Liceo classico “V. Gioberti” di Torino a.s. 2010-2011 “Sfide e riflessioni, amore reciproco, dialogo e ascolto, giustizia e cultura di pace, dignità umana e rispetto dell’ambiente, istruzione e saper essere. Al centro della città dei diritti c’è tutto e tutto ci deve essere per costruire nel secolo appena iniziato un nuovo umanesimo, una nuova vita, un nuovo sentire e condividere.” (Michail Gorbaciov) “L’educazione deve fare in modo che a un sistema caratterizzato dall’egocentrismo e dal disimpegno sociale si sostituisca un consapevole e meditato impegno verso la società; (…) occorre (…) far sì che la coscienza dell’individuo si spinga oltre l’orizzonte limitato dei diritti e privilegi privati fino a includere i doveri e le responsabilità della vita collettiva.” (Tsunesaburo Makiguchi) “Diritti dell’uomo, democrazia e pace sono tre momenti necessari dello stesso movimento storico: senza diritti dell’uomo riconosciuti o protetti non c’è democrazia; senza democrazia non ci sono le condizioni minime per la soluzione pacifica dei conflitti. Con altre parole, la democrazia è la società dei cittadini, e i sudditi diventano cittadini quando vengono loro riconosciuti alcuni diritti fondamentali; ci sarà pace stabile, una pace che non ha la guerra come alternativa, solo quando vi saranno cittadini non più di questo o quello stato, ma del mondo.” (Norberto Bobbio) Quello che segue è il risultato di un’indagine svolta in alcune classi del Liceo sui temi “guerra e pace”, “globalizzazione”, “diritti umani”. Il campione analizzato ancora limitato, ma già significativo, sarà ampliato con l’estensione dell’iniziativa ad altri studenti della scuola. QUESTIONARIO SU GUERRA, PACE, GLOBALIZZAZIONE… Guerra e pace La guerra può essere finalizzata al progresso? 60 40 20 0 si no 1 Se si quale tipo di progresso? progresso TECNICO 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 progresso MORALE progresso SOCIALE 1 altro tipo di progresso Riflettendo sulla teoria della "guerra giusta" ) la guerra giusta non può esistere, in quanto qualsiasi tipo di conflitto non può in nessun caso essere giustificato 40 30 20 10 0 1 si poteva parlare di guerra giusta in passato, ora, date le dimensioni dei conflitti, nessuna guerra può più essere ritenuta tale Sarebbe possibile eliminare la guerra dalle relazioni internazionali? 30 20 si 10 no 0 1 La non violenza La non-violenza una valida risposta contro la guerra? sì, perché inibisce una risposta violenta dell'avversario 40 no, perché l'avversario potrebbe interpretare una reazione non-violenta come la manifestazione di debolezza e paura 30 20 non saprei, credo che la non-violenza si sia dimostrata più come una filosofia che come un mezzo efficace per la risoluzione dei conflitti. 10 0 1 Quali spiegazioni all'aumento della violenza contro se stessi? assenza di guerre guerreggiate 20 eccessivo benessere protagonismo 0 1 altro Quale ruolo attribuisci all'aggressività nel determinare la guerra? agisce sul singolo, matura alcuni comportamenti ma è ininfluente nelle dinamiche sociali e politiche 30 20 10 0 1 la guerra dipende essenzialmente da un modo di essere dell'uomo, la cui aggressività non può essere totalmente inibita Guerra e tecnologia Cosa pensi circa un eventuale utilizzo delle armi nucleari come avvenne nel 1945? 30 l'eventualità è remota 25 non è possibile, perché vigono in questo ambito trattati internazionali è possibile, perché è già accaduto 20 queste armi sono sempre una minaccia perché potrebbero cadere in mano a dittatori o criminali 15 è possibile perché l'arma atomica non è più esclusivamente detenuta dalle potenze dell'Occidente 10 altro 5 0 1 Quali, secondo te, i motivi dell'utilizzo della bomba atomica in Giappone? gli USA dovevano limitare le perdite e quindi porre fine alla guerra il più in fretta possibile 25 gli USA avevano la necessità di impressionare il nemico sovietico, che si stava facendo largo in Asia 20 15 i creatori della bomba atomica avevano dato così tanta importanza al progetto che sarebbe servita una verifica, durante il conflitto, delle potenzialità dell'ordigno altro 10 5 0 1 La t e c nol ogi a ha i nf l ue nz a t o rapporti interpersonali (comunicazioni quotidiane fra persone) 200 lavoro 1 80 1 60 sistema scolastico (utilizzo di nuove apparecchiature nei laboratori, nuovi materiali illustrativi) campo militare 1 40 1 20 1 00 80 scienza 60 40 arte 20 0 1 economia L'uom o, sfruttando la tecnologia, ha m odificato irreparabilm ente il rapporto con il m ondo? 40 30 20 10 0 1 no, perché comunque cerca di "limitare i danni" introducendo dei rimedi alle proprie azioni si, perché la sua azione egoistica non tiene conto del rapporto con l'ambiente no, perché per ottenere dei risultati è necessario sacrificare qualcosa L'uomo oggi dipende totalmente dalla tecnologia? sì, assolutamente 30 25 20 no, perché essa è un prodotto dell'uomo asservita ai suoi bisogni, e non viceversa 15 10 5 no, però l'uomo ci fa troppo affidamento 0 1 Situazione odierna internazionale. Come giudichi i rapporti fra le potenze protagoniste dello scenario internazionale 30 25 20 15 10 5 0 predominio assoluto USA in campo economico - militare Gli USA prevalgono ma Russia ha armi nucleari sufficienti per esercitare una eventuale minaccia Stanno emergendo nuove potenze che potranno opporsi al predominio militare ed economico USA 1 altro Globalizzazione Nei confronti della tendenza alla globalizzazione 1 sono contrario, perché penso che comporti effetti negativi di cui non ci si rende conto attualmente sono favorevole, perché penso possa comportare conseguenze positive 0 10 sono assolutamente indifferente 20 30 Quali le conseguenze della globalizzazione spingere verso una maggiore consapevolezza dei diversi gruppi umani e una divisione del mondo in aree differenti e ostili tra loro spingere ad una maggiore integrazione tra le culture, dove ciascuna è libera di esprimersi nelle sue caratteristiche peculiari 100% 80% 60% 40% 20% 0% produrre un'omologazione culturale (occidentalizzazione) del mondo 1 La globalizzazione coinvolge 25 paesi più poveri che vengono sfruttati dai più ricchi in un mercato globale del lavoro tutti i paesi del mondo, producendo un impoverimento generalizzato ma favorendo le classi egemoni sia di paesi poveri, sia di paesi ricchi 20 i paesi in via di sviluppo che sono più flessibili e più disponibili ad investire nel campo dell'istruzione 15 10 tutti i paesi del mondo producendo un arricchimento generalizzato 5 0 1 Diritti umani Al giorno d'oggi i diritti umani sono ancora violati. Perhè? inesistenza di una giurisdizione internazionale che riesca ad imporsi su quelle nazionali insensibilità nei confronti del problema a