phaedra’s love sarah kane accademia degli artefatti-numeri:primi Phaedra's love Autore: Sarah Kane Trad. Barbara Nativi Attori: Fabrizio Croci, Francesca Zavaglia, Simonetta Checchia, Antonluigi Gozzi, Rocco Antonio Buccarello Regia: Fabrizio Arcuri Scenografia: Fabrizio Arcuri Costumi: Fabrizio Arcuri, Rita Bucchi luci :Diego Labonia di andrea porcheddu • È di raffinata fattura l'edizione di Phaedra's love messa in scena da Fabrizio Arcuri, regista e anima dell' Accademia degli Artefatti di Roma, con il giovane gruppo parmense NumeriPrimi. Edizione nata da un lungo laboratorio che il regista ha tenuto con gli attori della compagnia di Parma, e che affonda a piene mani nell'universo disagevole e dolente di Sarah Kane. La scrittura della drammaturga inglese, morta suicida nel 1999, è sempre di difficile decodificazione: è un abisso, in cui ci si deve calare con coscienza e attenzione, ma è anche un continuo gioco di rimandi e ironie, di trappole e scarti, di poesia e volgarità. Ecco, allora, perché quella scrittura risulta insidiosa all‘ allestimento:non può essere affrontata con ardore mimetico - giacché si ridurrebbe a superficiale macchiettiamo televisivo - né, tanto meno, può assurgere a totale lirismo tragico, dal momento che la poesia, la tragedia durissima della Kane è continuamente messa in discussione, sottratta, spostata dall'ironia. Un terreno minato, dunque, che pretende attori di grandi capacità, che sappiano fuggire schematismi preconfezionati ma tenere profondità emozionali assolute. Ed ecco perché, dunque, il lavoro fatto da Arcuri con il gruppo NumeriPrimi risulta molto interessante. • La scelta è stata per una sottile «estetica del disturbo»: il piccolo gruppo di spettatori chiamato ad assistere al lavoro in una sorta di «scatola» candida che li avvolge e li avvicina agli attori, veniva sottilmente scosso, turbato, da un che di ineffabile. Si insinua sottilmente, il disagio: cresce, ma senza svelare la propria origine. Gesti minuziosi, spostamenti di equilibrio, un fraseggio spezzettato o appena sussurrato, una tensione che monta senza mai esplodere, un continuo e snervante dilatare del tempo, parole ossessive che restano sospese: la tragedia di Fedra si scompone tra nevrosi e silenzi, tra isterie e malesseri. • Che personaggi sono, quelli disegnati dalla Kane? Un medico azzimato, una Fedra adolescente e psicolabile, la figlia Strofe morbosamente legata alla madre e appariscente fino alla volgarità. E lui, Ippolito: la Kane lo descrive come un grassone repellente. Qui è un bell'uomo, ma abietto e impigrito, con una vestaglietta a coprire mutande disfatte e una maglietta con Ganesh stampato su, calzini e ciabatte: più Caligola che Oblomov, folle e depresso, lucido e malato, bambino capriccioso e masturbatore annoiato. • Chiusi in una sorta di corridoio che si farà inesorabilmente sempre più stretto, i personaggi di Phaedra's love vagano incerti fino alla propria distruzione, affondano sorridendo nella propria oscurità, mostrano e celano la degradazione, fingono e vivono le loro insane perversioni sessuali come condizioni inesorabilmente immutabili. La vicenda cresce (o si fa sempre più degradata) fino al parossismo finale e splatter: l'arresto di Ippolito con l'accusa di aver stuprato Fedra, il suicidio di lei, la condanna a morte di Ippolito, l'involontaria uccisione di Strofe da parte di Teseo e il suo suicidio. Non si salva nessuno, naturalmente: ma non è questo che conta. • Quel che preme alla Kane, e ad Arcuri, è giocare con questa mostruosità. Lo spettacolo, colorato di impercettibili e bellissime luci in continuo movimento, tiene l'equilibrio, alterna sapientemente momenti di divertita comicità surreale (un pianoforte che appare di colpo in scena con pianista da pianobar, un robottino deusex-machina che si fa da mediatore nel dialogo tra Ippolito e Fedra, un playback della regina su un brano di PJ Harvey e molto altro) a dolorose e amare considerazioni sul destino e la predeterminazione umana. • Questo Phaedra's Love non fa eccezione. Il testo, ascoltato nella funzionale traduzione di Barbara Nativi, si leva leggero come una telenovela, come una parodia trash dell'avvento di Lady Diana alla corte di Inghilterra, come un affondo grandguignolesco e pulp nelle perversioni di un principato tutt'altro che nobile. La storia, però, rimanda con acuta asciuttezza non solo all'originale tragico greco, ma anche alla rilettura senechiana del mito classico: ma l'amore incestuoso e malato della regina Fedra, moglie di Teseo, per il figliastro Ippolito viene qui declinato in un gioco grottesco e decadente, sciatto e volgarissimo. • Sulle note irriverenti dei Massive Attack si chiudono le quasi due ore di lavoro, splendidamente interpretate da un ottimo Fabrizio Croci, nei panni discinti di Ippolito; da una folgorante Simonetta Checchia - magistrale il lavoro fisico su Fedra; e da Francesca Zagaglia, accattivante Strofe; Rocco Antonio Buccarello, energico Teseo, e da Antonluigi Gozzi nel doppio ruolo del medico e del prete perverso. (20 maggio 2003) [email protected]