di semionda di processi irreversibili non hanno un significato
termodinamico preciso, tuttavia sono molto utilizzati nella pratica dato che sono in
relazione con l’energia di attivazione di processi elettrorganici e delle corrispondenti
costanti di velocità in fase eterogenea.
∆∆G≠ = ∆log k = ∆E½
Nel caso di processi irreversibili il potenziale elettrico effettivo Eeff necessario per far
avvenire una reazione con velocità apprezzabile non è determinato dal rapporto
a(Oss)/a(Rid) che compare nell’equazione di Nerst, che è valida per processi
reversibili. Occorre infatti applicare un potenziale superiore ad E0 di una quantità η
detta sovrapotenziale tale per cui
η = Eeff – E0
La relazione che intercorre tra il sovrapotenziale η e la corrente elettrica osservata i è
espressa dall’equazione di Tafel
⎛ αFη ⎞
i = i0 exp⎜
⎟
⎝ RT ⎠
nella quale i0 rappresenta la densità di corrente all’equilibrio ed α esprime la frazione
del potenziale elettrodico che sostiene la reazione.
Per quanto riguarda la cinetica del trasferimento elettronico, la velocità di una
reazione elettrodica è espressa implicitamente dalla corrente osservata i
i = i0 {exp(αFη/RT) – exp[(1-α)Fη/RT]}
il sovrapotenziale η costituisce infatti una misura della variazione dell’energia libera
di attivazione riferita al processo di trasferimento elettronico.
Come esempio di un tipico processo irreversibile si consideri la reazione
R + 2H2O + 2e¯ → RH2 + 2OH¯
La velocità complessiva dell’intero processo è determinata dall’intensità della
corrente i relativa al secondo passaggio del meccanismo, che è lento ed irreversibile.
1) R + e¯→ R¯•
•
=
rapido e reversibile
2) R¯ + e¯→ R
lento ed irreversibile
3) R= + 2H2O → RH2 + 2OH¯
rapido ed irreversibile
266
9.4.2 La reazione elettrorganica
Dal punto di vista elettrochimico le molecole organiche sono di solito considerate
specie alquanto complesse che possono reagire in molti modi diversi qualora sia
applicato un dato potenziale elettrico. Nella maggior parte dei casi la reazione
elettrorganica di un substrato si ha solo applicando potenziali elettrici piuttosto
elevati che possono produrre intermedi molto reattivi in grado di dare luogo a
processi collaterali indesiderati. Come regola generale, l’applicazione di potenziali
elevati si riflette in una selettività piuttosto scarsa. Per un processo catodico del tipo
e
R
_
R
_
v1
v2
P1
P2
il potenziale elettrodico determina la velocità di formazione del radicalanione R•¯ e la
sua concentrazione all’interfaccia elettrodo-soluzione. La velocità di conversione del
radicalanione nei prodotti P1, P2, che avviene rispettivamente con le velocità v1, v2,
dipende in primo luogo dalla concentrazione della specie reattiva generata
all’elettrodo. Altri fattori sono ugualmente importanti nel determinare il percorso
seguito da una reazione elettrorganica. La stabilità, o vita media, della specie reattiva
generata all’elettrodo determina la possibilità che questa specie sia in grado di
diffondere nella soluzione elettrolitica influenzandone quindi la reattività. Specie
estremamente reattive, con una vita media di 10-7-10-8 s, sono destinate a reagire
nell’immediato intorno dell’interfaccia elettrodo-soluzione; specie caratterizzate da
una vita media > 10-2 s diffondono nella soluzione elettrolitica. L’andamento delle
reazioni elettrorganiche è influenzato anche da parametri extra-elettrodici quali la
frequenza di agitazione della soluzione e la temperatura della cella elettrolitica,
nonché dalla composizione della soluzione elettrolitica. Riguardo quest’ultimo
parametro vanno tenute presenti la natura chimica del solvente, dell’elettrolita di
supporto e di ogni altra sostanza, organica e non, presente nella cella elettrolitica.
9.4.3 Ossidazioni anodiche
Per quanto concerne la formazione elettrochimica del legame carbonio-carbonio la
reazione di Kolbe costituisce un ottimo esempio di reazione elettrorganica. Si tratta
dell’ossidazione anodica dell’anione acetato che viene realizzata con elettrodi di
platino o di iridio. Utilizzando elettrodi costruiti con altri materiali la reazione non
avviene.
CH3COO
2CH3
_
-e
Pt
CH3COO
CH3 + CO2
C2H6
Il diagramma corrente-potenziale per la reazione di Kolbe mette in luce che, a
potenziali inferiori a 2V e con densità di corrente ≈ 10 mA/cm2, da una soluzione
acquosa di acetato sodico si ha sviluppo di ossigeno all’anodo: come richiesto dalla
termodinamica si ha l’idrolisi dell’acqua. Aumentando l’intensità della corrente si
267
osserva un brusco incremento del potenziale finché a ≈ 2.3 V ha inizio l’ossidazione
anodica dell’anione acetato che in queste condizioni corrente-potenziale è favorita
cineticamente rispetto allo sviluppo si ossigeno.
E (V)
2.4
reazione di Kolbe
2.2
2.0
elettrolisi dell'acqua
0
1
2
3
i
Figura 9.5. Diagramma corrente-potenziale per la reazione di Kolbe.
L’ossidazione dei carbossilati avviene anche su anodi di grafite ma poiché
quest’ultimo materiale adsorbe i radicali carbossilato molto più efficacemente del
platino i radicali acetossi vengono ulteriormente ossidati a carbocationi con
l’estrusione di anidride carbonica. Come conseguenza si ha la formazione di specie
ossigenate per reazione con il mezzo elettrolitico.
CH3COO
CH3
H2O
_
-e
CH3 + CO2
+
CH3OH + H
Altre formazioni di legami carbonio-carbonio interessanti sono intramolecolari
(E½ = 1.5 V).
OMe
OMe
_
-2e
+
-2H
OMe
OMe
L’acetossilazione anodica degli areni decorre applicando potenziali di semionda
compresi tra 0.9 e 1.9 V. E’ verosimile che nel caso del meccanismo 3) le specie
cariche negativamente che non sono in grado di formare legami diretti col substrato
organico possono catalizzare la migrazione elettronica dall’arene all’anodo. Il
potenziale elettrodico dev’essere mantenuto < 2V per evitare la decarbossilazione
dell’anione acetato (reazione di Kolbe).
268
1) ArH
2) ArH
3)
_
-e
AcO
+
ArH
_
-e
_
-e
+
ArH
Ar
H
X
_
-e
ArHOAc
++
ArH
_
AcO
ArOAc
+
-H
AcO
ArOAc
+
-H
ArOAc
Composti aromatici alchilsostituiti subiscono l’ossidazione anodica a dare alcoli
arilalifatici attraverso un meccanismo che prevede la formazione intermedia del
carbocatione benzilico. Per il toluene E½ = 1.98 V riferito all’elettrodo Ag|Ag+ 0.1 N.
ArCH3
_
-e
_
-e
+
ArCH3
+
ArCH2
+
-H
X
_
ArCH2X
L’ossidazione della catena alchilica può essere spinta, con rimozione di quattro
elettroni, fino all’ottenimento selettivo di aldeidi.
_
-4e
ArCH3
+
H3O
MeOH
ArCHO
Alcoli alchilaromatici con solubilità in acqua inferiore a 3 g/100 ml sono convertiti
nelle corrispondenti aldeidi od acidi carbossilici su elettrodi di NiIII(O)OH in KOH
acquosa. Per l’alcol benzilico E½ = 1.9 V riferito all’elettrodo Ag|Ag+ 0.1 N.
OH
OH
OH
_
-2e
PhCOOH
+
_
-e
+
-H , H2O
_
-e
+
-H
+
-H
PhCHO
le ammine alifatiche ed aromatiche subiscono un’ossidazione anodica molto facile
(E½ ≈ 0.7 V). La specie elettroattiva RNH2+• dà luogo alla formazione di una serie di
prodotti differenti a secondo delle condizioni in cui viene realizzata l’elettrolisi.
