Il continuo miglioramento dei sistemi di stampa rappresenta uno degli esempi del
progredire della tecnologia applicata alla produzione: il passaggio agli attuali metodi
di stampa costituisce infatti una tappa fondamentale non solo per le arti grafiche, ma
anche per la comunicazione moderna. Non a caso, una delle attività principali che ha
accompagnato l’industrializzazione dell’Ottocento ed il boom economico della
seconda metà del Novecento è stata proprio la tipografia tradizionale. Un evoluzione
continua culminata negli anni Settanta che si può sicuramente meglio comprendere
visitando i locali di questo museo, ricco di macchine e di attrezzi tipografici.
Dobbiamo ricordare che l’istituto “Antonio Magarotto” è sorto tra la fine degli anni
Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta come una scuola media-superiore di Arti
Grafiche, un settore professionale particolarmente indicato per i ragazzi sordi, perché
incentrato sull’utilizzo della sfera visiva. Gli insegnanti di grafica erano ex-allievi
dell’istituto e a loro dispiaceva disfarsi della tipografia. Certo, si sono dovuti adeguare
ai tempi: hanno imparato ad impaginare al computer, ad usare pellicole ed a
sviluppare le lastre planografiche. Allo stesso tempo non hanno però mai voluto
“tradire” il loro passato, fatto di anni ed anni a comporre e stampare con i caratteri in
piombo.
Non abbiamo mai capito se questa ostinata opposizione alle regole del mercato, alla
realtà che cambiava, fosse una scelta ragionata o semplicemente un non volersi
adeguare ai tempi. Fatto sta che le loro vecchie care macchine tipografiche hanno
continuato a funzionare fino a quando, all’inizio del Duemila, hanno lasciato la
scuola per la meritata pensione. Ed è stato in quel momento che è nata l’idea del
museo.
La cosa più opportuna che potevamo fare era infatti quella di premiare
l’attaccamento dei nostri colleghi alla loro professione dimostrando alle nuove
generazioni che non sempre ciò che è fuori dal mercato del lavoro - per ragioni
culturali, sociali e tecnologiche - deve essere dimenticato. Soprattutto se ad essere
mantenuta “in vita” è un’attività artigianale, come appunto la tipografia le cui
nobili radici risalgono al lontano Quattrocento, quando grazie a Gutenberg
nacque la madre di tutte le stampe moderne: il carattere mobile.
Siamo convinti che aver riordinato tutto il materiale tipografico presente
nell’Istituto, parte del quale costituisce ormai una vera rarità, permetterà di far
capire ai più giovani come si stampava una volta. Li aiuterà soprattutto a
valorizzare il passato e nello stesso tempo a comprendere meglio quanto siano
fortunati a vivere in un’epoca iper-tecnologica, dove la fatica fisica è stata
sostituta dall’ingegno della mente.
Per rendere il museo più comprensibile abbiamo diviso macchinari e materiale
tipografico in tre settori, corrispondenti alle fasi principali di lavorazione della
stampa cosiddetta ‘a caldo’:
il primo è dedicato alla creazione dei caratteri in piombo, dei clichet e delle forme
in rilievo; il secondo specificatamente alle macchine da stampa tipografiche;il terzo
ed ultimo ambiente è quello della legatoria artigianale, di cui ancora oggi rimane
qualche traccia in alcuni piccoli laboratori grafici.
Visitandoli si capirà meglio come avveniva la realizzazione meccanica dei caratteri
mobili, ma anche la laboriosa preparazione delle macchine tipografiche, la
formazione delle pagine di piombo. Anche a cosa servivano curiosi attrezzi come: le
pinze, il mazzuolo, lo spago e tanti altri avvolti in quell’inconfondibile odore
d’inchiostro tipografico.
Più in generale, chi visiterà il ‘Museo della stampa’ potrà anche meglio
comprendere le origini di alcuni passaggi epocali che hanno portato alla
comunicazione moderna: dalla composizione manuale alla Linotype e poi al
personal computer, dal clichè alla pellicola, dalla stampa tipografica all’offset, dal
computer ‘to film’ al computer ‘to plate’, fino alle moderne rotocalco e al boom del
digitale di cui siamo testimoni.
