Vivere nello Spazio
Problemi e conseguenze
La medicina aerospaziale è una branca relativamente
nuova della medicina in quanto è nata a metà del secolo
scorso.
Sono infatti, iniziati gli studi di fisiopatologia animale dopo i
primi lanci di animali nello spazio.
I primi ad inviare animali nel cosmo sono stati i russi nel 1951.
Celebre, nel 1957, il viaggio della cagnetta Laika, che ha commosso il mondo in
quanto si trattò di un viaggio programmato senza ritorno. Nel 1959, anche i militari
americani, iniziarono i lanci con animali a bordo. Il più famoso è quello della
scimmietta Miss Sam, sospeso perché l’animale iniziò a grattarsi e a strappare le
sonde sistemate sul corpo dando segni di grave sofferenza. Inoltre, la scimmietta, non
rispondeva ai comandi ai quali era stata istruita.
Scopo principale di questi primi esperimenti era:
_ sapere la pericolosità delle radiazioni
_ sapere la resistenza dei corpi alle forti vibrazioni, accelerazioni e decelerazioni
_ verificare la reazione del cuore alle sollecitazioni
_ studiare l’adattamento del sistema circolatorio all’assenza di gravità.
Nel 1958 fu costituita la NASA, l’ente spaziale Americano, il National
Aeronautics and Space Adimnistation.
Dopo molti insuccessi mortali, nel 1961 il pilota russo
Gagarinin, rientrò vivo, con i dati che dimostravano la
possibilità per l’uomo di sopravvivere ad un viaggio nello
spazio.
Il 12 aprile di quell’anno, alle ore 9 e 07, ora di Mosca, dal
cosmodromo di Bajconyr, oggi Kazakistan, veniva lanciato un
razzo con una navicella ed un uomo a bordo. Quell’uomo era
il maggiore dell’aeronautica Gagarin, destinato ad essere il
primo uomo a compiere un giro completo intorno al nostro
pianeta.
Il volo durò poco meno di due ore, la velocità massima fu di
27400 chilometri all’ora, la distanza massima dalla Terra
raggiunta fu di 340 chilometri.
Esiste un centro per lo studio e l’insegnamento della medicina
spaziale negli Stati Uniti a Vanderbilt, il Vanderbilt University
Medical Center.
In Italia, l’insegnamento della medicina spaziale, viene svolto
dall’Aereonautica Militare e dal 2009 sono stati attivati corsi di
specializzazione a Padova e a Roma.
L’anno dopo fu effettuato con successo il primo volo americano con la
missione Mercury-Atlas 6.
Il 21 luglio 1969 l’uomo mise per la prima volta il piede sulla Luna con la
missione Apollo 11.
Vivere e lavorare nel cosmo non è facile perché, in condizioni di micro
gravità vengono modificate quasi tutte le attività fisiologiche dell’uomo.
In particolare ci sono problemi per:
- la mancanza d’aria
- l’assenza di gravità
- le radiazioni solari
- l’igiene personale
- le necessità fisiologiche
-il nutrimento
- la procreazione.
La microgravità è un ambiente in cui l’uomo vive costantemente in
caduta libera, in una situazione paragonabile a quella di un
paracadutista che si lanci da un’altezza di 250 chilometri alla velocità
di 27.000 chilometri all’ora.
Quindi l’astronauta non è fermo e sospeso in una situazione statica,
ma sta precipitando in caduta libera. Lo studio di questa condizione è
alla base della medicina aerospaziale sia per lo studio dei voli sulle
navicelle sia per la permanenza sulle stazioni orbitanti.
Si tratta, quindi, di un
microecosistema che coinvolge
nello studio quasi tutte le
branche della medicina a
cominciare dalla Facoltà di
Igiene e di medicina del
Lavoro. Gli astronauti, infatti,
vivono in un ambiente molto
umido ed inquinato, a causa
della presenza di molto vapore
acqueo e anidride carbonica,
prodotti dalla loro respirazione.
Un ambiente dove crescono
bene muffe e batteri.
Sono interessate allo studio anche la
cardiologia, la pneumologia,
l’immunologia, la neurologia.
I maggiori cambiamenti, a livello dei vari organi ed apparati,
durante un viaggio nello spazio, avvengono a carico di:
- apparato cardiovascolare
- apparato muscolare
- apparato scheletrico
- apparato respiratorio
- apparato emopoietico
- sistema immunitario
- apparato riproduttore
- sistema nervoso
Equipaggio Apollo 11
Inoltre compaiono problemi all’apparato visivo, al
ritmo veglia-sonno, al sistema che regola l’equilibrio
e soprattutto alla vita di relazione.
Alcuni di questi problemi si risolvono al rientro sulla
Terra ma, alcune alterazioni diventano irreversibili
soprattutto se la permanenza nello spazio si protrae
per alcuni mesi.