RNH2
_
-e
+
RNH2
prodotti
L’ossidazione anodica dell’anilina in mezzo alcalino dà principalmente l’azobenzene
la cui formazione è però accompagnata da quantità variabili di polimeri a struttura
chinoidica.
269
_
-e
PhNH2
PhNH NHPh
+
-H
base
+
PhNH2
_
-2e
PhN
+
-2H
PhNH
NPh
L’ossidazione anodica di ammine arilalifatiche è invece selettiva su anodi di
NiIII(O)OH e dà solo i corrispondenti nitrili.
Ph
NH2
Ph
NH
_
-e
_
-e
+
Ph
NH2
Ph
NH
+
_
-e
+
-H
_
-e
+
-H
+
Ph
NH2
Ph
NH
+
-H
+
+
-H
PhCN
9.4.4 Riduzioni catodiche
L’elettroidrogenazione degli alcheni in ambiente acido è un processo indiretto, poiché
la riduzione dell’olefina avviene per somma dell’idrogeno molecolare che si scarica
al catodo.
_
+
2H + 2e
H2
+ H2
H
H
Dalla riduzione catodica di immine si genera il corrispondente radicalanione che è in
grado di legarsi a specie elettrofile presenti nella soluzione elettrolitica. Questa
reazione è utilizzata nella preparazione di derivati pirrolidinici e piperidinici per
reazione tra la base di Schiff ed opportuni α,ω-dibromoalcani.
RCH N
e
_
Ar
_
2e
ArCH N Ar
Br
E
RCH N
+
E
RCH N
Ar
N
( )n Br
( )n
n = 1, 2
Il gruppo nitro rappresenta una delle funzionalità più versatili nei processi di
riduzione catodica. Si possono ottenere selettivamente tutti i prodotti di riduzione sia
monomeri che dimeri, a secondo delle condizioni elettrolitiche, ovvero operando sul
pH, sul mezzo di reazione e sul flusso di corrente. L’effetto della frequenza di
agitazione del mezzo elettrolitico è ugualmente importante nel determinare la
distribuzione dei prodotti di reazione.
270
NH2
_
+
2e , 2H
-H2O
_
+
6e , 6H
PhNO2
-3H2O
2e
Ph N O
_
+
2H
OH
O
Ph N N Ph + 3H2O
_
+
8e , 8H
_
+
2e , 2H
OH
Ph NH NH Ph
-H2O
Ph N NH Ph
-H2O
Ph N N Ph
Il meccanismo generale di elettroriduzione degli alogenuri alchilici si può formulare
come segue. Si possono avere sia processi diretti, come la dimerizzazione del radicale
R•, che indiretti come la reazione con anidride carbonica a dare il corrispondente
carbossilato RCOO¯.
R H
e
RX
e
_
+
H
_
R + X
e
_
R R
_
R
CO2
RCOO
Nella riduzione catodica dell’orto-diclorobenzene in presenza di anidride carbonica si
hanno evidenze di un meccanismo di tipo ionico.
Cl
+
H
Cl
Cl
_
2e
_
-Cl
_
2e
_
-Cl
CO2
+
H
Cl
_
-Cl
CO2
2e
_
+
2H
COO
Cl
271
PhCOO
La prova che questo tipo di riduzioni catodiche possono avvenire via benzino si
ottiene realizzando la reazione in presenza di un opportuno agente in grado di
intrappolare l’intermedio reattivo.
_
2e
_
-2Br
Br
Br
O
O
9.5 Fotochimica
La stragrande maggioranza delle reazioni organiche decorrono tra molecole che si
trovano nel loro stato energetico fondamentale. Tuttavia un cospicuo numero di
trasformazioni richiedono, per poter avvenire, che uno o più reagenti siano promossi
ad uno stato elettronico eccitato. Lo studio di queste reazioni e dei meccanismi che
descrivono le interazioni di molecole eccitate elettronicamente costituisce l’oggetto
della fotochimica. Nell’ambito di questo paragrafo ci si propone di illustrare
brevemente alcuni dei concetti più importanti nel campo dell’attivazione delle
reazioni organiche con metodi fotochimici, trascurando le applicazioni di tipo
sintetico ed enfatizzando gli aspetti più propriamente meccanicistici.
9.5.1 Stati eccitati
Le reazioni fotochimiche sono promosse dall’assorbimento di luce visibile od
ultravioletta di energia E = hν = hc/λ. Per avere un’idea delle energie in gioco, una
radiazione a lunghezza d’onda 253 nm (UV vicino) è caratterizzata da un’energia pari
a circa 113 Kcal/mol, superiore dunque all’energia di dissociazione di gran parte dei
legami covalenti. Dato che i livelli energetici di una molecola sono quantizzati,
l’energia richiesta per promuovere un elettrone dallo stato fondamentale ad uno stato
eccitato è espressa da una certa quantità E0 = hc/λ0.
E
a
stato eccitato, E'
V2
V1
V0
E0
stato fondamentale, E
V2
V1
V0
0
distanza internucleare
Figura 9.6. Energia di eccitazione elettronica E0 = hc/λ0 che promuove la transizione
E(V0) → E’(V2) in una generica molecola biatomica.
272
Solo la radiazione elettromagnetica caratterizzata dalla lunghezza d’onda λ0 è in
grado di fornire l’esatta energia E0 capace di provocare la transizione tra stato
fondamentale e stato eccitato. Qualora la lunghezza d’onda della radiazione sia
diversa da λ0 essa non viene assorbita; la sua intensità non viene quindi diminuita
passando attraverso il mezzo. Praticamente in tutte le molecole organiche stabili il
numero degli elettroni è pari ed essi risultano accoppiati nello stato fondamentale in
modo che il loro spin sia opposto in accordo con il principio di Pauli.
L’accoppiamento degli spin elettronici implica che la molecola, nel suo complesso,
sia priva di un momento magnetico elettronico. Questa situazione che descrive uno
stato non magnetico è detta di singoletto e si indica con i simboli S0, S1, S2 per i
diversi stati di singoletto in ordine di energia crescente. Qualora una coppia di
elettroni sia promossa in un orbitale ad alta energia per assorbimento di luce ad
opportuna lunghezza d’onda, l’eccitazione degli elettroni non ne modifica gli spin,
sicché si formano solo stati eccitati di singoletto. Infatti le eccitazioni che implicano
l’inversione di uno spin elettronico non sono permesse dato che un simile processo
comporterebbe una variazione del momento angolare violandone il principio di
conservazione. Negli stati eccitati di singoletto gli elettroni hanno ancora spin opposti
benché presenti in orbitali differenti. Invertendo uno degli spin elettronici lo stato
eccitato di singoletto dà luogo alla transizione verso un nuovo stato eccitato nel quale
gli spin elettronici non sono accoppiati. Si ha quindi uno stato eccitato caratterizzato
da un momento magnetico non nullo, detto di tripletto e contrassegnato dalle lettere
T0, T1, T2 ecc. Nella maggior parte dei casi uno stato di tripletto possiede energia
inferiore a quella del corrispondente stato di singoletto, il che è in accordo con la
regola di Hund. Per quanto riguarda le transizioni tra stato fondamentale e stato
eccitato si può concludere che le transizioni che implicano l’inversione di uno spin
elettronico sono proibite. Ne segue che le transizioni permesse sono
singoletto → singoletto (S → S)
tripletto → tripletto (T → T)
mentre sono proibite le transizioni
singoletto → tripletto (S → T)
tripletto → singoletto (T → S).
Si deve tuttavia aggiungere che le transizioni di spin proibite non lo sono in senso
assoluto ma vanno intese come assai poco probabili. L’eccitazione tra uno stato
fondamentale di singoletto ed uno stato eccitato di tripletto è talmente poco probabile
che in pratica viene osservata assai raramente. Tuttavia in casi particolari determinati
dalla presenza di atomi pesanti possono avvenire anche eccitazioni S → T sebbene
con intensità molto ridotta rispetto alle corrispondenti eccitazioni S → S.
