IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
Autore: Lorusso Vincenzo
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INDICE GENERALE
INDICE
1
Introduzione
4
CAPITOLO 1: LA VIGILANZA BANCARIA E IL RISCHIO DI
CREDITO
1.1
1.2
1.3
1.4
Premessa
I rischi dell’attività bancaria
Il rischio di credito e i coefficienti patrimoniali
Rischio di regolamento, di controparte e di concentrazione
Conclusioni
11
16
26
31
33
CAPITOLO 2: IL RISCHIO DI PRE-REGOLAMENTO E
L’EQUIVALENTE CREDITIZIO
Premessa
2.1 Rischio di regolamento e di pre-regolamento
2.2 Il rischio di pre-regolamento e l’approccio delle
autorità di vigilanza
2.3 Il metodo dell’equivalente creditizio
2.4 Due brevi esempi di calcolo dell’equivalente creditizio
2.5 Elementi che influiscono sull’equivalente creditizio
2.6 Conclusioni
35
36
39
41
43
46
49
CAPITOLO 3: I DERIVATI CREDITIZI
Premessa
3.1 Credit derivatives: la struttura del mercato e i limiti allo
sviluppo dello stesso
3.2 Definizione ed elementi contrattuali comuni alle varie tipologie
3.3 I rischi nei derivati creditizi
3.4 Tipologie varie
3.4.1 Credit default swap
3.4.2 Credit default option
3.4.3 Total rate of return swap
3.4.4 Credit spread swap
3.4.5 Credit spread option
3.4.6 Credit linked note
3.4.7 Altre tipologie di derivati creditizi
3.5 Credit derivatives: considerazioni generali sulla gestione
50
53
56
63
65
65
69
70
74
77
79
83
1
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efficiente di un portafoglio prestiti
3.5 La gestione del rischio di credito e le tecniche di utilizzo dei credit
derivatives
3.7 La disciplina dei requisiti patrimoniali e la situazione italiana
3.8 Conclusioni
86
90
96
98
CAPITOLO 4: SECURITIZATION
4.1
4.2
4.3
4.4
4.5
4.6
4.7
4.8
Premessa
Definizione dell’operazione
Schema dell’operazione
Il supporto di credito
Vantaggi e rischi di una dell’Asset-Backed securitization
La cartolarizzazione dei crediti in sofferenza
La legge sulla securitization in Italia
Un modello per l’analisi del rischio di credito di portafogli di mutui
Conclusioni
100
102
103
106
108
114
117
120
125
CAPITOLO 5: I MODELLI DI MISURAZIONE DEL RISCHIO DI
CREDITO
Premessa
127
5.1 Il rischio di credito e le sue componenti
132
5.2 La perdita attesa e il pricing di un prestito
135
5.2.1 Term structure degli spread
139
5.2.2 Modelli attuariali basati sul tasso di mortalità
143
5.2.3 Option pricing theory
148
5.3 La perdita inattesa
154
5.3.1 Il VAR di un’esposizione creditizia
157
5.3.2 Approccio “insolvenza vs non insolvenza”
162
5.3.3 Approccio basato su una distribuzione discreta dei tassi
di insolvenza
165
5.3.3.1 La matrice di transizione e il rischio di migrazione
166
5.3.3.2 La perdita inattesa come deviazione standard della perdita attesa 169
5.3.3.3 La perdita inattesa come perdita massima potenziale con un certo
livello di confidenza: il VAR
172
5.4 CreditMetrics
174
5.4.1 Valutazione delle singole esposizioni
175
5.5 Il rischio di portafoglio e l’effetto diversificazione
180
5.6 CreditRisk+
186
5.6.1 Input iniziali del modello
186
5.6.2 La valutazione del numero e della dimensione delle insolvenze 188
5.6.3 Il capitale economico
189
5.7
Il modello KMV
191
5.8 Il rischio di credito tra capitale economico e capitale regolamentare 194
2
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CONSIDERAZIONI FINALI
199
Bibliografia
203
3
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INTRODUZIONE
Il rischio di credito figura come il più importante e critico rischio
nell’ambito del business bancario. Le banche hanno assunto, nei
confronti di tale rischio, all’inizio un atteggiamento di accettazione
dell’inevitabilità dei danni derivanti da massicce insolvenze,
successivamente l’illusione di poter esattamente quantificare, gestire e
controllare tale rischio mediante tecniche di affidamento sofisticate e
di misurazione dello stesso.
Per quanto riguarda l’altra faccia del rischio, rappresentata dai
rischi di mercato, già da tempo le banche hanno utilizzato modelli
manageriali interni di controllo (in particolare modelli VAR),
anticipando gli orientamenti delle stesse Autorità di vigilanza.
Se gli anni ’80 sono stati caratterizzati, da parte del mondo
bancario e accademico, dall’attenzione ai rischi di mercato
conseguenti all’introduzione di strumenti derivati, che hanno fornito al
sistema bancario – finanziario la possibilità non solo di gestire e
controllare tali rischi ma anche di poter assumere posizioni
speculative, gli anni ’90 e successivi sono contraddistinti dal problema
della misurazione e gestione del rischio di credito. Ciò ha comportato
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una serie di conseguenze, quali: introduzione di sistemi di scoring
come strumenti di supporto alle decisioni di affidamento e
monitoraggio delle esposizioni creditizie; sviluppo di modelli diretti
alla quantificazione del rischio di credito di una singola esposizione
creditizia o di un portafoglio di crediti, estendendo a tale rischio la
logica
del
VAR
(originariamente
introdotto
dalle
istituzioni
finanziarie per gestire e controllare i rischi di mercato); diffusione
delle informazioni e di dati riguardanti il merito creditizio (rating) di
soggetti, imprese e governi richiedenti prestiti nelle diverse forme, da
parte di agenzie specializzate.
Anche le Autorità di vigilanza, in questi ultimi anni, sempre più
consapevoli dei limiti dei coefficienti di solvibilità connessi allo
schema di adeguatezza patrimoniale introdotto dal Comitato di Basilea
nel 1988, stanno sostituendo tali requisiti standard con modelli interni,
come già avvenuto per i rischi di mercato.
Infatti nel giugno 1999 il Comitato di Basilea ha pubblicato un
documento consultivo, intitolato A new capital adequacy framework,
contenente i principi generali che si propone di applicare al nuovo
quadro regolamentare. In particolare la nuova proposta di Basilea per
la misurazione del rischio di credito, e quindi nel calcolo dei fattori di
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ponderazione delle controparti, prevede il riconoscimento di modelli
interni opportunamente validati. I motivi principali che hanno spinto
le banche a interessarsi del rischio di credito, a parte la criticità di tale
rischio per le stesse istituzioni finanziarie, riguardano le opportunità
che tale rischio offre alle banche e al management per la creazione di
valore per gli azionisti. Le conseguenze di tale interessamento hanno
portato allo sviluppo di operazioni quali: cartolarizzazione degli attivi
bancari (securitization), crescita di mercati secondari dei prestiti
bancari (loan sales) e nascita degli strumenti derivati per la gestione
del rischio di credito (credit derivatives).
Tali innovazioni finanziarie, favorendo la negoziabilità degli
attivi bancari, hanno consentito di migliorare il grado di liquidità del
sistema e l’efficienza del circuito di intermediazione. In particolare la
securitization ha influenzato non solo la struttura dei mercati bancari
ma anche le scelte di composizione del portafoglio delle banche
stesse, modificando la distribuzione tra titoli e prestiti e la detenzione
delle attività a scopo precauzionale.
La securitization, come operazione di trasformazione di attivi
non negoziabili in titoli negoziabili sui mercati, è uno strumento che,
nato negli Stati Uniti verso la fine degli anni ’70, negli ultimi anni ha
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conosciuto un notevole sviluppo. Per quanto riguarda il mercato
secondario dei prestiti questo ha avuto origine nei primi anni ’90,
soprattutto nei mercati anglosassoni, per alleggerire la posizione di
molti enti creditizi nei confronti dei paesi in via di sviluppo con rating
molto basso o ritenuti insolventi. Tale mercato è stato organizzato sia
in forma diretta che in forma dei titoli “derivati”. Analogamente si è
sviluppato un mercato secondario per i prestiti che consente alle
banche di ristrutturare e rivendere parte dei propri attivi non
negoziabili a investitori istituzionali e banche, alle banche che operano
in un contesto di alta concentrazione geografica e/o settoriale, come
le banche italiane, consentendo una diversificazione dei propri
portafogli prestiti.
I derivati creditizi rappresentano una nuova generazione di
prodotti dell’innovazione finanziaria importante per gestire il rischio
creditizio nelle sue varie componenti. Pur essendo il rischio di credito,
come probabilità che un debitore diventi insolvente e non riesca a far
fronte alle obbligazioni contratte, il più antico e più studiato nella
teoria finanziaria, fino a pochi anni fa non esistevano strumenti
finanziari che consentissero di gestirlo; ciò probabilmente derivava dal
fatto che buona parte dei rischi creditizi venivano scaricati sul sistema
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pubblico e che gli operatori fino a qualche anno fa erano interessati
più ad altre opportunità di investimento, e quindi ad altre fonti di
rischio.
Con i derivati creditizi si è creata una classe di prodotti che
consentono di trasferire singole componenti del rischio di credito in
maniera efficiente e a costi limitati. Questi strumenti, credit
derivatives nella terminologia anglosassone, hanno raggiunto un
volume iniziale di circa 40 miliardi di dollari e
presentano un
potenziale di crescita unanimente considerato enorme.
Un’ultima considerazione concerne lo sviluppo di numerosi
metodi per la gestione del rischio di portafoglio di crediti. Su
quest’ultima materia il processo di approfondimento metodologico ha
proceduto più lentamente rispetto a quelli di mercato anche a causa di
obiettive difficoltà concettuali, tra cui la forma asimmetrica delle
distribuzioni dei rendimenti delle operazioni di credito e la mancanza
di ampie banche dati estese per un sufficiente arco temporale. Tra i
vari metodi figurano:
• Modelli basati sul concetto di VAR (Credit Metrics);
• Modelli econometrici;
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• Modelli attuariali (CrediRisk+).
La mancanza di una teoria generale della diversificazione dei
crediti comporta la caratterizzazione asimmetrica (downside) di tale
rischio in cui la probabilità di incremento di valore di un credito,
dovuto ad un miglioramento del rating del debitore, risulta nulla. Tale
problema muta nel momento in cui i crediti vengano concessi
originariamente anche a clienti rischiosi, rivenduti sul
mercato
secondario e, infine, riesaminati durante la loro vita. A ciò seguirebbe
l’applicazione della teoria del portafoglio, dato che la distribuzione di
probabilità dei profitti tende a essere simmetrica, comportando la
logica conseguenza che ad una variazione migliorativa del rating di un
debitore dovrebbe corrispondere un aumento del valore di mercato del
credito in portafoglio. Tuttavia la mancanza di un mercato secondario
dei prestiti può rendere poco attendibile l’utilizzo di tali modelli, visto
che verrebbe a mancare un controllo del rischio di credito mediante la
negoziazione sul mercato; si verificherebbe la concentrazione dei
prestiti limitatamente alle aree in cui la banca ha accesso diretto e
quindi con scarsa diversificazione del portafoglio crediti.
Anche se la valutazione del rischio di credito implica l’analisi
congiunta di tre elementi - ammontare dell’esposizione, probabilità di
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default e perdita potenziale -, dal punto di vista metodologico tale
rischio è, e non potrebbe non essere, correlato al rischio di mercato; da
ciò dovrebbe conseguire una valutazione complessiva dei rischi che
una banca si trova ad affrontare quotidianamente, valutazione da
affrontare attraverso l’utilizzo di strumenti derivati, tradizionali e
creditizi, che permettano la gestione integrata dei rischi stessi. Con il
ricorso alle metodologie VAR, per un controllo integrato dei rischi, si
adotterebbe un evoluto sistema di risk management in grado di
misurare tutto il capitale assorbito all’interno delle singole aree di
attività della banca e si renderebbero confrontabili rischi differenti, sia
in termini di orizzonti temporali che di criteri di misurazione, di natura
creditizia e di mercato. In questo modo si metterebbe a punto un
processo di allocazione del capitale, fra le diverse aree di attività,
finalizzato alla massimizzazione della redditività corretta per il rischio
onde creare valore per gli azionisti.
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LA VIGILANZA BANCARIA E IL RISCHIO
DI CREDITO
Premessa
La vigilanza sugli intermediari finanziari ha conosciuto negli
ultimi anni un radicale cambiamento in quasi tutti i paesi evoluti.
Questo cambiamento ha riguardato sia gli obiettivi perseguiti dalle
autorità di vigilanza e sia gli strumenti adottati per perseguire tali
obiettivi.
Con riferimento agli obiettivi si è passati da una vigilanza
orientata alla salvaguardia della stabilità dell’intermediario e, di
conseguenza, del sistema nel suo complesso, ad una vigilanza più
orientata al perseguimento di obiettivi di concorrenza fra gli
intermediari e, quindi, di efficienza del sistema. Questo ha portato
all’emanazione, in Europa, della seconda direttiva bancaria del 1989.
Mutati gli obiettivi, sono cambiati anche gli strumenti utilizzati
dalle autorità di vigilanza, facendo sì che si passasse da una vigilanza1
di tipo strutturale ad una di tipo prudenziale necessaria a garantire la
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solvibilità e la liquidità degli intermediari finanziari coerentemente
con il rischio assunto.
Se quindi in passato gli strumenti adottati, e che quindi
riflettevano gli obiettivi della stabilità, erano specializzazione
funzionale e territoriale, controllo sui prezzi (tassi di interesse e
cambi), controlli all’entrata e alla successiva espansione nel mercato,
oggi
tali
obiettivi
sono
raggiunti
indirettamente
attraverso
l’applicazione del sistema dei coefficienti patrimoniali ponderati per il
rischio e altri coefficienti volti a limitare il rischio di concentrazione e
a garantire la solvibilità e liquidità delle banche. Ciò ha portato anche
al rafforzamento di altri strumenti (fair play regulation e vigilanza
protettiva) che da un lato favoriscono condizioni di trasparenza e di
diffusione corretta delle informazioni, dall’altro tendono a prevenire
crisi sistemiche.
Negli ultimi due decenni si è assistito ad un’evoluzione della
stessa politica di vigilanza, nel senso di una internazionalizzazione
della disciplina dell’attività degli intermediari che ha portato ad un
coordinamento fra le politiche di vigilanza dei diversi paesi.
1
CEE Direttiva 647/89 del Consiglio relativa al coefficiente di solvibilità degli enti
creditizi, Bruxelles,1989.
12
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Grazie alla globalizzazione dei mercati finanziari, dovuta
all’eliminazione
delle
barriere
normative
all’attività
bancaria
internazionale e all’adozione del modello dell’home country control,
si è evidenziata la necessità di una minima regolamentazione comune
tanto da poter parlare di un’autorità di vigilanza sovranazionale, nel
senso di organizzazioni sovranazionali che formulano delle regole
oggettive che formano il quadro normativo di riferimento per l’attività
degli intermediari finanziari. Si pensi al ruolo centrale svolto dallo
schema di adeguatezza patrimoniale originariamente formulato dal
Comitato di Basilea nel 19882 e successivamente recepito dalla CEE e
dalle autorità di vigilanza dei principali paesi sviluppati, come del
resto le proposte formulate dallo stesso Comitato per l’estensione
degli stessi coefficienti ai rischi di mercato, proposte recepite
dall’ordinamento comunitario e italiano; oppure il ruolo che la CEE
ha svolto negli ultimi anni nella definizione di condizioni comuni di
accesso all’attività bancaria, nei limiti alla concentrazione degli
impieghi e nell’assicurazione dei depositi. In Italia il Comitato
Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR), con una
2
Basle Committee on Banking Supervision, July 1988, International Agreement on
the definition of capital and on minimum capital ratios, Basilea.
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delibera datata 23 dicembre 1986, determinò i principi fondamentali
relativi
all’introduzione
di
coefficienti
patrimoniali
minimi
obbligatori, tenendo conto delle varie tipologie di rischio e delegò alla
Banca d’Italia il compito di definire la normativa di applicazione.
La Banca d’Italia, infatti, introdusse, all’inizio con Circolare del
31 marzo 1987, poi sostituita con altre fino a quella attualmente in
vigore, la Circolare n. 229 del 21 aprile 19993, i coefficienti di
rischiosità correlati a ciascun tipo di operazione e per ogni tipo di
controparte, ed un coefficiente patrimoniale minimo obbligatorio
collegato al rischio aziendale delle attività ponderate in base ai
coefficienti di rischiosità. Infine bisogna ricordare la pubblicazione
nel giugno 1999, da parte del Comitato di Basilea, di un documento
consultivo4, intitolato A new capital adequacy framework, contenente
nuovi principi generali da applicare al nuovo quadro regolamentare.
Questo documento si pone l’obiettivo di apportare una
evoluzione all’attuale regime, proponendo fattori di ponderazione che
meglio riflettano la rischiosità della controparte, ossia modelli basati
3
Banca d’Italia, Circolare n. 229 del 21 aprile 1999.
4
Basle Committee on Banking Supervision, Giugno 1999, A New Capital Adequacy
Framework. Consultative Paper, Basilea.
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su ratings assegnati da agenzie esterne, ratings interni assegnati dalle
stesse banche oppure modelli interni validati.
Un’altra novità consiste nel fatto che il coefficiente patrimoniale
minimo dovrebbe coprire non solo il rischio di credito e di mercato,
ma anche il rischio di interesse, di liquidità, legale, di reputazione e
operativo.
Infine, il documento propone una supervisione da parte delle
Autorità di vigilanza della gestione, allocazione, misurazione e
politica della banca circa il capitale proprio.
Questo capitolo, dopo una breve elencazione dei principali rischi
bancari, tratterà i principali provvedimenti riguardanti il rischio di
credito, cioè lo schema di adeguatezza patrimoniale formulato dal
Comitato di Basilea nel 1988 (recepito dalla Comunità europea con
direttiva 647/89) con successive modifiche introdotte e aggiornate
dalla Circolare della Banca d’Italia del 21 aprile 1999 n. 229, e quelli
riguardanti il rischio di regolamento, il rischio di controparte e il
rischio di concentrazione.
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1.1 I rischi dell’attività bancaria
Il rischio rappresenta l’eventualità di accadimenti futuri
suscettibili di generare:
Perdite assolute (distruzione di ricchezza esistente);
Perdite relative (mancato conseguimento di ricchezza che si era
previsto di produrre).
Quindi per rischio si intende l’incertezza gravante sui risultati
futuri, misurati generalmente in termini di ROE, ROA, RAROC etc.
L’utilizzo di tale tipologia di coefficienti patrimoniali introduce
una correlazione tra rischio e dotazione patrimoniale, in accordo a
quanto richiesto dagli organi di vigilanza (nazionali ed internazionali):
si afferma, così, la logica di allocazione efficiente del capitale.
Il rischio può essere distinto in varie tipologie, e ogni tipologia
varia in funzione della causa che lo origina. Vi sono varie tipologie di
rischio le quali possiedono delle sottocategorie. Le principali categorie
di rischio sono:
rischio di credito;
rischio di interesse;
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rischio di liquidità;
rischio di mercato;
rischio paese;
rischio operativo;
rischio non standard.
Il rischio di credito rappresenta il rischio di perdite dovute
all’incapacità della controparte – nei cui confronti si è assunta una
esposizione creditizia – di adempiere le proprie obbligazioni di
pagamento.
Esso è articolato in tre fattispecie5:
rischio di credito pieno, che consiste
nel
rischio che la
controparte non adempia la propria obbligazione di pagamento a causa
della propria insolvenza (e non sia rischio di consegna o di
sostituzione);
rischio di consegna, che può esistere soltanto qualora le parti abbiano
reciproche obbligazioni da eseguirsi contemporaneamente e consiste
nel fatto che una parte adempia al proprio obbligo di pagamento o
5
Cfr. Nassetti C. F., 2000, Natura dei rischi presenti nei credit derivatives, in Nassetti C. F., Fabbri
A., Trattato sui contratti derivati di credito, Egea, Milano, 230.
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consegna non ricevendo contestualmente la consegna o il pagamento
del dovuto dall’altra parte;
rischio di sostituzione, che è presente nei contratti a termine con
prestazioni corrispettive, consiste nel maggior costo o nel mancato
guadagno che la parte solvente sopporta, qualora la controparte diventi
insolvente prima della scadenza pattuita. In questo caso, la parte
potenzialmente solvente si asterrà, ovviamente, dall’effettuare la
propria consegna, effettuando un nuovo contratto con una nuova
controparte. Il prezzo del nuovo contratto potrebbe essere diverso dal
precedente, comportando una perdita od un utile.
Poiché dal punto di vista regolamentare e contabile, il portafoglio di
una banca è distinto in portafoglio di investimento (valori mobiliari
detenuti per finalità di investimento) e portafoglio di negoziazione
(posizioni detenute in vista di una loro cessione a breve termine,
posizioni assunte a copertura di altri elementi del portafoglio di
negoziazione etc.), la precedente articolazione del rischio di credito si
riferisce ai rischi presenti nel portafoglio investimento, o banking
book.
I corrispondenti rischi di credito presenti nel portafoglio
negoziazione, o trading book, sono:
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rischio specifico, che corrisponde al rischio di credito pieno,
consiste nel rischio di perdite causate da una sfavorevole variazione
del prezzo degli strumenti finanziari negoziati, dovuta a fattori
connessi con la situazione dell’emittente;
rischio di regolamento, che corrisponde al rischio di consegna,
limitato, solo, alle operazioni in titoli;
rischio di controparte, che corrisponde al rischio di sostituzione.
Il rischio di interesse si presenta nel momento in cui una banca
presenta una differenza nelle scadenze e nei tempi di ridefinizione del
tasso di interesse delle attività e delle passività. Queste differenze
espongono una banca ad un rischio potenziale sia di rifinanziamento
sia di reinvestimento. Il rischio di rifinanziamento sorge ogniqualvolta
la scadenza media delle passività è inferiore a quella delle attività, il
rischio di reinvestimento nel caso opposto. In entrambi i casi,
variazioni inattese dei tassi di riferimento sul mercato, provocano una
variazione inattesa del margine di interesse atteso nel breve periodo.
Il rischio di liquidità nella incapacità della banca (la quale è
maggiormente esposta, visto che detiene una parte del proprio attivo
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investita in strumenti - prestiti - non negoziabili ed una parte rilevante
del passivo in strumenti immediatamente convertibili in moneta) di far
fronte tempestivamente ed economicamente alle uscite di cassa.
Quindi il rischio di liquidità rappresenta un rischio derivante
dalla mancanza o scarso spessore della domanda e offerta di strumenti
finanziari tale da rendere impossibile o difficile la liquidazione di una
posizione; illiquidità si riferisce, quindi, all’assenza di domanda e
offerta.
Il rischio di mercato rappresenta il rischio connesso agli effetti
che inattese variazioni nelle variabili di mercato potrebbero avere
sulla valutazione delle posizioni che la banca detiene in strumenti
finanziari, trattati sia sui mercati regolamentati che over the counter.
Le fonti di variazioni nei valori di mercato delle posizioni detenute in
portafoglio sono riconducibili alle seguenti6:
tassi di interesse;
tassi di cambio;
quotazioni azionarie;
6
Sironi A., 1995, La gestione dei rischi di mercato : il metodo del capitale a rischio, in
AA.VV., Nuovi modelli di gestione dei flussi finanziari nelle banche ( a cura di Fabrizi
P.L. ), Giuffrè, Milano.p.496.
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prezzi merci;
volatilità nei tassi (di interesse e di cambio) e nelle quotazioni (azioni
e merci).
Il tasso di interesse è quel fattore rischio che causa un rischio di
mercato, ogni qual volta interviene un cambiamento nel livello
corrente della struttura a termine dei tassi di interesse, con
conseguente variazione nel valore delle posizioni sensibili ai tassi di
interesse, in bilancio e fuori bilancio.
Esso assume tre forme:
a) spostamento parallelo della curva dei rendimenti;
b) modifica della forma della curva dei rendimenti, nel senso di una
variazione dei tassi a breve termine diversa da quelli a lungo termine;
c) modifica della relazione esistente tra i tassi di interesse di mercato e
quelli dello strumento in portafoglio.
Il tasso di cambio costituisce un altro fattore fonte del rischio di
mercato in cui, un movimento avverso dell’andamento dei tassi di
cambio, può produrre un effetto sulla dinamica patrimoniale e
reddituale della banca che detiene posizioni in valuta (è necessaria,
per ciascuna valuta, l’individuazione di una <posizione netta>.
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Altra componente che causa il rischio di mercato è presente nelle
quotazioni azionarie, nel senso di una detenzione di titoli azionari in
bilancio e fuori bilancio, queste ultime come sottostanti di contratti
derivati, anche in forma di indici azionari (es. FIB 30).
Anche per le quotazioni delle merci vale lo stesso discorso che
per le quotazioni azionarie.
Infine, abbiamo come ultima componente del rischio di mercato
il rischio di volatilità dei tassi e dei prezzi, riferibile alla
variazione del valore delle posizioni in opzioni a seguito di mutamenti
nel livello di volatilità attesa del prezzo dello strumento sottostante.
Il rischio paese è una categoria di rischio che si avvicina al
rischio di credito, ma differisce sottili distinzioni.
Non si è in presenza di un rischio paese nel caso in cui il debitore
sia il paese stesso: in tal caso si è in presenza di un rischio di credito
che dipende dalla solvibilità del debitore stesso, in quanto tale rischio
è analogo a quello presente nel privato (a parte de differenze di
standing creditizio) a cui si concede un prestito.
In generale, quindi, il rischio paese deriva dalla possibilità di
perdita dovuta ad eventi non dipendenti dalla solvenza del debitore,
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ma riconducibili al paese, inteso in senso lato, in cui esso è residente;
il rischio paese e un rischio aggiuntivo rispetto al rischio di credito ed
è sempre presente ogniqualvolta il debitore ed il creditore siano
residenti in paesi diversi7.