causa di una scarsa informazione 200 indiscutibile e ormai stabile contrasto tra i "ricchi" e i "poveri" del mondo 100 impossibilità di domare l'aggressività innata dell'uomo e la sua indole egoistica impossibilità di contrastare lo scoppio delle guerra ormai troppo frequenti 0 azione ancora troppo limitata del volontariato 1 progresso, scienza e tecnologia, che offuscano l'orizzonte morale altro 16 Ritieni che i diritti fondamentali dell'uomo siano pochi e immutabili nel tempo 14 12 10 molti, tutti quelli riconosciuti dagli Stati con ordinamento democratico; essi dovrebbero essere estesi a tutti gli Stati del tutto soggettivi legati a 1) tempo; 2) cultura di un popolo; 3) religione ; 4) storia di un popolo" 8 6 4 2 0 1 Quello che segue è il risultato di un’indagine svolta in alcune classi del Liceo sul tema della pena di morte. Il campione analizzato ancora limitato, ma già significativo, potrà essere ampliato con l’estensione dell’iniziativa ad altri studenti della scuola. QUESTIONARIO SULLA PENA DI MORTE ( SU UN CAMPIONE DI 120 STUDENTI ) 80 60 40 20 0 1 1 SI 2 2 NO 3 3 3 IN CASI ESTREMI FAVOREVOLI PERCHE' 50 40 30 20 10 0 1 2 3 4 5 1 Solo la pena di morte può vendicare la gravità del crimine commesso 3 Solo la paura della pena di morte può scoraggiare i possibili criminali 6 7 8 9 5 Mantenere dei criminali per tutta la vita è solo un peso per la società 7 Se un criminale viene rimesso in libertà può uccidere di nuovo 9 Alro CONTRARI PERCHE' 60 50 40 30 20 10 0 1 2 3 4 5 1 Non è la pena di morte che può fermare chi è deciso a compiere crimini 3 Non si può rischiare di condannare a morte un innocente 5 Il rimorso per il crimine commesso può essere pegggiore della pena di morte 6 7 8 9 10 7 Anche il peggior criminale può pentirsi e cambiare 9 L'uomo non deve mai, per nessuna ragione uccidere un suo simile Applicazione della pena di morte per a) reati contro la persona: 60 50 40 30 20 10 0 1 2 3 4 5 6 7 8 1 Omicidio: sempre 2 Omicidio premeditato 3 Omicidio di minori 4 Omicidio per legittima difesa 5 Omicidio dopo abuso sessuale su minori 6 su adulti 7 Altro 9 10 11 12 8 Pedofilia 9 Stupro 10 Rapimenti 11 Droga: spaccio 12 consumo di sostanze stupefacenti Applicazione della pena di morte per REATI CONTRO ISTITUZIONI PUBBLICHE E/O RELIGIOSE 60 50 40 30 20 10 0 1 2 3 1 Omicidio o ferimento leader politico 2 Strage 3 Tradimento in caso di guerra 4 5 6 4 Reato d'opinione 5 Terrorismo 6 Altro Quali tipi di esecuzioni conosci? QUALI TIPI DI ESECUZIONE CONOSCI? camera a gas sedia elettrica fucilazione iniezione letale 1 lapidazione decapitazione ghigliottina impiccagione crocifissione 0 20 40 60 80 100 120 Quali sono secondo te ancora in uso 100 50 0 1 sedia elettrica iniezione letale lapidazione impiccagione fucilazione In caso di condanna a morte quale tipo di escuzione ritieni più opportuna ? 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 iniezione letale fucilazione sedia elettrica altro 1 Perché? 60 50 40 Serie1 30 Serie2 20 Serie3 10 0 1 1. Rapidità/riduzione della sofferenza 2. Espiazione della colpa 3. Altro La pena di morte nel diritto internazionale da La pena di morte nel diritto internazionale di Claudio Giusti su http://win.agliincrocideiventi.it/ANNO3/Ottobre2004/Politica.htm Al contrario della tortura la pena di morte non è, ancora, vietata dalle norme internazionali. La Dichiarazione Universale (10 dicembre 1948) garantisce il diritto alla vita e vieta tortura e pene crudeli, ma non vieta espressamente la pena di morte. Art.3 Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona. Art.5 Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumane o degradanti. Ci fu un tentativo da parte dell’Unione Sovietica (abolizionista fra il 1947 ed il 1950) di inserire nella Dichiarazione l’obbligo dell’abolizione in tempo di pace. La richiesta trovò l’opposizione dei paesi mantenitori, ma anche di quelli che, come il Venezuela, erano già allora abolizionisti totali e non volevano che la Dichiarazione legalizzasse la pena capitale in tempo di guerra. In ogni caso la Dichiarazione non approva in alcun modo la pena di morte. In nessuno dei lavori preparatori della Dichiarazione Universale troverete una sola parola spesa in favore della pena capitale. La pena di morte era vista come un male necessario, la cui esistenza non poteva essere giustificata né scientificamente né filosoficamente. L’inevitabile conclusione è che l’Articolo 3 della Dichiarazione Universale è in prospettiva abolizionista. Sette ragioni per cui la guerra non è più giustificabile (l’opinione di Giuliano Pontara) La guerra è diventato un massacro di massa su scala industriale; essa comporta con certezza, stragi e inflizioni di sofferenze immani. La guerra comporta con certezza gravi e vaste violazioni, collaterali o meno, di diritti fondamentali di innocenti – presenti e futuri. Ante eventum, è sempre incerto se l’impiego massiccio della violenza armata effettivamente conduca alla tutela di tutti quei diritti che con essa si vogliono (eventualmente) tutelare. Vi è un’alta probabilità che che nel corso di qualsiasi guerra s’inneschino processi di de-umanizzazione, brutalizzazione, deresponsabilizzazione, i quali, man mano che la guerra procede, inducono ad accettare forme sempre più massicce, distruttive e indiscriminate di violenza. Alla guerra è sempre più connessa una tendenza alla militarizzazione della società che pone sempre più a rischio il buon funzionamento, o addirittura l’esistenza di quelle istituzioni democratiche, di quei controlli dal basso, che parrebbero necessari per una tutela effettiva dei diritti umani fondamentali. Vi è il rischio che ogni guerra contribuisca ulteriormente al processo di escalation e di globalizzazione della violenza armata: quel processo che nel corso di millenni ha visto gli uomini passare da conflitti violenti locali, combattuti con armi rudimentali, di portata distruttiva molto limitata, alle due guerre mondiali del secolo scorso, e quelle che, sulla loro scia, ne sono seguite. E vi è il rischio, associato con il processo di escalation e globalizzazione della violenza, che si verifichi una guerra catastrofica per l’intero genere umano. (…) L’entità di questo rischio è difficile da stabilire, ma sappiamo che nell’era della proliferazione delle armi nucleari, biologiche e chimiche esso è maggiore di zero: il che significa che, pur assumendo che tale rischio sia molto basso - ma non lo sappiamo -, la enorme violazione di diritti fondamentali, connesse all’eventualità di questa guerra, oggi è molto alta. GIULIANO PONTARA Giuliano Pontara, assieme al norvegese Johan Galtung e, in Italia, al torinese Nanni Salio, è uno dei massimi studiosi di pace