Adorazione eucarística per la
vita del mondo
III parte/Gennaio 2014
Rvdo. Don Roberto Pedrini
3) Aspetto filosofico:
l’Eucaristia manifesta la
categoria delle relatio
Secondo la
rivelazione, la
persona umana è
fatta nell’immagine
e nella somiglianza
a Dio:
“ Dio disse:
facciamo l’uomo a
nostra immagine,
secondo la nostra
somiglianza:
• domini sui pesci del mare e sugli
uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti
gli animali selvatici e su tutti i rettili
che strisciano sulla terra”. (Gen 1,26).
Vuol dire che l’uomo
è un Tu per Dio. Ecco
perché la religione
non è qualcosa che è
aggiunta alla natura
umana, quasi come
se fosse un
ornamento.
Al contrario: l’uomo
trova se stesso solo
nel dono generoso
di sé, cioè, vivendo
la relazionalità che è
costitutiva del suo
essere uomo.
Questo è il famoso
insegnamento del Concilio
Vaticano II nella Gaudium
et spes che è stato
ripetuto fortemente in tutto
il magistero di Giovanni
Paolo II:
“In realtà solamente nel
mistero del Verbo
incarnato trova vera luce il
mistero dell’uomo.
Adamo, infatti, il primo
uomo, era figura di quello
futuro e cioè di Cristo
Signore.
Cristo, che è il nuovo
Adamo, proprio rivelando
il mistero del Padre e del
suo amore svela anche
pienamente l’uomo
all’uomo e gli fa nota la
sua altissima vocazione;
….…
con l’incarnazione il Figlio di
Dio si è unito in certo modo a
ogni uomo;…..il cristiano, poi,
reso conforme, all’immagine
del Figlio che è il primogenito
tra molti fratelli, riceve le
primizie dello Spirito (Rm 8,23),
per cui diventa capace di
adempiere la legge nuova
dell’amore”
(n.22, Cristo, l’uomo
nuovo).
Ciascuna persona divina è una relatio
subsistens come dice la teologia
cattolica, cioè sussiste nella/come
relazione.
• Dio è rivelato come una
Trinità di Persone infinite.
Nel Nuovo Testamento questa
relazione è sottolineata.
• Vivono in una perichoresi (=
rincorrersi/circolando) eterna d’amore:
addirittura Agostino quando parla di questo
rincorrersi, parla del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo che stretti danzano
per/nell’eternità, come è tipico della danza
tenersi stretti, circolare e tal modo rincorrersi!
Questo spiega perché Gesù,
portando in terra e nella storia la
cultura trinitaria, mette al centro
l’amore verso Dio e verso l’altro:
Pietro allora prese a dirgli: «ecco, noi
abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo
seguito».
Gesù gli rispose: «In verità io vi dico:
non c’è nessuno che abbia lasciato
casa o fratelli o sorelle o madre o
padre o figli o campi per causa mia e
per causa del Vangelo, che non
riceva già ora, in questo tempo,
cento volte tanto in case e fratelli e
sorelle e madri e figli e campi,
insieme a persecuzioni, e la vita
eterna nel tempo che verrà.
• Molti dei primi saranno ultimi e gli
ultimi saranno primi».
Mentre erano sulla strada per
salire a Gerusalemme, Gesù
camminava davanti a loro ed
essi erano sgomenti; coloro
che lo seguivano erano
impauriti.
Presi di nuovo in disparte i
Dodici, si mise a dire loro
quello che stava per
accadergli: «ecco, noi saliamo
a Gerusalemme e il Figlio
dell’uomo sarà consegnato ai
capi dei sacerdoti e agli scribi;
Lo condanneranno a morte e lo
consegneranno ai pagani, lo
derideranno, gli sputeranno
addosso, lo flagelleranno e lo
uccideranno, e dopo tre giorni
risorgerà» (Mc 10, 28-34).
L’adorazione eucaristica, nelle sue
diverse forme, dev’essere vista in
questa prospettiva: essa aiuta in una
maniera inaudita la persona umana a
diventare ciò che è. Anzi, il culto reso
all’Eucaristia spinge l’uomo a vivere la
relatio, con il Signore nel Sacramento,
si, ma anche con tutti i fratelli. Apre
l’uomo sempre di più alla comunione
con gli altri.
L’adorazione non è affatto una negazione della
dignità umana individuale come alcuni “addetti
ai lavori” sostengono, piuttosto rivela la vera
grandezza dell’essere umano. Mette in rilievo
che io sono me stesso solo formando delle
relazioni con Dio e con gli altri. L’adorazione ci
insegna che la nostra vita è realizzata se è
come una freccia in volo.
Siamo nel tempo natalizio che la liturgia
definisce “dalla solennità dell’epifania”;
tentiamo allora di vedere come nel
vangelo dell’Epifania di lunedì scorso,
la carne di Gesù bambino, per colui che
ha il desiderio di toccarla nell’
adorazione, manifesta questa
categoria delle relatio.
Prendiamo in esame alcuni punti del
vangelo di Mt 2,1-12 e notiamo
subito un passaggio da ciò che è
nascosto, a ciò che è manifestato; si
nota uno svelamento che passa
attraverso dei magi-cercatori che
vengono dall’oriente con un’unica
domanda:
• “dov’è colui che è nato, il re
dei Giudei” (Mt 2,2).