Non andrebbe infatti mai dimenticato che tra i compiti principali della scuola vi è
proprio quello di insegnare a comprendere il presente attraverso l’analisi e la
corretta interpretazione delle origini. E le radici della stampa moderna, non potendo
arrivare a Gutenberg e alla prima Bibbia stampata a caratteri mobili, sono
condensate proprio nel duro ed ingegnoso percorso produttivo di cui qui vogliamo
fornire una piccola testimonianza. Un percorso di stampa che per un secolo,
attraverso le mani e la volontà dei nostri predecessori, i nostri nonni, i nostri padri,
ha prodotto i libri da leggere e i quaderni per scrivere.
Un percorso che permetterà di vedere con gli occhi, di toccare con mano, non solo i
sistemi ancora semi-artigianali di una volta, ma soprattutto i valori che
rappresentavano e il loro farsi parte di un sistema che ha portato all’attuale
progresso tecnologico della grafica. Un percorso che, a chi lo saprà cogliere,
permetterà di capire che il futuro delle tecnologie - e dell’uomo - non è mai un caso.
LA COMPOSIZIONE A MANO
Per più di quattro secoli la composizione a caratteri mobili avvenne
secondo le stesse modalità: il compositore era in piedi davanti alla
cassa dei caratteri. Qui metteva in sequenza manualmente i singoli
caratteri che componevano le parole e le separazioni tra le stesse
parole.
Durante tutto questo periodo il progresso consistette quasi
unicamente nel migliorare la qualità delle leghe e l’aspetto artistico
dei caratteri, ma il processo produttivo rimase in pratica sempre lo
stesso.
All’inizio dell’Ottocento le macchine piano cilindriche azionate a
vapore velocizzarono il sistema di stampa. Invece la composizione
era ancora quella di centinaia di anni fa: la realizzazione delle
matrici in rilievo rallentava l’intero processo produttivo.
Quella del compositore era una professione
nobile: “deve aver fatto qualche studio, deve ben
conoscere la propria lingua, possedere i primi elementi
della lingua latina, e sapere almeno leggere il greco.Il
Compositore infatti, nella classe degli operai,
è l’essere più dotto, più poetico,
più suscettibile di alti intendimenti.”
(Giulio Pozzoli, Manuale di Tipografia, 1882)
BANCONI PER LA COMPOSIZIONE
Il mobile base che costituiva la sala di
composizione a mano era formato dal bancone
per i compositori: un lungo tavolo che serviva
per appoggiare le casse contenenti i caratteri
tipografici in piombo.
Il compositore trascorreva la sua giornata a comporre
un carattere dopo l’altro fino a completare la
composizione del manoscritto: si trattava di
un’operazione di non facile realizzazione perché le
lettere venivano messe una a fianco all’altra al
rovescio e occorreva sempre fare delle prove per
verificare che tutte erano state inserite nel giusto
modo.
C’erano diversi tipi di banconi: i principali
contenevano le casse di caratteri di filetti di ottone
oppure venivano creati per essere usati come portaforma.
BIANCHI TIPOGRAFICI
INTERLINEE E MARGINATURA
Le parti della matrice che non erano stampate si chiamavano
bianchi tipografici e si creavano inserendo tra le lettere o i
clichè di immagini dei supporti di metallo leggermente più
bassi dei grafismi.
Si chiamavano interlinee quelle lame di lega tipografica che
servivano per distanziare le file dei caratteri: ovviamente erano
più basse rispetto a quelli dei grafismi
(zone stampanti) perché queste zone
non dovevano essere stampate
(come i contrografismi).
Il bianco tipografico molto
grande veniva chiamato marginatura.
LA CASSA
PER I CARATTERI E PER I FILETTI
La cassa tipografica era il ‘luogo’ che serviva per contenere i caratteri in
piombo in maniera ordinata.
I caratteri erano disposti dentro le casse e cioè all’interno di scomparti di
diverse dimensioni: le lettere che riproducevano i caratteri “a”, “o”, “e”
avevano bisogno di uno spazio più grande, mentre le lettere “z”, “p”, “x” di
scomparti più piccoli.
Esistevano casse costruite con diversi spazi e impostazioni di base: i tipi più
comuni erano la “Francese”, la “Rossi”, l’“Italiana” e la “Tedesca”.
Nella tipografia dell’Istituto Magarotto è stata sempre utilizzata la cassa
“Francese”.