e non violenza. Pontara nasce a Clès, in provincia di Trento, il 7 settembre 1932. Tra il 1957 e il 1962 studia contemporaneamente filosofia presso le Università di Roma, e di Stoccolma e nel 1961-62 anche negli Stati Uniti. Nel 1963 si laurea in filosofia presso l'Università di Stoccolma e comincia ad insegnare Filosofia pratica. Nel 1971 consegue il Ph D svedese con un saggio dal titolo Does The End Justify The Means che in edizione radicalmente riveduta e ampliata uscirà qualche anno dopo in italiano con il titolo Se il fine giustifichi i mezzi, con prefazione di Norberto Bobbio. Nel 1975 vince il concorso per professore associato in Filosofia pratica, indetto dall'Università di Stoccolma presso la quale tuttora insegna. Negli anni Pontara ha anche insegnato come professore a contratto in varie università italiane. È uno dei fondatori della International University of Peoples' Institutions for Peace (IUPIP) ed attualmente è presidente del suo Comitato scientifico. È membro del Tribunale permanente dei popoli, fondato da Lelio Basso. PENSIERO Nell'ambito della disciplina che coltiva, Pontara si è occupato soprattutto di prolemi di etica teorica, di metaetica e di filosofia politica. È stato uno dei primi a introdurre in Italia la Peace Research e la conoscenza sistematica del pensiero etico-politico del Le cifre della fame nel mondo (dati FAO tratti da “Cibo, lo spreco quotidiano” su La Repubblica del 16 Aprile 2005) 852 milioni Le persone sottoalimentate nel mondo 18 milioni Il numero delle persone in più che soffrono la fame nel mondo rispetto agli anni ‘90 5 milioni I bambini che ogni anno muoiono per cause legati alla fame 24 mila Le persone che muoiono ogni giorno per fame 35 mila Le vittime dieci anni fa Presentato nuovo rapporto Fao Sofi 2010 "Lo stato dell'insicurezza alimentare nel mondo" 14 Settembre 2010 La FAO ha presentato oggi il rapporto annuale "Lo stato dell'insicurezza alimentare nel mondo", realizzato congiuntamente da Fao e PAM (Programma Alimentare Mondiale), che verrà pubblicato i primi di ottobre. Nel corso della conferenza stampa sono intervenuti, fra gli altri, il direttore generale della Fao, Jacques Diouf e il direttore esecutivo del PAM Josette Sheeran. Secondo I dati presentati nel rapporto, il numero delle persone che soffre la fame è sceso per la prima volta in 15 anni, passando da 1 miliardo e 300 milioni (nel 2009) agli attuali 925 milioni. Se il dato è sicuramente incoraggiante, continua comunque ad essere inaccettabile che un numero così elevato di persone non abbia la possibilità di nutrirsi in modo adeguato. Inoltre, siamo ancora molto lontani da quello che è stato indicato come il primo degli otto obiettivi del Millennio, ovvero ridurre della metà, entro il 2015, la percentuale di popolazione che soffre la fame. A favorire la diminuzione della fame sono stati diversi fattori: tra i principali, il potere trainante delle economie emergenti di Cina e India. A questo va poi aggiunta la caduta dei prezzi alimentari, che sono però di nuovo in aumento. Il rapporto FAO stima che due terzi del 98% delle persone che vivono in stato di indigenza e soffrono di sottonutrizione vive in sette paesi: Bangladesh, Cina, Etiopia, India, Indonesia, Pakistan, Repubblica Democratica del Congo. Di questi, il 40% solo in Cina e in India. "Con un bambino che muore ogni sei secondi per problemi connessi con la sottoalimentazione, la fame rimane lo scandalo e la tragedia di piu' vaste proporzioni al mondo. Questo è assolutamente inaccettabile", ha affermato Jacques Diouf. Per affrontare le cause della fame all'origine, si è detto durante la conferenza di presentazione dei dati, i governi dovrebbero fare tre scelte fondamentali: investire di più sull'agricoltura, sviluppare veri programmi di assistenza, stimolare attività che producano reddito. www.fao.org La Globalizzazione e i suoi oppositori Chi denigra la globalizzazione troppo spesso ne sottovaluta i vantaggi , ma i suoi fautori sono stati se possibile, ancora meno imparziali. Per loro la globalizzazione (associata tipicamente all’accettazione del capitalismo trionfante , sul modello americano) è progresso; i paesi in via di sviluppo devono accettarla se vogliono crescere e combattere la povertà in maniera efficace . Ma per molti la globalizzazione non ha portato i vantaggi economici sperati. Un divario progressivamente più accentuato tra ricchi e poveri ha ridotto in miseria un numero sempre maggiore di persone del Terzo mondo costrette a sopravvivere con meno di un dollaro al giorno. Malgrado le reiterate promesse di ridurre la povertà fatte negli ultimi dieci anni del XX secolo, il numero effettivo di persone che vivono in povertà è invece aumentato di quasi cento milioni mentre, allo stesso tempo, il reddito mondiale è cresciuto in media del 2,5 per cento annuo. Nel 1990, due miliardi e 718 milioni di persone vivevano con meno di due dollari al giorno. Nel 1998, il numero di poveri costretti a vivere con meno di due dollari al giorno era stato stimato in due miliardi e 801 milioni ( Global economic prospect and developing countries 2000,World Bank, Washington D. C. 2000 p. 29) Dal testo “ No Logo” di Naomi Klein Ed. Baldini e& Castoldi” 2001 pp. 171 e seg. Capitolo 6 : “La Fabbrica Rinnegata” il disprezzo della produzione nell’era dei supermarchi” I diritti dell’infanzia "I bambini nascono con i diritti e le libertà propri di ogni essere umano". 1924. Dichiarazione dei diritti dei bambini: Il bambino ha diritto a uno sviluppo fisico e mentale, ad essere nutrito, curato, riportato ad una vita normale se demoralizzato, accudito ed aiutato se orfano. 1959. Nuova Dichiarazione dei Diritti dei Bambini: diritti ad un sano sviluppo fisico, a non subire discriminazioni, ad avere un nome, una nazionalità, assistenza e protezione dello stato di appartenenza, diritto all'educazione e a cure particolari nel caso di handicap mentale o fisico. 1989. Viene firmata una Convenzione che sancisce i diritti dei bambini, che rappresenta un vero e proprio vincolo giuridico per gli stati che ne fanno parte. 