Ci sono tre tipi di rischio paese, cioè:
rischio politico o sovrano, che consiste nel rischio di perdite
quando il debitore solvente non sia in grado di adempiere a causa di
un actum principis, quale, ad esempio, la sospensione unilaterale dei
pagamenti dovuti da privati verso l’estero imposta da una norma
locale, guerre contro gli altri stati, la confisca - senza un adeguato
indennizzo - di un investimento o di beni presenti in altri paesi, etc..8
Rischio sociale, cioè rischi derivanti dall’appartenenza del
debitore solvente in un paese in cui sono presenti eventi sociali, quali
scioperi, rivolte, sommosse etc..
Rischio naturale, cioè nel caso in cui il debitore non possa
adempiere, questa volta, per eventi naturali catastrofici.
Il rischio operativo rappresenta una tipologia molto varia e
7
8
Cfr. Nassetti C. F., 2000, Natura dei rischi presenti nei credit derivatives, 235, cit.
Cfr. Nassetti C. F., 2000, Natura dei rischi presenti nei credit derivatives, 236, cit.
23
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ampia di rischio, tuttavia dovrebbe contenere il rischio di perdite
causate da fenomeni patologici dei sistemi informatici (guasti , virus,
errori di programmazione, etc.), dei sistemi organizzativi (controlli
interni non adeguati, smarrimento di documenti, etc.) e dei
comportamenti umani (errori, frodi, etc.).
Infine abbiamo i rischi non standard, tra cui figurano:
rischio legale e fiscale, che sono riconducibili ad una scarsa
conoscenza delle normative nazionali ed internazionali, oltre alle
carenze
legislative
legate
alla
non
standardizzazione
delle
caratteristiche tecnico-giuridiche dei contratti;
rischio regolamentare, che è riconducibile alla possibilità che il
legislatore cambi le regole del gioco, alterando il valore dei contratti o
creando
vincoli
regolamentari
che
modifichino
l’economicità
dell’operazione.
rischio di reputazione, consiste nel rischio di perdite che
l’azienda può subire quale conseguenza della pubblicità negativa,
indipendentemente dal fatto che essa sia fondata o infondata, che sia
causa di contenzioso, di perdita di quote di mercato, di perdita di
24
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clientela o di riduzione di entrate9.
9
Cfr. Nassetti C. F., 2000, Natura dei rischi presenti nei credit derivatives, 241, cit.
25
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1.2 Il rischio di credito e i coefficienti patrimoniali
Nel 1988 le autorità di vigilanza dei principali paesi sviluppati si
riunirono, nell’ambito del Comitato di Basilea, per la formulazione di
uno schema normativo uniforme in tema di adeguatezza patrimoniale
delle banche. Questo schema basato sull’imposizione dei capital
ratios, è stato recepito dalla Comunità europea con direttiva 647/89 e
da altri paesi anche esterni allo stesso Comitato di Basilea.
La scelta di tale impostazione, cioè l’imposizione di coefficienti
patrimoniali ponderati per il rischio, è basata sulla convinzione che i
capital ratios favoriscano condizioni di solvibilità, condizioni di
stabilità nei mercati finanziari internazionali e creino condizioni
concorrenziali uniformi per gli intermediari dei diversi paesi.
Tale schema di adeguatezza patrimoniale, elaborato dal Comitato
di Basilea, consiste in un rapporto minimo, pari all’8%, fra patrimonio
di vigilanza e la somma delle attività ponderate per il relativo grado di
rischio, analiticamente:
P=∑Ai*Pi≥8%
dove:
26
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P = patrimonio di vigilanza
Ai = attività i-esima
Ri = fattore di ponderazione dell’attività i-esima
Definiamo patrimonio di base un aggregato comprendente il
capitale azionario versato, le riserve da utili e, infine, la riserva
soprapprezzo azioni e patrimonio supplementare (un altro aggregato
che contiene le riserve di rivalutazione), il fondo rischi generali e gli
strumenti ibridi/debito subordinato; tale patrimonio supplementare
non può superare il 50% del patrimonio complessivo. La somma del
patrimonio
di
base
e
del
patrimonio
supplementare,
meno
l’avviamento e le partecipazioni in altre istituzioni creditizie, ci
definisce il patrimonio di vigilanza.
Per quanto riguarda de ponderazioni per il rischio, la seguente
tabella
riassume,
esemplificativamente,
i
diversi
fattori
di
ponderazione attribuiti alle diverse poste dell’attivo (Tabella 1).
Tale distinzione fra le varie poste è basata sul grado di liquidità, la
natura dei mutuatari e l’area geografica di questi ultimi (zona A e
zona B).
27
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Tabella 1 Coefficienti di ponderazione del rischio per le attività in bilancio
Ponderazione Ponderazione Ponderazione
0%
20%
50%
Mutui assistiti
Cassa e valori
Crediti verso
da garanzia
assimilati
banche
multilaterali di reale
sviluppo
Crediti verso
banche centrali
e assimilati
della zona A
Crediti verso il
settore
pubblico della
zona A
Valori
Crediti per
all’incasso
cassa nei
confronti di
governi o
banche centrali
della
zona B
Contratti su
tassi e su titoli
di capitali
verso settore
privato
Ratei attivi di
cui non sia
individuabile la
controparte
Ponderazione
100%
Crediti nei
confronti di
enti del
settore
pubblico della
zona B
Crediti per
cassa e
operazioni
fuori bilancio
nei confronti
del settore
privato
Attività
materiali
Ponderazione
200%
Partecipazioni in
imprese non
finanziarie con
risultati negativi
negli ultimi 2
esercizi
Per ciò concerne le attività fuori bilancio di tipo creditizio, le
banche devono utilizzare fattori di conversione necessari per
“trasformarle” in esposizioni creditizie per cassa, alle quali applicare i
coefficienti di ponderazione.
Queste operazioni fuori bilancio sono suddivise, da un lato, in
garanzie e impegni, e dall’altro, in contratti derivati.
I fattori di conversione per la determinazione degli equivalenti
creditizi delle garanzie e degli impegni sono (rimandando, per la
classificazione delle varie forme di garanzia e impegni, alla Circolare
della Banca d’Italia 21 aprile 1999, n. 229 ecc.):
28
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1.
100% per le garanzie e gli impegni a rischio pieno e per quelli in
sofferenza;
2.
50% per le garanzie e gli impegni a rischio medio;
3.
20% per le garanzie e gli impegni a rischio medio-basso;
4.
0% per le garanzie e gli impegni a rischio basso.
Per quanto riguarda i contratti derivati, gli equivalenti creditizi
sono calcolati con due metodologie: i metodi del esposizione corrente
o dell’esposizione originaria per le operazioni a termine collegate ai
tassi di interesse e di cambio; il metodo dell’esposizione originaria
per gli altri contratti derivati.
Con il metodo dell’esposizione corrente, o marking to market, il
valore di mercato di ogni esposizione, ossia il suo costo di
sostituzione, è sommato ad una percentuale fissa del valore nominale
del contratto, funzione della scadenza dell’operazione, corrispondente
all’esposizione potenziale. Il capitale ottenuto viene ponderato, come
in precedenza, per la singola controparte applicando successivamente
il coefficiente minimo dell’8%.
29
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Tabella 2 Percentuali per il calcolo dell’esposizione potenziale
Vita
residua
Fino a 1
anno
Oltre 1
anno e
fino a 5
anni
Oltre 5
anni
Contratti
su tassi di
interesse
Contratti
su tassi di
cambio e
oro
Contratti
su titoli di
capitale
Contratti
su metalli
preziosi
eccetto
oro
Contratti
su altre
merci
0%
1%
6%
7%
10%
0,5%
5%
8%
7%
12%
1,5%
7,5%
10%
8%
15%
Il secondo metodo, definito dell’esposizione originaria, calcola
l’esposizione complessiva applicando al valore nominale di ogni
contratto determinate percentuali indicate nella tabella seguente:
Tabella 3 Fattori di ponderazione per il calcolo dell’esposizione originaria
Durata originaria
Contratti relativi ai
tassi di interesse
Contratti relativi ai
tassi di cambio e oro
Fino a 1 anno
Oltre 1 anno e fino a 2
anni
Incremento per ogni
anno successivo
0,5%
2%
1%
5%
1%
3%
Ovviamente, anche in tal caso, il capitale ottenuto deve essere
moltiplicato per il singolo peso riflettente il rischio della singola
controparte,
applicando successivamente alla somma ottenuta il
coefficiente minimo dell'8%.
30
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1.3 Rischio di regolamento, di controparte e di
concentrazione
Il rischio di regolamento costituisce il rischio relativo
all’insolvenza della controparte di una transazione in valori mobiliari
in sede di regolamento. Esso origina dalla possibilità di insolvenza
della controparte al momento del regolamento degli obblighi
contrattuali e riguarda transazioni in titoli azionari ed obbligazionari
che risultano non liquidate dopo la scadenza del contratto e che
presentano una differenza tra prezzo convenuto e prezzo di mercato
che possa comportare
una perdita per la banca. Tale requisito
patrimoniale può essere determinato secondo due metodi alternativi:
CV=(Pm-Pc)*A
CV=Pc*B
Dove Cv rappresenta il capitale di vigilanza richiesto, Pm il
prezzo corrente di mercato del titolo oggetto della transazione e Pc il
prezzo contrattuale. A e B sono invece determinati in funzione dei
giorni trascorsi dalla scadenza del contratto senza che la controparte
abbia
adempiuto ai propri obblighi di consegna dei titoli o di
pagamento degli importi dovuti.
31
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Tabella 4 Requisiti patrimoniali relativi al rischio di regolamento
Numero di giorni dopo
la scadenza
5-15
16-30
31-45
46 o più
A
B
8%
50 %
75 %
100 %
0.5 %
4%
9%
-
Il rischio di controparte ha per oggetto le transazioni rimaste
inadempiute, quelle cioè in cui le banche abbiano effettuato esborsi
per titoli prima di riceverli o abbia consegnato titoli prima di aver
ricevuto il corrispettivo. Il requisito relativo a tale rischio ha per
oggetto solamente il portafoglio di negoziazione, ed è pari all’8% del
valore di mercato dei titoli o della somma da ricevere moltiplicato per
la ponderazione secondo lo schema utilizzato per il calcolo del
coefficiente patrimoniale a fronte del rischio di credito.
Infine vi sono requisiti patrimoniali riferiti al grado di
concentrazione del portafoglio di negoziazione ed, in particolare, nel
caso risulti superato il limite previsto dalla direttiva 92/121/CEE o
direttiva <<grandi fidi>>; in tali casi è prevista una copertura
patrimoniale proporzionale al superamento del limite.
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1.4 Conclusioni
La diffusione di nuovi prodotti finanziari, quali derivati creditizi
e securitization, e lo sviluppo di modelli interni per la gestione del
rischio creditizio hanno da un lato messo in evidenza le carenze, i
problemi e la stessa staticità dello schema di adeguatezza patrimoniale
formulato originariamente dal Comitato di Basilea nel 1988, dall’altro
hanno offerto l’opportunità per una nuova riforma che estenda il
riconoscimento ai modelli interni quali strumenti necessari per una
misurazione dell’adeguatezza patrimoniale delle banche.
Lo schema di adeguatezza patrimoniale presenta
particolari
limiti, tra cui il mancato riconoscimento della diversificazione di
portafoglio e il mancato riconoscimento della struttura per scadenze
del rischio di credito, così due esposizioni creditizie con diversa vita
residua presentano lo stesso grado di rischio; ma il problema
maggiore, che non è stato preso in considerazione dal Comitato di
Basilea, e che ha parzialmente ovviato a questo con il documento del
giugno 1999 intitolato A new capital adequacy framework, è
l’applicazione di un’unica ponderazione dei crediti verso il settore
33
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privato (pari al 100%), non considerando le differenze esistenti fra le
varie imprese in termini di standing creditizio.
Tali limiti inevitabili sono legati alla natura delle norme di
vigilanza, le quali assumono la natura di provvedimenti statici e
inevitabilmente non discriminanti, cioè estesi a tutte le banche, e
devono coprire l’intera gamma di rischi.
Quindi ci si auspica che i vari Paesi partecipanti al Comitato di
Basilea adottino tale nuovo regime regolamentare per le banche,
affinché il rischio di credito venga gestito con dinamicità, come lo è
del resto la stessa realtà economica.
34
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IL RISCHIO DI PRE-REGOLAMENTO E
L’EQUIVALENTE CREDITIZIO
Premessa
L’attività in operazioni a termine che le banche negli ultimi
hanno effettuato con crescente ritmo, e cioè interest e currency swap,
options in cambi e tassi d’interesse, FRA etc., ha fatto sì che le stesse
autorità abbiano previsto requisiti patrimoniali per la gestione del
conseguente rischio di credito.
In questo capitolo analizzo il rischio di controparte connesso alla
negoziazione di strumenti che prevedono flussi di cassa differiti
rispetto alla data di stipula del contratto; in particolare sarà descritto il
metodo dell’<<Equivalente creditizio>> applicato alle operazioni a
termine in cui il rischio di credito può essere scisso in due parti:
rischio di pre-regolamento e di regolamento.
35
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2.1 Rischio di regolamento e pre-regolamento
Il rischio di credito per operazioni a termine può essere scisso in
due parti, rischio di pre-regolamento e rischio di regolamento.
Il rischio di pre-regolamento si riferisce all’eventuale insolvenza
della controparte prima della scadenza del contratto; tale rischio è
connesso all’eventualità che il valore
di mercato della singola
posizione sia divenuto positivo in seguito all’evoluzione del prezzo
dell’attività sottostante e dunque che, in caso di insolvenza della
controparte, la parte solvente sia costretta a sostituire la posizione sul
mercato sopportando una perdita.
Il rischio di regolamento si riferisce all’eventuale insolvenza
della controparte al momento della scadenza del contratto o, più
precisamente, in sede di regolamento; esso deriva, specie nel caso
delle transazioni fra istituzioni residenti in paesi con fusi orari
differenti, dalla non contestualità delle due prestazioni: lo sfasamento
temporale genera infatti il rischio, per una delle due controparti, di
perdite connesse all’insolvenza della controparte nel breve intervallo
36
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di tempo intercorrente tra una prestazione e l’altra10.
Un esempio chiarirebbe meglio la distinzione tra il rischio di
regolamento e quello di pre-regolamento. Supponiamo che X acquisti
a termine da Y 1000 obbligazioni alfa a tre mesi al prezzo di
Lit.15.000.000 l’una; dal punto di vista di X, il rischio di preregolamento si riferisce alla possibilità che necessariamente, durante i
tre mesi precedenti alla scadenza del contratto, la posizione abbia un
valore positivo e, contemporaneamente, Y divenga insolvente. Così se
dopo un mese i tassi di mercato sono scesi e conseguentemente le
obbligazioni alfa sono salite di Lit.100.000, X sarebbe soggetto ad una
perdita di Lit.100.000.000 nel caso di insolvenza di Y. Invece il
rischio di regolamento si riferisce alla possibilità che Y, una volta
giunta la scadenza del contratto, incassi il controvalore e sia dichiarato
insolvente prima di effettuare la propria controprestazione; in tale caso
la perdita riguarda l’intero ammontare della transazione.
Come si nota il rischio di regolamento è quantificato dall’intero
ammontare della transazione e quindi, non comporta nessun problema
10
cfr.Sironi A., 1995, La gestione del rischio di controparte: il metodo dell’equivalente
creditizio, in AA.VV., 589.
37
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di valutazione dell’esposizione, al contrario del rischio di preregolamento per il quale è necessario calcolare il costo di sostituzione
della posizione che l’istituzione sosterrebbe in caso di insolvenza della
controparte.
Infine mentre il rischio di regolamento nelle transazioni nazionali
e internazionali si è ridotto grazie alla diffusione di sistemi
centralizzati di compensazione delle posizioni (Euroclear, Cedel,
ecc.), il rischio di pre-regolamento è aumentato in seguito
all’incremento delle transazioni e della volatilità dei tassi di interesse e
di cambio11.
11
cfr.Sironi A., 1995, La gestione del rischio di controparte,590, cit.
38
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2.2 L’approccio delle autorità di vigilanza
Le autorità di vigilanza (Cee, Direttiva 647/89 del Consiglio
relativa al coefficiente di solvibilità degli enti creditizi, Bruxelles,
1989) nei confronti del rischio di pre-regolamento hanno riservato
alle banche la scelta tra due metodi alternativi, il metodo
dell’esposizione originaria e quello definito marking to market.
Il primo
metodo, in quanto lega la stima dell’esposizione del rischio
ad una percentuale prefissata del valore nominale con applicazione
del coefficiente minimo dell8% per ottenere l’ammontare del capitale
richiesto,
presenta
due
limiti,
cioè
l’indipendenza
della
quantificazione del rischio dal valore di mercato della posizione e la
stessa indipendenza rispetto alla volatilità del prezzo dell’attività
sottostante.
Il secondo metodo supera in parte tali limiti in quanto si fonda
sulla stima composta dalla somma delle due esposizioni, corrente e
potenziale. L’esposizione corrente risolve il primo limite perché muta
al variare del valore di mercato della posizione (costo di sostituzione),
mentre il secondo limite, cioè indipendenza del valore di mercato
39
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dalla volatilità del valore di mercato dell’attività sottostante, è
superato parzialmente dalla stima della esposizione potenziale (addon) che costituisce una percentuale prestabilita da applicarsi al valore
nominale del contratto a termine (in funzione della scadenza residua
dei tassi di cambio e di interesse).
Tuttavia il metodo del marking to market, nell’ambito del calcolo
dell’esposizione potenziale, costituisce un compromesso inevitabile
per le autorità di vigilanza le quali sono costrette a richiedere, pena
l’eccessiva discrezionalità di cui godrebbero i soggetti controllati,
requisiti
di
patrimonializzazione
indipendenti
dalle
mutevoli
condizioni dei mercati; resta tuttavia il fatto che diversi tassi di
cambio, così come diversi tassi di interesse, presentano livelli di
volatilità differenti e mutevoli nel tempo10.
Tali limiti possono essere superati dal metodo dell’equivalente
creditizio.
10
cfr.Sironi A., 1995, La gestione del rischio di controparte,594, cit.
40
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2.3 Equivalente creditizio
Il metodo dell’Equivalente creditizio seguendo la logica del
marking to market suddivide, per la valutazione del rischio di preregolamento, l’esposizione al rischio in corrente e
potenziale11.
L’esposizione corrente, come è stato detto, varia al mutare del valore
di mercato della posizione in essere; l’esposizione potenziale, invece,
è funzione della volatilità del prezzo (tassi di interesse e di cambio) di
mercato.
Quindi l’equivalente creditizio che altro non è che esposizione
complessiva, risulta dalla somma di entrambe le esposizioni.
Supponiamo che una banca abbia acquistato da un’altra banca a
termine, in data 1/1/2000, 10mln di dollari contro lire ad un tasso di
cambio di Lit.2000 il dollaro con scadenza 1/7/2000; supponiamo
inoltre che in data 1/4/2000 il cambio a tre mesi lire contro dollari sia
quotato 2100. Applicando il metodo dell’equivalente creditizio
avremmo:
Esposizione corrente (2100-2000) * 10mln= 1mld
11
cfr.Sironi A., 1995, La gestione del rischio di controparte,594, cit.
41
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Esposizione potenziale, fissato un livello di protezione del
99,5% (cioè un intervallo di confidenza pari a tre volte la deviazione
standard, che supponiamo pari al 2% nell’arco di tre mesi) tale
esposizione,
in
una
logica
VAR,
sarebbe
pari
a
2100
*2%*10mln=420mln.
Equivalente creditizio 1mld + 420mln= 1,420mld
Questa metodologia può essere applicata anche ad altri contratti
come FRA e IRS.
42
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2.4 Due brevi esempi di calcolo dell’equivalente
creditizio
Per un’applicazione concreta del metodo dell’equivalente
creditizio, saranno analizzati due contratti derivati molto usati nella
pratica bancaria, quali forward rate agreement (FRA) e interest rate
swap (IRS).
Supponiamo che la banca X, in data 15 marzo 2000, abbia
venduto un FRA (3,6) mesi alla controparte Y, con capitale nozionale
di lire 3mld e con tasso contrattuale pari al 5%.
Poiché la banca X incassa il fisso, se dopo due mesi, (cioè il 15
maggio) il tasso variabile scendesse per esempio al 4%, essa avrebbe
in portafoglio una posizione positiva, e solo in questo momento
sarebbe soggetta ad un rischio di pre-regolamento.
Ora supponendo che il tasso z. coupon a 4 mesi fosse pari a
4,5%, il rischio di pre-regolamento per la banca X si suddividerebbe
in due categorie:
43
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Esposizione corrente:
[(5% - 4%) * 90/360 * 3mld] / (1 + 4,5%*4/12) = Lire
7.390.000
Esposizione potenziale:
2*0,5%*90/360*3mld = Lire 7.500.000
avendo presupposto che la volatilità mensile del tasso Fra (1,4) fosse
0,5%, e che l’intervallo di confidenza, cioè la probabilità che
accadesse al 95%, fosse pari a 2.
Equivalente creditizio:
Lire 7.390.000 + Lire 7.500.000 = Lire 14.890.000
Se prendiamo, invece, come esempio la vendita di un IRS (riceve
variabile) con scadenza originaria di 4 anni, frequenza semestrale dei
pagamenti, tasso contrattuale 10%, vita residua 3 anni, nozionale
100mld, tasso swap a 3 anni 11,5% e tassi z. coupon (11% a 6 mesi,
11,2% a 1 anno, 11,5% a 1,5 anni, 11,7% a 2 anni, 12% a 2,5 anni e
12,3% a tre anni), avremmo:
valore di mercato di ogni flusso: (11,5% - 10%)*100mld*180/360
= Lire 750.000.000;
44
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Esposizione corrente:
750mln/(1+11%)^1/2+750mln/(1+11%)^1+750mln/(1+11%)^3/2+7
50mln/(1+11%)^2+750mln/(1+11%)^5/2+750mln/(1+11%)^3=
Lire 3.718.980.000
Esposizione potenziale:
0,5*2*1.500.000.000 = Lire 1.500.000.000
volatilità tasso swap = 0,5%
worst case scenario = 2 (95% probabilità di accadimento)
sensitività valore swap = 1%
Equivalente creditizio:
Lire 3.718.980.000 + Lire 1.500.000.000 = Lire 5218980000
45
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2.5 Elementi
creditizio
Prima
di
che
individuare
influiscono
gli
elementi
sull’Equivalente
che
influiscono
sull’Equivalente creditizio, c’è da dire che l’esposizione corrente di un
contratto a termine è nulla al momento della stipulazione del contratto,
se la posizione è posta in essere in un mercato efficiente; al contrario
l’esposizione potenziale è massima al momento della stipula del
contratto, supponendo una costanza della volatilità del prezzo
dell’attività sottostante, ed un conseguente rischio maggiore in caso
di una vita residua abbastanza lunga (ovviamente diminuito al ridursi
della stessa vita residua). Un’ultima considerazione riguarda il grado
di correlazione imperfetta dei prezzi, in cui tale componente è presa in
considerazione soltanto nel caso dei rischi di mercato, in quanto la
correlazione riduce il grado di rischio complessivo. Nel rischio di preregolamento la correlazione imperfetta è presa in considerazione solo
per le transazioni con la medesima controparte12. Se ne desume che
l’esposizione ai rischi di mercato può essere ridotto con politiche di
hedging, mentre nel rischio di pre-regolamento l’unica possibilità
12
cfr.Sironi A., 1995, La gestione del rischio di controparte,603, cit.
46
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d’incidenza è rappresentata da accordi di compensazione (netting)
bilaterale delle diverse posizioni nei confronti della medesima
controparte13.
Tra gli elementi contrattuali che influiscono sull’equivalente
creditizio, e quindi sull’esposizione al rischio di pre-regolamento,
abbiamo14:
La scadenza del contratto: contratti che presentano una scadenza
elevata, a parità di condizioni, presentano un’esposizione potenziale
maggiore, in quanto la stessa volatilità del prezzo ad essi associata
risulta più elevata.
La scadenza dello strumento sottostante: sempre a parità di
condizioni, contratti a termine aventi “sottostanti” con scadenza più
elevata presentano un’esposizione potenziale maggiore in quanto la
stessa volatilità del prezzo risulta maggiore.
La frequenza dei pagamenti: contratti che prevedono più flussi di
cassa futuri (IRS, interest rate cap, floor, etc.), a parità di altre
condizioni, presentano una minore esposizione potenziale. Questo
perché si ha un rientro più veloce di un eventuale valore di mercato
13
14
cfr.Sironi A., 1995, La gestione del rischio di controparte,599, cit.
cfr.Sironi A., 1995, La gestione del rischio di controparte,600-601, cit.
47
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positivo della posizione, e poi perché i singoli flussi, avendo una
scadenza mediamente più ridotta, presentano una minore volatilità del
rispettivo valore di mercato.
48
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2.6 Conclusioni
Sembra, dunque, che l’equivalente creditizio come si è visto, a
differenza dei metodi tradizionali e statici, permette una valutazione
marking-to-market delle posizioni, e questo anche perché tale
metodologia fissa un legame tra il rischio di insolvenza della
controparte e la volatilità del prezzo dell’attività sottostante, facendo
sì che la stessa valutazione del rischio di credito cambi al variare dei
fattori di mercato.
Ovviamente tale metodologia implica costi di organizzazione e
operativi non indifferenti, compresi i supporti informativi necessari
all’acquisizione di dati periodici relativi al valore di mercato delle
singole posizioni e volatilità dei prezzi; tuttavia i vantaggi che ne
derivano saranno ovviamente maggiori, soprattutto in termini
monetari, in quanto tale aspetto del rischio di credito, insieme ad altri
quali rischio di regolamento, rischio paese e di concentrazione,
costituisce ancora un costo rilevante per le banche.
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IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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I DERIVATI CREDITIZI
Premessa
Negli ultimi anni le banche hanno vissuto una rapida mutazione,
dovuta soprattutto all’innovazione finanziaria che ha permesso al
management bancario di coprirsi dai rischi, nei nuovi scenari di
mercato, e di sfruttarne le opportunità grazie all’introduzione dei
derivati finanziari.
Questi strumenti, che permettono agli operatori di coprirsi dai
rischi di mercato (quali rischio di interesse, cambio e prezzi) o,
eventualmente, di effettuare speculazioni su di essi, nati negli anni ’70
e sviluppatisi soprattutto negli anni ’80 e ’90 nei mercati anglosassoni,
sono diventati i mezzi più economici e più veloci con i quali poter
prendere posizione e coprirsi da eventuali variazioni sfavorevoli dei
fattori di mercato.
