BOUCHRA BISMILLAH RAHMANI RAHIVE So begin tales in my country and in Arabic it means “ In the name of The All-Compassionate” “ Nel nome di Allah Misericordioso” It’s Nov 15, at home, here in Faenza, but it’d be Kida 27th 1430 of the Muslim Calendar, which begins with the journey of Mohammed, Allah’s Prophet, to Medina, where he first announced his message. “Home sweet Home” My home is immersed in a popular area of Rabat, the capital city of Morocco. It’s on three floors, with a flat roof, as nice as a garden, full of plants, lovingly looked after by Mum. A bed room on the second floor, with three beds, not real beds actually, I mean not similar to the ones I have now. They’re couches, colourful Arabic couches, all-coloured and fanciful as Mum’s garden. My bed is below the window…it’s 6 in the morning and a voice from the outside breaks the silence of the lane where I live. A tired voice, an old person’s voice: ”Waanaa!…..Fresh Mint!…”. Amina, my older sister gets annoyed, starts snorting…he’s always here…It’s a man who sells fresh mint, with his donkey, poor old donkey, the eyes half-closed, so tired…And here’s Mum,. Mum…I can still hear her going down the stairs, softly as if caressing the steps. This is typical of Mum; of course it is: she was born in a town, Fes, the realm of refinement and etiquette. She was like this, she was always like this: the way she spoke, the way she cooked, the way she asked for something…she always had a calm smile on her tiny lips…her hand-embroidered dress and the matching scarf…I’m writing about her now as I were looking at her, at her hands, with nice henna decorations and her silver bangles… BISMILLAH RAHMANI RAHIVE Così cominciano i racconti nella cultura araba, islamica, e vuol dire “IN NOME DI ALLAH MISERICORDIOSO”. E’ il 15 settembre 2009 a Faenza ma a casa mia sarebbe il 27 Kida 1430 dell’anno islamico, ch inizia con il viaggio di Mohammad, il profeta di Allah, verso Al Medina, la città in Arabia Saudita dove il profeta ha cominciato a comunicare il suo messaggio. Casa dolce casa! Si trova immersa in un quartiere popolare della città di Rabat, la capitale del Marocco; è una casa a tre piani e la terrazza sembrava un giardino, piena di piante curate dalla mamma; al secondo piano si trova una camera da letto con tre letti ma non sono letti come qui, sono divani arabi, molto colorati, come la terrazza della mamma; il mio si trova sotto la finestra. Sono le sei del mattino, da fuori arriva una voce che rompe il silenzio del vicolino dove abito, una voce stanca, un po’ vecchia “WAANAA” Menta Fresca…mia sorella Amina, che è più grande di me, borbottava “Uffa! Ma questo non muore mai?!” E’ l’uomo che vende la menta fresca, con il suo asino affaticato con gli occhi semichiusi…ecco che sento i passi della mia mamma, che sta scendendo le scale quasi carezzandole…per forza, la mamma è ‘di città’,della città di Fez, la città della raffinatezza e dell’etiquette…Era così fine anche nel modo di parlare, di chiedere le cose, aveva sempre un sorriso sereno disegnato sulle sue labbra piccolissime, con il vestito a mano e il foulard abbinato… Adesso che sto scrivendo di lei, mi sembra di vedere le sue belle mani, sempre curate con l’henné e i suoi braccialetti d’argento… Ecco che arriva il profumo del tè verde con la menta fresca che ha comprato la mamma dall’ uomo della menta, ma non solo menta anche latte fresco per fare il caffélatte per me perché ancora adesso, ci vivo la mattina col caffélatte. Sento la voce di mamma “dai, su, é ora di andare a scuola”, sento la voce di Maria, ha scelto la mamma questo nome perché era della ‘ sage femme’, l’ostetrica che ha aiutato la mamma a fare nascere Maria. Ci siamo svegliati tutti su nel terzo piano e sono cominciati i litigi per il bagno; anche se abbiamo un altro bagno al primo piano, nessuno ci va; sono