La Giustizia nei Promessi Sposi
La giustizia nel Seicento
Nell’Italia del 600 la giustizia nei comuni era piuttosto
arbitraria e nelle mani dei più potenti. Succedeva,
infatti, che gli unici ad essere vittime del sistema
giudiziario fossero proprio i più bisognosi: gli umili e
gli indifesi.
È evidente il desiderio dell’autore di denunciare e
criticare la giustizia dell’epoca dal fatto che abbia
scelto come protagonisti del suo romanzo proprio due
semplici e umili contadini, che rappresentano e
manifestano le angherie delle quali erano vittime i
deboli dell’Italia seicentesca.
Il dominio dei potenti
Le istituzioni, certo, non negavano leggi e
punizioni per angherie o soprusi commessi,
ma, molto spesso, venivano gestite e
amministrate da giudici in modo piuttosto
arbitrario; di fatto la giustizia dell’epoca era
uno strumento al servizio dei potenti che
consentiva loro di commettere ingiustizie
essendo coperti dalla legge che condannava i
più deboli e indifesi a subire.
La giustizia era gestita dai signorotti dei paesi
che, tramite un considerevole numero di bravi
al loro servizio, commettevano prepotenze e
corrompevano altri rappresentanti della
giustizia o si facevano amici di altri potenti.
Don Abbondio e i Bravi
Nel primo capitolo l’autore traccia un
generale quadro della situazione, e ,
tramite l’incontro di don Abbondio con i
bravi, evidenzia una popolazione per lo
più divisa tra oppressi e oppressori, e la
condizione nella quale si trovavano i
meno pavidi e coraggiosi che, per non
essere vittime di tali angherie, erano
costretti a raggrupparsi in corporazioni o a
rifugiarsi sotto la protezione di una delle
due più potenti classi sociali: la chiesa. Il
piccolo clero locale era, tuttavia,
impotente di fronte a tale prepotenza e
presa di potere da parte dei nobili, ricchi e
potenti, e viveva, quindi, in un continuo
clima di terrore, spesso costretto ad
atteggiamenti di servilismo.
L’avvocato Azzeccagarbugli
La dimostrazione lampante del sistema giudiziario
seicentesco l’abbiamo nel terzo capitolo, quando
Renzo si reca dall‘avvocato soprannominato
Azzeccagarbugli, nella speranza che questo possa
perorare la sua causa. L’avvocato inizialmente,
credendo che Renzo sia un bravo, gli espone tutte le
strategie giuridiche per risolvere il problema, ma
quando infine scopre che egli è la vittima e non il
malfattore, lo caccia con sgarbate parole.
Azzeccagarbugli ha una professionalità distorta, è
servo del potere e dell’amico, nonché protettore,
Don Rodrigo. In mano sua la legge è uno strumento
ed è spregiudicato e abile nel manovrarla con
artifizi verbali. L’avvocato è una figura piuttosto
drammatica perché rappresenta tutta la società
corrotta del ‘600.
Manzoni e il popolo
Un'altra critica, questa volta fatta
direttamente da Manzoni, è quella sulla
folla. L'autore infatti ha un atteggiamento
critico nei confronti della violenza e del
disordine di quell’ ”esercito tumultuoso".
Pensa che i manifestanti siano senza
organizzazione e agiscano con violenza
senza pensare alle conseguenze delle loro
azioni.
Antonio Ferrer
Ferrer viene deriso da Manzoni, che
espone gli argomenti che il Cancelliere
contrappone alle proteste dei fornai. E’
molto significativo l’uso della doppia
lingua: in italiano pronuncia frasi di
circostanza per ammansire i milanesi
inferociti mentre in spagnolo dice ciò che
pensa veramente.
Ma Ferrer però non si rende conto di aver
procurato lui stesso, con la sua
irresponsabile demagogia, i tumulti di
Milano. La principale caratteristica di
Ferrer è la sua doppiezza, in grado di
ingannare persone ingenue ed oneste come
Renzo, e che è così accentuata da
raggiungere atteggiamenti istrionici.
Il Principe e il Conte Zio
La vita di Gertrude è stata condizionata
dal padre, uomo gretto e scaltro con
molto potere, che obbliga la figlia,
contro la propria volontà, a diventare
monaca per non far spartire il
patrimonio
che
doveva
andare
interamente al primo genito.
Altro personaggio di grandissimo potere è il
Conte Zio, convinto astutamente da Attilio
ad indurre il padre provinciale, attraverso le
sue conoscenze, ad allontanare Fra
Cristoforo da Pescarenico. Il padre
provinciale acconsente e spedisce Fra
Cristoforo a Rimini perché proteggeva
Renzo che si era messo nei guai con la legge.
Il Bene, il Male e il pensiero dei critici
Nel dialogo tra il cardinale Borromeo e Don
Abbondio, vi è una rivalsa della giustizia: egli
viene rimproverato dal cardinale perché non
aveva sposato Renzo e Lucia; lo mortifica e lo fa
sentire una nullità. In questo dialogo c’è uno
scontro tra Bene e il Male. I Promessi Sposi sono
un’opera letteraria in cui viene rappresentato lo
scontro tra Bene e Male. Infatti, la visione di
Manzoni del Seicento è caratterizzata da questo
epico conflitto in cui la storicità è poco
attendibile. Molti critici come Marzolla, Ramat e
Russo affermano che i Promessi Sposi non sono
una testimonianza storica del Seicento, ma
rappresentano la visione etico-religiosa che
Manzoni ha dell’uomo, non di questo secolo, ma
di tutti i tempi.
Il cardinale Federico Borromeo
Nel romanzo però ci sono anche uomini di
grande cultura che usano la giustizia a fini
proficui come il cardinale Federico
Borromeo. Egli è una figura molto
positiva, un uomo giusto, che crede
veramente nei valori cristiani; è uno di
quegli uomini rari che aveva dedicato la
sua vita al meglio, è un religioso di
vocazione.
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