Fino a questo punto si è ritenuto implicitamente di designare la transizione tra stati
elettronici con la simbologia S0 → Sn dove S0 rappresenta lo stato fondamentale di
singoletto ed Sn è uno degli stati di singoletto eccitati. Esistono altri metodi per la
notazione delle transizioni elettroniche. Il più diffuso tra i chimici organici mette in
evidenza gli orbitali coinvolti nella transizione. Ad esempio la promozione di un
elettrone dall’orbitale π dell’etilene all’orbitale π* si contrassegna con 1(π,π*) dove
273
l’apice 1 indica che la transizione avviene tra stati di singoletto. Un tipo di notazione
più completa, in uso tra gli spettroscopisti, si basa sulle proprietà di simmetria delle
molecole coinvolte nella transizione. In questo ambito, ad esempio, la transizione
σ → σ* per l’idrogeno molecolare si indica con la simbologia
1
+
∑u
1
→
+
∑g
nella quale l’apice 1 indica che la transizione si realizza tra stati di singoletto, mentre i
pedici u, g si riferiscono alla simmetria dell’orbitale considerato. Nello stato indicato
con Σ il momento angolare intorno all’asse molecolare è nullo, mentre l’apice +
indica che il segno della funzione d’onda è invariante rispetto ad un operatore di
riflessione.
In generale le proprietà degli stati eccitati sono piuttosto difficili da misurare in
quanto è abbastanza ovvio che le loro concentrazioni, come del resto le loro vite
medie, sono molto piccole e rendono ostico il loro studio. Nonostante queste
difficoltà sono stati comunque escogitati esperimenti atti a ricavare informazioni su
alcune proprietà degli stati eccitati. Ad esempio, per quanto riguarda la loro
geometria, sono emerse alcune evidenze alquanto singolari se valutate con gli stessi
criteri con cui si considerano le normali geometrie molecolari. L’acetilene mostra una
geometria trans nello stato 1(π,π*) indicando che i due atomi di carbonio sono
ibridizzati quasi sp2 piuttosto che sp. Anche gli stati eccitati 1(π,π*) e 3(π,π*)
dell’etilene sono caratterizzati da una geometria singolare dato che i protoni geminali
sono tra loro perpendicolari e non coplanari.
H
H
C
C
C
C
H
H
H
H
La differente geometria degli stati eccitati rispetto a quelli fondamentali è in grado di
alterare alcuni tipici parametri molecolari quali il momento dipolare o l’acidità. Nel
caso della formaldeide lo stato eccitato S1 corrispondente alla transizione n → π* ha
una geometria piramidale caratterizzata dal momento dipolare µ = 1.5 D, inferiore
dunque a quello dello stato fondamentale S0 che è pari a 2.3 D.
H
O
hν
H
H
H
µ = 2.3 D
O
µ = 1.5 D
Lo stato eccitato S1 del 2-naftolo ha pKa = 3.1 e risulta quindi molto più acido del
naftolo nello stato fondamentale (pKa = 9.5).
9.5.2 Processi fotolitici
Non è sempre detto che l’assorbimento di un quanto di luce comporti il passaggio
dallo stato fondamentale ad uno stato eccitato come unico risultato possibile. Se
274
l’eccitazione conduce allo stato elettronico eccitato E’ in uno stato vibrazionale molto
elevato, energeticamente superiore alla linea a della Figura 9.6 (pag. 272), la
molecola eccitata si scinde alla prima vibrazione dando luogo al processo di fotolisi.
La fotolisi può verificarsi anche se l’eccitazione dello stato fondamentale conduce ad
uno stato vibrazionale di E’ ad energia inferiore ad a. Dalla Figura 9.6 si può notare
che le distanze internucleari di equilibrio sono maggiori nello stato eccitato E’
rispetto allo stato fondamentale E. Poiché, in base al principio di Franck-Condon,
l’eccitazione di un elettrone avviene molto più velocemente (10-15 s) del tempo
richiesto da una vibrazione molecolare (10-12 s) la distanza internucleare nello stato
eccitato deve rimanere uguale a quella dello stato fondamentale. Ne risulta che il
legame nello stato eccitato è “compresso” dato che si trova ad una distanza
internucleare inferiore alla sua distanza di equilibrio. La liberazione dell’“energia di
compressione” del legame ne può causare la rottura. In alcuni casi, come quello
relativo alla transizione σ → σ* dell’idrogeno molecolare, la curva energetica che
caratterizza lo stato eccitato è del tutto dissociativa (Figura 9.7). Dal punto di vista
fisico questa situazione riflette il fatto che in nessun punto della curva E’ esiste una
distanza alla quale la forza di attrazione internucleare è superiore a quella di
repulsione, sicché il legame è destinato a scindersi.
E
E'
E0
E
V2
V1
V0
0
distanza internucleare
Figura 9.7. Eccitazione ad uno stato completamente dissociativo E’.
Nel caso di molecole organiche la fotolisi comporta la frammentazione della
molecola originaria in due radicali, come si discuterà nel paragrafo 9.5.4. La
frammentazione ionica, benché nota, è assai più rara di quella omolitica.
9.5.3 Processi fotofisici
Benché l’eccitazione promossa da un quanto di luce provochi principalmente la
transizione S0 → S1 possono avere luogo anche altre transizioni a stati di singoletto ad
energia superiore, S0 → Sn, con n > 1. L’eccitazione a questi stati ad energia superiore
ad S1 implica sempre la ricaduta nello stato S1 in tempi molto brevi, solitamente
275
dell’ordine di 10-12 s. Considerando la transizione S0 → S2 promossa dall’energia hν2
mostrata nel diagramma di Jablonski (Figura 9.8) si nota che essa comporta
l’occupazione di un livello vibrazionale eccitato dello stato elettronico S2. L’energia
vibrazionale in eccesso viene dissipata raggiungendo il livello vibrazionale più basso
dello stato S2 attraverso una cascata vibrazionale (cv), durante la quale avvengono
piccoli scambi di energia con l’intorno per collisione con le molecole adiacenti.
Attraverso la conversione interna (CI) tra stati eccitati si passa dallo stato S2 al livello
vibrazionale più basso ad un livello vibrazionale eccitato di S1. Una nuova cascata
vibrazionale comporta il raggiungimento dello stato S1 al livello vibrazionale più
basso. A questo punto si può verificare la transizione S1 → S0, cioè il ritorno allo stato
fondamentale, attraverso tre vie distinte: 1) conversione interna ad uno stato
vibrazionale eccitato di S0, 2) emissione diretta di luce ad energia hν(fluor) che
produce il fenomeno della fluorescenza, 3) incrocio intersistema (IIS) allo stato di
tripletto T1 e successiva evoluzione.
cv
CI
S2
cv
IIS
CI
S1
cv
IIS
T1
hν2
hν(fluor)
hν1
cv
hν(fosf)
S0
Figura 9.8. Diagramma di Jablonski.
276
La cascata vibrazionale dagli stati vibrazionali eccitati di S0 fino al suo livello
vibrazionale più basso è un processo piuttosto lento perché la quantità di energia da
dissipare per collisione con le molecole adiacenti è solitamente cospicua. Il processo
di decadimento alternativo, ossia la fluorescenza, avviene in ≈ 10-9 s. Quello della
fluorescenza non è un fenomeno molto frequente tranne che per molecole biatomiche
od aromatiche. Esso avviene quasi sempre per decadimento S1 → S0, benché nel caso
dell’azulene e dei suoi derivati si rilevi fluorescenza per decadimento S2 → S0. La
terza via di decadimento da S1, che è di gran lunga la più comune, prevede l’incrocio
intersistema (IIS) verso lo stato di tripletto più stabile (T1), che avviene senza
dispersione di energia. Si deve notare che, benché l’incrocio intersistema S1 → T1 sia
proibito, esso rappresenta l’unico modo in cui alcuni tipi di molecole, tra cui i
benzofenoni, decadono dagli stati eccitati ad S0. Poiché, come si è detto, la
transizione S1 → T1 avviene senza dispersione di energia e lo stato S1 si trova ad
energia più alta di T1 l’incrocio intersistema implica il raggiungimento di livelli
vibrazionali eccitati di T1. Ha dunque luogo una cascata vibrazionale fino a che si
raggiunge il livello vibrazionale più basso dello stato T1. A questo punto il
decadimento T1 → S0 può procedere attraverso due vie: incrocio intersistema verso
uno stato vibrazionale eccitato di S0 oppure emissione di luce ad energia hν(fosf).