entrata prima io, però per me non c’è nessun problema perché faccio tutto in fretta, persino quando andiamo io e mia sorella nel bagno arabo con la mamma sono la prima che finisce… mia sorella Amina sta 4 ore e dice sempre “Ma la mamma ha pagato…!” Vorrei parlare un po’di questo posto che mi manca sempre, mi manca il profumo, i colori del mosaico delle stanze, quella signora di 80 anni davanti alla porta del bagno arabo, che vende henné con olio di oliva e l’estratto di tiarè, non voglio dimenticare la miscela di terra e fango per il corpo… … e la donna che arriva con un pezzo di stoffa per sfregarti la schiena poi le braccia, e i piedi, il lo dicevo sempre di fare piano ma lei mi diceva “ma ragazza mia dopo sei bella fresca!” Volevo io raccontare di questo bagno perché è legato alla mi infanzia, alla mia mamma, alle mie sorelle, soprattutto il giorno del matrimonio di mia sorella; avevo 13 anni, mia sorella - la più grande - ne aveva 18, quando è arrivato da noi un bellissimo ragazzo del nord del Marocco, della montagna di Rif che è il luogo della nascita della mia nonna materna; Lui, ‘Ali’, s è presentato dicendo che la sua nonna e la nostra erano cugine. Subito mia sorella si è innamorata, anche lui, e l’anno dopo è arrivato con la sua famiglia a chiedere la mano di mia sorella. Lui è molto ricco, mi ricordo che è stato un matrimonio da favola, tanti regali, tanta musica, anche perché è la prima volta che ho visto il nord del Marocco, altra cultura, altro dialetto…Però sono stata molto triste perché abbiamo lasciato mia sorella lì, lontano, con della gente estranea… Lei era felice, però mi ricordo che ha pianto tanto il giorno del nostro ritorno a casa; e anch’io e anche la mamma, lei ha pianto tutto il viaggio, dicendo: ‘è così la vita, uno si sposa, crea una famiglia e quella diventa la sua nuova famiglia.’ Voglio parlare della mia scuola, perché era un grande piacere per me, ero amata molto dalle mie maestre e anche dalle compagne. Tutto sommato, non c’è male, ma non dimentico mai la terza media, la mia classe, i miei professori, la mia scuola…era una scuola di grande livello, in francese avevo un insegnante belga di Liegi, in scienze avevo un insegnante ebreo molto bravo e giovane, in letteratura araba un siriano, in matematica avevo un prof genio, pazzo per la matematica, bravissimo. Eravamo la classe più brava di tutta la scuola; avevamo il teatro e io ero la cantante della classe… mi ricordo ancora la festa di fine anno e l mio vestito viola, e le scarpe viola che mi aveva prestato la mia amica e il mio babbo e la mi mamma seduti in prima fila che mi guardavano fieri. Adesso ho 15 anni e frequento le superiori, il liceo classico…ero brava in tute le materie, ma mio babbo mi diceva sempre ‘leggi altri libri fuori dal programma così diventi più brava e aumenti la tua cultura’. Mi aveva regalato un libro “Les miserables” di Victor Hugo e io andavo di sopra in terrazza a leggere, in mezzo alle piante della mia mamma… ed ecco la sua voce che arriva dalle scale e mi raccomanda di non dimenticare di innaffiare le piante e raccogliere p anni asciutti. ‘Va bene, mamma, va bene -rispondevo io- ma non adesso…’. Ero troppo presa dal mio libro e poi in terrazza arrivava il babbo a fumare e subito cominciavo a chiacchierare con lui; ero affascinata dalla sua cultura dai suoi discorsi di politica, sul mondo, sulla guerra, sull’apartheid in Sud Africa e sui popoli che lottano per la libertà. Affascinata dai suoi racconti sulla colonizzazione francese, su come lui aveva combattuto per la libertà del Marocco. Ero piccolo ma era consapevole di quello che succedeva in Marocco, andava di nascosto alle riunioni, era sempre pronto a fare qualcosa per il suo paese. Ha lavorato anche per un piccolo giornale e la sera quando tornava a casa ci raccontava tutte le notizie soprattutto