LA PROVVIDA SVENTURA IN MANZONI Presentazione a cura di Tarcisio Muratore o La fede in Dio indusse Manzoni a considerare il dolore non come cieco ed inutile, ma come una caratteristica naturale e significativa della condizione umana. Il poeta giunge a formulare il concetto di provvida sventura, ossia vede nella sofferenza un segno della presenza di Dio, che mette alla prova le sue creature, ma non le abbandona. o Il dolore è anche un segno dell'amore di Dio, poiché redime e santifica la vita, o rende degni di una vita migliore coloro che lo sopportano con rassegnazione e con fede. o In effetti, nella storia di Manzoni non c'è soluzione di continuità fra il periodo che precede e quello che segue il ritorno alla fede cattolica, dato che la conversione rappresenta, da una parte, l'inizio di un esame più profondo della vita (che gli appare sotto una luce più severa e dignitosa, come una missione) e, dall'altra, determina una conferma dei suoi ideali di giustizia, di libertà e di progresso e delle sue più nobili convinzioni. La religiosità del poeta appare moderna e concreta, poichè egli sottolinea la novità del Vangelo nel suo contenuto sociale. Come afferma De Sanctis, la sua conversione è "l'idea del secolo battezzata come idea cristiana, l'uguaglianza degli uomini tutti fratelli in Cristo, la riprovazione degli oppressori e la glorificazione degli oppressi, è la famosa triade libertà, uguaglianza, fratellanza vangelizzata, è il Cristianesimo ricondotto alla sua idealità e armonizzato con lo spirito moderno". Manzoni giunge pertanto non solo ad una profonda consapevolezza della condizione umana, ma scopre anche l'importanza della fede, che è vista come completamento e conforto della ragione. In effetti, nelle Osservazioni sulla morale cattolica (pubblicate nel 1819 e poi nel 1855), che sono una confutazione di certe affermazioni dello storico ginevrino Sismondo dei Sismondi, che aveva accusato la Chiesa e la morale cattolica di essere state motivo di corruttela in Italia, appare la sua tendenza a conciliare i princìpi cristiani con le istanze più valide del pensiero contemporaneo. Jean Simonde de Sismondi Nato a Ginevra nel 1773, Sismondi fu storico, letterato ed economista. Nel 1793 partì dalla Svizzera per ragioni politiche e si recò in Inghilterra, dove si interessò di economia, e quindi soggiornò in Italia, stabilendo la sua residenza in Toscana. Avversato per il suo presunto aderire ad idee giacobine, anche qui si dedicò agli studi economici. Quando tornò a Ginevra, venne nominato segretario della Camera di Commercio. Fu amico di Madame de Stael, di cui frequentava il salotto al castello di Coppet. Sostenne sempre una politica economica liberale e favorì la politica napoleonica. Come storico è autore di una "Histoire des républiques italiennes du Moyen age" e di una "Histoire des Français”. In ambito letterario fu uno dei fondatori della critica romantica e in economia volgarizzò le idee di Adam Smith con l'opera in due volumi "De la richesse commerciale". VISIONE PROVVIDENZIALE DELLA STORIA Anche la storia appare ora al Manzoni non come una catena di errori, come voleva l'Illuminismo, né come il risultato delle azioni e delle ambizioni dei potenti, ma come il frutto delle sofferenze e delle lotte degli umili e delle masse; essa è però soprattutto il risultato della volontà di Dio (PROVVIDENZA), che nella storia realizza suoi precisi disegni. La fede religiosa ispira anche l'atteggiamento del poeta nei confronti dei problemi politici del suo tempo: preferisce i metodi legali ed incruenti per la realizzazione della libertà dei popoli a quelli violenti e sanguinari messi in atto, ad esempio, dai rivoluzionari francesi. Egli prese parte, con gli scritti, alla lotta per la libertà italiana e contribuì, con le idee, alla trasformazione in senso moderno e attivo della cultura del suo tempo; operò quindi per l'eliminazione della secolare frattura esistente fra i dotti e il popolo. Di questo impegno