2002. Entra in vigore il Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti dei fanciullo sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati.Dopo tre anni, mezzo milione di minori continua ad essere impiegato in eserciti regolari e gruppi armati di opposizione di oltre cento ottanta paesi. Bambini soldato Motivazioni: la guerra e la lunga serie di lotte civili mosse dalla sete di risorse naturali provocate daI ruolo delle multinazionali occidentali. La guerra origina famiglie separate, orfani, fanciulli rifugiati per i quali l'esercito finisce con il rappresentare un sostituto della famiglia. In questo modo i bambini diventano facile. preda di chi ha bisogno di forza bellica per portare avanti le guerriglie. Spesso per i minori rimasti soli, l'unica alternativa alla fame e alla morte è l'esercito. Infatti un kalashnikov dà cibo, vestiti, e una soluzione alla miseria. Dopo aver perso famiglia e amici sono animati da un sentimento di odio e dalla volontà di vendicare la perdita di tutto ciò che era importante nella loro vita. Per questo motivo combattenti giovanissimi si sono già resi responsabili di torture, mutilazioni ed omicidi di adulti e coetanei, guadagnandosi il diritto sul campo di battaglia di commettere ed ordinare altre simili atrocità. Inoltre i bambini si fanno condizionare più facilmente degli adulti e affrontano il pericolo con incoscienza. come e quanti… Trecentomila è il numero dei minori stimati coinvolti. In questi ultimi anni il fenomeno dei bambini soldato è aumentato nettamente poiché è cambiata la natura della guerra, che si riflette non più prevalentemente sugli eserciti, ma sulla popolazione civile. L'addestramento alla violenza consiste nel terrorizzare i ragazzi, preparandoli ad uccidere e facendoli assistere a torture ed esecuzioni dei genitori. Narcotizzati, credono di essere invulnerabili agli spari e alle pallottole. conseguenze Oltre ai danni fisici, gli effetti più evidenti di questa pratica sono la denutrizioni, la tossicodipendenza, le malattie e pesanti disturbi psicologici. Uno degli altri aspetti negativi per questi ragazzi è il difficilissimo reinserimento nella società e nella famiglia che spesso li rifiuta in quanto fautori di terrori e atrocità. I bambini soldato inoltre rappresentano un pericolo anche per la popolazione civile, poiché in situazioni di terrore sono meno capaci di autocontrollarsi degli adulti. Le ragazze invece, dopo essere state nell'esercito, non riescono a sposarsi e finiscono col prostituirsi. I bambini sono il futuro di un popolo e addestrarli alla guerra significa creare una situazione che non pone i presupposti per un futuro migliore. Questi e molti altri... PROTAGONISTI Gandhi Mohandas Karamchand Gandhi (1869 – 1948) detto Mahatma (“grande anima”), laureato in legge in Inghilterra, dopo aver lavorato come avvocato in Sudafrica – dove era stato vittima della discriminazione razziale – tornato in India nel 1915 impostò una lotta politica per l’indipendenza del suo paese incentrata sulla dottrina della non violenza. Con una serie di campagne di disobbedienza civile e di boicottaggio alle istituzioni inglesi, Gandhi ottenne i primi grandi successi. Tra il 1941 e il 1942 promosse un movimento di resistenza non violenta alla guerra e agli inglesi. Alla fine della guerra si avviarono le trattative che portarono, il 15 agosto del 1947, alla nascita dell’Unione Indiana a maggioranza indù e del Pakistan musulmano. Con la nascita dei due Stati, tuttavia, i conflitti fra indù e musulmani non cessarono. Violenze e massacri si susseguirono provocando un altissimo numero di vittime. Lo stesso Ganghi fu vittima di quel clima di odio: il 30 gennaio 1948, fu assassinato da un fanatico indù. All’indomani della sua morte, il Primo Ministro indiano Jawaharlal Nehru pronunciò queste parole: “Amici e compagni, la luce è uscita dalle nostre vite, e l’oscurità regna ovunque. E io non so bene cosa dirvi e come dirlo: Bapu, come lo chiamavamo, il Padre della Nazione, non è più fra noi. Forse sbaglio a dire questo, ma comunque non lo vedremo più come lo abbiamo visto per tutti questi anni. Non correremo più da lui in cerca di consigli e non cercheremo il suo conforto. E questo è un terribile colpo, non solo per me ma per milioni e milioni di persone in questo paese. Ed è un po’ difficile addolcire il colpo con qualsiasi consiglio che io o chiunque altro può darvi. La luce se ne è andata ho detto, ma allo stesso tempo avevo torto perché la luce che splendeva in questo paese non era una luce normale. La luce che ha illuminato questo paese per così tanti anni illuminerà questo paese per molti più anni, e mille anni più tardi quella luce sarà ancora visibile, e il mondo la vedrà, ed essa darà conforto a innumerevoli cuori, perché quella luce rappresenta qualcosa che va al di là dell’immediato presente. Essa rappresenterà la verità vivente e l’eterna umanità, che è l’eterna luce che ci ricorda della retta via distogliendoci dall’errore, portando questo antico paese alla libertà”. Martin Luther King “Io ho un sogno. Io sogno che un giorno la nazione sorgerà per vivere il vero significato del suo credo, che tutti gli uomini sono stati creati uguali. Sogno che un giorno sulle rosse colline della Georgia figli di antichi schiavi e figli di antichi schiavisti potranno sedere insieme alla tavola della fratellanza (...) Sogno che un giorno i miei quattro figli vivranno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della pelle, ma solo per le loro qualità.” Queste parole hanno fatto il giro del mondo. Esse sono diventate da sole il simbolo della lotta contro la discriminazione razziale oltre che un monito contro ogni altro tipo di discriminazione. Queste parole furono pronunciate dal reverendo Martin Luther King, nel 1963 a Washington, di fronte a 250.000 persone che partecipavano a un'imponente marcia non violenta per i diritti civili e l'integrazione razziale. Martin Luther King aveva allora 34 anni, era laureato in filosofia e teologia ed era il presidente della più influente organizzazione nera per i diritti civili: la Southern Christian Leadership Conference, da lui fondata nel 1956. La sua battaglia per i diritti civili aveva attirato una quantità sempre maggiore di proseliti. Il suo messaggio e il suo programma politico erano inconfondibili: lotta alla discriminazione e al regime segregazionista attraverso una rigorosa e coerente applicazione del metodo non violento teorizzato da Gandhi. Nel dicembre del 1955 dopo l’arresto di Rose Parks, King aveva spinto la comunità nera a boicottaggio degli autobus. Era seguita la dichiarazione della Corte Suprema degli Stati Uniti di incostituzionalità della legge sulla segregazione. Fu un'enorme vittoria. Seguirono la grandiosa manifestazione del '63 col suo celebre discorso, l’ assegnazione del premio Nobel per la pace nel 1964 e successivamente il papa Paolo VI lo ricevette in Vaticano. Nell'aprile del '68 Martin Luther King era a Menphis in Tennessee per partecipare ad una marcia a favore degli spazzini della città. Mentre, sulla veranda dell'albergo, s'intratteneva a parlare con i suoi collaboratori, dalla casa di fronte vennero sparati alcuni colpi di fucile: Martin L. King cadde riverso sulla ringhiera, pochi minuti dopo era morto. Erano le ore diciannove del