alla mamma. E quando è ora del telegiornale deve esserci silenzio totale a casa. E’ per questo che ancora adesso, al mattino quando mi alzo la prima cosa che faccio è guardare il telegiornale di Al-Jazeera sulla parabola e mi diverto molto a parlare di politica del mondo intero. A 16 anni ho conosciuto il mio attuale marito: E’ arrivato da sud, dalla montagna a cercare lavoro nella capitale; ha affittato una casa di fronte a casa mia e tutte le mattine quando esco di casa per andare a scuola lo trovo con il suo vecchio motorino e con tono timido mi saluta “ Salam alaicom”. E’ un bel ragazzo, è forestiero perché non è di Rabat. Un giorno tornando da scuola l’ho incontrato; lui come al solito, timido, mi saluta, però io che sono un carattere forte e prendo spesso l’iniziativa ho detto: “ Ma te di dove sei, con chi abiti?” Mi ricordo che è diventato rosso, perplesso, e con voce bassa ha detto: “ Io sono montanaro di Beni Mellal” E io “ Ah, la città delle cascate e delle arance!Che bello! E non voglio dimenticare l’olio di oliva!” E lui, subito: “ Ti regalo una bottiglia, siamo vicini, no?” E io, subito: “Ah, sì,sì…” E così siamo diventati amici, veniva a trovarmi a scuola , ha capito che mi piaceva moltissimo, per il suo modo di fare umile, rispettoso,,,mi ascoltava moltissimo e era generoso perché mi faceva tanti regali. Lui era solo in una città grande e cercava famiglia e un giorno…chiede se può venire a casa mia per parlare con mio padre. La mia mamma era contraria a questa visita per il fatto che non conosciamo chi è, la sua famiglia, siamo diversi…dialetto diverso…usanze diverse…però il mio babbo ha detto che poteva ospitarlo: Mi ricorso di quel giorno, era sabato, alle otto di sera, è arrivato tutto elegante con un bouquet di fiori bellissimo, scelto con cura, e tanta frutta. Mia sorella Maria mi ha detto:….mio babbo è rimasto contento di lui, del suo discorso, ha parlato della sua famiglia e ha chiesto al mio babbo se potevamo celebrare il fidanzamento e poi invitare tutta la mia famiglia al matrimonio…e così ci siamo fidanzati ufficialmente. Io ho continuato ad andare a scuola, il fidanzamento è durato sei mesi dopo abbiamo fissato il giorno del matrimonio. Abbiamo festeggiato solo con le due famiglie perché non avevamo molti soldi e Abramo, mio marito, aveva un lavoro poco sicuro e prendeva poco. Nel frattempo ho preso il Baccalauréat, la maturità: è stato un giorno speciale, sul giornale ufficiale c’era scritto il mio nome e cognome, con il voto ‘Distinto’…era una grande gioia per il mio babbo e la mia mamma! Tutti i vicini di casa erano attorno a noi e abbiamo festeggiato fino al mattino…era quasi meglio del giorno del mio matrimonio! Il giorno dopo il mio babbo mi ha chiesto quale università volevo frequentare, mi ricordo ancora il suo sorriso felice, le sue mani sulle mie spalle: Ha detto:” Io ti vedo a giurisprudenza!”. Era l’ultima facoltà a cui pensavo, però non so perché ero convinta della sua scelta e lui subito ha cominciato a chiamarmi ‘Avvocato’ e io mi sono iscritta alla facoltà di Scienze Giuridiche, Politiche ed Economiche di Rabat. Non era solo una università, era una città della sapienza, con una entrata gigantesca, un grande arco decorato ad arabeschi: Il mio primo giorno di università…era un inizio di crescita vera, mi sono sentita responsabile di questa nuova vita da studentessa universitaria. Mi ricordo che prima di andare mi sono cambiata quattro volte, volevo essere elegantissima…e dentro l’università tutto era colore, tante studentesse straniere, tante lingue diverse…Però questo sogno è durato poco, un anno, perché mio marito è stato a casa dal lavoro…ha cercato tanto, anche perché lui ha studiato poco…allora ha cominciato a pensare di emigrare, soprattutto quando è arrivato suo fratello dall’Italia: Lui l’ha convinto ad andare insieme a lui…è