I nuovi califfi
Dalla primavera araba
al tentativo di affermazione
dello Stato Islamico
lucio celot - I nuovi Califfi
1
Parte prima.
Cosa resta della Primavera Araba?
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2
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3
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Etienne de la Boétie e Gene Sharp
ovvero, la political defiance.
Siate risoluti a non servire più, ed eccovi
liberi; non voglio che vi scontriate con
il tiranno o che lo facciate crollare,
limitatevi a non sostenerlo più e lo
vedrete, come un grande colosso cui
sia stata sottratta la base, cadere d’un
pezzo e rompersi.
Etienne de la Boétie, Della servitù volontaria (1554)
lucio celot - I nuovi Califfi
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[...] questo potente solo, non c’è bisogno di
combatterlo, non occorre batterlo, si sconfigge
da se stesso, purché il paese non acconsenta alla
propria servitù […]
[…] più si dà loro [agli oppressori], più li si serve,
tanto più si rafforzano e diventano sempre più
forti e più capaci di annientare e distruggere
tutto; ma se non si dà loro niente, se non si
obbedisce loro, senza combattere, restano nudi e
sconfitti e non sono più niente, come la radice
che, senza più umore o alimento, diviene uno
sterpo secco e morto.
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(ivi)
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de la Boétie ci parla del
rifiuto dell’autorità e del
lavoro, che sono l’inizio
della liberazione politica.
Egli riconosce il potere del
rifiuto, di sottrarci alle
relazioni di dominio e, se
necessario, di sovvertire
il potere sovrano,
ingiusto e violento, che ci
sovrasta.
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Gene Sharp (1928):
i suoi scritti, e
principalmente
Dalla dittatura alla
democrazia, hanno
ispirato movimenti
di opposizione in
diverse parti del
mondo, dalla
Birmania (oggi
Myanmar) alla
Serbia di
Miloševi´c, fino, più
di recente, alle
rivolte di piazza
che hanno
sconvolto il mondo
arabo.
È stato definito «il von Clausewitz della
nonviolenza» e l’istituzione che ha
fondato (Albert Einstein Institution) da
anni promuove questa sua battaglia.
Sharp si è formato sui testi di
Mohandas Gandhi e sulla storia della
rivolta per l’indipendenza dell’India.
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Il principio è semplice. I dittatori necessitano della
collaborazione del popolo su cui dominano:
senza questa collaborazione non possono
conquistare e mantenere le fonti del potere
politico. Tali fonti sono:
Autorità;
Risorse umane;
Conoscenze;
Fattori intangibili;
Risorse materiali;
Sanzioni.
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(G.Sharp)
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Se, nonostante la repressione, le fonti del potere
possono essere limitate o recise per un tempo
sufficiente, i risultati iniziali possono tradursi in
un momento di incertezza e confusione nella
dittatura. Che probabilmente porterà a un
evidente indebolimento del suo potere. Nel
tempo, il blocco delle fonti di potere può
comportare la paralisi del regime, riducendolo
all’impotenza; e, nei casi più estremi,
provocandone la disintegrazione. Prima o poi, il
potere del dittatore morirà di fame politica.
(G.Sharp)
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B.Assad
A.Saleh
M.Geddafi
H.Mubarak
B.Ali
La Primavera araba:
i fatti.
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La carta che segue descrive la
situazione mediorientale a inizio
marzo 2011: le principali basi Usa, la
percentuale della popolazione sotto
i 25 anni per paese e pil pro capite.
In evidenza anche l’instabilità
caucaso-caspica, la guerra afghana e
il Pakistan in bilico.
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lucio celot - I nuovi Califfi
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Come è noto, le prime manifestazioni sono state quelle di
Tunisi. La rivolta ha poi contagiato in misura diversa paesi vicini
(Libia, in un secondo momento) e più lontani (Egitto, da subito).
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L’ex Presidente
della repubblica tunisina
Ben Ali
Tra il dicembre 2010 e il 14
gennaio 2011 la cosiddetta
Rivoluzione dei gelsomini in
Tunisia ha costretto alla fuga il
Presidente Ben Ali, a capo per
23 anni di un regime corrotto
e antidemocratico.