Entrambi i processi sono proibiti e sono pertanto molto lenti (10-3-10 s), il che
implica che lo stato T1 debba avere una vita media molto superiore a quella di S1 o S2.
Riguardo la lunghezza d’onda della luce emessa per fosforescenza, essa è superiore a
quella
che
caratterizza
l’emissione
per
fluorescenza
dato
che
hν(fluor) > hν(fosf). Tutte le considerazioni espresse in questo paragrafo sono
chiaramente visualizzabili nel diagramma di Jablonski riportato nella Figura 9.8. E’
evidente che all’eccitazione S0 → S1, indicata con hν1 nella Figura 9.8, seguono gli
stessi processi fotofisici appena descritti. Uno schema riassuntivo di tutti questi
processi è mostrato nella Tabella 9.2.
Tabella 9.2. Processi fotofisici di molecole eccitate.
__________________________________________________________________________________________________
S0 + hν1 → S1v
S1v → S1 + calore
S1 → S0 + hν(fluor)
S1 → S0 + calore
S1 → T1v
T1v → T1 + calore
T1 → S0 + hν(fosf)
T1 → S0 + calore
eccitazione
cascata vibrazionale
fluorescenza
conversione interna + cascata vibrazionale
incrocio intersistema
cascata vibrazionale
fosforescenza
incrocio intersistema + cascata vibrazionale
__________________________________________________________________________________________________
Un processo molto comune e distinto da quelli menzionati implica l’intervento di una
seconda specie chimica eccitata in grado di trasferire al substrato il proprio eccesso di
energia. In questo caso si parla di fotosensibilizzazione del substrato, che avviene
aggiungendo quantità catalitiche di un’opportuna sostanza facilmente eccitabile. Un
277
esempio semplice riguarda la dimerizzazione del butadiene, che ha luogo irradiando
il substrato con luce a 250 nm. Il butadiene non assorbe la luce a 250 nm, per cui in
assenza di additivi non avviene alcuna reazione. Aggiungendo una quantità catalitica
di biacetile, quest’ultimo viene eccitato allo stato S1 che per incrocio intersistema dà
luogo allo stato T1. Il biacetile allo stato T1 torna allo stato fondamentale trasferendo
la propria energia in eccesso al butadiene che viene promosso allo stato eccitato T1 e
può quindi reagire. Il trasferimento energetico tra la molecola eccitata ed il substrato
avviene nel rispetto della regola di conservazione dello spin totale o regola di
Wigner: gli spin elettronici totali non cambiano dopo il trasferimento energetico.
Indicando la molecola eccitata o fotosensibilizzatore con D ed il substrato con M si
possono quindi avere i seguenti processi
D (T1) + M (S0) → D (S0) + M (T1)
D (S1) + M (S0) → D (S0) + M (S1)
trasferimento tripletto-tripletto
trasferimento singoletto-singoletto
Entrambi i processi di fotosensibilizzazione sono indispensabili per promuovere allo
stato eccitato substrati che non sono sensibili all’irradiamento diretto. Il trasferimento
tripletto-tripletto è particolarmente utile dato che lo stato T1 del substrato si raggiunge
molto difficilmente per irradiamento diretto dallo stato S0.
9.5.4 Processi fotochimici
Come regola generale i processi fotochimici si identificano con la chimica degli stati
eccitati di tripletto. Gli stati eccitati Sn hanno infatti una vita media troppo breve
(10-10 s) per poter dare luogo a trasformazioni chimiche e sottostanno ad uno dei
processi fotofisici descritti nel paragrafo precedente prima di aver modo di reagire.
Tra le centinaia di processi fotochimici noti in letteratura i più comuni sono:
1) reazioni fotolitiche,
2) riassestamenti,
3) isomerizzazioni,
4) estrazione di atomi di idrogeno,
5) fotodimerizzazioni.
9.5.4.1 Reazioni fotolitiche. Aldeidi e chetoni assorbono nella zona compresa tra 230
e 330 nm dando luogo alla transizione n → π* (S0 → S1). La successiva fotolisi
genera specie radicaliche (scissione secondo Norrish del tipo 1). Gli acilradicali
prodotti possono dare luogo ad un’ulteriore scissione con estrusione di CO.
R
O
hν
R C O +
R
R
R + CO
Altri legami che subiscono facilmente la scissione omolitica per fotolisi sono il
legame O-O degli alchilidroperossidi, il legame Cl-Cl, il legame C-N di azocomposti
alifatici.
278
Le aldeidi danno luogo anche a reazioni di estrusione che non comportano la
formazione di radicali. Questi processi sono noti come scissioni secondo Norrish del
tipo 2 ed avvengono anche su chetoni, esteri, anidridi ed altri composti carbonilici.
R
O
hν
R H + CO
H
O
R
R
H
H
R
O
hν
O
H
+
H
OH
HO
hν
R
R
H
+
H
O
H
Altri esempi di questo tipo di scissione riguadrano il chetene e gli alcani.
CH2 C O
R CH3
hν
hν
CH2 C O
(S1)
_
CH2 + CO
CH2 C O
(T1)
CH2 + CO
R CH + H2
9.5.4.2 Riassestamenti. Il riassestamento interno di orto-nitrobenzaldeidi decorre
probabilmente attraverso un’iniziale scissione del gruppo nitro. L’ossigeno liberato è
in grado di attaccare il gruppo aldeidico vicinale promuovendone l’ossidazione a
carbossile.
CHO
R
hν
COOH
R
NO2
NO
9.5.4.3 Isomerizzazioni. Sono processi che avvengono sia nello stato S1 che T1 e
coinvolgono essenzialmente molecole insature che negli stati eccitati adottano una
geometria non planare.
Ph
H
Ph
hν
H
Ph
H
hν
279
H
Ph
9.5.4.4 Estrazione di atomi di idrogeno. Ne costituisce un esempio la riduzione
fotochimica del benzofenone in isopropanolo, che avviene per interazione dello stato
T1 del substrato con il solvente dal quale viene estratto un atomo di idrogeno.
Ph2CO
hν
OH
Ph2CO(S1)
OH OH
Ph C Ph
Ph2CO(T1)
Ph
Ph
OH
Ph Ph
9.5.4.5 Fotodimerizzazioni. Un esempio è la dimerizzazione del ciclopentene, che dà
luogo ad una miscela di cicloaddotti isomeri.
O
O
O
hν
O
+
O
9.6 Problemi
1. Quali previsioni si possono fare sulla variazione del punto di ebollizione di
toluene, etanolo e tetracloruro di carbonio per irradiamento con microonde?
2.
Completare le seguenti reazioni e prevedere se possono essere accelerate dalle
microonde.
tBuCl
H2O
CN
N O
COOEt
N
+
+
∆
O
O
∆
O
O
_
OH
MeO
O
3.
NO2
H2O
La reazione tra antracene e magnesio in THF avviene solo per irradiamento con
ultrasuoni dando il seguente prodotto metallorganico. Proporre una
razionalizzazione.
280
Mg 3THF
4.
Proporre un meccanismo elettrochimico dettagliato per l’ossidazione anodica
toluene → benzaldeide e le riduzioni catodiche nitrobenzene → nitrosobenzene e
nitrobenzene → azossibenzene. Per quest’ultima reazione considerare la
formazione intermedia della fenilidrossilammina per riduzione catodica del
nitrosobenzene.
5.
Considerando le transizioni n → π* del cicloesanone e del cicloesenone, quale
tra le due avviene a lunghezze d’onda inferiori?
6.
Proporre un meccanismo plausibile per le seguenti reazioni fotochimiche.
O
hν
+ CO
hν
O
O
R
R
hν
N3
N
O
N2
hν
MeOH
+ N2
COOMe
9.7 Bibliografia
Una monografia recente riguardante le applicazioni delle microonde alla chimica
organica è la seguente.
