SANTITA’ COMUNITARIA, UNA COMUNITA’ DI SANTI E PECCATORI “Non giudicate per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell’occhio tuo c’è la trave? Ipocrita, togli prima la trave del tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello”(Matteo 7, 1-5) Parabola della pagliuzza e delle trave Chiavassieu d’Haudebert Adèle (1788-1831) Il brano evangelico ci ricorda di non giudicare gli altri se non vogliamo essere giudicati da Dio. “Chi sei tu che ti fai giudice del tuo prossimo?” dice San Giacomo, perché il giudicare appartiene solo a Dio che ordina la pratica della legge, condensata nella misericordia e “Il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia…”(Gc. 2,13) Il discepolo di Cristo quindi, non ha il compito di condannare ma di amare, non ha il compito di mettere in rilievo le miserie del fratello, ma di servire il fratello nell’umile coscienza di non essere meno difettoso di lui. Un pericolo sempre in agguato è l’ipocrisia di chi vuol far credere di essere molto bravo e spietato nel combattere il male negli altri, ma non altrettanto in se stesso. I laici dell’Amore Misericordioso devono acquisire la coscienza di essere tutti più o meno malati e ingiusti per accogliere la salvezza ed acclamare la verità di Cristo, perché davanti a Lui diventa molto difficile nascondere la trave che abbiamo negli occhi. “Il figlio dell’uomo è venuto a cercare ciò che era perduto” RIFLETTIAMO Se ci fanno del male, non mettiamoci a giudicare e condannare, ma rendiamoci disponibili alla riconciliazione e alla ricostruzione della comunione. Stiamo attenti a non dire “Come stai, stai bene?”, sapendo che il disagio dell’altro è dovuto al proprio atteggiamento di disprezzo, di disistima o di prevaricazione. Non dobbiamo ricorrere facilmente alla Croce dicendo: “Anche Gesù ha sofferto, porta anche tu questo chiodo” . Piuttosto schieriamoci in difesa della persona, soprattutto se il povero cristo è l’ultima ruota del carro. Occorre programmare e decidere coinvolgendo i fratelli interessati per non ritenersi migliori con un implicito disprezzo del contributo dell’altro anche se modesto. Non possiamo dare giudizi sull’altro, non solo a parole ma anche con messaggi non verbali, con gli atteggiamenti, con le preferenze, con l’ignorare, con la fiducia non accordata, lasciandosi condizionare dall’opinione comune. Dobbiamo avere il coraggio di accostarci alle ferite spirituali e morali degli altri anche se questo dovesse provocare critiche e mormorazioni. Non dobbiamo vantarci della nostra preparazione teologica, culturale o delle nostre doti e virtù. Certe esibizioni di “sublime santità” sono forme indirette di giudizio dell’altro e magari di inconsapevole comportamento farisaico. PREGHIAMO DIO CHE CI HA DONATO IN CRISTO UN MAESTRO E UN MODELLO PER LA NOSTRA VITA SPIRITUALE E COME MADRE SPERANZA CHE È DISPOSTA A FARE SOLTANTO LA SUA VOLONTÀ. RIPETIAMO “ECCE ANCILLA DOMINI”