è una testimonianza il modo come egli impostò e portò a soluzione il problema della lingua, a partire dagli Inni Sacri. Rifiutando la lingua dotta, sostenuta dalla Crusca e dai neoclassici, egli fu per una lingua viva e nuova; la scelta finale (I promessi sposi, edizione del 1840) del fiorentino parlato (anche se quello della classe colta) conferma la sua idea circa la necessità di abolire il distacco fra lingua letteraria e lingua dell'uso, ossia fra intellettuali e popolo. LA PROVVIDA SVENTURA NELLE DIVERSE OPERE: TRAGEDIE: - ADELCHI (= Coro dell’atto quarto = convinzione circa la soluzione ultraterrena di tutto ciò che nella vita è dolore e mistero). Personaggi emblematici: Ermengarda e lo stesso Adelchi. ODI: - CINQUE MAGGIO (= le sconfitte, come l'esilio di Napoleone, avvicinano l'uomo alla fede e gli fanno conquistare qualcosa di molto più alto e prezioso, la salvezza dell'anima). Personaggio emblematico: Napoleone. I PROMESSI SPOSI L’intero romanzo testimonia il concetto di “provvida sventura”, i cui personaggi emblematici sono Lucia e Renzo. LE TRAGEDIE Manzoni compose due tragedie e ne abbozzò altre due, Spartaco e Ataulfo, ma si allontanò del tutto dallo schema classicistico. Le due tragedie, Il conte di Carmagnola (1820) e Adelchi (1822), sono in cinque atti e in endecasillabi, come voleva la retorica corrente, ma sono assolutamente originali per struttura e spirito. Manzoni respinge le unità aristoteliche, perché gli impedirebbero un’articolazione piena e libera della vicenda. Nella tragedia obbediente a queste unità, l’azione scenica non poteva sintetizzare un’azione reale superiore alle ventiquattro ore; Manzoni invece diluisce nell’Adelchi un periodo di tre anni e ne Il conte di Carmagnola un periodo di sette. E neanche rispettava l’unità di luogo: ne Il Conte di Carmagnola l’azione si svolge ora sul campo di battaglia, ora nelle aule del senato veneto; nell’Adelchi presso il campo di Carlo Magno, nella reggia di Desiderio, nel convento dove Ermengarda muore e in altri luoghi. Quanto all’azione, non è strettamente unitaria, semmai è essenziale, cioè l’autore non indulge a storie marginali. I Cori: - Nell’antica tragedia greca aveva grande importanza il coro, cioè un insieme di personaggi, un gruppo di cittadini, di vecchi, ecc., dialogante con personaggi singoli: era quindi insopprimibile. I Cori di Manzoni, uno ne Il conte di Carmagnola e due nell’Adelchi, rappresentano un cantuccio lirico in cui il poeta espone le sue personali considerazioni e dà al lettore la chiave di lettura intellettuale e morale di ciò che si sta svolgendo. Il Coro potrebbe anche essere eliminato dalla rappresentazione, senza che per questo il filo del fatto tragico subisca una menomazione. L'argomento de Il Conte di Carmagnola deriva da un episodio della guerra tra Venezia e Milano verificatosi nel primo Quattrocento. Francesco Bussone, detto il Carmagnola, un capitano di ventura, era passato al servizio dei Veneziani dopo aver militato per il duca di Milano; e aveva sconfitto (nella battaglia di Maclodio, del 1427), i suoi precedenti alleati. Secondo l'uso delle compagnie di ventura, aveva però lasciato liberi i prigionieri e perciò era stato accusato di tradimento e condannato a morte dai Veneziani. Manzoni presuppone l'innocenza del Conte e, adottando una prospettiva religiosa, costruisce la tragedia intorno alla persona dell'innocente ingiustamente condannato. Le vicende rappresentate nell’Adelchi si svolgono durante la guerra del 772-774 tra i Franchi e i Longobardi. Carlo, re dei Franchi, ha ripudiato Ermengarda, figlia di Desiderio, re dei Longobardi e sorella di Adelchi. Quando la regina ripudiata torna dal padre, alla corte di Pavia, Desiderio giura di vendicarsi. Fallito un accordo con il papa, al quale i Longobardi avevano sottratto alcuni territori, si giunge alla guerra con i Franchi. L’esercito di Carlo, varcate le Alpi attraverso un passo indifeso indicatogli dal diacono Martino, sorprende