Si fabbricavano anche casse
per contenere filetti di ottone:
pezzi metallici da inserire
nella creazione di tabelle,
di cornici e di fregi.
IL COMPOSITOIO
Il compositoio era il principale attrezzo che il tipografo usava
per fare le forme a mano. Questo strumento nacque proprio
con la stampa a caratteri mobili in piombo ed era
indispensabile al compositore per inserire, sulla base
dell’originale o del progetto grafico, i caratteri utili alla
formazione di parole, di filetti e di bianchi tipografici.
All’inizio era rappresentato da un angolare di legno,che con
l’evolversi della stampa diventò metallico.Il compositoio aveva
un cursore
scorrevole che poteva
essere fissato nella posizione
voluta, mentre nell’altra
estremità la chiusura era fissa.
PINZETTE
Uno degli strumenti indispensabili per la
composizione a mano era la pinzetta: aveva una
punta metallica in acciaio nichelato. L’attrezzo
serviva per eseguire le correzioni in piombo e in
ogni caso per aiutare il tipografo nella legatura delle
composizioni dei testi per mezzo di una corda.
Il tipografo compositore ne
aveva sempre una in tasca o
a portata di mano perché durante
le lavorazioni spesso occorreva un intervento di
manutenzione.
BATTITOIO E MAZZUOLO
RULLO INCHIOSTRATORE A MANO
SERBATOIO PER BENZINA E SPATOLINA PER INCHIOSTRO
Una volta eseguita la composizione dei
caratteri, si ‘pareggiava’ la forma
composta con battitori e mazzuoli di
legno. La forma era inserita nel
cosiddetto ‘tirabozze’, poi si passava il
rullo inchiostrato sulla forma e
successivamente si imprimeva
l’immagine sul foglio di carta. A
questo punto si stampava la prima
‘bozza’ (prova), dopo si facevano le
eventuali correzioni e modifiche sulla
forma di stampa tipografica.
Ogni volta stampata la bozza si puliva
la forma, da eventuali residui
d’inchiostro, usando una spazzola di
setola, imbevuta di benzina grazie
all’apposito serbatoio.
TAGLIETTO PER INTERLINEE E PER ANGOLI
Nella composizione a mano, uno degli attrezzi
indispensabili per la realizzazione delle forme in
rilievo era costituito dal taglietto per le
interlinee e dal taglietto per gli angoli:
servivano per tagliare le interlinee nella
giustezza voluta, ma anche per tagliare le righe
linotipiche e per realizzare delle tabelle.
VANTAGGIO E BALESTRA
Un altro attrezzo che veniva usato
molto spesso in tipografia era il
cosiddetto vantaggio: si trattava di
una tavoletta di legno (con il tempo
diventata metallica) che serviva per
facilitare la composizione tipografica
man mano che veniva preparata.
Un altro attrezzo utilizzato dal
compositore era la cosiddetta
balestra: in realtà si trattava sempre
di un vantaggio, ma dalle dimensioni
più grandi.
LINGOTTIERA
La lingottiera serviva per contenere ordinatamente le interlinee di
diversa giustezza (la larghezza della colonna di testo che si misurava
in righe tipografiche).
La giustezza poteva essere di varie dimensioni (da 4 fino a 30 punti)
e di 1, 2 o 3 punti di spessore.
Nella lingottiera erano collocati anche i margini (potevano essere di
alluminio, come le interlinee, ma anche di lega tipografica): la
giustezza variava da 4 fino a 50 punti, mentre lo spessore poteva
essere di mezza, una, due, quattro, sei, otto righe tipografiche.
In Europa per calcolare gli spazi tipografici era utilizzato il ‘punto’ , in
particolare punto Didot, pari ad esattamente 0,376 mm: dodici punti Didot
formavano una riga tipografica, detta anche ‘cicero’, pari a 4,512
millimetri.
LINOTYPE’:
MACCHINA COMPOSITRICE
DI CARATTERI DI PIOMBO MONOLINEARI
L’invenzione della linotype risale al 1886 e si deve a
Ottmar Mergenthaler.
Il primo modello (line of type) venne installato al New
York Tribune.
La linotype era costituita da tre sezioni:
La prima “il magazzino”: custodisce tutte le matrici che
durante la composizione erano “chiamate” attraverso la
tastiera e allineate sul compositoio.