stato nel 1989 quando mio marito è partito per l’Italia e io sono rimasta a studiare. Adesso sono al secondo anno, mio marito è lontano, io studio, ho tante amiche e non ho tempo per pensare a niente, però lui è perso, spaesato, e così nel 1990 con la legge Martelli ho fatto i documenti. Il suo datore di lavoro voleva vedere il Marocco e così sono venuti insieme e mi ha proposto di andare con lui in Italia a provare, e se non mi trovo bene posso tornare…tanto, mi dice sono le vacanze! Io ero entusiasta di vedere l’Europa, l’Italia….Conoscevo la cultura francese perchè mio zio, fratello di mia mamma, lavorava nel corpo diplomatico, portava tanti stranieri a casa e la mamma cucinava per loro; erano belgi, svizzeri, tedeschi o americani. Nell’agosto 1990 sono arrivata in Italia, esattamente e Villa San Martino di Lugo alle 11.30 di sera. Il datore di lavoro di mio marito aveva promesso una casa piccola, sua ma dove non abitava nessuno; però quando siamo arrivati quella notte, lui ha telefonato a sua moglie e lei aveva cambiato idea e ha detto che non poteva più darci la casa. Io non capivo molto di quello che dice a mi marito, ho visto solo che lui diventava rosso e stava zitto: Il signor Primo, così si chiama, diceva con mio marito che non doveva preoccuparsi perché lui aveva una roulotte in un grande capannone e che potevamo usarla finché non trovavamo una sistemazione. Io ero stanchissima per il viaggio fatto in macchina, sono stai tre giorni di strada, sono 3.000 chilometri. Il signor Primo se è andato a casa e noi siamo rimasti lì senza luce né gas ma mi sono addormentata subito dalla stanchezza. E’ giorno, è il secondo giorno che mi trovo in Italia, mio marito è andato a parlare con il signor Primo, io sono rimasta nella roulotte e ho sistemato la mia roba: Volevo lavarmi ma non c’era l’acqua. Dentro il capannone c’era un meccanico, ho preso un secchio che era lì e sono andata verso il meccanico a chiedere l’acqua. Mi sono fermata di scatto, dicendomi…cavolo, non so parlare italiano, adesso come faccio a chiedere l’acqua? Bè, poi ho pensato che tutti in Italia sanno il francese e l’inglese…ho capito solo dopo che mi trovavo in un piccolo paese dove si parla solo il dialetto romagnolo perché la maggior parte degli abitanti è anziana e fa fatica a parlare italiano! Però avevo il secchio in mano, hanno capito ma erano sorprese, perplesse e pensano che sono una ragazza occidentale…io sono cresciuta così, solo la mia mamma portava il velo, io avevo i jeans e una maglia polo gialla, i capelli lunghi legati dietro…. Ecco che arriva mio marito, arrabbiato…’come mai, mi aveva promesso la casa e ora dice”arrangiati” !! Siamo stati due mesi in quel capannone, cominciava a fare freddo, mio marito lavorava a Villa San Martino di Lugo, dove costruivano blocchi di cemento, mi portavo con lui e io rimanevo in ufficio con la segretaria, Maria, una persona buona ma soprattutto una persona che parlava un po’ di francese. Oh!, meno male, qualcuno parla una lingua straniera, anche perché a Villa si parla quasi solo il dialetto e questo è stato praticamente il mi primo approccio con la lingua italiana….andavo persino a Fusignano, un piccolo paesino ad ascoltare le commedie dialettali: Il piccolo teatro era piano di anziani, loro ridevano per la commedia e io ridevo di me! Però questo dialetto mi è servito molto dopo nel mio lavoro; alla segretaria Maria raccontavo le mie difficoltà, il bisogno di trovare una casa, durante le pause andavamo al bar per chiedere se qualcuno aveva una casa da affittare: Intanto era passato un altro mese e cominciava a fare molto freddo ed eravamo ancora nella roulotte. Un pomeriggio andammo al bar come al solito e incontrammo una signora del paese che era disposta ad affittare due stanze e il bagno. E quella sera quando mio marito finì il lavoro siamo andati