Trentatré anni dopo (1973 – 2006) Poesia multimediale di Biagio Carrubba (Testo della poesia) Trentatré anni dopo. Vaghi ricordi di Michele Zinna e Concetta Aprile. Oggi trentatreesimo anno dal liceo ricordo con commozione e con nostalgia la mia classe di liceo degli anni ’68 – ’73. Di molti compagni di quella classe liceale non so cosa abbiano fatto in questi anni e non so cosa facciano oggi, ma di due di loro so perfettamente che ormai non ci sono più da tanti anni: Michele Zinna e Concetta Aprile . Angelo diceva che la morte è un paravento di fumo fra i vivi e gli altri. Basta affondarci la mano per passare dall’altra parte e trovare le solidali dita di chi ci ama. (da Diceria dell’untore di Gesualdo Bufalino). Di Michele, mio carissimo compagno di banco, ricordo mestamente che morì qualche mese prima di fare gli esami di quinta liceo. Morì per un disgraziato infortunio dentro la vasca da bagno di casa sua, in un triste e desolato pomeriggio di maggio. Ogni tanto facevamo i compiti insieme e ricordo che lui era più bravo di me in matematica, ma io lo aiutavo nel disegno. (ma fra noi vivi che ci scriviamo, le parole servono forse di più? Ed è poi sicuro che sia suono la vita e silenzio la morte, e non invece il contrario?) (da Diceria dell’untore di Gesualdo Bufalino). Era innamorato di una bellissima ragazza di un’altra classe e lui ogni tanto andava a trovarla, ma io mi accorsi che ogni tanto la nominava. I suoi funerali per me furono un forte trauma psicologico perché prima di allora non avevo provato tanto dolore. Ricordo ancora la faccia impietrita del padre e le lacrime della madre, ma anche tutta la classe partecipò con profonda commozione ed emozione allo straziante funerale. Rimase così, con una sorta di ghigno, non perverso ma lieto, dipinto sul viso, un ghignetto che gli conoscevo, così vivido che mi ci volle tempo per capire ch’era finita, e che ogni minuto, a partire da quello, sarebbe stato uguale per lui: una catena uguale di neri minuti, un fiume senza sponde di identici, eterni, inaccaduti minuti. (da Diceria dell’untore di Gesualdo Bufalino) Di Concetta mia compagna di classe ricordo tristemente che diceva: “Dico sempre la verità”. Morì qualche anno dopo che avevamo finito il liceo. Un giorno inaspettatamente mia madre mi disse: <<Sai che è morta la tua compagna Concetta>>. Seppi che era morta per una malattia incurabile e rimasi di pietra. Ma allora ero giovane e pensavo al mio futuro. Oggi sono passati trentatré anni. E ora che scrivo di loro due il mio cuore sobbalza per il tempo trascorso. Resta di tanta vacanza solo una pozza di sole scordata sulle lenzuola della mia stanza; e questa rosa che il gelo del davanzale consuma, e se ne perde il profumo verso un inutile cielo. (da Promemoria) Morior ergo sum (Da L’amaro miele di Gesualdo Bufalino) Ora guardo gli occhi di Michele e di Concetta, in questa foto in bianco e nero ma ancora lucida, che la professoressa Flora Monteforte ha conservato per tanti anni e di cui io sconoscevo l’esistenza, e vedo i loro occhi e il loro sguardo così vivo e così vivido come allora, come se trentatré anni non fossero passati e mi accorgo che i loro occhi chiedono, come tutti i morti, ancora vita e luce, parole e ricordi. Certo oscilla fra contrattempi e incastri senza numero il gioc’a a tombola della nostra vita. (da Diceria dell’untore di Gesualdo Bufalino). A distanza di trentatré anni oggi riconosco che quella classe, tutto sommato, non era niente male, visti i frutti che ha dato: diversi medici, alcuni commercianti, qualche commercialista, un professore di Italiano e storia e un farmacista. Meno bene hanno fatto le ragazze nessuna delle quali è riuscita a laurearsi. Ricordo che Michele voleva iscriversi all’Accademia navale e fare la carriera militare. È passato tanto tempo da allora e molte cose sono cambiate, ma non la vita perché quella resta, anche se fortunata o sfortunata, lunga o breve, in tutti i casi, una toccata e fuga per tutti. Non si conosce mai chi si vuole, ma chi si deve o chi capita, secondo che una mano sleale ci rimescoli, accozzi e sparigli, disponendo o cassando a suo grado gli appuntamenti sui canovacci dei suoi millenni. (da Diceria dell’untore di Gesualdo Bufalino). Io non posso che ricordarli e dirgli: “Arrivederci a presto, tutti vivi, perché spero nella risurrezione dei morti così come afferma il vangelo”. E rivolgo un saluto affettuoso a tutti gli altri compagni di classe sperando che questi anni trascorsi siano stati anni proficui di salute e di benessere culturale, psicologico ed economico. Invio, infine, un augurio a tutti di stare bene negli anni avvenire e di avvicinarsi alla felicità, ed in special modo alla indimenticabile, bella e brava professoressa Flora Monteforte. Benché sapessi già allora che avrei preferito starmene zitto e portami lungo gli anni la mia diceria al sicuro sotto la lingua, come un obolo di riserva, con cui pagare il barcaiolo il giorno in cui mi fossi sentito, in seguito ad altra e meno remissibile scelta o chiamata, sulle soglie della notte. (da Diceria dell’untore di Gesualdo Bufalino). Biagio Carrubba MODICA LUNEDI’ 02 OTTOBRE 2006.