BOUCHRA
BISMILLAH RAHMANI RAHIVE
So begin tales in my country and in Arabic it means
“ In the name of The All-Compassionate”
“ Nel nome di Allah Misericordioso”
It’s Nov 15, at home, here in Faenza, but it’d be Kida
27th 1430 of the Muslim Calendar, which begins
with the journey of Mohammed, Allah’s Prophet, to
Medina, where he first announced his message.
“Home sweet Home”
My home is immersed in a popular area of Rabat,
the capital city of Morocco. It’s on three floors, with
a flat roof, as nice as a garden, full of plants, lovingly
looked after by Mum. A bed room on the second
floor, with three beds, not real beds actually, I mean
not similar to the ones I have now. They’re couches,
colourful Arabic couches, all-coloured and fanciful
as Mum’s garden. My bed is below the window…it’s
6 in the morning and a voice from the outside breaks
the silence of the lane where I live. A tired voice, an
old person’s voice: ”Waanaa!…..Fresh Mint!…”.
Amina, my older sister gets annoyed, starts
snorting…he’s always here…It’s a man who sells
fresh mint, with his donkey, poor old donkey, the
eyes half-closed, so tired…And here’s Mum,.
Mum…I can still hear her going down the stairs,
softly as if caressing the steps. This is typical of
Mum; of course it is: she was born in a town, Fes,
the realm of refinement and etiquette. She was like
this, she was always like this: the way she spoke, the
way she cooked, the way she asked for
something…she always had a calm smile on her tiny
lips…her hand-embroidered dress and the matching
scarf…I’m writing about her now as I were looking
at her, at her hands, with nice henna decorations and
her silver bangles…
BISMILLAH RAHMANI RAHIVE
Così cominciano i racconti nella cultura araba, islamica, e
vuol dire “IN NOME DI ALLAH MISERICORDIOSO”.
E’ il 15 settembre 2009 a Faenza ma a casa mia sarebbe il
27 Kida 1430 dell’anno islamico, ch inizia con il viaggio di
Mohammad, il profeta di Allah, verso Al Medina, la città
in Arabia Saudita dove il profeta ha cominciato a
comunicare il suo messaggio.
Casa dolce casa!
Si trova immersa in un quartiere popolare della città di
Rabat, la capitale del Marocco; è una casa a tre piani e la
terrazza sembrava un giardino, piena di piante curate
dalla mamma; al secondo piano si trova una camera da
letto con tre letti ma non sono letti come qui, sono divani
arabi, molto colorati, come la terrazza della mamma; il
mio si trova sotto la finestra.
Sono le sei del mattino, da fuori arriva una voce che
rompe il silenzio del vicolino dove abito, una voce
stanca, un po’ vecchia “WAANAA” Menta
Fresca…mia sorella Amina, che è più grande di me,
borbottava “Uffa! Ma questo non muore mai?!” E’
l’uomo che vende la menta fresca, con il suo asino
affaticato con gli occhi semichiusi…ecco che sento i
passi della mia mamma, che sta scendendo le scale
quasi carezzandole…per forza, la mamma è ‘di
città’,della città di Fez, la città della raffinatezza e
dell’etiquette…Era così fine anche nel modo di
parlare, di chiedere le cose, aveva sempre un sorriso
sereno disegnato sulle sue labbra piccolissime, con il
vestito a mano e il foulard abbinato…
Adesso che sto scrivendo di lei, mi sembra di vedere
le sue belle mani, sempre curate con l’henné e i suoi
braccialetti d’argento… Ecco che arriva il profumo
del tè verde con la menta fresca che ha comprato la
mamma dall’ uomo della menta, ma non solo menta
anche latte fresco per fare il caffélatte per me perché
ancora adesso, ci vivo la mattina col caffélatte.
Sento la voce di mamma
“dai, su, é ora di andare a scuola”, sento la voce di
Maria, ha scelto la mamma questo nome perché era
della ‘ sage femme’, l’ostetrica che ha aiutato la
mamma a fare nascere Maria. Ci siamo svegliati
tutti su nel terzo piano e sono cominciati i litigi per
il bagno;
anche se abbiamo un altro bagno al primo piano,
nessuno ci va; sono entrata prima io, però per me
non c’è nessun problema perché faccio tutto in
fretta, persino quando andiamo io e mia sorella nel
bagno arabo con la mamma sono la prima che
finisce… mia sorella Amina sta 4 ore e dice sempre
“Ma la mamma ha pagato…!”