a casa sua per metterci d’accordo per l’affitto. Ero talmente felice perché finalmente avevo una casa tutta per me, una cucina, un bagno…Ah, non ho ancora parlato della cucina, praticamente non l’avevo! Mio marito mi portava della legna e l’accendeva, come in campeggio, insomma: Ho vissuto tre mesi in campeggio però ero tranquilla, non ho mai detto niente alla mia famiglia può darsi perché ero felice, libera, non mi sentivo una donna sposata, con responsabilità; mangiavamo fuori, andavamo al mare, andavamo sempre in giro e studiavo…mi ero portata il programma del secondo anno , ero spesso in contatto con le mie amiche!! Adesso però ho una casa, anche se devo ancora vederla e così il pomeriggio del giorno dopo siamo andati finalmente a vedere la casa: quando la signora ha aperto la porta, ha detto esattamente queste parole E’ una vecchia stalla però mio marito ha messo il bagno e la cucina” Era vero, erano delle stanze grandi, con il soffitto di legno e attorno tante altre stanze. In una ci abitava una signora anziana, di nome Mintina, che appena mi ha visto ha fatto una gran festa. Sono tornata al campeggio pensando a quella casa messa malissimo; però Abramo mi ha tranquillizzata dicendomi ‘la metto a posto…’. Abramo ha questo modo di affrontare le difficoltà, serenamente…Così ci siamo trasferiti e quando è arrivato l’inverno la vecchietta mi ha regalato una stufa a legna, mi ha insegnato come accenderla, come pulirla e soprattutto come fare la pasta fresca, i ‘capplett’ in romagnolo. Io facevo il pane arabo quattro volte alla settimana e lei vedendomi impastare bene mi disse ‘impari subito a fare la sfoglia, vedrai…’. Così piano piano mi stavo abituando alla nuova vita, la nuova cultura; la prima cosa che ho voluto imparare bene è stato l’italiano e così ho chiesto alla fornaia di prestarmi i libri della figlia che faceva la seconda media.. Prendevo i libri di grammatica e facevo il confronto con il bagaglio di lingue imparate in Marocco, trovavo nella lingua italiana parole vicine all’inglese e altre al francese e così da sola senza aiuto in sei mesi parlavo l’italiano, giusto la frase minima ma non come sentivo da tanti uomini maghrebini, solo flash di frasi. Vorrei precisare una cosa: quando sono arrivata, ero la prima donna immigrata da queste parti, perciò arrivavano i vicini di casa a vedere questa giovane sposina Marocchina e subito mi dicevano: “ Ah, sei come noi, anzi più bella…”, anche perché non avevo ‘al-higiab’, il copricapo delle donne musulmane; avevo i capelli lunghi sempre non legati, un paio di jeans e una maglietta. Sì, certo, la mia famiglia era praticante però soltanto la mamma aveva ‘al-hjgiab’…io e le mie sorelle eravamo praticamente occidentali; io in Marocco giocavo a calcio in una squadra di ragazze, facevo pallavolo, ero iscritta a un club di diversi hobby, cantavo,scrivevo poesie…quindi avevo questo bagaglio di tante culture, di aperture sul mondo: la mia nonna era del nord, vicino alla Spagna, cultura spagnola visibile nel dialetto del nord. Questa ricchezza non l’ho apprezzata fino a quando sono diventata un’immigrata; in tutte queste diversità che ho vissuto c’è la mia vera identità: donna araba, preparata dalla mamma a tanti sacrifici per la famiglia, per i figli, per la difficoltà della vita; tutto questo bouquet di culture ha fatto di me una donna forte, disposta a sconfiggere ogni ostacolo, la nostalgia….eh,sì, malgrado tutta questa forza io sono una donna con le radici ben profonde e la famiglia per me è tutto e la mamma è il punto di riferimento quotidiano: Mi alzavo la mattina e subito pensavo di parlarle, di sentirla, e le mie sorelle, Amina, Maria, Saida, e mio fratello Khalid e mio babbo…allora le mie giornate diventarono molto lunghe, Abramo andava a lavorare, io ero da sola in casa, veniva Mintina la mattina e parlava…parlava, ma