ITIS GALILEO FERRARIS – NAPOLI Corso formazione per il piano Insegnare Scienze Sperimentali SCUOLA PRESIDIO: L.S. CACCIOPPOLI – NAPOLI SCUOLA DELLA RETE: ITIS G. FERRARIS - NAPOLI INSEGNARE PER MODELLI Tutor: Luigi Capuozzo Docente di Fisica nell’Itis G. Ferraris di Napoli Segretario della sezione A.I.F. Associazione per l’Insegnamento della Fisica di Napoli 2 Napoli 28 maggio 2007 Perché: Insegnare per modelli? I problemi dell’insegnamento sono naturalmente complessi e differenti per i diversi ordini di scuola. Per la scuola primaria, nella quale io credo sia già praticato un insegnamento scientifico di tipo ricerca – azione, il titolo deve intendersi come un invito a perseguire l’acquisizione del metodo sperimentale nella sua interezza, naturalmente con modalità adeguate alla età degli allievi. Per la scuola media primaria ed il biennio della secondaria, l’invito è ad abbandonare l’attuale insegnamento delle materie scientifiche, fondato essenzialmente sull’acquisizione di contenuti ed abilità secondo una programmazione lineare che risponde più alle esigenze interne delle discipline (cioè alla trasmissione di modelli logico-formali, di natura idealistica) che a quelle formative degli allievi, attivando percorsi didattici il cui punto aspetto peculiare sia la riflessione sul nostro rapporto con la realtà e sulla relatività del percepire. REALTÀ (sconosciuta in sé) ORGANI DEL SENSO CERVELLO E MENTE (livello fisiologico: (rappresentazione astratta del reale: sensazioni) percezioni, idee, modelli e teorie) Le percezioni sono già un’astrazione dalla realtà e quindi un suo modello: su di esse si costruiscono le idee e le relazioni tra le idee cioè i modelli. Che significa: Insegnare per modelli? Innanzitutto orientarsi verso una didattica che miri all’acquisizione del metodo sperimentale come strumento fondamentale per comprendere e governare il mondo fenomenico. La storia della scienza (e della Fisica in particolare) dimostra che molti dei progressi scientifici sono avvenuti grazie ad esperimenti cruciali (e spesso con esperimenti falliti cioè con esperimenti che non hanno dato il risultato atteso). Il metodo sperimentale si fonda sull’ induzione, cioè sulla procedura che giunge ad una verità oggettiva, seppure incerta, dal verificarsi di una ripetizione di eventi uguali: allora se un risultato si verifica un numero ragionevole (?) di volte in determinate circostanze, esso si ripeterà sempre ogni volta che si riproducono le stesse circostanze: cioè il risultato è diventato regola, legge. Molto delle nostre verità, e non solo di quelle scientifiche, sono fondate su questi processi induttivi: se, ad esempio, abbiamo chiesto informazioni ad un impiegato e questo ci ha risposto in modo esauriente e completo, quando ci ricapiterà la necessità di ulteriori informazioni ritorneremo da lui e se egli sarà ancora cortese ed adeguato vi ritorneremo per una terza volta e così via perché abbiamo acquisito una verità del tipo: l’impiegato xy è cortese e preparato. Ma non vi è alcuna necessità logica che ciò che si è verificato n -1 volte debba ripetersi la ennesima volta e quelle successive. Il metodo induttivo è certamente quello più prossimo al nostro modo di essere in relazione con l’ambiente: la didattica di laboratorio nel senso da noi inteso è perciò certamente più congeniale ai giovani di quanto sia un sapere formale e teorico la cui elaborazione risponde più ad un’esigenza di sistemazione delle conoscenze in un quadro teorico logico e rigoroso che non alla divulgazione del sapere stesso. Ma che cosa si deve intendere per modello? La realtà è complessa : una pluralità di cause determina un singolo effetto! Frase di un docente universitario di qualche decennio fa (citata a senso): “Nel configgere un chiodo nel muro intervengono molteplici aspetti della fisica: la resistenza meccanica dell’acciaio che costituisce il chiodo, la pressione che il chiodo esercita sul muro, la resistenza meccanica del muro, l’energia cinetica del martello e l’impulso comunicato al chiodo, il calore sviluppato per attrito, la dilatazione termica del chiodo, il principio di conservazione dell’ energia, l’elettrizzazione del chiodo per strofinio.