In particolare non si risolvono le alterazioni a carico del
sistema scheletrico.
Anche le cellule del sistema emopoietico, che
produce le nuove cellule del sangue, possono subire
danni permanenti causati dalle elevate radiazioni,
emesse nel corso delle eruzioni solari.
Effetti della microgravità sul sistema cardiovascolare
All’interno di una navicella spaziale o a bordo di una stazione
orbitante si ha una inversione del clinostatismo, cioè della
posizione di un corpo rispetto al centro di gravità, che non esiste.
Di conseguenza, la massa di liquido rappresentata dal sangue si
distribuisce diversamente rispetto a quanto avviene sulla Terra.
Sul nostro pianeta, la forza di gravità trattiene la maggior parte
del sangue negli arti inferiori mentre nello spazio il liquido tende
ad accumularsi nel piccolo circolo, in particolare nell’addome e
nella testa.
Di conseguenza si ha una eccessiva ritenzione
idrica a livello polmonare e a livello del viso e del
cervello.
È frequente durante i collegamenti in video con
astronauti il fenomeno della così detta facies
lunare o faccia da luna, cioè viso gonfio, rotondo
e spesso rossastro.
Del resto, gli astronauti vivono nello spazio
esattamente come una persona che vivesse
sulla Terra a testa in giù.
Neil Armstrong, uno degli astronauti
dell’equipaggio arrivato sulla Luna, il primo uomo
a lasciare l’impronta del piede sulla superficie del
nostro satellite, mostrava chiaramente un viso
più largo e gonfio.
Al rientro nella gravità terrestre si presentano
altrettanti problemi perché da una situazione a
testa in giù si ritorna alla normalità ed
improvvisamente tutto si capovolge. Il sangue
dalla testa defluisce molto velocemente verso
gli arti inferiori causando una interruzione
fortunatamente temporanea delle funzioni
cerebrali. Gli effetti non sono uguali per tutti gli
astronauti, non è una vera e propria perdita
dei sensi ma può anche succedere di perdere
la vista per qualche secondo.
Il ritorno definitivo alla normalità avviene, in genere,
in circa due giorni. Sulla Terra, nessuna patologia,
provoca gli stessi sintomi.
Effetti sul tessuto sanguigno
Molti studi sono stati effettuati per
individuare quali parti del corpo umano
sono maggiormente sensibili alle
radiazioni emesse durante le eruzioni
solari.
Le tute indossate dagli astronauti
proteggono sufficientemente se gli
astronauti rimangono all’interno della
navicella o all’interno di una stazione
orbitante. La protezione è inferiore
all’esterno.
Pensando ad una ipotetica necessità di riproduzione della
specie nello spazio, è fondamentale il mantenimento in buone
condizioni dell’apparato riproduttore. Si devono quindi
proteggere dalle radiazioni le anche. Pare che le radiazioni
emesse durante una tempesta solare potrebbero causare
sterilità o mutazioni genetiche in una eventuale prole.
Un altro organo particolarmente sensibile alle radiazioni è la
tiroide mentre molto resistenti sono le unghie, che non
necessitano pertanto di eccessiva protezione.
Oltre alle anche, zone particolarmente sensibili sono
le spalle, la spina dorsale, le ossa delle cosce, lo
sterno e il cranio.
Sono le ossa che contengono il midollo osseo
eritropoietico, cioè le cellule cosiddette “fabbrica
del sangue”, le cellule produttrici di nuove cellule
sanguigne.
Una dose massiccia di protoni provenienti dalle
tempeste solari possono distruggere tutte le cellule
eritropoietiche.
Senza queste cellule un individuo potrebbe
diventare anemico in una settimana.
Quindi, per sopravvivere alle radiazioni di una tempesta solare è
indispensabile proteggere il midollo osseo. La protezione
migliore si ottiene al chiuso ma dovendo esporsi all’esterno è
utile una tuta spaziale con protezioni supplementari per le
radiazioni. Una tuta con protezioni interne sarebbe troppo
ingombrante perché gli astronauti hanno necessità di
camminare, piegarsi, afferrare oggetti ed attrezzi. Si utilizza una
protezione selettiva: uno strato di plastica come il polietilene,
dello spessore di un centimetro, può impedire la malattia
acuta da radiazione.
Se si mantiene integro anche solo il 5% delle
cellule del midollo osseo, è sufficiente per
ottenere la completa rigenerazione. Nessuna tuta
spaziale è in grado di arrestare tutti i protoni
solari.
Effetti sull’apparato muscolare e scheletrico
Un’altra importante conseguenza della mancanza di gravità è la
perdita della massa muscolare e della matrice ossea. Questa
perdita è causata dalla mancanza di staticità del corpo, un riflesso
automatico che ci tiene in piedi. I sensori principali di questo
riflesso, sono localizzati nella pianta del piede e nelle gambe.
