Divulgazione scientifica: il ruolo dei media Riflessioni a margine Gianna Milano Milano, 21 maggio 2008 • Nella nuova era dello sviluppo scientifico, definita da Ziman (2002) post-accademica, la comunicazione scientifica è diventata una priorità: • riconosciuta dai ricercatori che cercano di uscire dalle proverbiali torri di avorio e sono consapevoli dell’importanza di divulgare le loro conoscenze e di rendere pubblico il loro lavoro (“il sistema di comunicazione è l’istituzione sociale fondamentale della scienza” Ziman,1987). • attuata da un numero crescente di giornalisti specializzati e di pagine dedicate all’informazione scientifica nei quotidiani, nei settimanali e alla tv • richiesta da un pubblico che sente la necessità di un’informazione puntuale e corretta in tale ambito. • Se per lo scienziato uscire allo scoperto e rendere pubblici i suoi risultati significa contribuire “alla costruzione di un consenso razionale il più vasto possibile”. (Ziman) • La crescente domanda di informazione scientifica da parte del pubblico è espressione sia di aspettative che di timori sull’impatto che scienza e tecnologie possono avere su individui e ambiente. Un impatto vissuto come sempre più potente e imprevedibile. • Questi sentimenti di “speranza” e di “paura” sono spesso alimentati dai media in modo acritico (basti pensare a tutte le cure per il cancro e agli Ogm). • Nell’era della scienza post-accademica il rapporto tra media e mondo della scienza è diventato più intenso, ma anche più problematico. I motivi? • Giornalisti e ricercatori, due professioni in rapida evoluzione, sono spinti nel divulgare da interessi, pressioni, carriere del tutto diversi: i “casi scientifici” possono venire promossi per motivazioni differenti: “clamore” per i media e “visibilità”per i ricercatori. • Se da una parte il pubblico nutre sempre maggiori aspettative nella scienza, e vuole essere informato, coinvolto, guidato verso scelte consapevoli, dall’altra gli scienziati vogliono avere sempre maggiore visibilità (articoli pubblicati e citazioni). • Ciò significa che se il clamore serve allo scienziato a promuovere il proprio lavoro (rendere pubblico ciò che la ricerca va scoprendo è oggi parte integrante della responsabilità di uno scienziato: non c’è scienza se non c’è comunicazione pubblica della scienza), ai media serve ad ampliare l’audience (R.Goodhall,1998). • Un’interazione problematica quella tra i protagonisti dell’informazione scientifica (pubblico, giornalisti, scienziati) che comporta ovviamente rischi/tranelli: semplificazioni esasperate, omissione delle posizioni sfumate e/o dubitative proprie del percorso scientifico, formulazione di una ipotesi, verifica e conferma o confutazione della medesima. • E’possibile educare grazie a una corretta informazione scientifica? Attraverso quali fonti? E come scegliere quelle più attendibili? Problema quest’ultimo non marginale per un giornalista che si appresti a divulgare un risultato scientifico. • Qui entra in gioco la complessa dinamica dei rapporti tra giornalisti e scienziati: diffidenza, disistima, timore di non essere capiti di questi ultimi verso i primi; impreparazione, superficialità, tempi stretti dei primi. Ma anche linguaggi, ed esigenze diverse. • Per i media, cui spetta il compito di trasferire le conoscenze del mondo della scienza e contribuire a chiarire gli obiettivi raggiunti dalla ricerca scientifica, la difficoltà della comunicazione è anche aumentata dal fatto di rivolgersi a un pubblico vasto ed eterogeneo. Un pubblico che ha nel nostro Paese una scarsa cultura scientifica. • Così accade che un giornale che deve consumare la notizia nel breve spazio di un articolo, spesso enfatizzi gli aspetti che ritiene di più immediata fruibilità da parte del “lettore medio” e tralasci quelli più importanti. A discapito di una corretta informazione scientifica e privilegiando l’effetto e la spettacolarità. • C’è chi ritiene che supplire all’impreparazione culturale di tipo scientifico del pubblico attraverso l’informazione non sia semplice. La scienza è molto di più di un corpo di conoscenze, è un modo di pensare. Ci invita a tener conto dei fatti anche quando non si conciliano con i nostri preconcetti. • Ci esorta a mantenere un delicato equilibrio fra un’apertura senza restrizioni a nuove idee e l’esame rigoroso di qualsiasi proposta: sia delle nuove idee sia del sapere stabilito. • Ci deve far diffidare di evidenze anedottiche, di affermazioni passionali che non si basino sul metodo scientifico: altrimenti si rischia di non distinguere tra scienza e pseudoscienza. • Insomma un tipo di pensiero, quello scientifico, che è strumento essenziale anche per una democrazia in continua evoluzione. • Niente a che vedere con la costruzione di miti di facile presa, che trovano un terreno fertile nelle emozioni e nell’irrazionalità, come ben esemplifica la vicenda del “caso Di Bella” e della sua terapia anti-cancro, diventata terreno di scontro ideologico, istituzionale e politico. • Poco si tenne conto in quei mesi di chiassose polemiche da parte di certi organi di informazione della disperazione di malati di cancro disposti ad attraversare la più precaria passerella di salvataggio. • Il progresso scientifico più che sui fatti si basa sull’incertezza, parte integrante del procedere della scienza, non su “verità”. • Ma la gestione e la consapevolezza di questa incertezza diventa particolarmente problematica per gli attori dell’informazione scientifica (gli scienziati, i giornalisti e il pubblico) quando complessità, ambiguità e controversie ne sono le manifestazioni più