quattro aprile: un grande leader pagava con la vita il suo impegno per la pace e la giustizia. Giulia di Barolo Giulietta Falletti di Barolo, nata Colbert di Maulevrier, a partire dal 1814, svolse un’importante opera di beneficienzaa a favore delle carcerate, nelle carceri femminili (Senatorie, del Correzionale, delle Torri). L’opera di Giulia di Barolo si basò su due punti fondamentali: migliorare l’esistenza fisica delle carcerate, con un trattamento più umano e un maggior rispetto delle esigenze dell’igiene, e migliorarne l’esistenza morale specialmente con l’istruzione religiosa, che impartiva essa stessa, coadiuvata in seguito da altre dame, con l’introduzione dei cappellani nelle carceri e con il lavoro, che considerava essenziale per un reale recupero, e il cui prodotto essa stessa si incaricava di ritirare per la vendita. Con dispaccio ministeriale del 30 ottobre 1821 fu messo a disposizione della marchesa il carcere delle Forzate, perché lo organizzasse come meglio riteneva; ella vi trasferì le detenute delle altre tre carceri e, introducendovi le suore di San Giuseppe provenienti da Chambery, lo organizzò come un istituto di pena modello. Il regolamento interno fu discusso punto per punto dalla marchesa con le detenute e approvato con il consenso unanime. La Barolo, per poter continuare ad assistere le sue protette anche dopo la scarcerazione, creò altre due istituzioni, ispirandosi ad analoghe fondazioni parigine del XVIII secolo, ripristinate ad opera dell’abate Legris-Duval, suo conoscente. L’istituto del rifugio, approvato nel 1823, era aperto alle ex carcerate e alle donne “traviate e penitenti” che volontariamente ne chiedessero l’ammissione. Qui trascorrevano due-tre anni di lavoro e di preghiera e ne uscivano infine per sposarsi, andare a servizio in qualche famiglia o lavorare. Nel 1833 la marchesa, su istanza di alcune ricoverate del rifugio, creò ancora l’attiguo Monastero delle Maddalene per accogliervi quelle fra le convertite che avevano espresso il desiderio di dedicarsi a vita monastica e penitente in stato di clausura, per espiazione delle colpe del passato. Contemporaneamente aprì l’opera di correzione e di educazione di un notevole numero di “fanciulle al di sotto dei dodici anni, già cadute nel vizio per colpa di gente perversa e talora dei propri parenti”, chiamate maddalenine. Peppino Impastato Nato a Cinisi (PA) il 5 gennaio 1948, da una famiglia mafiosa. Ancora ragazzo, rompe con il padre, che lo caccia via di casa, e avvia un’attività politicoculturale antimafiosa. Nel 1965 fonda il giornalino "L'Idea socialista" e aderisce al Psiup. Dal 1968 in poi partecipa, con ruolo dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati. Nel 1975 costituisce il gruppo “Musica e cultura”, che svolge attività culturali (cineforum, musica, teatro, dibattiti ecc.); nel 1976 fonda “Radio Aut”, radio privata autofinanziata, con cui denuncia quotidianamente i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, e in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, che avevano un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell’aeroporto. Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Viene assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978, nel corso della campagna elettorale, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Stampa, forze dell'ordine e magistratura parlano di atto terroristico in cui l’attentatore sarebbe rimasto vittima. Grazie all’attività del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta Impastato, dei compagni di militanza e del Centro siciliano di documentazione di Palermo, nato nel 1977 e che nel 1980 si sarebbe intitolato a Giuseppe Impastato, viene individuata la matrice mafiosa del delitto. Anna Stepanovna Politkovskaja « Sensibile al dolore degli oppressi, incorruttibile, glaciale di fronte alle nostre compromissioni, Anna è stata, ed è ancora, un modello di riferimento. Ben oltre i riconoscimenti, i quattrini, la carriera: la sua era sete di verità, e fuoco indomabile. » (André Glucksmann su Anna Politkovskaja) Anna Stepanovna Politkovskaja ( New York, 30 agosto 1958 – Mosca, 7 ottobre 2006) è stata una giornalista russa, molto conosciuta per il suo impegno sul fronte dei diritti umani, per i suoi reportage dalla Cecenia e per la sua opposizione al Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Nei suoi articoli per Novaja Gazeta, quotidiano russo di ispirazione liberale, la Politkovskaja condannava apertamente l'Esercito e il Governo russo per lo scarso rispetto dimostrato dei diritti civili e dello stato di diritto, sia in Russia che in Cecenia. Il 7 ottobre 2006, Anna Politkovskaja viene assassinata nell'ascensore del suo palazzo, mentre stava rincasando. La sua morte, da molti considerata un omicidio operato da un killer a contratto, ha prodotto una notevole mobilitazione in Russia e nel mondo, affinché le circostanze dell'omicidio venissero al più presto chiarite. VANDANA SHIVA Vandana Shiva è nata nel 1952 a Dehra Dun, nell'India del nord, da una famiglia progressista. Ha studiato nelle università inglesi e americane laureandosi in fisica. Terminati gli studi, rimane traumatizzata rivedendo l'Himalaya: aveva lasciato una montagna verde e ricca d'acqua con gente felice, poi era arrivato il cosiddetto "aiuto" della Banca Mondiale con il progetto della costruzione di una grande diga e quella parte dell'Himalaya era diventato un groviglio di strade e di slum, di miseria, di polvere e smog, con gente impoverita non solo materialmente. Decise così di abbandonare la fisica nucleare e di dedicarsi all'ecologia. Nel 1982 fonda nella sua città natale il Centro per la Scienza, Tecnologia e Politica delle Risorse Naturali, un istituto indipendente di ricerca che affronta i più significativi problemi dell'ecologia sociale dei nostri tempi, in stretta collaborazione con le comunità locali e i movimenti sociali. Vandana Shiva fa parte dell'esteso movimento di donne che in Asia, Africa e America Latina critica le politiche di aiuto allo sviluppo attuate dagli organismi internazionali e indica nuove vie alla crescita economica rispettose della cultura delle comunità locali, che rivendicano il valore di modelli di vita diversi dall'economia di mercato Daisaku Ikeda Il terreno comune dell’umanità. «Tutto ha inizio quando un solo essere umano parla con un altro; di solito si pensa al colloquio fra civiltà, ma il punto di partenza, il prototipo è il rapporto interpersonale. […] Dobbiamo far breccia nel tipo di relazione “amico contro nemico” e discutere in modo aperto e onesto sul terreno comune dell’umanità.» “Un nuovo umanesimo globale” che apra la strada per la pace. Questo è