Vorrei parlare un po’di questo posto che mi manca
sempre, mi manca il profumo, i colori del mosaico
delle stanze, quella signora di 80 anni davanti alla
porta del bagno arabo, che vende henné con olio di
oliva e l’estratto di tiarè, non voglio dimenticare la
miscela di terra e fango per il corpo…
… e la donna che arriva con un pezzo di stoffa per
sfregarti la schiena poi le braccia, e i piedi, il lo
dicevo sempre di fare piano ma lei mi diceva “ma
ragazza mia dopo sei bella fresca!”
Volevo io raccontare di questo bagno perché è legato
alla mi infanzia, alla mia mamma, alle mie sorelle,
soprattutto il giorno del matrimonio di mia sorella;
avevo 13 anni, mia sorella - la più grande - ne aveva
18, quando è arrivato da noi un bellissimo ragazzo
del nord del Marocco, della montagna di Rif che è il
luogo della nascita della mia nonna materna;
Lui, ‘Ali’, s è presentato dicendo che la sua nonna e
la nostra erano cugine. Subito mia sorella si è
innamorata, anche lui, e l’anno dopo è arrivato con
la sua famiglia a chiedere la mano di mia sorella.
Lui è molto ricco, mi ricordo che è stato un
matrimonio da favola, tanti regali, tanta musica,
anche perché è la prima volta che ho visto il nord del
Marocco, altra cultura, altro dialetto…Però sono
stata molto triste perché abbiamo lasciato mia
sorella lì, lontano, con della gente estranea… Lei era
felice, però mi ricordo che ha pianto tanto il giorno
del nostro ritorno a casa; e anch’io e anche la
mamma, lei ha pianto tutto il viaggio, dicendo: ‘è
così la vita, uno si sposa, crea una famiglia e quella
diventa la sua nuova famiglia.’
Voglio parlare della mia scuola, perché era un
grande piacere per me, ero amata molto dalle mie
maestre e anche dalle compagne. Tutto sommato,
non c’è male, ma non dimentico mai la terza media,
la mia classe, i miei professori, la mia scuola…era
una scuola di grande livello, in francese avevo un
insegnante belga di Liegi, in scienze avevo un
insegnante ebreo molto bravo e giovane, in
letteratura araba un siriano, in matematica avevo un
prof genio, pazzo per la matematica, bravissimo.
Eravamo la classe più brava di tutta la scuola;
avevamo il teatro e io ero la cantante della classe…
mi ricordo ancora la festa di fine anno e l mio vestito
viola, e le scarpe viola che mi aveva prestato la mia
amica e il mio babbo e la mi mamma seduti in prima
fila che mi guardavano fieri. Adesso ho 15 anni e
frequento le superiori, il liceo classico…ero brava in
tute le materie, ma mio babbo mi diceva sempre
‘leggi altri libri fuori dal programma così diventi più
brava e aumenti la tua cultura’. Mi aveva regalato
un libro “Les miserables” di Victor Hugo e io andavo
di sopra in terrazza a leggere, in mezzo alle piante
della mia mamma…
ed ecco la sua voce che arriva dalle scale e mi
raccomanda di non dimenticare di innaffiare le
piante e raccogliere p anni asciutti. ‘Va bene,
mamma, va bene -rispondevo io- ma non adesso…’.
Ero troppo presa dal mio libro e poi in terrazza
arrivava il babbo a fumare e subito cominciavo a
chiacchierare con lui; ero affascinata dalla sua
cultura dai suoi discorsi di politica, sul mondo, sulla
guerra, sull’apartheid in Sud Africa e sui popoli che
lottano per la libertà. Affascinata dai suoi racconti
sulla colonizzazione francese, su come lui aveva
combattuto per la libertà del Marocco. Ero piccolo
ma era consapevole di quello che succedeva in
Marocco, andava di nascosto alle riunioni, era
sempre pronto a fare qualcosa per il suo paese.
Ha lavorato anche per un piccolo giornale e la sera
quando tornava a casa ci raccontava tutte le notizie
soprattutto alla mamma. E quando è ora del
telegiornale deve esserci silenzio totale a casa. E’ per
questo che ancora adesso, al mattino quando mi alzo
la prima cosa che faccio è guardare il telegiornale di
Al-Jazeera sulla parabola e mi diverto molto a
parlare di politica del mondo intero.