visibili. • La maggior parte delle “scoperte”, come ammettono gli stessi scienziati, sono spesso se non erronee, incerte, ma non è questa l’impressione che se ne ricava dal modo con cui i media coprono gli ultimi sviluppi scientifici (es. staminali). • Certo sarebbe importante per gli scienziati che si muovono sul terreno dell’incertezza, trovare un punto d’incontro con i giornalisti nell’arena dell’informazione, affinchè sia il più possibile eticamente corretta, attendibile, obiettiva. • Scambiare per “verità scientifiche” quelli che sono solo i tasselli alla base per progredire (non necessariamente intenzionale) delle conoscenze non dovrebbe essere ammissibile. Ma come raggiungere questo obiettivo? • Succede che se un giornalista mantiene nel suo articolo un senso di incertezza, il caporedattore che lo legge d’istinto e d’autorità smussa quei caveat che, a suo parere, indeboliscono la storia. E i titoli spesso cancellano ogni giudizio critico. • Un esempio recente: la legge sulla procreazione assistita. La domanda è: quanto hanno pesato i media, presentando il campionario illimitato delle opzioni procreative senza molte riflessioni, a rendere l’opinione pubblica poco sensibile ai problemi reali che ruotano attorno alla fertilizzazione artificiale? • E quanto hanno contribuito a sviluppare consapevolezza e senso critico? Strumenti che dopo lo stupore e il clamore iniziali (mi riferisco ai casi limite di Severino Antinori) avrebbero consentito di capire e di adeguarsi emotivamente? • Esiste un’etica dell’informazione che spesso viene disattesa per privilegiare il clamore, lo scoop e, naturalmente, vendite e audience. • I meccanismi mediatici non sempre favoriscono una crescita dell’opinione pubblica, un dibattito aperto al pluralismo, nel rispetto delle diverse culture che nasce da un sentire comune e da valori condivisi. • I “falsi allarmi” (R. Baker) sono un altro aspetto ancora dell’informazione, spesso condizionata da interessi economici, mode, e perfino ideologie (F.Feron). Esempi. • Ma come fa il lettore a orientarsi? Scienziati e giornalisti (assieme) dovrebbero cercare modi/momenti per interagire tra di loro: corsi di formazione, incontri, workshops, dibattiti, etc. • Primo. I giornalisti dovrebbero imparare di più sul metodo scientifico, cosa che coloro che scrivono full-time di scienza già sanno ma non gli altri, i non specializzati. Questo eviterebbe di creare apprensione e allarme su notizie che mancano di rigore scientifico. • Secondo. Quando gli scienziati parlano ai giornalisti dovrebbero andare oltre la scoperta: fornire un contesto e precisare i metodi, le evidenze. • Terzo. C’è un altro importante fattore di cui tener conto: separare sempre i fatti dalle opinioni. Invece spesso alle opinioni scientifiche il giornalista dà uguale peso che alle evidenze scientifiche. • E alcune evidenze contano più di altre: quelle anedottiche e osservazionali sono le più deboli (es. ormoni). Ma ci possono essere interessi economici che spingono a dar loro più peso. • Gli studi controllati, se fatti bene, sono i più significativi. Ma in alcuni campi di ricerca gli esperimenti sono quasi impossibili: il clima globale e alcune questioni ambientali. • Chi fa divulgazione scientifica sa che gli scienziati hanno temperamenti diversi. Che due di loro possono guardare agli stessi dati in modo differente, pur essendo d’accordo sulla loro validità. Uno può avere una reazione allarmistica e l’altro sentire il bisogno di ulteriori ricerche prima di passare a conclusioni. • E la ragione, come ho già detto, è che la scienza è di per sé incerta. Per questo il giornalista che vuole svolgere un’informazione corretta deve assumere un atteggiamento vigile e scettico, e svolgere il ruolo antipatico ma utile, come dicono gli inglesi, di “watchdog”, ossia di cane da guardia. • Verifiche e aggiustamenti di tiro sono parte integrante della ricerca scientifica: l’Homo scientificus non ha il compito di produrre certezze (J.F.Bouvet, 2000). • I media hanno abituato a pensare che ciò che vero il giorno prima è falso quello dopo. Ma la biologia è una scienza complessa e non esistono risposte facili né tantomeno univoche. • Ciò che i media ogni giorno propongono come l’ultima ricetta salutistica o l’ennesima cattiva notizia, va preso con le pinze. Perché, va detto, le notizie per essere tali devono essere buone o cattive. - Quel che, putroppo, conta ancora oggi per i media non è educare ma catturare il pubblico, piuttosto che fornire strumenti di giudizio. - Non sempre i protagonisti dell’informazione siano essi scienziati, giornalisti o direttori dei giornali - sembrano avere consapevolezza della ricaduta di certe notizie e della responsabilità etica di darle in modo obiettivo, senza distorsioni, forzature, manipolazioni che fuorviano e confondono chi legge. - L’Homo scientificus, anche se ritenuto meticoloso e imparziale, è spesso vittima dei suoi desideri: vuole avere ragione, essere il primo, venire omaggiato. (F. Feron 2000). • Nell’era della scienza post-accademica, l’interpenetrazione tra scienza e società è un dato di fatto ineliminabile. • E il sistema di comunicazione conferisce una forte dinamica al processo scientifico, contribuendo alla evoluzione stessa della scienza (P.Greco, 2004). • Anche se il mondo giornalistico è un mondo a sé, molto particolare, con le sue regole, le sue gerarchie, le sue pulsioni, e i suoi limiti, la nascita della “scienza imprenditrice” chiama tutti, scienziati, comunicatori professionisti e cittadini a cimentarsi con questi nuovi grandi problemi e obbliga tutti a un esercizio di democrazia.