……. “ Se si volesse tener conto di tutti questi effetti non sarebbe possibile progettare il chiodo! In effetti nel considerare un ambito fenomenico si fanno sempre delle semplificazioni (riduzioni) e precisamente in questo consiste la produzione di un modello; esso è una adeguata semplificazione della complessità del reale che rende possibile la determinazione di rapporti causa – effetto limitati a poche cause (quelle più importanti). Il modello è il risultato di un processo mentale di idealizzazione del reale. Possiamo dunque credere di avvicinare i giovani alla scienza semplicemente trasmettendo loro i suoi modelli che sono frutto di secolari e difficili processi di astrazione? Il laboratorio scientifico (ed il metodo sperimentale) a cui intendiamo riferirci come alternativa alla didattica frontale non deve intendersi come il laboratorio tradizionale nel quale si conducono esperimenti: l’esperimento e le apparecchiature richieste sono essi stesso un modello; dobbiamo piuttosto riferirci, almeno inizialmente, ad un laboratorio informale, realizzato anche con materiale povero, che consenta agli allievi la familiarizzazione con l’ambito fenomenico esaminato e la sua esplorazione, un’attività cioè che consenta loro di individuare le proprietà importanti nel fenomeno, di ipotizzare legami funzionali di causa ed effetto tra di essi, di assumere dati in forma ordinata ed infine di determinarne modelli descrittivi ed interpretativi. Un esempio: Quando si studia la legge di Hooke che regola la deformazione elastica di una molla elicoidale in acciaio armonico, la scrive: F Kx F In cui è la forza elastica, della molla detta costante elastica. x è l’allungamento della molla e K una costante caratteristica x Scritta in questo modo la legge vale per allungamenti della molla infinitamente grandi: sappiamo bene che non è così! In realtà è sottinteso che la molla elicoidale in acciaio armonico è assunta come un corpo perfettamente elastico (quindi ideale) e che la legge di Hooke si riferisce essa stessa ad un modello ideale. Non è allora più proficuo proporre ai giovani esperienze con comuni “elastici” applicando ad essi a carichi che giungono a determinare la rottura dell’elastico? Facendo loro rappresentare i dati misurati in un piano cartesiano , si potrà facilmente notare che i punti sperimentali non si disporranno affatto in modo allineato ma secondo una curva che si interrompe bruscamente con la rottura dell’elastico. F x Queste esperienze sono semplici da condurre e comunque molto formative; inoltre esse sono proponibili certamente per la scuola media e, con opportuni accorgimenti, anche per quella primaria. Inoltre è possibile condurre esperienze dello stesso tipo con elastici in serie, in parallelo ed esperienze di carico e scarico dell’elastico; in questo modo si favorisce la familiarizzazione dell’allievo con l’ambito fenomenico considerato. Questo tipo di didattica richiede tempo: ma non si deve pretendere di svolgere un programma: finalità di tale approccio è l’acquisizione di capacità e competenze nel leggere la realtà con mentalità scientifica. Questo si intende quando si propone di insegnare per modelli e non di insegnare modelli! Un esempio dell’ Insegnare per modelli Per attuare un laboratorio non tradizionale di verifica di leggi e regole trasmesse teoricamente ma un laboratorio formativo e di scoperta, è utile utilizzare un metodo di ricerca – azione e questo significa in pratica comporta procedere secondo una didattica fondata su problemi. Per illustrare questa modalità darò un esempio concreto partendo da una semplice esperienza. In una prima fase si propone l’esperienza: si utilizza un contenitore di dimensioni opportune, si costruisce un tappo di sughero, si applica al fondo un’astina e si verifica che essa non sia visibile