DONNE E LAVORO IN PIEMONTE Un profilo statistico dell’occupazione e della disoccupazione femminile nella nostra regione Vista in un’ottica di lungo periodo la performance occupazionale femminile è stata nettamente migliore di quella maschile. Gli uomini sono stati penalizzati dalla progressiva caduta dell’occupazione nell’industria, mentre le donne sono state favorite dall’espansione delle attività terziarie, dove tendono a collocarsi. La presenza femminile fra gli occupati resta comunque minoritaria, anche se la loro quota è significativamente aumentata nel tempo. La riduzione del divario di genere nell’occupazione è stata determinata sia dalla crescita delle lavoratrici, sia dalla rilevante flessione degli uomini occupati. Tuttavia, se restringiamo la visuale agli ultimi anni, osserviamo come, in un contesto generale di espansione occupazionale, sia pur contenuta, la tendenza al progressivo aumento della presenza femminile, verso il raggiungimento di un sostanziale equilibrio di genere, si è arrestata. L’incidenza delle lavoratrici, che aveva toccato un massimo del 42,6% nel 2002, è scesa nel 2005 al 41,9%, e solo l’anno successivo è risalita, recuperando i livelli di partenza. Come il grafico seguente ben evidenzia, secondo le stime ISTAT la crisi industriale ha colpito pesantemente le lavoratrici, con una flessione delle addette all’industria di quasi il 25% tra il 2002 e il 2004 (-52.000 unità). E’ questa la ragione della riduzione della presenza femminile tra gli occupati in tale periodo, perché prosegue ad un ritmo sostenuto la crescita dell’occupazione delle donne nel terziario. Per conseguenza, i servizi rappresentano sempre di più l’area di assorbimento principale della manodopera femminile. Le donne, inoltre, tendono a concentrarsi nel lavoro alle dipendenze: le lavoratrici autonome nel 2006 sono il 20,8% delle donne occupate, contro una percentuale del 32,5% fra gli uomini. Nel terziario le lavoratrici sono il 53,3% del totale nel 2006, ma la quota sale al 74,5% nel comparto istruzione e sanità e raggiunge il massimo dell’82,6% nei servizi personali e familiari. La quota maschile, per contro, è largamente maggioritaria in agricoltura, nelle attività industriali in genere e nel ramo trasporti e comunicazioni. Se per segregazione orizzontale di genere, riferita cioè alla composizione dell’occupazione per settore, si intende il superamento della quota dei 2/3 per l’uno o per l’altro sesso, l’area caratterizzata da una ripartizione di genere squilibrata copre il 60% circa del totale, con una fetta maschile di dimensione doppia di quella femminile. Al di là dei valori quantitativi, tuttavia, l’occupazione femminile ha un “peso specifico” più basso di quella maschile, sia in relazione alla posizione nella professione, sia in rapporto alla stabilità dell’impiego e alle ore lavorate. Come illustra il grafico successivo, le donne sono fortemente sottorappresentate fra i dirigenti e fra le figure imprenditoriali, mentre si concentrano nei dipendenti fra gli impiegati esecutivi, e nei lavoratori autonomi fra le posizioni di carattere parasubordinato o assimilabili, con ovvie ricadute sui livelli retributivi. L’11,7% delle lavoratrici alle dipendenze, inoltre, detiene un’occupazione temporanea, contro il 7,5% degli uomini (ma la quota di occupate precarie sale al 49% fra le giovani tra 15 e 24 anni, a fronte del 36% maschile), e l’incidenza del part-time, che la nuova indagine ISTAT ha notevolmente rialzato, raggiunge in Piemonte il 24,3% del totale fra le donne, contro meno del 4% per gli uomini. Il volume di lavoro prodotto dalle donne, a parità di teste interessate, risulta molto più basso di quello maschile, sia per il part-time, sia per le assenze legate alla maternità o alla cura dei figli, sia per il maggior ricorso degli uomini a prestazioni straordinarie. Quindi, il peso relativo delle donne occupate scende di ben 5 punti percentuali, se si guarda alle ore di lavoro effettive. Il tasso di occupazione è dato dal rapporto % tra occupate e