Tali strumenti, tuttavia, hanno attraversato un percorso di
espiazione per essere prima accettati e poi mitizzati15.
15
Monti E., Credit derivatives: anatomia di un successo, 1999,Bancaria n.3, p.56.
50
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Lo stesso possiamo dire per i derivati creditizi, noti col termine
anglosassone credit derivatives16, che hanno raggiunto un volume
iniziale di 70 miliardi di dollari e che presentano un potenziale di
crescita
enorme17.
Secondo
la
stima
della
British
Banckers’Association, il solo mercato di Londra entro il 2000
potrebbe raggiungere 1.200 miliardi di dollari18.
In generale, i derivati creditizi rappresentano una famiglia di
contratti che consentono di isolare e negoziare il rischio di credito
relativo a una determinata attività finanziaria, senza che l’attività
stessa venga trasferita, come avviene con il factoring e la stessa
securitization, e senza ricorrere ad un contratto di garanzia personale o
reale.
I derivati creditizi sono destinati a diventare gli strumenti più
importanti per la gestione del rischio creditizio e, al pari dei derivati
finanziari per i rischi di mercato, sono operazioni caratterizzate da un
elevato grado di personalizzazione e operatività sui mercati over-thecounter. Il rischio di credito, inteso come il rischio che un debitore
non sia in grado, in tutto o in parte, di ripagare il proprio debito, e’ il
16
Hattori P.K., The Chase guide to credit derivatives in Europe, Chase Manhattan
International Ltd, 1996, Londra.
17
British Banckers’ Association, BBA Credit derivatives report, novembre 1996, Londra, p.7.
51
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rischio più antico e più pesante a cui è esposta una banca. Esso è
presente nelle tradizionali operazioni di prestito, nel peggioramento
del merito creditizio degli emittenti dei titoli detenuti in portafoglio e
anche negli stessi contratti derivati.
Infine possiamo affermare che se anche le crisi dei mercati in
Russia e in Indonesia, nella seconda metà del ’98, hanno raffreddato
l’entusiasmo di tali strumenti, il superamento di determinati ostacoli,
legati a problemi tecnici e giuridici delle operazioni stesse, potrebbe
consentire ai credit derivatives di ricoprire un significativo ruolo di
nicchia all’interno dei mercati finanziari19.
18
19
British Banckers’ Association, BBA Credit derivatives report,1996. cit.
Drago D., 1998, Gli strumenti per la gestione del rischio di credito: i credit derivatives,
in AA.VV., La misurazione e la gestione del rischio di credito (a cura di Sironi A.,
Marsella M. ), Bancaria, Roma, p. 349.
52
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3.1 La struttura del mercato e i limiti allo sviluppo
dello stesso
La valutazione del grado di diffusione e dei volumi scambiati dei
derivati creditizi non è molto semplice, poiché non è semplice la
stessa classificazione dei credit derivatives, ossia se una particolare
fattispecie rientra nei medesimi.
Non è altresì facile valutare un
mercato non ancora globalmente regolamentato, ossia un mercato
over-the-counter: che risulta pertanto un mercato poco trasparente.
L’unica cosa certa è che il mercato tende a crescere in modo
esponenziale, così risulta da una stima della British Banckers
Association in un rapporto del 199620; infatti lo stesso mercato, che
fino a qualche anno fa risultava poco liquido, e causa di uno
scoraggiamento degli operatori, oggi risulta più attivo e liquido. La
spinta iniziale è venuta da grosse banche d’affari come Bankers Trust,
Chase Manhattan e JP Morgan, ma la recente liquidità è da attribuirsi
ad un consistente ingresso di altre banche, resesi conto delle
opportunità che tali prodotti offrono21.
20
British Banckers’ Association, BBA Credit derivatives report,1996. cit.
Zullo F., 1999, I derivati creditizi: aspetti tecnici, in AA.VV., (a cura di Szego G.,
Varetto F. ), Il rischio creditizio, UTET, Torino, p.496.
21
53
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Oggi negli Stati Uniti vi sono molte istituzioni finanziarie che
operano in qualità di market makers, e quindi rendono lo stesso
mercato liquido e appetibile; infatti i tagli delle operazioni vanno da
10 milioni di dollari a 1 miliardo di dollari.
Tuttavia tale mercato potrà raggiungere la “sua” vera
globalizzazione solo nel momento in cui gli stessi contratti saranno
standardizzati e potranno essere prezzati gli stessi premi che il
protection buyer (compratore di protezione) paga al protection seller
(venditore di protezione).
Nonostante ciò vi sono dei limiti allo sviluppo del mercato dei
credit derivatives, dovuti a22:
1.
puntuale definizione del credit event e del trigger event;
2.
regolamentazione, nel senso che la normativa in tema di
adeguatezza patrimoniale per il rischio di credito non riconosce ancora
i benefici effetti di hedging sul portafoglio crediti forniti dai derivati
creditizi.
3.
difficile valutazione del pricing del premio da pagare o incassare
quando si acquista o si vende protezione.
22
Monti E., Credit derivatives: anatomia di un successo, cit., p.67.
54
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4.
cultura, in quanto il rischio di credito non sembra aver
guadagnato quell’attenzione prioritaria, essendo gestito con tecniche
tradizionali di valorizzazione della qualità degli impieghi e attraverso
l’applicazione di metodologie che non si evolvono alla stessa velocità
di cambiamento del mercato23.
Tuttavia tali limiti non hanno ostacolato, più di tanto, lo sviluppo
di quelli che, ad oggi, rappresentano efficienti strumenti di gestione e
controllo del più antico e problematico rischio che le banche
affrontano dalla loro nascita, il rischio di credito.
23
Scardovi C., Pellizzon L., Iannaccone M., 1998, Pianificare il credito e gestirne il
rischio con i credit derivatives, in Banche e Banchieri n.1, p.103.
55
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3.2 Definizione ed elementi contrattuali comuni alle
varie tipologie
Come abbiamo già detto sopra, i credit derivatives sono contratti
che hanno ad oggetto il trasferimento del rischio di credito senza il
trasferimento del credito sottostante. La parte che assume il rischio è
nominata protection seller, mentre l’altra parte è nominata protection
buyer.
Prima di passare alla definizione e classificazione delle varie
fattispecie, è necessario definire una serie di elementi comuni alle
varie tipologie; in ciò è necessario fare riferimento alle prescrizioni
dell’ISDA (International swap and derivatives association) che è
un’associazione, con sede a New York, che riunisce i principali
operatori del mercato dei derivati over the counter.
Protection buyer: è il soggetto che stipula il credit derivative, al fine
di eliminare o ridurre la sua esposizione al rischio di credito
dell’emittente l’attività sottostante.
Protection seller: è il soggetto che si espone al rischio di credito del
soggetto di riferimento (reference entity) vendendo protezione.
Titolo sottostante: costituisce l’attività finanziaria dal cui rischio di
56
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credito ci si vuole proteggere. Tale attività sottostante può essere un
credito commerciale, un prestito bancario, obbligazioni di imprese o
enti pubblici, titoli di Stati Sovrani, debiti delle economie emergenti o
anche lo stesso rischio di controparte generato da altri derivati.
Titolo di riferimento: costituisce l’attività finanziaria a cui il derivato
creditizio si riferisce, per determinare l’an e il quantum del
pagamento, qualora l’attività sottostante, dal cui rischio di credito ci si
vuole proteggere, non si è quotata sul mercato; in questo caso
l’oggetto del credit derivative non è più l’attività sottostante ma un
titolo similare, facilmente quantificabile.
Soggetto di riferimento (reference entity): il soggetto emittente il
titolo di riferimento. Se il titolo di riferimento, come suesposto,
differisce dal titolo sottostante, allora può accadere che il soggetto di
riferimento differisca dal soggetto emittente il titolo sottostante.
Credit event: l’evento al cui verificarsi è condizionato il sorgere
dell’obbligazione di pagamento previsto nel contratto; è rilevante solo
in alcuni credit derivatives, come credit default swap, tror swap e certi
tipi di credit linked note.
Recovery value: è il valore che il titolo di riferimento ha dopo il
verificarsi del credit event.
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Credit event payment: costituisce l’ammontare dovuto dopo il
verificarsi del credit event, le cui modalità di calcolo sono definite nel
contratto.
La descrizione di qualunque contratto derivato comporta
l’indicazione dell’attività sottostante che, come detto sopra, può essere
qualsiasi attività finanziaria, e nel caso dei credit derivatives essa altro
non è che un <<nome>>, ossia un soggetto, impresa o anche Stato
Sovrano nei confronti del quale esiste un’esposizione creditizia24. Tale
soggetto è denominato reference entity, che solitamente è tradotto in
soggetto di riferimento o nominativo di riferimento.Esso normalmente
non è parte del contratto derivato creditizio, anzi la maggior parte
delle volte è all’oscuro dell’avvenuta transazione. A differenza dei
financial derivatives, il payoff del derivato creditizio non dipende dal
movimento dei prezzi del sottostante ma dal verificarsi di un credit
event della reference entity, ossia un evento che esprime la potenziale
o attuale insolvenza del soggetto di riferimento, o anche il
peggioramento del suo merito creditizio. L’ISDA ha individuato otto
ipotesi di credit event, cioè:
24
Drago D., 1998, Gli strumenti per la gestione del rischio di credito, cit. p.351.
58
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Banckruptcy, cioè l’assoggettamento del soggetto di riferimento
a una qualsiasi forma di procedura concorsuale o la cessazione della
sua attività.
Credit event upon merger, fa riferimento a eventi come fusioni e
incorporazioni, che comportino un peggioramento sostanziale del
rischio di credito relativo al nuovo soggetto nascente dalla fusione o
incorporazione.
Cross acceleration: ogni inadempimento contrattuale, diverso dal
mancato pagamento di denaro, che abbia portato la perdita del
beneficio del termine in relazione a obbligazioni di pagamento a
chiunque e sempre che tali obbligazioni risultino inadempiute dopo la
decadenza del beneficio del termine.
Cross default: ogni inadempimento contrattuale, diverso dal mancato
pagamento di denaro, che comporti la possibilità della perdita del
beneficio del termine in relazione a obbligazioni di pagamento a
chiunque dovute.
Downgrade: perdita del rating o sua diminuzione al di sotto di un
livello predeterminato.
Failure to pay: mancato pagamento di un’obbligazione, di norma al di
sopra di un certo ammontare ritenuto significativo dalle parti.
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Repudiation: disconoscimento o contestazione della validità di
obbligazioni di pagamento.
Restructuring: cioè eventi come moratoria, posticipazione, proroga,
rinegoziazione di obbligazioni di pagamento aventi l'effetto di
peggiorare il rischio di credito o il rendimento del detentore delle
obbligazioni stesse.
Le parti, quindi, possono scegliere una di queste ipotesi come
credit event, al verificarsi del quale sorge un obbligazione di
pagamento in capo al protection seller, il quale assume il rischio di
credito in favore del protection buyer contro pagamento di una
commissione all’inizio del contratto o “spalmata” durante la vita dello
stesso25. Non è nemmeno necessario che il protection buyer abbia
un’esposizione creditizia nei confronti della reference entity, il
compratore, infatti, potrebbe volere effettuare speculazioni al
verificarsi del credit event.
I flussi di cassa generati dal credit derivative dipendono dalla
variazione di prezzo del titolo di riferimento indicato nel contratto, e il
compito di effettuare tali valutazioni è effettuato dal calculation agent,
25
Monti E., Credit derivatives: anatomia di un successo, cit., p.57.
60
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indicato nel contratto, che può essere esterno ad esso o può coincidere
con una delle parti.
In realtà il credit event è riferito all’attività sottostante e quindi,
come è naturale per ogni contratto derivato, i flussi di cassa generati
dal credit derivative dipendono dalla variazione di prezzo del titolo
sottostante; tuttavia qualora la valutazione del titolo sottostante non
possa essere effettuata perché, per esempio, lo stesso non è un titolo,
come può essere un prestito, o non è un titolo quotato sul mercato,
oggetto del credit derivative è il titolo di riferimento, che è similare
all’attività sottostante, e quindi il soggetto di riferimento differisce
dall’emittente l’attività sottostante.
I credit derivatives si suddividono in due gruppi:
credit-default products
replication products
La prima categoria di strumenti consente il trasferimento del solo
rischio di credito al verificarsi di un credit event che colpisca un
determinato soggetto indicato nel contratto. I credit-default products
originano un payoff soltanto in conseguenza di un credit event. Lo
strumento più diffuso è il credit default swap.
61
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I replication product consentono di creare sinteticamente una o
più attività sensibili al rischio di credito con vantaggi in termini di
efficienza e di abbattimento dei costi. Il payoff dei replication product
dipende dai flussi di cassa e dall’andamento del prezzo del titolo di
riferimento e quindi non si verifica solo in caso di credit event. Lo
strumento più diffuso è costituito dal total return swap26.
26
Drago D., 1998, Gli strumenti per la gestione del rischio di credito, cit. p.354.
62
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3.3 I rischi nei derivati creditizi
I derivati creditizi, come tutti i derivati, presentano determinati
profili di rischio, quali:
rischio operativo: esso consiste nella possibilità che un operatore
assuma, di sua iniziativa, posizioni speculative non autorizzate con
effetti dirompenti; da ciò si capisce l’importanza della costituzione di
un rigoroso sistema di controlli interni che non dia eccessiva
discrezionalità e potere a singoli soggetti27;
rischio di controparte: il rischio di controparte, paradossalmente, è
presente anche nei credit derivatives che, appunto, coprono il rischio
di credito presente nelle varie posizioni creditorie, e ciò in quanto una
delle parti del contratto derivato potrebbe non adempiere la sua
obbligazione, se in posizione debitoria. Tuttavia questa è una
eventualità remota perché dovrebbe essere insolvente anche
l’intermediario che ha curato il buon fine della transazione;
rischio di liquidità: è presente in coloro che emettono contratti
derivati, o assumono posizioni speculative, e non vi è l’esistenza di un
27
Zullo F., 1999, I derivati creditizi: aspetti tecnici, cit, p. 498.
63
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mercato secondario liquido che permetta lo smobilizzo di posizioni
diventate
eccessivamente
onerose
oppure
soddisfacenti
per
monetizzare i guadagni;
rischio legale: si ha nel momento in cui non vi è regolamentazione di
un prodotto, così un eventuale azione giudiziale promossa da una
controparte può comportare la nullità del contratto28.
È necessaria, quindi, una disciplina di tali prodotti che possa
risolvere il primo e il quarto rischio, affinchè il mercato dei derivati
creditizi possa svilupparsi globalmente, cossicchè anche lo stesso
rischio di liquidità venga meno.
28
Zullo F., 1999, I derivati creditizi: aspetti tecnici, cit, p. 499.
64
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3.4 Tipologie varie
Tenteremo di classificare le varie tipologie di derivati creditizi
fra i più comuni e più utilizzati tra i vari operatori nelle varie
negoziazioni.
3.4.1 Credit defaul swap
Il credit default swap semplice è un contratto in base al quale il
promittente, verso il pagamento di un premio, si impegna ad eseguire
un pagamento predeterminato in favore di un promissario al
verificarsi di un evento futuro e incerto, che esprime il deterioramento
del profilo creditizio di un terzo29.
Quindi da tale definizione si rileva che, nel credit swap default, il
promissario (protection buyer) paga un premio periodico espresso in
punti base rispetto al nozionale e funzione della probabilità del
verificarsi dell’evento, e riceve dal promittente (protection seller), che
acquista un’esposizione creditizia (rischio di riferimento) nei confronti
29
Nassetti C. F., 1998, I contratti derivati di credito, Giuffrè, Milano, p.19.
65
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della reference entity, un pagamento condizionato al verificarsi di un
evento creditizio (credit event) riguardante la reference entity.
Tale evento creditizio può consistere, non solo in un mancato
pagamento del soggetto di riferimento o di una dichiarazione
giudiziale di insolvenza, oppure dell’instaurarsi di una procedura
concorsuale, ma anche nella variazione del suo rating creditizio;
inoltre il protection buyer riceve copertura solo dal rischio di credito
ma non dal rischio di prezzo.
L’importo nozionale è il valore di riferimento dello swap che
consente la determinazione dell’ammontare dovuto dal protection
seller al verificarsi del credit event.
Generalmente il credit event si considera avvenuto soltanto
quando esistono informazioni pubbliche diffuse da quotidiani a larga
diffusione o reti di informazioni elettroniche, quali Reuters o
Bloomberg30. Tuttavia ciò non basta a rendere dovuto il credit event
payment, ma è necessaria la cosiddetta materialità (materiality), cioè il
credit event deve produrre una perdita di valore del titolo di
riferimento; tale perdita di valore, necessariamente per ridurre
elementi di discrezionalità, non deve essere inferiore ad una certa
66
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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percentuale
del titolo stesso, altrimenti non scatta l’obbligo del
protection seller.
Se l’evento si verifica si ha il regolamento del contratto, che può
essere effettuato in due modi: pecuniario e fisico.
Secondo il metodo di regolamento pecuniario il credit payment
default può essere calcolato con due diversi procedimenti, cioè in base
al valore che ha perso il titolo di riferimento (credi default swap
floating), oppure in base ad una percentuale stabilita del valore del
nozionale (credit default swap fixed).
Secondo il primo procedimento (floating), una volta determinato
il valore che il titolo di riferimento ha dopo il credit event (recovery
value), l’ammontare che il protection seller deve corrispondere al
protection buyer (credit event payment) è pari, per i titoli quotati, al
prodotto del valore del nozionale del contratto per la diminuzione
percentuale subita dal titolo di riferimento:
CEP= N*(Vi-Rv)/100
CEP= Credit event payment;
N
= Valore nozionale del contratto (titoli quotati hanno valore
nominale pari a 100);
30
Monti E., Credit derivatives: anatomia di un successo, cit., p.57.
67
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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Vi = valore iniziale del titolo di riferimento al momento della
stipulazione del contratto;
Rv = recovery value.
Per quanto riguarda i titoli non quotati:
CEP=Pi-Rv
Pi = valore iniziale del credito di riferimento
Rv= recovery value del credito di riferimento
Secondo il procedimento fixed, che è attuato qualora non è
possibile stimare la perdita, perché trattasi di titoli non quotati o di
prestiti bancari, il credit payment event è calcolato a priori ed è una
percentuale del valore del nozionale, pari, cioè, alla differenza tra il
valore iniziale del titolo di riferimento e il recovery value atteso. Il
metodo di regolamento fisico consiste nella consegna fisica, da parte
del protection buyer, del titolo di riferimento al protection seller,
contro un ammontare pari al valore nominale del credito. È irrilevante
che le parti abbiano rapporti creditizi con la reference entity, ben
potendo il contratto costituire uno strumento di speculazione e non di
copertura.
68
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3.4.2 Credit default option
La credit default option può essere definita come un contratto in
forza del quale le parti rendono irrevocabile la proposta del contraente
vincolato (protection seller), lasciando all’altra parte (protection
buyer), che è obbligata a pagare il premio, il diritto di concludere il
contratto subordinatamente al verificarsi di un evento futuro ed
incerto, che esprime il deterioramento del profilo creditizio di un
terzo31.
Generalmente la option è put, e ciò sta a significare che nel
momento in cui si verifica il credit event, il protection buyer ha il
diritto, ma non l’obbligo, di trasferire il titolo di riferimento al
protection seller contro il ricevimento del valore nominale dello
stesso. Se il credito da trasferire non riguarda un titolo ma un
determinato credito, al verificarsi del credit event il protection seller
diviene cessionario dello stesso. Tuttavia la credit swap option può
essere anche di tipo call, facendo sì che al verificarsi del credit event il
protection buyer può esercitare tale opzione e acquistare, a suo
31
Nassetti C. F., 1998, I contratti derivati di credito,cit.,p.47.
69
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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piacimento, titoli primari, diversi dal titolo di riferimento, ad un
prezzo scontato.
3.4.3 Total rate of return of swap
Il tror swap consiste in un accordo in base al quale il protection
buyer (total return payer) si impegna ad effettuare dei pagamenti il cui
ammontare equivale a) ai pagamenti eseguiti da un terzo (rischio di
riferimento) in relazione ad uno specifico debito (titolo di
riferimento); b) alle variazioni del valore di mercato del titolo di
riferimento in aumento rispetto al valore che esso aveva alla
conclusione del contratto di swap. In cambio il protection seller (total
return receiver) si impegna ad effettuare dei pagamenti il cui
ammontare consiste: a) in una somma
periodica determinata
applicando un tasso di interesse di riferimento ad un capitale
nozionale pari all’ammontare del titolo di riferimento; b) nelle
variazioni del valore di mercato del titolo di riferimento in
diminuzione rispetto al valore che esso aveva alla conclusione
70
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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del contratto di swap32.
Gli elementi essenziali del Tror swap sono:
capitale nozionale;
frequenza dei pagamenti;
modalità di determinazione dei due distinti flussi di pagamento;
scadenza del contratto.
Generalmente la struttura finanziaria più utilizzata di tale
contratto è quella che prevede due flussi finanziari, di cui uno
indicizzato ad un tasso di riferimento (Libor o un altro tasso
interbancario) maggiorato di uno spread, e l’altro indicizzato ad
un’attività finanziaria, titolo di riferimento, solitamente un prestito
bancario o un titolo di debito.
Il soggetto che paga il rendimento del titolo di riferimento e
riceve pagamenti indicizzati ad un tasso di riferimento (Libor) è
nominato total return payer, mentre l’altro che esegue pagamenti
indicizzati al Libor e riceve, dal total return payer, il rendimento del
titolo di riferimento, è nominato total return receiver.
32
Nassetti C. F., 1998, I contratti derivati di credito, cit., p.52.
71
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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Il total return swap, che significa scambio del rendimento totale,
può essere effettuato secondo due varianti: la prima prevede, nel caso
di un titolo obbligazionario come attività di riferimento, pagamenti
periodici con un pagamento finale del rendimento totale (total return),
l’altra prevede pagamenti periodici del rendimento totale. In base alla
prima variante al termine di ogni periodo il payer e il receiver si
scambieranno i flussi di interesse, mentre alla scadenza del contratto
swap, o in caso di credit event del soggetto di riferimento, il payer
pagherà il capital gain al receiver se il titolo di riferimento si sarà
apprezzato, oppure riceverà il capital loss se il titolo di riferimento si
sarà deprezzato.
Un esempio potrà chiarirne la struttura: supponiamo che una
società ALFA abbia in portafoglio titoli obbligazionari per un valore
di 10 milardi emessi dalla società BETA, e voglia proteggersi dal
rischio di una svalutazione di tali titoli stipulando un Tror swap con la
società GAMMA; il titolo obbligazionario (titolo di riferimento) è
quotato sul mercato a 102 nominale e corrisponde interessi periodici
semestrali del 5%, il tasso di riferimento indicizzato che il receiver
GAMMA (protection seller) dovrà pagare al payer ALFA (protection
buyer) è il Libor maggiorato di uno spread pari al 1% e infine il
72
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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contratto ha la durata di 3 anni. Ora ogni semestre il payer riceve dal
receiver Lit. 10 miliardi*(Libor+1%)/2 e paga allo stesso Lit. 10
milardi*5%/2=Lit. 250.000.000; se alla fine dei 3 anni il titolo valesse
98 nominali, oltre allo scambio di pagamenti, il payer riceverà dal
receiver,
come
total
return,
((102-98)/102)*10
miliardi=Lit.392.156.000, mentre se il titolo valesse 103, per esempio,
il payer dovrà pagare al receiver ((103-102)/102)*10 milardi=Lit.
98.039.000.
La seconda variante, utilizzando lo stesso esempio, prevede che il
total return, alla fine di ogni semestre, sia pari, per il payer, alla
somma algebrica degli interessi (Lit. 250.000.000.) e della variazione
percentuale positiva (capital gain) del titolo di riferimento, mentre per
il
receiver
alla
somma
algebrica
degli
interessi
(Lit.
10
miliardi*(Libor+1%)/2) e della variazione percentuale negativa
(capital loss) del titolo di riferimento. Da tale esempio si può dedurre
che il tror swap non trasferisce solo il rischio di credito, ma anche
il rischio di mercato; infatti le variazioni di prezzo non derivano solo
dalle variazioni del rating della reference entity, ma anche dalla
variazione della struttura dei tassi di interesse (risk free) e, se il titolo è
in valuta, da variazioni del rischio di cambio.
73
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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Generalmente si prevede che il Tror abbia fine anche prima della
scadenza, qualora si verifichi un credit event; quindi l’ultimo flusso
deriva dalla valutazione del titolo di riferimento dopo il credit event.
Un’ultima considerazione riguarda i soggetti che stipulano
contratti Tror swap in qualità di receiver; questi hanno l’opportunità di
sfruttare l’effetto leverage in quanto investendo poco capitale (flussi
di capitale indicizzati al Libor) riescono a ottenere un rendimento su
un pool di assets: è il caso degli hedge funds.
3.4.4 Credit spread swap
Il credit spread swap è il contratto in forza del quale una parte si
obbliga ad effettuare il pagamento di una somma di denaro, qualora
aumenti il differenziale tra il valore di un titolo di riferimento ed un
indice che rappresenta il profilo creditizio di un terzo, e l’altra parte si
obbliga ad effettuare il pagamento di una somma di denaro qualora
detto differenziale diminuisca33.
33
Nassetti C. F., 1998, I contratti derivati di credito, cit.,p.62.
74
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La descrizione della fattispecie necessiterebbe un esempio.
Supponiamo che l’impresa ALFA
abbia in portafoglio titoli
obbligazionari dell’impresa BETA, e che tali titoli gli fruttino un
interesse annuo superiore del 2% rispetto a titoli senza rischio,
espressi nella stessa divisa, come potrebbero essere i titoli di stato. Se
ALFA vuole assicurarsi un’adeguata remunerazione nel tempo,
in modo che la stessa variazione del profilo creditizio di BETA gli
assicuri lo stesso rendimento, può concludere un contratto di credit
spread swap con GAMMA in base al quale quest’ultimo si obbliga a
pagare a ALFA la differenza positiva tra il margine iniziale esistente
tra i titoli emessi da BETA e i titoli di stato (in questo caso il 2%) e lo
stesso margine esistente in una data successiva; ALFA nello stesso
tempo si obbliga a pagare a GAMMA la stessa differenza se negativa.