A 16 anni ho conosciuto il mio attuale marito: E’
arrivato da sud, dalla montagna a cercare lavoro
nella capitale; ha affittato una casa di fronte a casa
mia e tutte le mattine quando esco di casa per
andare a scuola lo trovo con il suo vecchio motorino
e con tono timido mi saluta “ Salam alaicom”.
E’ un bel ragazzo, è forestiero perché non è di Rabat.
Un giorno tornando da scuola l’ho incontrato; lui
come al solito, timido, mi saluta, però io che sono un
carattere forte e prendo spesso l’iniziativa ho detto:
“ Ma te di dove sei, con chi abiti?” Mi ricordo che è
diventato rosso, perplesso, e con voce bassa ha detto:
“ Io sono montanaro di Beni Mellal” E io “ Ah, la
città delle cascate e delle arance!Che bello! E non
voglio dimenticare l’olio di oliva!” E lui, subito: “ Ti
regalo una bottiglia, siamo vicini, no?” E io, subito:
“Ah, sì,sì…” E così siamo diventati amici, veniva a
trovarmi a scuola , ha capito che mi piaceva
moltissimo, per il suo modo di fare umile,
rispettoso,,,mi ascoltava moltissimo e era generoso
perché mi faceva tanti regali.
Lui era solo in una città grande e cercava famiglia e
un giorno…chiede se può venire a casa mia per
parlare con mio padre. La mia mamma era
contraria a questa visita per il fatto che non
conosciamo chi è, la sua famiglia, siamo
diversi…dialetto diverso…usanze diverse…però il
mio babbo ha detto che poteva ospitarlo: Mi ricorso
di quel giorno, era sabato, alle otto di sera, è arrivato
tutto elegante con un bouquet di fiori bellissimo,
scelto con cura, e tanta frutta. Mia sorella Maria mi
ha detto:….mio babbo è rimasto contento di lui, del
suo discorso, ha parlato della sua famiglia e ha
chiesto al mio babbo se potevamo celebrare il
fidanzamento e poi invitare tutta la mia famiglia al
matrimonio…e così ci siamo fidanzati ufficialmente.
Io ho continuato ad andare a scuola, il fidanzamento
è durato sei mesi dopo abbiamo fissato il giorno del
matrimonio. Abbiamo festeggiato solo con le due
famiglie perché non avevamo molti soldi e Abramo,
mio marito, aveva un lavoro poco sicuro e prendeva
poco. Nel frattempo ho preso il Baccalauréat, la
maturità: è stato un giorno speciale, sul giornale
ufficiale c’era scritto il mio nome e cognome, con il
voto ‘Distinto’…era una grande gioia per il mio
babbo e la mia mamma! Tutti i vicini di casa erano
attorno a noi e abbiamo festeggiato fino al
mattino…era quasi meglio del giorno del mio
matrimonio!
Il giorno dopo il mio babbo mi ha chiesto quale
università volevo frequentare, mi ricordo ancora il
suo sorriso felice, le sue mani sulle mie spalle: Ha
detto:” Io ti vedo a giurisprudenza!”. Era l’ultima
facoltà a cui pensavo, però non so perché ero
convinta della sua scelta e lui subito ha cominciato a
chiamarmi ‘Avvocato’ e io mi sono iscritta alla
facoltà di Scienze Giuridiche, Politiche ed
Economiche di Rabat. Non era solo una università,
era una città della sapienza, con una entrata
gigantesca, un grande arco decorato ad arabeschi: Il
mio primo giorno di università…era un inizio di
crescita vera, mi sono sentita responsabile di questa
nuova vita da studentessa universitaria.
Mi ricordo che prima di andare mi sono cambiata
quattro volte, volevo essere elegantissima…e dentro
l’università tutto era colore, tante studentesse
straniere, tante lingue diverse…Però questo sogno è
durato poco, un anno, perché mio marito è stato a
casa dal lavoro…ha cercato tanto, anche perché lui
ha studiato poco…allora ha cominciato a pensare di
emigrare, soprattutto quando è arrivato suo fratello
dall’Italia: Lui l’ha convinto ad andare insieme a
lui…è stato nel 1989 quando mio marito è partito
per l’Italia e io sono rimasta a studiare. Adesso sono
al secondo anno, mio marito è lontano, io studio, ho
tante amiche e non ho tempo per pensare a niente,
però lui è perso, spaesato, e così nel 1990 con la legge
Martelli ho fatto i documenti.