all’occhio che esplora la superficie libera dell’acqua contenuta nel recipiente. Questo esperienza apparentemente così semplice è in realtà ricca di implicazioni ed anche di complessità così da poter essere affrontata a diversi livelli di difficoltà e di approfondimento. Perché l’astina rossa non è visibile quando il sughero galleggia sull’ acqua? Innanzi tutto esploriamo il fenomeno ponendo problemi come questi: • Quanto deve essere l’altezza dell’astina perché essa non sia v visibile? • Dipende l’altezza dal diametro del sughero? • E quanto deve essere grande la bacinella? Perché è evidente che se l’astina è troppo corta o il sughero troppo grande o la bacinella ha una superficie libera d’acqua molto piccola, il fatto che l’astina non sia visibile non desta alcuna sorpresa. Un approccio attuabile nella scuola primaria. Per rispondere alle precedenti domande ed attuare l’esperienza applicando criteri orientativi, utilizziamo una procedura per tentativi; questo è un modo naturale di procedere e l’uomo lo ha utilizzato per i milioni di anni nel corso della sua evoluzione. Questo metodo ha certamente prodotto risultati strabilianti; ad esempio l’invenzione del boomerang degli aborigeni australiani, già attestata diecimila anni fa, ha dell’incredibile se non teniamo conto del tempo e della fatica con cui l’uomo è giunto ad una tale sofisticata scoperta! La procedura per tentativi può certamente conseguire l’ efficacia ma generalmente con scarsissima efficienza cioè con grande spreco di risorse materiali e di tempo: un tentativo riesce, decine e decine falliscono. Questo è il motivo per cui il progresso ha avanzato per milioni d’anni con grande lentezza, mentre negli ultimi due – tre secoli si è avuta una sua crescita esponenziale. Un buon comandante di nave di epoca romana avrebbe potuto comandare abbastanza bene anche una delle caravelle di Colombo: un buon comandante della fine del XIX secolo avrebbe avuto bisogno invece di diversi anni di apprendimento per potersi porre al comando di una nave della fine del secolo successivo. Una didattica per tentativi è certamente quindi dispendiosa ma a mio avviso costituisce un ancoraggio importante per raccordare la formazione scientifica dell’allievo alla sua naturale predisposizione ad apprendere ed alla rete di conoscenze già acquisite. Prepariamo una serie di sugheri aventi differenti diametri: 10 cm 8 cm 6 cm Ed una serie di astine aventi diverse altezze: 5 4,5 4,0 3,5 3,0 2,5 2,0 1,5 cm 4 cm A questo punto si prende uno dei tappi di sughero e si inseriscono su di esso le differenti astine, controllando se esse risultano visibili o meno, quando il tappo galleggia sull’acqua del contenitore. In questo modo l’insieme delle astine viene suddiviso in due gruppi: quelle che non risultano visibili e quelle che lo sono. Prendiamo dall’insieme delle astine che non risultano visibili quella di altezza maggiore: possiamo ritenere questa astina come l’elemento separatore dei due insiemi. Ripetiamo l’esperienza con gli altri tappi; avremo infine per ciascun tappo dell’insieme considerato un’astina che rappresenta l’astina di altezza massima che non risulta visibile quando il tappo galleggia. Considerazioni conclusive: L’altezza massima dell’astina che non risulta visibile sotto il sughero dipende dalla dimensione (diametro) del sughero? Cosa succede se diminuisce il diametro del sughero? Come varia l’altezza massima dell’astina in relazione al diametro del sughero? (rappresentando in scala, su di un foglio di carta, i diametri dei sugheri, come in figura, e tracciando, sempre in scala, le altezze delle astine massime che non risultano visibili quando il sughero è posto a galleggiare sull’acqua, si può far notare che gli estremi delle astine si trovano all’incirca su di una stessa retta (la precisione sarà tanto maggiore quanto più piccola sarà la differenza di lunghezza tra le astine che abbiamo costruito). Questo è un modello grafico per il fenomeno esaminato ed il metodo proposto può