La seconda è la caldaia: contiene piombo fuso che era
pressato contro le matrici per ottenere le linee di caratteri.
La terza è costituita dai meccanismi che riportavano le
matrici al “magazzino” dopo l’uso.
Si trattava di una macchina compositrice dei
caratteri che consentiva di comporre e anche di
fondere le righe tipografiche. Grazie a queste
macchine compositrici, chiamate monolineari, il
compositore meccanico (chiamato anche linotipista)
poteva produrre 3.000 battute l’ora: per la velocità
di produzione della tipografia si trattò di un
importante passo in avanti perché anche il più
bravo compositore a mano poteva comporre non
più di 1.000-1.500 lettere l’ora. Si trattava di una
macchina compositrice dei caratteri che consentiva
di comporre e anche di fondere le righe tipografiche.
La linotype permetteva anche di riutilizzare il
piombo: finita la stampa, il compositore
doveva scomporre i caratteri nelle rispettive
casse. Nello stesso tempo le linee linotipiche
già utilizzate si versavano nel crogiolo
(recipiente in metallo speciale dove ad altissima
temperatura si fondevano i metalli) della linotype
che era ogni volta utilizzato per riprodurre
nuove righe lineari.
Nel corso degli anni il modello fu più volte
migliorato fino alla produzione della Linotype
2: le correzioni si facevano sostituendo solo le
righe che contenevano gli errori e nei modelli
più evoluti la velocità di composizione passò
fino a 8.000-10.000 caratteri l’ora.
LINOTYPE’:
MACCHINA FONDITRICE
‘MONOTYPE’
La macchina fonditrice monotype fu realizzata nel 1899 dall’americano
Tolbert Lanston.
Il procedimento della monotype consentiva una veloce composizione
meccanica dei caratteri mobili permettendo la produzione di 7.000-12.000
lettere l’ora. invece la produzione della composizione a mano non era
superiore ai 1.000-1.500 caratteri l’ora. La sua introduzione permise di
ridurre soprattutto i tempi e i costi di correzione (oltre che la qualità
complessiva dei caratteri) grazie alla fusione di un carattere per volta.
Il sistema Monotype comprendeva due macchine e precisamente una tastiera
ed una fonditrice: in questo modo si otteneva una composizione meccanica
più rapida. Nello stesso tempo più tastiere potevano preparare il materiale
per azionare la fonditrice.
La tastiera serviva anche per perforare, con dei codici
particolari, un nastro di carta largo circa 11 centimetri. Era
questo nastro a mettere automaticamente in azione la
fonditrice, proprio sulla base dei fori fatti sulle piccole strisce di
carta. Quando il foro della carta coincideva con uno dei fori del
tamburo, l’aria compressa che alimentava la macchina metteva a
sua volta in funzione il telaietto (carattere) di quella matrice che
si doveva fondere.
TIRABOZZE TIPOGRAFICO
Il tirabozze serviva al tipografo per stampare le ‘bozze’ (prove) della
composizione appena eseguita: in questo modo si controllavano, e si
correggevano, gli errori di composizione prima di inserire la forma
nella macchina da stampa.
Sul piano inferiore del tirabozze si mettevala forma di composizione,
già legata con lo spago; successivamente si inchiostrava la forma a
mano, usando il rullo inchiostratore,
si metteva sopra la forma un foglio di carta bianco
e infine si girava la manovella
del cilindro di pressione per
farlo passare sopra il foglio.
Così si otteneva la prima
prova di stampa.
MACCHINA TIPOGRAFICA PLATINA
Le macchine tipografiche platine erano delle macchine da stampa a
pressione costituite da due piani: su uno di questi si montava la
forma sulla stampa in posizione verticale, sull’altro si poneva il
foglio di carta da stampare sopra uno strato elastico. La forma si
riempiva di inchiostro. Dopo i due piani si portavano in pressione
ed il foglio di carta stampato.
Questo tipo di macchina oggi è ancora utilizzato, ma solo per
fustellare (tagliare) il cartoncino.
MACCHINA TIPOGRAFICA PLATINA
AUTOMATICA “HEIDELBERG”
La platina heidelberg è una delle più antiche e tradizionali macchine
da stampa tipografica.