Quando viene a mancare la forza di gravità, i muscoli non hanno lo
stimolo alla contrazione per mantenere l’equilibrio del corpo e di
conseguenza si atrofizzano. Fenomeno tanto più grave quanto
maggiore è la permanenza al di fuori del campo gravitazionale.
Nelle ossa si attua un riflesso
ormonale controllato dalla
calcitonina, in conseguenza del
quale l’osso diventa sempre più
rarefatto, in termini tecnici si
indica come osteoporosi.
La struttura ossea è molto
complessa: ci sono cellule che
producono nuovo tessuto osseo,
gli osteoblasti, e cellule che lo
distruggono, gli osteoclasti.
Queste cellule si appoggiano su
di una struttura a base di calcio,
che è appunto la matrice ossea.
Quando questa matrice viene
distrutta, non si reintegra più.
Per questo motivo, se la permanenza nello spazio si protrae per
tempi lunghi, i danni alla struttura scheletrica sono gravi e
permanenti. L’osteoporosi spaziale colpisce praticamente tutti gli
astronauti, alterando dal 30 al 70% dell’osso, a seconda del
periodo di tempo passato nello spazio. La somministrazione di
farmaci ormonali non ha dato finora i risultati sperati. Queste
conseguenze sono uno dei motivi limitanti per la
programmazione di viaggi lunghi nel cosmo.
Per contrastare queste alterazioni, gli astronauti, devono fare
molta ginnastica e al ritorno hanno bisogno di un periodo di
riabilitazione fisica.
Effetti sull’apparato respiratorio
Di solito, nei primi giorni di permanenza nello spazio,
gli astronauti accusano una certa congestione
polmonare, con sensazione di soffocamento. Inoltre,
l’accumulo di liquidi a livello della testa, causa una
congestione a livello nasale, un raffreddore
continuo senza infezione virale.
Una situazione alquanto fastidiosa, diversa da
individuo a individuo, che fortunatamente si risolve
quasi istantaneamente al rientro nel campo
gravitazionale.
Effetti sul sistema immunitario
La permanenza nello spazio
causa sicuramente una
diminuzione delle difese
immunitarie, anche come
conseguenza della notevole
situazione di stress.
Effetti sul sistema riproduttore
Le alterazioni a carico dell’apparato riproduttore sono
state studiate in vitro.
Spermatozoi e ovuli, all’inizio della moltiplicazione, non
formano una struttura di suddivisione ordinata e di
conseguenza la distribuzione del materiale cellulare e dei
cromosomi, avviene in modo caotico, paragonabile alla
produzione di cellule tumorali.
Effetti sul sistema nervoso
Le alterazioni sul sistema nervoso
non sono gravi come quelle
sull’apparato muscolare e scheletrico
ma causano vari problemi sull’attività
lavorativa e nel rapporto con gli altri.
La velocità di una navicella spaziale è talmente elevata che si
può vedere il sorgere del Sole molte volte nell’arco delle 24
ore. Questo fenomeno, sicuramente affascinante all’inizio,
può diventare una tortura. Anche il sonno può risultare molto
disturbato. Un altro problema legato al sonno è la diversa
posizione del corpo che non è sdraiato e quindi i muscoli non
riescono ad essere totalmente rilassati. Gli astronauti sono
costretti a legarsi al letto con delle cinghie, per dormire senza
galleggiare in aria. Questa situazione per alcuni è
insopportabile.
L’insonnia può rendere
l’astronauta irritabile e
collerico, con gravi disturbi
dell’umore che vanno
dall’euforia alla depressione.
Anche l’accelerazione a cui
sono sottoposti gli astronauti
durante i viaggi nel cosmo
causa una dislocazione dei
visceri che comporta diversi
fastidi.
Molti astronauti denunciano anche
il manifestarsi di vertigini al rientro,
a causa di problemi legati al
sistema uditivo.
Come si vestiranno gli astronauti del futuro?
Se si rompe la tuta nello
spazio, gli astronauti non
hanno modo di ripararla.
Molto probabilmente in
futuro questo problema
non esisterà più. Dal 2018
potrebbero essere usate
tute speciali, capaci di
autoripararsi.
Un gel contenuto nel materiale della tuta potrebbe riempire lo
strappo. Non solo, il tessuto potrà avvertire l’astronauta
del buco, grazie a un allarme elettronico, alimentato da un
piccolo generatore.
Autori
Riccardo, Giada, Alessia classe 2 media di Piancavallo
Andrea classe 1media di Piancavallo
BIBLIOGRAFIA
http://it.wikipedia.org/wiki/Medicina_spaziale
http://www.focus.it/scienza/spazio/Come_vestiranno_gli_astronauti_nello_spazio_C12.aspx
Scarica

Diapositiva 1 - Scuola Media di Piancavallo