1. V. Santagada, G. Caliendo, E. Perissutti Le microonde nella sintesi organica
Piccin Editore, Padova, 2008.
Gli aspetti fondamentali della sonochimica sono trattati nelle due eccellenti rassegne:
2. J. P. Lorimer, T. J. Mason Sonochemistry. Part I-The Physical Aspects, Chem.
Soc. Rev. 1987, 16, 239.
3. J. Lindley, T. J. Mason Sonochemistry. Part II-Synthetic Applications, Chem.
Soc. Rev. 1987, 16, 275.
281
I principi fondamentali dell’elettrochimica organica sono trattati in modo
approfondito ma tuttavia accessibile nell’ambito dei seguenti testi:
4. D. K. Kyriacou Modern Electroorganic Chemistry Springer-Verlag, Berlin,
1994.
5. D. K. Kyriacou, D. A. Jannakoudakis Electrocatalysis for Organic Synthesis
Wiley, New York, 1986.
6. S. D. Ross, M. Finkelstein, E. J. Rudd Anodic Oxidation Academic Press, New
York, 1975.
Tra i numerosi testi disponibili riguardanti la fotochimica organica si segnala il
seguente libro:
7. J. Michl, V. Bonačić-Koutecký Electronic Aspects of Organic Photochemistry
Wiley, New York, 1990.
282
COSTANTI FISICHE
_____________________________________________________________________________________________________
Costante
Simbolo
Valore
_____________________________________________________________________________________________________
Carica elementare
Carica specifica dell'elettrone
e
-e/me
1.60217733 ×10-19 C
-1.75881962 ×1011 C kg-1
Constante di Boltzmann
Costante di Faraday
Costante di Planck
k
F
h
1.380658 ×10-23 J k-1
96485.309 C mol-1
6.6260755 ×10-34 J s
Costante di Rydberg
R∞
3.2898419499 ×1015 Hz
Costante gravitazionale
Costante molare dei gas
G
R
Elettronvolt
eV
Energia di Hartree
Eh
Fattore g dell'elettrone
ge
6.67 × 10-11 N m2 kg-2
8.314 510 J mol-1 K-1
1.6021892 ×10-19 J
23.05 Kcal mol-1
4.3597482 ×10-18 J
627.5 Kcal mol-1
2.002319304386
Indice di rifrazione dell'acqua
nw
1.33
Massa dell'elettrone
me
9.1093897 ×10-31 kg
Momento magnetico dell'elettrone
me
928.47701 ×10-28 m2
Numero di Avogadro
N
6.0221367 ×1023 mol-1
Permeabilità dello spazio libero
M0
12.566370614 × 10-7 N A-2
Permettività dello spazio libero
h0
8.854187817 ×10-12 F m-1
Raggio dell'elettrone
re
2.81794092 ×10-15 m
Raggio di di Bohr
a0
5.29177249 ×10-11 m
Unità di massa atomica
mu
1.6605402 ×10-27 kg
Velocità del suono nell'aria
v
340 m s-1
Velocità della luce nel vuoto
c
299792458 m s-1
Vm
22.41410 l3 mol-1
_____________________________________________________________________________________________________
Volume molare di un gas ideale
283
284
INDICE ANALITICO
Benzonitrilmetililide, 97
Benzonitrilossido, 95
Betaina di Dimroth-Reichardt, 145, 146
Betaine di nitrilio, 97
Biacetile, 278
bis-t-Butilperossido, 22
bis-Trifenilfosfinopalladio(0), 248, 249
Bolle di cavitazione, 260
1-Bromo-1-feniletano, 149
Bromurazione dell’acetone, 36
Bromuro di metile, 24
Calore latente di evaporazione, 141
(+)-Camphos, 246
Campo elettrico, 253, 254, 255, 256
Carbanioni, 16, 63, 175, 215
Carbocationi, 8, 9, 102, 180, 200, 204, 205,
217, 222, 268
Carbometallazione, 248
Carbonilazione del metanolo, 247
1-Carbossibutadiene, 86
Cascata vibrazionale, 276, 277
Catalisi a trasferimento di fase, 237-242
Catalisi acida generale, 224-227
Catalisi acida specifica, 222
Catalisi acida specifica-basica generale, 226
Catalisi basica generale, 225
Catalisi basica specifica, 223
Catalisi metallorganica, 245-249
Catalisi micellare, 234-237, 238
Catalisi omogenea, 245
Catalisi specifica da ione idronio, 222
Catalisi specifica da ione lionio, 222
Catalisi supramolecolare, 229-233
Catalizzatore di Speier, 247
Catalizzatore di Wilkinson, 245
Catalizzatori a trasferimento di fase, 238-240
Cationi arenio, 5
Catodo, 264
Cavità delle ciclodestrine, 230
Cavitandi, 232
Cavitazione, 259
CED, 150, 162
Celle elettrolitiche, 264
Cetiltrimetilammonio bromuro, 234, 236, 238
Cetiltrimetilfosfonio bromuro, 238
Chetene, 89, 279
Chimica supramolecolare, definizioni, 229
Cicli catalitici, 246, 247, 248, 249
Ciclizzazione di ω-bromoacidi, 54
Acetolisi del 2-bromopropano marcato, 203,
204
Acetolisi di esteri solfonici, 58
Acetone, 24
Acetossilazione anodica di areni, 268, 269
Acidi e basi secondo Brønsted, 169, 184
Acidi al carbonio, 175
Acidi biciclo[2.2.2]ottanocarbossilici, 129
Acidi deboli, 170, 171, 174-176
Acidi duri, 99-100, 102, 103, 104, 105
Acidi forti, 170, 171, 172, 176-181
Acidi molli, 100-101, 102, 103, 104, 105
Acidità cinetica, 183
Acidità degli stati eccitati, 274
Acido 1-naftalensolfonico, 212
Acido 2-naftalensolfonico, 212
Acido 3-fenil-3-ossopropionico, 200
Acido 3-idrossipropionico, 182
Acido di Kemp, 232, 233
Acido ftalaldeidico, 155
Acido solforico marcato, 212
Addizione al carbonile, 258
Addizioni di Michael enantioselettive, 243,
244
Addizioni di Michael, 242
Affinità elettronica, 74, 106
Agitazione, 242
Alchilazione del fenilacetonitrile, 240
Alchilazioni di Friedel/Crafts, 212
AN, 152
treo-3-para-Anisil-2-butile, 58
Anodo, 264
3-Aril-2-butilbrosilati, 131
1-Aril-2-cloropropani, 126, 128
Arilsolfenilcloruri, 157
Arini, 213
Assistenza interna, 132
Attività di ioni, 174
Autoprotolisi dell’acqua, 169
Autossidazione del cicloesene, 159
Basi deboli, 171
Basi dure, 99-100, 102, 103, 105
Basi forti, 170, 171
Basi molli, 100-101, 102, 103, 104, 105
Basicità del gruppo uscente, 185
Basicità termodinamica, 183
Bell-Evans-Polanyi, diagramma di, 11,12
Bell-Evans-Polanyi, principio di, 11,16
Benazaldeidi para-sostituite, 205
285
Correlazione nucleofilicità-reattività, 184-185
Correlazioni extratermodinamiche, 114
Correlazioni lineari di energia libera, 114
Corrente elettrica, 264, 265, 266
Costante cinetica osservata, koss, 222-223,
225, 242
Costante del sostituente, σm, 117, 118, 130
Costante del sostituente, σp, 118, 130
Costante del sostituente, σX, 116-119, 173,
174
Costante di autoprotolisi dell’acqua, 169
Costante di forza, 193, 204, 206
Costante di Michaelis apparente, 32
Costante di Michaelis, 30
Costante di reazione ρ per l’idrolisi acida di
benzoati etilici, 124
Costante di reazione ρ per l’idrolisi di acidi
arilalifatici non coniugati, 124
Costante di reazione ρ per l’idrolisi di
benzoati etilici, 122
Costante di reazione ρ per la dissociazione di