gli avversari e li sconfigge, nonostante la strenua difesa di Adelchi. Nel convento di Brescia, dove si era ritirata, Ermengarda trova nella morte la pace desiderata. L’avanzata dei Franchi è inarrestabile. A Verona, Adelchi, con i pochi soldati fedeli, tenta una disperata resistenza e viene ferito a morte. Adelchi, morente, è trasportato nella tenda di Carlo, dove si trova prigioniero anche Desiderio. LE ODI Manzoni abbraccia gli ideali patriottici e risorgimentali, auspicando l'indipendenza e l'unificazione delle regioni italiane: esprime le sue idee soprattutto nelle quattro appassionate Odi civili. Al 1821 appartengono due odi civili, notevoli per l'autenticità di ispirazione: Marzo 1821 e Il Cinque Maggio. La prima è una testimonianza (insieme al coro dell’atto secondo del Conte di Carmagnola, al coro dell'atto terzo dell’Adelchi e a molte pagine dei Promessi Sposi) del patriottismo del Manzoni, che si fonde con la religiosità dell’autore: la libertà dell'Italia è vista come il risultato di una crociata, perché la lotta che gli Italiani sosterranno sarà benedetta da Dio, che più volte nella storia è intervenuto in difesa dei popoli oppressi. Nel Cinque Maggio ritorna il concetto di provvida sventura che pone Napoleone (come già Ermengarda), per quello che ha sofferto e per la sua fede in Dio, al di sopra degli odi umani. Affiora inoltre nel componimento la concezione della storia intesa come realizzazione degli imperscrutabili disegni di Dio. I PROMESSI SPOSI Negli anni compresi tra il 1821 e il 1827 ha luogo la composizione dei Promessi Sposi, la cui prima edizione, in tre volumi, fu pubblicata nel 1827 (la cosiddetta “ventisettana”), dopo la stesura del Fermo e Lucia (che però costituisce praticamente un romanzo a sé e venne publicato postumo, nel 1905); mentre l’edizione definitiva vide la luce tra il 1840 e il 1842 (la cosiddetta “quarantana”). Nell'opera, che appartiene al genere del romanzo storico, le piccole vicende dei due giovani protagonisti si intrecciano con quelle della guerra dei trent'anni e con le ripercussioni che essa ebbe in Italia dall'assedio di Casale alla discesa dei lanzichenecchi ed alla peste del 1630. I principali elementi del romanzo sono: - la cornice storica; - la scoperta e lo studio di ambienti inediti e di aspetti della realtà mai trattati dalla letteratura precedente; - lo studio dei personaggi; - il messaggio; - la lingua. La cornice storica è rappresentata dal Seicento, che con i suoi aspetti molteplici (servitù politica, prepotenza dei ceti privilegiati, povertà morale, decadenza culturale ed economica) si presenta sotto certi aspetti come il vero protagonista dell'opera. Tipicamente romantico e manzoniano appare inoltre il recupero degli ambienti inediti, per cui, oltre ai grandi palazzi ed agli ambienti sfarzosi, appaiono le modeste case del curato e del sarto, il paese di Pescarenico ed il Lazzaretto. Nello studio dei personaggi, inoltre si manifesta la grande attenzione dell'autore riguardo ai sentimenti ed alla complessità stessa dell'uomo, che si traduce, nei suoi risultati, in una lezione di umanità. Nel romanzo, il Manzoni esprime compiutamente il suo mondo poetico e religioso e traccia un quadro austero e sofferto della vita, affermando la presenza del dolore, che appare utile alla luce della fede (provvida sventura, appunto). L’opera, inoltre, contiene la concreta soluzione offerta dal poeta al problema della lingua (questione della lingua). Due parole-chiave ne “I promessi sposi”: “provvidenza” e “sventura” Ricerca elettronica di T. Muratore - 2002 • PROVVIDENZA: ricorre 20 volte (in 12 capitoli sui 38 complessivi). • SVENTURA/E-SVENTURATO/A: ricorrono 16 volte (in 11 capitoli sui 38 complessivi). 