Se alla data prefissata nel contratto il rating di BETA fosse
peggiorato, e quindi lo spread richiesto fosse del 2,5%, GAMMA
dovrebbe pagare ad ALFA il margine dello 0,5% calcolato sui titoli
BETA, per ricompensargli della perdita di valore dei titoli; e
viceversa, nel caso in cui la differenza fosse positiva a causa di un
miglioramento del profilo creditizio di BETA. In tale credit derivative
il pagamento dovrebbe essere calcolato utilizzando il concetto di
75
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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duration dello spread, ossia la variazione del titolo di riferimento al
variare di un punto % dello spread. Nell’esempio sopra citato,
supponiamo che la duration sia 4, il controvalore dei titoli BETA
50.000.000 di sterline e la variazione 0.5%, come nell’esempio, il
pagamento di GAMMA in favore di ALFA sarà:
50.000.000 sterline * 4* 0,5%= 1.000.000 sterline
Da tale esempio si intuisce che ciò che le parti si scambiano è il
margine creditizio tra il rendimento di un’attività finanziaria rischiosa
e un’altra che non lo è, come potrebbe essere il caso dei titoli di Stato.
Tuttavia il credit spread swap potrebbe essere utilizzato, come è
il caso di un’impresa che si finanzia sul mercato, per evitare che il
deterioramento della propria struttura finanziaria comporti un
incremento dei costi di finanziamento; il modo di coprirsi da tale
rischio fa sì che tale credit derivative differisce dall’IRS in quanto
è indipendente dai tassi di mercato. Un esempio potrà chiarire ciò
detto. Supponiamo che l’impresa ALFA abbia bisogno di finanziarsi
per un periodo di quattro anni chiedendo finanziamenti alla banca X, e
immaginiamo che in base al suo profilo creditizio la banca gli potrà
concedere un prestito ad un tasso pari ad un BTP a 5 anni più uno
76
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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spread del’1% rivedibile ogni anno. ALFA, accettando, se vuole
coprirsi dal rischio che un deterioramento del suo rating comporti una
revisione delle condizioni contrattuali, e quindi la richiesta di uno
spread maggiore, può stipulare un credit spread swap con un terzo, per
un periodo di quattro anni o comunque per il tempo in cui vuole
tutelarsi, in cui paga l’1% e riceve, annualmente, la differenza tra il
rendimento di un’attività con rischio analogo e quello di un BTP. Se
lo spread a fine anno è aumentato, supponiamo sia il 2%, potrà coprire
tale aumento del costo di finanziamento, pari all’1%, con il guadagno
derivante dallo swap, pari all’1%; nel caso contrario il guadagno, cioè
il minor costo di finanziamento, sarà compensato dalla perdita sullo
swap.
Come si evince, anche tale fattispecie, come il Tror swap, non
è legata direttamente ad un credit event.
3.4.5 Credit spread option
La credit spread option è il contratto in forza del quale una parte
acquista il diritto, ma non l’obbligo, di concludere un credit spread
77
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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swap a condizioni predeterminate, la cui perfezione dipende
esclusivamente dalla sua scelta, senza necessità di ulteriore intervento
da parte del venditore dell’opzione34.
Questo contratto non necessariamente è legato ad un credit event
che può condizionare le relative obbligazioni, come succede nel credit
default option e nel credit default swap. Generalmente un’opzione può
essere call oppure put, e questo è anche il caso della credit spread
option. Nel caso dell’ultimo esempio del paragrafo precedente,
l’impresa ALFA avrebbe potuto acquistare una call sullo spread, con
uno strike dell’1%, esercitandola nel momento in cui lo spread tra
titolo di riferimento e il BTP fosse aumentato, oppure non
esercitandola nel caso contrario, beneficiando, quindi, di una
riduzione, al netto del premio pagato per l’opzione, del costo del
finanziamento.
Nel caso di un’opzione put il compratore può anche speculare
sulle aspettative degli spread, esercitando l’opzione nel caso in cui lo
spread diminuisse.
34
Nassetti C. F., 1998, I contratti derivati di credito, cit., p.73.
78
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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3.4.6 Credit linked note
La credit linked note risulta assimilabile ad un titolo
obbligazionario, la cui particolarità sta nel fatto che il pagamento del
capitale a scadenza e degli interessi è condizionato dal pagamento del
capitale e degli interessi di un titolo di riferimento emesso da un terzo
(rischio di riferimento)35.
Le credit linked note sono assimilabili ai cosiddetti titoli strutturati,
che sono titoli derivanti dalla combinazione di un’obbligazione con
uno strumento derivato. Gli strumenti derivati generalmente utilizzati
sono il credit defaul swap ed il Tror swap. L’emittente della “note” è
un intermediario ad altissimo rating, oppure Special Purpose Vehicle
(SPV), che è una società
creata ad hoc. La peculiarità di tale
operazione consiste nel fatto che una SPV emette delle obbligazioni
(notes), solitamente a breve termine, acquistate dagli investitori, e
utilizza i proventi acquisiti dall’emissione per l’investimento in titoli
ad elevatissimo rating (condizione importantissima
parleremo in seguito)
di cui
ne
come lo sono i titoli di Stato, a garanzia
dell’emissione stessa. Nello stesso istante lo SPV stipula un credit
35
Nassetti C. F., 1998, I contratti derivati di credito, cit., p.77.
79
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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default swap con un terzo che possiede crediti in portafoglio e vuole
tutelarsi dal rischio di credito, nel senso che teme un degrado del
profilo creditizio dei suoi debitori. In tale modo il terzo (che è un
protection buyer) paga un premio allo SPV che è un protection seller
in nome proprio ma per conto degli investitori.
Gli investitori ricevono, come compenso del loro investimento,
gli interessi derivanti dall’investimento effettuato dallo SPV in titoli
ad elevatissimo rating (titoli di Stato), più il premio che il terzo
(protection buyer) versa allo SPV.
Con questa struttura l’investitore avendo incorporato il rischio di
credito (rischio di riferimento) del titolo di riferimento (i crediti del
terzo) riceve un rendimento molto alto rispetto alla somma investita.
Quindi dal punto di vista dell’investitore l’acquisto di una note
equivale alla sottoscrizione di un’obbligazione ordinaria e, nello
stesso istante, alla stipulazione di una credit default swap in qualità di
protection seller. Se si verifica il credit event, ad esempio il terzo
fallisce, la note si estingue anticipatamente e gli investitori, ciascuno,
ricevono una somma pari alla differenza tra il valore nominale della
note e il pagamento dovuto dallo SPV, in qualità di protection seller,
80
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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al terzo. Un esempio è necessario per agevolare la comprensione della
fattispecie.
Supponiamo che la banca ALFA abbia in portafoglio prestiti
obbligazionari emessi dalla società X del valore di 1mld di yen aventi
rating BBC, e voglia tutelarsi da un eventuale deterioramento del
profilo creditizio degli stessi creando ad hoc uno SPV la quale emette
credit defaul notes a due anni del valore di 200 mln di yen, che
vengono acquistati dalla società BETA (investitore). Nello stesso
tempo SPV investe questi 200mln di yen in titoli di Stato, a garanzia
dell’investitore, con rendimento pari al 2% annuo e versato
direttamente a BETA. Supponiamo che il contratto abbia come credit
event il fallimento del soggetto di riferimento (società X) e come CEP
(credit event payment) la differenza tra il valore iniziale delle
obbligazioni, 1mld di yen, e il recovery value. SPV riceve come
premio da ALFA, e trasferisce a BETA, 1,5% annuale di premio, in
modo che BETA faccia un investimento con una leva finanziaria
(leverage) pari a 5 (1mld/200mln) e un rendimento pari a 9,5%
(15.000.000 di premi pagati da ALFA più 4.000.000 di rendimento dei
titoli di Stato, il tutto diviso 200.000.000).
81
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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In realtà non è casuale che SPV abbia emesso 200.000.000 milioni di
notes e non un miliardo, in quanto è stato supposto, quindi a nostro
piacimento, che per i titoli della società X avente rating BBC c’è solo
una piccola percentuale, ad esempio del 3%, che il valore della perdita
sia superiore a 200.000.000 di yen, cioè il 20%. Se per esempio il
valore della perdita fosse superiore al 20%, SPV non sarebbe in grado
di onorare in pieno, in qualità di protection seller, le obbligazioni
derivanti dal credit defaul notes, e quindi fallirebbe (Figura 1).
Fig. 1 Esempio di Credit Default Note.
Da tale struttura si può notare che quando la “note” prevede una
leva, la copertura non sia totale. Il meccanismo di emissione di un
total return credit linked note è uguale al credit default note.
82
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3.4.7 Altre tipologie di derivati creditizi
Con l’innovazione sempre più crescente le varie tipologie di
derivati creditizi stanno aumentando col passare degli anni;
elenchiamo sotto alcuni dei più recenti36:
Basket linked credit default swap: trattasi di una variazione
rispetto al credit default swap in quanto offrono una protezione
maggiore, verso un paniere di titoli di emittenti diversi, ad un prezzo
basso, visto che il protection buyer riceve il pagamento (credit event
payment) non appena almeno uno di tali emittenti divenga insolvente.
One or zero notes: tali titoli sono venduti ad un forte sconto
rispetto al valore nominale e si differenziano dalle basket linked per il
payoff binario (se per un titolo di riferimento si verifica, prima della
scadenza, il credit event previsto nel contratto il protection buyer
perde il suo capitale, altrimenti il rimborso avviene alla pari).
Leveraged notes: tali sono titoli caratterizzati dal fatto di essere
molto sensitivi alla variazione del prezzo del titolo di riferimento.
36
Zullo F., 1999, I derivati creditizi: aspetti tecnici,cit.,p. 511.
83
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Substitution options: sono opzioni che conferiscono al protection
buyer il diritto di scambiare un titolo con un altro specificato nel
contratto al verificarsi di un evento creditizio.
Fixed rate bond options: sono opzioni che hanno come
sottostante il prezzo di un titolo a reddito fisso, elemento questo che
rende la loro natura ibrida, in quanto assommano in sé le
caratteristiche proprie di derivato creditizio e di uno sui tassi
d’interesse consentendo così di coprirsi da entrambi i rischi.
Dynamic credit swap: si tratta di un credit swap in cui il
nozionale non è fisso; il compratore della protezione si garantisce nel
caso si verifichi
un determinato evento creditizio un pagamento
basato sul valore di mercato in quel momento di uno specifico
strumento finanziario. Tale caratteristica è molto utile in caso ci si
voglia proteggere contro il rischio di credito derivante da un
contratto derivato, come ad esempio uno swap a lungo termine in cui
l’esposizione dei contraenti è molto volatile durante la vita del
contratto.
Downgrade options: sono in tutto simili alle credit defaul option,
con l’unica differenza che in questo caso l’evento creditizio è definito
come il declassamento del rating di una particolare attività sottostante.
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Currency inconvertibility agreements: è un tipo particolare di
credit default swap che serve a coprirsi contro il rischio paese cui sono
soggetti gli investimenti esteri. La peculiarità consiste nel fatto che
l’evento creditizio che fa scattare il pagamento pattuito da parte del
venditore è costituito dalla dichiarazione di inconvertibilità della
propria valuta da parte del paese specificato nel contratto.
85
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3.5 Credit derivatives: considerazioni generali sulla
gestione efficiente di un portafoglio prestiti.
L’analisi dei modelli di credit risk management (Cap.5)
metterebbe in risalto l’importanza di una gestione efficiente del
portafoglio prestiti.
Per gestione efficiente s’intende la ricerca di un rendimento
massimo a parità di rischio di credito (volatilità del tasso di perdita
attesa). Uno dei metodi più utilizzati per ottenere questo obiettivo è la
diversificazione.
Infatti
solo
una
efficiente
diversificazione
consentirebbe di ridurre il rischio di portafoglio, in modo tale che il
rischio complessivo risulti inferiore alla somma dei rischi relativi a
ciascun prestito (la diversificazione tende a eliminare il rischio
specifico ma non quello sistematico).
La diversificazione nella realtà, soprattutto per un portafoglio
prestiti, non è facilmente raggiungibile perché non è semplice
diversificare un portafoglio. Scopo del management di una banca è
quello di creare una frontiera efficiente, cioè una curva nella quale
siano presenti tutti i portafogli a varianza minima, quindi caratterizzati
dalla massimizzazione del rendimento atteso, dato un certo livello di
86
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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varianza. La frontiera efficiente serve come benchmark per la
valutazione dell’efficienza degli investimenti effettuati.
Infatti in un determinato portafoglio sono presenti sia attività che
presentano un rendimento atteso più che proporzionale rispetto al
rischio apportato (risk contribution), sia attività (mispriced) che
apportano un rischio maggiore rispetto al rendimento atteso.
Rispetto a queste ultime, dovrebbero essere utilizzati i credit
derivatives, cercando di colmare le inefficienze (mispriced) dovute
spesso a fenomeni di eccesso di concentrazione. In particolare
diminuendo il peso, attraverso il trasferimento del rischio, per quegli
investimenti caratterizzati da un risk contribution maggiore rispetto al
rendimento e, contestualmente, aumentando il peso relativo agli
investimenti con rendimento atteso maggiore del risk contribution.
Questo meccanismo è attuabile in questo modo. Una banca vende
protezione su Reference Entities relativi a Paesi e/o settori in cui esiste
una minore esposizione a livello di portafoglio, aumentando in questo
modo il livello di esposizione verso questi Paesi e/o settori, e, nello
stesso momento, acquista protezione su Paesi e/o settori dove esiste
un maggiore livello di concentrazione.
87
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Naturalmente queste decisioni sono prese tenendo conto del
livello di correlazione tra il contribution risk derivante dal nuovo
investimento effettuato con i credit derivatives e il rischio sistematico
del portafoglio detenuto. Ovviamente, per aumentare il livello di
diversificazione del portafoglio prestiti, sarà necessario che la banca
investa in settori e/o Paesi caratterizzati da un livello di correlazione
basso rispetto ai prestiti già esistenti nel suo portafoglio.
L’effetto di tutto ciò è quello di un ribilanciamento delle
posizioni a cui consegue un aumento del rendimento atteso a livello di
portafoglio ed un mantenimento entro livelli costanti del rischio
complessivo.
Da ciò si desume che ad un utilizzo efficiente dei credit
derivatives deve seguire una valutazione del rendimento atteso e del
risk contribution di ciascuna posizione creditizia.
In sintesi, una gestione ottimale di un portafoglio prestiti
comporta varie fasi, tra cui37:
costruzione di una frontiera efficiente, tramite la fissazione di un
rapporto rendimento-rischio in base al grado di avversione del rischio;
37
Fabbri A., 2000, Gestione del rischio di credito e capitale economico, in Nassetti C. F., Fabbri
A., Trattato sui contratti derivati di credito, Egea, Milano, 397-398.
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rilevazione del livello di rischio e rendimento atteso per ogni
singola esposizione, con lo scopo di rilevare fenomeni di mispricing
all’interno del portafoglio;
ribilanciamento delle posizioni, da realizzare con operazioni di swap
su esposizioni con basso livello del rapporto rendimento-rischio con
altre che presentano un livello più elevato di tale rapporto.
L’importanza dell’utilizzo dei credit derivatives nasce, quindi,
proprio dalla necessità di diversificare il portafoglio prestiti e
stabilizzare la volatilità del suo tasso di perdita atteso.
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3.6 La gestione del rischio di credito e le tecniche di
utilizzo dei credit derivatives
Molte aziende di credito presentano il problema di dover gestire
portafogli creditizi che presentano un elevata concentrazione nei
confronti di un settore, di un’area geografica o, caso un po’ delicato,
nei confronti di un solo cliente. In queste situazioni la banca potrebbe
limitare la sua sovraesposizione creditizia, ad esempio nei confronti di
un singolo cliente importante per la banca, entrando in un credit
derivative specifico e pagare un premio al protection seller in modo
tale da trasferire il rischio di credito e assicurarsi, comunque, il
rendimento del singolo prestito o comunque, nel caso specifico, la
fedeltà e i buoni rapporti col cliente, senza dover rifiutare il prestito.
Questo può essere uno degli esempi, o dei campi, in cui possono
essere utilizzati i derivati creditizi, cioè limitare l’esposizione
creditizia nei confronti di un settore, area geografica o determinati
clienti.
Un'altra tecnica di utilizzo dei credit derivatives consiste
nell’utilizzare gli stessi per diversificare un portafoglio crediti o di
investimenti facendo in modo che una banca, per esempio, acquisisca
90
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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esposizioni nei confronti di emittenti o settori di mercato poco
rappresentativi nel proprio portafoglio, vendendo un credit default
swap, cioè acquisendo un’esposizione creditizia, senza la necessità di
finanziarsi come nel caso di un semplice prestito, in qualità di
protection seller e quindi incassando premi come remunerazione di
tale investimento. Ci sono molti modi di utilizzo dei derivati creditizi
per diversificare il proprio portafoglio, data la flessibilità degli stessi,
come possono testimoniarlo i seguenti esempi:
•
Un soggetto che voglia assumere un’esposizione creditizia verso
un determinato paniere di soggetti, che gli consenta di guadagnare un
rendimento maggiore rispetto ad una esposizione nei confronti di un
singolo emittente, ma ad un rischio non molto alto, potrebbe investire
in un basket linked credit default swap in cui le perdite sono riferite
soltanto al fallimento di uno solo degli emittenti che fanno parte del
paniere di riferimento (il primo che fallisce).
•
Se una banca vuole modificare un’esposizione creditizia verso un
soggetto (supponiamo che la banca abbia in portafoglio prestiti
obbligazionari) nei confronti del quale è parzialmente garantita (e
quindi vuole modificare il tasso di recupero per tale esposizione), e
91
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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immaginiamo che secondo la banca non sia possibile che l’emittente
fallisca nei primi due anni, essa può vendere protezione contro il
fallimento dello stesso soggetto, stipulando un credit default swap che
abbia come attività di riferimento un’emissione subordinata dello
stesso soggetto. In tale modo la banca aumenterebbe il suo rendimento
senza l’onere di acquistare l’attività sottostante, nella convinzione che
il soggetto non fallirebbe entro la data prevista.
• Un altro modo di utilizzare i derivati creditizi è quello di riuscire a
ottimizzare le linee di credito che la banca concede senza ottenere
rendimenti adeguati al costo e al rischio del capitale stesso. Ad
esempio se una banca è costretta a inseguire investimenti rischiosi a
causa del suo basso rating, e quindi a causa di un elevato costo di
accesso ai finanziamenti, per poter inseguire anche una clientela ad
elevato rating, senza per questo ridurre a “niente” il suo margine di
guadagno, potrebbe vendere un credit defaul swap su crediti di
emittenti ad elevato rating. In tale modo l’esposizione non è finanziata
e quindi il margine creditizio non è ridotto a niente, poichè la banca
guadagna premi senza doversi finanziare sul mercato a costi elevati a
causa del suo rating.
92
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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• Infine i derivati creditizi possono essere utilizzati per opportunità
di arbitraggi derivanti dall’attuale regolamentazione in materia di
coefficienti patrimoniali richiesti nella misura dell’8% ponderata in
base alla rischiosità della controparte. Un esempio risulta utile;
supponiamo che due banche, ALFA e BETA, abbiano rating differenti
e che quindi possano accedere ai finanziamenti a tasso differente38:
1. ALFA con rating AA si finanzia ad un tasso pari al LIBOR+1%;
2. BETA con rating BB LIBOR+3%.
Se un soggetto ha bisogno di finanziarsi per 10mln USD, e sul
mercato tale somma garantisce un rendimento pari a LIBOR+5%, le
due banche avrebbero, supponendo che l’8% del finanziamento
costituisca il capitale proprio di entrambe le banche e che il LIBOR
sia pari al 5%, la seguente situazione:
Interessi attivi (10mln
USD*(LIBOR+5%))
Interessi passivi
(9,2mln
USD*(LIBOR+spread))
Margine creditizio
Rendimento sul
capitale proprio
impiegato
38
ALFA
BETA
1.000.000
1.000.000
552.000
736.000
448.000
264.000
56%
33%
Esempio basato su Zullo F., 1999, I derivati creditizi: aspetti tecnici,cit., p.523-524.
93
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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Anche se il migliore rendimento appartiene ad ALFA (56%),
entrambe le banche potrebbero migliorare il proprio rendimento con la
seguente operazione:
• ALFA concede il prestito;
• ALFA nello stesso tempo acquista un credit defaul swap da BETA
il quale si assume il rischio di credito del soggetto di riferimento in
cambio di un premio pari a 2%.
Entrambi aumentano il proprio rendimento:
ALFA
Margine creditizio
Premi pagati per la
protezione
Guadagno netto
Rendimento sul
capitale proprio
impiegato
448.000
200.000
152.000
95%
In tale caso il rendimento sul capitale proprio, come rapporto tra
guadagno netto e capitale proprio utilizzato, deriva dal rapporto tra
152.000 e 160.000 e non con 800.000 come nel primo caso, in quanto
questa volta la banca ALFA ha un’esposizione nei confronti di
un’altra banca, cioè BETA, entrambe appartenenti all’OCSE e quindi
con un coefficiente di ponderazione pari al 20%.
94
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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BETA
Premi
Interessi attivi (800.000*LIBOR)
Guadagno netto
Rendimento sul capitale proprio
impiegato
200.000
400.000
600.000
75%
In quest’ultima ipotesi abbiamo considerato che BETA abbia
investito al tasso LIBOR gli 800.000 USD che avrebbe dovuto
accantonare per effettuare il prestito direttamente.
Come si è visto entrambe le banche hanno migliorato il proprio
rendimento utilizzando il credit derivative.
95
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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3.7 La disciplina dei
situazione italiana
requisiti patrimoniali e la
Lo sviluppo dei derivati creditizi, oltre che da un nuovo
atteggiamento culturale delle banche nei confronti del rischio di
credito e della sua gestione, dipende anche dalla regolamentazione
degli stessi, e allo stato attuale non ci sono molte convergenze, tra
Comitato di Basilea, Banche centrali, Board of the Governors of the
Federal Reserve System e Bank of England, sulla metodologia da
applicare, inerente ai requisiti patrimoniali.
Al momento vi sono due fronti opposti, cioè quelli che sono
propensi ad assimilare i derivati creditizi a delle garanzie, come la
lettere di credito e stand-by, e quindi ai rischi di controparte, e quelli
che sono favorevoli all’applicazione del regime previsto per i rischi di
mercato; la soluzione non è così facile da risolvere in quanto nel
primo caso il requisito patrimoniale sarebbe maggiore. Tuttavia le
varie Autorità, pur consce del fatto che la mancata regolamentazione
di tali strumenti limiti lo sviluppo di tali prodotti, hanno lo stesso
incoraggiato le varie istituzioni finanziarie all’utilizzo di tali strumenti
96
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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finanziari39; è necessario, comunque, che le varie banche siano dotate
di un managment competente e con l’esperienza necessaria nonché di
un sistema di monitoraggio e di controllo sui vari limiti imposti.
Infine, riguardo all’esperienza italiana, la Banca d’Italia non ha
ancora preso posizione, e bisogna dire che il nostro quadro normativo
non è molto favorevole all’innovazione finanziaria.
Infatti solo poche banche si sono affacciate sul mercato dei
derivati creditizi e pochissime hanno investito in tale settore, complice
anche la mancanza di un mercato secondario dei crediti; un altro
fattore che limita lo sviluppo de credit derivatives in Italia è la
presenza di un differente trattamento fiscale rispetto agli altri partners
europei. In tale contesto delineato si capisce quante difficoltà e
problemi devono essere superati per poter arrivare ad una disciplina
organica e articolata dei derivati creditizi.
39
Board of Governors of the Federal Reserve System, 1996, Supervisory Guidance for
Credit Derivatives, “SR letter”,96-17.
97
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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3.8 Conclusioni
I benefici che sono stati evidenziati nel paragrafo relativo alla
gestione del rischio di credito
sono destinati a rimanere senza
applicazione se non sarà risolto il problema della valutazione dei
prestiti necessaria per la stessa valutazione e liquidazione delle varie
tipologie di credit derivative. È necessario un accurato studio in
materia per favorirne l’utilizzo, così come è già successo per i rischi di
mercato e i relativi derivati finanziari.
Quindi le banche da parte loro dovrebbero iniziare ad aderire alle
nuove tecniche di gestione del rischio, sulla scia del rischio di
mercato, che permettano di superare le tradizionali tecniche di
monitoraggio e di controllo. È necessario anche che le stesse Autorità
di vigilanza si accorgano dei benefici che tali strumenti portano nel
portafoglio crediti delle banche, e possano disciplinare il trattamento
dei derivati creditizi, ai fini dei coefficienti patrimoniali bancari, in
modo tale da poter ridurre gli stessi coefficienti previsti per le
esposizioni creditizie, incentivando lo sviluppo di tali strumenti. Nello
stesso momento la regolamentazione del sistema finanziario,
98
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soprattutto in Italia, deve evolversi di pari passo con l’innovazione
finanziaria se vogliamo che tale rischio, pesante e problematico per le
banche, sia gestito e controllato per poter assicurare stabilità alle
banche e allo stesso sistema finanziario.
99
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SECURITIZATION
Premessa
La securitization, ossia la trasformazione di attivi non negoziabili
in titoli negoziabili sui mercati, è uno strumento finanziario che ha
conosciuto negli ultimi anni un notevole sviluppo.
Tale tecnica, in realtà, è nata più di venti anni fa in America e
solo nell’ultimo decennio si è sviluppata, non in maniera omogenea, in
Europa.
Il concetto di securitization è utilizzato per indicare varie attività,
ossia, in generale, uno spostamento da un tipo tradizionale di attività
di intermediazione ad una più orientata sui mercati. In particolare si
possono distinguere tre tipi di securitization a seconda del tipo di
attività a cui è legata40:
1.
Emissione di titoli che possono essere considerati a tutti gli
effetti sostitutivi di prestiti bancari;
2.
40
L’attività di vendita e di scambio di prestiti bancari;
La Torre M., 1995, Securitisation e banche, il Mulino, Bologna, p.14.
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IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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3.
L’emissione di titoli a fronte di prestiti cartolarizzati (asset-
backed securitization).
