Nicola Abbagnano, curato da Giovanni Fornero, Il
nuovo protagonisti e testi della filosofia, vol. 3B,
Paravia, 2007, pagg.918-928.
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Wittgenstein nasce a Vienna
Frequenta l’Università di Cambridge
Negli anni 1912-1913 risiede a Cambridge
Nel 1913 va a vivere in Norvegia: i suoi
rapporti sono difficoltosi e scarse sono le
persone che gli sono vicine, forse anche
perché lui non riesce ad accettare la sua
omossessualità.
• Nel 1921 esce una sua opera: Il Tractatus
logico-philosophicus
• Wittgenstein ha preso il diploma di
maestro elementare e insegna dal 1920
al 1926 nelle scuole di alcuni paesi della
Bassa Austria.
• Nel 1926 presenta il Il Tractatus
logico-philosophicus come tesi di
dottorato, e riesce ad occupare la
cattedra.
• Nel 1947 abbandona la cattedra e vive
per due anni in Irlanda, solo.
• Nel 1951 muore a casa del suo medico;
e le sue ultime parole sono: <<Dite
loro che ho avuto una vita felice>>.
Nel suo pensiero, Wittgenstein avanza l’ipotesi di una
teoria del linguaggio. I termini dei quali si avvale sono
due: il mondo come totalità di fatti e il linguaggio
come totalità di proposizioni.
<<La totalità dei pensieri veri è un’immagine del
mondo.>>
<<Il pensiero è la preposizione munita di senso.>>
Il mondo è la totalità dei fatti, più precisamente dei fatti
atomici; non è pensabile né esprimibile nulla che non
sia un fatto del mondo. La struttura del fatto atomico è
la forma degli oggetti e in questo senso sono forme
degli oggetti lo spazio, il tempo, il colore.
La proposizione è la raffigurazione di un fatto e questa
ha in comune con il fatto atomico la forma degli
oggetti.
La totalità delle preposizioni vere è la totalità delle
scienze naturali.
Wittgenstein ammette, accanto alle proposizioni
elementari, proposizioni che esprimono la
possibilità generale dei fatti, che sono vere
indipendentemente dai fatti stessi. Per esempio:
Le proposizioni “Piove” e “Non piove” esprimono
possibilità di due fatti, e sono vere solo se ciò
che è stato detto, accade realmente. La
proposizione “Piove o non piove” esprime tutte le
possibilità che si riferiscono alle condizioni
atmosferiche. Essa è vera indipendentemente dal
tempo che fa.
“Questo scapolo è sposato” non esprime un fatto,
ma un’impossibilità; giacchè “scapolo” significa
“non sposato”.
“Piove o non piove” è una tautologia. “Questo
scapolo è sposato” è una contraddizione. La
tautologia è vera e la contraddizione è falsa per
tutte le possibilità di verità delle proposizioni
elementari che le costituiscono.
Dopo aver esposto la concezione del mondo come totalità,
Wittgenstein, espone la sua teoria dell’immagine, secondo la
quale il linguaggio è inteso come sistema raffigurativo : esso
rappresenta la realtà e ne costituisce l’immagine, ne
rispecchia le proprietà formali. Il rapporto di immagini è
costituito da Wittegenstein come un particolare rapporto tra i
fatti: da un lato vi è il fatto raffigurante, dall’altro vi è quello
raffigurato. Tra fatto e immagine esiste pertanto un rapporto
di corrispondenza che chiameremo relazione raffigurativa.
La struttura dell’immagine è la connessione
degli elementi dell’immagine che a sua
volta raffigura la connessione degli oggetti
di cui si compone il fatto.
Wittgenstein ammette che ci sono proposizioni
né significanti, né tautologiche, e queste sono
non-sensi.
La maggior parte delle proposizioni filosofiche
sono non-sensi: esse derivano dal fatto che non
si comprende la logica del linguaggio. Il
compito della filosofia è, dunque, proprio quello
di essere <<critica del linguaggio>>.
La filosofia deve chiarire e delimitare
nettamente i pensieri che altrimenti sarebbero
torbidi e indistinti.
Pertanto i limiti del linguaggio sono i limiti del
mondo, e i limiti del mio linguaggio sono i
limiti del mio mondo, cioè di tutto ciò che io
posso capire, pensare ed esprimere.
Ramsey attribuisce alle espressioni linguistiche
anche un ruolo pragmatico nell’orientare il
comportamento umano; per lui il significato
affettivo delle proposizioni non deriva solo dal
rapporto reciproco tra le espressioni, ma anche
dalle credenze che gli uomini vi attribuiscono,
dall’uso che gli uomini ne fanno e le cui regole è
possibile identificare. L’ideale del linguaggio deve
essere trovato nella sua stessa realtà. Il senso di
questo linguaggio è, nella seconda fase della
riflessione wittgensteiniana, lo scopo che esso
assolve.
Il linguaggio non significa compiere un’operazione
mentale, e la spiegazione del significato non è unica
e univoca, ma particolare e contingente: chiarisce i
dubbi specifici di una certa situazione.
Ciò non toglie che quest’uso del linguaggio sia
ancora una volta interpretabile come un calcolo,
mediante il quale gli uomini cercano di prevedere e
predeterminare le esperienze a venire.