Il suo datore di lavoro voleva vedere il Marocco e
così sono venuti insieme e mi ha proposto di andare
con lui in Italia a provare, e se non mi trovo bene
posso tornare…tanto, mi dice sono le vacanze!
Io ero entusiasta di vedere l’Europa,
l’Italia….Conoscevo la cultura francese perchè mio
zio, fratello di mia mamma, lavorava nel corpo
diplomatico, portava tanti stranieri a casa e la
mamma cucinava per loro; erano belgi, svizzeri,
tedeschi o americani.
Nell’agosto 1990 sono arrivata in Italia, esattamente
e Villa San Martino di Lugo alle 11.30 di sera. Il
datore di lavoro di mio marito aveva promesso una
casa piccola, sua ma dove non abitava nessuno;
però quando siamo arrivati quella notte, lui ha
telefonato a sua moglie e lei aveva cambiato idea e ha
detto che non poteva più darci la casa. Io non capivo
molto di quello che dice a mi marito, ho visto solo
che lui diventava rosso e stava zitto: Il signor Primo,
così si chiama, diceva con mio marito che non
doveva preoccuparsi perché lui aveva una roulotte in
un grande capannone e che potevamo usarla finché
non trovavamo una sistemazione. Io ero
stanchissima per il viaggio fatto in macchina, sono
stai tre giorni di strada, sono 3.000 chilometri. Il
signor Primo se è andato a casa e noi siamo rimasti lì
senza luce né gas ma mi sono addormentata subito
dalla stanchezza.
E’ giorno, è il secondo giorno che mi trovo in Italia,
mio marito è andato a parlare con il signor Primo, io
sono rimasta nella roulotte e ho sistemato la mia
roba: Volevo lavarmi ma non c’era l’acqua. Dentro il
capannone c’era un meccanico, ho preso un secchio
che era lì e sono andata verso il meccanico a chiedere
l’acqua. Mi sono fermata di scatto,
dicendomi…cavolo, non so parlare italiano, adesso
come faccio a chiedere l’acqua? Bè, poi ho pensato
che tutti in Italia sanno il francese e l’inglese…ho
capito solo dopo che mi trovavo in un piccolo paese
dove si parla solo il dialetto romagnolo perché la
maggior parte degli abitanti è anziana e fa fatica a
parlare italiano!
Però avevo il secchio in mano, hanno capito ma
erano sorprese, perplesse e pensano che sono una
ragazza occidentale…io sono cresciuta così, solo la
mia mamma portava il velo, io avevo i jeans e una
maglia polo gialla, i capelli lunghi legati dietro….
Ecco che arriva mio marito, arrabbiato…’come mai,
mi aveva promesso la casa e ora dice”arrangiati” !!
Siamo stati due mesi in quel capannone, cominciava
a fare freddo, mio marito lavorava a Villa San
Martino di Lugo, dove costruivano blocchi di
cemento, mi portavo con lui e io rimanevo in ufficio
con la segretaria, Maria, una persona buona ma
soprattutto una persona che parlava un po’ di
francese.
Oh!, meno male, qualcuno parla una lingua
straniera, anche perché a Villa si parla quasi solo il
dialetto e questo è stato praticamente il mi primo
approccio con la lingua italiana….andavo persino a
Fusignano, un piccolo paesino ad ascoltare le
commedie dialettali: Il piccolo teatro era piano di
anziani, loro ridevano per la commedia e io ridevo di
me! Però questo dialetto mi è servito molto dopo nel
mio lavoro; alla segretaria Maria raccontavo le mie
difficoltà, il bisogno di trovare una casa, durante le
pause andavamo al bar per chiedere se qualcuno
aveva una casa da affittare: Intanto era passato un
altro mese e cominciava a fare molto freddo ed
eravamo ancora nella roulotte.