Il primo tipo non è altro che una semplice attività di brokeraggio
in cui l’intermediario predispone, sottoscrive e colloca titoli di credito.
Il secondo tipo di securitization riguarda l’attività di vendita e scambio
di prestiti bancari ma non la trasformazione degli stessi in titoli
negoziabili sul mercato, in particolare le banche di piccole dimensioni
hanno assunto il ruolo di acquirenti di obbligazioni emesse da
operatori commerciali con elevato rating. Infine vi è il terzo tipo di
securitization in cui le banche cartolarizzano un portafoglio crediti
avente caratteristiche simili; infatti con la tecnica dell’ABS le banche,
non potendo vendere un portafoglio di crediti poco liquido, lo
trasformano in titoli scambiabili sul mercato.
Da tutto ciò si deduce che la securitization costituisce una delle
innovazioni finanziarie che più si sta sviluppando in molti paesi e che
va incontro a un crescente successo anche in Italia. D’altra parte la
securitization prevede che i titoli emessi ottengano un rating, e ciò
richiede l’analisi del rischio di credito della stessa operazione che
analizzerò nei successivi paragrafi.
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4.1 Definizione delle operazioni
Le varie operazioni di securitization, cioè la trasformazione di
flussi di cassa derivanti dal futuro ripagamento di crediti o di altre
attività finanziarie non liquide, allo scopo di supportare l’emissione di
titoli di credito facilmente negoziabili e con elevato rating (il cui
rimborso è garantito principalmente da tali flussi), prevedono che il
portafoglio di attivi da cartolarizzare, composto da mutui ipotecari o
da crediti commerciali, venga acquistato da una società appositamente
costruita denominata special purpose vehicle (SPV) la quale finanzia
tale acquisto con l’emissione di titoli sul mercato. Ovviamente il
rendimento di tali titoli è collegato al rendimento del portafoglio
cartolarizzato, cioè al rating di quest’ultimo; da ciò risulta che il
rischio di credito di tali titoli, che verranno collocati presso gli
investitori, dipende dal rischio di credito degli attivi originariamente
presenti nel bilancio dell’originator, cioè il soggetto che effettua
l’operazione. Quindi allo scopo di rendere appetibili tali titoli, dal
punto di vista dell’attenuazione del rischio di credito, è necessario
prevedere delle tecniche di supporto del rischio di credito.
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4.2 Schema dell’operazione
Premesso che ogni operazione di securitization ha in sé
caratteristiche proprie, si può, tuttavia, descrivere uno schema
generale che illustri gli aspetti essenziali di tale operazione.
Il soggetto cedente (originator) costituisce un pool di crediti da
cartolarizzare,
aventi
caratteristiche
omogenee
(in
particolare
scadenze, rischi e tassi di interesse), che viene ceduto ad uno SPV, il
quale finanzia tale acquisizione con l’emissione di titoli che vengono
collocati presso il mercato e quindi acquistati dagli investitori e
rimborsati, per interessi e quote di capitale, con i flussi provenienti dal
portafoglio cartolarizzato (fig.sotto).
Schema di un’operazione di cartolarizzazione. Fonte : La Torre M., 1995.
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Tale schema mette in risalto il fatto che, solitamente, SPV si
affida ad una Investment Bank per poter collocare i titoli presso gli
investitori, e che è necessario una Rating Agency per poter emettere
tali titoli, ossia l’agenzia di rating analizza il rischio di credito insito
nei titoli e quindi presente nello stesso portafoglio cartolarizzato.
Ovviamente per far sì che l’operazione avvenga con successo e quindi
preliminarmente venga emesso un buon giudizio sull’operazione e
sugli stessi titoli, sono previste delle tecniche di supporto (credit
enhancer) realizzate dallo stesso originator.
Se vi è, come avviene spesso soprattutto nella cartolarizzazione
di mutui ipotecari, un disallineamento tra i flussi di interesse ricevuti
dal portafoglio cartolarizzato e i flussi di interesse pagati sui titoli, tale
disallineamento viene coperto attraverso contratti derivati quali IRS o
Caps conclusi tra lo SPV e adeguate controparti.
I flussi provenienti dal portafoglio cartolarizzato sono raccolti
dall’originator e depositati in un conto bancario dello SPV e
successivamente trasferiti agli investitori a ogni data di pagamento; in
particolare viene previsto un “servicing agreement” fra il cedente e lo
SPV in base al quale lo stesso cedente è incaricato di amministrare e
curare l’incasso dei crediti, usando le medesime procedure e lo stesso
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grado di diligenza usata per l’amministrazione del portafoglio di
proprietà. Infine bisogna dire che le modalità di cessione e successiva
gestione dei crediti ceduti sono tali da rendere neutra l’operazione nei
confronti dei debitori ceduti, poiché gli stessi continueranno ad avere
rapporti unicamente con l’originator (vedi fig. sotto).
Il flusso di fondi di un’operazione di securitization. Fonte : La Torre M., 1995.
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4.3 Il supporto di credito
Il supporto di credito (credit enhancement) costituisce una delle
caratteristiche più salienti dell’intera operazione di cartolarizzazione, e
costituisce una definizione a priori del livello di rating, in accordo con
le Agenzie di Rating, che l’originator desidera ottenere per ogni
classe di titoli emessa dallo SPV. In particolare l’analisi del rating
dell’operazione e dei titoli dipende dal rischio di credito degli stessi, e
tale rischio può essere modificato con varie tecniche di supporto di
credito. Esse si distinguono in interne ed esterne41:
• Le tecniche interne sono quelle che prevedono particolari
meccanismi di allocazione per rimborsare le diverse categorie di titoli
emessi dallo SPV. Ad esempio si potrebbero emettere diverse
categorie di titoli, aventi diverso rating, in modo tale che le classi con
rating più elevato vengano rimborsate prioritariamente rispetto a
quelle con rating meno elevato. Un’altra tecnica interna è quella che
prevede che l’ammontare del portafoglio cartolarizzato sia maggiore
41
Zanelli M., 1999, La cartolarizzazione: strutture e rating, in AA.VV., (a cura di Szego
G., Varetto F. ), Il rischio creditizio, UTET, Torino, p.473.
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dell’ammontare dei titoli emessi, in modo tale che i flussi provenienti
dal portafoglio cartolarizzato, anche se ridotto da perdite relative alle
sofferenze, siano sufficienti a rimborsare i titoli.
• Invece le tecniche di supporto esterno prevedono l’intervento di
aziende di credito e di compagnie di assicurazione che garantiscono il
puntuale rimborso dei titoli.
Per poter emettere il loro giudizio correttamente e quindi per
poter “salvaguardare” la loro reputazione, le Agenzie di Rating
solitamente verificano sia gli aspetti operativi relativi alle procedure di
concessione del credito, di incasso e di recupero crediti e sia alla
stessa struttura legale dell'operazione, ossia la struttura giuridica
necessaria per poter preservare e assicurare gli investitori finali da un
eventuale rischio di fallimento delle varie controparti dell’operazione.
Naturalmente maggiore è il rating assegnato e maggiore è la
probabilità di successo dell’operazione.
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4.4 Vantaggi e rischi di una dell’Asset-Backed
securitisation
Il ricorso ad un’operazione come l’asset-backed securitisation,
cioè cartolarizzazione degli attivi, può apportare all’intermediario una
serie di vantaggi di gestione, quali42:
1. accesso a nuove e meno costose forme di finanziamento;
2. una gestione alternativa del rischio di credito rispetto a quelle
tradizionali;
3. una gestione flessibile del conto economico;
4. attenuazione delle rigidità di “gestione” dei coefficienti di
solvibilità;
5. “elusione” della vigilanza bancaria.
Rispetto al 1° punto, l’asset-backed securitization offre il
vantaggio di poter assicurare all’intermediario sia nuove fonti di
finanziamento e sia finanziamenti più economici. Questo perché, nel
primo caso i titoli emessi dallo SPV sono molto più sicuri, grazie
all’intervento di più credit enhancer e al conseguente miglioramento
42
La Torre M., 1995, Securitisation e banche, cit., p. 61.
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del rating dell’originator, rispetto a eventuali titoli di debito che
avrebbe potuto emettere; nel secondo caso perché il costo marginale
sostenuto nell’emettere Asset-backed securities (ABSs) è più basso
rispetto a quello necessario per attrarre nuovo capitale con le forme
tradizionali di finanziamento, come i depositi. Infatti se una banca
aumenta il tasso sui depositi, ad esempio dal 3% al 4%, essa dovrà
applicarlo a tutti i depositi, nuovi e vecchi; mentre nel caso delle
ABSs, anche un tasso superiore, ad esempio 5%, può essere
conveniente.
Per ciò che concerne il 2° punto la tecnica ABS tende anche a
migliorare la gestione del rischio creditizio, e questo in due modi.
Un primo modo di gestire tale rischio può essere effettuato con la
tecnica ABS. Generalmente, quando si pone in essere una
securitization, il rischio viene ripartito in tante parti quanti sono i
partecipanti; una prima quota di rischio, pari generalmente al tasso di
perdita atteso, viene assunta dall’originator, una seconda parte più
consistente dai credit enhancer ed il rischio residuo dagli investitori.
Da ciò si può notare che con la securitization si può ripartire il rischio
entro predeterminate soglie a differenza del pieno rischio assunto
mantenendo in portafoglio un pool di prestiti.
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Un secondo modo di gestire il rischio creditizio con l’ABS è
quello di diversificare il portafoglio crediti affinchè un rischio di
concentrazione creditizia venga meno, pur continuando a concentrare i
prestiti in determinati settori lavorativi o in determinate aree
geografiche, e quindi non rinunciando ai rendimenti che tali settori e/o
tali aree offrono, in modo tale da investire i ricavi derivanti
dall’operazione in altre aree o settori, eseguendo in tal modo una
diversificazione del proprio portafoglio crediti.
La gestione flessibile dell’ABS comporta la possibilità di
sfruttare una politica di tassi di interesse realizzando guadagni nel
caso di ribasso dei tassi di interessi, e quindi vendendo attivi ad un
prezzo maggiore del valore nominale degli stessi o, viceversa,
mantenendo in portafoglio i propri crediti nel caso di un rialzo dei
tassi di interessi.
Per ciò che concerne il 4° punto, il Comitato di Basilea nel 1988
ha stabilito che il rapporto tra patrimonio di vigilanza e le attività
ponderate per il relativo rischio non deve essere inferiore all’8% e
quindi nel caso in cui tale rapporto diminuisse, devono essere poste in
essere determinati interventi per superare tale soglia, cioè aumentare il
numeratore o diminuire il denominatore; la securitization offre questa
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seconda alternativa. Infatti una banca che voglia ristabilire tale
rapporto potrebbe cartolarizzare attività ad alta ponderazione con
contestuale ridimensionamento dell’attività della banca, e questo
anche nel caso di una banca sottocapitalizzata.
Infine l’elusione della vigilanza attraverso la securitization offre
la possibilità di abbattere obblighi di riserva di liquidità a fronte della
rischiosità del volume dei loro depositi oltre che il sostenimento di
ridurre determinate spese, in particolare sotto forma di premi di
assicurazione, per protezione dei depositi stessi. Ora con la tecnica
ABS si potrebbe eludere tale vigilanza nel caso in cui i guadagni
derivanti dall’Abs non vengano considerati depositi, e quindi le
banche non sia obbligate a costituire riserve di liquidità e a pagare
premi su tali depositi.
Dopo aver tessuto le lodi della securitization non si possono non
mettere in evidenza i rischi che un’operazione del genere comporta.
Infatti, anche se un’operazione di ABS tende a gestire e/o trasferire
meglio determinati rischi, essa ne comporta certamente altri, tra cui43:
43
La Torre M., 1995, Securitisation e banche,cit., p.102-104.
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rischio di credito: è stato detto che l’originator con la securitization
riduce di parecchio la sua esposizione al rischio di credito, in quanto
se ne assume solo una parte relativa al tasso di insolvenza previsto,
mentre il restante rischio viene ripartito tra compagnie di
assicurazione che offrono il loro supporto creditizio e gli investitori
finali. A questo punto si dovrebbe pensare che in caso di insolvenza
dei debitori principali l’originator dovrebbe subire una perdita già
prevista e “contabilizzata”, e tutto ciò si riverserebbe sugl’investitori
finali, facendo sì che il rischio di credito sia “immunizzato”, come già
è stato evidenziato tra i vantaggi della securitization; tuttavia non è
così semplice in quanto l’originator ha una moral obligation nei
confronti degli investitori, nel senso che si pone sempre come
prestatore di ultima istanza in caso di insolvenza del debitore
principale, e questo per due motivi: il primo riguarda il fatto che
un’esperienza di insolvenza non consentirebbe più all’originator di
poter utilizzare in futuro
tale strumento, e il
secondo riguarda
l’immagine dell’originator che ne risulterebbe screditata.
Quindi si può dire che la moral obligation, risultante da un’ABS,
è essa stessa fonte di rischio di credito che la banca deve tenere in
considerazione.
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Rischio relativo all’elusione delle tasse di vigilanza bancaria: se la
securitization rappresenta uno dei migliori strumenti per poter eludere
tali tasse (assicurazione sui depositi, costo opportunità delle riserve
obbligatorie di liquidità e vincoli di capital adequacy), è pure vero che
ciò incoraggia le banche ad assumere nel proprio portafoglio attività
ad alto rischio per poter ottenere un alto rendimento così da poter
compensare lo svantaggio competitivo derivante da tali tasse, perché
comunque tali attivi verrebbero cartolarizzati e i relativi rischi
trasferiti.
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4.5 La cartolarizzazione dei crediti in sofferenza
Per le banche, uno dei problemi più difficili da gestire riguarda lo
stock di sofferenze presente nei bilanci, soprattutto per quelle che
operano a livello locale e che quindi non possono attuare una strategia
di diversificazione del proprio portafoglio crediti. Tale stock di
sofferenze, che negli ultimi anni supera il dieci per cento dei crediti
vivi, rappresenta un peso insostenibile soprattutto per l’impossibilità
di poter assicurare un’attività a condizioni di equilibrio economico,
finanziario e patrimoniale per molte banche.
Esso è un problema presente in molte aree di molti Paesi, e
quindi richiede uno studio approfondito per poter gestire e controllare
questa massa ingente di crediti in sofferenza. Vi sono, attualmente,
varie soluzioni di gestione delle sofferenze, tra cui quelle indicate
nella seguente tabella:
Soluzione
Negoziale
Giudiziale
Di mercato
Interna
Esterna
Ristrutturazione
Revisione
Trasformazione in
partecipazioni
Liquidazione mediante
accordi di natura
privatistica con ricorso
esclusivo a professionisti
esterni.
Recupero legale con ricorso
a legali esterni.
recupero legale con ricorso
a legali interni o coadiuvati
da legali
Cartolarizzazione e Credit
derivatives
Cessione definitiva
Soluzioni gestionali delle sofferenze. Fonte Zen F., 1999.
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Come si vede tra le soluzioni possibili vi è anche la
securitization. La cartolarizzazione dei crediti in sofferenza prevede
caratteristiche particolari in relazione alla scelta del pacchetto crediti
da trasferire e di conseguenza in relazione agli obiettivi che il
management bancario si pone; tali obiettivi possono consistere nella
massimizzazione del prezzo di cessione, eliminazione delle aree
creditizie maggiormente problematiche, riduzione degli oneri di
gestioneo, infine, miglioramento del grado di patrimonializzazione44.
Una volta individuati gli obiettivi da raggiungere è necessario
scegliere il pacchetto crediti da cedere; è indispensabile la scelta di
crediti garantiti, in particolare i crediti ipotecari e ciò per la stessa
esistenza di un’operazione di cartolarizzazione dei crediti in
sofferenza, cioè è necessario che il credito in sofferenza abbia almeno
una
garanzia per poter assicurare un flusso monetario, altrimenti
sarebbe incompatibile porre in essere un’operazione di securitization
di crediti in sofferenza senza garanzia e quindi senza una
programmazione di base dei futuri flussi monetari. Si potrebbe che
basti un credito di supporto per poter titolarizzare crediti non
44
Zen F.,1999, La cartolarizzazione dei crediti in sofferenza, in Banche e Banchieri n.3,
p.235.
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garantiti, ma ciò risulterebbe troppo costoso per via dei premi da
pagare ai vari credit enhancer.
Dopo aver analizzato i vari crediti da cedere, e quindi la loro
attitudine a generare flussi monetari oltre, ovviamente, le garanzie e i
tempi di recupero in caso di insolvenza e quindi la loro efficacia
giuridica, si pone, infine, il problema del prezzo di cessione, e ciò non
è facile, in quanto manca un modello di definizione del prezzo di
cessione per tali crediti; inoltre segue spesso ad un prezzo definito una
riduzione
forfettaria
dello
stesso,
per
una
compensazione
dell’eventuale deterioramento creditizio e/o ritardi nell’incasso dei
flussi monetari.
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4.6 La legge sulla securitization in Italia
Con la legge n.130/1999 è stata introdotta una legge ad hoc per la
securitization in Italia.
Questa legge, in particolare, prevede che il cessionario (o
l’emittente titoli) sia una società che abbia come oggetto esclusivo la
cartolarizzazione dei crediti, e che i titoli emessi siano considerati
strumenti finanziari ai quali applicare le disposizioni del testo unico
sulla finanza (decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.58). In base a
questa legge, se i titoli emessi (asset backed securities) sono offerti
agli investitori professionali, il prospetto informativo deve contenere
determinate informazioni (società cedente, società cessionaria,
caratteristiche
e
costi
dell’operazione,
eventuali
rapporti
di
partecipazione fra cedente e cessionario, etc.), mentre nel caso siano
offerti agli investitori non professionali, l’operazione deve essere
sottoposta alla valutazione del merito creditizio da parte di operatori
terzi; in quest’ultimo caso la CONSOB stabilisce i requisiti di
professionalità e i criteri per assicurare l’indipendenza degli operatori
che svolgono la valutazione del merito creditizio.
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I soggetti incaricati della riscossione dei crediti ceduti e dei
servizi di cassa e di pagamento, sono banche o intermediari finanziari
iscritti nell’elenco speciale previsto dall’art. 107 del testo unico
bancario (decreto legislativo n.385/1993). Un fattore importante è che
i crediti relativi a ciascuna operazione costituiscano patrimonio
separato a tutti gli effetti da quello della società e da quello relativo
alle altre operazioni; infatti, su di esso, non sono ammesse azioni da
parte di creditori diversi dai portatori dei titoli stessi.
Per la modalità ed efficacia delle disposizioni trovano
applicazione i commi 2, 3 e 4 dell’art. 58 del testo unico bancario; in
particolare l’art.58 del T.U. bancario dispone un regime di favore per
il cedente, riguardo alla pubblicità dell’avvenuta cessione nei
confronti dei debitori ceduti con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale
della notizia, sia in ordine al trapasso delle garanzie ipotecarie che
avviene automaticamente (e quindi “saltando” l’ostacolo economico
previsto dall’art.2843 del c.c. in tema di annotazione in margine
all’iscrizione dell’ipoteca) senza formalità e oneri di annotazione.
La legge 130/1999 è applicata sia alle operazioni di
cartolarizzazione realizzate mediante l’erogazione di un finanziamento
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al soggetto cedente, da parte della società cessionaria, sia alle cessioni
a fondi comuni di investimento.
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4.7 Un modello per l’analisi del rischio di credito di
portafogli di mutui45
L’analisi del rischio di credito del portafoglio cartolarizzato può
essere effettuato in vario modo, in base alle caratteristiche del
portafoglio e delle informazioni disponibili. Una delle metodologie
più utilizzate frequentemente da Moody’s è quella che analizza il
rischio di credito di portafogli di mutui ipotecari in base alle
informazioni che generalmente compongono il portafoglio crediti.
Esso permette di valutare il rischio di credito dei titoli emessi dallo
SPV in base ad un’analisi di ognuno dei mutui che generalmente
compongono il portafoglio cartolarizzato.
Tale analisi prevede che ognuno dei mutui ipotecari da cartolarizzare
venga confrontato ad un mutuo ipotecario di riferimento definito in
base al mercato di riferimento. Tale confronto è necessario per
definire il livello di credit enhancement per ciascun prestito. Questo
avviene in base a vari procedimenti. Il primo consiste nella
valutazione per ogni prestito del loan to value (LTV), ossia il rapporto
45
Questo paragrafo e il successivo esempio sono tratti da Zanelli M., 1999, La
cartolarizzazione: strutture e rating, in AA.VV.,cit. p.482-485.
120
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tra l’ammontare del prestito e il valore dell’ipoteca, che è necessario
per
determinare
un’approssimazione
del
livello
del
credit
enhancement per poi modificarlo con un’analisi di altre caratteristiche
del prestito (duration, tasso di interesse ecc.) e alcune caratteristiche
generali relative all’intero portafoglio cartolarizzato (concentrazione
geografica ad esempio).
Questo parametro (LTV) è il primo dato esaminato nei mercati
anglosassoni, in quanto si è evidenziata una forte correlazione tra il
LTV e la probabilità di insolvenza del debitore. Quindi da ciò si può
affermare che il livello del LTV costituisce una prima stima della
probabilità di insolvenza del singolo debitore. Ovviamente maggiore è
tale parametro e maggiore sarà la probabilità di insolvenza (vedi
grafico).
I livelli di probabilità di insolvenza associati ai livelli di LTV per il
mercato francese.
100 95
LTV%
Mercato
francese
16.5 15
Prestito di
riferimento
Fonte : Zanelli M., 1999.
90
85
80
75
70
65
13.5
12
10.5
9.94
9.38
8.8
60
55
8.25
8.25
121
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Una volta calcolata la probabilità di insolvenza viene definito il
l’ammontare di perdita attesa, che è calcolato, per ciascun prestito,
tenendo conto di una serie di fattori quali: valore dell’ipoteca, capitale
investito dal debitore e spese necessarie per il recupero dell’immobile
ipotecato. Si tiene conto, per poter arrivare a un rating soddisfacente,
anche della perdita di valore che l’immobile ipotecato possa subire nel
lasso di tempo tra il momento in cui viene concesso il mutuo e il
momento in cui viene esercitata l’ipoteca per poter vendere
l’immobile.
I livelli di perdita attesa associati ai livelli di LTV per il mercato
francese.
100 95
90
85
80
75
70
65
60
55
LTV%
Mercato
francese
12.79 11.21 9.68
8.19
6.77 5.97 5.17 4.35
3.52 2.87
Prestito di
riferimento
Fonte : Zanelli M., 1999.
Definito un primo livello di perdita attesa e quindi di supporto
creditizio per ciascun prestito ipotecario, vengono definite altre
caratteristiche che riguardano sia i singoli mutui che il portafoglio
crediti nella sua totalità.
Tali caratteristiche riguardano:
122
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• il grado di copertura del mutuo, dato dal rapporto tra l’ammontare
della rata e il reddito del debitore (risulta evidente che maggiore
sarà tale rapporto rispetto a quello di riferimento più il debitore è
soggetto al rischio di insolvenza e, quindi, maggiore
sarà il
supporto creditizio);
• categoria del mutuo (i mutui che beneficiano di sovvenzioni statali
sono più rischiosi di altri, poiché tali sovvenzioni sono erogate a
persone con un basso reddito);
• tipo di ammortamento (i mutui che prevedono un incremento della
rata sono più rischiosi, dal punto di vista della probabilità di
insolvenza, rispetto a quelli a rata costante);
• scopo del mutuo (i mutui necessari al finanziamento della prima
casa sono più rischiosi di quelli erogati per il finanziamento della
seconda casa);
•
profilo socio-professionale del debitore (i redditi dei lavoratori
dipendenti nelle amministrazioni pubbliche sono più stabili di
altri dipendenti, in quanto il rischio di disoccupazione è
inferiore).
123
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Tra le caratteristiche generali che riguardano il portafoglio da
cartolarizzare, e che devono essere prese in considerazione, sempre
per determinare il grado di rischiosità di un portafoglio e quindi il
livello di credit enhancer, figurano il grado di concentrazione
gegrafica dei mutui e la qualità del cedente. Il primo perché una forte
concentrazione geografica aumenta il rischio a livello sistemico-locale
nel caso in cui una forte recessione colpisca l’area interessata; il
secondo perché solo una banca di grandi dimensioni, dotata di
procedure di gestione e controllo dei rischi riguardanti ogni singolo
mutuo, oltre ad una efficiente procedura di recupero crediti, può essere
considerata meno rischiosa di altre banche che non hanno tali
procedure di controllo e recupero crediti.
124
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4.8 Conclusioni
La securitization costituisce per le banche uno strumento direi
necessario per la gestione e il controllo del rischio di credito, in
quanto gli stessi strumenti tradizionali non hanno saputo evitare, da
soli, le forti perdite che il sistema bancario ha subito in questi ultimi
anni, proprio per la mancanza di strumenti innovativi.
In Europa il mercato dei prestiti cartolarizzati si presenta
fortemente differenziato, a causa sia della diversità di mentalità
presente nei management dei vari intermediari finanziari, e sia della
diversa disciplina presente nei vari paesi europei; infatti troviamo
paesi
che
possiedono
una
propria
regolamentazione
della
securitization (l’Italia, da poco, con la legge 130/1999), paesi che
hanno solo previsto una disciplina puntuale riguardante disposizioni
contabili e fiscali e, infine, paesi in cui manca totalmente qualsiasi
riferimento.
Nonostante la presenza di una legge ad hoc, la realizzazione
di una politica di securitization per la gestione efficiente del rischio di
credito si presenta difficilmente attuabile in Italia. Questo perché
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un’operazione di securitization, che possa essere conveniente in
termini di costi dell’operazione, ha ad oggetto un pool di prestiti
aventi un certo grado di omogeneità in termini di caratteristiche
tecniche e flussi finanziari (mutui ipotecari, prestiti al consumo e
leasing); quindi affinché una istituzione finanziaria possa essere
presente sul mercato continuamente (in modo tale da migliorare la
reputazione in un determinato mercato, standardizzare le stesse
operazioni e quindi contenere costi legati al supporto di garanzie),
deve presentare un portafoglio prestiti da cartolarizzare abbastanza
ampio e omogeneo. In Italia le banche presentano nei propri portafogli
prestiti di dimensioni unitarie molto grandi e con caratteristiche
eterogenee, quindi ciò impedisce una certa standardizzazione delle
operazioni facendo sì che gli investitori, per mancanza di
informazioni, chiedano garanzie maggiori che si traducono in un
maggior supporto di credito, ossia maggiori costi per la banca.