Il 17 dicembre il venticinquenne
Muhammad Bouazizi,
venditore ambulante, si dà
fuoco perché la polizia gli ha
sequestrato la merce: da
questa scintilla scocca la
rivoluzione, che unisce nella
protesta l’intera società civile.
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L’assenza di democrazia
e di libertà di
espressione unisce
lavoratori e studenti,
disoccupati, avvocati
e magistrati: la classe
media e i funzionari di
Stato.
I modi della protesta
sono nuovi: flash
mob, reti di bloggers,
social network
organizzano la
protesta e
demoliscono il
lucio celot - I nuovi Califfi vecchio regime.
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Prima delle elezioni, svoltesi nell’ottobre
2011 e vinte dal partito islamico Ennahda, i
nuovi legislatori tunisini hanno preso
alcune iniziative importanti, come ad
esempio la parità uomo-donna nelle
candidature alle elezioni, l’abolizione della
polizia segreta, una nuova legge elettorale
proporzionale che apre la Tunisia al
pluripartitismo. In generale, la Tunisia si
propone come un vero e proprio
laboratorio politico, sociale ed economico.
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Dopo tre anni:
le elezioni del 26 ottobre 2014 hanno
assegnato la vittoria alla coalizione laica
(Nidaa Tounes) e messo in minoranza il
partito islamico Ennahda che aveva
guidato la fase postrivoluzionaria; sarà
comunque necessario un governo di
coalizione (che non avrebbe vita facile se
unisse le due maggiori formazioni).
La Tunisia, l’unico paese in cui la Primavera
Araba non ha fallito, ci ricorda due cose:
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• La prima è che le teorie sull’incompatibilità tra islam e
democrazia sono infondate. La Tunisia è un paese
musulmano, ma conosce la libertà, la tolleranza e la
democrazia. E soprattutto ha dimostrato di saperle
difendere;
• l’aggettivo “islamista” viene dato a forze politiche
profondamente diverse tra loro: ai sanguinari del
gruppo Stato Islamico, ai conservatori musulmani al
potere in Turchia, ai Fratelli Musulmani d’Egitto e a
Ennahda, i cui leader vogliono inserire nella vita
politica nazionale un partito sì conservatore, ma
lontano anni luce dal jihadismo.
(B.Guetta, L’esempio della democrazia tunisina, in
http://www.internazionale.it/opinione/bernard-guetta/2014/10/28/l-esempiodella-democrazia-tunisina
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Egitto:
la rivoluzione di facegooyout
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Anche in Egitto
NON c’è stata
una guerra
civile ma
manifestazioni
popolari
(scioperi) che
hanno fatto di
piazza Tahrir al
Cairo il luogo
simbolo delle
rivoluzioni
arabe.
In tre settimane
si è dissolto un
regime che
durava da 29
anni…
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Il movimento Kifaya e quello 6 aprile, protagonisti di
piazza Tahrir, protestano contro l’ipotesi di un altro
mandato a Mubarak o del passaggio dei poteri al figlio;
inoltre chiedono un vero e proprio risorgimento
politico, economico e sociale del paese che sfoci in un
governo democratico. Il movimento di piazza Tahrir
utilizza la resistenza pacifica, la guerra nonviolenta, il
cambiamento pacifico.lucio celot - I nuovi Califfi
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Strumenti fondamentali per aggirare la
repressione del regime sono stati youtube
(numerosi Filmati riprendevano le violenze
della polizia), facebook e twitter…
…con cui i rivoltosi si
davano appuntamento o
comunicavano in tempo
reale durante le
manifestazioni…
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…così come fondamentale è stato il ruolo dell’emittente
panaraba Al-Jazeera,
tradizionalmente ostile al regime di Mubarak…
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I Fratelli Islamici hanno vinto
le prime elezioni del
dopo Mubarak in Egitto…
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Chi sono i Fratelli Musulmani?
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Né mondialismo né nazionalismo, ma Fratellanza
islamica: è questo il motto di un movimento che da
ottant’anni si caratterizza per l’impegno sociale e
religioso a favore delle classi svantaggiate. La
Fratellanza tenta di tradurre in progetto politico
applicabile alle società contemporanee i principi
dell’Islam: la parola jihad è da essi intesa come
“doveroso impegno”, nella società e nelle istituzioni,
al rispetto dei precetti coranici.