•MISTICO
È l’ineffabile, ciò
che trascende i
limiti del
linguaggio e del
pensiero, in
quanto allude al
senso del mondo
che non può
venir espresso da
alcuna
proposizione.
Le credenze a cui Wittgenstein allude sono problemi vitali:
religiosi, morali ed estetici, concernente i valori. Tali problemi
non si fondano sulla conoscenza, ma non sono neppure
formulabili, perché il linguaggio dotato di senso si riferisce
solo a fatti, mentre i valori non sono fatti. Essi si collocano
all’esterno delle possibilità del pensiero. Una volta chiariti i
problemi logici e scientifici, noi sentiamo , attraverso una
sorta di sentimento mistico, che i nostri problemi vitali
rimangono ancora non toccati e che essi appartengono al
dominio dell’inesprimibile.
Il linguaggio è un processo simbolico nel quale i significati non sono dati
dal riferimento univoco alle cose; esso è una forma di vita, lo svolgimento
di un’attività governata da regole diverse a seconda delle circostanze, delle
intenzioni del parlante. Non esiste un modello che unifica tutte le forme,
ma una pluralità di usi alternativi e complementari che si modificano e
aumentano poiché il mutare delle esigenze umane determina l’insorgenza
di giochi nuovi.
I giochi possono essere raggruppati per analogia in famiglie,
e gli stessi criteri di analogia sulla base del quali eseguire i
raggruppamenti familiari, sono ovviamente vari e molteplici.
Le regole che governano un gioco linguistico sono una serie
di atti che noi ci apprestiamo a seguire e ai quali siamo stati
addestrati.
Ciò non toglie che queste
regole non siano affatto
rigorose, ma anzi quasi
sempre inespresse e spesso
anche inconsapevoli in chi
le applica; gli usi non sono
esaustivamente contenuti
nella regole né negli usi
precedenti.
La filosofia, non spiega e non deduce nulla, si limita a porre le cose
davanti a noi. Dal momento che ogni cosa è <<aperta alla vista>>, non c’è
niente da spiegare. Ciò che appare nascosto lo è soltanto in virtù della sua
semplicità.
La filosofia per Wittengestein è malattia e terapia di questa malattia.
<<Non c’è un metodo della filosofia, ma ci sono differenti terapie>> Queste
consistono nel riportare le parole dal loro uso metafisico al loro uso
giornaliero.
La filosofia non può non scontrarsi con il linguaggio, ed è il risultato degli
inganni perpetrati dal linguaggio stesso, e d’altro canto è lo strumento
per liberarsi da tali errori.
La filosofia mette le espressioni filosofiche davanti all’uso linguistico
corrente, le confronta con le modalità d’impiego pubbliche e esperibili,
così da ripristinare una vasta gamma di significati delle espressioni che la
filosofia tradizionale, ha fatto andare perduti.
Letto, discusso, indagato nei presupposti e nei diversi nuclei
teorici, interpretato da prospettive diverse, il tractatus è
stato uno dei libri filosofici più influenti di questo secolo. E
l’influsso più consistente lo esercitò sui neopositivisti che, ne
accettarono l’antimetafisica, ne ripresero la teoria della
tautologicità degli asserti logici e ne assunsero l’idea che la
filosofia fosse attività chiarificatrice del linguaggio scientifico e
non dottrina.
Tutta una generazione di allievi potè considerare Wittgenstein
un positivista, poiché egli aveva qualcosa di enorme importanza
in comune con i positivisti: aveva tracciato una linea di
separazione tra ciò di cui si può parlare e ciò di cui si deve
tacere, cosa che essi non avevano fatto. Il positivismo sostiene
che ciò di cui possiamo parlare è tutto ciò che conta nella
vita. Invece Wittgenstein crede, appassionatamente, che tutto
ciò che conta nella vita umana è proprio ciò di cui dobbiamo
tacere.
Oltre a Heidegger non c’è con tutta probabilità nessun filosofo del
Novecento influente e discusso quanto Wittgenstein.
La tesi secondo cui il significato è l’uso è stata interpretata come un
invito a misurare le problematiche filosofiche sul linguaggio
ordinario, offrendo cosi il fondamento della <<filosofia del
linguaggio ordinario>>. Gli aspetti pragmatici “del secondo”
Wittgenstein sono stati tenuti presenti da alcuni esponenti della
filosofia continentale. Alla tesi secondo cui il significato è l’uso si
collega quella secondo la quale tutti i problemi sono in sostanza
problemi di linguaggio e possono essere risolti mediante un
accertamento del significato dei termini impiegati. Ciò ha
costituito la base per le interpretazioni che hanno considerato
esplicitamente l’analisi linguistica come un elemento specifico
dello stile analitico. Anche l’idea wittgensteiniana della filosofia
come malattia ha alimentato importanti settori del pensiero
contemporaneo; questa fase del pensiero ha inoltre favorito
riflessioni su tematiche specifiche, quali i problemi del linguaggio
privato e dell’osservanza di una regola.
Cioffi Luppi-Vigorelli Zanette-Bianchi O’Brien, Agorà;manuale di filosofia, vol.3, Edizioni Scolastiche
Bruno Mondadori, 2007, pagg.552-560.
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Wittgeisten a cura di Autiero Fabiola