acidi 3-arilpropionici, 122
Costante di reazione ρ per la dissociazione di
acidi arilacetici, 122
Costante di reazione ρ per la dissociazione di
acidi cinnamici, 122
Costante di reazione ρ per la dissociazione di
fenoli, 122
Costante di reazione ρ per la dissociazione di
ioni anilinio, 122
Costante di reazione ρ per la reazione di
Wittig, 123
Costante di reazione ρ per reazioni di
Diels/Alder, 124
Costante di reazione ρ per reazioni SEAr, 123
Costante di reazione ρ per reazioni SNAr, 123
Costante di reazione ρ per sostituzioni
viniliche, 123
Costante di reazione ρ*, 135
Costante di reazione ρ, 119-124
Costante di velocità globale, 29
Costante di velocità, 19
Costante dielettrica del solvente, 142, 143,
145, 153, 162
Costante dielettrica, 69, 255, 256
Costanti del sostituente σ-p, 126, 128, 130
Costanti del sostituente σ*, 135
Costanti del sostituente σ+p, 127, 128, 130
Criptandi, 182, 239
Curtin-Hammett, principio di, 14-15
Cicloaddizioni [2+2], 49, 89-91
Cicloaddizioni 1,3-dipolari, 49, 52, 67, 80,
91-99, 158, 163, 164, 231, 244, 257
Cicloalcan-3,5-dioni, 155
Ciclodestrine, 229, 230, 231
Ciclodisidratazione di 2-fenil-triarilcarbinoli,
134
Cinetica della catalisi a trasferimento di fase,
240-242
Classificazione dei solventi, 140
2-Cloroetanolo, 27
1-Cloro-3-metil-2-butene, 58
2-Cloropiridina, 258
Cloruro di t-butile, 22, 148, 149
CMC, 234
Coefficiente di assorbimento, 260
Coefficiente di mescolamento λ, 68
Coefficiente di trasmissione, 42
Coefficienti atomici, 69, 70, 72, 73-75, 78,
82, 86-90, 94-99, 102
Coefficienti di attività, 174, 176
Collasso delle bolle di cavitazione, 261, 262
Collisioni anelastiche, 39
Collisioni efficaci, 39
Collisioni elastiche, 39
Complessazione catalizzatore-prodotti, 221
Complessazione catalizzatore-reagente, 221
Complesso di idruropalladio(II), 248
Complesso di Wilkinson, 245
Complesso enzima-substrato, 30
Complesso enzima-substrato-inibitore, 33
Complesso Et3P=O-SbCl5, 153
Complesso solvente-BF3, 152
Concentrazione micellare critica (CMC), 234,
236
Condensazione aldolica, 215-216
Condensazione benzoinica, 26
Condizione di elettroneutralità, 225
Condizione di normalizzazione, 75
Conducibilità equivalente, 37
Conduttanza, 36, 37
Coniugazione diretta, 125-128
Controllo cinetico, 12-14, 15
Controllo orbitalico, 86
Controllo termodinamico, 12-14, 15
Conversione interna tra stati eccitati, 276
Coordinata di reazione, 2, 221
Coppia coniugata acido-base, 169, 172
Coppia ionica intima, 57
Coppia ionica separata dal solvente, 57
Coppie ioniche, 57-59, 240, 257, 259
286
Effetti isotopici di equilibrio, 207
Effetto cinetico isotopico dovuto ad atomi
pesanti, 200, 201, 202
Effetto cinetico isotopico intramolecolare,
198
Effetto cinetico isotopico massimo, 195-196,
198
Effetto cinetico isotopico nella bromurazione
dell’α-deuterotoluene, 198, 199
Effetto cinetico isotopico nella clorurazione
del metano, 199
Effetto cinetico isotopico primario (PKIE),
192-203
Effetto cinetico isotopico secondario α
inverso, 204, 205, 206
Effetto cinetico isotopico secondario α
normale, 204
Effetto cinetico isotopico secondario α, 203,
204, 205
Effetto cinetico isotopico secondario β, 203,
205, 206
Effetto cinetico isotopico secondario (SKIE),
203-206
Effetto cinetico isotopico, 192
Effetto di campo, 112
Effetto idrofobico, 162, 163, 164
Effetto induttivo, 112
Effetto livellante del solvente, 176, 183
Effetto mesomerico (di risonanza), 112
Effetto sale speciale, 58
Effetto solvatocromico, 145, 146, 147
Effetto tunnell, 198, 199
Elettrodi, 264, 265
Elettrofili duri, 103-104
Elettrofili molli, 103-104
Elettrofili, 72
Elettrofilicità, 184
Elettroidrogenazione di alcheni, 270
Elettrostrizione del soluto, 141
Eliminazione riduttiva, 245, 247, 248
Eliminazioni bimolecolari, 62
Eliminazioni monomolecolari, 214
Eliminazioni monomolecolari, 62
[emin]BF4, 165
Energia di attivazione, 38, 39, 40
Energia di punto zero, 193, 194, 195, 204,
206
Energia di stabilizzazione, 68, 70, 72
Energia libera di attivazione, 114
Energia libera di attivazione, 4, 6, 11, 12, 14,
194, 198, 199, 221, 235, 256
Debromurazione
del
2,3-dideutero-2,3dibromobutano, 214
Debromurazione
dell’1,2-dideutero-1,2dibromoetano, 214
Decomposizione dei sali di arendiazonio, 160,
161
Defosforilazione dell’ATP, 185
Deidroalogenazione di 2-bromofeniletani, 62
Densità dell’energia di coesione, 150, 162
Descrittori globali, 107
Determinazione di H0, 177
α-Deuterotoluene, 198
DFT, 106
Diagramma corrente-potenziale, 268
Diagramma dei reciproci, 32, 33, 34
Diagramma di Bell-Evans-Polanyi, 11, 12
Diagramma di Jablonski, 276
Diagrammi d’interazione, 85, 88, 95-98
Diagrammi di Brønsted, 184-186, 227
Diagrammi di Hammett non lineari, 132-134
Diagrammi di More-O’Ferrall-Jencks, 9
Diagrammi Log koss/pH, 223, 225, 226
Diagrammi perturbazionali, 68, 70, 71
Diazocopulazione su naftaleni, 202
Diazometano, 93, 109
Dicarbonilrodio(I)diioduro, 247
1,1-Dicianoetilene, 158
1,2-Dicloroetano, 105, 151, 153
4,4-Difenil-3-butenillitio, 155
Difenilchetene, 90
Difenilnitrilimmina, 98
Difluorocarbene, 16
Diidrurocomplessi, 245
Dimedone, 16
1,8-bis-Dimetilammino-2,7-dimetossi
naftalene, 182
9,10-Dimetilantracene, 158
Dimetilchetene, 90
2,2-Dimetil-3-idrossipropionaldeide, 105
DIOP, 246
Dipoli molecolari, 253, 256
Disproporzione del tetrafeniletano, 160
Distribuzione delle velocità molecolari, 39
5,5’-Ditiobis(2-nitrobenzoato), 235
DN, 151
DNN, 151
L-DOPA, 247
Durezza η, 106, 107
Effetti cinetici isotopici dovuti al solvente,
206-209
Effetti cinetici isotopici sterici, 206
287
Fattore pre-esponenziale, 38, 39, 40, 43, 256
Fenilazide, 53
Fenildiazometano, 158
2-Fenilpropionitrile, 139
Fenossitrietilsilani, 129
Ferrocarbonili, 263
Fluorescenza, 276, 277
Fosforescenza, 277
Fotodimerizzazioni, 280
Fotolisi, 274-275
Fotosensibilizzazione, 277, 278
Funzione di acidità H_, 180
Funzione di acidità H0, 177-179
Funzioni di acidità, 176-180
Funzioni di Fukui, 107
Geometria degli stati eccitati, 274
Gradi di libertà vibrazionali, 2
βGu, 185, 186
Hammond, postulato di, 7
HOMO, 70-72, 75, 76, 77, 78, 79, 85-90, 9499, 101, 102, 107, 109, 243, 244
Ibuprofene, 232
Idratazione del carbonile, 213