Fuorilegge in Siria, vincitore delle elezioni in Algeria
negli anni ’90, in Egitto il movimento ha avuto
riconoscimento legale (Libertà e Giustizia) solo dal 6
giugno del 2011, dove ha vinto le elezioni
presidenziali del 2012.
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Il presidente M.Morsi,
espressione del partito dei
Fratelli Islamici, si è dimostrato
incapace di gestire la difficile
situazione economica
dell’Egitto e la progressiva
deriva fondamentalista del
governo.
A seguito di altre proteste
popolari nell’estate del 2013,
Morsi è stato deposto da un
colpo di stato militare che ha
restaurato un regime
autoritario…
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La rapidità con cui in Tunisia e in Egitto
sono caduti in meno di un mese
regimi pluridecennali conferma le
teorie di Sharp secondo cui la
political defiance, la ribellione
politica nonviolenta, è l’unico
strumento che possa, con danni
limitati, “affamare” le dittature,
fiaccare le fonti del potere attraverso
la disobbedienza.
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La guerra civile in Libia
(febbraio-ottobre 2011):
morte di un dittatore.
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Quali che siano i meriti dell’opzione violenta, una
cosa è chiara: confidando nella violenza, si
sceglie un terreno di lotta in cui gli oppressori
hanno quasi sempre la superiorità. I dittatori
dispongono dei mezzi per applicare la violenza
in maniera soverchiante. Per quanto a lungo i
democratici possano perseverare, alla fine la
repressione militare diventa inevitabile. I
dittatori dispongono quasi sempre di truppe,
munizioni, mezzi logistici e militari superiori.
Nonostante il coraggio, per i democratici non c’è
partita.
(G.Sharp)
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La situazione della
Libia è complessa:
non c’è stato uno
scontro tra piazza e
palazzo ma un
conflitto tra
famiglie tribali che
nemmeno
Gheddafi è mai
riuscito a fondere
in una nazione nel
senso occidentale
del termine.
Quindi:
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…più che una rivoluzione politica o sociale che ha
contrapposto dei liberali a un regime autoritario,
in Libia si è verificato un rivolgimento
espressione di una profonda frattura tra realtà
etno-tribali differenti.
I clan cirenaici hanno colto l’occasione delle rivolte
nord-africane e mediorientali per riprendersi la
rivincita sul colpo di stato con cui Gheddafi nel
1969 aveva deposto il loro re Idris.
Gheddafi ha governato per 42 anni controllando e
reprimendo oppositori, mass media e movimenti
islamisti nonché distribuendo con accortezza
cariche politiche e ricchezze petrolifere alle varie
“famiglie” libiche.
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A seguito degli scontri, lo
stesso Gheddafi viene ucciso
dai rivoltosi nell’ottobre del
2011…
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Una volta sconfitta una specifica
dittatura, non si può certo credere che
tutti i problemi siano risolti. La caduta
di un regime non sfocia nell’utopia.
Piuttosto, apre la strada a un duro e
faticoso lavoro per costruire relazioni
sociali, economiche e politiche e
sradicare altre forme di ingiustizia e
oppressione.
(G.Sharp)
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Tre anni dopo:
- il Consiglio Nazionale Generale, con il compito
di guidare il processo di democratizzazione del
paese, ha indetto le elezioni per il giugno 2014,
nelle quali il partito «liberal» ha sconfitto gli
islamisti (ma solo il 20% degli aventi diritto ha
votato);
- continua a infuriare le guerra civile tra islamisti
da un lato e esercito regolare dall’altra: il
problema per il governo è il mancato disarmo di
tutte le milizie che si erano opposte a Gheddafi.
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Rivolta e repressione in Siria
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Anche la Siria è formalmente una Repubblica, governata
dal 1963 dal Partito (unico) Ba’th, socialista e non
confessionale. Dal 1970 il Presidente è sempre un
membro della famiglia Assad: dal 2000 è Bashar alAssad, attualmente impegnato a fronteggiare una vera
e propria guerra civile, considerata parte della
Primavera Araba.
Dal 1962 la Siria è in “stato di emergenza” (guerra con
Israele), cosa che permette di limitare i diritti
costituzionali dei cittadini siriani.
Le proteste, iniziate nel febbraio-marzo 2011, sono
finalizzate ad una profonda riforma democratica del
paese: libertà, rispetto dei diritti fondamentali, dignità,
uguaglianza sono i valori rivendicati dai manifestanti.