essere utilizzato come nomogramma per eseguire il calcolo dell’altezza massima dell’astina che non la rende visibile in relazione al diametro del sughero. Infatti dato un sughero di diametro diverso da quello esaminati in precedenza, l’altezza massima dell’astina che non risulta visibile al di sotto del sughero, quando esso galleggia si può determinare non procedendo più per tentativi! Rappresentando il sughero del diametro dato nella serie di sugheri con le astine già inserite nel centro possiamo prevedere quale potrà essere l’altezza massima dell’astina che non risulta visibile guardando attraverso la superficie dell’acqua contenuta nel contenitore. È importante rendere consapevoli gli allievi dell’utilità del modello rispetto alla procedura per tentativi che consente di risparmiare risorse, cioè di rendere il processo efficiente. Per la scuola media e per il primo biennio della scuola media secondaria, l’approccio può essere il medesimo; si tenderà però ad un modello più interpretativo e formale. Così ci si chiederà perché esiste una condizione limite per l’altezza dell’astina tale che per dimensioni maggiori essa risulta visibile mentre per quelle inferiori non lo è. Si tratta qui di una discontinuità nel comportamento fisico: infatti indicata con h l’altezza dell’astina, i valori possibili per essa sono: 0 h H essendo la profondità del contenitore H. Ma in questo intervallo esiste un valore h per cui il sistema lim modifica il suo comportamento. In riferimento alla figura, si nota che il raggio incidente la superficie di separazione acqua – aria, modifica la sua direzione quando emerge nel mezzo otticamente meno denso (l’aria) allontanandosi dalla normale nel punto di incidenza; questo è il fenomeno della rifrazione retto dalla legge di Snell: raggio di luce rifratto normale alla superficie di separazione nel punto di incidenza n r O i raggio di luce incidente seniˆ n12 ˆ senr L’indice di rifrazione acqua – aria vale circa 0,75. Ora se aumentiamo l’angolo di incidenza î aumenterà anche l’angolo di rifrazione r̂ secondo la legge di Snell. Vi sarà un valore limite di tale angolo a cui corrisponde un angolo di rifrazione pari a 90°. Per un angolo di incidenza maggiore di questo angolo limite non vi sarà quindi un raggio rifratto ma un raggio riflesso (si parla allora di riflessione totale). Possiamo ottenere l’angolo î limdalla relazione di Snell, tenendo conto del valore dell’indice di rifrazione del sistema acqua-aria e del fatto che sen90 1 si trova un angolo limite di circa 48,6°. L’altezza limite dell’astina è quella per cui il raggio luminoso proveniente dall’estremità dell’astina incontra la superficie libera dell’acqua formando con la normale alla superficie dell’acqua nel punto di incidenza un angolo almeno uguale all’angolo limite. Per quanto detto in precedenza deve essere: h lim D ctg (îlim ) 2 Possiamo allora ricavare la seguente tabella: Diametro (cm) D h lim î lim Altezza dell’ astina (cm) 4 6 8 10 1,76 2,64 3,52 4,40 L’altezza limite dell’astina risulta così di poco inferiore al raggio del sughero. In questo esempio abbiamo un notevole esempio di discontinuità nei fenomeni naturali: fino a che il valore dell’angolo di incidenza è inferiore all’angolo limite il fenomeno comprende sia la riflessione sia la rifrazione; quando l’angolo uguaglia quello limite, la rifrazione cessa ed il fenomeno è una pura riflessione (riflessione totale). Certamente il formalismo matematico è poco adatto ad allievi di scuola media ed anche del biennio: questo però non è un ostacolo alla trattazione dell’argomento: infatti la funzione trigonometrica seno che che compare nella legge di Snell può essere sostituita con il rapporto tra il cateto opposto all’angolo di incidenza (o di rifrazione) e l’ipotenusa dei triangoli ABO e A’B’O riportati in figura o qualsiasi altra coppia di triangoli ad essi simili. raggio di luce rifratto B normale alla superficie di separazione nel punto di incidenza n A r O i B’ A’ raggio di luce incidente