Idratazione di alcheni, 222
Idroalchilazione di alchini, 263
Idroborazione di olefine, 105
Idrogenazione sitoselettiva, 246
Idrolisi acida degli esteri, 62
Idrolisi acida del saccarosio, 37
Idrolisi basica degli esteri, 61
Idrolisi del 4-nitrofenilacetato, 230
Idrolisi del 4-t-butilfenilacetato, 230
Idrolisi del bromuro di benzidrile, 28
Idrolisi del carbonato della 4-nitrofenilcolina,
231
Idrolisi di esteri, 259
Idrosililazione, 247
Idrosililazione, 263
2-Idrossipiridina, 155
Idrurocomplessi, 247, 248, 249
Incorporazione di 18O, 213, 217
Incrocio intersistema, 276, 277
Indicatori, 177, 178, 179, 180
Indice di rifrazione, 145
Ingombro sterico, 16
Inibizione competitiva, 31
Inibizione enzimatica, 31
Inibizione incompetitiva, 33
Inibizione non competitiva, 33
Integrale di risonanza, 68
Integrale di sovrapposizione, 69
Energia libera di solvatazione, 141
Energia libera standard, 114
Energia libera, 4
Energia vibrazionale, 193, 196, 197
Enolati, 14, 67, 103, 104
Entalpia di attivazione, 43, 44, 52, 53, 69, 163
Entalpia di evaporazione del solvente, 150
Entropia di attivazione, 43, 45, 52, 53, 163,
217
Enzima Ribonucleasi A, 210
Enzima succinico deidrogenasi, 32
Equazione di Arrhenius, 38, 256
Equazione di Brønsted, 185
Equazione di Bunnett-Olsen, 180
Equazione di Dixon, 31
Equazione di Eadie, 31
Equazione di Edwards, 188
Equazione di Eyring, 43
Equazione di Grunwald-Wienstein, 149
Equazione di Hammett, 113-124, 116
Equazione di Kirchoff, 260
Equazione di Klopman-Salem, 68-72, 84,
101, 102
Equazione di Lineweawer-Burk, 31
Equazione di McConnell, 76
Equazione di Michaelis-Menten, 30
Equazione di Morse, 194
Equazione di Nerst, 265, 266
Equazione di Ritchie, 187
Equazione di Swain-Lupton, 129
Equazione di Swain-Scott, 186-187
Equazione di Tafel, 266
Equazione di Taft, 134
Equazione di Yukawa-Tsuno, 128
Equazioni biparametriche, 128-131
Equilibri di valenza, 155
Equilibri tautomerici, 154-155
Esadeciltributilfosfonio bromuro, 237
Esteri marcati, 213
Esterificazione dell’acido dicloroacetico, 35
Esterificazione, 259
Etanololisi del bromuro d’isopropile, 49
Eteri corona, 239, 240
Eterochetenofili, 91
Etilammonio nitrato, 165
Etilisobuteniletere, 159
Etilisocianuro, 103
4-Etossicarbonil-N-piridinio ioduro, 147
Fase micellare, 234, 235
Fattore di frazionamento Φ,207-208, 210
Fattore di frequenza, 38
288
Meccanismo BAc2, 50, 61, 62
Meccanismo di conduzione, 253
Meccanismo di polarizzazione dei dipoli, 253
Meccanismo E1a, 63
Meccanismo E1cb, 50
Meccanismo E1CbI, 62, 214
Meccanismo E1CbR, 62
Meccanismo E2, 214
Meccanismo monostadio, 4
Meccanismo SE2Ar, 201, 202
Meccanismo SE3, 201
Meccanismo SEAr, 201
Metallocarbonili, 247
Metilazide, 108
2-Metilbutano, 15
2-Metilcicloesano, 14
2-Metil-2-cloro-3-butene, 57
Metilene, 16
Metilenechinoni, 16
Metodo AM1, 73
Micelle dirette, 234
Micelle inverse, 234
Micelle, 234, 235, 236
Microonde, 253
β-Migrazione di idruro, 245, 247, 248
Misure cinetiche, 34-37
Molarità efficace, 230
Molecolarità, 19-20, 23
Mollezza condensata s, 107
Mollezza S, 107
Mollezza, 240
Momento dipolare del solvente, 142, 143, 162
Momento dipolare di radicali, 160
Momento dipolare, 93, 253, 254
n-Esano, 153
NHOMO, 71
Nitrazione del nitrobenzene, 77
Nitrazione dell’1,2-difeniletano, 60
Nitrazione dell’anisolo, 77
Nitrazione di areni, 59-60
Nitrito d’argento, 103
Nitroetilene, 16
2-Nitropropano, 198
Notazioni per le transizioni elettroniche, 273274
N-Sulfonilimmine, 258
βNu, 185, 186, 187
Nucleofili bidentati, 103
Nucleofili duri, 101
Nucleofili molli, 101
Nucleofili, 72
Interazione ciclodestrina-substrato, 230
Interazioni transanulari, 54
Interfaccia elettrodo-soluzione, 267
Interfaccia, 237, 240, 242
Intermedio di reazione, 5, 6, 7, 14, 27, 28,
203, 204, 205
Intermedio di Wheland, 212
Inventario dei protoni, 209
2-Iodo ottano, 211
Ioduro di acetile, 248
Ione fenonio ciclico, 132
Ione idronio, 169-171, 172, 222
Iperconiugazione, 204, 205
Ipotesi dello stato stazionario, 27
Isomerizzazioni fotochimiche, 279
∆2-Isossazoline, 258
Legami ad idrogeno, 208
Legge cinetica, 19
Legge della catalisi di Brønsted, 227
Legge di Coulomb, 143
Legge di Lambert-Beer, 36
LUMO, 70-72, 75, 76, 77, 85-90, 94-99, 101,
102, 107, 109, 243, 244
Marcatura isotopica negli arini, 213
Marcatura isotopica nel riassestamento di
Beckman, 217
Marcatura isotopica nel riassestamento di
Claisen, 217-218
Marcatura isotopica nel riassestamento di
PhCOCHO, 217
Marcatura isotopica nell’idratazione del
carbonile, 213
Marcatura isotopica nella condensazione
aldolica, 215-216
Marcatura isotopica nella reazione di BaeyerVilliger, 217
Marcatura isotopica nella reazione di
Cannizzaro, 216
Marcatura isotopica nella riduzione di
Meerwein-Ponndorf, 218
Marcatura isotopica nella solfonazione del
naftalene, 212
Marcatura isotopica nelle alchilazioni di
Friedel/Crafts, 212
Marcatura isotopica nelle eliminazioni
monomolecolari, 214
Marcatura isotopica nelle sostituzioni
elettrofile aromatiche, 211-212
ME, 230
Meccanismo AAc1, 133
Meccanismo AAl1, 133
289
Piperidina, 258
Pirolisi dell’acido iodidrico, 40
∆1-Pirroline-2,3-disostituite, 97
pK dell’acqua, 183
pK di acidi acetici, 173, 174
pK di acidi benzoici, 174
pK di del tiofenolo, 173
pK di fenoli sostituiti, 172, 173
pK di ioni ammonio, 173
pK, 170-171, 172, 173, 174-175, 177, 178180, 181, 183, 186, 224, 225, 227, 228
Polarità del solvente, 143, 165
Polarizzazione dei dipoli, 253
Polarogramma, 265
Poliossietilene(6)ottanolo, 234
Popolazione elettronica, 69
Postulato di Hammond, 7, 196, 204
Potenziale chimico, 106
Potenziale di ionizzazione 73, 74, 106
Potenziale di semionda, 265, 266, 268, 269
Potenziale elettrico effettivo, 266
Potenziale elettrodico standard, 265
Potenziale elettrodico, 265, 267
Potere ionizzante del solvente, 147-149
Preequilibrio, 26
Pressione acustica, 260
Principio della reversibilità microscopica, 7
Principio di Bell-Evans-Polanyi, 11, 16
Principio di Curtin-Hammett, 15
Principio di Franck-Condon, 275
Principio di reattività-selettività, 15-16
Processi concertati, 11
Processi endoergonici, 5,7,8
Processi esoergonici 4,6,7,8,12
Processi fotofisici di molecole eccitate, 277
Processi reversibili, 13