il pensiero di Daisaku Ikeda, filosofo e saggista giapponese nato a Tokio nel 1928 e presidente dell’Associazione Buddista Soka Gakkai Internazionale. Da molti anni, il filosofo nipponico persegue obiettivi culturali ed educativi in oltre 190 paesi del mondo, e si è distinto nella lotta per la tutela dei diritti civili e per la pace, tanto che nel 1983 è stato insignito del Premio delle Nazioni Unite. Ha fondato, tra gli altri, il Centro di ricerca per il XXI secolo di Boston e l’Istituto Toda di studi politici per la pace, due istituzioni che promuovono a livello mondiale gli scambi fra gli studiosi di varie culture e religioni. Recentemente a Daisaku Ikeda è stata conferita la cittadinanza onoraria torinese. Rigoberta Menchù "Vivevamo in armonia con la natura, il fiume ci faceva divertire e potevamo farci il bagno, gli uccelli riempivano di canzoni le mattine, gli animali ci davano da mangiare e ci facevano compagnia, le montagne ci proteggevano, la terra sacra ci regalava i frutti delle sue viscere." Eduardo Galeano ha detto di Rigoberta Menchú: "è stata intessuta con i fili del tempo", e il tempo che è trascorso in Guatemala dalla sua infanzia alla maturità ha visto la violenza perpetrata su di un popolo inerme di contadini, ha visto abusi e uccisioni, ha osservato il disgregarsi di tradizioni antichissime e di una pacifica civiltà che si fondava su rapporti semplici e sulla solidarietà. Il Premio Nobel per la pace, che Rigoberta Menchú ha conseguito nel 1992, è stato il riconoscimento delle innumerevoli battaglie da lei condotte per ristabilire i diritti civili e la legalità in Guatemala. Rigoberta Menchú è stata protagonista di alcune azioni che le sono costate in patria, nel maggio del 2000, una denuncia per "tradimento della patria". La Menchú si era infatti rivolta al giudice spagnolo Garzon (lo stesso che ha suscitato il "caso" del dittatore cileno Augusto Pinochet), perché aprisse un procedimento contro otto esponenti guatemaltechi per l'assassinio di quattro preti spagnoli e il massacro dell'ambasciata spagnola in Guatemala del 1980, nel quale trentasei manifestanti, fra cui il padre della Menchú, vennero bruciati vivi. Ugualmente attiva al fianco del "Movimento dei Lavoratori Rurali Senza Terra" Rigoberta Menchú ha messo in luce gli abusi che tuttora vengono commessi in Brasile e in altri paesi dell'America Latina. Questa è Rigoberta Menchú, una donna combattiva e coraggiosa Luigi Ciotti Terminati gli studi presso il seminario di Rivoli (TO), Ciotti nel 1972 viene ordinato sacerdote dal cardinale Michele Pellegrino: come parrocchia, gli viene affidata "la strada". Sulla strada, in quegli anni, affronta l’irruzione improvvisa e diffusa della droga: apre un Centro di accoglienza e ascolto e, nel 1974, la prima comunità. Partecipa attivamente al dibattito e ai lavori che portano all’entrata in vigore, nel 1975, della legge n. 685 sulle tossicodipendenze. Da allora, la sua opera sul terreno della prevenzione e del recupero rispetto alle tossicodipendenze e dell’alcolismo non si è mai interrotta. Nei primi anni Ottanta segue un progetto promosso dall’Unione internazionale per l’infanzia in Vietnam. Sempre sul piano internazionale, promuove programmi di cooperazione sul disagio giovanile e per gli ex detenuti in alcuni Paesi in via di sviluppo. Nel marzo 1991 è nominato Garante alla Conferenza mondiale sull’AIDS di Firenze, alla quale per la prima volta riescono a partecipare le associazioni e le organizzazioni non governative impegnate nell’aiuto e nel sostegno ai malati. Nel marzo 1995 presiede a Firenze la IV Conferenza mondiale sulle politiche di riduzione del danno in materia di droghe, tra i cui promotori vi è il Gruppo Abele. Nel corso degli anni Novanta intensifica l’opera di denuncia e di contrasto al potere mafioso dando vita al periodico mensile "Narcomafie", di cui è direttore responsabile. A coronamento di questo impegno, dalle sinergie tra diverse realtà di volontariato e grazie a un costante lavoro di rete, nasce nel 1995 "LiberaAssociazioni, nomi e numeri contro le mafie", un network che coordina oggi nell’impegno antimafia oltre 700 associazioni e gruppi sia locali che nazionali. Simone Weil Fra il 1919 e il 1928 studia in diversi licei parigini. Ammessa all‘École Normale Supérieure, nel 1931 vi supera l'esame di concorso per l'insegnamento nella scuola media superiore. Insegna filosofia fra il 1931 e il 1938 nei licei di varie città di provincia. Nell'inverno 1934-1935, desiderando conoscere la condizione operaia, inizia a lavorare come manovale nelle fabbriche metallurgiche di Parigi. L'esperienza di otto mesi di lavoro nelle officine Renault – che ha conseguenze gravi per la sua salute – verrà raccolta, sotto forma di diario e di lettere, nell'opera La condizione operaia (1951). Si reca anche in Portogallo, dove conosce e vive la miseria dei pescatori. Nel 1937, mentre viaggia per l'Italia, si inginocchia nella cappella di Santa Maria degli Angeli (Assisi), sentendosi trascinata da una forza irresistibile. Iniziano così le sue esperienze mistiche. Nel 1940 abbandona Parigi a causa dell'invasione tedesca; nel 1941 sceglie di dedicarsi al lavoro agricolo e resta dai genitori, a Marsiglia, fino al 1942. Accompagna quindi i genitori in America e, dopo un breve soggiorno a New York, raggiunge Londra per unirsi all'organizzazione France Libre della resistenza francese. Digiunando, si sente spiritualmente vicina ai francesi della zona occupata. Affetta da tubercolosi, aggravata dalle privazioni che aveva deciso di imporsi, muore nel sanatorio di Ashfors il 24 agosto del 1943, all'età di soli 34 anni. Hanna Arendt Nata da una famiglia ebraica a Linden Hannover e cresciuta a Königsberg e Berlino, la Arendt fu poi studentessa di filosofia sotto Martin Heidegger all'Università di Marburgo. Successivamente, la Arendt si trasferì a Heidelberg dove si laureò con una tesi sul concetto di amore in sant'Agostino. La tesi fu pubblicata nel 1929, ma ad Hanna Arendt nel 1933 fu negata la possibilità di venire abilitata all'insegnamento nelle università, per via delle sue origini ebraiche. In seguito la Arendt lasciò la Germania per Parigi. Durante la sua permanenza in Francia si prodigò per aiutare gli esuli ebrei della Germania nazista. Ad ogni modo, dopo l'invasione tedesca e l’occupazione della Francia durante la seconda guerra mondiale, e la successiva deportazione degli ebrei verso i campi di concentramento tedeschi, Hannah Arendt dovette emigrare anche da qui. Nel 1940 emigrò negli Stati Uniti dove divenne attivista nella comunità ebraica tedesca di New York, e scrisse per il settimanale Aufbau. Morì a New York nel 1975. I lavori della Arendt