La differenza tra la macchina platina tipografica a mano e quella
automatica è che nella prima si inserivano i fogli nel piano della
pressione a mano, mentre nella seconda il processo di stampa era
completamente automatico. La prima cosa che si faceva era
l’avviamento. In questa fase si procedeva a tutte le operazioni per
mettere nella condizioni la macchina di stampare: si oliavano le
parti meccaniche; si posizionavano le parti in base al formato di
stampa; si inserivano la matrice,l’inchiostro,ecc. Dopo questo, la
platina automatica faceva tutto da sola: acquisiva i fogli ed il
tipografo si limitava a controllare la stampa, il registro (l’esatta
posizione e sovrapposizione dei colori), l’inchiostrazione e la tiratura.
Mentre con le macchine platine a mano
la produzione era non superiore
alle 500-1.000 copie l’ora, la macchina
automatica era programmata per produrre
da un minimo di 1.500 copie
ad un massimo di 5.000 copie orarie.
MACCHINA DA STAMPA PIANOCILINDRICA
TIPOGRAFICA “HEIDELBERG”
La macchina a pressione piano-cilindrica heidelbergh, a
giro continuo, risale alla metà del secolo scorso.
La sua caratteristica è che il cilindro di pressione
continuava a ruotare sia durante la corsa di stampa del
carro porta forma che durante il ritorno di questo ‘a
vuoto’. In pratica, il cilindro aveva una superficie
doppia: durante la corsa di ritorno del carro porta forma
era leggermente sollevato per evitare che toccasse la
forma di stampa.
La tiratura (il numero di stampe realizzate)
di questa macchina andava
da un minimo di 1.500 copie
a un massimo di 4.000 copie l’ora.
TELAIO IN LEGNO
PER LA CUCITURA DEL LIBRO
Il libro era cucito utilizzando ago e spago: i
fascicoli (tutti precedentemente forati nello stesso
punto di piega) erano uniti uno alla volta
iniziando dall’ultima pagina. Terminata la
cucitura, il legatore tagliava la fettuccia di rinforzo
del dorso e incollava le risguardie (fogli bianchi in
cartoncino posti all’inizio e alla fine del testo). Il lavoro
del legatore si concludeva, infatti, solo con
l’incollaggio dei fascicoli alla copertina cartonata.
Questa era realizzata sempre a mano e poteva
avere un rivestimento esterno - in pelle più o meno
pregiata, in carta speciale o plastificata. La
copertina cambiava a seconda del tipo di contenuti
e dei lettori a cui il libro era destinato.
MACCHINA PER DORATURA A CALDO
DEI TITOLI SU COPERTINE DEI LIBRI
La macchina per dorare è di antica provenienza,
ma ancora in uso in quasi tutte le aziende di
legatoria. Essa serviva per imprimere a caldo (ad
alta temperatura) sul frontespizio dei libri di
pregio (e volte anche sul dorso) una serie di
elementi testuali fondamentali: il titolo, l’autore e
la casa editrice. La manovella per la pressione
svolgeva questa manovra: grazie alla manovella si
attivavano la scolpitura e il piano compressore per
applicare i caratteri da dorare a caldo.
MACCHINA PER DORATURA A CALDO
MACCHINA CUCITRICE A FILO DI
REFE
La macchina cucitrice ‘a filo refe’ si utilizzava per la
produzione di libri dalle stesse dimensioni. Prima di
avviare la produzione occorreva realizzare una
impegnativa fase di preparazione durante la quale si
adattavano le misure del libro.
Il procedimento di rilegatura
era praticamente lo stesso
già usato in passato
per la cucitura a mano.
MACCHINA PRESSATRICE VERTICALE
PER I LIBRI
La macchina pressatrice verticale serviva per
non far deformare le copertine dopo che queste
erano state incollate al libro (rilegato a mano con
il telaio): questa macchina faceva infatti una
pressione uniforme per permettere di far bene
aderire la copertina libro.
Si chiamava ‘verticale’ perché il legatore la usava
poggiando un libro sopra l’altro: dopo aver
sovrapposto 5 o al massimo 10 libri si inseriva
prima una tavoletta di legno e successivamente
il peso per applicare la pressione.
MACCHINA TAGLIACARTE
Questa macchina tagliacarte (costruita intorno al 1961) era composta da un
piano di appoggio della pila di carta da tagliare: nella parte superiore era
montata la lama che scendendo a ‘ghigliottina’ esercitava una forte
pressione che tagliava la pila di carta.