popolazione in età di 15-64 anni. Nel 2006 in Piemonte il valore femminile è pari al 55,9%, quello maschile al 73,5%, con un divario di genere di quasi 18 punti percentuali. Il grafico seguente evidenzia le forti differenze territoriali e la difficoltà per l’Italia di raggiungere entro il 2010 la quota del 60% per le donne, uno degli obiettivi fondamentali della Strategia Europea per l’Occupazione. Solo l’Emilia-Romagna ha già raggiunto nel 2005 tale soglia; in Piemonte il tasso dovrebbe crescere mediamente di 1,2 punti % all’anno per arrivare al 60% nel 2010. Tra il 2000 e il 2005 l’incremento medio annuo è stato di 1 punto percentuale, ma nel 2006 il ritmo di crescita ha accelerato, salendo a 1,5 punti. Il divario di genere in termini di tasso di occupazione si amplia al crescere dell’età, a partire dai 25 anni, mentre è relativamente contenuto fra i giovani. Il dato femminile ha comunque registrato nell’ultimo decennio un aumento ragguardevole nelle classi di età centrali, tra i 35 e i 54 anni: tra il 1993 e il 2006 il tasso di occupazione medio in questa fascia ventennale è salito dal 52,5% al 71,4%. In generale, la curva dell’occupazione scende bruscamente dopo i 50 anni: l’UE ha previsto di raggiungere entro il 2010 un tasso di occupazione del 50% fra i 55 e i 64 anni, ma attualmente in Piemonte il dato si colloca solo al 28,5% (21% per le donne, 36,5% per gli uomini). La disoccupazione, individuata secondo gli standard internazionali, considerando cioè solo le persone immediatamente disponibili a lavorare e con azioni concrete di ricerca negli ultimi 30 giorni, si distribuisce diversamente fra uomini e donne in relazione all’età. Fra le donne, è notevolmente più ampia la fascia centrale, fra i 35 e 49 anni, per la forte spinta al lavoro esercitata dalle donne adulte in cerca di reinserimento lavorativo, mentre gli uomini sono proporzionalmente più presenti ai due estremi della scala delle età: fra i giovani per la tendenza a effettuare un minore investimento in istruzione, fra gli over 50 per il peso della disoccupazione in età matura derivante dalla crisi industriale Il tasso di disoccupazione è sensibilmente diminuito in Piemonte negli ultimi 15 anni, ma anche il divario di genere si è ridotto: da un massimo di 1:2,3 nel 1999 è sceso nel 2006 a 1:1,6, cioè 3,2% per gli uomini contro 5,1% per le donne. I livelli di disoccupazione restano comunque molto più elevati tra i giovani, e la disoccupazione piemontese, in linea con quella italiana, mostra una prevalenza di giovani e donne, anche se la componente adulta è in aumento. Il grafico seguente mostra il buon rendimento del titolo di studio per le donne: i livelli di disoccupazione femminile diminuiscono sensibilmente al crescere del grado di istruzione, anche per la presenza di numerose donne adulte a bassa qualifica, mentre le barre maschili risultano abbastanza allineate, con miglioramenti marginali all’aumentare del livello di scolarità. La disoccupazione ufficiale, come prima definita, non rende però conto dell’insieme di persone che dichiarano di essere in cerca di lavoro, cioè dell’offerta di lavoro esplicita o potenziale presente sul mercato del lavoro piemontese. Questa conta, tra le donne, nel 2006, 98.000 persone: oltre alle 42.100 disoccupate riconosciute come tali, ci sono 30.000 donne che affermano di cercare lavoro ma non risultano disponibili o non hanno svolto azioni concrete di recente, e 25.400 occupate in cerca di un nuovo impiego e disponibili ad accettarlo. La presenza femminile è prevalente in tutte le componenti dell’offerta di lavoro, con un massimo del 60,6% fra la disoccupazione potenziale, ad indicare come le statistiche ufficiali diano un’immagine parziale dell’effettiva consistenza delle donne in cerca di lavoro, pur evidenziandone il segmento più significativo. Da notare come le donne siano la maggioranza anche fra gli occupati in cerca di lavoro, pur essendo una minoranza in questo aggregato, un dato che conferma la relativa debolezza dell’occupazione femminile.