riguardano la natura del potere, la politica, l'autorità e il totalitarismo. Particolarmente noto il libro La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme (1963) nel quale la Arendt ha sollevato la questione che il male possa non essere radicale: anzi è proprio per l'assenza di radici, di memoria, per il non ritornare sui propri pensieri e sulle proprie azioni mediante un dialogo con se stessi (dialogo che la Arendt definisce due in uno e da cui secondo lei scaturisce e si giustifica l'azione morale) che uomini spesso banali si trasformano in autentici agenti del male. È questa stessa banalità a rendere un popolo acquiescente quando non complice con i più terribili misfatti della storia ed a far sentire l'individuo non responsabile dei suoi crimini, senza il benché minimo senso critico. Gino Strada « Io non sono pacifista. Io sono contro la guerra. » (Gino Strada, Intervista a Che tempo che fa) Alcuni considerano la posizione di Gino Strada come un mero esempio di pacifismo radicale, «moralista» e utopico. Ma chi è veramente Gino Strada? Laureatosi in medicina all'Università Statale di Milano nel 1978 e successivamente specializzatosi in chirurgia d’urgenza, durante gli anni della contestazione è uno degli attivisti del Movimento Studentesco. Viene assunto dal nosocomio di Rho e fa pratica nel campo del trapianto di cuore fino al 1988, quando si indirizza verso la chirurgia traumatologica e la cura delle vittime di guerra. Nel periodo 1989-1994 lavora con il Comitato Internazionale della Croce Rossa in varie zone di conflitto: Pakistan, Etiopia, Perù, Afghanistan, Somalia e Bosnia-Erzegovina. Questa esperienza sul campo motiva Strada ed un gruppo di colleghi a fondare Emergency, un'associazione umanitaria internazionale per la riabilitazione delle vittime della guerra e delle mine antiuomo che, dalla sua fondazione nel 1994, ha assistito più di 3,2 milioni di pazienti. In Italia, Gino Strada ha assunto negli anni posizioni critiche nei confronti dei governi guidati da Massimo D'Alema, Romano Prodi e Silvio Berlusconi, per le loro scelte a sostegno della guerra, per la partecipazione dell'Italia a diversi conflitti recenti, per l'aumento continuo delle spese militari, per le politiche sull'immigrazione e i respingimenti. Gli interventi di guerra dall’Afghanistan alla Libia sono valutati da Gino Strada e dalla sua organizzazione una barbarie in aperta violazione dell’Art. 11 della Costituzione della Repubblica Italiana. Amos Oz Amos Oz è uno scrittore israeliano di successo noto al grande pubblico per il costante richiamo, presente nelle sue opere ai temi della pace e della tolleranza. “Nel mio mondo, la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c'è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte.” (A. Oz – “Contro il fanatismo”) Dalai Lama Il titolo di Dalai Lama è tratto dalla combinazione della parola Dalai, che significa Oceano, e lama, equivalente tibetano della parola sanscrita guru, ovvero Maestro spirituale, sarebbe dunque traducibile come "Maestro-oceano“ o “Oceano di saggezza”. L'attuale Dalai Lama, il quattordicesimo, è Tenzin Gyatso, nato a Taktser, nell'Amdo, risiede in India dal 1959, a causa dell'occupazione cinese, e l’allora primo ministro indiano Jawaharlal Nehru si prodigò per garantire la sicurezza del religioso buddhista e dei suoi seguaci. In India, il Dalai Lama risiede a Dharamsala, nello Stato di Himachal Pradesh, nel nord del Paese. Nella stessa zona si è stabilita anche l'amministrazione del Centro Tibetano, meglio noto come Governo tibetano in esilio. Tenzin Gyatso ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 1989 per la resistenza non violenta contro la Cina. In India i rifugiati tibetani hanno costruito molti templi e s'impegnano per salvaguardare la loro cultura. Johan Galtung Johan Galtung (Oslo, 24 ottobre 1930) è un sociologo e matematico norvegese, fondatore nel 1959 dell'International Peace Research Institut e della rete Transcend per la risoluzione dei conflitti. È uno dei padri della peace research (o peace studies). Le sue opere ammontano a un centinaio di libri e oltre 1000 articoli. Le istituzioni internazionali si sono spesso rivolte a lui per consulenze tecniche in fatto di mediazioni di conflitti. L’indagine di Galtung sulla pace e la nonviolenza parte da Gandhi e passa per il buddhismo, che gli appare come l’unica filosofia in grado di spiegare pienamente l’essenza della pace. Ma il sincretismo proprio del suo stile di pensiero lo porta a ricercare idee interessanti e feconde in ogni orizzonte culturale: « In quanto norvegese, sono molto più pragmatico di un francese o dei tedeschi. Mi sembra naturale prendere una cosa qui, un’altra là, e mescolarle. Conoscendo un po’ le religioni, ho trovato qualche idea meravigliosa e affascinante che posso usare come riferimento nella mia vita. [...] Non credo nelle barriere. È molto più eccitante non curarsi delle barriere e scoprire vaste aree di saggezza... ». Nelson Mandela “Quando sono uscito di prigione questa era la mia missione: liberare sia gli oppressi sia gli oppressori.” Nelson Mandela (Sud Africa 1918). Leader per l’autodeterminazione della maggioranza nera in Sud Africa durante l’apartheid. Ha trascorso 27 anni in carcere per la sua opposizione al regime. Ha ricevuto il premio Nobel per la Pace nel 1993. Lorenzo Milani Don Lorenzo Milani (1923-1967), sacerdote ed educatore, è stato il fondatore e l'animatore della famosa scuola di Sant'Andrea di Barbiana, il primo tentativo di scuola a tempo pieno espressamente rivolto alle classi popolari. I suoi progetti di riforma scolastica e la sua difesa della libertà di coscienza, anche nei confronti del servizio militare, compaiono nelle opere Esperienze pastorali, Lettera a una professoressa e L’obbedienza non è più una virtù (questi ultimi due testi scritti insieme con i suoi ragazzi di Barbiana), nonché una serie importantissima di lettere e articoli. A lungo frainteso e ostacolato dalle autorità scolastiche e anche da una parte di quelle religiose, don Milani è stato una delle personalità più significative del dibattito culturale del dopoguerra e la sua vita rappresenta ancora oggi una grande testimonianza di fedeltà nelle sua scelta di essere dalla parte degli ultimi. Don Milani, secondo Ernesto Balducci, “ha scelto la via della rottura per aggredire il mondo degli altri e far nascere nella coscienza di tutti noi, prelati, preti, professori, comunisti, radicali e giornalisti, il piccolo amaro germoglio della vergogna” Nel libro "Lettera ad una professoressa", giunge a rivoluzionare completamente il ruolo di educatore, denunciando la natura classista dell’istituzione scolastica