metà dei sui discorsi non li capisco, così ho chiesto a mio cognato, che fa l’ambulante, di trovarmi un lavoro: E lui passando da un ristorante ha visto che avevano bisogno di una lavapiatti e sono andata per il colloquio. Mi hanno assunta subito e così far la lavapiatti è stato il mio primo lavoro in Italia: era un’occasione per conoscere la cucina italiana e lì ho lavorato un anno e mezzo, dalle sette della mattina a mezzanotte, per 50.000 lire, che fa 25 euro, perché non avevo il permesso di soggiorno: infatti io sono arrivata con un visto turistico e la legge per il ricongiungimento familiare è stata applicata che ero già in Italia. Così dovevo tornare in Marocco ma mio marito fa la richiesta per il ricongiungimento ma ci volevano due anni. Dopo un anno e mezzo di lavoro sono rimasta incinta: Quando mio marito l’ha saputo era molto felice. Io non capivo cosa stava cambiando in me, mi sentivo come volare e mi dicevo: diventerò mamma qui, IN ITALIA; da sola senza la mia famiglia, intendevo senza mamma, però ero felice, mio marito non mi lasciava fare niente, cucinava lui, faceva tutti i lavori di casa…Mi ricordo molto bene quando lo dissi al datore del lavoro: “Che palle!” e io subito ho risposto: “ Perché? Mio marito e io siamo molto felici”. ”. Allora ho capito che a loro non importava niente se le persone che lavoravano lì stavano bene o no. Era un ristorante gigante, 500 posti, e quasi tutte le domeniche organizzavano cerimonie-festecompleanni-incontri di lavoro…c’erano due pizzerie e una cucina grandissima però una unica lavapiatti, mi chiamavano ‘pulirapido’, facevo tutto in fretta, fa parte del mio carattere, ho una capacità di gestire tante cose allo stesso tempo. Ho lavorato tantissimo senza mai dire che ero stanca, perché per me era un modo di adattarmi alla mia nuova vita, senza i miei, senza le amiche, le mi sorelle, il mio ambiente, la grande città, tanti posti, il grande mercato con tutti i suoi colori,e profumi… Come si fa a cambiare in poco tempo queste abitudini? È come cambiare la propria pelle! E però nell’ambiente i lavoro ho fatto amicizia con tutti; ceto, ci sono stati anche episodi poco belli, ma io lasciavo correre, perché ho scelto io un altro paese quindi devo accettare anche il non bello, senza permettere a nessuno di toccare la mia dignità; sono una persona molto orgogliosa della mia identità araba perché l’ho vissuta con rispetto e libertà; e quando qualcuno prova a fare una battuta di pessimo gusto, tiro fuori la mia rabbia che convince l’altro. Così, quando il datore di lavoro, mi ha detto quella ‘parolaccia’ sono diventata rossa, mi dicevo: ‘ma come, ho dato tanto a questo lavoro e adesso mi tratta come un macchinario che è andato in tilt? Mi sono messa a piangere, subito mi ha consolata il cuoco offrendomi un gelato e siamo stati a parlare. Il giorno dopo ero in cucina a pulire, è arrivato da me il titolare dicendo che dovevo pulire per bene tutto e poi andare a spazzare fuori. Facevo molto freddo e dovevo anche portare delle casse di bottiglie, pesanti…per me che diventavo mamma per la prima volta erano pesanti, mettevo sempre la mano sulla pania, avevo sempre paura di perdere il bambino. Però dovevo portare queste casse e dopo averne portate tre ho detto ‘basta’, sono andata in sala dove il padrone stava prendendo il caffè e con tono sicuro ho detto che non potevo prendere pesi e lui mi rispose che potevo restare a casa. Sono scoppiata a piangere, ho chiamato mio marito e l’ho pregato di venire subito e portarmi via da qual posto. Mi ricordo che erano passato dieci minuti e già era in cucina di fronte a me; mi ha abbracciato chiedendo come stavo, gli ho raccontato tutto quello che era successo e lui è andato verso il padrone del ristorante…dicendo come si permette di trattarmi in quel modo e che non tornerò più a lavorare con loro.