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Il regime afferma di essere vittima di un
complotto ordito da USA e Israele per il
controllo della regione e per isolare l’Iraq; le
opposizioni chiedono una costituzione che
permetta il pluralismo partitico e la
limitazione del mandato presidenziale a
quattro anni non rinnovabili.
Ecco la complessa situazione etnico-religiosa,
sintetizzabile nella contrapposizione tra
sunniti da una parte e alawiti (sciiti) dall’altra:
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Secondo le Nazioni Unite il numero delle vittime è
superiore a 190.000, di cui circa la metà civili.
Vi sono inoltre circa 4 milioni di siriani sfollati
all'interno del paese e 2,5 milioni fuggiti in altri
paesi quali la Turchia, la Giordania, il Libano e il
Kurdistan iracheno (fonte: Wikipedia)
All’interno di questa guerra civile, a partire dal
2013 si è rafforzato e cresciuto il movimento
jihadista e fondamentalista islamico, che è
particolarmente forte al confine con l’Iraq,
nelle zone orientali:
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Qui, nel giugno 2014, Abu Bakr al-Baghdadi
proclama la fondazione delll’ISIS (Islamic State
of Iraq and Syria) e invita tutti i musulmani ad
aderirvi…
La bandiera nera dell’IS.
In alto: Non c’è divinità se non Allah;
in basso, nel cerchio bianco:
Maometto è l’inviato di Allah.
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Parte seconda.
Lo Stato Islamico
nel caos mediorientale.
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Il territorio (ISIS) proclamato indipendente da Abu Bakr al-Baghdadi
durante le fasi della guerra civile siriana e della guerriglia in Iraq
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██ Territori controllati dallo Stato Islamico
██ Territori rivendicati dallo Stato Islamico
██ Restanti territori di Iraq e Siria
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Al momento, l’IS sta controllando
- circa un terzo della Siria, il paese che ha
utilizzato come trampolino di lancio;
- circa un terzo dell’Iraq, dove imperversa la
guerra civile tra Sciiti e Sunniti: Mosul, Tikrit e
altri centri nel nord e nel centro del paese sono
in mano ai jihadisti del «califfato»,
- e sta colpendo sia a est, nel Kurdistan, sia a
ovest, in Libano.
I fattori che hanno determinato la rapidissima
scesa dell’IS sono i seguenti:
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1. Tre anni e mezzo di guerra civile in Siria con la conseguente
frammentazione politico-territoriale;
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2. assenza dello Stato e perdita del sentimento
nazionale di appartenenza in Siria e in Iraq;
3. influenza sempre più debole delle grandi
potenze sulla regione;
4. assenza di una leadership sunnita autorevole e
sostenuta da ampio consenso;
5. crollo delle istituzioni siriane e irachene travolte
dall’odio tra Sunniti e Sciiti;
6. popolazioni rimaste in balia di sette, clan e
milizie varie, più o meno armate.
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Alle radici dell’odio:
Sunniti/Sciiti
Dopo la morte di Maometto (632
d.C.):
Sunniti (Sunna è l’insieme dei detti e
delle vicende di Maometto):
ritengono che il Califfo, cioè il capo
politico e spirituale della Umma
(comunità islamica) possa essere
scelto tra qualunque musulmano di
buona moralità, di sufficiente
dottrina e sano di corpo e di mente;
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Sciiti (shia: fazione,
partito): è l’ala
minoritaria dell’Islam
(10% circa), secondo la
quale la guida dell’Umma
deve essere affidata ai
legittimi discendenti di
Maometto (attraverso il
quarto Califfo, Alì)
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L’IS fa leva proprio sul risentimento delle due comunità
sunnite:
• in Siria, dove i Sunniti, pur essendo la maggioranza,
hanno subìto il potere della minoranza alawita di
Assad e si sono sentiti abbandonati dall’Occidente
nella loro ribellione;
• in Iraq, dove i Sunniti sono la minoranza e sono stati
tenuti al margine della politica dagli Americani e dai
governi post-Saddam, tutti di impronta Sciita.