E’ sufficiente
questa domanda e
i magi-cercatori,
con i loro desideri,
mettono
scompiglio nella
città santa:
“il re Erode restò
turbato e con lui
tutta
Gerusalemme”
(Mt 2,3);
in questo caso si
può parlare di
relazione con un
“fratello”
concorrente per il
posto di re dei
Giudei, un uomo
che il buon senso
porterebbe
piuttosto ad evitare
che incontrare.
Non bisogna poi
dimenticare che i
magi sono già per se
stessi uomini di
relazione nei
confronti del creato,
in virtù della loro
professionalità che li
rende capaci di
guardare il cielo
nell’osservazione
degli astri;
“abbiamo visto
spuntare la sua
stella” (v.2) dicono
arrivati a
Gerusalemme.
Il desiderio intenso di
adorazione da parte dei magi
non deve meravigliare troppo,
proprio perché costoro sono
uomini che sanno alzare gli
occhi, capaci di unire in una
perfetta relazione
l’osservazione del creato con
l’adorazione del Creatore:
”abbiamo visto spuntare la
sua stella e siamo venuti per
adorarlo”(v.2).
Ma non finisce qui perché
quando si alzano gli occhi
nell’adorazione, di riflesso si
piegano le ginocchia con lo
sguardo fino a terra e così,
senza accorgersi di questo
gesto quasi automatico, si è
costretti a guardare le cose
della terra, realizzando
un’ulteriore relatio.
Spieghiamo meglio: per chi,
come i magi, alza lo sguardo, la
prostrazione
che
segue
di
conseguenza, rimanda alla maestà
di Gesù Cristo, alla maestà del
Figlio di Davide che a sua volta
rimanda sulla terra perché Lui è il
Dio con noi qui in terra!
In effetti, se mancasse la
ricaduta sulla terra, sarebbe stato
impossibile per i magi offrire quei
doni che appartengono alla terra;
tra l’altro, essendo osservatori
attenti del creato stellare, non era
difficile per loro essere attenti al
creato terrestre.
Il vangelo non dice che i magi
fossero re; piuttosto alla giusta
adorazione rivolta a Gesù Re si
corrisponde con doni degni di
un Re Messia;
Betlemme, coloro nell’antica
alleanza lo attendevano, compreso
colui che non lo vuole attenderlo
Erode: i magi, per un certo verso,
sono come entrati a far parte della
perichoresi/del rincorrersi delle tre
Persone infinite; quindi una
relazione perfetta che tutto
comprende!
Non si può dare a Dio se prima non
lo si è guardato con uno sguardo
d’amore autentico, che, se esige di
essere tale tutto deve comprendere,
dal Figlio di Dio fino alla stella, il
cielo, la terra con i suoi doni da
portare a Gesù, la città di
Gerusalemme con i suoi abitanti
(compresi i falsi teologi),
Non possiamo nascondere che tutto ciò rivela, in senso negativo,
qual è la grave malattia che colpisce l’uomo, bloccandolo nella
sua unione con Dio, quella della sua incapacità di alzare gli occhi:
adorare è un gesto facilissimo ma al tempo stesso difficilissimo,
per chi gli occhi li ha sempre tenuti fissi sopra di sé!
Ma non finisce qui: per chi ha
contemplato il volto del Re, per chi
ha fatto l’esperienza di una “gioia
grandissima”(v.10), la strada verso
casa non sarà più la stessa:
“avvertiti in sogno di non tornare
da Erode, per un’altra strada fecero
ritorno al loro paese” (v.12); fra i
tanti “appuntamenti” dei magi visti
fin’ora, c’è il rischio di dimenticarsi
della cosa più scontata per creare
relazioni, il proprio paese! Anche
questo versetto, allora, ribadisce
quanto detto fin’ora: la verità che
l’eucaristia manifesta la categoria
delle relatio.
“L’intimità divina con Cristo, nel silenzio
della contemplazione, non ci allontana dai
nostri contemporanei (diremmo il nostro
paese) ma, al contrario, ci rende attenti e
aperti alle gioie e agli affanni degli uomini e
allarga i cuori alle dimensioni del mondo”
(Beato Giovanni Paolo II).
“Adoro te devote, latens Deitas”. In questa Notte, mi risuonano nel cuore le prime parole
del celebre inno eucaristico, che mi accompagna giorno dopo giorno in quest’anno
particolarmente dedicato all’Eucaristia. Nel Figlio della Vergine, avvolto in fasce e deposto
in una mangiatoia, riconosciamo e adoriamo il Pane disceso dal cielo (Gv 6,41.51), il
Redentore venuto sulla terra per dare la vita al mondo.
Betlemme! Nella lingua ebraica la città dove secondo le Scritture nacque Gesù
significa casa del pane. Là, dunque, doveva nascere il Messia, che avrebbe detto
di sé: Io sono il pane della vita (Gv 6,35-48). A Betlemme è nato Colui che, nel
segno del pane spezzato, avrebbe lasciato il memoriale della sua Pasqua.
L’adorazione del Bambino Gesù diventa, in questa Notte Santa, adorazione
eucaristica”.
Qui ci fermiamo, chiudendo così la terza
parte sul culto dell’Eucaristia fuori della
Messa; a partire sempre dalla EdE di
Giovanni Paolo II .
Resta una quarta parte, l’ultima che chiude questa prima
serie di incontri del nostro seminario; sarà una parte dal
sapore ancora natalizio, perché fisseremo l’attenzione sul
culto all’eucaristia, “adorandolo” con occhi e cuore del
tutto speciali, quelli di Maria, la Madre di Gesù. Grazie.
www.opera-eucharistica.org
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www.evangelizaciondigital.org
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