126
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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I MODELLI DI MISURAZIONE
RISCHIO DI CREDITO
DEL
Premessa
Prima di procedere alla descrizione dei vari modelli di
misurazione del rischio di credito risulta necessaria una definizione
dello stesso. Per rischio di credito si intende la possibilità che una
variazione inattesa del merito creditizio di una controparte nei
confronti della quale esiste un’esposizione generi una corrispondente
variazione inattesa del valore di mercato della posizione creditoria46.
Da questa definizione risulta chiaro che il rischio di credito non è
composto dal solo rischio di insolvenza della controparte, ma anche
dal rischio di un deterioramento creditizio (rischio di migrazione).
Infatti qualora il merito creditizio subisse un declassamento, il tasso di
sconto da applicare ai singoli flussi di cassa attesi, appunto per
conoscere il valore di mercato della posizione creditizia in essere,
dovrebbe essere più alto in quanto includente un premio per il rischio
corrispondente al nuovo livello di rating. Il nuovo valore di mercato
127
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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della esposizione creditizia verso la controparte sarebbe minore del
precedente.
Quindi il rischio di credito non è altro che variazione inattesa del
merito creditizio, in cui il rischio d’insolvenza costituisce l’evento
estremo, preceduto dai vari livelli di probabilità che questo evento
estremo possa in futuro manifestarsi (in questo senso dovrebbe essere
interpretato il nuovo documento di Basilea, A new capital adequacy
framework giugno 1999, nella parte in cui prevede che, nella
determinazione dei coefficienti di rischiosità delle controparti, le
banche più sofisticate possano adottare i ratings dei propri modelli
interni, approvati dalle Autorità di vigilanza, per stabilire i
corrispondenti fattori di ponderazione).
In quanto inattesa la variazione non deve essere prevista, perché
quella prevista è riflessa nel pricing che la banca, in sede di giudizio di
affidamento, applica al cliente nella determinazione del tasso di
interesse da applicare.
Come risulta evidente da quanto fin qui esposto, il rischio di
credito dovrebbe essere trattato alla stessa stregua di un rischio di
46
Sironi A., 1998, Dalla probabilità di insolvenza al VAR di un portafoglio: obiettivi,
approcci alternativi e applicazioni, in AA.VV., La misurazione e la gestione del rischio
di credito ( a cura di Sironi A., Marsella M. ), Bancaria, Roma, p. 31.
128
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mercato, e cioè come se, in ogni momento, fosse possibile
smobilizzare la posizione in bilancio realizzando una perdita o un
guadagno.
Da molti anni studiosi e operatori bancari hanno sviluppato vari
modelli di misurazione del rischio di credito, o meglio della
probabilità di default dei singoli prenditori. Questi modelli sono
principalmente utilizzati nella fase di monitorig (controllo dei singoli
crediti in portafoglio) delle singole esposizioni, e solo ultimamente,
alcuni di essi, sono utilizzati per il controllo del rischio di portafoglio.
Tali modelli possono essere suddivisi a seconda che misurino la
perdita attesa di una singola esposizione, la perdita inattesa della
stessa o il rischio di portafoglio47.
I modelli che misurano la perdita attesa sono i seguenti48:
1. Term structure degli spread;
2. Modelli basati sul tasso di mortalità;
3. Theory Option pricing.
47
48
Sironi A., 1998, Dalla probabilità di insolvenza al VAR di un portafoglio, cit. p.34.
Sironi A., 1998, Dalla probabilità di insolvenza, cit. p.40.
129
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Questi modelli misurano la probabilità di insolvenza di una
singola esposizione e quindi, attraverso una stima del recovery rate
(tasso di recupero), sono utilizzati per il pricing del singolo prestito.
I modelli che misurano la perdita inattesa sono basati sulla logica
VAR (value at risk), e misurano la variazione inattesa delle varie
componenti della perdita attesa, ossia tasso di insolvenza e tasso di
recupero. I modelli sono49:
•
basati su una distribuzione binomiale;
•
basati su una distribuzione discreta dei tassi di insolvenza.
Infine, per la stima dei rischi di credito associati all’intero
portafoglio
prestiti,
si
utilizzano
modalità
applicative
come
CreditMetrics (sviluppata dalla banca JP Morgan) e CreditRisk+
(sviluppata dalla banca Credit Suisse Financial Products). Queste
metodologie si propongono di misurare il valore a rischio di un
portafoglio crediti inteso come la massima perdita potenzialmente
associata al portafoglio stesso per effetto del rischio di credito50.
49
Sironi A., 1998, Dalla probabilità di insolvenza, cit. p. 45.
Anolli M.,Gualtieri P., 1999, La misurazione e la gestione del rischio di credito nella
gestione delle banche, Mulino, Bologna, p.25.
50
130
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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In realtà l’adozione di modelli VAR non serve, soltanto, a
misurare le singole esposizioni, ma anche per porre in essere un
controllo integrato dei rischi di credito e di mercato. Infatti solo i
modelli VAR permettono di impostare un sistema di risk
management, tale da misurare in maniera omogenea l’assorbimento di
capitale all’interno delle diverse aree di attività della banca, così da
conoscere, preventivamente, un livello massimo di rischio e quindi di
capitale assorbito.
Le finalità che i metodi VAR possono raggiungere riguardano il
pricing, la reddività corretà per il rischio, il controllo preventivo del
rischio e l’allocazione del capitale a rischio. Come per la misurazione
dei rischi di mercato, un sistema Credit Risk Management non copre
solo la misurazione dei rischi di credito, ma anche altre aree connesse
a quest’ultima.
131
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5.1 Il rischio di credito e le sue componenti
Dalla precedente definizione del rischio, si possono individuare
tre componenti del rischio di credito, cioè perdita attesa, perdita
inattesa ed effetto diversificazione51.
Il tasso di perdita attesa (expected loss) è il valore medio della
distribuzione dei tassi di perdita. Questa componente, come suesposto,
non rappresenta il vero rischio di credito perché, in quanto attesa,
viene riflessa nel pricing di un prestito attraverso lo spread creditizio
aggiuntivo al tasso risk-free (tasso privo di rischio).
La perdita attesa (expected loss), in quanto valore medio della
distribuzione dei tassi di perdita, non può essere eliminata attraverso
una diversificazione di portafoglio in termini di settori produttivi e/o
geografici, ma solo stabilizzata ampliando il portafoglio prestiti
(anche
se
questa
potrebbe
essere
una
diversa
forma
di
diversificazione).
Infatti [Markowitz ,Portfolio Selection, 1952]:
σD={[σPOP^2+TDPOP/N]^1/2 }
51
Sironi A., 1998, Dalla probabilità di insolvenza, cit. p. 34-35.
132
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σD = volatilità del tasso di default sperimentato dal portafoglio
bancario;
σPOP^2TDPOP = livello e volatilità del tasso di perdita della popolazione
da cui è estratto il portafoglio della banca;
N = numero degli impieghi in portafoglio.
Come si può notare dalla formula (e seguendo il grafico
sottostante), aumentando il numero degli impieghi in portafoglio fino
all’infinito (N tende a + infinito), la volatilità del tasso medio di
default del portafoglio diventa uguale a quello della popolazione.
La perdita inattesa (unexpected loss) non è altro che la variabilità
della perdita intorno al suo valore medio, cioè il rischio che la perdita
attesa stimata a priori risulti, a posteriori, maggiore di quella stimata
133
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(potrebbe essere minore, tuttavia si parla di rischio in un accezione
negativa). In quanto variabilità della perdita attesa, la perdita inattesa
potrebbe essere eliminata o, quantomeno, contenuta mediante una
diversificazione di portafoglio in termini di settori produttivi,
dimensioni e aree geografiche.
In altre parole, la terza componente del rischio di credito è
rappresentata dall’effetto diversificazione che corregge il rischio di
perdita inattesa, minimizzandolo attraverso una politica di selezione
degli impieghi caratterizzati da una bassa correlazione. Quindi, come
ogni diversificazione che tende a correggere il rischio specifico di
‘posizione’, con la stessa si otterrebbe un effetto di riduzione, a parità
di rendimento atteso, dello stesso rischio di portafoglio.
134
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5.2 La perdita attesa e il pricing di un prestito
La perdita attesa relativa ad una esposizione creditizia può, a sua
volta, essere scomposta in due componenti: probabilità di insolvenza
della controparte e tasso di recupero in caso di insolvenza. In
formula52:
PA = E(t)*[1-E(TR)]*Esp
PA = perdita attesa (o tasso di perdita atteso)
E(t) = probabilità di insolvenza attesa (o tasso di insolvenza atteso)
E(TR) = tasso di recupero atteso in caso di insolvenza
Esp = esposizione creditizia
Un esempio chiarisce meglio la formula. Se, ad esempio, una
banca avesse in portafoglio una esposizione creditizia del valore di
Lire 5.000.000 nei confronti di un soggetto con probabilità di
insolvenza dell’8%, ed il tasso atteso di recupero fosse pari al 70%, la
perdita attesa sarebbe pari a Lire 120.000 [5.000.000*8%*(1- 70%)].
La probabilità di insolvenza dipende da molti fattori riguardanti la
controparte, cioè condizioni economico-finanziarie, prospettive di
52
Sironi A., 1998, Dalla probabilità di insolvenza, cit. p. 35.
135
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evoluzione, capacità del management, settore di appartenenza e
congiuntura economica.
Il tasso di recupero, invece, dipende dalla forma tecnica del
prestito, dalle varie garanzie che lo assistono, dalla qualità o gravità
dello stato di insolvenza e dal grado di liquidità della controparte. Però
anche in questo caso, il tasso di recupero deve essere inteso in senso
finanziario. Infatti esso potrebbe essere stimato con la metodologia
discounted cash flows approach. Questa si basa sui cash flows
effettivamente percepiti dalla banca in caso di default della
controparte o emittente del debito e consiste nel valutare tutti i cash
flows percepiti dal creditore (banca), riportandoli alla data di default
mediante un idoneo tasso di sconto e rapportandoli all’ammontare
nominale dell’esposizione creditizia originaria. Analiticamente53:
E(TR) = [VA(I)+VA(P)+VA(C)]/ VND
E(TR) = tasso di recupero atteso;
VA(I) = valore attuale dei flussi d’interesse rimborsati post-default;
53
Fabbri A., 2000, La valutazione dei credit derivatives: strumenti rilevanti e approcci
alternativi alla stima delle probabilità di default, in Nassetti C. F., Fabbri A., Trattato sui
contratti derivati di credito, Egea, Milano, p.143.
136
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VA(P) = valore attuale dei flussi derivanti dal rimborso del principale
post-default;
VA(C) = valore attuale degli utilizzi del prestito post-default;
VND = valore nominale dell’esposizione alla data di default.
Occorre in ogni caso osservare come, indipendentemente dagli
approcci utilizzati per il calcolo del recovery rate, l’unica e forse
obiettiva distinzione ai fini della stima del recovery rate, è che i
prestiti bancari presentano un recovery rate maggiore rispetto a quello
riguardante le obbligazioni.
La stima del tasso di perdita attesa viene utilizzata dalla banca,
dopo la decisione di concessione del prestito ad un soggetto, per il
pricing del prestito. In termini analitici54:
[1-E(t)]*(1+ip)=(1+if)
E(t) = probabilità di insolvenza;
ip = tasso di interesse comprensivo del premio per il rischio di credito;
if = tasso privo di rischio (tasso risk-free).
Poiché sono noti sia E(t) che if (tasso sui titoli di Stato), si può
ricavare ip:
137
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ip={(1+if)/[1-E(t)]} -1
Come risulta evidente, aumentando la probabilità di insolvenza
della controparte, aumenta il tasso di interesse richiesto (ip). Tuttavia
questa relazione non tiene conto della circostanza che, in caso di
insolvenza della controparte, una parte del credito viene recuperata.
Infatti la parte del credito che viene recuperata è pari a E(t)*E(TR)*
(1+ip), quindi la relazione precedente potrebbe essere riscritta nei
seguenti termini:
E(t)*E(TR)*(1+ip)+[1-E(t)]*(1+ip)=(1+if)
da cui si ricava ip:
ip={(1+if)/[E(t)*E(TR)+1-E(t)]} -1
dove qui si evidenzia che, un aumento del tasso di recupero, segue una
diminuzione del tasso di interesse da applicare alla clientela.
54
Anolli M.,Gualtieri P., 1999, La misurazione e la gestione del rischio., cit. p.15.
138
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5.2.1 Term structure degli spread
Con questa metodologia viene stimata la probabilità di default
dei prenditori osservando i premi per il rischio di credito impliciti nei
rendimenti delle obbligazioni. In particolare si confrontano per le
diverse scadenze temporali i rendimenti dei titoli rischiosi con quelli
dei titoli privi di rischio aventi la medesima durata e le stesse
caratteristiche, in termini di modalità di rimborso e di pagamento degli
interessi.
I dati necessari per lo sviluppo di tale metodologia sono55:
• curva tassi zero-coupon dei titoli risk-free;
• curva tassi zero-coupon dei titoli rischiosi;
• tassi di recupero in caso di insolvenza.
Sul piano procedurale si dovranno prioritariamente determinare i
tassi di rendimento a termine (tassi forward) sia per i titoli risk-free
che per quelli rischiosi. Analiticamente:
55
Sironi A.,1998, I modelli per la stima dei tassi di insolvenza basati sui dati del mercato
dei capitali, in AA.VV., La misurazione e la gestione del rischio di credito (a cura di
Sironi A., Marsella M. ), Bancaria, Roma, p. 157.
139
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R(t,t+1)={[1+R(0,t+1)]^t+1/[1+R(0,t)^t]}–1
(1)
dove R(t, t+1) è il tasso a termine del periodo che va da t a t+1; R(0,
t+1) è il tasso z. coupon relativo alla scadenza t+1; R(0,t) relativo alla
scadenza t.
Poi si calcolano i tassi di perdita attesa in base agli spread fra i
tassi a termine relativi alle due categorie di titoli. Analiticamente:
PA(t,t+1)=1-{[1+RF(t,t+1)]/[1+RR(t,t+1)]}
(2)
dove RF e RR sono i tassi a termine dei titoli risk-free e dei titoli
rischiosi.
Infine, dalla perdita attesa, si ricavano sia le probabilità di
insolvenza marginali che quelle cumulate. In formula:
TDM(t,t+1)=PA(t,t+1)/(1-TR)
TDCT=1-∏TS
(3)
(4)
TDM(t,t+1) è il tasso di default marginale; TR è il tasso di recupero
(ipotizzato costante); TDCT è il tasso di default cumulativo relativo
alla scadenza T (pari al complemento a 1 del prodotto dei tassi di
sopravvivenza marginali TS [il tasso di sopravvivenza marginale è il
complemento a 1 del tasso di default marginale]).
140
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Un esempio potrebbe chiarire la metodologia. Supponiamo di
avere i tassi di rendimento zero-coupon (con relative scadenze fino a 4
anni), sia dei titoli risk-free che dei titoli rischiosi.
Tabella 1 - Tassi zero-coupon
Tassi dei titoli
Scadenza
risk-free
1anno
2 anni
3 anni
4 anni
Tassi dei titoli
rischiosi
Spread
3,10%
3,50%
4,00%
4,50%
0,10%
0,20%
0,40%
0,50%
3,00%
3,30%
3,60%
4,00%
In base ai dati riportati nella tabella 1 si calcolano i rendimenti a
termine di entrambi i titoli, utilizzando la formula (1). Così nella
tabella 2.
Tabella 2 - Tassi a termine
Tassi dei titoli
Scadenza
risk-free
0-1
1-2
2-3
3-4
Tassi dei titoli
rischiosi
Spread
3,10%
3,90%
5,00%
6,00%
0,10%
0,30%
0,80%
0,80%
3,00%
3,60%
4,20%
5,20%
Dai tassi a termine, utilizzando le formule (2) (3) e (4), si
ricavano i tassi di perdita. Ipotizzato un tasso di recupero del 60%, i
tassi di insolvenza marginale e i tassi di insolvenza cumulativi
sarebbero quelli riportati nella tabella 3.
141
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Tabella 3 – Tassi di default marginali e cumulativi
Scadenza
PA
TDM
1
2
3
4
0,09%
0,29%
0,76%
0,75%
0,23%
0,73%
1,90%
1,86%
TS
TDC
0,9977
0,9927
0,9810
0,9814
0,23%
0,96%
2,84%
4,65%
Tuttavia i tassi di default marginali possono essere calcolati
anche partendo dagli spread a termine. Infatti, utilizzando la formula
per il calcolo del pricing di un prestito, cioè:
TDM*TR*(1+TRR)+(1-TDM)*(1+TRR)=1+TRF (5)
dove TRR e TRF sono rispettivamente i tassi a termine dei titoli
rischiosi e risk-free calcolati precedentemente, si perverrebbe con una
serie di passaggi alla formula:
TRR-TRF(spread a termine) ={(1+TRF)/[TR+(1-TDM)-(1-TDM)*TR]}–
(1+TRF)
Sostituendo alla formula lo spread a termine, si ricaverebbe le
probabilità di default marginali (TDM).
142
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5.2.2Modelli attuariali basati sul tasso di mortalità56
Questi modelli seguono un approccio di tipo attuariale, basandosi
su dati prodotti dalle agenzie di rating, relativi ai tassi di insolvenza
storicamente registrati dagli emittenti di titoli obbligazionari sottoposti
ad una valutazione in termini di rating.
Le probabilità di insolvenza di un’impresa calcolate seguendo
questo procedimento si fondono su 2 informazioni:
1. classe di rating dell’impresa stessa;
2. tasso di insolvenza storicamente registrato dalle imprese della
medesima categoria.
Anche qui, come nel modello precedente, vengono calcolati i
tassi di insolvenza marginali, cumulati e di sopravvivenza.
TDMt=DEt/POPt=1-TSt
(1)
TDCT=1- TSt
(2)
TDMt = tasso di default marginale relativo all’anno t;
DEt
= insolvenze verificatesi nell’anno t;
56
Paragrafo basato sui seguenti testi Sironi A., 1998, cit. p.167-171; Anolli- Gualtieri,
1999, cit. p.42-47; Fabbri, 2000, cit. p.122-142.
143
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POPt
= popolazione complessiva all’inizio dell’anno t;
TSt
= tasso di sopravvivenza marginale relativo all’anno t;
TDCT = tasso di default cumulato relativo all’anno T.
I tassi di default marginali rappresentano una proxy della
probabilità di insolvenza in uno specifico anno successivo
all’emissione. Quindi TDMt misura la probabilità che, sulla base
dell’esperienza storica di un gruppo di obbligazioni simili, un dato
titolo obbligazionario manifesti insolvenza al t-esimo anno di vita. La
tabella seguente è un esempio di calcolo dei tassi di default.
Tabella 1- Tassi di default marginali annuali (1971-1994)
Rating
1
2
3
4
5
6
7
8
0.0
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
AAA
0.0
0.05
1.06
0.09
0.00
0.00
0.01
0.00
AA
0.0
0.19
0.07
0.21
0.06
0.06
0.20
0.19
A
0.4
0.25
0.32
0.55
0.89
0.39
0.09
0.00
BBB
0.5
0.58
4.15
4.84
1.13
0.33
0.94
0.23
BB
1.5
7.12
6.80
7.29
3.40
3.40
2.80
2.13
B
8.3
10.69
18.53
10.26
9.18
5.56
2.49
2.97
CCC
Fonte: Altman e Saunders [1997,1730]
9
10
0.00
0.06
0.00
0.59
0.64
2.83
12.28
0.00
0.04
0.00
0.23
0.58
3.43
1.35
Da questa tabella di può notare come i tassi di insolvenza
marginali risultino crescenti al crescere degli anni per le classi di
rating migliori, mentre decrescenti per le classi di rating peggiori. Ciò
perché nel corso degli anni le imprese “migrano” in altre classi di
rating (upgrading/downgrading). Ovviamente è più probabile che tali
variazioni di rating avvengano in senso peggiorativo per le imprese
144
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appartenenti a classi di rating migliori, ed in senso migliorativo per
quelle appartenenti a classi di rating peggiori. Utilizzando la tabella 1
si possono calcolare, in base alla formula 2, i tassi di default cumulati.
Se vogliamo calcolare la probabilità di insolvenza cumulata a 4 anni
delle obbligazioni di classe BBB, avremo:
Tabella 3-Tassi di default marginali, di sopravvivenza, e cumulati della classe
BBB
ANNI
TDM
TS
TDC
0,41%
99,59%
0,41%
1
0,25%
99,75%
0,66%
2
0,32%
99,68%
0,97%
3
0,55%
99,45%
1,51%
4
Il tasso di default cumulato relativo al terzo anno, per esempio, si
ottiene tramite l’impiego della formula:
TDC3 = 1-(0,9959*0,9975*0,9968)=0,97%
Quindi applicando questa formula a tutte le classi di rating si
avrebbe la tabella seguente
145
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Tabella 1- Tassi di default cumulati (1971-1994)
Rating
1
2
3
4
5
6
0.00
0.00
0.00
0.00
0.08
0.08
AAA
0.00
0.05
1.11
1.20
1.20
1.20
AA
0.00
0.19
0.26
0.47
0.53
0.59
A
0.41
0.66
0.97
1.51
2.39
2.77
BBB
0.50
1.08
5.19
9.78
10.79
11.26
BB
1.59
8.60
14.82
21.02
23.71
28.21
B
8.32
18.13
33.30
40.14
45.63
48.66
CCC
Fonte: Altman e Saunders [1997,1730]
7
8
9
10
0.08
1.20
0.78
2.86
13.64
30.22
49.94
0.08
1.20
0.98
2.86
13.87
31.70
51.42
0.08
1.26
0.98
3.44
14.55
33.63
57.39
0.08
1.30
0.98
3.66
15.21
35.91
58.31
I tassi di default cumulati TDCt dovrebbero essere utilizzati dalle
banche, insieme ai tassi di recupero, per la determinazione dei premi
per il rischio connessi all’attività creditizia. Tuttavia, qualora l’attività
creditizia si riferisca ad un periodo maggiore dell’anno, le perdite
attese necessarie per il pricing dei prestiti non potrebbero basarsi solo
sui tassi di default cumulati.
I TDC esprimono la probabilità di insolvenza nel periodo che va
dall’emissione alla scadenza dell’attività, e quindi non sono espressi
su base annua come è necessario per il calcolo del premio di
rendimento del prestito.
Risulta quindi necessario ricavare i tassi di insolvenza su base
annua. Ponendo:
(t=1
T)
=(1-TDA)^T
(3)
si avrebbe
TDAT=1-( TSt)^1/T
(4)
146
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TDAT = Tasso di default annualizzato relativo al periodo T.
La tabella che segue offre una dimostrazione di calcolo dei tassi
di insolvenza annualizzati.
Tabella 5 – Tassi di default annualizzati della classe BBB.
Anno
TDM
TDC
0.41%
0.41%
1
0.25%
0.66%
2
0.32%
0.97%
3
0.55%
1.51%
4
TDA
0.41%
0.33%
0.30%
0.38%
Come risulta evidente, i tassi di insolvenza annualizzati sono
inferiori a quelli cumulativi.
147
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5.2.3 Option pricing theory57
La misurazione del tasso di insolvenza può essere stimata in base
all’approccio derivante dall’Option Pricing theory; di conseguenza, il
contesto teorico è quello relativo alla teoria delle opzioni sviluppata a
partire dal contributo di Black e Scholes e applicata poi all’analisi del
rischio di default da Merton. Questa teoria si basa sull’idea che gli
azionisti di una determinata società equivalgono ad acquirenti di
un’opzione call sul valore di mercato delle attività della stessa, il cui
prezzo di esercizio è pari al valore contabile del debito della società. Il
valore del capitale azionario può, quindi, essere considerato come il
valore di un’opzione call di tipo europeo sul valore di mercato delle
attività della società. Dal punto di vista intuitivo tale modello dice
questo: l’insolvenza di un’impresa avviene nel momento in cui il
valore delle attività risulti inferiore al valore delle passività. Le
variabili rilevanti nella determinazione della probabilità di insolvenza
dell’impresa sono:
57
Paragrafo basato sui seguenti testi Sironi A., 1998, cit. p.161-164; Anolli- Gualtieri,
1999, cit. p.47-55; Fabbri, 2000, cit. p.115-122
148
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1. valore delle attività (cioè valore attuale dei flussi di cassa che
l’impresa produrrà in futuro);
2. valore delle passività (valore contabile del debito che si
presuppone pari all’emissione di un titolo zero-coupon);
3. volatilità del valore delle attività.
L’unica variabile nota è il valore contabile del debito. La
probabilità di insolvenza sarà pari all’area rossa del grafico seguente:
P = valore contabile del debito;
A = Valore di mercato delle attività.
Il pay-off a scadenza dell’opzione call per gli azionisti è
illustrato nella seguente figura n.1:
149
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Fig.1 Pay-off degli azionisti a scadenza
Osservando il grafico si nota che se il valore delle attività (A1) a
scadenza fosse pari o inferiore a quello del debito (P), il pay-off degli
azionisti risulterebbe nullo (nella figura risulta –S in quanto perdono il
valore dei loro conferimenti). Se, invece, il valore dell’attivo (A2)
fosse maggiore del debito, il pay-off degli azionisti risulterebbe
positivo e pari alla differenza tra attività e debito. In termini analitici
entrambe le situazioni sono simboleggiate da questa uguaglianza:
Call = MAX (0, A-P)
Un approccio alternativo è quello di considerare il pay-off del
creditore: la posizione del creditore è quella di chi vende una opzione
put sul valore delle attività dell’impresa, con prezzo d’esercizio pari
al valore del debito (capitale+interessi). In figura:
150
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Fig.2 Pay-off dei creditori a scadenza
L’ordinata L rappresenta il rimborso totale del debito ai creditori
nel momento in cui il valore delle attività dell’impresa (A2) fosse
uguale o maggiore del debito (P); nel caso in cui il valore delle attività
(A1) fosse minore del debito (P), il rimborso di quest’ultimo andrebbe
sempre più diminuendo fino ad aversi una perdita totale rappresentata
dall’ordinata w. Quindi in termini simbolici:
Put = min (P, A).