Profilo energetico bidimensionale 2, 4, 6, 8,
13, 15
Profilo volumetrico, 47
1-13C-Propano, 216
Radicalanioni, 264, 267, 270
Rapporto tempone, 227
Reattivi di Grignard, 262
Reattività-selettività, principio di, 15-16
Reazione di Baeyer-Villiger, 217
Reazione di Biginelli, 256
Reazione di Cannizzaro, 216
Reazione di Diels/Alder, 5, 24, 40, 48, 67, 80,
83-88, 151, 158, 162-163, 165, 206, 233, 237,
256
Reazione di Friedel/Crafts, 5, 50, 259
Nucleofilicità, 187, 240
Numero accettore AN, 152
Numero donatore DN, 151-152
Orbitali di frontiera di benzonitrilossidi, 94
Orbitali di frontiera di butadieni 1-sostituiti,
83
Orbitali di frontiera di butadieni 2-sostituiti,
84
Orbitali di frontiera di etileni monosostituiti,
81, 82
Orbitali di frontiera, 70-72, 73, 75
Orbitali molecolari del benzene, 78
Orbitali molecolari del nitrobenzene, 79
Orbitali molecolari dell’anisolo, 79
Ordine cinetico, 19-20, 23
Organoborani, 262
Organocatalisi, 242-244
Organocuprati, 263
Organozinco, 263
Orientazione antara, 89
Oscillatore anarmonico, 194
Oscillatore armonico, 192, 194
Ossidazione anodica del toluene, 269
Ossidazione anodica dell’alcol benzilico, 269
Ossidazione anodica di ammine, 269, 270
Ossidazione anodica, 254, 267-270
Ossidazione cromica dell’isopropanolo, 191
Ossimercuriazione del benzene, 201, 202
para-Clorotoluene, 258
para-Metossifenilperacetato di t-butile, 159
Parametri empirici del solvente, 144
Parametro α di Brønsted, 228
Parametro β di Brønsted, 228
Parametro φ, 180
Parametro di Dimroth, 145-147, 162, 165
Parametro di Kosover, 147, 162
Parametro di nucleofilicità EN, 187
Parametro di nucleofilicità n, 187
Parametro di nucleofilicità N+, 187
Parametro di solubilità del solvente δ, 150
Parametro di suscettibilità δ, 137
Parametro m, 149
Parametro r, 128, 129
Parametro sterico ES, 136
Parametro YA, 148, 149, 162
Pentacloruro di antimonio, 151
Pentossido di diazoto, 20
Perclorato di litio, 58
Permettività relativa, 256
PES, 73
pH, 170, 176, 223, 224, 225, 236, 270
290
Ritorno interno, 58
Sali di nitronio, 60
Saponificazione di esteri enantiopuri, 58
Scale di nucleofilicità, 186, 189
Scale di pK, 175
Scissione di Norrish tipo I, 278
Scissione di Norrish tipo II, 279
Singoletto, 273-280
Siti di nucleazione, 255
Sodio dodecilsolfato, 234
Sodio isobenzochinolina, 262
Solfonazione del bromobenzene, 201, 202
Solfonazione del naftalene, 212
Soluzioni, 140
Solvatazione di anioni nucleofili, 157
Solvatazione, 16, 56, 141, 154, 156
Solventi anfiprotici, 140
Solventi, classificazione, 140
Solvolisi dei cloruri allilici, 205
Solvolisi del 2-bromopropano marcato, 203
Solvolisi del 2-cloro-2-metilpropano, 262
Solvolisi di alogenuri allilici, 57-58
Somma di acidi al doppio legame etilenico,
203
Somma ossidativa, 245, 247, 248
Sonochimica, 259
Soppressione di ritorno da coppia ionica, 58
Sostituzioni elettrofile aromatiche, 211-212
Sovrapotenziale, 266
Sovrariscaldamento, 254
Specie elettroattive, 264, 265, 269
Spettroscopia di fotoelettroni, 73
Spettroscopia di risonanza elettronica, 75
Spostamento della marcatura isotopica, 217218
Spostamento solvatocromico, 145, 146, 147
Spugne protoniche, 182
Stadio lento, 6, 20, 191, 195, 196, 200, 209,
210, 224, 226, 228, 266
Stato di transizione, 3, 4, 5, 7, 9, 10, 12, 4142, 134, 135, 156, 157, 159, 160, 163, 194,
196, 198, 203, 204, 205, 206, 217, 218, 221,
228
Stato eccitato, 272-274
Struttura esagonale del ghiaccio, 161
Superacidi, 180-181
Superficie dell’energia potenziale, 3
Surfattanti, 232, 237, 238
Tautomeria anello-catena, 155
t-Butil cloruro, 148, 149
Tempo di semitrasformazione, 22
Reazione di Heck, 248
Reazione di Kolbe, 267, 268
Reazione di Menshutkin, 55
Reazione di solfonazione, 60
Reazione iodio-acetone, 226
Reazione SN1, 8, 9, 49, 56, 126, 149, 156,
185, 200, 206, 212, 257
Reazione SN2, 2, 5, 9, 10, 49, 55, 56, 76, 103,
132, 149, 156, 157, 185, 186, 201, 211, 237,
238, 240, 257, 258
Reazioni competitive, 12, 14
Reazioni di Diels/Alder a domanda inversa,
87
Reazioni di pseudo-ordine zero, 22
Reazioni di solvolisi, 49, 56
Reazioni elettrorganiche dirette, 264, 271
Reazioni elettrorganiche, 264, 267-272
Reazioni elettrorganiche indirette, 265, 271
Reazioni fotolitiche, 278-279
Reazioni parallele, 12
Reazioni SE2, 77
Reazioni SNAr, 157
Reazioni sotto controllo di carica, 72, 90, 102
Reazioni sotto controllo orbitalico, 73, 84, 8590, 94-99, 102
Regione cibotattica, 141
Regioselettività nelle cicloaddizioni [2+2], 90
Regioselettività
nelle
cicloaddizioni
1,3-dipolari, 94-99, 108, 109
Regioselettività nelle reazioni di Diels/Alder,
86, 87
Regola di Wigner, 278
Relazione tra ρ e carica dello stato di
transizione, 121
Riassestamenti fotochimici, 279
Riassestamento di Beckman, 217
Riassestamento di Claisen in acqua, 164
Riassestamento di Claisen, 217-218
Riassestamento di PhCOCHO, 217
Riconoscimento molecolare, 230
Riduzione catodica dell’orto-diclorobenzene,
270
Riduzione catodica di alogenuri alchilici, 271
Riduzione catodica di immine, 270
Riduzione catodica di nitroderivati, 270, 271
Riduzione catodica di olefine, 270
Riduzione catodica, 264
Riduzione di Meerwein-Ponndorf, 218
Riduzione fotochimica del benzofenone, 280
Riscaldamento dielettrico, 253
Ritorno da coppia ionica, 58
291
Teoria del funzionale densità, 106
Termine di carica (Coulombiano), 69, 72, 102
Termine orbitalico, 69, 72, 102
Tetrabutilammonio ioduro, 238
Tetracianoetilene, 159
Tiofenato di sodio, 105
Transizioni permesse, 273
Transizioni proibite, 273
Trasferimento elettronico, 266
Trasferimento protonico, 139, 181-183, 209,
222, 224, 226, 228
β-Trasposizione di CO, 248
Tripletto, 273-280
Triporfirine cicliche Zn(II) complessate, 233
Ultrasuoni, 259-264
Velocità assoluta, 42
Velocità di inversione, 211
Velocità di racemizzazione, 221, 215
Velocità di reazione, 18
Verde 4-nitromalachite, 187-188
Viscosità, 260
Vita media di specie elettroattive, 267
Volume di attivazione, 45-47, 48-50, 162,
163, 164
Volume di elettrostrizione, 47
Volume intrinseco del soluto, 47
Volume micellare, 234, 236, 237
Volume molare parziale del surfattante, 236
Volume molare parziale, 46
292
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