Accanto alla lama vi era il cosiddetto ‘pressino’ che si utilizzava per tenere
ferma la carta e che viene abbassato sulla pila prima di azionare la lama. La
macchina tagliacarte era molto pericolosa e poteva essere utilizzata da un
solo operatore grafico alla volta. La macchina era stata infatti costruita in
modo da non permettere di far abbassare la lama, se non quando le due
mani dell’operatore era contemporaneamente occupate nel premere i
pulsanti dei comandi di sinistra e di destra.
I tagliacarte tradizionali erano classificati in base alla larghezza utile di
taglio: i tipografi le distinguevano classificandole in tagliacarte da 75 cm, 80,
105, ecc. Il più diffuso era proprio il formato massimo di questa macchina
(105 cm) perchè permetteva di tagliare le risme di formato ‘classico’ da 70 x
100 centimetri.
Da alcuni anni, in base alle nuove leggi sulla sicurezza sul lavoro, le nuove
macchine vengono dotate di un sistema a cellula fotoelettrica. Se un braccio
si trova lungo la traiettoria del raggio luminoso che colpisce la cellula
fotoelettrica, il tagliacarte non può entrare in funzione.
MACCHINA TAGLIACARTE
CUCITRICE A PUNTI METALLICI
La macchina cucitrice a punti metallici era uno strumento che serviva al
legatore per
l’assemblaggio delle segnature (fascicoli) attraverso l’applicazione di punti
metallici.
L’utilizzo della macchina, detta anche ‘a cavallo’,
prevedeva che i fascicoli dovevano
obbligatoriamente contenere al massimo 32 pagine
ed essere stampati con
una carta con una grammatura
(il peso di un foglio calcolato
per un metro quadrato)
non troppo alta.
PERFORATRICE ELETTRICA PER
OCCHIELLI
La macchina perforatrice elettrica serve per creare dei fori laterali su
tutti quei fogli che sono successivamente inseriti all’interno di libriquaderni con anelli apribili.
Lo strumento può essere utilizzato anche per
la creazione di
occhielli su calendari con spirali di plastica e per tutti gli stampati da
forare.
PIEGATRICE
Costruita intorno al 1961, questa macchina piegatrice a mettifoglio manuale permetteva di
piegare il foglio con pieghe chiamate “incrociate”oppure con pieghe parallele, ma anche con entrambe
contemporaneamente.
La macchina permetteva di realizzare da 1 a 4 pieghe a foglio, si otteneva da un minimo di 4
fino ad un massimo 32 pagine. Le pieghe incrociate potevano essere ottenute facendo
giungere il foglio su nastri trasportatori. Questi erano sopra due rulli paralleli orizzontali
ruotanti in direzione contraria. Al di sopra del foglio vi era una lama che scendeva
verticalmente tra i due rulli ‘obbligando’ il foglio a passarvi in mezzo. A questo punto il
foglio
aveva ricevuto la prima piega. Poi passava sui sottostanti nastri trasportatori che lo
trasportavano ad un gruppo uguale a quello sopra. Qui si applicava la seconda piega
incrociata e così di seguito.
Questa macchina permetteva di piegare anche 80-100 copie al minuto.
Oggi le macchine moderne,
utilizzate per lavori industriali editoriali,
hanno un mettifoglio automatico,
consentono una produzione
maggiore e sono poco rumorose
TAGLIA-CARTONI
In ogni legatoria c’era la macchina taglia-cartoni: era uno strumento
molto semplice, costituito da un tavolo metallico con una squadra
laterale e posteriore. La lama era posta ad un estremo del tavolo ed
era composta da una parte da un contrappeso e dall’altra
dall’impugnatura. Sul banco, invece, era fissata una contro-lama.
Per effettuare il taglio si metteva
il foglio di cartone sul piano del taglia-cartoni, successivamente si
appoggiava lo stesso foglio contro
le squadre ed infine si effettuava il taglio
abbassando la lama.
TORCHIO A PRESSIONE PER I LIBRI
Il torchio serviva principalmente per la pressatura dei
volumi che veniva svolta al termine della legatura con il
sistema a ‘filo di refe’: i libri potevano essere pressati anche
assieme mettendoli uno sopra all’altro.