Un pomeriggio andammo al bar come al solito e
incontrammo una signora del paese che era disposta
ad affittare due stanze e il bagno. E quella sera
quando mio marito finì il lavoro siamo andati a casa
sua per metterci d’accordo per l’affitto. Ero
talmente felice perché finalmente avevo una casa
tutta per me, una cucina, un bagno…Ah, non ho
ancora parlato della cucina, praticamente non
l’avevo! Mio marito mi portava della legna e
l’accendeva, come in campeggio, insomma: Ho
vissuto tre mesi in campeggio però ero tranquilla,
non ho mai detto niente alla mia famiglia può darsi
perché ero felice, libera, non mi sentivo una donna
sposata, con responsabilità;
mangiavamo fuori, andavamo al mare, andavamo
sempre in giro e studiavo…mi ero portata il
programma del secondo anno , ero spesso in contatto
con le mie amiche!! Adesso però ho una casa, anche
se devo ancora vederla e così il pomeriggio del
giorno dopo siamo andati finalmente a vedere la
casa: quando la signora ha aperto la porta, ha detto
esattamente queste parole E’ una vecchia stalla però
mio marito ha messo il bagno e la cucina” Era vero,
erano delle stanze grandi, con il soffitto di legno e
attorno tante altre stanze. In una ci abitava una
signora anziana, di nome Mintina, che appena mi ha
visto ha fatto una gran festa.
Sono tornata al campeggio pensando a quella casa
messa malissimo; però Abramo mi ha tranquillizzata
dicendomi ‘la metto a posto…’. Abramo ha questo
modo di affrontare le difficoltà, serenamente…Così
ci siamo trasferiti e quando è arrivato l’inverno la
vecchietta mi ha regalato una stufa a legna, mi ha
insegnato come accenderla, come pulirla e
soprattutto come fare la pasta fresca, i ‘capplett’ in
romagnolo. Io facevo il pane arabo quattro volte alla
settimana e lei vedendomi impastare bene mi disse
‘impari subito a fare la sfoglia, vedrai…’. Così piano
piano mi stavo abituando alla nuova vita, la nuova
cultura; la prima cosa che ho voluto imparare bene è
stato l’italiano
e così ho chiesto alla fornaia di prestarmi i libri della
figlia che faceva la seconda media.. Prendevo i libri
di grammatica e facevo il confronto con il bagaglio di
lingue imparate in Marocco, trovavo nella lingua
italiana parole vicine all’inglese e altre al francese e
così da sola senza aiuto in sei mesi parlavo l’italiano,
giusto la frase minima ma non come sentivo da tanti
uomini maghrebini, solo flash di frasi. Vorrei
precisare una cosa: quando sono arrivata, ero la
prima donna immigrata da queste parti, perciò
arrivavano i vicini di casa a vedere questa giovane
sposina Marocchina e subito mi dicevano: “ Ah, sei
come noi, anzi più bella…”,
anche perché non avevo ‘al-higiab’, il copricapo
delle donne musulmane; avevo i capelli lunghi
sempre non legati, un paio di jeans e una maglietta.
Sì, certo, la mia famiglia era praticante però soltanto
la mamma aveva ‘al-hjgiab’…io e le mie sorelle
eravamo praticamente occidentali; io in Marocco
giocavo a calcio in una squadra di ragazze, facevo
pallavolo, ero iscritta a un club di diversi hobby,
cantavo,scrivevo poesie…quindi avevo questo
bagaglio di tante culture, di aperture sul mondo: la
mia nonna era del nord, vicino alla Spagna, cultura
spagnola visibile nel dialetto del nord. Questa
ricchezza non l’ho apprezzata fino a quando sono
diventata un’immigrata;
in tutte queste diversità che ho vissuto c’è la mia
vera identità: donna araba, preparata dalla mamma
a tanti sacrifici per la famiglia, per i figli, per la
difficoltà della vita; tutto questo bouquet di culture
ha fatto di me una donna forte, disposta a
sconfiggere ogni ostacolo, la nostalgia….eh,sì,
malgrado tutta questa forza io sono una donna con
le radici ben profonde e la famiglia per me è tutto e
la mamma è il punto di riferimento quotidiano: Mi
alzavo la mattina e subito pensavo di parlarle, di
sentirla, e le mie sorelle, Amina, Maria, Saida, e mio
fratello Khalid e mio babbo…allora le mie giornate
diventarono molto lunghe, Abramo andava a
lavorare, io ero da sola in casa, veniva Mintina la
mattina
e parlava…parlava, ma metà dei sui discorsi non li
capisco, così ho chiesto a mio cognato, che fa
l’ambulante, di trovarmi un lavoro: E lui passando
da un ristorante ha visto che avevano bisogno di una
lavapiatti e sono andata per il colloquio. Mi hanno
assunta subito e così far la lavapiatti è stato il mio
primo lavoro in Italia: era un’occasione per
conoscere la cucina italiana e lì ho lavorato un anno
e mezzo, dalle sette della mattina a mezzanotte, per
50.000 lire, che fa 25 euro, perché non avevo il
permesso di soggiorno: infatti io sono arrivata con
un visto turistico e la legge per il ricongiungimento
familiare è stata applicata che ero già in Italia.