10 volte sventura/e; 6 volte sventurato/a. IL ROMANZO STORICO In questo periodo cominciano a diffondersi le traduzioni dei romanzi di Walter Scott: del Kenilworth, nel 1821; di Ivanhoe e della Legend of Montrose, nel 1822; di The Hearth of Midlothian, nel 1823. Riallacciandosi al grande romanzo, soprattutto francese, del XVIII secolo e prendendo le mosse dai romanzi neri, lo scrittore scozzese “adopera” la storia sforzandosi di «mostrare poeticamente la realtà storica […] nella rappresentazione delle grandi crisi della storia inglese» (Lukàcs, 1972). Tuttavia in Scott la storia è «ridotta, declassata […] alla stregua della divagazione, del capriccio, dell’avventuroso movimento […]» (Bertacchini, 1964), diventa un pretesto per una serie di avventurose invenzioni romanzesche: pseudostoriche, quindi. Proprio l’ “avventuroso movimento”, lo slancio immaginativo e sentimentale dei romanzi di Scott esercitano un’enorme influenza sugli scrittori italiani, mentre passa in secondo piano la ricerca e la documentazione: è il caso de Il Castello di Trezzo, del Bazzoni e della Sibilla Odaleta del Varese, ma anche de La battaglia di Benevento del Guerrazzi: tutti pubblicati nel 1827, l’anno nel quale – perciò – si fissa la data di nascita del romanzo italiano. L’anno in cui viene pubblicata anche la prima edizione de I promessi sposi. IL ROMANZO NERO (O DELL' ORRORE O GOTICO) Nella seconda metà del '700, in Inghilterra, la nuova sensibilità per il lato oscuro, favorisce la nascita del romanzo gotico, le cui caratteristiche sono l'ambientazione medievale stravagante e la trama complicata, nella quale i protagonisti sono fanciulle perseguitate, fatti di sangue, fantasmi, vendette, matrimoni mancati e monaci corrotti. L'ambientazione predilige scenari come cupi conventi, castelli pieni di segreti ed infestati dai fantasmi, luoghi pieni di significati simbolici. In questi romanzi il protagonista non è mai l'eroe positivo, ma sempre un personaggio inquietante. Nonostante le sue origini inglesi, il romanzo gotico colloca le sue storie in Italia, in Spagna e in Corsica, considerate luoghi ricchi di mistero e particolarmente predisposti allo sviluppo di vicende complesse, di intrighi. Le opere più famose del filone nero o gotico sono: 1 "Il castello di Otranto” di Horace Walpole. 2 "I misteri di Udolfo” di Ann Radcliffe . 3 "Il confessionale dei Penitenti Neri” di Ann Radcliffe . 4 "Il monaco” di Matthew Gregory Lewis . 5 "Vathek” di William Beckford . 6 "Malmoth” di Charles Robert Maturin. Le caratteristiche dei romanzi sopra elencati sono le stesse, con una differenza: alcuni finiscono razionalmente, altri sostengono anche nel finale che le creature di cui si parla esistano veramente . Un secondo filone di romanzo nero è costituito dalle opere le quali hanno come protagonista la figura del vampiro . La questione della lingua ne “I promessi sposi” «Il problema di una lingua capace di raggiungere un popolo di lettori quanto più vasto possibile era stato risolto nel Fermo e Lucia con un audace compromesso fra lingua letteraria e lingua d’uso (lombardo). Ne era derivato un ibrido che indubbiamente non poteva soddisfare Manzoni, la cui preoccupazione per la questione della lingua, nel caso in esame, è testimoniata dalle due Introduzioni (poi soppresse) che aprono e chiudono il Fermo e Lucia» (Ceserani-De Federicis). Il rifiuto delle lingua letteraria tradizionale, troppo retorica e lontana dal popolo, porta quindi lo scrittore alla ricerca di una lingua d’uso adatta alla composizione di un romanzo veramente “nazionale” non “municipale”: lingua che, alla fine, nella Ventisettana si identificò con il Fiorentino tre-cinquecentesco delle cronache, delle novelle, dei memoriali e dei testi scientifici. Tuttavia, la scelta non soddisfa del tutto Manzoni. Così, nello stesso 1827, si reca in Toscana con il proposito di apprendervi la lingua viva. Manzoni così «risponde all’esigenza di superare lo scarto fra lingua scritta e lingua parlata in funzione antiretorica, attraverso l’utilizzo stilistico di un’effettiva lingua sociale» (Ceserani-De Federicis). Il romanzo viene completamente rivisto sotto il profilo linguistico. Ne deriverà l’edizione definitiva, la Quarantana.