Questo strumento si utilizzava anche per pressare i libri al
termine dell’applicazione della copertina cartonata ai
fascicoli rilegati.
Ma anche per arrotondare
i dorsi e per tagliare i margini
dei libri e dei cartoni.
BROSSURATRICE ELETTRICA A CALDO
La brossuratrice elettrica a caldo è di recente produzione:
risale a non più di 20 anni fa ed è ancora in uso in molte
aziende. Serve per incollare con una colla speciale (a
temperatura di 150 gradi centigradi) blocchi di carta e
stampati vari, ma nasce principalmente per applicare sul
dorso del libro la copertina in cartoncino.Quest’ultimo
sistema
è molto utilizzato per incollare
libri commerciali o di bassa qualità
(ad esempio libri tascabili,
fumetti, ecc.) Questa tecnica
di incollaggio
del dorso viene
chiamata anche ‘americana’.
PERFORATRICE E PIEGA-CARTELLE
A PEDALE
La macchina perforatrice
si utilizzava per
forare la parte superiore
dei blocchetti di fogli bianchi.
Era però anche usata per piegare
dei cartoni utili alla realizzazione
di cartelle, pieghevoli e depliant
OFFSET
Le origini del sistema di stampa offset (dall’inglese to offset che vuol dire
contrapporre, fronteggiare) risalgono al lontano 1796, quando il tedesco Aloys
Senefelder inventò la litografia.
I procedimenti di stampa con matrice piana hanno le parti stampanti e
non stampanti della matrice (la forma di stampa detta anche ‘lastra’) sullo
stesso piano.L’immagine è prima ‘passata’ sul cilindro porta-caucciù e
successivamente impressa sul foglio di carta, grazie all’aiuto del
supporto del cilindro di pressione.
Nella stampa offset la forma deve essere prima umidificata e poi
inchiostrata. Questo è il procedimento che durante gli anni Ottanta ha
praticamente sostituito la stampa tipografica. L'immagine da stampa
non si trasferisce dalla lastra alla carta. Invece si imprime dalla lastra ad
un cilindro in caucciù (gomma) e successivamente da questo cilindro alla
carta usando cilindro di pressione.
Da qualche anno si sta sempre più diffondendo anche la stampa offset
cosiddetta ‘a secco’: qui la forma di stampa ha le parti stampanti
leggermente in rilievo rispetto a quelle che non stampano. Però è
sempre un sistema indiretto, perché l’immagine della forma non è
stampata subito sulla carta, ma prima passa sul tessuto gommato.
Questo modello di macchina era di tipo mono-colore: si stampava, infatti,
un colore alla volta pulendo la macchina e rimettendo la stessa carta dopo la
stampa di ogni colore.
MACCHINA SVILUPPATRICE PER
PELLICOLA A BOBINA
La macchina sviluppatrice per pellicole di tipo a bobina
serviva per sviluppare tutte le pellicole fotografiche realizzate
precedentemente nel reparto fotocomposizione, prima al
computer e poi impresse con il raggio laser emesso dalla
fotounità.
Questa macchina era composta da tre vasche principali: la
prima contiene liquidi di sviluppo; la seconda di fissaggio; la
terza vasca di semplice acqua. Il passaggio nelle tre vasche
avveniva attraverso un percorso obbligato composto da una
serie di rulli. Poi la pellicola si asciugava con un forte getto di
aria calda ed era pronta per essere tagliata e impaginata.
In alcune piccole tipografie questo sistema è ancora in uso.
MACCHINA ESPOSITRICE
PER SENSIBILIZZAZIONE DELLE
LASTRE PRE-SENSIBILIZZATE
La macchina espositrice serviva per esporre la
lastra offset ad una luce fortissima di tipo
alogeno (lampada speciale da 60 ampere posta alla
distanza di 1 metro dalla matrice) che agisce sulle
zone non stampanti.
L’esatta durata di esposizione e di potenza
della luce si decide facendo una serie di prove
con tempi ed intensità diverse.
TAVOLI LUMINOSI
I tavoli luminosi servivano per realizzare
tracciati e montaggi di pellicole. Prima si
definivano le misure precise, poi si
applicava un foglio di astralon (plastica
trasparente) dove si fissavano le pellicole (al
rovescio) di testi, di titoli, di illustrazioni (sia ad
un colore che a 4 colori), sempre sulla base del
progetto.
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