Così dovevo tornare in Marocco ma mio marito fa la
richiesta per il ricongiungimento ma ci volevano due
anni. Dopo un anno e mezzo di lavoro sono rimasta
incinta: Quando mio marito l’ha saputo era molto
felice. Io non capivo cosa stava cambiando in me, mi
sentivo come volare e mi dicevo: diventerò mamma
qui, IN ITALIA; da sola senza la mia famiglia,
intendevo senza mamma, però ero felice, mio marito
non mi lasciava fare niente, cucinava lui, faceva tutti
i lavori di casa…Mi ricordo molto bene quando lo
dissi al datore del lavoro: “Che palle!” e io subito ho
risposto: “ Perché? Mio marito e io siamo molto
felici”.
”. Allora ho capito che a loro non importava niente
se le persone che lavoravano lì stavano bene o no.
Era un ristorante gigante, 500 posti, e quasi tutte le
domeniche organizzavano cerimonie-festecompleanni-incontri di lavoro…c’erano due pizzerie
e una cucina grandissima però una unica lavapiatti,
mi chiamavano ‘pulirapido’, facevo tutto in fretta, fa
parte del mio carattere, ho una capacità di gestire
tante cose allo stesso tempo. Ho lavorato tantissimo
senza mai dire che ero stanca, perché per me era un
modo di adattarmi alla mia nuova vita, senza i miei,
senza le amiche, le mi sorelle, il mio ambiente, la
grande città, tanti posti, il grande mercato con tutti i
suoi colori,e profumi…
Come si fa a cambiare in poco tempo queste
abitudini? È come cambiare la propria pelle! E però
nell’ambiente i lavoro ho fatto amicizia con tutti;
ceto, ci sono stati anche episodi poco belli, ma io
lasciavo correre, perché ho scelto io un altro paese
quindi devo accettare anche il non bello, senza
permettere a nessuno di toccare la mia dignità; sono
una persona molto orgogliosa della mia identità
araba perché l’ho vissuta con rispetto e libertà; e
quando qualcuno prova a fare una battuta di
pessimo gusto, tiro fuori la mia rabbia che convince
l’altro.
Così, quando il datore di lavoro, mi ha detto quella
‘parolaccia’ sono diventata rossa, mi dicevo: ‘ma
come, ho dato tanto a questo lavoro e adesso mi
tratta come un macchinario che è andato in tilt? Mi
sono messa a piangere, subito mi ha consolata il
cuoco offrendomi un gelato e siamo stati a parlare. Il
giorno dopo ero in cucina a pulire, è arrivato da me
il titolare dicendo che dovevo pulire per bene tutto e
poi andare a spazzare fuori. Facevo molto freddo e
dovevo anche portare delle casse di bottiglie,
pesanti…per me che diventavo mamma per la prima
volta erano pesanti, mettevo sempre la mano sulla
pania, avevo sempre paura di perdere il bambino.
Però dovevo portare queste casse e dopo averne
portate tre ho detto ‘basta’, sono andata in sala dove
il padrone stava prendendo il caffè e con tono sicuro
ho detto che non potevo prendere pesi e lui mi
rispose che potevo restare a casa. Sono scoppiata a
piangere, ho chiamato mio marito e l’ho pregato di
venire subito e portarmi via da qual posto. Mi
ricordo che erano passato dieci minuti e già era in
cucina di fronte a me; mi ha abbracciato chiedendo
come stavo, gli ho raccontato tutto quello che era
successo e lui è andato verso il padrone del
ristorante…dicendo come si permette di trattarmi in
quel modo e che non tornerò più a lavorare con loro.
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