Tutti questi fattori spiegano
la base popolare di consenso
che nemmeno al-Qaeda aveva avuto
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[Lo Stato islamico] ha scavato nel desiderio di rivincita
dei sunniti, una minoranza che sotto Saddam deteneva
tutto il potere nelle Forze armate e nell’intelligence. Da
un giorno all’altro, con l’occupazione americana, i sunniti
sono stati trattati come paria. L’IS ha saputo sfruttare il
profondo malcontento sunnita. Mentre in Siria sono
state fondamentali le tribù beduine orientali, divise
artificialmente dai confini coloniali di Sykes-Picot, che
hanno molto in comune con i sunniti iracheni.
Questo è il piano di al-Baghdadi: con la fusione tra
sunniti di due nazioni frantumate si colma il divario
demografico in Iraq e si costruisce il «califfato».
(A.Negri, Lo stato islamico visto da vicino, in «Limes», 9/2014
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53
Si potrebbe dire che il conflitto in Siria ha fatto uscire
lo Stato Islamico dalla sua fase infantile, le politiche
disfunzionali di Baghdad hanno accelerato la sua
maturazione. Oggi qualsiasi tentativo di Washington
di reclutare il governo di Baghdad e le sue numerose
armate di volontari sciiti nella lotta contro la stato
islamico potrebbe rafforzare nei Sunniti di Giordania,
Egitto e Arabia Saudita l’idea che gli USA stiano
prendendo posizione in una guerra di tipo settario e
potrebbe spingere verso la causa jihadista un
numero ancora più grande di volontari.
(D.Gardner, In fuga dall’IS, in «Internazionale», 22/08/14
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Zone di
influenza e
controllo
francese,
britannica e
russa stabilite
dall'accordo
Sykes-Picot
durante
l'incontro del
16 dicembre
1915 tenutosi a
Downing Street.
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Propaganda mediatica e
finanziamenti
L’IS possiede un livello di sofisticazione senza precedenti
in un movimento jihadista:
- pubblica una brochure online, «Wilayat Halab» («Stato
di Aleppo») ricca di infografica e finalizzata alla
raccolta di fondi in cui si descrivono le attività sociali,
di assistenza e belliche dell’IS:
islamic-state-news-222.pdf
islamic-state-news-322.pdf
- organizza campagne hashtag su Twitter
(#SykesPicotOver);
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56
- possiede un network
internazionale (al-Hayat)
che è la fonte più
importante di propaganda e
finanziamento;
- si autofinanzia attraverso
saccheggi, tassazioni
religiose, estorsioni e
rapimenti ai danni delle
minoranze non musulmane;
- a Mosul ha messo le mani
su 425 milioni di dollari
della Banca Centrale: il
totale in contanti posseduto
dall’IS è di quasi un miliardo
di dollari…
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Quali scenari per il futuro?
Dunque, la storia di Siria e Iraq appartiene all’intreccio
complesso tra strategie coloniali di inizio ‘900, interessi
geopolitici legati al petrolio, movimenti nazionalisti
generati dal crollo dell’Impero Ottomano.
Il progetto del «califfo» Abu Bakr è ora quello di
abbattere le frontiere tracciate un secolo fa
e riunire i sunniti sotto la bandiera di un nuovo Califfato.
Preso atto della situazione di sunniti e sciiti in Siria e in
Iraq (vedi slides precedenti), gli analisti auspicano questi
scenari e soluzioni possibili:
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• in Siria: trattare con il
regime di Assad,
poiché il crollo secco
del regime (come
accaduto in Iraq e
Libia) trascinerebbe il
paese in un’anarchia
ancora più profonda,
facendo soltanto gli
interessi del
«califfato»;
• in Iraq: riportare i
sunniti al governo e
nelle stanze del
potere, rifare un
esercito con ufficiali
sunniti al comando
in modo da evitare
che intere divisioni
si arrendano ai
jihadisti.
Tutto questo, però, andrebbe fatto con l’aiuto di
potenze straniere e se gli attori locali metteranno da
parte rivalitàlucioecelotinteressi
particolari
- I nuovi Califfi
59
Ma c’è anche la soluzione «spezzatino», a cui
probabilmente alcune potenze straniere e
regionali (USA? Israele? Iran?) hanno
pensato senza esternarla: che il «califfato»
faccia il suo corso, che annienti tutte le
minoranze religiose fino ad una
frantumazione del Medio Oriente e degli
stati arabi in unità più piccole e più deboli:
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