Come già detto, l’unica variabile nota è il valore contabile del
debito. Per conoscere le altre due variabili (valore dell’attivo e
volatilità di quest’ultimo) necessarie per la stima del tasso di default, è
necessario assimilare il valore del capitale azionario a quello di
151
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un’opzione call. Poiché il valore di un’opzione è funzione di 5
variabili
(prezzo
d’esercizio,
prezzo
di
mercato
dell’attività
sottostante, tempo a scadenza, tasso di interesse e volatilità
dell’attività sottostante), il valore del capitale azionario risulterebbe:
C =ƒ(P,A,σA,T,i)
‘C’, ‘T’ e ‘i’ rappresentano rispettivamente il valore di mercato
del capitale azionario, la scadenza del debito e il tasso di interesse
risk-free. La funzione “f” rappresenta la formula di pricing di
un’opzione. Di queste 6 variabili sono note ‘C’ (prezzo di mercato
delle azioni), ‘P’ (debito contabile), ‘T’ ed ‘i’. Non sono note le altre
due, cioè valore e volatilità dell’attivo. Per poter conoscere queste due
variabili sarà necessario porre in essere un’altra equazione, e poiché vi
è un legame teorico tra volatilità del valore di mercato del capitale
azionario e volatilità del valore delle attività di un’impresa,
l’equazione risulta:
σC =ƒ(A,σA,P,i) ;
152
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poiché la volatilità del capitale azionario può essere stimata mediante
la volatilità del prezzo delle azioni dell’impresa, anche in questa
equazione non sono note il valore e la volatilità degli attivi
dell’impresa e quindi possono essere conosciute mediante un sistema
a due equazioni con due incognite.
153
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5.3 La perdita inattesa
La perdita inattesa, come è stato detto, è la perdita che dipende
dalla volatilità della perdita attesa, ossia la perdita derivante dalla
differenza tra la perdita corrispondente al worst case scenario e la
perdita attesa. Mentre quest’ultima trova copertura nel pricing del
prestito, la perdita inattesa implica accantonamenti e capitale
economico assorbito in relazione all’ammontare stimato della stessa.
L’esistenza di una perdita inattesa dipende dai due elementi che
compongono la perdita attesa: recovery rate e tasso di insolvenza
dell’impiego.
In altri termini la perdita inattesa è legata alla possibilità che il
tasso di insolvenza effettivamente registrato a posteriori risulti
superiore di quello stimato e/o, in caso di insolvenza, il tasso di
recupero risulti inferiore a quello stimato. In una logica VAR ciò
potrebbe essere rappresentato in questo modo:
154
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Fonte:Sironi Marsella [1998,42]
Questo grafico aiuta a comprendere la natura della perdita attesa
e della perdita non attesa. Come si può notare la perdita attesa è pari al
prodotto del tasso di insolvenza medio atteso E(T) con il tasso di
perdita atteso in caso di insolvenza 1-E(TR): quindi l’area tratteggiata in
rosso equivale alla perdita attesa. La perdita inattesa viene calcolata
decidendo il livello di confidenza (grado di avversione al rischio);
quindi nel grafico sono stati indicati i valori che tagliano le
distribuzioni in corrispondenza di un livello di confidenza del 99% (si
è supposto una distribuzione normale del tasso di insolvenza). Il
155
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prodotto tra i lati T99% e (1-TR99%) rappresenta la perdita complessiva
che si avrebbe, con un intervallo di confidenza del 99%, se entrambe
le variabili subissero una variazione sfavorevole (worst case scenario)
rispetto ai valori attesi. Quindi la perdita non attesa è pari alla
differenza tra queste due aree, cioè l’area tratteggiata in verde. Il
calcolo del VAR di un’esposizione creditizia comporta, naturalmente,
la stima della distribuzione di probabilità del tasso di perdita; il valore
medio di quest’ultimo è maggiore di zero, a differenza dello stesso per
i rendimenti dei fattori di mercato che è presupposto nullo58.
58
Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia, in AA.VV.,
p.184.
156
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5.3.1 Il VAR di un’esposizione creditizia
I modelli per la stima della perdita inattesa (VAR) di
un’esposizione creditizia possono essere classificati in base alla
variabile di cui viene stimata la distribuzione di probabilità: tasso di
default oppure mark-to-market59.
Generalmente si usa il modello basato su una distribuzione di
probabilità del tasso di default quando il fine relativo all’esposizione
creditizia è l’investimento (banking book), in quanto risulta più
coerente con l’obiettivo della banca. Il secondo modello, invece, viene
utilizzato qualora l’esposizione creditizia fosse legata al fine di trading
(trading book); e anche in quest’ultimo caso ciò sarebbe coerente e,
come si vedrà, incorpora anche i cambiamenti di valore delle
esposizioni dovute a variazione degli spread creditizi.
In base all’ipotesi di distribuzione della probabilità si potrebbe
avere sia una distribuzione continua (metodologia CrediSuiss+), che
una distribuzione discreta60.
59
Fabbri A., 2000, La gestione del rischio di credito: dall’approccio tradizionale ai
modelli di portafoglio, in Nassetti C. F., Fabbri A., cit., p.350.
60
Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia, cit., p. 185.
157
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La prima metodologia parte da una stima della volatilità dei tassi
di insolvenza e da questa calcola l’intera distribuzione di probabilità.
Gli inputs sono, oltre alla volatilità dei tassi di default, il ratings delle
controparti e i Recovery rate.
La seconda metodologia si basa, principalmente, su una
classificazione dei debitori per classi di rating e la distribuzione di
probabilità viene costruita in base a questi inputs: tassi di insolvenza
delle relative classi di rating, probabilità di migrazione da una classe
di merito ad un’altra e recovery rate (come vedremo in seguito, la
metodologia CreditMetrics richiede anche la curva degli spread
creditizi).
Altro aspetto rilevante è la scelta dell’orizzonte temporale di
valutazione. Indipendentemente dal modello utilizzato, l’orizzonte
temporale di riferimento può essere comune a tutti i tipi di esposizione
creditizia, oppure può coincidere con la scadenza dell’esposizione in
essere (hold-to-maturity)61.
Anche in questo caso la scelta dipende dagli obiettivi che la
banca ha riguardo alle posizioni creditizie presenti in portafoglio.
Il primo approccio è coerente con la frequenza di trading delle
158
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posizioni creditizie in portafoglio, e un holding period annuale
sarebbe adatto alle politiche di accantonamenti e di utilizzo del
capitale economico.
Un approccio hold-to-maturity, invece, è coerente con l’obiettivo
di investimento oppure con il condizionamento di un mercato
secondario poco liquido.
Le banche generalmente utilizzano il primo approccio, tuttavia lo
stesso non prende in considerazione una maggiorazione del rischio
presente in esposizioni creditizie con vita residua maggiore di un
anno. Per ovviare a questo inconveniente, e a date condizioni che
vedremo in seguito, è necessario trasformare il VAR annuale in un
VAR relativo al periodo che insistente sulla esposizione creditizia.
Dunque è necessario tenere conto del modello di credit risk
management adottato. Se il VAR annuale è stato calcolato su una
distribuzione continua dei tassi di default e sull’utilizzo della volatilità
del tasso di default, allora si dovrà utilizzare questa formula62:
σDT =σDt(T/t)^2
61
62
Fabbri A., 2000, La gestione del rischio di credito:, cit. p. 355.
Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia, cit., p. 190.
159
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σDT = volatilità del tasso di default relativa al periodo T.
Nel caso in cui il modello utilizzato si basa su una distribuzione
discreta dei tassi di default, con utilizzo di matrici di transizione che
misurano le frequenze con le quali si possono verificare variazioni del
merito creditizio, occorre trasformare la matrice di transizione annuale
in una matrice di transizione relativa al periodo d’interesse (come
vedremo in seguito). Se ciò non fosse possibile, ossia dovessero venire
meno determinate condizioni e ipotesi che permettano la validità di
tali trasformazioni delle volatilità e delle matrici annuali (comunque
basate su stima) occorrerà stimare per entrambi gli approcci le relative
volatilità e le matrici di transizione.
In questa procedura essenziale risulta essere la scelta
dell’intervallo di confidenza. Diversamente per i rischi di mercato in
cui la distribuzione di probabilità assume una forma gaussiana e
quindi normale, la distribuzione di probabilità dei tassi di insolvenza
(e quindi di perdita) risulta non normale e quindi la scelta
dell’intervallo di confidenza per il rischio creditizio non può basarsi
sull’utilizzo di un fattore scalare come per i rischi di mercato63.
63
Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia, cit., p. 192.
160
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Si possono prospettare varie ipotesi. Ipotizzare una forma di
distribuzione di probabilità diversa da quella normale (è il caso della
metodologia CreditSuiss+), ricavata dalla stima della volatilità dei
tassi di insolvenza. Oppure non formulare nessuna ipotesi, e tagliare il
tasso di perdita in corrispondenza del livello di confidenza desiderato
in una logica del percentile.
161
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5.3.2 Approccio “insolvenza vs non insolvenza”
Una delle metodologie di valutazione del rischio di credito è
quella che prende in considerazione esclusivamente il fenomeno del
default.
Questo modello risulta più aderente alla valutazione del rischio di
credito relativo ai prestiti bancari, in quanto il rapporto contrattuale tra
banca e cliente non è così rigido come può esserlo tra quello di una
banca e l’emittente di obbligazioni.
La rischiosità creditizia può ricondursi alla categoria degli eventi
binomiali, caratterizzati da una probabilità ‘p’ e una probabilità
contraria e complementare ‘q’. Nella distribuzione binomiale di
probabilità l’esito di una singola prova presenta un valore atteso
(media) pari a p e scostamento quadratico medio (standard deviation)
pari a (p*q)^1/2 (la media di una distribuzione binomiale di probabilità è
pari a n*p, la sua varianza n*p*q, dove n rappresenta il numero di
prove)64.
64
Cicardo G., 1999, Controllo del rischio di credito: profili di regolamentazione
prudenziale, in AA.VV., p152-153.
162
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Secondo questo modello una perdita avviene soltanto qualora si
verifichi l’insolvenza della controparte. Quindi la perdita in caso di
insolvenza, con una probabilità pari a E(t), sarà 1-E(TR) (loss given
default); mentre nel caso di non insolvenza la perdita, con probabilità
1-E(t), sarà 0.
Quindi in base a questi dati, utilizzando un approccio binomiale
di una variabile casuale, si possono calcolare media (che identifica la
perdita attesa) e volatilità (che identifica la perdita inattesa) della
distribuzione di probabilità delle perdite65:
E(PA)=E(t)*[1-E(TR)] (perdita attesa)
σ^2(PA)=E(t)*[1-E(t)]*[1-E(TR)]^2
Calcolata la varianza della perdita attesa si potrà conoscerne la
volatilità, cioè la perdita inattesa:
σ(PA)={E(t)*[1-E(t)]*[1-E(TR)]}^2=[1-E(TR)]*{E(t)*[1- E(t)]}^1/2
65
Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia,cit., p.197-198.
163
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Visto che la volatilità della perdita attesa non dipende solo dalla
volatilità del tasso di insolvenza, ma anche dalla volatilità del tasso di
recupero σTR, si avrà:
σ(PA) =E(t)*[1- E(t)]*[1-E(TR)]^2 +E(t)*σ^2(TR)
Esempio di calcolo della perdita inattesa. Si ipotizzi una
probabilità di insolvenza del 2%, un tasso di recupero del
70% e una volatilità di quest’ultimo pari al 5%.
Analiticamente:
σ(PA) = 0,02*(1-0,02)*(1-0,7)^2+0,02*0,05^2= 0,18%
164
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5.3.3 Approccio basato su una distribuzione discreta
dei tassi di insolvenza
Questo tipo di approccio per la misurazione del VAR di una
esposizione creditizia, in contrapposizione al precedente, non tiene
conto del solo rischio di insolvenza ma anche del rischio di
migrazione, ossia della probabilità che un determinato soggetto
appartenente ad una classe di merito resti, in un orizzonte temporale di
riferimento (holding period), nella stessa classe oppure “migri” verso
altre classi. Inoltre, sempre differentemente dal modello precedente,
evita di trascurare il diverso grado di rischio associato alla diversa vita
residua degli impieghi in portafoglio.
Necessari all’attuazione di tale approccio sono:
1.
i tassi d’insolvenza attesi per ogni classe di merito creditizio
(tassi di insolvenza cumulati);
2.
la matrice di transizione che esplichi la probabilità di migrazione
verso altre classi.
165
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5.3.3.1 La matrice di transizione e il rischio di
migrazione
Come è stato detto, la matrice di transizione descrive il
comportamento evolutivo del tasso di insolvenza, legato ad una
determinata classe di rating in un certo periodo di riferimento. Un
esempio di matrice di transizione è questa:
Tabella 1 Matrice di transizione a un anno
Rating a fine anno (%)
Rating
AAA
AA
A
iniziale
88.5
8.1
0.7
AAA
0.6
88.5
7.6
AA
0.1
2.3
87.6
A
0
0.3
5.5
BBB
0
0.1
0.6
BB
0
0.1
0.2
B
0.2
0
0.3
CCC
0
0
0
Default
Fonte: Standard&Poor’s,1997.
BBB
BB
B
CCC
Defaul
0.1
0.6
5
82.5
7
0.4
1
0
0.1
0.1
0.7
4.7
73.8
6
2.2
0
0
0.1
0.2
1
7.6
72.8
9.6
0
0
0
0
0.1
0.9
3.4
53.1
0
0
0
0.4
0.2
1
4.9
19.3
100
Come si vede, il risultato più probabile, da un anno all’altro, sarà
la permanenza nella classe di rating iniziale; tuttavia non vengono
escluse probabilità di migrazione verso altre classi. Ad esempio, un
soggetto di classe A ha una probabilità dell’87,6% di restare nella
stessa classe, mentre ha minori probabilità di migrare in altre classi.
166
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L’unità di analisi all’interno delle matrici di transizione è la
singola società emittente debito a lungo termine, indipendentemente
dall’ammontare nominale del debito emesso e dal numero di emissioni
effettuate.
Le banche utilizzano un orizzonte temporale di riferimento
solitamente annuale. Tuttavia, qualora il periodo di riferimento fosse
superiore all’anno, la matrice di transizione annuale dovrebbe essere
trasformata in una avente orizzonte temporale più lungo. In pratica la
matrice annuale dovrebbe essere moltiplicata per se stessa tante volte
quanti sono gli anni da considerare meno uno. Analiticamente la
probabilità che un soggetto di classe A resti per due anni consecutivi
nella stessa classe è pari a:
87,6*87,6+2,3*7,6+0,1*0,7+5*5,5+0,7*0,6+0,2*0,2=77,5.
Quindi, generalizzando, la matrice di transizione a t anni si
ottiene con la seguente formula66:
N
PMi,t=∑ jPMi,t*iPMj,t
j
i=1
66
Anolli-Gualtieri, 1999, La misurazione del rischio di credito, cit. p.73.
167
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jPMi,t rappresenta
la probabilità che un soggetto di classe j migri verso
i durante il periodo t. N rappresenta il numero delle classi di rating.
Come è stato detto all’inizio, affinché da una matrice (e quindi da
un periodo di riferimento) sia possibile ricavarne un’altra per un
periodo più lungo (poiché sarebbe più corretto averne una originaria,
cioè stimata e non ricavata) occorrerà che si verifichino determinate
condizioni. In riferimento al singolo impiego, la probabilità di
movimento da una classe ad un’altra deve essere indipendente67:
1.
indipendente dalla propria storia passata, cioè indipendente dal
fatto che in passato abbia subito upgrading o downgrading;
2.
temporalmente stazionaria, ossia costante nel tempo;
3.
la stessa per tutti gli impieghi classificati in una certa classe,
indipendentemente dalle caratteristiche del singolo impiego;
4.
indipendente dai movimenti cui sono soggetti gli altri impieghi.
Se una delle precedenti condizioni non dovesse essere verificata,
la matrice costruita porterebbe a stime della perdita inattesa molto
lontane dalla realtà.
67
Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia,cit., p. 205.
168
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5.3.3.2 La perdita inattesa come deviazione standard
della perdita attesa
Come è stato detto per il calcolo della perdita inattesa, in base ad
un approccio basato su una distribuzione discreta dei tassi di
insolvenza, è necessario calcolare le probabilità di insolvenza
cumulate e la matrice di transizione rispetto ad un relativo periodo di
riferimento. In questo paragrafo analizzeremo la perdita inattesa come
una semplice deviazione standard della perdita attesa.
Prendendo in considerazione la seguente tabella di probabilità di
insolvenza cumulate:
Tabella 1 Tassi di default cumulati (1971-1994)
Rating
1
2
3
4
5
6
0.00
0.00
0.00
0.00
0.08
0.08
AAA
0.00
0.05
1.11
1.20
1.20
1.20
AA
0.00
0.19
0.26
0.47
0.53
0.59
A
0.41
0.66
0.97
1.51
2.39
2.77
BBB
0.50
1.08
5.19
9.78
10.79
11.26
BB
1.59
8.60
14.82
21.02
23.71
28.21
B
8.32
18.13
33.30
40.14
45.63
48.66
CCC
Fonte: Altman e Saunders [1997,1730]
7
8
9
10
0.08
1.20
0.78
2.86
13.64
30.22
49.94
0.08
1.20
0.98
2.86
13.87
31.70
51.42
0.08
1.26
0.98
3.44
14.55
33.63
57.39
0.08
1.30
0.98
3.66
15.21
35.91
58.31
la perdita attesa di un impiego a 7 anni di classe BBB, con un holding
period di un anno e un recovery rate pari al 60%, è:
PABBB,7=2,86%*(1-60%)=1,144
169
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Per il calcolo della perdita inattesa come semplice deviazione
standard di quella attesa, si deve tener conto che i possibili eventi sono
rappresentati dai tassi di insolvenza cumulata a 6 anni relative alle 7
classi di rating. Le probabilità che questi eventi succedano sono
rappresentate dalle frequenze con cui il soggetto finanziato migra, nel
corso di un anno, verso altre classi di rating. In base alla seguente
matrice di transizione:
Tabella 2 Matrice di transizione a un anno
Rating a fine anno (%)
Rating
AAA
AA
A
iniziale
88.5
8.1
0.7
AAA
0.6
88.5
7.6
AA
0.1
2.3
87.6
A
0
0.3
5.5
BBB
0
0.1
0.6
BB
0
0.1
0.2
B
0.2
0
0.3
CCC
0
0
0
Default
Fonte: Standard&Poor’s,1997.
BBB
BB
B
CCC
Defaul
0.1
0.6
5
82.5
7
0.4
1
0
0.1
0.1
0.7
4.7
73.8
6
2.2
0
0
0.1
0.2
1
7.6
72.8
9.6
0
0
0
0
0.1
0.9
3.4
53.1
0
0
0
0.4
0.2
1
4.9
19.3
100
la perdita non attesa di un impiego di classe BBB a 7 anni con vita
residua di un anno è pari a:
{0*[0.08(1-60%)-2.77(1-60%)]^2+0.3*[1.20(1-60%)-2.77(160%)]^2+5.5*[0.59(1-60%)-2.77(1-60%)]^2+82.5*[2.77(1-60%)-2.77(160%)]^2+4.7*[11.26(1-60%)-2.77(1-60%)]^2+1*[28.21(1-60%)-2.77(160%)]^2+0.1[48.66(1-60%)-2.77(1-60%)]^2}^1/2 = 13.96%
170
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
Autore: Lorusso Vincenzo
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Generalizzando e ponendo le classi di rating AAA=1, AA=2, A=3,
BBB=4, BB=5, B=6 e CCC=7, si avrà68:
Pij,t ={
jPMi,t*(PAi,t-1-PAj,t-1)
^2 ^1/2
}
dove
PIj,t =perdita inattesa relativa ad un impiego di classe j e vita residua t;
PAi,t-1 = perdita attesa di un impiego di classe i e vita residua t-1;
PA j,t-1 = perdita attesa di un impiego di classe j e vita residua t-1.
Questa formula prende in considerazione solo la volatilità del
tasso di insolvenza come causa principale della perdita inattesa, ma
sappiamo che la perdita inattesa dipende anche dalla volatilità del
tasso di recupero. In termini analitici69:
Pij,t ={
68
69
PMi,t*[(PAi,t-1+σTR)-PAj,t-1]^2}^1/2
j
Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia,cit., p. 207.
Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia,cit., p. 208.
171
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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5.3.3.3 La perdita inattesa come perdita massima
potenziale con un certo livello di confidenza: il VAR
Il paragrafo precedente calcola la perdita inattesa come semplice
volatilità (deviazione standard) dei fattori che compongono la perdita
attesa, cioè recovery rate atteso e tasso di default atteso. Il valore a
rischio di una posizione finanziaria è differente dalla semplice
deviazione standard, in quanto include la perdita potenziale attesa, al
variare del tasso di insolvenza atteso ed il tasso di recupero atteso
(entro un certo livello di confidenza).
Per far ciò è necessario tagliare la distribuzione dei tassi di
insolvenza (dei tassi di perdita, se si dovesse tener conto anche dei
tassi di recupero) in corrispondenza del livello di percentile (livello di
protezione desiderato e, quindi, grado di avversione del rischio). Se
volessimo calcolare il VAR a un anno per un impiego a 7 anni di
classe 4 (cioè BBB), dovremmo prima calcolare la perdita attesa che si
avrebbe alla fine dell’anno, cioè:
PA4,6 = 2,77%*(1-60%) = 1,108
172
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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Per il calcolo del valore a rischio della posizione creditizia
considerata sarà necessario stabilire il livello di confidenza
considerato, isolando le probabilità di migrazione a 1 anno
dell’impiego di classe 4 (BBB). Ad esempio, un livello di protezione
del 99% implica l’esclusione dell’1% (probabilità cumulata a un anno
di un downgrading al rating CCC degli eventi, attribuendo ad una
percentuale minima (1%) la probabilità che il soggetto affidato
“migri” al di sotto della classe B (nell’esempio, la probabilità di
migrazione dell’impiego di classe 4 verso la classe 7 CCC. In questo
caso, il VAR dell’impiego, con un livello di confidenza del 99%, è
pari a70:
VAR4,7,99% =PA6,6-PA4,6 =11,284- 1,108 =10,176%
Il valore a rischio trovato non prende però in considerazione la
variazione che il tasso di recupero atteso possa subire durante l’anno.
Quindi se si dovesse supporre che il recovery rate possa scendere, con
una probabilità del 99%, al 20%, il VAR sarebbe pari a:
VAR4,7,99% =PDC6,6*(1-TR99%)-PA4,6 =22,568 - 1,108 = 21,46
70
Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia,cit., p. 209.
173
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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5.4 CreditMetrics71
Il modello di misurazione del rischio di credito CreditMetrics è
basato su una distribuzione dei valori di mercato. Questa metodologia,
messa a punto dalla banca americana J.P. Morgan, mira a stabilizzare
il valore di un portafoglio di crediti bancari facendo leva sulle
correlazioni esistenti tra i diversi Paesi e i diversi settori merceologici.
In particolare CreditMetrics misura, in un ottica di portafoglio, il
cambiamento di valore degli strumenti di debito a seguito dei
cambiamenti
nel
merito
creditizio
del
debitore
(upgrading,
downgrading e default). Rispetto al modello precedente CreditMetrics
introduce una variabile di rischio addizionale, cioè la variazione degli
spread richiesti dal mercato.
Ma prima di parlare del rischio di portafoglio, introducendo la
terza componente di rischio di credito (effetto diversificazione), sarà
opportuno esporre la valutazione del valore a rischio di una singola
esposizione creditizia.
71
Questo paragrafo e i successivi esempi sono basati sui seguenti testi: Fabbri A., 2000. La
gestione del rischio di credito, cit. p. 356-366, Anolli – Gualtieri, 1999, La misurazione del rischio
di credito, cit. p.89-102, Resti A., 1999, Credit Metrics: insolvenze e altri eventi creditizi, in Il
rischio creditizio, (a cura di Szego, Varetto), cit., p.306-319.
174
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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5.4.1 Valutazione delle singole esposizioni
Per la misurazione del valore a rischio di una singola esposizione
creditizia sono necessari i seguenti passaggi:
Rilevazione del rating del prenditore, cioè probabilità di default o di
migrazione verso altre classi di rating entro un determinato orizzonte
temporale (matrice di transizione);
Stima del tasso di perdita in caso di default (stima dei recovery
rate);
Stima dei credit spread;
Calcolo della volatilità o del valore a rischio della singola
esposizione.
La prima fase prevede la stima delle probabilità di migrazione e
quindi della matrice di transizione. Supponendo di avere la seguente
matrice di transizione:
Dalla classe
A
B
C
A
97%
2%
2,5%
…alla classe
B
1,5%
94%
3,0%
C
Default
1%
3%
90%
0,5%
1%
4,5%
Tab.1 Matrice di transizione ad 1 anno: Fonte personale (valori di fantasia)
175
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Dopo aver stimato i tassi di migrazione sarà necessaria una stima
dei recovery rate. CreditMetrics, in questo caso, si basa sui dati storici
registrati nel mercato dei bond pubblici dalle agenzie rating, le quali
riportano il valore assunto dai titoli quando l’emittente diviene
insolvente. Nella tabella 2 sono riportati esempi di recovery rate.
Tab. 2 Tassi di recupero
Tipologia
Senior
secured
Recovery
53.80%
rate
Fonte : Sironi, 1998.
Senior
unsecured
Senior
subordina
ted
Subordina
ted
Junior
subordina
ted
51.13%
38.52%
32.74%
17.09%
Dopo aver stimato i tassi di recupero, la successiva fase prevede
il calcolo dei tassi forward. Un esempio a questo punto risulta
necessario.