italiana e proponendo nuovi obiettivi e nuovi strumenti che potessero concretamente andare incontro ai bisogni dei ceti meno privilegiati. Rosa Parks MONTGOMERY, primo dicembre 1955 - Rosa era stanca, quel giorno, quando salì sull'autobus diretto al centro di Montgomery. Stanca per un'altra dura giornata di lavoro in un grande magazzino, stanca dell'Alabama e di quel sole del Sud che splendeva sempre e solo per i bianchi. Stanca di seguire i cartelli colored people quando doveva fare la fila, di pagare il biglietto alla porta anteriore e poi salire da quella posteriore. Stanca anche di sperare che sul bus non salissero abbastanza bianchi da occupare tutti i posti, anche gli ultimi, le poche file riservati ai negri. E quando si mise a sedere non poteva sapere che quello non era solo un sedile libero: era il posto di Rosa Louise Parks, sartina nera dell'Alabama, nella storia degli Stati Uniti d'America. Un no che cambiò la Storia. Il bus si riempì di bianchi e l'autista disse ai neri di lasciare i posti liberi. Tre uomini si alzarono, lei, la sola donna, rimase seduta. Non alzò la voce, non urlò i suoi diritti, non minacciò nessuno. Disse solo di no, e rimase seduta. L'autista scese e tornò in un battibaleno, con lui c'erano due poliziotti. Afferrarono Rosa, la fecero alzare e la arrestarono. Quel giorno, per gli storici, è la data di nascita del Movimento per i diritti civili americano. La condanna, poi la vittoria. Durò più di un anno, il grande boicottaggio, ma nessuno si tirò indietro. Usavano auto private, pool car, si direbbe oggi, per andare al lavoro. E poco dopo la condanna di Rosa Parks (colpevole, 10 dollari di multa) la Corte Suprema, alla quale avevano fatto ricorso gli avvocati della N.A.A.C.P. (National Association for the Advancement of Colored People) dichiarò incostituzionale la separazione razziale sui mezzi pubblici di trasporto e le norme locali di segregazione dello Stato dell'Alabama. Michail Gorbaciov (1931 Privolnoye – sud della Russia) Nell'ottobre del 1990 viene annunciata l'assegnazione del premio Nobel a Michail Gorbaciov, presidente dell'Urss. La motivazione sottolinea "il ruolo da lui rivestito nel processo di pace" che in quegli anni "caratterizza importanti aspetti della comunità internazionale". Gli eventi straordinari che hanno cambiato irreversibilmente gli assetti internazionali alla fine degli anni '80 non sono attribuibili a un singolo fattore o a un singolo personaggio. Ma il Nobel intende premiare i "decisivi contributi" apportati da Gorbaciov, nel suo tentativo di riformare il sistema sovietico. Nel 1987-88 si apre una nuova fase di riforme all'insegna di due parole d'ordine che conquisteranno eco mondiale: "glasnost" (trasparenza) e "perestrojka" (ristrutturazione). Le due parole sintetizzano il tentativo di liberalizzare e democratizzare il sistema sovietico. Dopo la caduta dei regimi comunisti dell’Europa dell’est, il crollo dell'Impero sovietico e lo scioglimento ufficiale nel 1991 del Patto di Varsavia. All'interno, però, le riforme non riescono a portare il benessere e la stabilità sperate. La consegna del Nobel coincide quindi con l'inizio del declino politico di Gorbaciov. Nell'agosto del 1991 Mosca assiste a un tentativo di golpe e Gorbaciov viene sequestrato con la sua famiglia nella sua dacia. Indebolito politicamente dagli eventi, in dicembre scioglie il Pcus e - fatto inedito nella storia del paese - rassegna le dimissioni da presidente. Negli anni successivi Gorbaciov si impegna in un'azione politica laterale, di approfondimento teorico-culturale, attraverso la sua Fondazione. Tsunesaburo Makiguchi Tsunesaburo Makiguchi (1871 – 1944) fu direttore di una scuola primaria per molti anni. Convertitosi al Buddismo nel 1928, fu il fondatore dell’associazione culturale Soka Kyoiku Gakkai (“Società educativa per la creazione di valore”) che aveva lo scopo di diffondere idee innovative maturate in ambito pedagogico, alle quali Makiguchi aveva dedicato anni di lavoro e riflessione. Per le sue idee che si opponevano all’autoritarismo tipico della scuola giapponese e per il rifiuto di insegnare la religione di Stato shintoista, fu imprigionato e morì di stenti nel 1944 all’età di 73 anni. Norberto Bobbio Norberto Bobbio è nato a Torino il 18 ottobre 1909. Dopo aver studiato Filosofia del diritto con Solari, insegna questa disciplina a Camerino (1935-38), Siena (1938-40), Padova (1940-48), Torino (1948-72) e Filosofia della politica, sempre a Torino, dal 1972 al 1979. Dal 1979 è professore emerito dell'Università di Torino. Socio nazionale dell'Accademia dei Lincei, dal 1966 è socio corrispondente della British Academy. Nel luglio del 1984 è stato nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Ha avuto la laurea ad honorem nelle Università di Parigi, di Buenos Aires, di Madrid (Complutense), di Bologna, di Chambéry. È stato a lungo direttore della Rivista di filosofia insieme con Nicola Abbagnano. base della convivenza democratica. E' morto a Torino il 9 gennaio del 2004. "Cultura è equilibrio intellettuale, riflessione critica, senso di discernimento, aborrimento di ogni semplificazione, di ogni manicheismo, di ogni parzialità." Questa frase di Bobbio, estrapolata da una lettera da lui mandata a Giulio Einaudi nel settembre 1968, rappresenta con chiarezza la linea lungo la quale si è sempre mosso sia nella sua attività intellettuale che nel suo impegno politico. Questa "libertà intellettuale" è parte della concezione altissima di libertà che ha sempre guidato le sue scelte e che in questa sorta di Autobiografia appare il filo conduttore di tutta una vita. Gli anni della sua formazione vedono Torino come centro di grande elaborazione culturale e politica. I nomi di amici o compagni di scuola, di interlocutori con cui Bobbio inizia a riflettere e a discutere sul significato e sul valore della libertà (che proprio in quegli stessi anni inizia ad essere conculcata) sono quelli su cui si fonda la civiltà intellettuale dell'Italia contemporanea. L'impegno antifascista si fa sempre più attivo, irrinunciabile l'azione in un momento in cui non era eticamente lecita qualsiasi forma di neutralità, naturale lo sbocco in "Giustizia e Libertà", binomio mai scindibile, né nella concezione dello Stato, né nell'elaborazione del pensiero politico se ancora nel 1995 per l'Einaudi esce un saggio dal titolo “Uguaglianza e libertà". Credits Il materiale della presentazione raccoglie parte del lavoro condotto negli anni dagli studenti coinvolti nel progetto “La città dei diritti umani.” Aggiornamento e rielaborazione a cura del Prof. Argena. Attività 2010/2011 Cineforum Spettacoli teatrali Incontri di approfondimento e riflessione