Supponiamo di voler valutare un’obbligazione a tasso fisso del
7%, valore nominale 10mln e vita residua pari a cinque anni, emessa
da un emittente di classe di rating A. Il valore attuale di questa
obbligazione è pari al valore attuale dei futuri flussi di cassa scontati
ai relativi tassi di sconto associati alla categoria di rating a cui
appartiene l’emittente. Nell’esempio i futuri flussi sono scontati
secondo i tassi spot della tabella seguente:
176
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Tabella 3 Tassi spot annui
Anni
1
2
3
5.00%
5.20%
5.70%
Classe A
5.20%
5.50%
6.20%
Classe B
6.00%
6.40%
7.20%
Classe C
Fonte personale (valori a fantasia)
4
5
6.40%
7.00%
8.40%
7.20%
8.00%
9.50%
Ammesso che il valore attuale dell’obbligazione sia 9.996.000
Lit., se volessimo sapere quale sarà il valore futuro dell’obbligazione
tra un anno (orizzonte di riferimento=1anno), dovremmo ricavare i
tassi forward annui. Questi tassi si ricavano in base al principio di
assenza di arbitraggio, cioè secondo la seguente formula:
[1+ i(0, 1)]*[1+i(1, t)]^t-1=[1+i(0, t)]^t
Tabella 4 Tassi forward
Anni
i(1,2)
i(1,3)
5.40%
6.05%
Classe A
5.80%
6.70%
Classe B
6.80%
7.81%
Classe C
Fonte personale (valori a fantasia
i(1,4)
i(1,5)
6.87%
7.61%
9.21%
7.76%
8.71%
10.39%
Dopo aver calcolato i tassi forward si dovranno calcolare i
valori futuri dell’obbligazione, sia che rimanga in A e sia che “migri”
verso altre classi incluso lo stato di default (si supponga un tasso di
recupero del 70% per la classe A). I possibili valori che l’obbligazione
potrà assumere, associati alle relative probabilità di migrazione, sono i
seguenti:
177
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Tabella 5 Distribuzione dei valori futuri
Valore
Stato futuro
9.795.000
Classe A
9.500.000
Classe B
9.000.000
Classe C
7.000.000
Default
Elaborazione personale.
Probabilità
97%
1.5%
1.0%
0.5%
(Una metodologia alternativa, per derivare la variazione del
valore di mercato della singola posizione creditizia in relazione a
ciascun cambiamento di rating, potrebbe essere quella di moltiplicare
per la duration modificata della relativa posizione creditizia la
differenza tra lo spread di rendimento della classe di rating iniziale e
quella raggiunta dopo la migrazione.)
La tabella n.5 rappresenta la distribuzione di probabilità dei
valori dell’obbligazione, quindi è possibile calcolare il valore medio e
la deviazione standard, che risultano rispettivamente pari a 9.768.000
e 2.887.000.
La volatilità del valore dell’esposizione al rischio condizionata
all’evoluzione del merito creditizio dell’emittente l’obbligazione può
essere sintetizzata, oltre che dalla deviazione standard, anche dal
percentile. Il
primo percentile è dato dal valore sotto il quale
l’obbligazione scenderà con probabilità pari all’1%, il secondo
percentile è dato dal valore sotto il quale lo strumento scenderà con
178
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una probabilità del 2%. Ora nell’esempio precedente un secondo
percentile sta a significare che nel 98% delle probabilità il titolo potrà
al massimo subire un declassamento a B, e quindi
il valore
dell’obbligazione potrà oscillare tra il suo valore medio (9.768.000) e
9.500.000. Il VAR98% sarà pari a questa differenza, cioè 268.000
(9.768.000 - 9.500.000).
179
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5.5 Il rischio di portafoglio e l’effetto diversificazione
Nel paragrafo precedente abbiamo calcolato il valore a rischio
della singola esposizione creditizia. In questo paragrafo si cercherà di
dimostrare che l’effetto diversificazione corregge, riducendola, la
somma delle perdite inattese delle singole esposizioni.
Supponiamo di avere in portafoglio un’altra obbligazione,
insieme alla precedente, di rating C del valore di 15mln, cedola 6% e
vita residua triennale. Ora in base ai tassi spot e forward
precedentemente calcolati, la distribuzione dei valori futuri (a un
anno), ipotizzando un tasso di recupero del 30%, è rappresentata nella
seguente tabella:
Tabella 6 Distribuzione dei valori futuri
Valore
Stato futuro
14.991.000
Classe A
14.816.000
Classe B
14.522.000
Classe C
4.500.000
Default
Elaborazione personale.
Probabilità
2,5%
3%
90%
4,5%
Con valore atteso pari a 14.091.000, deviazione standard
2.083.000 e VAR98% 9.591.000.
A questo punto è necessario conoscere la distribuzione di
probabilità di transizione congiunta delle due obbligazioni, per poter
180
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calcolare VAR e deviazione standard del portafoglio composto da
entrambi i prestiti, tale da rilevare l’effetto diversificazione.
Immaginiamo di avere una previsione sulle probabilità di
transizione congiunta di entrambe le obbligazioni, e cioè:
Tabella 7 Distribuzione delle probabilità di transizione congiunte delle due
obbligazioni
Stato della seconda obbligazione
A
B
C
Default
Totale
Stato
2.43
2.91
87.3
4.36
97.00
A
della
0.04
0.05
1.35
0.07
1.51
B
prima
0.03
0.02
0.90
0.05
1.00
C
obbligaz
0.01
0.02
0.45
0.01
0.49
Default
ione
2.51
3.00
90.00
4.49
100.00
Totale
Elaborazione personale
Come si può notare, la percentuale evidenziata in giallo è la più
alta, perché alta è la probabilità che entrambe le obbligazioni (come
somma dei due prestiti) continuino a restare nelle rispettive classi di
rating. La tabella seguente mostra, invece, i possibili valori futuri del
portafoglio:
Primo
prestito
Stato
A
B
C
Default
A
24.386.000
24.091.000
23.591.000
21.591.000
Secondo
B
24.611.000
24.316.000
23.816.000
21.816.000
prestito
C
24.317000
24.022.000
23.522.000
21.522.000
Default
14.295.000
14.000.000
13.500.000
11.500.000
In base a questi dati si potrà conoscere il rischio di portafoglio
espresso dalla deviazione standard e dal valore a rischio.
181
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Analiticamente:
Tabella 9 Valore a rischio di un portafoglio obbligazioni
Obbligazione 1
Obbligazione 2
9.768.000
14.091.000
Valore atteso
Deviazione
2.887.000
2.083.000
standard
Secondo
9.500.000
4.500.000
percentile
268.000
9.591.000
VAR98%
Elaborazione personale
Da
quest’ultima
tabella
si
può
notare
Portafoglio
23.859.000
4.953.000
14.295.000
9.564.000
che
l’effetto
diversificazione comporta un rischio di portafoglio minore rispetto
alla somma dei rischi delle due posizioni creditizie; infatti la
deviazione standard del portafoglio è minore della somma delle altre
due, e lo stesso vale per il valore a rischio. Quindi la diversificazione,
a parità di rendimento medio, riduce la varianza di portafoglio
attraverso una riduzione del rischio specifico o idiosincratico.
Quando si parla di rischio di portafoglio non si può fare a meno
di parlare del problema della stima delle correlazioni, e in questo caso
della costruzione delle matrici di transizione congiunte di più
esposizioni creditizie.
182
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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Ci sono vari modi per stimare le correlazioni tra le variazioni dei
di mercato delle posizioni creditizie. Tra gli approcci più utilizzati
figurano i seguenti:
1.
misurazione delle correlazioni tra le variazioni degli spread di
rendimento, rispetto ai titoli privi di rischio, dei diversi titoli
obbligazionari;
2.
analisi delle migrazioni delle imprese da una classe di rating a
un’altra. I dati di riferimento sono le matrici di transizione delle
principali agenzie di rating;
3.
modello Merton.
Su quest’ultimo modello si basa la metodologia CreditMetrics. In
particolare, poiché il modello sviluppato da Merton parte dalla
considerazione che il valore delle attività di un impresa determinino la
sua capacità di solvenza, il modello CreditMetrics non si limita solo a
conoscere il valore al di sotto della quale l’impresa diviene insolvente,
ma ipotizza che esistano diverse soglie che determinano, una volta
varcate, il cambiamento della classe di rating. Il modello si basa su
183
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una distribuzione di probabilità del valore delle attività secondo una
curva normale.
Fonte: Anolli-Gualtieri,1999, p.99.
Se, ad esempio, al superamento della soglia CCC è associata una
probabilità di –60%, una svalutazione delle attività del 60% porterà
l’impresa a non essere più classificata BBB ma CCC. Vantaggio di
questo modello è che sulla base del rendimento delle attività (e quindi
del valore atteso e della deviazione standard) risulta possibile
calcolare la probabilità di accadimento degli eventi creditizi.
Una volta trovate le probabilità di migrazione dei singoli debitori
è possibile calcolare la matrice varianza-covarianza dei debitori
(sempre in base all’ipotesi che i rendimenti delle attività siano
distribuiti normalmente) onde potersi calcolare la probabilità di
transizione congiunte. Le variazioni di valore delle attività di due
imprese, ad esempio, verranno rappresentate con una curva normale
184
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doppia, così che sarà sufficiente conoscerne il coefficiente di
correlazione per poter ricavare qualunque distribuzione. CreditMetrics
stima le correlazioni fra i valori delle attività degli emittenti
calcolando le correlazioni sulla base di indici settoriali di rendimenti
azionari. Tuttavia, al crescere del numero di posizioni non è più
conveniente derivare le matrici di probabilità congiunte, ma è
preferibile approssimare i risultati attraverso una simulazione Monte
Carlo.
185
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5.6 CreditRisk+72
CreditRiskPlus è un modello di valutazione e gestione del rischio
creditizio sviluppato dal Credit Suisse. Questo modello è volto a
stimare l’ammontare di capitale economico a rischio a fronte di un
determinato portafoglio di esposizioni creditizie detenute. È un
modello attuariale in quanto riprende tecniche di risk management e
algoritmi di calcolo in gran parte mutuati dalla gestione dei portafogli
di polizze vita delle compagnie di assicurazione.
5.6.1 Input iniziali del modello
Il CreditRisk+ tende a concentrarsi sul rischio di insolvenza,
ovvero sulla perdita che un’azienda di credito sostiene a seguito della
possibile inadempienza delle controparti. In questo modo i singoli
debitori vengono classificati in base ai rating e all’ammontare delle
esposizioni creditizie.
72
Paragrafo basato su Micocci M.,1999, I modelli attuariali: Credit Risk Plus, in AA.VV,
(a cura di Szego-Varetto),cit. p.361-378.
186
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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Gli input necessari per costruire questo modello sono:
1.
ammontare esposizione;
2.
ratings delle controparti;
3.
tassi di default;
4.
recovery rates;
5.
volatilità tassi di default.
Tuttavia, a differenza del modello CreditMetrics, viene stimato in
modo diretto, solo l’impatto dell’insolvenza sul valore delle
esposizioni detenute in portafoglio, mentre solo indirettamente
vengono stimati fenomeni di Upgradings/downgradings delle
posizioni creditizie. Precisamente, mentre nel modello CreditMetrics
una variazione del rating di una posizione creditizia comporta una
variazione del valore economico del portafoglio, con CreditRisk+ un
variazione di valore del portafoglio si ha solo nel momento in cui la
variazione di rating produce una variazione del tasso di default
implicito nei diversi nominativi presenti nel portafoglio.
187
IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE
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5.6.2 La valutazione del numero e della dimensione
delle insolvenze
I dati precedenti sono necessari per individuare la distribuzione
del numero degli adempimenti e, sulla base di questa, la distribuzione
di probabilità delle perdite per insolvenza.
Se prendiamo in considerazione il solo caso di tassi di default
costanti nel tempo, il numero delle insolvenze di un portafoglio, in un
periodo definito (un anno), può essere descritto da una distribuzione di
Poisson. Nel caso in cui si prenda in considerazione anche la volatilità
dei tassi di default, allora il numero delle insolvenze può essere
descritto da una distribuzione gamma.
Le differenze possono essere rappresentate dalla seguente figura.
188
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La diversità nella forma delle due distribuzioni e soprattutto nelle
“code” evidenzia, a parità di numero di inadempimenti, maggiori
probabilità di risultati positivi (basso numero di inadempimenti) e
negativi (alto numero di inadempimenti) nell’ipotesi di tassi variabili.
5.6.3 Il capitale economico
Una volta costruito il modello di distribuzione delle perdite,
sulla base dei modelli precedenti di distribuzione delle probabilità del
numero degli inadempimenti, è possibile gestire il rischio di credito in
base ai valori ottenuti. Così, in base ad un modello di distribuzione
delle perdite come il seguente,
189
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si potranno individuare le grandezze necessarie per attuare una
politica di gestione del rischio di credito. Infatti dal grafico
distinguiamo:
•
perdita attesa (potrebbe essere gestita mediante una politica di
pricing e di accantonamenti);
•
perdita inattesa, corrispondente alla zona rossa della figura, che è
pari alla differenza tra la perdita corrispondente al 99° percentile
e il livello medio delle perdite (verrebbe colmata dal Capitale
Economico, cioè accantonamenti a fondi riserva e fondi rischi);
•
perdita corrispondente ad un livello superiore al 99° percentile
(anche questa perdita, aggiuntiva rispetto alla precedente, la si
potrebbe gestire mediante un’opportuna diversificazione dei
prestiti nei vari settori).
Gli accantonamenti dovrebbero essere periodici, in particolare
annui.
190
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5.7 Il modello KMV73
Un’applicazione interessante per la determinazione dei tassi di
insolvenza è quella proposta dalla società di consulenza e analisi
finanziaria statunitense KMV Corporation.
L’approccio KMV pur basandosi sul modello CreditMetrics, nel
senso che si basa anch’essa sulla teoria del valore delle opzioni per il
calcolo del valore e della volatilità delle attività di un’impresa, se ne
discosta da per determinati accorgimenti. In particolare, per la stima
della probabilità di insolvenza, il modello KMV parte dalla
considerazione che l’impresa non diviene automaticamente insolvente
nel momento in cui il valore delle sue attività scende al di sotto di
quello del debito (come può essere per il modello CreditMetrics);
questo perché non tutto il debito scade nello stesso istante, ma una
parte di esso è costituito da passività a medio-lungo termine che
garantiscono un certo margine di sopravvivenza nel momento in cui il
valore dell’attivo scende al di sotto di quello del debito.
73
Paragrafo basato sui seguenti testi: Sironi A., 1998, cit., p.164-166; Anolli – Gualtieri,
1999, cit., p.55-58; (a cura Szego-Varetto), 1999, cit., p.326-331; Nassetti-Fabbri, 2000,
cit., 155-122.
191
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Secondo il modello KMV sarebbe più corretto parlare di punto di
insolvenza (Default point uguale a passività correnti + ½ passività
lungo termine), ossia quel valore dell’attivo in corrispondenza del
quale si verifica il fallimento dell’impresa. In generale il fallimento si
verifica nel momento in cui:
A-DP
0
dove DP rappresenta il punto di insolvenza.
A questo punto il modello KMV introduce il concetto di distanza
dall’insolvenza (distance to default) per la misura del rischio di
insolvenza:
DD=(A-DP)/(A*σA)
La distanza dall’insolvenza è, appunto, distanza del valore
dell’attivo, espressa in termini di multiplo della deviazione standard
del valore di mercato delle attività, dal punto di insolvenza (default
point).
Per esempio, un valore DD pari a 4 significa che la distanza dal
punto di insolvenza è pari a 4 volte la deviazione standard del valore
dell’attivo, cioè è necessario che il valore dell’attivo di un’impresa si
riduca di quattro volte la propria deviazione standard prima che si
192
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verifichi lo stato di insolvenza. Quindi, a parità di differenza tra A e
DP, l’impresa con un attivo meno volatile risulta avere una probabilità
di insolvenza minore.
Una volta calcolata la distanza dall’insolvenza, il calcolo della
probabilità di insolvenza, EDF (Expected Default Frequency), avviene
facendo corrispondere, sulla base dell’esperienza storica, la distanza
dall’insolvenza alla probabilità di insolvenza. In particolare si
individua la probabilità di insolvenza storica delle imprese
caratterizzate da distanza dal punto insolvenza omogeneo. Ad
esempio, se il DD di una data impresa è pari a 4, la sua probabilità di
insolvenza a tre anni è stimata osservando il tasso di insolvenza, su un
dato periodo, di imprese aventi DD pari a 4 e che dopo tre anni si
siano risultate insolventi.
Il servizio CreditMonitor della KMV fornisce stime delle
probabilità di insolvenza a partire dal 1993, sulla base di un campione
di 100.000 imprese statunitensi quotate contenente più di 2000 casi di
insolvenza. In corrispondenza di questi dati, anche la KMV
Corporation fornisce matrici di transizione.
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5.8 Il rischio di credito tra capitale economico e
capitale regolamentare
Il capitale economico (ammontare di capitale detenuto per
necessità di copertura del rischio di credito) e il capitale regolamentare
(previsto dalle autorità di vigilanza) possono differire tra loro.
Questa premessa è necessaria per mettere in evidenza che una
errata valutazione di quale debba essere l’esatto ammontare di capitale
da detenere in portafoglio, può portare a delle perdite per gli azionisti.
Il capitale proprio di una banca comporta un costo, cioè un premio al
rischio la cui entità rispetto ai tassi risk-free dipende da vari fattori74.
Quindi gli interessi sui crediti di un portafoglio devono
remunerare il capitale proprio, oltre i costi di provvista e le perdite
attese. Se ciò non succedesse, gli utili netti della business unit che si
occupa del settore crediti non sarebbero sufficienti a remunerare lo
stesso capitale azionario, e ciò significherebbe distruzione del valore
da parte del portafoglio crediti. In questo caso la
business unit
avrebbe dinanzi a sé tre possibilità75, cioè aumentare i tassi di
interesse migliorando la redditività, diversificare il portafoglio crediti
74
Ci si riferisce al BETA di un classico CAPM.
194
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oppure non rinnovare i prestiti. Qualora il Top Management non
facesse tutto ciò, continuando a prestare nella convinzione di avere un
portafoglio redditizio, distruggerebbe valore agli azionisti.
I modelli VAR tentano, appunto, di calcolare il capitale
economico in modo adeguato a differenza del capitale regolamentare
proposto dalle autorità di vigilanza.
Come è stato detto (cap.1), i requisiti richiesti dalle autorità di
vigilanza non prendono in considerazione ne il merito creditizio della
controparte ne il grado di diversificazione del portafoglio crediti.
Riguardo al merito creditizio delle controparti, si consideri il
seguente esempio76. Supponiamo che una banca abbia in portafoglio le
seguenti esposizioni creditizie:
Tabella 1 Composizione del portafoglio crediti (USD)
Caratteristiche del portafoglio
Ammontare nominale
Numero nominativi
Paesi di appartenenza
Settore economico
Scadenza media esposizioni (anni)
Seniority nominativi
Rating medio (Moody’s)
Fonte: Nassetti-Fabbri, 2000, 382.
1.069.750.000
109
USA
Corporate
3,3
Senior Unsecured
A2
75
(a cura Szego-Varetto), 1999, cit., p. 324.
Paragrafo ed esempi basati su Fabbri, 2000, Gestione del rischio di credito e capitale
economico,cit. p.379-392.
76
195
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In base a questo postafoglio creditizio, di buona qualità visto il
suo rating medio A2, se volessimo calcolare il capitale economico e
quello regolamentare, avremmo la seguente tabella:
Tabella 2 Misure alternative di rischio relative al portafoglio analizzato.
Ammontare (USD)
Percentili distribuzione perdite
1.756.865
Expected Loss
14.553.196
99 (Credit Risk Capital) (Worst case scenario)
12.796.331
Capitale Economico (Unexpected loss)
85.580.000
Capitale regolamentare
Fonte: Nassetti-Fabbri, 2000, 383.
Il capitale regolamentare, come si può notare, rappresenta circa 6,7
volte il capitale economico. Quindi, non prendendo in considerazione
la qualità creditizia delle controparti e applicando un coefficiente di
ponderazione pari al 100%, l’attività creditizia risulta penalizzata. Per
quanto riguarda il fattore diversificazione, non preso in considerazione
dalle autorità di vigilanza per valutare il rischio di credito di un
portafoglio, un altro esempio risulta chiarificante. Immaginiamo che la
stessa banca attui una diversificazione geografica
tale da presentare la seguente situazione contabile:
Tabella 3 Composizione del portafoglio crediti
Composizione del portafoglio
Ammontare nominale
Numero nominativi
Composizione per paesi di appartenenza
USA
UK
Italia
1.069.750.000
109
9,6%
30,5%
36,7%
196
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Germania
Paesi di appartenenza
Settore economico
Scadenza media esposizioni (anni)
Seniority nominativi
Rating medio (Moody’s)
Fonte: Nassetti-Fabbri, 2000, 385.
23,2%
USA
Corporate
3,3
Senior Unsecured
A2
In base al nuovo portafoglio crediti, il capitale regolamentare risulta
pari a 6,8 volte il capitale economico in quanto quest’ultimo è
diminuito per effetto della diversificazione geografica a differenza del
primo che è rimasto immutato (Tab. n.4).
Tabella 4 Misure alternative di rischio relative al portafoglio analizzato.
Ammontare (USD)
Percentili distribuzione perdite
1.756.865
Expected Loss
14.553.196
99 (Credit Risk Capital) (Worst
12.582.210
Capitale Economico (Unexpected
85.580.000
Capitale regolamentare
Fonte: Nassetti-Fabbri, 2000, 385.
Anche il nuovo documento di Basilea, cioè A New Capital Adequacy
Framework, presenta determinate lacune. Infatti, pur dedicando una
maggiore attenzione alla qualità creditizia delle controparti (vengono
proposti fattori di ponderazione basati sui ratings delle controparti),
non sono presi in considerazione gli effetti della diversificazione e
della durata delle esposizioni creditizie. Questo documento prevede
che in futuro determinate banche (some sophisticated banks) possano
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adottare modelli interni di credit risk management per il calcolo del
capitale economico a fronte del portafoglio crediti.
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CONSIDERAZIONI FINALI
La fine del vecchio millennio e l’inizio del nuovo ha portato ad
un acceso dibattito sull’adeguatezza delle misure prudenziali di
prevenzione del rischio di credito posti dal Comitato di Basilea sin dal
1988.
Questo dibattito sull’adeguatezza delle misure prudenziali, in
particolare sul coefficiente di solvibilità, deriva dal fatto che ci si è
resi conto che gli stessi vincoli patrimoniali e controlli prudenziali
comportano pericolose distorsioni dell’attività creditizia. E questo lo
si può notare dal fatto che le stesse banche e intermediari finanziari
hanno dovuto aumentare le stesse esposizioni creditizie nei confronti
del settore privato (appunto per non vedere ridotte le opportunità di
guadagno) rispetto lo stesso settore pubblico. Quale potrebbe essere la
causa di tutto ciò? Certo, si potrebbe rispondere affermando che la
stessa evoluzione del sistema bancario, conducendo ad un processo di
disintermediazione e di deregolamentazione dell’attività bancaria,
inevitabilmente spinge le banche verso una maggiore esposizione nei
confronti di attività creditizie più rischiose, e quindi più “appetitose”,
199
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con la conseguenza di un sistema bancario maggiormente esposto al
rischio di insolvenza.
Tuttavia non si dovrebbe escludere che gli stessi vincoli
patrimoniali che le Autorità di vigilanza hanno imposto all’attività
creditizia, abbiano le loro “colpe”. Infatti lo stesso Comitato di
Basilea, in un documento consultivo pubblicato nel giugno del 1999 e
intitolato A New Capital Adequacy Framework. Consultative Paper,
ha previsto l’importanza di una maggiore flessibilità dei controlli di
vigilanza, appunto dando spazio alle stesse banche di adottare propri
modelli interni di Credit Risk Management validati dalle stesse
Autorità di vigilanza.
La diffusione di prodotti finanziari, derivati creditizi e
securitization, ha messo in evidenza le carenze, i problemi e la
staticità dello schema di adeguatezza patrimoniale formulato
originariamente dal Comitato di Basilea nel 1988.
Riguardo a questi ultimi prodotti finanziari, cioè securitization e
credit derivatives, è proprio il nostro Paese ad avere il maggiore
potenziale di sviluppo.
La struttura finanziaria delle imprese italiane, le forme di
finanziamento che queste adottano (ricorso al debito bancario,
200
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autofinanziamento e prassi del <<multiaffidamento>>) e un sistema
bancario caratterizzato da molte banche regionali e locali (con la
conseguenza “naturale” della costituzione di portafogli creditizi
fortemente concentrati in aree geografiche e/o settori economici)
dovrebbero incentivare il ricorso a operazioni finanziarie, come la
securitization, ed a prodotti innovativi come i credit derivatives.
Infatti entrambi gli strumenti, con le relative differenze,
producono benefici potenziali per le banche che possono essere
sintetizzati nella maggiore disponibilità di liquidità, nel maggiore
livello di diversificazione, nella possibilità di ottenere una riduzione
del costo del funding, nella disponibilità di strumenti efficaci di assetliability management etc.
Nonostante l’opportunità che questi strumenti offrono al mercato
italiano il loro sviluppo resta ostacolato.
Lo sviluppo dei credit derivatives è legato alla presenza di dati
necessari alla loro valutazione. In Italia la stessa struttura del mercato
e la mancanza di metodologie volte ad ottenere dati storici
impediscono il passaggio da una gestione tradizionale del rischio di
credito a modelli di Credit Risk Management e di pricing dei derivati
creditizi.
201
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Anche
lo
sviluppo
di
operazioni
di
securitization
è
“compromesso” da un sistema bancario come quello italiano. Le
operazioni di securitization sono convenienti, in termini di costo, solo
nel momento in cui le banche siano continuamente e sistematicamente
presenti in questo mercato. Ora il sistema bancario italiano è
caratterizzato dalla presenza di prestiti non omogenei tra loro dal
punto di vista tecnico, e ciò non si accorda con un’operazione, come la
cartolarizzazione dei prestiti, la cui struttura prevede la cessione di
crediti aventi un elevato grado di omogeneità, in termini di
caratteristiche tecniche e flussi finanziari (mutui ipotecari, prestiti al
consumo e leasing).
Quindi, solo attraverso l’adozione di questi strumenti innovativi
le banche italiane potranno uscire da una situazione, tipica del mercato
italiano,
di concentrazione dei prestiti, affinché lo stesso rischio
creditizio (il più problematico tra i rischi che investono l’attività
creditizia delle banche) possa essere controllato adeguatamente
evitando massicce insolvenze creditizie che sono abbastanza “letali”
per le banche.
202
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